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Mariaclaudia Izzo

NICOLA VACCARO
(1640-1709)

Un artista a Napoli tra


Barocco e Arcadia

I percorsi di Andrea Vaccaro


(1604-1670)
di
Riccardo Lattuada
INDICE

Introduzione ...................................................................................... pag. 9

1. La vita di Nicola Vaccaro, artista a Napoli


nella seconda metà del Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 15

2. La vicenda critica di Nicola Vaccaro


negli studi sull’arte napoletana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 23

3. Il ruolo di Nicola Vaccaro nell’arte napoletana


della seconda metà del Seicento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 47
3.1. I percorsi di Andrea Vaccaro (1604-1670) ................................. ” 49
3.2. L’evoluzione del linguaggio figurativo di Nicola Vaccaro ........... ” 109

4. Nicola Vaccaro impresario, librettista e scenografo


del Teatro San Bartolomeo (1683-89) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 129

Catalogo ragionato:
A - Opere documentate o di attribuzione accolta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 151
B - Opere di attribuzione incerta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 235
C - Opere di attribuzione respinta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 245
D - Disegni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 251
E - Opere disperse, indicate con i titoli desunti dagli antichi inventari . . ” 259

Regesto ............................................................................................. ” 271

Appendice documentaria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 281


- La vita di Nicola Vaccaro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 283
- L’attività artistica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 287
- L’attività teatrale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 291

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 299
Indici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ” 317
3.1. I PERCORSI DI ANDREA VACCARO
(1604-1670)

In memoria di Domenico de Conciliis.


della sua intelligenza,
del suo tormentato rigore.

Per comprendere non solo gli esordi, ma anche tutto il percorso di Nicola Vaccaro, è
necessario riportare l’attenzione su alcune fasi della traiettoria del suo ben più noto ge-
nitore, Andrea Vaccaro. Non è questa la sede per rianalizzare punto per punto – com’è
ormai urgente – la complessa e non brillantissima fortuna critica di Andrea Vaccaro1, e
nemmeno per interrogarsi ancora sul problema dei suoi esordi, specialmente dal pun-
to di vista di un riesame del suo ancora magro catalogo di pittore caravaggesco, su cui
molto lavoro resta da compiere2. È invece forse più importante tentare di comprende-
re meglio, anche solo a partire dalla Vita che gli dedica Bernardo de’ Dominici a Sette-
cento inoltrato, le attitudini operative e professionali di Vaccaro, cercando poi di ap-
profondire il suo percorso attraverso opere nuove o poco note.
Vaccaro non è un pittore difficile da riconoscere, specialmente nei dipinti della sua
lunga maturità, che egli firma spesso con il suo noto monogramma. È dunque agevo-
le assemblare corpose raccolte di immagini di dipinti che spazino da un capo all’altro
della sua produzione, mentre più difficile è smascherare la raffinata trama dei riferi-
menti che questo pittore elegantissimo, quasi mai corrivo e spesso molto più profon-
1 Cf. Causa 2007, per una rassegna della fortu-
na critica di Vaccaro, da ricucire però unendo do di quanto si sia voluto vedere in passato, riesce sempre a fondere entro una for-
varie annotazioni sparpagliate in questo libro mula propria, inconfondibile. Un altro problema notevole nella qualificazione della
veramente scritto da un lettore – e da un auto-
re – “rizomatico”, come ammette lo stesso traiettoria artistica di Vaccaro è nella sua capacità di recuperare, anche in momenti
Causa, nel senso di Deleuze (p. 28; e temo che
l’amico che ha definito Causa in tal modo, e di molto diversi della sua attività, riferimenti culturali più antichi o da egli stesso prati-
cui parla lo stesso autore sia proprio chi scrive).
cati in fasi precedenti della sua carriera, smentendo spesso una idea di sviluppo linea-
2 Cf. Bologna 1991; Santucci 1999; Causa 2007;

De Vito 1994-95. Quest’ultimo contributo è re della sua poetica. In attesa di una monografia completa sul pittore – impresa diffi-
un tentativo di sommario dell’attività di An- cile, ma che speriamo di riuscire a dedicargli al più presto – il tentativo qui compiu-
drea Vaccaro le cui implicazioni non è possibi-
le discutere interamente in questa sede; vi tor- to è quello di approfondire meglio il peso dei riferimenti culturali insiti nei percorsi
nerò di quando in quando almeno per i punti
salienti. Vorrei solo rilevare qui preliminar- di Andrea Vaccaro (percorsi, come si è detto, spesso paralleli nel tempo), cercando
mente che l’Ebbrezza di Noè in collezione pri-
vata, riprodotta a colori (tavv. IV-V, p. 88) e di-
contemporaneamente di non annullare la sua potente figura artistica entro una rete
scussa a p. 143, mi sembra opera tipica di Ago- di rinvii che ne cancellerebbero la specificità ed il ruolo centrale sostenuto nella pit-
stino Beltrano, ed appare priva di rapporti con
la produzione di Vaccaro. tura napoletana del Seicento.

49
A contatto con il caravaggismo e con Guido Reni. Il metodo di Andrea Vaccaro e il
rapporto con Massimo Stanzione

Una parte interessante della biografia di de’ Dominici è quella relativa alla attività di
copista di Vaccaro. Inizialmente copista da originali di Caravaggio e forse anche di
Battistello Caracciolo; poi da opere di Guido Reni. E però non solo copista filologi-
co, imitatore pedissequo, ma anche interprete dello stile dei suoi riferimenti cardina-
li. Vaccaro, infatti, avrebbe continuato a produrre opere di registro caravaggesco
continuando “su quello stile insino a tanto, che essendo divenuto amicissimo del Ca-
valier Massimo Stanzioni, fu da questi avvertito dell’erronea maniera che seguitava,
e consigliato lasciarla per appigliarsi a quella nobilissima di Guido Reni”3. Quel che
importa di questo passo è il fatto che al giovane Vaccaro – quanto giovane, è impos-
sibile stabilirlo con certezza – de’ Dominici riconosce non solo l’abilità tecnica del
copista professionista, ma la facoltà di declinare opere autonome nello stile dei mae-
stri che egli copia e conosce.
È questa, credo, la base del metodo di Andrea Vaccaro. La sua pittura non è costrui-
ta sulla ricerca di una originalità a tutti i costi (peraltro questa originalità verrà inve-
ce spesso raggiunta, eccome, nelle sue opere), ma su una costante riflessione profes-
sionale sui metodi, sugli stili della pittura a cui riferirsi nell’atto quotidiano di pro-
durre le proprie immagini. In tal senso è certamente necessario definire Andrea Vac-
caro un pittore accademico, e senza alcuna accezione negativa, anche nelle sue prime
opere. Tale metodo sarà poi alla base delle opere del figlio Nicola, che non smarrirà
mai fino in fondo gli insegnamenti paterni, nemmeno nei suoi esiti più schiettamen-
te proto-settecenteschi.
È dunque qualificando Andrea Vaccaro come un professionista in grado di imposses-
sarsi rapidamente di tutti gli stili con cui viene a contatto che si comprende la facilità
del suo passaggio dall’impianto tenebristico delle prime opere – prodotte, diciamo, a
partire dagli anni Venti del Seicento – ad un bagaglio linguistico più articolato. Un ba-
gaglio improntato sui paralleli esiti di Guido Reni, facilmente osservabili tra Napoli e
Roma, ma non necessariamente ad una sola fonte di cultura romano-bolognese.
La nostra ricognizione su questo sviluppo, che come già detto si tenterà di fondare
soprattutto su nuove e recenti acquisizioni al corpus di Vaccaro, può ben partire da
una notevole Allegoria dell’Amore dormiente (fig. 27). Un quadro colto, innanzitut-
to, la cui chiave iconografica è nel cartiglio con l’iscrizione “Ego dormio, et cor
meum vigilat”, che è il secondo verso del quinto capitolo del Cantico dei Cantici. Un
3
Cf. de’ Dominici 1742-44, III : 137.
quadro, dunque, di tema erotico ma dai significati molteplici, poiché si appella sia al-
4 Cf. Sotheby’s Londra Olympia, 4-VII-2006,
la sensualità del noto testo biblico sia alla forza dell’amore divino. Dal punto di vista lotto 426, considerato un Infant St. John the
formale l’opera è un compendio equilibrato – e perciò particolarmente indicativo di Baptist non ostante l’iscrizione ne designi
chiaramente il soggetto. Ancor prima il dipin-
un metodo – tra caravaggismo e modi romano-bolognesi. Sintomaticamente apparsa to era passato da Christie’s Londra, South
Kensington, 13-VII-2001, lotto 242, con l’al-
sul mercato internazionale con un’attribuzione a Simone Cantarini4, è insieme una trettanto indicativa attribuzione a ‘Seguace di
Guido Reni’ (ma considerato uno ‘Sleeping
raffinata memoria di amori dormienti caravaggeschi e di Cristi bambini di Guido. Putto’). Pubblico qui il dipinto dopo la recen-
Il taglio luminoso è un indicatore importante delle attitudini formali di Andrea Vac- te pulitura, che ne ha palesato le perfette con-
dizioni, preservatesi anche grazie al fatto che
caro: non ostante la figura sia en plein air e dunque vi appaia sullo sfondo una sinte- esso ci è giunto in prima tela.

50
tica apertura di paesaggio, la scelta di una luce vespertina, appena dopo le effemeridi
dal giorno al buio, proietta su di essa ombre estremamente graduate, a ben vedere
piuttosto diverse da quelle tipiche di Battistello Caracciolo, ai cui modi la critica ha
costantemente ancorato la fase tenebrista di Vaccaro.
In altre parole, nell’‘Allegoria dell’Amore dormiente’ il lavoro sulle luci è molto atte-
nuato rispetto alla stagione di caravaggismo militante cui la critica ha ancorato le pri-
me prove di Vaccaro, tra le quali spicca, per la forte parentela con invenzioni di Carlo
Sellitto, la Giuditta e Oloferne a Napoli, collezione privata (fig. 30)5. È dal momento
del giorno in cui è colto il bambino che discende la scelta delle luci che lo investono.
Questo metodo è evidentemente diverso dall’adozione della camera oscura caravagge-
sca, e ciò in coerenza anche iconografica con il soggetto del dipinto. Siamo probabil-
mente tra la fine del terzo e gli inizi del quarto decennio del Seicento. Vaccaro, sensibi-
le come un barometro ai mutamenti delle tendenze formali – non solo a Napoli, di cer-
to anche a Roma – appare qui cosciente dell’attualità ancora inesausta della pittura for-
temente chiaroscurata, ma è portato ad articolare il suo bagaglio formale su registri già
ben lontani da quelli di Caravaggio o di Caracciolo. La fortuna di quest’opera è peral-
tro attestata dall’esistenza di un’altra versione, siglata e più tarda, nel Museo di Cham-
béry, dalla quale fu tratta anche una copia ottocentesca (figg. 28-29)6.
Un discorso per molti versi simile può esser fatto per un’altra opera inedita. Si tratta di
una allegoria della ‘Pittura incoronata dall’alloro della Fama’ per la quale sono stato
consultato nel 2001, quando era negli Stati Uniti. L’opera è stata poi offerta sul merca-
to l’anno successivo con una attribuzione a Massimo Stanzione, che io stesso proposi
alla Sotheby’s di cambiare in quella a Vaccaro con cui passò poi sul rostro (fig. 31)7.
La confusione con Stanzione non sorprende. La vigorosa figura femminile, che si
volta sorpresa dall’arrivo del putto in volo, ha molto a che fare con lo stile di Massi-
mo tra la fine del terzo e gli inizi del quarto decennio del Seicento, persino dal pun-
to di vista della fisionomia, e sembra che qui Vaccaro abbia tenuto in debito conto
opere famose come la Lucrezia di Vouet, nota anche da stampe. Per contro il disegno
5 Cf. il gruppo di opere discusse e radunate da
del putto e i suoi stessi tratti sono una firma per Vaccaro. La composizione, che ser-
F. Bologna in Mostra Napoli 1991: 91-92, tavv. ra le due figure in primo piano, è ancora caravaggesca, ma il gesto elegante della don-
34-35; 154; 129-131, figg. 130-134; e le schede
di L. Rocco: 306-308, 2.66-2.69. Per la ‘Giudit-
na e il volo in diagonale del putto sono svolti secondo modalità più avanzate rispet-
ta e Oloferne’ cf. in part. la tav. 34: 91, e la to a quelle dei primi caravaggeschi napoletani, e denunciano una scioltezza già forie-
scheda di L. Rocco: 306, 2.66. Una versione
più tarda e più riconoscibile nel percorso di ra di una visione barocca, o se si vuole pre-barocca, in cui forse è proprio Vouet il
Vaccaro è quella passata da Christie’s New
York, 21-V-1992, lotto 31, che credo sia pro-
nuovo riferimento per un’uscita dal passo strettamente caravaggesco.
prio quella poi ripubblicata da Pacelli 2001: 46, Posso disporre qui solo della foto del dipinto nelle condizioni in cui è apparso a New
tav. 30, il quale la confonde con quella pubbli-
cata da de Vito 1994-95: 68, fig. 4; 77, che è nel York, con tasselli di pulitura aperti su uno spesso strato di vernici ingiallite e vecchi ri-
Castello di Hradek (Moravia). In tale contesto
de Vito 1996: 77, cita anche una “replica, mol-
tocchi. È facile immaginare l’impatto visivo degli incarnati della donna dopo un restau-
to più debole, di cui ritrovo foto nell’archivio ro. Investita quasi frontalmente da una luce attentamente graduata, la figura – pur stac-
longhiano con relativo commento circa l’auto-
grafia”. Credo si tratti della tela già presso cata dal fondo – ne emerge mediante un accorto senso dello sfumato, anche qui (devo
Christie’s a New York, poi pubblicata da Pa-
celli 2001.
ripetermi) del tutto diverso dai modi di Battistello. Una volta ricondotto ad Andrea
6 Cf. Brejon de Lavergnée – Volle 1988: 335.
Vaccaro, questo dipinto sembra quasi un manifesto delle sue ambizioni di artista: l’at-
7 Cf. Sotheby’s New York, 24-I-2002, lotto
tesa della gloria attraverso la pittura non deve avergli fatto difetto, e qui egli ci offre
211; l’opera misura cm. 102,9 x 121,6. Sono un’immagine viva e comunicante, che credo ci dica qualcosa anche del suo carattere.
grato a George Gordon per avermi fornito le
foto che qui riproduco. Nondimeno, a dispetto degli sforzi della critica, i primi passi di Vaccaro restano

51
Fig. 27 – Andrea Vaccaro, Allegoria
dell’Amore dormiente, collezione
privata.

Fig. 28 – Andrea Vaccaro, Allegoria


dell’Amore dormiente, Chambéry,
Museo.

Fig. 29 – da Andrea Vaccaro, Allego-


ria dell’Amore dormiente, Chambé-
ry, Museo.

Fig. 30 – Andrea Vaccaro, Giuditta e


Oloferne, Napoli, collezione privata.

52
Fig. 31 – Andrea Vaccaro, La Pittura
incoronata dall’alloro della Fama, già
New York, Sotheby’s.

Fig. 32 – Anonimo caravaggesco na-


poletano o romano, Amor di Virtù,
Riga, Museo d’Arte occidentale (da
Vsevolozhskaya-Linnik 1975).

Fig. 33 – Valentin de Boulogne,


Amor di Virtù, New Haven (Conn.),
collezione privata.

53
perlopiù oscuri e frammentari, com’è logico pensando alla sua traiettoria professiona-
le iniziale, e ancora vaga è la rete dei suoi riferimenti. Influssi romani, anch’essi perce-
pibili soprattutto nel gruppo di opere radunate da Ferdinando Bologna nella mostra
del 1991 su Battistello Caracciolo8, sembrano provenire dall’ambiente caravaggesco
francese, soprattutto Valentin e Tournier. A riprova di questa situazione ancora non
ben definita, a Vaccaro vengono ascritte opere con cui non mi sembra abbia molto a
che fare. Ad esempio l’ Amor di Virtù o Allegoria della Poesia del Museo d’Arte occi-
dentale di Riga (fig. 32), già attribuito a Battistello Caracciolo, a Matteo Arciero, a
Carlo Sellitto e all’ambiente fiorentino del primo Seicento, è stato di recente ascritto
ad Andrea Vaccaro da Stefano Causa9, ma temo che quest’idea abbia poche speranze
di essere accolta. Nel quadro di Riga è evidente il rapporto con il dipinto omonimo a
New Haven (Conn.), collezione privata, attribuito a Valentin da Pierre Rosenberg già
oltre un quarto di secolo fa (fig. 33)10. Si può convenire con Causa che è difficile pro-
nunciarsi su “un dipinto che pochi hanno visto” (compreso chi scrive), anche “a giu-
dicare dalla foto”. Ma – ammesso che il dipinto sia napoletano, sul che non v’è la mi-
nima certezza – la dipendenza dal prototipo di Valentin è talmente chiara che per in-
sistere su una attribuzione a Vaccaro bisognerà postulare un suo viaggio molto preco-
ce a Roma, o in alternativa pensare più ragionevolmente ad un anonimo caravaggesco
che – sempre a Roma, più difficilmente a Napoli – si esercita qui in una variante sul
prototipo del maestro francese. In ogni caso, piuttosto che avvalersi della vecchia fo-
to pubblicata nel 1976 nel catalogo della mostra di Sellitto, è forse possibile fare un
passo in più verso la comprensione a distanza del quadro di Riga mediante la sua ri-
produzione a colori pubblicata in un testo di un anno più antico, ma di gran lunga mi-
gliore dal punto di vista delle foto: quello di Vsevolozhskaya e Linnik11.
Entriamo a questo punto nella fase più nota e praticata del percorso di Vaccaro, in cui
il pittore evolve la sua cultura di base e vira più decisamente verso i temi e le acquisi-
zioni del classicismo romano-bolognese, pur senza mai tradire la sua forte identità, e
sempre filtrando questi riferimenti attraverso la tavolozza e le invenzioni compositi-
ve del suo amico Massimo Stanzione.
Questo notevole San Giovanni Battista (fig. 34) era giunto nel 2004 alla Christie’s di
Londra con ascrizioni provvisorie alla cerchia di Pietro Novelli o a quella di Muril-
lo, e mi parve giusto attribuirlo ad Andrea Vaccaro, in un forte momento sull’inizio
degli anni Trenta del Seicento12. Ancora una volta l’ambientazione a lume oscuro e la
serrata impaginazione spaziale sono memorie del caravaggismo fra Roma e Napoli, 8Cf. Bologna 1991, con i riferimenti qui alla
ma la presentazione della figura e i suoi tratti fisiognomici sono insieme un omaggio nota 5.
9
a Reni ed al classicismo moderno in via di diffusione in questi anni. Un classicismo Cf. Causa 2007: 186, fig. 110; per la storia cri-
tica del dipinto cf. P. Santucci in Mostra Napo-
in cui i metodi del rapporto con l’Antico e i riferimenti alle grandi espressioni della li 1976: 118-119, n. 16, tav. XLIII.
Rinascenza italiana restano rispettosi, ma in definitiva scevri da attitudini realmente 10
Cf. Rosenberg (1980) 1982: 215; fig. 21. Il
fatto è tanto più curioso se si pensi che Stefano
cinquecentesche, a prescindere dal fatto che in una estesa casistica la pittura napole- Causa – che pratica in forma di culto storio-
grafico la conoscenza di Longhi – cita il testo
tana tra il 1630 e il 1650 si avvalesse scopertamente di impianti compositivi e di ico- in cui è contenuto il contributo di Rosenberg a
nografie prelevate di peso da quelle del secolo precedente. p. 303 del suo libro del 2007.

