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LA CAPITALE

Si indica con Capitale la canonizzazione della scrittura maiuscola latina. La


denominazione di capitale fa riferimento all’impiego che questa scrittura conobbe
durante il Medioevo, quando il suo uso fu ristretto all’inizio dei soli capita in qualità
di scrittura distintiva.
La maiuscola, canonizzandosi, conobbe tuttavia due tipologie distinte, a seconda del
supporto e dello strumento scrittorio utilizzati ed anche della funzione a cui la
scrittura era destinata. Pertanto, i paleografi, distinguono una capitale quadrata,
utilizzata prevalentemente come scrittura esposta ed incisa su pietra o su altro
materiale duro (bronzo, terracotta ecc.), da una capitale rustica, usata come
scrittura libraria ed eseguita con il calamo su papiro e su pergamena (ma anche con
pennello su supporti quali l’intonaco, la terracotta ecc.).

LA CAPITALE QUADRATA
Cominciò il processo di normalizzazione a partire dalla metà del III secolo a.C e
giunse alla piena canonizzazione nel I secolo a.C.
La caratterizzano:
 L’armoniosa geometria delle forme;
 Il modulo delle lettere tendente al quadrato;
 La bilinearità;
 Il contrasto chiaroscurale tra tratti pieni e tratti sottili;
 L’allargamento a spatola dell’estremità dei tratti con funzione esornativa.
Il corpus più completo di tutte le iscrizioni latine antiche (non cristiane e non
medievali) è il Corpus inscriptionum Latinarum (CIL), ideato da Theodor Mommsen, il
cui primo volume fu pubblicato nel 1863. Oggi il Corpus comprende XVII volumi ed è
ancora in aggiornamento.

LA CAPITALE FILOCALIANA O DAMASIANA


La capitale conobbe una particolare tipizzazione, in età tardo-antica, ad opera del
calligrafo Furio Dionisio Filocalo che la ideò per le iscrizioni commissionate da papa
Damaso (366-384) per onorare le tombe dei martiri: questa capitale è perciò detta
damasiana o filocaliana.

La capitale damasiana o filocaliana <<pura>> rispetta invariabilmente alcune regole:


 La regola del contrasto: se due tratti si incontrano ad angolo retto, il tratto
verticale è sempre spesso, quello orizzontale sottile; se i tratti si incontrano
formando un angolo inferiore a 90 gradi, se il vertice è in alto l’asta spessa
sarà a destra e quella sottile a sinistra; sarà l’inverso se il vertice è in basso
 La regola degli apici a uncino: le aste orizzontali ne sono sprovviste; le aste
verticali con estremità libera hanno due <<riccioli>>; le aste verticali che si
incontrano con un altro tratto hanno un solo <<ricciolo>>

IL ROTOLO
Nel mondo antico e, nello specifico, nel mondo greco-romano il libro ha solitamente
forma di rotolo (volumen da volvere, poiché per poter essere letto il rotolo doveva
essere svolto e riavvolto). Il supporto con cui i rotoli antichi sono realizzati è il papiro.
Com’è noto, il papiro è una pianta acquatica. Nell’antichità, il principale centro di
produzione del
papiro era
l’Egitto. In
seguito, anche la
Sicilia, forse dal
III secolo a.C.,
divenne un luogo
di produzione del
papiro.
IL FOGLIO DI PAPIRO
Dal fusto della pianta venivano tagliate sottili
listarelle (philyrae) che venivano poi accostate
l’una all’altra in modo da sovrapporsi leggermente;
sul primo strato, così ottenuto, veniva disposto,
perpendicolarmente, un ulteriore strato e il tutto
veniva buttato in modo da utilizzare il collante
naturale prodotto dalla pianta per far aderire tra di
loro le diverse componenti.

Solo la prima plagula del rotolo veniva disposta con le fibre invertire (dunque
verticali sul lato orizzontale e viceversa) e questo accadeva perché questo primo
foglio, detto protocollo, era destinato a rimanere bianco: infatti, se avesse accolto la
scrittura, essendo spesso impugnato dal lettore, si sarebbe particolarmente
deteriorato. L’ultima plagula, detta escatocollo, era generalmente la parte che
accoglieva il nome dell’autore, il titolo, il numero dei libri e, a volte, informazioni utili
al copista, come il numero di colonne e di linee di scrittura. L’unità di vendita del
papiro era il rotolo (e non la plagula) ed esistevano diverse qualità di papiro: a
seconda della sottigliezza, della resistenza, del colore, della levigatezza e della
dimensione originaria delle singola plagulae, i rotoli potevano essere di alta qualità
(e dunque destinati ad accogliere opere letterarie) oppure di bassa o bassissima
qualità, fino all’emporetica, la carta di papiro destinata ad avvolgere le merci.
Per quanto riguarda il libro in forma di rotolo, gli esemplari più raffinati venivano
avvolti attorno ad una bacchetta di legno o di avorio, l’umbilicus. La scrittura era
contenuta in un solo lato, quello interno, che corrispondeva al lato con le fibre
orizzontali: queste infatti servivano a guidare la scrittura, dal momento che il rotolo
non veniva rigato. La scrittura si disponeva su colonne, distanti l’una dall’altra circa
1,5-2 cm. Il lettore, a mano a mano che leggeva, svolgeva il lato destro del rotolo,
ripiegando contemporaneamente la parte sinistra già letta. A fine lettura, dunque, il
rotolo doveva essere ri-arrotolato, per consentire al nuovo lettore di iniziare dal
principio, invece che dalla fine.
La gran parte dei rotoli ci è purtroppo giunta in forma frammentaria dall’antichità. Il
più grande deposito di papiri al mondo resta l’Egitto, poiché le sabbie del deserto
hanno conservato meglio il papiro (di per sé non molto resistente come supporto):
soprattutto nelle antiche discariche sono stati trovati (e vengono ancora trovati)
vasti giacimenti di papiri, sia greci sia latini. Tuttavia un’intera biblioteca di rotoli di
papiro è stata ritrovata, già nel 700, a Ercolano.