Su tali registri la posizione di Vaccaro sembra attestarsi sin dalla fine del terzo decen- 11 Vsevolozhskaya-Linnik 1975: 81.

nio. Il San Giovanni Battista è un testo figurativo utile per comprendere le sue incli- 12Cf. Christie’s Londra, South Kensington, 9-
VII-2004, lotto 151. Il dipinto misura cm.
nazioni. Il lume oscuro resta il collante delle sue figure, ma il disegno è sempre più il 100,1 x 73,7.

54
Fig. 34 – Andrea Vaccaro, San Gio-
vanni Battista, già Londra, Christie’s.

telaio su cui poggia l’impianto dell’immagine, al punto che persino il trattamento del-
l’anatomia ne risente. E, su tutto, una misura, una contenutezza alla Reni è il fattore
principale del controllo emotivo dell’immagine. La eloquentia allusa dal gesto del
santo è un topos per il soggetto rappresentato, e intenso è il suo colloquio visivo con
lo spettatore; ma è l’attitudine a moderare l’impatto emozionale dell’immagine a se-
gnarne il climax. Una sensibilità di questo tipo è innanzitutto indebitata nei confron-
ti di Stanzione, il più sereno e scelto dei classicisti napoletani, ma se si volessero cer-
care paralleli con l’ambiente romano – probabilmente del tutto casuali, ma pur sem-
pre indicativi di una tendenza comune – verrebbero in mente gli esiti più sentimen-
tali di un Nicolas Renier o comunque di un esponente francese di quel mondo.
Sin da queste prime prove Vaccaro si conferma sostanzialmente un pittore di figura,
che non derogherà mai da questo ambito neppure per occasionali digressioni verso
altri generi. È evidente che il suo segmento di mercato deve essere stato questo, e che
rare sembrano essere state per lui le commissioni di opere a tema profano o mitolo-
gico, mentre costanti furono le committenze di figure di santi, pale d’altare e storie
bibliche anche di notevole impegno formale. Nel suo mestiere Vaccaro non mostra

55
attitudini sperimentali o scelte extravaganti; egli sembra invece aver trovato i suoi
punti di riferimento in una cauta e perlopiù serena esplorazione del suo mondo for-
male: non di rado nelle sue opere gli stessi modelli – maschili e femminili – ri-
compaiono sotto vesti iconografiche mutate. E persino la tavolozza dei suoi molti di-
pinti firmati con il noto monogramma AV, curiosamente uguale a quello di Andrea
del Sarto (scelta deliberata di porsi nella scia ideale del “Pittore senza errori?”), a ben
guardare mostra un sapiente ma riconoscibile rimescolamento di alcune componen-
ti cromatiche che sono la base comune a tutta la pittura napoletana del suo tempo: il
rosso e il blu di Stanzione; il bruno e un verde acido e pallido per alcuni panneggi, re-
taggi di caravaggismo romano e napoletano; più raramente il giallo brillante caro a
Pacecco de Rosa e talvolta a Bernardo Cavallino; abbastanza spesso i cangiantismi
delle stoffe di Cavallino e di Francesco Guarino. Eppure, se la riconoscibilità di un
prodotto visivo è un segno delle attitudini di chi lo crea, non c’è forse un pittore più
riconoscibile di Andrea Vaccaro nel panorama della pittura napoletana del Seicento.
Appare francamente dubbio il peso del ruolo svolto da Andrea Vaccaro nelle dina-
miche della koiné caravaggesca, ma non altrettanto si può dire per la sua produzione
più nota – quella, direi, effettivamente nota – cioè quella orientativamente databile a
partire dalla fine degli anni Venti del Seicento. Tutti gli influssi formali e culturali ri-
scontrabili nelle sue opere più importanti non sono soltanto una sommatoria delle
invenzioni dei suoi colleghi più brillanti, ma vengono rifusi in una sigla assolutamen-
te inconfondibile, conseguita mediante un metodo di attento dosaggio di tutte le
componenti formali. Su questo piano Andrea Vaccaro è probabilmente più avanti di
tutti gli altri pittori napoletani del suo tempo; in epoche successive sapranno far co-
me e a volte meglio di lui – ma seguendo direzioni totalmente diverse – soltanto Lu-
ca Giordano, Paolo de Matteis e Francesco Solimena.
All’inizio degli anni Trenta del Seicento le botteghe di Stanzione e Vaccaro assumo-
no una posizione dominante a Napoli. Un’opera fondamentale per comprendere il
rapporto tra Vaccaro e Stanzione è lo straordinario Martirio di Sant’Agata a Parigi,
Galerie Giovanni Sarti, che credo si debba situare tra la seconda metà degli anni Tren-
ta e i primi anni del decennio successivo (fig. 35)13. La composizione del dipinto, che
ritengo tra i più forti di Vaccaro recentemente riemersi, è correlata a quella della Sa-
lomè che riceve la testa del Battista di Stanzione a Manchester, City Art Gallery (fig.
36), nella quale Sebastian Schütze e Thomas C. Willette hanno giustamente notato
l’ascendente della Salomè di Caravaggio a Madrid, Palazzo Reale per il disegno del
boia di spalle14. E la posizione del busto e del volto della santa è molto simile a quel-
la della Giuditta con la testa di Oloferne dello stesso Stanzione, nota in tre redazioni
(fig. 37)15. È la fase di rielaborazione della cultura di Reni, che coinvolge allo stesso
livello di consapevolezza Stanzione e Vaccaro. Nel quadro di Stanzione Salomè si 13
Il dipinto, che riproduco grazie alla cortesia
della Galerie Sarti, era al TEFAF di Maastricht
volge verso qualcosa o qualcuno all’esterno del dipinto, astraendosi dal rapporto con nel 2007. Misura cm. 122 x 159, ed è siglato in
alto a destra con il consueto monogramma di
le persone circostanti. Nel quadro della Galerie Sarti Sant’Agata ha lo sguardo perso Andrea Vaccaro.
verso l’alto, a chiedere forza all’ispirazione divina, e ignora il sacerdote che le impo- 14Cf. S. Schütze in Schütze-Willette 1992: 208,
ne di adorare l’idolo pagano e l’aguzzino di spalle che sta per seviziarla con un paio A44; 313, fig. 174. Schütze data il dipinto ver-
so il 1635.
di immense tenaglie. La figura del sacerdote è quella che ricorre nel Martirio di San 15 Cf. S. Schütze in Schütze-Willette 1992: 208-

Lorenzo in ubicazione ignota (fig. 49), e il soldato a sinistra ricorre in varie posizioni 209, A45; 312-313, figg. 170-172.

56
Fig. 35 – Andrea Vaccaro, Martirio di
Sant’Agata, Parigi, Galerie Giovanni
Sarti.

Fig. 36 – Massimo Stanzione, Salo-


mè, Manchester, City Art Gallery.

57
in altre opere del pittore. Ma sono il bilanciamento del dipinto, la profondità psico-
logica a contrasto con la naturalezza perfetta di ogni dettaglio, a farne un canone di
classicismo napoletano.
Si insiste spesso sulla piacevolezza di Vaccaro, sul suo essere un pittore gradito ai col-
lezionisti per la seduzione ammiccante delle sue immagini. Nel Martirio di Sant’Aga-
ta, così come nel San Sebastiano della Galerie Canesso (fig. 38), è necessario parlare
di esplorazione profonda degli affetti; di capacità di rendere vive immagini – anche
quelle di un martirio – attraverso una lettura della condizione umana dei protagoni-
sti che va oltre il discorso stilistico, oltre il problema formale. Questa è la grandezza
di Vaccaro, che con il Martirio di Sant’Agata si pone ai vertici della pittura italiana
del suo tempo.
Tra quarto e quinto decennio del Seicento Vaccaro va precisando il suo metodo, pro-
ducendo varianti autonome della congerie di linguaggi figurativi che si fronteggiano
anche sulla scena artistica napoletana. Ad esempio, parlando del rapporto con Reni,
Fig. 37 – Massimo Stanzione, Salo-
è forse utile ridiscutere qui un dipinto piuttosto noto, il Martirio di San Sebastiano mè, collezione privata.
già a Genova, collezione Piero Pagano, ed oggi a Parigi, Galerie Canesso (fig. 38). Se
è vero, come ha notato Vincenzo Pacelli, che la composizione del dipinto è in rap-
porto con il San Sebastiano di Ribera a Madrid, Prado16, è altrettanto evidente la re-
lazione di entrambe le opere con modelli di Reni, nella versione del San Sebastiano a
Parigi, Louvre, e specialmente in quella dello stesso soggetto a Genova, Palazzo Ros-
so; due opere di Guido note anche attraverso una innumerevole serie di copie coeve.
Nella versione a Genova il santo a mezza figura ha lo sguardo rivolto verso l’alto, a
sottolineare la provenienza divina della forza necessaria per aver potuto sopportare
il martirio; il suo torso riflette intensamente la luce contro uno sfondo paesistico; le
due braccia legate in alto all’albero enfatizzano l’anatomia apollinea del suo torso.
Nella sua interpretazione Vaccaro offre una altissima variatio del tema: come in Ri-
bera, il santo ha un solo braccio legato all’albero e non è lievemente girato verso la
parte destra del dipinto come in Reni; è visto frontalmente, in modo da offrire il mas-
simo rendimento alla potente resa anatomica del torso, colto in un lieve hanchement,
e del perizoma. Ma la variante più importante rispetto alla composizione di Reni è
nella scelta del momento narrativo: invece di raffigurare il santo già trafitto dalle frec-
ce, come fa Guido (e come fa Ribera nel quadro del Prado), Vaccaro opta per il mo-
mento che precede il martirio. Il centurione visto di profilo, una figura con elmo di
fattezze ispirate a quelle dell’Imperatore romano Vitellio, ordina ai due aguzzini di
serrare la fune che lega il santo all’albero. È, questo, un raffinato ricordo della rivo-
luzionaria invenzione narrativa della Flagellazione di Caravaggio già a San Domeni-
co Maggiore. La finezza di passaggi chiaroscurali e l’accuratezza delle stesure croma-
tiche sulle figure degli aguzzini sono straordinarie – l’investimento anche economi-
co del pittore in tal senso è dimostrato dalla ricchezza dei toni di lapislazzuli della ca-
sacca dell’aguzzino di spalle – e una sensibilità formale affine a quella di Van Dyck si 16 Cf. la scheda di V. Pacelli in Mostra Napoli
1984, I: 491-492, n. 2.268, che data il dipinto –
osserva nello straordinario profilo del centurione e nella splendida figura dell’aguz- siglato con il monogramma di Vaccaro – verso
il 1640 e ne pone lo schema compositivo in
zino chino a controllare la fune alle spalle del santo. La fisionomia perfetta del volto rapporto con il San Sebastiano di Ribera a Ma-
di quest’ultimo è tipica di Vaccaro; la sua conoscenza dell’anatomia si palesa in tutta drid, Prado, pubblicato da Spinosa 1978: 113,
fig. 131; 114, n. 131. Il dipinto di Ribera è da-
la forza nella resa del torso. Se è vero che “Vaccaro si è servito di un modello in tato da Spinosa tra il 1635 e il 1640.

58
Fig. 38 – Andrea Vaccaro, Il martirio di San Sebastiano, Parigi, Galerie Maurizio Canesso.

59
posa, evidentemente molto muscoloso, la cui immagine viene riprodotta nel dipinto
senza alcuna idealizzazione”, risulta però difficile convenire con Wolfgang Prohaska
sul fatto che “Il modello reniano, nella sua «idealità», ha assunto i tratti triviali di un’
«accademia»”17. La sensualità della figura del santo è innanzitutto legata all’interpre-
tazione del soggetto: è la bellezza – raffigurata in tutta la sua composta realtà – di una
persona che sta per essere oltraggiata; una bellezza innanzitutto interiore, che colpi-
sce ancor più per il fatto di essere specchiata in un corpo perfetto. Per una volta dob-
biamo dunque ricordare di essere a Napoli, dove qualunque influsso – compreso
quello dell’eletta lingua di Reni – andava comunque temprato nella forgia della real-
tà. Vaccaro è davvero il principe di queste alchimie perfette.
Reni contò molto per Vaccaro e per il suo fortunato dioscuro Massimo Stanzione, e
veramente de’ Dominici riporta una realtà storica parlando di questa venerazione per
Guido condivisa dai due artisti, pur da un’angolazione assolutamente napoletana. Ad
esempio, la Fuga in Egitto di Vaccaro già a Roma, Christie’s (fig. 39), mostra ribalta-
ta l’identica matrice della Madonna con Bambino di Stanzione a Roma, Galleria Na- 17
Cf. W. Prohaska in Mostra Frankfurt 1988:
zionale di Palazzo Corsini18 e questo dittico ideale va rapportato alla Fuga in Egitto 676-677, D53, che data il dipinto tra il 1635 e il
1640 e lo pone correttamente in rapporto con
a Napoli, Quadreria dei Girolamini, forse di Simone Cantarini – come suggerito da la versione a figura intera già a Madrid, colle-
zione Sebastian de Borbón y Braganza, illu-
Erich Schleier e da Stephen Pepper19 – forse proprio di Reni, come tramandato da strato da Spinosa 1984: 832, e discusso da Bo-
tutta la tradizione degli studi napoletani20. logna 1991: 131, fig. 134, che lo indica a Napo-
li, collezione dell’architetto Francesco Perro-
La riprova del successo di questa composizione è data dall’esistenza di una Madon- ne Capano.
na con Bambino segnalata a Federico Zeri nel 1993 in una collezione privata, in cui 18
Cf. Christie’s, Roma, 28-XI-1996, lotto 395.
Il dipinto, che non a caso recava un’antica at-
le due figure sono riprese integralmente dal dipinto già presso Christie’s (fig. 40)21. tribuzione a Stanzione, proviene dalla colle-
Sia Vaccaro sia Stanzione sembrano più interessati a palesare la loro sintonia con i zione della Principessa di Castelcicala (fino al
1906); passò poi in quella della Duchessa Tere-
modi di Guido che a impiegare meccanicamente il prototipo di queste loro opere. I sa Dusmet de Smours (fino al 1915) e in segui-
to al Duca Falco Dusmet de Smours (fino al
due pittori, e non solo loro, sembrano aver praticato a lungo e con fortuna il meto- 1951).
do della intertestualità: la conoscenza dei prototipi di Guido, evidentemente condi- 19 Cf. Pepper 1988:, 345-346, A6, fig. 52.
visa con un gran numero di collezionisti e conoscitori, porta ad una sorta di citazio- 20Cf. Leone de Castris – Middione 1986: 102-
nismo molto articolato, che da un lato tende a ostentare – a rendere trasparente – il 103 per una scheda sul dipinto che però, curio-
samente, non fa riferimento alla monografia su
prelievo da opere di Reni di schemi compositivi, posture di figure e altri dettagli; dal- Reni di Pepper.
l’altro vuole esaltare la personalità, l’identità stilistica e in generale le scelte formali 21
Credo che questo dipinto possa essere quel-
lo passato a Londra, Sotheby’s, 9-XII-1987,
degli interpreti. Se uno dei prototipi più significativi di tale metodo è il Martirio di lotto 128. In questa occasione il dipinto era in-
Sant’Orsola di Bernardo Strozzi per Marcantonio Doria – che è una variazione del dicato come “signed”, con le misure di cm.
101,6 x 74,9.
secondo decennio del Seicento sul famoso dipinto omonimo di Caravaggio22 – guar- 22 Cf. F. Bologna in Bologna-Pacelli 1980: 38-
dando da vicino l’interazione tre le opere di Reni e l’ambiente artistico a Napoli tra 40; Bologna 1992: 279-280 per la ricezione del-
le novità formali del dipinto di Caravaggio da
quarto e quinto decennio del Seicento, è sempre più il tema della ‘variatio’ ad assu- parte di Domenico Fiasella; M. Gregori in
mere un carattere dominante. In questa tendenza Andrea Vaccaro e Massimo Stan- Mostra Napoli 1985: 352; Bologna 1992: 278;
Pacelli 1994: 116-117; G. Algeri in Mostra Ge-
zione appaiono come i più sofisticati interpreti del metodo della variante intertestua- nova 1995: 120-121, n. 12 (con bibliografia
precedente), per il ‘Martirio di Sant’Orsola’ di
le ma – come già accennato – non sono i soli: un caso particolarmente eclatante è Strozzi in collezione privata.
quello di Lot e le figlie di Reni. La recente disamina offerta da Laura Muti di versio- 23
Cf. Muti 2007: 36-41, 56-63.
ni autografe e copie antiche di quest’opera famosissima di Guido è il punto di arrivo 24Cf. Pacelli 2001: 35, tav. 14; Pacelli et al.
2008: 27, fig. 17.
attuale alla sua fortuna (fig. 41)23. A Napoli un riflesso diretto del successo di que-
25 I due dipinti misurano cm. 148 x 199. Per
st’opera è, ad esempio, riscontrabile nel Lot e le figlie di Filippo Vitale a Napoli, col- Mosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe cf. De
lezione Furgiuele (fig. 42)24. Non è solo per il volto della figura femminile alla estre- Vito 1994-95: 100, 86 fig. 16, che pubblica
l’opera in riferimento alla tela di analogo sog-
ma sinistra del dipinto – praticamente lo stesso della figura corrispondente nel qua- getto di Antonio de Bellis a Budapest, Museo

60
Fig. 39 – Andrea Vaccaro, La fuga in Egitto, già Roma, Christie’s. Fig. 40 – Andrea Vaccaro, Madonna con Bambino, Reggio Emilia, col-
lezione privata.

di Belle Arti. Mi sembra che l’opera di de Bel- dro di Reni – né per la scelta degli stessi toni giocati tra accenti di rosso vivo e gialli
lis sia databile sugli inizi degli anni Quaranta
del Seicento, e che dunque sia successiva a ocra, e nemmeno per l’analogo dettaglio del vaso di metallo pregiato retto dalla stes-
quella di Vaccaro qui in discussione. Soprat-
tutto, l’impianto del dipinto di de Bellis ha po- sa figura citata, ma soprattutto per il taglio compositivo delle figure rappresentate per
co a che fare con quello di Vaccaro: figure in- due terzi che Vitale mostra una consapevolezza del prototipo di Guido. Siamo pro-
tere, ambientazione paesistica più ampia, dif-
ferente strutturazione della composizione ren- babilmente sugli inizi del quarto decennio del Seicento; la diffusione della poetica di
dono assai labile questo parallelo. Pacelli et al.
2008: 29, fig. 20; 30; 58-59, pubblica una foto Reni è al suo apice, e non solo a Napoli. Andrea Vaccaro può ormai contare su una
in bianco e nero della Fuga di Lot e le figlie da
Sodoma reperita presso la Fototeca dell’Istitu-
tale frequentazione delle opere di Guido da non lasciarsi intrappolare in un gioco di
to Amatller di Barcellona, e pone giustamente prelievi automatici. Il magnifico pendant, Lot e le figlie e Mosè fa scaturire l’acqua
in correlazione quest’opera di Vaccaro con
quella omonima di Pacecco de Rosa in colle- dalla rupe in collezione privata (figg. 43-44), sono esempi perfetti di cosa egli inten-
zione privata (Pacelli et al. 2008: 357-358, n.
95) per la figura dell’angelo di spalle che com- desse prendere da Reni e cosa della propria pittura egli ritenesse intangibile25. Posso
pare in entrambe, e che è una citazione dal fa- ora riprodurre a colori e dopo la pulitura i due dipinti, che sono sempre stati insie-
moso Riposo nella Fuga in Egitto di Caravag-
gio a Roma, Galleria Doria Pamphilij. Ma que- me. È innanzitutto Reni, specie per il Mosè che fa scaturire l’acqua dalla rupe, a co-
sto dipinto era già stato pubblicato da Spinosa
1984: tav. 855, con l’indicazione della prove- stituire il riferimento più forte. Un Reni fortemente rivisto e filtrato attraverso lo sti-
nienza dalla collezione Sebastian de Borbon y
Braganza a Madrid. È assai possibile che per
le del più stretto compagno di strada per Vaccaro in questi anni, Massimo Stanzione.
soggetto, momento stilistico e (presumibil- L’incastro di figure sulla sinistra è una memoria diretta dell’analogo dettaglio a destra
mente) formato questo dipinto sia nato insie-
me ai due qui discussi. della Strage degli innocenti di Massimo a Rohrau, Gräflich Harrach’sche Gemälde-

61
Fig. 41 – Guido Reni, Lot e le figlie,
collezione privata.

Fig. 42 – Filippo Vitale, Lot e le figlie,


Napoli, collezione Furgiuele.

62
Fig. 43 – Andrea Vaccaro, Lot e le fi-
glie, collezione privata.

Fig. 44 – Andrea Vaccaro, Mosè fa


scaturire l’acqua dalla rupe, collezio-
ne privata.

63
galerie26, e c’è poco da aggiungere sul taglio alla Reni della figura femminile che reg-
ge il vaso a destra. Al tempo stesso la tavolozza è in questo momento l’aspetto più
sperimentale della produzione di Vaccaro. Una miscela di blu cupi e ricchi di mate-
ria, di bruni luminosi e di lacche scure staglia i panneggi in un modo che al tempo
stesso è vicino a Van Dyck e a Monrealese, e se proprio si deve cercare un rapporto
con il mondo emiliano viene alla mente più Guercino che Reni. È il colore rosso vi-
vo che non ha cittadinanza in questi quadri, caso praticamente unico nella pittura na-
poletana del periodo.
La tipologia di queste tele a due terzi di figura, di formato da galleria, deve aver co-
stituito un vero e proprio agone per molti pittori napoletani: nel gioco degli infiniti
rimandi tra un pittore e l’altro, non sorprende di vedere lo stesso Pacecco de Rosa ci-
tare composizioni di Vaccaro, e viceversa Vaccaro rendere nei suoi modi idee di Pa-
cecco e di altri pittori napoletani27, a patto però di tenere sempre Stanzione e lo stes-
so Vaccaro al centro di questa rete di rapporti.

Ribera, Cavallino, Van Dyck, Monrealese

È necessario spendere ancora qualche parola sul metodo di lavoro di Andrea Vacca-
ro. Non tanto dal punto di vista operativo – l’impiego sistematico del disegno, pur se
quasi non documentato, è palese; lo scrutinio e la selezione (che è innanzitutto capa-
cità di lettura critica) delle tendenze figurative che di volta in volta fanno la loro com-
parsa sulla scena napoletana, sono strumenti del tutto evidenti nel bagaglio del pitto-
re – quanto da quello della interpretazione che Vaccaro ci dà dei materiali con i qua-
li viene a contatto.
Ad esempio, Ribera. Andrea Vaccaro, al pari di tutti i suoi colleghi napoletani, non
può non aver compreso la portata delle opere del grande pittore spagnolo. Pur da una
prospettiva formale del tutto diversa, egli dev’essere stato ben conscio soprattutto
della forza delle composizioni di Ribera. Quando affronta temi che avevano reso fa-
moso Ribera sin dai suoi esordi napoletani, Vaccaro sembra quasi volergli tributare
26Cf. Schütze-Willette 1992: 46, tav. XIV;
degli omaggi. Il fenomeno sembra databile a partire dalla seconda metà dai anni Tren- 203, A33; 302, fig. 153.
ta del Seicento, e dunque si innesta sulla svolta neoveneta di Ribera, ma sembra di ca- 27
Cf. ad esempio il Mosè che fa scaturire l’ac-
pire che a Vaccaro non interessassero tanto le ricerche dello Spagnolo sul colore, qua dalla rupe di Pacecco de Rosa in collezio-
ne privata, che chi scrive ha segnalato a Pacelli
quanto quelle sul montaggio delle figure in scene di martirio e di supplizio, nelle qua- et al. 2008: 303-304, n. 34; tav. 34. Pacelli pone
giustamente questo dipinto in rapporto con
li quest’ultimo era il dominatore assoluto. Con tutta la cautela necessaria a discutere un’altra versione del tema data dallo stesso
Vaccaro, che per molti aspetti è quasi specula-
un dipinto che non ho visto, e che conosco solo da una foto in bianco e nero, penso re a quella di Pacecco (cf. Pacelli et. al 2008: 58;
che il primo esempio reperibile di queste inclinazioni sia questo Martirio di San Bar- 60, fig. 61), ma a giudicare dalla foto l’opera di
Vaccaro è molto più tarda di quella qui in di-
tolomeo in ubicazione ignota (fig. 45). È un’opera impensabile senza aver avuto da- scussione (forse verso il 1650?), il che pone
problemi di datazione anche per il quadro di
vanti agli occhi il famoso Martirio di San Filippo di Ribera a Madrid, Prado (1639) Pacecco, datato da M. di Mauro in Pacelli et al.
(fig. 46)28. Ma proprio nel senso dell’omaggio (che prevede poi anche l’apposizione 2008: 303 “alla fine degli anni ’30 o agli inizi
degli anni ‘40”.
di caratteri riconoscibilmente propri nell’ambito di una citazione) si spiegano detta- 28
Cf. Spinosa 2003: 317, A222.
gli come la potente figura in controluce a sinistra – quanto importante per il Caval- 29
Cf. A. Tzeutschler Lurie in Mostra Cleve-
lino del Muzio Scevola del Kimbell Art Museum di Fort Worth29 – e quella a destra, land-Fort Worth-Napoli 1985: 169-172, A.48.

64
Fig. 45 – Andrea Vaccaro, Martirio di
San Bartolomeo, ubicazione ignota.

Fig. 46 – Jusepe de Ribera, Martirio


di San Filippo, Madrid, Museo del
Prado.

china a tirare la fune, ricordo caravaggesco e variante della figura del David giovani-
le in collezione privata (fig. 86). Per questo genere di dipinti Vaccaro non dimenti-
cherà mai gli esempi di Ribera: il Martirio di San Bartolomeo di Opočno, opera for-
se della metà degli anni Quaranta, non fa eccezione (fig. 47)30, e lo stesso può dirsi
anche del Martirio di San Lorenzo a Sant’Agata dei Goti, Cattedrale, forse lievemen-
te più antico (fig. 48)31.
Nel 1992 mi sono imbattuto in una versione più articolata nella composizione, che
conosco solo attraverso vecchie foto virate ritrovate per caso in una collezione pri-
vata (fig. 49)32. In questo dipinto è ribadita la disposizione in diagonale della figura
del santo, come nel quadro di Opočno, e due splendide figure di soldati a cavallo in
controluce fanno da quinta ad una scena segnata da tre possenti nudi d’Accademia,
dello stesso impegno formale di quelli poi dispiegati nel Sant’Ugo costruisce
l’Abbazia di Lincoln a Napoli, Certosa di San Martino (1652) (fig. 50)33. La figura del
sacerdote pagano, che impone a San Lorenzo di adorare l’idolo, è frutto di un dise-
gno impiegato anche per il Giuseppe d’Arimatea nella Deposizione a Napoli, Pio
Monte della Misericordia (fig. 51). E, sempre a giudicare dalla foto, i tre grandi basa-
30 Cf. L. Daniel in Mostra Praga 1995: 124-126,

A 40, che nota come in quest’opera “s’intuisca


menti di colonna che chiudono a destra la composizione sono segnali del neoveneti-
l’ammirazione per Ribera”. Non concordo pe- smo che, da una posizione diversificata ma affine, interesserà anche Stanzione in
rò con la datazione “alla fine degli anni qua-
ranta o alla prima metà degli anni Cinquanta”, questi stessi anni.
basata su confronti poco attendibili “con ope-
re tarde di Cavallino o quelle giovanili di
Altro punto importante della traiettoria di Vaccaro è quello del rapporto con Bernar-
Giordano”. do Cavallino. Un rapporto innanzitutto fatto di affetto: Vaccaro, secondo Bernardo
31 Cf. V. Pacelli in Pacelli 1997: 22-23. de’ Dominici, “non poco amava, ed ammirava la virtù” di Cavallino, e lo considera-
32 Sul retro della foto che qui pubblico c’è solo
l’indicazione a matita delle misure, cm. 126 x
va “qual figliuolo”34, e secondo il biografo napoletano avrebbe avuto un ruolo im-
151. portante nell’indirizzare la carriera del suo più giovane collega. Ma i testi figurativi
33 Cf. Causa 2007: 206-208, per dati e note sul-
che ci restano provano che di fronte ad un genio come Cavallino anche per Vaccaro
la fortuna critica dei dipinti di Vaccaro nella
Cappella di Sant’Ugo. si può parlare più di scambi – in un dare ed avere fatto di dinamiche sottili, sulle qua-
34 Cf. de’ Dominici 1742-44, III: 36. li si vorrebbe sapere di più – che di influenza del pittore più anziano sul più giovane.

65
Fig. 47 – Andrea Vaccaro, Il martirio
di San Bartolomeo, Opočno, Castello.

Fig. 48 – Andrea Vaccaro, Martirio di


San Lorenzo, Sant’Agata dei Goti,
Cattedrale, transetto destro.

66
Fig. 49 – Andrea Vaccaro, Il martirio
di San Lorenzo, ubicazione ignota.

Fig. 50 – Andrea Vaccaro, Sant’Ugo


costruisce l’Abbazia di Lincoln, Na-
poli, Certosa di San Martino, Cap-
pella di Sant’Ugo.

67
Fig. 51 – Andrea Vaccaro, Deposizione, Napoli, Pio Monte della Misericordia.

68
35 Cf. R. Lattuada in Napoli 1984: 52-55. Nel 1984, catalogando questa Maddalena penitente della collezione del Banco di Na-
36 Cf. N. Spinosa in Mostra Cleveland-Fort poli (fig. 52)35, ipotizzavo che l’autore potesse essere “un intelligente pittore, in gra-
Worth-Napoli 1985: 201, B.23, il quale accon-
discendeva ad affermare che “il riferimento al do di penetrare la poetica di Cavallino, eppure capace di lasciare un suo segno in que-
Vaccaro in una fase di marcata sperimentazio-
ne dei modi cavalliniani, voltati in soluzioni di
sta esercitazione nella sua maniera”, e postulavo una attribuzione ad Andrea Vaccaro,
una sentimentalità corsiva e popolare e in im- poi accettata anche da Nicola Spinosa36. In realtà già nel 1982 Michele D’Elia aveva se-
magini di devozionalità quotidiana sembre-
rebbe il solo degno di qualche credito”. gnalato una versione di bottega del dipinto del Banco di Napoli collocandola “in orbi-
37
Cf. M. D’Elia in La Puglia tra Barocco e ta cavalliniana”37. Ma solo nel 1993, in un’asta della Christie’s a Londra, apparve l’ori-
Rococò 1982: 191; 195. ginale di Cavallino (fig. 53)38. È un’opera potente, che marca una distanza notevole da
38 Cf. Christie’s Londra, 10-XII-1993, lotto
Vaccaro in termini emozionali ed anche esecutivi, ma che può ben essere l’apertura di
89. Il dipinto misura cm. 55 x 45.
39 La più completa antologia di giudizi critici
un discorso sui rapporti fra i due pittori. Non è soltanto la grazia di Cavallino a passa-
sull’arte di Cavallino è sicuramente quella ora re in molte opere di Vaccaro a partire dalla fine degli anni Trenta; è un comune sentire
prodotta da Causa 2007: 109-116, che nella re- rispetto a molti dei temi attuali sulla scena artistica napoletana del periodo.
gistrazione puntigliosa e anche sarcastica del-
l’iterarsi di giudizi sul pittore estatici, spesso Vaccaro, artista ormai navigato nell’impiego delle sue risorse operative e formali, de-
retorici, ne riflette – una volta tanto per un ca-
so napoletano – la immensa statura, e indica
ve aver indicato a Cavallino disegni, opere, punti nodali per la sua formazione. Ca-
anche il fatto che le sue opere toccano una cor- vallino deve aver tradotto questi insegnamenti in interpretazioni a loro volta basate
da della sensibilità moderna che andrebbe an-
che approfondita. Con gli occhiali di Stefano sulla strategia della variatio, immettendo nelle sue opere la sua ben nota inclinazio-
Causa si può identificare una retorica ad hoc ne a rendere empatici, vivi, umani i rapporti tra i protagonisti dei suoi racconti per
per Giotto, Botticelli, Raffaello, Michelangelo,
e – negli ultimi ottanta o cent’anni – anche per immagini39. Il suo stupefacente Riposo durante la Fuga in Egitto già nel 1996 ad An-
Caravaggio, con punte nell’ultimo dopoguerra
talvolta anche più irritanti di quelle che Causa
versa presso Amberes, l’anno dopo a New York presso Sotheby’s (fig. 54)40, non è al-
registra per Cavallino. tro che una altissima rielaborazione della Fuga in Egitto e della Madonna con Bam-
40 Cf. Amberes Anversa, 21-IV-1996, lotto 86,
bino di Vaccaro qui più sopra discusse (figg. 39-40). Al tempo stesso, volendo usci-
attribuita a Scuola italiana del Seicento. Il di-
pinto è stato riprodotto con la corretta attribu- re per una volta dal malvezzo di pubblicare opere di tale importanza affidandone
zione a Cavallino (già da tempo circolata) da l’interpretazione alla riproduzione e a poche righe (sempre le stesse)41, va notato che
Spinosa (1994-95) 1996: 251 poco prima del
suo passaggio presso Sotheby’s New York, 30- il San Giuseppe che coglie datteri per la moglie e il figlio da una palma la cui frasca
I-1997, lotto 70.
si piega miracolosamente – su richiesta del piccolo Gesù – sotto la sua trazione, ha
41 Cf. Spinosa (1994-95) 1996: 251, che riesce ad

applicare anche a questo dipinto la sua arcicon-


antecedenti colti: il racconto di questo episodio è nel Vangelo apocrifo dello Pseu-
sunta etichetta della “raffinata eleganza compo- do-Matteo42, e il tema è trattato in due famosissime opere del Correggio, il Riposo
sitiva, di ricercata grazia formale, di più intima
ed estenuata resa sentimentale, anche per l’uso di durante la fuga in Egitto a Firenze, Uffizi, e la Madonna della scodella a Parma, Gal-
materie cromatiche sempre più rischiarate e pre- leria. Da quest’ultima Francesco Brizio trasse un’incisione (eseguita entro il 1623)
ziose”, etc., indistintamente impiegata nei suoi
scritti per pressoché tutte le opere della maturi- che dové fornire lo spunto narrativo a Cavallino (fig. 56). Ma quest’ultimo non si
tà di Cavallino e anche di molti altri pittori na- privò della possibilità di una tenera variante personale: Maria, che aveva espresso il
poletani e non.
42 I Vangeli apocrifi 1969 (1990): 85-86.
desiderio di mangiare i datteri che pendevano troppo in alto dalla palma, ha già da-
43Cf. E. D’Amico Mostra Palermo 1990: 160-
to il primo grappolo dei frutti al figlio, mentre Giuseppe si protende verso l’alto a
163, II.2. raccoglierne un altro per la moglie. Quanto rilevato su questo dipinto – che dal pun-
44 Cf. Di Domenico 2003 per un recente riesame
to di vista iconografico non mi riesce di confrontare con altri esempi napoletani ma
dei rapporti tra Vaccaro e Cavallino. In questo
contributo è discussa la importante Sant’Agata trova invece un parallelo preciso in un’opera di Pietro Novelli (fig. 55)43 – ci parla di
già presso Finarte nel 2001, proveniente dalla un ambiente artistico napoletano colto, smaliziato nell’uso delle fonti testuali, atten-
collezione Gualtieri – De Biase di Napoli, data-
ta dall’autrice verso il 1630 in base ad una “do- to a cogliere l’importanza di una tradizione cinquecentesca anche molto lontana dal
minante caravaggesca”, che “suggerisce per
l’opera una datazione alta, a cavallo tra il terzo e proprio territorio; in grado di perseguire interpretazioni originali di questa tradizio-
il quarto decennio del secolo” (p. 129). A mio ne, e sensibile alle riscoperte che l’area post-carraccesca romano-bolognese andava
avviso la datazione è forse più tarda per gli ele-
menti ispirati a Stanzione e a Cavallino, per la operando in parallelo ai grandi cantieri gestiti da Domenichino e Lanfranco tra Ro-
gamma cromatica ribassata e per il ductus pitto-
rico sciolto, quasi ottocentesco delle mani e del- ma e Napoli.
l’incarnato. Va poi segnalato che la Sant’Agata a Non è questa la sede – se non per esempi – di esplorare ancor più a fondo la relazio-
Londra, collezione privata, già pubblicata dal
Bologna nel 1991 e ridiscussa dalla Di Domeni- ne tra Vaccaro e Cavallino44, che peraltro porterebbe a qualificare l’evoluzione di

69
Fig. 52 – Andrea Vaccaro, Maddalena penitente, Napoli, colle- Fig. 53 – Bernardo Cavallino, Maddalena penitente, già
zione del Banco di Napoli. Londra, Christie’s.