I PAPIRI DI ERCOLANO
Si tratta della biblioteca greco-latina legata al filosofo epicureo Filodemo di Gadara
(I secolo a.C.) e alla sua scuola.
Quando nel 79 d.C. l’eruzione del Vesuvio ricoprì la villa di Filodemo, ormai la scuola
filosofica non era più attiva. Tuttavia furono trovati numerosi rotoli di papiro
carbonizzati: da allora (cioè dal 1752-1754 anni del loro ritrovamento) sono state
messe in atto numerose tecniche per svolgere i papiri e restituire, per quanto
possibile, il loro contenuto. I papiri di Ercolano si datano tra il I secolo a.C. e il 79 d.C.

LE TAVOLETTE
Molto diffuso, nel mondo romano, fu l’uso delle tavolette.
Esistono varie tipologia di tavolette: le tavolette cerate, erano dittici o polittici di
tavolette di legno, tenute insieme da una cerniera. La parte interna della tavoletta
veniva scavata, in modo da lasciare un bordo esterno rialzato intorno. Nell’incavo
veniva versata la cera che, una volta rappresa, veniva incisa con lo stilo.
Le tavolette cerate erano utilizzate per la scrittura di documenti, per appunti, brutte
copie, note di conto ecc.
Quando la scrittura non serviva più, veniva semplicemente rimossa la cera (o il suo
strato più superficiale) e si poteva riutilizzare all’infinito.
Le tabulae dealbatae erano tavolette ricoperte di bianco (forse gesso) e si scriveva su
di esse con inchiostro e pennello. A quanto sembra, le tavolette dovettero essere
impiegate anche per accogliere testi letterari e non è improbabile che i polittici
possano aver ispirato il libro in forma di codice.

LA CAPITALE RUSTICA
La capitale rustica si canonizzò quasi contemporaneamente alla capitale quadrata,
probabilmente su influsso di quest’ultima e fu la scrittura normalmente usata per la
produzione libraria fino al III secolo d.C.
Essa è caratterizzata da un andamento più fluido e meno rigidamente geometrico
rispetto alla capitale quadrata, fluidità dovuta al calamo con la quale veniva
eseguita: è inoltre caratterizzata da un più accentuato chiaroscuro tra pieni e filetti,
da un modulo tendente al rettangolo (con il lato corto corrispondente alla base della
lettera) e da caratteristici apici leggermente ondulati al termine delle aste.

Fu detta capitale rustica, perché per molto tempo si credette che questa scrittura
fosse usata per prodotti librari di bassa qualità, mentre per i manoscritti di pregio
sarebbe stata usata una capitale simile a quella quadrata, detta ‘capitale elegante’ e
il cui più eloquente esemplare sarebbe il cosiddetto ‘Virgilio Augusteo’. Studi
successivi hanno invece dimostrato che la capitale elegante non è niente altro che un
artificioso processo di imitazione, in campo librario, di modelli epigrafici, databile tra
la fine del V e il terzo decennio del VI secolo.

L’uso della capitale rustica è largamente attestato anche nelle scritte eseguite a
pennello su muro, molte restituiteci dalle pareti di Pompei.
La capitale rustica conobbe, inoltre, dal I secolo d.C. una trasposizione su pietra,
chiamata dagli epigrafisti actuaria, perché usata prevalentemente negli acta.

LA CAPITALE RUSTICA
La capitale fu anche scrittura d’uso, anche se non sappiamo esattamente, nel
periodo più antico, quanto fosse diffusa, in altri termini quanti e quali persone vi
facessero comunemente ricorso. A partire dal III secolo a.C., l’epoca che vede la
nascita della letteratura latina, la diffusione della scrittura si fece sempre più larga,
come ci dimostrano le testimonianze indirette.
Dalle testimonianze superstiti (nessuna risalente oltre l’epoca sillana, fine II-inizio I
secolo a.C.) si può constatare come la corsiva assuma caratteri differenti, a seconda
che fosse eseguita su supporto duro con tecnica a sgraffio oppure su papiro o cera
con pennello o lo stilo.
Nel caso dell’uso della tecnica a sgraffio si nota quella tendenza, già evidenziata, a
verticalizzare i tratti, dal momento che su materiale duro i tratti orizzontali e quelli
curvi non sono agevoli da eseguire. Al contrario, l’uso della tecnica a calamo o
pennello favorisce l’esecuzione delle curve, come si può ben vedere nelle lettere B e
D.

Nello schema possiamo vedere l’esito delle singole lettere: quelle evidenziate di
verde (A, E, F, L, M, O, R) testimoniano come si siano evolute all’interno di un uso a
sgraffio della scrittura.
Le lettere evidenziate di rosso sono la probabile evoluzione della capitale nell’ambito
dell’uso della scrittura eseguita con calamo o pennello. Si noti soprattutto la
cosiddetta B con <<panse à gauche>>, così come definita dai paleografi francesi.
Tutti questi esiti possono trovarsi negli esempi di maiuscola corsiva sopravvissuti. A
volte coesistono, a volte se ne trovano solo alcuni e ciò potrebbe dipendere dal tipo
di insegnamento elementare ricevuto dallo scrivente (più tradizionale quello a
sgraffio, più all’avanguardia quello a calamo o pennello). Ad ogni modo, la capitale
corsiva fu la scrittura dell’amministrazione dell’Impero romani nei secoli I-III d.C.

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