Fig. 54 – Bernardo Cavallino, Riposo durante la Fig. 55 – Pietro Novelli, il Monrealese, Fuga in Fig. 56 – Francesco Brizio La Ma-
Fuga in Egitto, già Anversa, Amberes, poi New Egitto, frammento di affresco, Santa Flavia donna della scodella, incisione da
York, Sotheby’s. (Palermo), Villa Valdina, Cappella di famiglia. Correggio (entro il 1623).

70
co (che segue la datazione proposta dal Bologna quest’ultimo meglio di quanto non sia stato fatto fin’ora, ma qualche altro esempio
a circa il 1630), consente di attribuire definitiva-
mente a Vaccaro – qui, forse, davvero verso il aiuta a comprendere il ruolo sostenuto da Vaccaro in questo rapporto.
1636, anno della Maddalena nella Cappella
omonima nella Certosa di San Martino, la note- La ormai nota collaborazione tra i due pittori per i due piccoli rami, Muzio Scevola
vole Santa Barbara nel Quarto del Priore della davanti a Re Porsenna di Cavallino a Fort Worth, Kimbell Art Museum, e La predi-
Certosa, attribuita a Ignoto del XVII da L. Ar-
bace in Il Quarto del Priore 1986: 93, n. 56. La ca di Giona a Ninive di Vaccaro in collezione privata (fig. 57)45, è la sola prova del so-
Arbace riporta una attribuzione di Teodoro Fit-
tipaldi a Niccolò de Simone, da lei non condivi- dalizio tra Vaccaro e Cavallino, ma è quanto basta per farci comprendere che la sin-
sa, e giustamente prospetta in chiave dubitativa
la possibilità che il dipinto sia di mano di Vacca-
tonia tra i due pittori fu fortissima. Sia pure all’interno di una composizione a lui pro-
ro. A mio avviso tale dubbio va definitivamente pria, Vaccaro mostra grande abilità nel piccolo formato su rame e una ricezione dei
sciolto in favore di Vaccaro.
45
modi di Cavallino nel Trionfo di David già a Londra presso Sotheby’s (fig. 58)46. E
Cf. A. Tzeutschler Lurie in Mostra Cleve-
land-Fort Worth-Napoli 1985: 169-172, per una la matrice riconducibile a Stanzione della Visitazione, già a Londra presso Sotheby’s
ipotesi di datazione dei due rami a dopo il 1647-
48, e per la credibile supposizione di un loro col- (fig. 59) – è effettivamente il frutto di un dialogo con Cavallino, ma non tanto nel
legamento seriale con la Cacciata di Eliodoro dal
tempio di Cavallino a Malibu, The J.P. Getty
segno di Guido Reni, come è stato recentemente affermato47, quanto nel senso di
Museum. una adesione alle formule di Massimo che vede in Vaccaro il capofila indiscusso, e
46 Cf. Sotheby’s Londra, 19-IV-1967, lotto 59,
in Cavallino un interprete talmente geniale da fornire spunti importanti al suo più
su rame, di cm. 68,2 x 88,2. Il dipinto è citato
senza né dati né provenienza da Causa 2007: anziano compagno di strada (a questa vicenda, di cui posso scrivere solo per accen-
137, fig. 68.
ni in altre parti di questo contributo, continuo a vedere del tutto estraneo Antonio
47 Cf. Sotheby’s Londra, 20-IV-1988, lotto XX,

e prima ancora Christie’s Londra 24-IV-1991, de Bellis, notoriamente prossimo a Cavallino, ma che a mio avviso non ebbe alcun
lotto 94. L’opera misura cm. 100,5 di diamentro. influsso su Vaccaro)48.
De Vito 1994-95: 89; 78, fig. 12. De Vito riferisce
di conoscere il dipinto da una foto della Fonda- In casi per il momento da considerare rari Vaccaro immette anche in dipinti a figura
zione Roberto Longhi e lo inserisce corretta-
mente in una fase di riscoperta di Reni che singola qualcosa delle non tantissime figure di santi e Apostoli di medio formato pro-
avrebbe riguardato Vaccaro e Cavallino “all’in- dotte da Cavallino: questo intenso San Paolo Apostolo recentemente a Roma presso
circa nell’ultimo lustro degli anni trenta” [del
Seicento]. Tale riscoperta sarebbe stata compiu- la Bloomsbury (fig. 60)49, è una silloge di mezze figure di Cavallino come il San Pie-
ta per opera di Stanzione. Forse le date di questa
evoluzione vanno anticipate, per dirla con De tro en pendant con il San Paolo a Londra, Spatford Establishment, o come il San Bar-
Vito, al primo dei due lustri del quarto decennio,
come emerge da numerose opere di Stanzione
tolomeo riapparso a New York presso Sotheby’s nel 200550. L’intensa ispirazione del-
del periodo, anche perché è ben noto che que- lo sguardo del santo e i vigorosi contrasti chiaroscurali sulla figura porterebbero ad
st’ultimo lavorava a Roma già tra la fine del se-
condo e gli inizi del secondo decennio del Sei- una datazione verso il 1635-40, forse rafforzata anche dall’espediente, non comunis-
cento, e dunque ebbe modo di conoscere le ope-
re di Guido ben prima di poter studiare i “circa simo in Vaccaro, di rifinire i contorni delle mani e alcune parti del volto mediante sot-
sessanta pezzi di mano di Guido, la maggior tili tocchi di lacca di garanza. Vagamente alla Cavallino – ma nettamente alla Vacca-
parte però di mezze figure”, che secondo de’
Dominici egli avrebbe consigliato ad Andrea ro – è il profilo delicato della bocca incorniciata dalla grande barba, e anche per que-
Vaccaro di copiare.
48
sto importante dipinto bisognerà evocare una sintonia con il mondo genovese per la
Cf. Causa 2007: 83-88, 90-108 e passim per
estesi interventi su de Bellis in vari contesti, an- scelta delle intonazioni cromatiche.
che in rapporto a Vaccaro, col quale a mio avvi-
so possono sussistere solo labili legami rappre- Sempre de’ Dominici racconta della suggestione esercitata su Cavallino dal Banchet-
sentati dalla comune attenzione per Stanzione.
Non posso qui dilungarmi su questo contribu-
to di Erode di Peter Paul Rubens, giunto a Napoli verso il 1640 nella collezione di
to, ma rilevo almeno che: 1. Il San Francesco e il Gaspare Roomer51, ma in verità non si avverte quasi l’influenza di quest’opera sul-
Cristo a Parigi, Saint Nicholas de Chardonnet,
restituito da Causa a de Bellis “senza indugi”, l’ambiente napoletano fino a Luca Giordano e Mattia Preti, e meno che mai in Vac-
dopo una visione diretta mi sembra un’opera
francese degli anni Cinquanta del Seicento, di caro. La sontuosa maniera di Rubens avrà colpito i Napoletani per il lusso della sua
vaghe ascendenze alla Vouet – Le Sueur, e tale tavolozza e per la forza nella rappresentazione degli affetti, ma solo Giordano avreb-
parere è condiviso anche da altri colleghi france-
si; mi sembra si tratti di un dipinto che non ha be saputo trarre le estreme conseguenze da questi raggiungimenti. Il punto, però, è
rapporti con la pittura napoletana del periodo. 2.
Ho dubbi sulla piena autografia di Cavallino per nella potente immissione di stilemi neoveneti nell’ambiente artistico napoletano52, e
la Sant’Agata in ubicazione ignota, che sarebbe
il prototipo della versione della collezione del tale tendenza – alla quale certamente si giunse per più vie – interessa Andrea Vacca-
Banco di Santo Spirito, già attribuita a de Bellis ro, che mostra sintomi di un suo assorbimento, ma sempre secondo modalità pro-
– secondo me giustamente – e della quale ho
pubblicato anni fa un’altra versione in condizio- prie, altamente individualizzate.
ni conservative non perfette a Matera, Pinacote-
ca D’Errico (cf. Lattuada 1999: 16-17, anche per Tra quarto e quinto decennio la tavolozza di Vaccaro consegue nuovi timbri proprio

71
i riferimenti alla versione del Banco di Santo Spi-
rito). Penso che quando questo quadro riemer-
gerà – in foto mostra durezze incompatibili con
Cavallino – potremo farcene un’idea migliore. 3.
Evidentemente de Bellis è un punto caldo del di-
battito attuale sul Seicento napoletano, e ne va
preso atto. Nonostante i raffronti e gli argomen-
ti da me portati per smentire l’attribuzione del
Bologna a questo pittore del potente Giacobbe
contempla la tunica insanguinata del figlio Giu-
seppe a Matera, Pinacoteca D’Errico, in favore di
Dirk van Baburen o di un pittore a lui affine (cf.
F. Bologna in Mostra Napoli 1991: 164; 150, fig.
158; Lattuada 1999: 12-15), Causa 2007: 93-94,
ha rilanciato l’idea di de Bellis evocando anche
rapporti con Aniello Falcone (in tal caso, allora,
quello della Maestra di Scuola ora a Capodi-
monte, e solo per la figura alla estrema destra
dell’opera; in verità un po’ poco) e – seguendo il
Bologna – con “una composizione Velazquezia-
na” (ma quale? Certo non quella della nota ope-
ra omonima di Velázquez a El Escorial, con la
quale quella di Matera ha in comune solo il sog-
getto). Dunque devo ripetermi: il trattamento
del colore e la composizione di questo dipinto
non trovano riscontro in niente di ciò che cono-
sciamo di de Bellis. De Bellis non è un maestro
di difficilissima riconoscibilità: nel 1985, in uno
sfortunato convegno a margine della mostra Ci-
viltà del Seicento a Napoli, i cui atti non sono
stati mai pubblicati, ho attribuito a questo pitto-
re la Immacolata della Fondazione Longhi, che
aveva a lungo oscillato fra Stanzione, Cavallino
ed altri maestri napoletani nei cataloghi della
Fondazione. Non so se sia un caso che poi altri
abbiano accolto (scrivendone come un’acquisi-
Fig. 57 – Andrea Vaccaro, La predica di Giona a Ninive, collezione privata. zione conseguita per vie indipendenti) tale attri-
buzione, che era fondata su un confronto con il
dipinto omonimo di de Bellis a Napoli, San Car-
lo alle Mortelle (cf. Leone Castris 1991: 49-50;
fig. 59). 4. Sempre nel convegno del 1985 ho
ascritto a Pacecco de Rosa un piccolo rame di al-
to impegno formale, il Sansone e Dalila in colle-
zione privata, già attribuito a de Bellis (cf. N.
Spinosa in Mostra Cleveland-Fort Worth-Na-
poli 1985: 180, B.5. Ho poi comunicato tale at-
tribuzione in Lattuada 1991), che ho segnalato a
Vincenzo Pacelli, il quale ha invece riconferma-
to l’attribuzione a de Bellis nella sua monografia
su Pacecco (cf. V. Pacelli in Pacelli et al. 2008:
155; 161 fig. 173). Il guerriero con elmo alla
estrema sinistra del dipinto, la lavorazione del
broccato del tendaggio sullo sfondo, e anche la
stessa figura abbigliata con stoffe dagli squillan-
ti toni rossi e blu sono tipici di Pacecco de Rosa.
La sola parte effettivamente vicina a de Bellis è
nel gruppo di Sansone e Dalila, che però è co-
stantemente replicato in opere di Domenico
Fiasella e di altri artisti napoletani e non del pe-
riodo. Ritengo perciò vada mantenuta l’attribu-
zione a de Bellis. 5. Il tema dei rapporti tra de
Bellis e Cavallino trae linfa dal crescere di inte-
resse per il primo dei due pittori. Anni fa ho
pubblicato, attribuendolo a Cavallino, un po-
tente San Filippo Apostolo in collezione privata
(cf. Lattuada 1988). Alla lunga scheda che dedi-
cai al dipinto grazie alla stima e all’affetto di
Oreste Ferrari, mai abbastanza compianto, Spi-
nosa 1990: 56, n. 2, contrappose una sbrigativa
attribuzione a de Bellis “negli anni della maturi-
tà, verso il ‘50”. Avevo mostrato personalmente
il dipinto a Spinosa prima della pubblicazione,
ed egli aveva concordato sull’attribuzione a Ca-
vallino salvo poi cambiare idea nei termini che
Fig. 58 – Andrea Vaccaro, Trionfo di David, già Londra, Sotheby’s. ho descritto: cose che capitano. In seguito F. Bo-

72
logna in mostra Napoli 1991: 164; 151, fig. 159,
reiterava l’ascrizione del dipinto a de Bellis, de-
finendolo un San Giuseppe e omettendo di ri-
portare la discussione precedente. Dopo la mia
pubblicazione il dipinto è stato restaurato, e cre-
do che la sua visione diretta sia sufficiente a do-
ver ribadire che l’opera è proprio di Bernardo
Cavallino. 6. Ancora per de Bellis e Cavallino:
concordo con Causa 2007: 132, sul fatto che il
San Giacomo Maggiore a Palermo, Galleria re-
gionale di Sicilia – già ascritto a Bernardo Stroz-
zi (cf. P. Boccardo in Mostra Palermo 1999: 212-
213, n. 22) – vada riportato a Napoli, ma non at-
tribuendolo a Cavallino (mirando peraltro mol-
to vicino al bersaglio), quanto proprio a de Bel-
lis. La fattura un po’ più grezza degli abiti del
santo; il suo volto ovato e – come sempre in de
Bellis – più irregolare e popolaresco che in Ca-
vallino; le forme in generale più vibranti della
mano aperta sul petto – tanto simile nel disegno
a quella del San Filippo Apostolo qui più sopra
discusso, e invece tanto diversa nella risoluzione
pittorica – nonché il formato piuttosto cospi-
cuo, molto più raro in Cavallino, mi rendono
certo che l’autore di questo intenso dipinto sia
proprio de Bellis. 6. Stesso discorso vale per il vi-
goroso San Giovanni Evangelista già a New
York Sotheby’s, 25-I-2001, lotto 145, ‘Attribu-
ted to Bernardo Cavallino’, che visto da vicino è
uno dei maggiori raggiungimenti di de Bellis,
veramente a poca distanza di qualità e impegno
formale del suo modello di riferimento.
49 Cf. Bloomsbury Roma, 20-XI-2008, lotto
113, attribuito al Maestro di Fontanarosa in
base ad una perizia di Franco Moro, in cui si
rilevavano nell’opera rapporti con opere gio-
vanili di Stanzione. L’opera, forse in origine
concepita come un ovale o come un ottagono,
presentava una sagoma ovale dipinta che, pur
non inficiandone la leggibilità, appariva ese-
guita in epoca successiva alle stesure originali.
Misure attuali cm. 106 x 77.
50 Cf. Sotheby’s New York, 26-I-2005, lotto

152. Per tutti e tre i dipinti di Cavallino cf. A.


Percy in Mostra Cleveland-Fort Worth-Na-
poli 1985: 120-122, A.21-22; A.21-22c.
51
Cf. de’ Dominici 1742-44, III: 35. Per una
scheda sul dipinto in rapporto all’ambiente na-
poletano cf. C. Whitfield in Mostra Londra Fig. 59 – Andrea Vaccaro, Visitazione, già LondraChristie’s, poi Londra, Sotheby’s.
1982: 239-240, n. 138.
52 Chi ha posto per la prima volta il problema

del neovenetismo a Napoli è stato indiscutibil-


mente Bologna 1952, che ha parlato, “già prima
del 1635”, di “un dissolvimento dell’ascenden-
te caravaggesco” e di una “crisi di pittorici-
smo” dell’ambiente napoletano, sfociata in “ra- per l’espandersi dell’influsso neoveneto in tutto l’ambiente napoletano. Un fattore di
rità pittoriche vandyckiane” (p. 52). Ma cf. questa espansione fu la maturazione di più che una semplice sintonia con l’ambiente
Prohaska 1994-95 (1996): 210-222, per una tesi
apparentemente opposta a quella di Bologna. artistico genovese. Gioacchino Assereto, Giovan Bernardo Carbone, Giovanni Bat-
Per Prohaska Ribera non ebbe bisogno di ve-
dere opere di Van Dick, peraltro presumibil- tista Carlone, Orazio de Ferrari53, Domenico Fiasella, soprattutto Giovanni Bene-
mente rare a Napoli, e piuttosto scelse una sua detto Castiglione, detto il Grechetto, mostrano nel loro specifico pittorico inclina-
via all’innesto di una tavolozza neoveneta sul
suo realismo di base. Ma in definitiva lo studio- zioni parallele a quelle di Stanzione, Vaccaro e dello stesso Cavallino in una triango-
so concorda sul fatto che tendenze neovenete,
peraltro registrate su pressoché tutto il territo- lazione che è difficile ritenere casuale con la traiettoria del grande genio siciliano, e
rio artistico italiano del periodo, furono attive
a Napoli attraverso il contatto dei pittori locali
direi italiano del periodo, Pietro Novelli, il Monrealese.
con le grandi collezioni romane e anche napo- Alle radici di questi rapporti, perlopiù ancora irrisolto, resta il problema del viaggio
letane. Credo che tutti questi contributi an-
dranno in futuro articolati approfondendo il italiano di Anton Van Dyck e della sua influenza – vigorosamente sostenuta, o

73
Fig. 60 – Andrea Vaccaro, San Paolo
Apostolo, già Roma, Bloomsbury.

74
respinta con altrettanta energia – sui centri artistici nei quali lasciò sue opere, sostan-
zialmente Genova e Palermo, e forse anche Napoli54. Rubens e Van Dyck sono sul-
lo sfondo di tali vicende, ma non si può del tutto escludere qualche sacca di attenzio-
problema della diffusione delle stampe, su cui
le nostre conoscenze per l’ambiente napoleta- ne nei confronti di Rembrandt (più attraverso le stampe che vedendo i suoi dipinti; e
no sono al momento quasi a zero. Ma per ulte-
riori osservazioni sul punto cf. qui più oltre. ora possediamo nuovi riscontri, relativi però ad un momento più tardo di quello di
53
Cf. M.G. Paolini in Mostra Palermo 1990: cui ci occupiamo qui)55. La questione è estremamente complessa, e – senza poterla
62-63, che pone il problema di un soggiorno qui ripercorrere passo per passo – occorre qui parlarne almeno per quanto attiene a
napoletano di Orazio de Ferrari tra il 1624 e il
1628. Tale ipotesi è accettata con cautela da Vaccaro56.
Donati 1997: 10-11.
54
Il rapporto tra Novelli, Ribera e altri pittori napoletani ricorre di frequente negli in-
Cf. V. Abbate in Mostra Milano 2004: 79-81,
che attraverso una acuta lettura dei documenti terventi su Vaccaro a partire da alcune note e restituzioni del Bologna, già nel 195857.
relativi alla commissione della Madonna del Ro- È a tutt’oggi impossibile disporre di date e opere per il soggiorno napoletano del
sario di Van Dyck per l’Oratorio del Rosario in
San Domenico a Palermo (pubblicati da G. Monrealese, e non ostante la mancanza di dati documentari “della sua sosta a Napo-
Mendola in Mostra Palermo 1999: 93-104) ri-
propone autorevolmente la questione di una so- li in questa congiuntura [cioè dal 1631 al 1632] non è dubbio alcuno, come le opere
sta del pittore a Napoli tra il 1625 e il 1626 – dai
documenti emerge che tale sosta era stata chiara-
rivelano”58. In un sistema di scambi difficili da circoscrivere, Novelli interagisce con
mente programmata – e in tale contesto conferi- Ribera e Stanzione, e proietta la sua straordinaria personalità sulle opere degli stessi
sce nuovo valore ad un passo di Giulio Cesare
Capaccio (1634) in cui si menzionano una Santa Vaccaro e Cavallino in un momento in cui Artemisia Gentileschi e lo stesso Matthias
Susanna e un San Sebastiano di Van Dyck nella
collezione di Gaspare Roomer.
Stomer erano operativi in città59. E va qui recuperato, in vista di un ulteriore riesame,
55 Cf. Magnani 2006, oltre alla nota vicenda del
quanto nel 1984 scriveva Flavia Petrelli a proposito di copie di Vaccaro da opere di
dipinto per la collezione di Don Antonio Ruf- Van Dyck60.
fo a Messina.
Se è vero, come è vero, che la più importante opera pubblica di Van Dyck in ambito
56 Cf. l’Incontro di Rebecca e Isacco al pozzo a

Madrid, Prado, per un esempio dell’impiego di meridionale resta la stupenda Madonna del Rosario a Palermo, Oratorio del Rosario
una tavolozza che mostra una vicinanza vera- in San Domenico (fig. 61)61, è forse possibile vedere una lata eco di questa pala nel
mente impressionante con quella dei pittori
genovesi qui chiamati in causa (cf. A.E. Pérez montaggio di due opere tarde di Vaccaro, lo Sposalizio mistico di Santa Caterina da
Sánchez in Mostra Madrid 1985: 332-333, n.
147). Siena e la Santa Caterina da Siena riceve le stimmate a Napoli, Santa Maria della Sa-
57 Cf. Bologna 1958: 19-20; 33-34. nità, del 1659 (figg. 62-63)62. Nel primo dei due dipinti la figura di Santa Caterina tor-
58 Cf. M.G. Paolini in Mostra Palermo 1990: 60. reggia con un allungamento atipico a Napoli per questo genere di opere, e la compo-
59
Cf. F. Petrelli in Mostra Napoli 1984, I: 162- sizione è nettamente divisa in due piani (certo sì, all’italiana, ma proprio come nella
163 per una importante biografia di Novelli in pala di Van Dyck a Palermo). Nel secondo – che avrà un’influenza non passeggera
rapporto ai fatti napoletani.
60
sulle posteriori invenzioni di Francesco Solimena – giganteggia il San Paolo Aposto-
Cf. F. Petrelli in Mostra Napoli 1984, I: 163.
Non sono riuscito a trovare la fonte di questa lo che fa da quinta a destra della composizione63.
affermazione, che sarebbe interessante rintrac-
ciare, ma che riporterebbe un fatto del tutto
Sono, queste soluzioni, il frutto di uno studio su disegni della pala di Van Dyck a Pa-
naturale considerando le attitudini di Vaccaro. lermo? Sono – il che è egualmente plausibile – memorie della identica maniera con
61
Cf. G. Mendola in Mostra Palermo 1999: 93- cui Rubens aveva impaginato la sua famosa pala all’altare maggiore della Chiesa
104; V. Abbate in Mostra Milano 2004: 78-81.
62 Cf. Spinosa – Ciavolino 1981: 64-66, per una
Nuova a Roma (che peraltro è considerata il riferimento fondamentale per la stessa
datazione delle due opere tra il 1653 e il 1655. pala di Van Dyck)? Ancora: gioca sui dipinti di Santa Maria della Sanità la memoria
È stata poi Mimma Pasculli a pubblicare i do-
cumenti che fissano al 1659 l’ultimazione del-
di quanto aveva fatto nel campo delle pale d’altare lo stesso Monrealese, altissimo
le due grandi tele (cf. M. Pasculli in Pane 1983: mediatore fra invenzioni nordiche e pittura meridionale nella prima metà del Seicen-
252-253). Posso qui riprodurre solo due vec-
chie foto dei due dipinti, che da un recente so- to? Impossibile decidere per l’una o l’altra di queste ipotesi, e forse è più sensato por-
pralluogo in Santa Maria della Sanità vedo ora le su un piano paritario di spunti. Andrea Vaccaro è un pittore troppo sofisticato per
restaurati, ma lasciando ben visibili le lacune
accumulate nel tempo con grandi campi color non fondere qualunque riferimento in una formula propria, con un metodo che solo
ocra che praticamente ne distruggono la cor-
retta fruizione. ingenuamente è stato qualificato come eclettico. Nelle due pale di Santa Maria della
63 Per De Vito 1994-95: 101, “nella seconda te- Sanità, infatti, la tavolozza si smorza, e i bruni, gli indaco e i blu cupi mostrano una
la [cioè quella qui in discussione] sul lato de- sintonia, forse non casuale, anche con i timbri del Guercino maturo, a segno di una
stro compare una figura tipicamente giordane-
sca”, sul che è difficile convenire. inesausta capacità di rinnovamento, di una perenne curiosità nell’esplorare vie

75
Fig. 61 – Anton Van Dyck, Madonna del Rosario,
Palermo, Oratorio del Rosario in San Domenico.

Fig. 62 – Andrea Vaccaro, Lo sposalizio mistico di


Santa Caterina da Siena, Napoli, Santa Maria della
Sanità.

Fig. 63 – Andrea Vaccaro, Santa Caterina da Siena ri-


ceve le stimmate, Napoli, Santa Maria della Sanità.

76
nuove per composizioni che avrebbero vincolato alla ripetizione un pittore meno
aperto di Andrea Vaccaro alla sperimentazione, e meno abile di lui nel riversarla nel-
la sua inconfondibile maniera.
Certo, è difficile non vedere ancora l’ombra di Van Dyck nella Deposizione a Napo-
li, Pio Monte della Misericordia (fig. 51), opera probabilmente dei tardi anni Qua-
ranta o oltre. La posizione del Cristo e l’impianto della composizione sembrano va-
rianti del Compianto sul Cristo morto di Van Dyck già a Berlino, Kaiser-Friedrich
Museum (distrutto nell’ultima guerra), noto da copie e dalla stampa di Paulus
Pontius (fig. 64)64.
E ancora: il bellissimo Noli me tangere oggi nella Galleria Nazionale di Cosenza (fig.
65)65, che pure mi sembra pertinente alla produzione del quarto decennio, non è im-
mune da un’attenzione verso la Santa Rosalia davanti alla Santissima Trinità di Van
Dyck a Monaco, Alte Pinakothek, opera del 1624-25 (fig. 67)66. Grazie al ritrova-
mento di una stampa di notevole formato di Guglielmo Morghen (fig. 66), mi è ora
possibile accertarne la presenza, agli inizi nell’Ottocento, nella raccolta napoletana
dei Principi Caracciolo di Forino, che se non sbaglio era nel Palazzo di famiglia an-
cor oggi esistente a Via Medina, opera di Ferdinando Fuga67. Ai tempi di Gugliemo
Morghen il dipinto era attribuito a Ribera, il che quanto meno segnala la percezione
64 Cf. Larsen 1980, II: 98-99, n. 655.
degli elementi neoveneti in esso presenti. I lontani, famosissimi prototipi di Tiziano
65
Il dipinto è stato offerto a Londra, Sothe-
e Correggio sono travasati in una libera rielaborazione dall’esito pienamente napole-
by’s, 14-X-1998, lotto 56, con una attribuzio- tano, e la figura della Maddalena dev’essere stata cara a Vaccaro se la ritroviamo re-
ne a Pacecco de Rosa proposta da N. Spinosa.
Chi scive segnalò alla Sotheby’s che il dipinto plicata, come al solito con belle varianti, nella Maddalena già a Vienna, Dorotheum
è invece di Andrea Vaccaro, ma non so se di ta- (fig. 68)68.
le attribuzione sia stata data notizia al momen-
to dell’asta. Cf. W. Prohaska in Mostra Cosen-
za 2003: 64-65, n. 9, per una datazione del di-
pinto “forse già agli anni Quaranta”, contra-
riamente a quanto prospettato da De Vito
1994-95: 82; 76, fig. 11, che pone più credibil- I Genovesi: quali rapporti?
mente il dipinto in rapporto alla Maddalena
nella Cappella omonima della Certosa di San
Martino (1636).
66
Prima di passare al ruolo sostenuto dal classicismo nella traiettoria di Andrea Vacca-
Cf. Larsen 1980, I: 118, n. 453.
67 La stampa, che misura circa mm 500 x 350
ro, resta da dire qualcosa sul suo rapporto con i Genovesi. Abbiamo già fatto cenno,
nella parte incisa, reca la seguente dedica: “A e ancora parleremo della luce brunastra che caratterizza tante opere mature di Vac-
Sua Maestà Maria Carolina d’Austria Regina
delle due Sicilie / Protettrice delle Belle Arti”, caro, e l’abbiamo rapportata a Genovesi come Assereto, Giovan Bernardo Carbone,
con uno stemma borbonico in basso al centro. Giovanni Battista Carlone, Orazio de Ferrari, Fiasella, e soprattutto al Grechetto. È
A sinistra sotto il campo inciso: “Gius. Ribbe-
ra [sic] pinx”; a destra: “Guglielmo Morghen quest’ultimo che sembra aver fornito idee a Vaccaro per la intonazione generale di
sculp”. A sinistra sul bordo bianco in basso:
“Il quadro esiste presso S.E. il Princ. di Fori-
tanti suoi dipinti a partire dalla seconda metà del quarto decennio. Dopo un soggior-
no”; a destra: “Guglielmo Morghen D.D.D.”. no a Roma (1633-34), Castiglione è documentato a Napoli durante il Carnevale del
68 Cf. Vienna, Dorotheum, 16-X- 2007, lotto
1635, e dové trattenervisi, con altre probabili puntate a Roma, almeno fino al 1639,
11, attribuita a Vaccaro. Il dipinto misura cm.
77 x 68,1, ed è in precedenza passato a Londra, anno in cui è di nuovo a Genova69. Nei suoi anni napoletani Castiglione intrattiene
Sotheby’s, 27-IV- 2006, lotto 90. rapporti con Andrea de Lione, che per più versi diverrà un suo epigono70, e che col-
69
Cf. T. Standring in Mostra Genova 1990: 16-
17.
laborerà poi nel 1660-61 con Andrea Vaccaro per la traduzione su muro delle Storie
70 Cf. Andrea de Lione 2008 per una rassegna di San Gaetano per la Chiesa di San Paolo Maggiore a Napoli71. Le epidermidi sem-
recente sul pittore, con ampia bibliografia. pre più arrossate delle figure delle battaglie di Andrea de Lione a partire dalla metà
71 Cf. De Vito 1994-95: 101-124 per una rico-
del quarto decennio del secolo sono uno dei segni più evidenti della influenza di Ca-
struzione documentaria delle vicende del ciclo
di San Paolo Maggiore. stiglione su determinati settori della pittura napoletana.

77
Fig. 64 – Anton Van Dyck, Il
compianto sul Cristo morto,
già Berlino, Kaiser Friedrich
Museum (distrutto).

Fig. 65 – Andrea Vaccaro, No-


li me tangere, Cosenza, Galle-
ria Nazionale.

Fig. 66 – Guglielmo Morghen


da Andrea Vaccaro, Noli me
tangere, incisione.

Fig. 67 – Anton Van Dyck, La


Santissima Trinità appare a
Santa Rosalia, Monaco, Alte
Pinakothek.

78
Vaccaro, come sempre perfettamente in grado di comprendere le implicazioni di ogni
novità pittorica, reitera la sua scelta di luminosi fondali bruni per i suoi dipinti di am-
pio formato, e qui e là nella sua produzione si avvertono anche abili rielaborazioni
tratte dalle due serie di Grandi e Piccole teste all’orientale di Castiglione72, che sono
il caso più vistoso di interesse per Rembrandt nell’arte italiana del Seicento. Nasce
probabilmente così la splendida testa di vecchio alle spalle della Susanna e i Vecchio-
ni d’Avalos (fig. 83); è così che si spiega il tono così fortemente genovese delle figure
in secondo piano della Adorazione del vitello d’oro (fig. 82). Di certo, una sintesi par-
ticolarmente significativa di tale fase ci è fornita dall’Abramo e i tre Angeli in colle-
zione privata (fig. 69), un’opera datata dalla critica verso il 1635-40, e dunque tipica
della fase di maggior vicinanza con Monrealese73. Qui, quelli che ci sembrano essere
una tavolozza alla van Dyck e un chiarore alla Monrealese degli incarnati degli ange-
li, si situano in una dimensione imprescindibile anche da Castiglione e dagli altri Ge-
novesi.

Il classicismo

Gradualmente Vaccaro stabilizzerà formule proprie nell’ambito di quello che si po-


trebbe definire il classicismo napoletano-bolognese, e forse ancor più napoletano-ro-
mano. La Madonna con Bambino in ubicazione ignota, che era sul mercato nel 1999
(fig. 70)74, è una rielaborazione del dipinto omonimo di Stanzione a Napoli, Museo
Diocesano (fig. 71)75, e la Sacra Famiglia con San Giovannino, già a Roma presso
Christie’s nel 2001 (fig. 72)76 rappresenta una ulteriore variante dello stesso schema
compositivo. Sembra naturale istituire qui un rapporto con invenzioni di Simon Vo-
72 Cf. G. Dillon in Mostra Genova 1990: 209- uet del tipo della Madonna della Rosa (1638) (fig. 73)77, che tra il quarto e il quinto
224. decennio del Seicento non era più in Italia, ma presumibilmente continuava ad esse-
73
Cf. V. Pacelli in Mostra Napoli 1984, I: 489-
490, n. 2.266.
re seguito nell’ambiente napoletano soprattutto attraverso le stampe. A riprova del-
74
Non sono riuscito a rintracciare la prove-
la abilità di Vaccaro nel reimpiego dei suoi disegni, la composizione della Madonna
nienza di questo dipinto, che probabilmente fu con Bambino qui a fig. 70 ricompare nella Adorazione del vitello d’oro di Capodi-
presentato alla Christie’s nel 1999 ma che non
mi risulta sia poi passato in asta. monte, un dipinto probabilmente di poco più tardo e qui discusso più avanti (fig. 82).
75
Cf. Schütze-Willette 1992: 241-242, A.101; E specie nella Sacra famiglia con San Giovannino si avverte un ammorbidimento dei
387, fig. 339; e S. Causa in Il Museo Diocesano
di Napoli 2008: 116-117, n. 32, con altra bi- passaggi chiaroscurali e un impiego di colori neoveneti, che in qualche modo si pos-
bliografia precedente e altri confronti con ope- sono ricondurre alla percezione delle opere di van Dyck e dei pittori genovesi, di cui
re di Stanzione. Schütze-Willette 1992 datava-
no l’opera agli inizi degli anni Cinquanta del più sopra si è qui discusso.
Seicento, ma ad avviso di chi scrive è preferibi-
le una datazione agli inizi del decennio prece- I contrasti chiaroscurali si ammorbidiscono, ma non sempre: la Samaritana al pozzo
dente.
già presso Sotheby’s nel 1998 (fig. 74)78, che forse è anch’essa un’opera tra quarto e
76
Cf. Christie’s Roma, 22-V-2001, lotto 275. Il
dipinto misura cm. 128 x 94. quinto decennio, è un esempio di combinazione di maniere bolognesi, ritmo narra-
77 Cf. Mostra Roma 1991: 72. Preferisco qui ri- tivo pacato e basato sull’eloquentia e vigorosi chiaroscuri napoletani.
produrre la stampa di Claude Mellan, che è Credo che un sostanziale passo avanti nella ricerca dei riferimenti del classicismo di
tratta dal dipinto di Vouet a Marsiglia, Musée
des Beaux-Arts (cf. Mostra Roma 1991: 298- Andrea Vaccaro sia stato compiuto, sia pure per accenni, da Wolfgang Prohaska, e
299, n. 46).
78 Cf. Sotheby’s Londra, 9-VII-1998, lotto
più di recente, da Stefano Causa, i quali hanno prospettato un rapporto del pittore
325. napoletano con i modi di Giacinto Gimignani e quindi con il classicismo romano

79
Fig. 68 – Andrea Vaccaro, Maddalena, già Vienna, Doro- Fig. 69 – Andrea Vaccaro, Abramo e i tre Angeli, collezione pri-
theum, collezione Roberto Parenza. vata.

Fig. 70 – Andrea Vaccaro, Madonna con Bambino, ubicazio- Fig. 71 – Massimo Stanzione, Madonna con Bambino, Na-
ne ignota. poli, Museo Diocesano.

80
Fig. 72 – Andrea Vaccaro, Sacra Famiglia con San Gio-
vannino, già Roma, Christie’s.

Fig. 73 – Claude Mellan da Simon Vouet, Madonna


della Rosa, incisione (1638).

Fig. 74 – Andrea Vaccaro, La Samaritana al pozzo, già


Londra, Sotheby’s.

81
degli anni Trenta e Quaranta del Seicento79. Come è noto, questa tendenza mostra
una attenzione costante ma non dogmatica ai raggiungimenti di Raffaello, Annibale
Carracci e Domenichino; insiste su temi classici e di storia antica interpretati con una
chiarezza narrativa meno ermetica che in Poussin e meno articolata che in Pietro da
Cortona; ed è incline ad un classicismo più normativo che filologico. Ispirata soprat-
tutto dalle posizioni teoriche e di metodo artistico di Andrea Sacchi, questa tenden-
za segna il gruppo dei Cortoneschi – Andrea Camassei, Giacinto Gimignani, Giovan
Francesco Romanelli, Ciro Ferri, Lazzaro Baldi, Guillaume Courtois, detto il Bor-
gognone – che tentano di congiungere le invenzioni del maestro con il rigore e il ri-
chiamo all’antico di Poussin e dello stesso François Duquesnoy80.
Il cantiere in cui verificare questa tendenza è il Battistero di San Giovanni in Fonte
nella Basilica di San Giovanni in Laterano a Roma81. Dal 1640 al 1649 Andrea Sacchi
coordinò Andrea Camassei (fig. 75), Giacinto Gimignani (fig. 76), Carlo Magnoni e
Carlo Maratti (fig. 77) per cinque affreschi con Storie della vita dell’Imperatore Co-
stantino sulle pareti del Battistero del Laterano, eseguendo personalmente le otto
Storie della vita di San Giovanni Battista. Per usare le parole di Andrea Emiliani, in
questo fondamentale ciclo pittorico il classicismo romano di Sacchi porta al massimo 79
Cf. Prohaska in Mostra Cosenza 2003: 64, n.
compimento quei valori “di probità ideali, di decoro sublime, di ardore perfino fana- 9; Causa 2007: 15, 157, 184, 204-205, 235 n. 1.

tico per la moderazione del gesto pittorico”82. Credo che a contatto con questo tipo 80Cf. Fagiolo dell’Arco 2001. Per Gimignani,
oltre alle storiche aperture di Voss 1924 (1999):
di pittura Andrea Vaccaro abbia distillato la sua specifica via al classicismo. La Cac- 365-367, cf. i fondamentali contributi di Fi-
scher 1973 e Fischer Pace 1979-80, e anche il
ciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre già a Roma presso Christie’s (fig. 78)83 profilo dell’artista di A. Negro in Mostra Ro-
è un esempio perfetto di queste attitudini: le tre figure dalle anatomie accademiche ma 1997: 199-212, 400-403.
81
sono scandite secondo un ritmo paratattico nel paesaggio brullo ma insolitamente ar- Cf. la recente sintesi di C. Tempesta in Mo-
stra Nettuno 1999-2000: 52, con bibliografia
ticolato. I corpi di Adamo ed Eva forniscono lo spunto per mostrare la padronanza precedente.
in Vaccaro dello studio dal vero, e l’attenta metrica della posizione dei corpi, dei con- 82
Il passo di Emiliani, riguardante Andrea
Sacchi e Guido Reni, è citato da C. Tempesta
trapposti evidenziati dalla posizione delle gambe sono un saggio dell’interpretazio- in Mostra Nettuno 1999-2000: 49.
ne che il pittore seppe dare della “moderazione del gesto pittorico” propugnata da 83 Cf. Christie’s Roma, 15-VI-2005, lotto 700.
Sacchi e dai suoi sodali84. Un curioso apporto altamente individuale è nel curioso ge- Il dipinto misura cm. 102 x 119,5.
84Cf. Causa 2007: 158, fig. 97, per un confron-
sto di stizza di Eva, che sembra voler contrastare il gesto imperioso dell’angelo. Nel to tra l’Angelo custode di Sacchi a Rieti, Duo-
dipinto si scorge un “ardore” perfino troppo evidente nei confronti dell’Apollo del mo, Cappella di San Giuseppe, e parti del Giu-
dizio di Paride di Pacecco de Rosa a Capodi-
Belvedere, che appare nelle vesti di angelo, ma che tornerà in infinite varianti nel- monte. Credo che tale confronto valga ancor
l’opera di Vaccaro, a testimoniare uno studio alacre molto probabilmente condotto più per Vaccaro – in modo impressionante, di-
rei – guardando la figura dell’angelo custode
sulla scultura in quanto tale – non c’è neanche bisogno, a questo punto, di sforzarsi nel quadro di Sacchi.
a sostenere che Andrea Vaccaro dev’essere stato a Roma più di una volta, e probabil- 85
Cf. Haskell – Penny 1981 (1984): 189-191.
mente anche prima degli anni Trenta e Quaranta del Seicento – e forse anche sulle in- 86
Cf. Labrot 1992: 198, n. 38. Le misure del di-
pinto, cm. 102 x 119,5, corrispondono abba-
numerevoli stampe e copie, considerato che a partire dall’esposizione dell’ Apollo del stanza bene – una volta invertite, cioè conside-
Belvedere in Vaticano (1511) “non vi fu serie di stampe o di gessi o di copie, che pre- rate in larghezza per altezza – a quelle in palmi
napoletani dell’inventario. Una versione del
tendesse di rappresentare le opere più famose dell’antichità, nella quale mancasse quadro già Christie’s e – a giudicare dalla foto
questa statua”85. È probabile che il dipinto già presso la Christie’s sia “Un Adamo, conservata nella fototeca Zeri – più tarda e di
minor qualità, di cm. 90 x 130, era sul mercato
ed Eva con l’Angelo, che li discaccia dal Paradiso Terrestre mano d’Andrea Vaccaro antiquario in data non precisabile.
di palmi 6, e 5 con cornice indorata intagliata” inventariato nel 1699 a Napoli nella 87Tra esse spicca il noto ciclo di Quattro storie
di Tobia a Barcellona, Museo de Arte de Cata-
collezione di Pompilio Gagliano86. luña (cf. M. Mena Marques in Mostra Madrid
Un gruppo di opere di Vaccaro, probabilmente databili tra il 1640 e il 1650 o anche 1985: 324-329, nn. 142-145), che sembra vera-
mente eseguito tenendo a mente i classicisti ro-
dopo, rispecchia queste attitudini87. Il Pasce Oves meas già a Roma, Christie’s, ed og- mani qui confrontati con Vaccaro.

82
Fig. 75 – Andrea Camassei, Costantino alla Battaglia di Ponte
Milvio, Roma, San Giovanni in Laterano, Battistero.

Fig. 76 – Giacinto Gimignani, La visione di Costantino prima del-


la Battaglia di Ponte Milvio, Roma, San Giovanni in Laterano,
Battistero.

88 Cf. Christie’s, Roma, 16-VI-2004, lotto 500.


gi presso la Galleria Moretti di Firenze (fig. 79)88, presenta la stessa preferenza per la
Il dipinto misura cm. 76 x 103.5. Ma prima an-
cora va registrato un passaggio dell’opera a paratassi e per la chiarezza nella disposizione delle figure in sintonia con il classici-
Vienna, Dorotheum, 17-V-1970, lotto 125. smo romano, ma esprime anche una memoria molto precisa del classicissimo rilievo
Sono grato alla Galleria Moretti per la possibi-
lità di riprodurre il dipinto dopo il restauro. di Gian Lorenzo Bernini sulla facciata della Basilica di San Pietro a Roma, già espo-
89 Cf. M. e M. Fagiolo dell’Arco 1967: n. 73; sto nel 1646 (fig. 80)89. Questo dipinto sembra praticamente nato insieme al Cristo
Wittkower 1981 (1990): 256, n. 34. Per quanto che appare alla Madonna con i redenti del limbo, già a Dresda, Pinacoteca (distrutto)
io ne sappia esistono ben poche altre declina-
zioni del soggetto del rilievo di Bernini, tanto (fig. 81): oltre alla figura del Cristo, è la relazione spaziale tra le figure principali del-
più in ambito napoletano. Il tema, come è no- le due opere – insomma la composizione – a essere di fatto la stessa. E per capire
to, è tratto dalla prima lettera di San Pietro, in
cui l’Apostolo così esorta i presbiteri: quanto la traiettoria iniziale di Nicola Vaccaro sia inscindibile dalle invenzioni di

83
Fig. 77 – Carlo Maratta, Costantino
ordina la distruzione degli idoli, Ro-
ma, San Giovanni in Laterano, Batti-
stero.

Fig. 78 – Andrea Vaccaro, La caccia-


ta di Adamo ed Eva dal Paradiso ter-
restre, già Roma, Christie’s.

84
Fig. 79 – Andrea Vaccaro, Pasce Oves
meas, Firenze, Moretti Srl.

Fig. 80 – Gian Lorenzo Bernini, Pa-


sce Oves meas, Roma, Basilica di San
Pietro.

Fig. 81 – Andrea Vaccaro, Cristo ap-


pare alla Madonna con i redenti del
limbo, già Dresda, Pinacoteca.

85
questa fase del percorso paterno è sufficiente osservare, di Nicola, l’impianto della
Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre in collezione privata (A2).
Il vigoroso ma nitido chiaroscuro della Samaritana al pozzo già Sotheby’s torna in
varie altre opere di altissimo impegno formale di tale fase (quinto, sesto decennio?
Difficile proporre date certe). Un dipinto da ascrivere a questo periodo è l’Adorazio-
ne del vitello d’oro del Museo di Capodimonte (fig. 82), con un altro Vitellio tra gli
astanti di sfondo e una donna con bambino sul lato destro che riprende la Madonna
“pascete il gregge di Dio, che da voi dipende,
con Bambino qui già discussa e riprodotta alla fig. 7090. Una lata memoria dei vari Sa- governandolo non forzatamente, ma di buona
voglia, come vuole Iddio; non per amore di vil
crifici di Mosè ispirati da Nicolas Poussin a pittori napoletani come Andrea de Lio- guadagno ma con animo volonteroso; e non
ne – forse anche sotto il già citato influsso del Castiglione – è riscontrabile nell’im- come dominatori dell’eredità [del Signore] ma
divenuti sinceramente modelli del gregge. E
pianto del dipinto, ma sempre nei termini di un riuso estremamente individualizza- quando il principe dei pastori apparirà, riceve-
to. E ancora vanno inclusi in questo gruppo altri due poderosi raggiungimenti più o rete la incorruttibile corona di gloria” (Prima
lettera di San Pietro, 5, 1-5).
meno coevi, Susanna e i Vecchioni (fig. 83) e Rinaldo e Armida nel giardino incanta- 90
De Vito 1994-95: 137, rileva nel dipinto “co-
to (fig. 84) già della collezione d’Avalos e oggi a Capodimonte. Sono opere della se- se debellisiane e presenze luministiche alla
Beltrano” che francamente non si riescono
conda metà del quinto decennio o forse anche un po’ più tarde91, tutte segnate da una proprio a riscontrare, se non per il fatto che
luce ocra lavorata su una complessa gamma di tonalità brunastre, come di oro cupo, specialmente nella produzione di de Bellis ri-
corrono dipinti di tema analogo.
che Vaccaro anima con accenti luminosi e cromatici di straordinaria potenza nelle fi- 91 Per questi due dipinti cf. P.L. Leone de Ca-
gure in primo piano. Nel Rinaldo e Armida lo splendore degli abiti dei due protago- stris in Mostra Napoli 1994: 114-117, nn. 56-
57, il quale data Rinaldo e Armida a dopo il
nisti riporta a Stanzione e ad Artemisia – specie per la figura di Armida92 – e l’aper- 1642, data del San Gennaro e della Santa Tere-
tura di paesaggio, obbligata per il soggetto, mostra una attenzione nei confronti del- sa a Madrid, Prado, e Susanna e i Vecchioni
“nel corso degli anni Cinquanta”. Ma cf. anche
le coeve opere en plein air di Micco Spadaro e Viviano Codazzi. le pertinenti osservazioni di Causa 2007: 149-
Nel Rinaldo e Armida è stata poi notata “la qualità «specifica» dei fiori di cui è co- 150 sul trattamento iconografico di Rinaldo e
Armida.
sparsa l’intera scena, non dissimili dalla produzione di un «generista» attivo in que- 92Cf. P. L. Leone de Castris in Mostra Napoli
gli anni come Giacomo Recco”93. È forse possibile articolare questa osservazione 1994-95: 114.
ipotizzando per i fiori del dipinto un contributo di quel Pietro Fiammingo animali- 93Cf. P. L. Leone de Castris in Mostra Napoli
1994-95: 114.
sta e pittore di fiori di cui si dirà più avanti a proposito dell’Orfeo e le Baccanti di Pa- 94 “Un quadro di palmi 4 jn circa con fiori e
lazzo Reale94. frutti di Pietro fiamengo” era nel 1654 nella
A dispetto dell’ambientazione a lume oscuro – che non può essere il solo indifferen- collezione di Ferrante Spinelli, Principe di
Tarsia, e appare poi passato nel 1675 nella col-
ziato indicatore di datazione e di stile per qualsiasi dipinto napoletano del Seicento – lezione della moglie, Isabella Spinelli di Tarsia
(cf. Labrot 1992: 99, n. 225; 127, n. 40). Su Pie-
è a mio avviso pertinente a tale fase anche il San Sebastiano di Capodimonte (fig. tro Fiammingo cf. qui più oltre.
85)95. La possente figura perfetta del santo mostra lo stesso contrapposto delle gam- 95
Causa 2007: 187-188, considera questo di-
pinto “il quadro maestro della prima maturità
be e la moderata torsione del busto di tante delle opere qui esaminate. È in parte ve- di Vaccaro”, ma anch’esso rientra, ad avviso di
ro, come sostiene Stefano Causa, che tale figura è il frutto di una “desculturizzazio- chi scrive, nelle opere databili nel quinto de-
cennio del Seicento.
ne di Battistello”, e proprio perciò la cifra stilistica espressavi è molto distante da 96
Il dipinto è stato pubblicato nel 1978 da V.
un’opera antica di Vaccaro, a suo modo battistelliana – ma soprattutto caravaggesca Pacelli, ma cf. anche F. Bologna in Mostra Na-
poli 1991: 154; 129, fig. 130; 92, tav. 35, il qua-
romana – come il David in collezione privata (fig. 86)96. Nel quadro di Capodimon- le pensa che “occorre solo anticipare la data a
te la sintetica ma efficiente apertura di paesaggio presenta la stessa tonalità bruna ca- prima del 1630” e considera il dipinto “d’im-
pronta battistelliana”. Per il San Sebastiano in
rica di effetti di luce della Cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre, già a Ro- collezione privata cf. anche la scheda di L.
Rocco in Mostra Napoli 1991: 306, n. 2.67; per
ma presso Christie’s (fig. 78), e tale espediente riverbera sulla stessa figura effetti di il San Sebastiano di Capodimonte cf. L. Rocco
chiaroscuro di straordinaria morbidezza di passaggi. Sicché, contro tutta la critica in Mostra Napoli 1991: 308, n. 2.69. De Vito
1994-95 (1996): 77 confronta a mio avviso con
maturata sul dipinto di Capodimonte, bisognerà riportarne la datazione almeno alla poco costrutto l’opera al Crocifisso di Santa
Teresa a Chiaia, considerato una delle prime
fine del quarto decennio, se non anche agli inizi del quinto. opere note di Vaccaro, “di afflato tutto batti-
E, ancora parlando di classicismo: due poderose prove di grande formato degli anni stelliano”, e invece testo di difficile decifrazio-
ne sia per le condizioni conservative che per il
Quaranta (tardi anni Quaranta?) ci fanno comprendere appieno la grande maniera di troppo rigido impianto devozionale.

86
Fig. 82 – Andrea Vaccaro, L’adorazione del vitello d’oro, Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte.

87
Fig. 83 – Andrea Vaccaro, Susanna e
i Vecchioni, Napoli, Museo Naziona-
le di Capodimonte.

Fig. 84 – Andrea Vaccaro (e Pietro


Fiammingo?), Rinaldo e Armida nel
giardino incantato, Napoli, Museo
Nazionale di Capodimonte.

88
Fig. 85 – Andrea Vaccaro, San Sebastiano, Napoli, Museo Naziona- Fig. 86 – Andrea Vaccaro, David, collezione privata.
le di Capodimonte.

Andrea Vaccaro, che si pone di fronte a temi vetero-testamentari o mitologici con il


medesimo respiro culturale e con identica forza di stile e di racconto visivo. David
con la testa di Golia, festeggiato dalle fanciulle d’Israele e Orfeo e le Baccanti a Na-
poli, Palazzo Reale, sono esempi di altissima euritmia – proprio nel senso che a tale
parola attribuiva Rudolf Steiner – applicata alla narrazione per immagini. Nel David
con la testa di Golia, festeggiato dalle fanciulle d’Israele (fig. 87), la danza sinuosa del-
le ragazze si contrappone emotivamente allo sguardo corrucciato di David rivolto al-
la testa di Golia. L’enorme testa del gigante perde sangue dalla bocca, a testimoniare
la contiguità di tempi tra la fine della sfida e il trionfo dell’eroe ebreo, ancora carico

89
di adrenalina per la lotta sostenuta. Quasi tutte le figure femminili sembrano varian-
ti di postura della stessa modella, quasi a significare un bisogno di astrazione sul pu-
ro esercizio ritrattistico, ma un discorso a parte merita quella a sinistra col tamburel-
lo. Qui, nelle accensioni di blu, bianco, giallo e rosso degli abiti, e nell’opulenza del
volto e del tipo fisico, Vaccaro tributa un omaggio all’area Stanzione – Artemisia –
Guarino – Francesco Fracanzano, e impiega questa figura, che guarda lo spettatore,
per introdurlo nella scena. Ancora alla Stanzione, certo, è anche il trattamento della
ragazza di spalle alla estrema destra del dipinto. Il suo abito celeste chiaro, i cui pan-
neggi si incurvano per i movimenti generati dalla danza, è definito da contorni netti
che esaltano anche la posizione in primo piano della figura. La sfida che ingaggia qui
Andrea Vaccaro è evidente: combinare il senso di azione rituale, altamente emozio-
nale, con quella “moderazione del gesto pittorico” di cui abbiamo già parlato. L’idea-
lizzazione della maggior parte dei volti femminili è operata nel senso della riconosci-
bilità dei modelli consueti del pittore; quella commistione di Reni, Stanzione e forse
Gimignani, o Sacchi, o Maratta, che in definitiva è solo propria di Vaccaro97.
L’Orfeo che incanta gli animali, mentre le Baccanti stanno per tendergli l’agguato a Na-
97 Una versione del dipinto di Palazzo Reale,
poli, Palazzo Reale (fig. 88), non presenta particolari novità rispetto a quanto già nota- di dimensioni inferiori ma quasi identica, è
to qui a proposito del Trionfo di David nello stesso museo. Il modello della figura del quella citata come in collezione Colletta de
Peppe da Commodo Izzo 1951: fig. 11. De Vi-
protagonista, come ha notato Stefano Causa, va ricondotto all’Apollo del Parnaso di to 1994-95: 137, la riproduce senza registrare
tale indicazione. Funziona quasi come la se-
Raffaello nella Stanza della Segnatura98, ma è la parte animalistica del dipinto – che, im- conda valva di un dittico idealmente composto
bolsito da antichi e massicci ritocchi, da troppo tempo attende un restauro – a rendere con il dipinto di Palazzo Reale a Napoli la bel-
la versione del Trionfo di David a Ginevra,
necessaria qualche osservazione. Sempre Causa ha prospettato l’influsso di opere ge- Musée d’Art et d’Histoire. È sempre a nove fi-
gure, e la fanciulla di spalle col tamburello, a
novesi, ad esempio quelle di Sinibaldo Scorza99, come possibile riferimento per il di- destra nel dipinto di Napoli, appare in negati-
pinto di Vaccaro a Palazzo Reale; lo stesso autore ha anche rammentato il possibile im- vo sul lato opposto. Nel dipinto di Ginevra
David, a sua volta, ha il corpo rivolto verso si-
piego di libri a stampa illustrati, e ha indicato la rarità del tema di Orfeo nella pittura nistra così come la testa del gigante, al contra-
rio di quanto accade nella versione di Napoli.
napoletana del Seicento, segnalando un dipinto di identico soggetto a Besançon, Mu- Nella versione di Ginevra manca la figura fem-
sée des Beaux-Arts, giustamente attribuito da Giuseppe Porzio a Pacecco de Rosa per minile che chiude a sinistra la versione di Na-
poli, e il tono generale dell’esecuzione, che nel
la figura di Orfeo, e che può ben essere quello inventariato nel 1648 nella collezione di quadro di Ginevra è più nervosa e meno distil-
lata, fa propendere per una datazione più anti-
Giuseppe Carafa (fig. 89)100. Stando all’inventario di questa collezione, pubblicato da ca per quest’ultimo, forse anche di un decen-
Gérard Labrot, nel dipinto di Besançon la parte animalistica va ascritta ad un Pietro nio (cioè verso il 1640?).

Fiammingo, del quale fin’ora non conosciamo opere101, e del quale vari quadri a tema 98
Cf. Causa 2007: 160.
99
animalistico compaiono anche nell’inventario della collezione di Ferrante Spinelli, Cf. Causa 2007: 160-161; le opere di Scorza
cui pensa Causa sono evidentemente quelle ri-
Principe di Tarsia, redatto nel 1654102. Uno di essi appare poi passato nella collezione prodotte da A. Cottino in Porzio-Zeri 1989: I,
124, fig. 120; 125, fig. 121.
di Isabella Spinelli, Principessa di Tarsia, dov’è citato nel 1675103. 100Cf. Causa 2007: 162. L’attribuzione a Pa-
Su tali basi Causa e poi Pacelli hanno ipotizzato che anche la parte animalistica del- cecco de Rosa è stata recepita da V. Pacelli in
l’Orfeo di Andrea Vaccaro possa essere stata eseguita da Pietro Fiammingo. In atte- Pacelli et al. 2008: 302-303. Per completezza va
qui aggiunto che, sulla base di una indicazione
sa di conoscere opere certe di questo pittore, va detto che l’ipotesi è suggestiva, tan- di Federico Zeri, il dipinto era già stato consi-
derato “attribué à Sinibaldo Scorza” in Brejon
to più che rari furono nel Seicento napoletano i pittori di animali vivi, a testimonian- de Lavergnée – Volle 1988: 314.
za del fatto che l’attenzione verso la realtà – su cui tanto insistono pressoché tutti i 101Cf. Labrot 1992: 76. Ma, sempre di Pietro
Fiammingo, sono inventariati nella collezione
contributi moderni sulla natura morta a Napoli – ha avuto le sue gerarchie e i suoi di Giuseppe Carafa altri “Cinque quatri di ani-
vincoli di genere anche per l’area napoletana. Qui, evidentemente, l’osservazione di mali” e “Un altro piombo de animali” (cf. La-
brot 1992: 77, nn. 33 e 45).
animali vivi è stata meno interessante di altri temi, ed è significativo che Vaccaro sia 102Cf. Labrot 1992: 98-99, nn. 161, 163-168,
dovuto ricorrere a uno dei rari specialisti del genere, forse l’unico presente in città ai 172-173, 225.
suoi tempi. 103 Cf. Labrot 1992: 127, n. 40.

90
Fig. 87 – Andrea Vaccaro, David con
la testa di Golia, festeggiato dalle
fanciulle d’Israele, Napoli, Palazzo
Reale.

Fig. 88 – Andrea Vaccaro e Pietro


Fiammingo, Orfeo e le Baccanti, Na-
poli, Palazzo Reale.

91
Fig. 89 – Pacecco de Rosa e Pietro Fiammingo, Orfeo, Besançon, Musée
des Beaux-Arts.

Fig. 90 – Frans Snyders, Il concerto degli uccelli, San Pietroburgo, Her-


mitage.

92
Dal mio canto rilevo che gli animali dell’Orfeo di Vaccaro mostrano una evidente
cultura nordica nella disposizione paratattica, quasi da repertorio naturalistico, e che
specie la ricca antologia uccelli nella parte alta del dipinto mi è sempre sembrata in-
concepibile senza una conoscenza – attraverso copie di bottega? Stampe? – di opere
sul tipo del Concerto degli uccelli di Frans Snyders, di cui si possono citare qui alme-
no la versione a Madrid, Prado, e quella a San Pietroburgo, Hermitage (fig. 90). Il che
rafforza indirettamente la possibilità di un contributo di Pietro Fiammingo al dipin-
to di Andrea Vaccaro.

Da Andrea a Nicola Vaccaro

Ancora dei tardi anni Quaranta o dei primi anni Cinquanta sembra essere il potente
San Michele Arcangelo a Praga, Galleria Nazionale (fig. 91), una sapiente variazione
del prototipo di Reni nella Chiesa dei Cappuccini a Roma, ma sempre al modo di
Andrea Vaccaro: la posizione quasi frontale della figura dell’arcangelo, che incombe
come una scultura lignea in processione, lo scarno ma efficace fondale di paesaggio al
vespro, il momento scelto per la narrazione – la sconfitta immobilità di Lucifero, fer-
mo sotto il piede dell’arcangelo, bloccato dalla lancia conficcata nella spalla – sono
ingredienti perfetti di quella qui più volte evocata “moderazione del gesto pittorico”.
La tavolozza del quadro di Praga presenta caratteri preziosi – a loro modo neovene-
ti ma qui non più necessariamente alla van Dyck – giocati su una splendida giustap-
posizione di lapislazzulo e garanza, e sul chiarore delle epidermidi acceso dai rossi
delle labbra e dal biondo dei capelli, che ci ricordano l’inesausto rapporto di Vacca-
ro con l’amico e sodale Bernardo Cavallino104. Ed è credibile che disegni della testa
di Lucifero abbiano fornito più di uno spunto al giovane Nicola Vaccaro, cresciuto
artisticamente proprio davanti ad opere di questa fase della produzione del padre.
Nicola Vaccaro trascorse l’infanzia e l’adolescenza a contatto con le opere del padre.
Essendo nato nel 1640, e considerando i tempi della formazione professionale di un
artista del Seicento, è credibile che egli abbia mosso i suoi primi passi già verso il
1655-60, tra i quindici e i vent’anni. Avendo per maestro il maggior artista vivente a
Napoli di quel momento, Nicola dev’essere stato a lungo in ombra, lavorando come
104 Cf. L. Daniel in Mostra Praga 1995: 120-

123, il quale data giustamente l’opera “attorno


il principale aiuto del padre e sotto il suo controllo. Quando nel 1670 Andrea muo-
al 1650”, leggendovi anche una influenza di- re Nicola Vaccaro ha trent’anni, e per i parametri dell’epoca è un uomo ormai matu-
retta di Van Dyck e Monrealese che a me pare
abbastanza traslata in questo periodo di Vac- ro. Quel che importa qui è che i materiali a contatto dei quali egli crebbe sono quel-
caro, e tutto sommato poco evidente nel San
Michele di Praga. È questa l’occasione per pre- li prodotti negli ultimi due decenni della vita di Andrea: un patrimonio molto vasto,
cisare che, ad avviso di chi scrive, la Maddale- che ci indica molti spunti per comprendere la formazione di Nicola.
na della Galleria Nazionale di Praga attribuita
dallo stesso Daniel ad Andrea Vaccaro (cf. Un caso significativo della trasmissione di questo patrimonio è quello di un dipinto
Mostra Praga 1995: 126-128, A 41) non sembra
avere rapporti con il pittore, e che pertanto di Andrea Vaccaro che conosco da una foto della Fototeca di Federico Zeri, Santa
sembra per il momento più giusto tornare alla Marta rimprovera Maria Maddalena per la sua vanità in ubicazione ignota, un’ope-
sua precedente ascrizione all’ambito lombardo
della metà del Seicento. ra databile verso la metà degli anni Quaranta del Seicento o forse anche un po’ più
105 Il dipinto è catalogato nella Fototeca Zeri
avanti (fig. 92)105. Andrea evolve il tipo di questa composizione (che aveva riscosso
come di Andrea Vaccaro, in ubicazione ignota
e senza misure. successo sin dai tempi di Bernardino Luini, e poi con Caravaggio, Pietro Paolini,

93
Fig. 91 – Andrea Vaccaro, San Mi-
chele, Praga, Galleria Nazionale.

A pag. 95

Fig. 92 – Andrea Vaccaro, Santa


Marta rimprovera Maria Maddalena
per la sua vanità, ubicazione ignota.

Fig. 93 – Andrea Vaccaro, Santa


Marta rimprovera Maria Maddalena
per la sua vanità, già Parigi, mercato
antiquario, 1970.

Fig. 94 – Andrea Vaccaro, Santa


Marta rimprovera Maria Maddalena
per la sua vanità, già New York, mer-
cato antiquario, 1974.

Fig. 95 – Andrea Vaccaro, Santa


Marta rimprovera Maria Maddalena
per la sua vanità, già Imperia, merca-
to antiquario, 1977.

Fig. 96 – Andrea Vaccaro, Santa


Marta rimprovera Maria Maddalena
per la sua vanità, già Roma, Chri-
stie’s, 1997.

Fig. 97 – Nicola Vaccaro, Santa Mar-


ta rimprovera Maria Maddalena per
la sua vanità, Parigi, Louvre.

Guido Cagnacci e Rubens), focalizzandosi sul dialogo delle due donne viste a mez-
za figura. In quattro versioni con sottili varianti, certamente più tarde (figg. 93-96)106,
nelle quali le due figure sono invertite – Maddalena a sinistra e Marta a destra – il pro- 106
La versione a fig. 93 era in Francia, Ile-de-
filo della Maddalena diventa più sontuoso e sensuale, tanto da far pensare a un pre- France, mercato antiquario, prima del giugno
1970 (senza misure, Fototeca Zeri, scheda
lievo da dettagli di opere di Rubens come il busto di Tomiri nella Regina Tomiri ri- 50494); quella a fig. 94 era a New York, merca-
to antiquario, prima del giugno 1974 (senza
ceve la testa di Ciro a Boston, Museum of Fine Arts, o il busto della Madonna nella misure, Fototeca Zeri, scheda 50493); quella a
fig. 95, siglata, era a Imperia, mercato antiqua-
Madonna con Bambino, Santa Elisabetta e San Giovannino a Madrid, collezione rio, nel 1977 (senza misure, Fototeca Zeri,
Thyssen-Bornemisza107, note attraverso innumerevoli copie e stampe. Nei depositi scheda 50492); quella a fig. 96 era a Roma,
Christie’s, 9-XII-1997, lotto 368.
del Louvre esiste poi una versione considerata copia da Andrea Vaccaro che a mio av- 107Cf. Jaffé 1989: 20-21, 244, n. 510; 120, 200-
viso va certamente attribuita proprio a Nicola (fig. 97), il quale sembra qui voler 201, n. 281.

94
92 93

94 95

96 97

95
espandere le forme tipiche del padre mediante una accensione della tavolozza che ri- 108 Cf. Catalogue sommaire du Louvre 1981:
249; poi Loire 2006 : 381-382. In entrambi i ca-
troveremo in altre opere del suo percorso. Questa attribuzione, se confermata108, è si l’opera è considerata “D’après Andrea Vac-
caro”. Conosco il dipinto solo da riproduzio-
uno dei punti di aggancio tra la maturità di Andrea e gli esordi di Nicola Vaccaro. ni. Misura cm. 103 x 124,5, e nella catalogazio-
Se Nicola Vaccaro, così sensibile alla raffigurazione delle donne, deve qualcosa al- ne del Louvre è posto in rapporto con una ver-
sione che circolava sul mercato antiquario di
l’esperienza di suo padre, ebbene disponiamo di un gran numero di opere prodotte New York nel 1965, credo cioè quella mostra-
da Andrea negli ultimi quindici o venti anni della sua vita che possono aver fornito a ta a Zeri nel 1974. È singolare che Loire 2006:
462, reiteri l’attribuzione a Pacecco de Rosa
suo figlio spunti molto utili. La Maddalena in meditazione a Napoli, Certosa di San della Santa Cecilia a Bar-le-Duc, Musée bar-
rois, già proposta da Brejon de Lavergnée –
Martino, Quarto del Priore (fig. 98)109, è poggiata con un languido hanchement su un Volle 1988: 251. Di questo dipinto – che è di
blocco di pietra nella grotta della meditazione, agitando lievemente lussuosi panneggi Andrea Vaccaro – esistono almeno altre due
versioni: una a due terzi di figura a Budapest,
di ultramarino e cremisi scuro, ampi come in un quadro di Rubens, e la luce vesperti- Szépmüvészeti Muzeum [riprodotta, ad esem-
pio, in De Vito (1994-95) 1996: 128, fig. 55], e
na avvolge le forme come in un’opera tarda di Guercino. Ancora: la Cleopatra già a l’altra già a Londra, Sotheby’s, 8-VII-1999,
Londra, Christie’s, nel 1965 (fig. 99)110, è un’immagine che deve esser rimasta impres- lotto 72, siglata e simile a quella di Budapest. V.
Pacelli in Pacelli et al. 2008: 149, 167 n. 172,
sa in Nicola Vaccaro per lo splendore del nudo accademico e l’eleganza del diadema di contesta l’attribuzione a Pacecco de Rosa di
perle sulla complicata acconciatura, forse ricordato da Nicola Vaccaro per la forte Giu- Brejon de Lavergnée – Volle 1988 in favore di
quella ad Andrea Vaccaro, ma non rileva l’ite-
ditta già a Napoli, collezione Pennella (A60). Infine: la Lucrezia già a Londra, Chri- razione dell’attribuzione a Pacecco formulata
da Loire 2006.
stie’s, nel 1980 (fig. 100)111, mostra una tale sintonia con il mondo figurativo emiliano
109Cf. F. Capobianco in Il Quarto del Priore
post-Reni da aver fatto pensare a Federico Zeri – secondo me piuttosto comprensibil- 1986: 91-92, 54, che per questo dipinto ipotiz-
mente – addirittura a Guido Cagnacci112. Se non è impossibile che Andrea Vaccaro ab- za una datazione verso il 1635-40, a mio avvi-
so troppo antica.
bia visto opere di Cagnacci, bisognerà quanto meno notare il parallelismo di certi esiti 110Cf. Christie’s Londra, 9-IV-1965, lotto 102.
in aree anche molto lontane tra loro della pittura italiana durante e dopo il magistero di Non conosco le misure del dipinto, che da una
Guido Reni. E sempre per il rapporto tra Andrea e Nicola Vaccaro, la importante Ca- visione diretta in una collezione privata – più
di dieci anni fa – valuto all’incirca di cm. 150 x
rità romana recentemente a Napoli, Blindarte (fig. 101)113, è un’opera dei primi anni 100. Dispongo solo della buona foto in bianco
e nero che qui riproduco, ma il dipinto è acce-
Cinquanta del Seicento che mostra bene come Vaccaro, ormai un consumato rielabo- so dai toni blu e rossi tipici della maturità di
ratore anche di modelli suoi propri, riprenda un antico tema caravaggesco nei termi- Vaccaro. Dalla scheda della foto dell’opera
nella Fototeca Zeri emerge un passaggio attor-
ni di quel decoro che caratterizzerà poi costantemente la maniera del figlio. Infatti no al 1970 nella collezione di M.R. Waddin-
gham.
nella Sacra Famiglia con San Giovannino nota in varie versioni (tra le quali la miglio-
111
Cf. Christie’s Londra, 2-V-1908, lotto 28.
re è quella recentemente transitata sul mercato, cf. qui A9b)114, il volto della Vergine Non conosco le misure del dipinto.
è quasi identico a quello di Pero nel quadro già presso Blindarte. 112
Traggo questa notizia dalle note in calce al-
Il classicismo di Andrea Vaccaro procederà senza sbandamenti sin verso la fine della la fotografia del dipinto conservata nella Foto-
teca Zeri, da cui non proviene la foto che qui
sua lunga e prestigiosa carriera. Il grande Battesimo di Cristo a Cropani, San Giovan- pubblico.
ni, restituitogli appieno da Giorgio Leone e forse databile verso l’inizio degli anni 113
Cf. Blindarte Napoli, 11-XII-2008, lotto
Sessanta del Seicento (fig. 102)115, è un ricordo della famosa opera di Reni a Napoli, 53. Il dipinto misura cm. 121,9 x 95, ed è sigla-
to con il monogramma di Andrea.
Gerolamini, ma il dipinto di Guido è ormai una matrice lontana, rifusa in una perfet- 114
Uppsala, Uppsala Auktions Kammare, 2-
ta combinazione tra la compostezza delle figure e il realismo dei grandi nudi d’acca- XII-2008, lotto 17. L’opera è stata indipenden-
temente attribuita da chi scrive e da Erich
demia. Giustamente Leone confronta il dipinto di Cropani con il Battesimo di Cri- Schleier a Nicola Vaccaro.
sto già presso la Walpole Gallery di Londra (fig. 103), che ho pubblicato dieci anni fa 115 Cf. G. Leone in Gregorio Preti da Taverna
proponendo una datazione verso il 1650-55116, e la pala di Cropani presenta anche a Roma 2003: 44-46; 55, nn. 287-293, con bi-
bliografia precedente; e ora Leone 2008: 58,
nella tavolozza affinità con la produzione degli ultimi due decenni del pittore. Una che riporta credibilmente a Vaccaro anche il
tavolozza rischiarata – ma sempre diversa da quella di Luca Giordano, il principale più antico San Gennaro in gloria a Luzzi, San
Giuseppe, di recente ascritto a Pacecco de Ro-
rivale di questi anni – riscontrabile anche nella Apparizione di Sant’Anna e della Ver- sa da G. Porzio in Pacelli et al. 2008: 282, n. 10.
Ringrazio l’amico e collega Giorgio Leone per
gine bambina a San Tommaso d’Aquino a Napoli, Pietà dei Turchini (1668), i consigli e le indicazioni bibliografiche neces-
e nella grande Comunione di Santa Maria Egiziaca a Napoli, Santa Maria Egiziaca sarie alla redazione della presente nota.

all’Olmo (1668). Queste opere mostrano una padronanza intatta – e sino all’ultimo 116Cf. R. Lattuada in Twenty Important Nea-
politan Baroque Paintings 1999: 46-47, n. 12;
– del tema della grande pala d’altare, trattato nel segno della perfetta leggibilità della 71.

96
Fig. 98 – Andrea Vaccaro, Maddalena in meditazione, Napoli, Certosa di San Martino, Quarto del Priore.

97
Fig. 99 – Andrea Vaccaro, Cleopatra, già Londra, Christie’s.

Fig. 100 – Andrea Vaccaro, Lucrezia, già Londra, Christie’s.

Fig. 101 – Andrea Vaccaro, Carità romana, già Napoli, Blindarte.

98
Fig. 102 – Andrea Vaccaro, Battesimo di Cristo, Cropani, San Giovanni.

99
Fig. 103 – Andrea Vaccaro, Battesimo di Cristo, già Londra, Walpole Gallery.

composizione. E devo sempre alla generosità di Giorgio Leone, che con i suoi studi
va aprendo nuove prospettive sull’arte dell’età moderna in Calabria, la possibilità di
riprodurre per la prima volta la Madonna del Rosario a Gioiosa Jonica, Palazzo
Ameduri, siglata (fig. 104)117. Pur essendo una rielaborazione sullo schema di un di-
pinto molto più antico di Vaccaro, e cioè l’opera omonima a Napoli, San Giuseppe
dei Falegnami al Rione Luzzatti, poi ripetuto ribaltato nella Madonna appare a San
Luca già a Napoli, San Giovanni delle Monache118; e pur echeggiando in modo forse
non casuale l’impianto della Madonna del Rosario di Francesco Guarino a Solofra,
Chiesa di San Domenico (1644-49), l’opera di Gioiosa Jonica è un testo del tratto
estremo di Vaccaro. Al punto che, se non vi apparisse la sigla di Andrea, si sarebbe
tentati di ascriverla a Nicola per le superfici levigate, il tono più caldo e rosato degli 117
Cf. Leone 2008: 58, per la prima menzione
incarnati, i panneggi più morbidi e meno oggettivi e l’atmosfera quasi allegra che pre- e attribuzione del dipinto ad Andrea Vaccaro.
annuncia il Settecento, ormai neanche più tanto lontano. 118 Cf. De Vito 1994-1995: 110, fig. 38.

100
Fig. 104 – Andrea Vaccaro, Madonna del Rosario, Gioiosa Jonica, Fig. 105 – Andrea Vaccaro, Incoronazione della Vergine e Santi,
Palazzo Ameduri. già Roma, Christie’s, poi Milano, Sotheby’s.

Il rapporto tra bozzetti e realizzazioni definitive in Vaccaro è per ora riscontrabile in


un numero ridotto di esempi. Uno dei pochi è quello della Assunzione della Vergine
e Santi prima a Roma, Christie’s, poi a Milano, Sotheby’s (fig. 105)119, che per il for-
mato relativamente ampio sembra essere il lavoro preparatorio per una pala d’altare
che al momento mi è impossibile indicare con certezza. Di sicuro le figure del Cristo
e del Padre Eterno sono state utilizzate quasi alla lettera per la Trinità con la Vergi-
ne, San Giuseppe e tre monache a Napoli, Santa Maria dei Miracoli (1661)120, così co-
me la testa e parte del busto dell’evangelista in basso a destra del bozzetto, che tor-
nano nei dettagli corrispondenti del San Giuseppe nella Pala di Santa Maria dei Mi-
racoli. Si può dunque cautamente ipotizzare che il dipinto sia una prima idea per la
pala di Santa Maria dei Miracoli il cui impianto fu poi trasformato nella stesura fina-
119 Cf. Christie's Roma, 18-VI-2002, lotto 770, le, forse per esigenze specifiche della committenza.
Dipinti e Disegni Antichi; poi Sotheby’s Mila- Posso qui pubblicare l’altro bozzetto, fin qui inedito, grazie alla cortesia dei Signori
no, 29-XI-2005, lotto 168. Il dipinto misura
cm. 76,2 x 62,5. Michele e Maria Grazia Gargiulo (fig. 106). È il lavoro preparatorio per la grande
120 Cf. Commodo Izzo 1951: 124-126, fig. 30. Madonna delle Grazie a Napoli, Santa Maria del Pianto, e cioè la pala d’altare per la

101
Chiesa del Cimitero di Napoli (1660-61), per la cui commissione ci fu la nota con-
troversia tra Andrea Vaccaro e Luca Giordano, che secondo de’ Dominici voleva per
l’appunto eseguire la pala d’altare, lasciando a Vaccaro le due laterali121. Il bozzetto 121
Cf. de’ Dominici 1742-44, III: 150; e ora I.
della collezione Gargiulo è una acquisizione importante per comprendere la fase fi- Maietta in Il Museo Diocesano di Napoli
2008: 124-125.
nale del percorso di Andrea Vaccaro. Non solo vi ritorna il ductus pittorico sciolto 122 Il dipinto misura cm. 75 x 68,5.
della Assunzione della Vergine e Santi, che presenta quasi le stesse misure122, ma è 123 Cf. Schleier 2000. Concordo con Schleier
possibile riscontrare questo momento con elementi nuovi. Rispetto alla stesura fina- sulla datazione del dipinto alla fase tarda di
Vaccaro, nel settimo decennio del Seicento, e
le il bozzetto è semplificato nel numero delle anime purganti e della gloria d’angeli di non mi sembra si possano accogliere le obie-
contorno e di sfondo. Altre varianti sono nella posizione della mano destra del Cri- zioni avanzate da Causa 2007: 142-143; 168-
169, n. 32, che lo data “almeno quindici anni
sto, al petto, e che nella versione definitiva è fissata in un gesto di accoglienza verso prima” (p. 142, n. 32). Mi pare poi che le osser-
vazioni di Schleier sulla “profonda diversità
la Vergine, la quale ha le mani giunte in preghiera quasi al petto, mentre nella pala delle due composizioni” (pp. 34-35) siano suf-
poggiano sul ginocchio sinistro. ficienti a smentire la tesi, sostenuta da Causa,
di una relazione (che secondo lo studioso “va
In generale Vaccaro è qui più preoccupato dall’assetto complessivo della composi- verificata”) di quest’opera con quella omoni-
ma di Lanfranco nella Chiesa della Certosa di
zione e dalla disposizione dei gruppi intorno alle due figure principali, presumibil- San Martino a Napoli. Schleier osserva che
mente riservandosi di attingere poi al suo cospicuo fondo di disegni per la risoluzio- “caratteristiche sono le proporzioni slanciate
delle figure” raffrontandole con altre opere di
ne dei particolari compendiari della stesura finale. Ciò che cambia poco passando dal Vaccaro; Causa pensa che nel dipinto di Vacca-
ro “le fisionomie appaiono quasi deformi” (p.
bozzetto alla pala d’altare è il tentativo – ben visibile dopo il bel restauro condotto 168), e se ho ben capito crede di riconoscere in
anni fa da Francesco Virnicchi sulla tela di Santa Maria del Pianto – di animare la ste- alcune sue parti la mano di Carlo Coppola.
Dal mio canto, mi limito ad osservare che non
sura pittorica con pennellate più fluide e mediante un uso meno massivo della mate- solo – come ha già notato Schleier – il dipinto
ora a Berlino è il più grande mai prodotto da
ria, forse proprio per dimostrare a Giordano che Andrea Vaccaro, il più importante Vaccaro: che io sappia è anche il suo più largo
maestro della generazione a lui precedente, sapeva anche dominare la pittura sciolta in assoluto. La logica avrebbe voluto che una
superficie così vasta fosse dipinta con la tecni-
e nuovamente veneziana del suo giovane rivale. ca dell’affresco, nella quale sappiamo bene che
il pittore non era per nulla versato [cf. De Vito
Lo splendore e l’eletta selezione delle forme della grande Crocifissione a Berlino, Bo- 1994-95: 101-124 per una ricostruzione della
de Museum, restituita a Vaccaro da un terso contributo di Erich Schleier, è il canto vicenda della commissione degli affreschi di
San Paolo Maggiore, eseguiti in collaborazio-
del cigno del pittore, ed è anche l’opera su cui si innesta l’esordio di Nicola Vaccaro ne con Andrea de Lione tra il 1660 e il 1661].
Credo che una spiegazione per l’allungamento
(fig. 107)123. Un’altra opera di questo momento, l’Orazione di Cristo nell’Orto a Pe- delle figure vada cercata nella collocazione del
ñaranda de Bracamonte, Carmelitas Descalzas, siglata (fig. 108)124, rappresenta vera- dipinto. de’ Dominici riferisce che esso era si-
tuato “Nella Confraternità del SS. Rosario
mente il passaggio del testimone da Andrea a Nicola Vaccaro. È su questo tipo di di- eretta nel Chiostro di S. Tommaso d’Aquino”
[…] “dirimpetto l’Altare, e sopra la Banca, ove
pinti, che il giovane figlio del maestro vedeva uscire dalla bottega fino agli ultimi an- siedon l’Uffiziali di dette [sic] Congregazio-
ni di vita del padre, che egli avrebbe esemplato le sue migliori opere del tratto seicen- ne” (cf. de’ Dominici 1742-44, III: 140. Nella
trascrizione di questo passo pubblicata da
tesco della sua carriera. Schleier manca il brano “e sopra la Banca, ove
siedon l’Uffiziali di dette [sic] Congregazio-
Nell’ultimo decennio si situa anche un piccolo capolavoro su rame, che posso ripro- ne”). Dunque il dipinto era sulla parete di fon-
durre grazie alla cortesia del Signor Jacques Leegenhoek. È una Sacra Famiglia con do di questo ambiente, e senza dubbio molto
in alto. Vaccaro era abbastanza esperto da sa-
San Giovannino, un dipinto che in soli 26.3 centimetri per 22 riassume tutta la poe- pere bene che solo allungando le figure avreb-
be potuto annullare l’effetto di schiacciamento
tica di Andrea Vaccaro (fig. 109). Lo sguardo di Maria che si astrae, a presagire il mar- che si verifica guardando un quadro dal basso,
tirio dei due bambini, l’effusione che promana dalle espressioni intenerite di San e ha scalato la proporzione delle figure confe-
rendo a quelle del primo piano una dimensio-
Giuseppe e Santa Elisabetta (o Sant’Anna?), sono trattati con una scioltezza di tocco ne – e quindi un’imponenza – adeguata al con-
testo architettonico cui era destinato il dipinto,
pittorico e con un ductus vibrante nelle stesure splendenti dei lapislazzuli e degli in- e forse anche per enfatizzarne la posizione fi-
carnati che è la risposta di Vaccaro alle nuove tendenze rappresentate a Napoli da sica presso la cima del Golgota, con i tre croci-
fissi deliberatamente situati in lontananza.
Giordano e da Preti. L’ormai anziano pittore non rinuncia alla ennesima e felice Eric Schleier mi dice che il dipinto è ora espo-
sto ben in alto nella sala del Bode Museum al-
esplorazione del suo eletto mondo formale. La sua lezione, per breve tempo dimen- la Gemäldegalerie di Berlino, e dunque è pos-
ticata nel furore barocco di Giordano e Preti, tornerà a imporre la sua autorevolezza sibile verificare questa ipotesi, cosa che spero
di poter fare al più presto.
con Francesco Solimena. 124Cf. A.E. Pérez Sánchez in Mostra Madrid
Santa Maria Capua Vetere, Giugno 2009 1985: 334-335, n. 148.

102
Fig. 106 – Andrea Vaccaro, Madonna delle Grazie, Napoli, collezione Michele Gargiulo.

103
Fig. 107 – Andrea e Nicola Vaccaro,
Crocifissione (part.), Berlino, Gemäl-
degalerie (cat. A1).

Fig. 108 – Andrea Vaccaro, Orazione


di Cristo nell’Orto, Peñaranda de
Bracamonte, Carmelitas Descalzas.

104
Fig. 109 – Andrea Vaccaro, Sacra Famiglia con San Giovannino, Parigi, Galerie Jacques Leegenhoek.

105
ADDENDUM

Come spesso accade, mentre lavoravo a questo contributo ho lungamente cercato nel
mio archivio – senza trovarla fin quasi alla fine – l’immagine di questo stupendo San-
sone (fig. A*; cm. 112 x 90) che ho visto – forse quindici anni fa – in una collezione
privata e che poi è transitato per quache tempo, credo verso il 2002, presso la Galle-
ria Verde a Roma. Devo infatti alla cortesia del Signor Julio Marini Paniagua la di-
sponibilità della foto che qui riproduco: il dipinto, eseguito sfruttando mirabilmen-
te la preparazione applicandovi stesure quasi trasparenti (ancora molto potenti no-
nostante gli inevitabili assorbimenti del pigmento), potrebbe essere virtualmente il
pendant della Lucrezia già presso Christie’s qui discussa e riprodotta a fig. 100. Sia-
mo ancora una volta di fronte ad una sapiente combinazione di elementi classicismo
romano-bolognese, e ad una grazia nell’impianto e nell’introspezione psicologica
che è il frutto della già discussa sintonia con Cavallino. C’è da sperare che il dipinto
riappaia presto in una sede pubblica per poterlo sottopore al vaglio degli studiosi. Fig. A* – Andrea Vaccaro, Sansone,
collezione privata.

POST SCRIPTUM

Questo saggio era già terminato quando, poche ore prima della consegna all’editore,
sono venuto a conoscenza del contributo di Vincenzo Pacelli, Andrea Vaccaro pa-
triarca della pittura del Seicento a Napoli. Inediti e considerazioni, in ‘Studi di Storia
dell’Arte’, n. 19, 2008, pp. 137-168 (Pacelli 2008). Devo alla cortesia di Vincenzo Pa-
celli, che qui ringrazio, la possibilità di disporre in tempi brevissimi di un estratto al
quale l’autore ha anche anteposto una breve premessa. Posso qui solo offrire alcune
osservazioni su questo saggio, ripromettendomi di tornare sul problema della defi-
nizione del catalogo di Andrea Vaccaro in una pubblicazione monografica – auspica-
ta dallo stesso Pacelli – che è sempre più necessaria per porre ordine nella vasta mo-
le di materiali sul pittore. Passo dunque ad esaminare molto in breve alcune delle
opere trattate da Pacelli – specialmente quelle qualificate dall’autore come inedite –
mediante una lista che sia la più stringata possibile.
p. V, tav. III, Allegoria della Pittura. Discuto e riproduco qui questo dipinto estesamen-
te all’inizio del saggio, con i riferimenti sulla provenienza e la storia attributiva.
p. VII, tav. VII, Gesù e Giovanni Battista bambini. A giudicare dalla riproduzione in
bianco e nero il dipinto sembra essere un’opera giovanile di Nicola Vaccaro, confronta-
bile con tutto il gruppo di dipinti di questa sua fase qui catalogati da Mariaclaudia Izzo.
p. 148, fig. 23, Cristo che affida agli apostoli la missione futura della fede (discusso a
p. 149, considerato inedito). È il Pasce Oves meas già a Roma, Christie’s, ed oggi
presso la Galleria Moretti di Firenze, qui discusso e illustrato.
pp. 150-151, fig. 25, Sant’Agata condotta al martirio (discusso a p. 149, considerato
inedito). È il dipinto a Parigi, Galerie Giovanni Sarti, qui discusso e illustrato.
p. 152, fig. 26, Riposo durante la fuga in Egitto (discusso a pp. 149-152). È una ulte-
riore versione ribaltata delle due opere di Vaccaro qui discusse e illustrate anche in
rapporto alla Fuga in Egitto di Cavallino già presso Amberes e poi presso Sotheby’s.
p. 152, fig. 27, Andata al Calvario (ma indicato a p. 152 nel testo come fig. 26, con-
siderato inedito). È il dipinto già a Roma, Finarte-Semenzato, 23-VI-2003, lotto 170;

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poi a Roma, Christie’s, 14-XII-2004, lotto 607. Il dipinto misura cm. 152,9 x 114.
p. 154, fig. 29, Sacra Famiglia (discusso a p. 152, considerato inedito). È il dipinto già
a Roma, Christie's, 22-V-2001, lotto 275, qui discusso e riprodotto.
pp. 155-156, figg. 30-31, Adorazione dei pastori (discusso a pp. 152-153, considerato
inedito). È il dipinto passato a Philadelphia, Pennsylvania, Freeman’s, 17-IV-1999,
lotto 721, con una attribuzione a ‘Circle of Massimo Stanzione’; poi a Londra, Bon-
hams, 11-XII- 2002, lotto 289, attribuito ad Andrea Vaccaro. Il dipinto misura cm.
132,1 x 184,4. Il volto del pastore a sinistra, riprodotto da Pacelli, mostra problemi
conservativi che riguardano anche altre parti del dipinto, com’era possibile osserva-
re all’esposizione della Bonhams.
p. 158, fig. 33, Sacra Famiglia con San Giovannino (discusso a pp. 153-154, conside-
rato inedito). Il dipinto è di Nicola Vaccaro, non di Andrea, e di esso esistono varie
versioni qui elencate nel catalogo critico di Nicola Vaccaro, al quale rimando per le
motivazioni dell’attribuzione. Cf. anche qui infra.
p. 159, fig. 34, Carità romana (discusso a p. 155, considerato inedito). È il dipinto re-
centemente passato a Napoli in un’asta Blindarte, qui discusso e illustrato.
p. 161, fig. 36, La cacciata di Adamo ed Eva dal Paradiso terrestre (discusso a p. 160,
considerato inedito). È il dipinto già a Roma presso Christie’s, qui discusso e illustra-
to. Pacelli vi rileva “aperture paesistiche dovute ad una personale rivisitazione del
paesaggio di Claude Lorrain e di Poussin” che io non vedo presenti: gli elementi di
paesaggio nell’opera sono minimi (l’albero al centro è quello della tentazione, dun-
que risponde ad una istanza narrativa più che formale). Non ho visto l’opera dopo la
pulitura, che ha sicuramente fornito una miglior lettura anche di questi dettagli.
p. 163, fig. 40, Assunta e Santi (discusso a p. 161, considerato inedito). È il dipinto pri-
ma a Roma presso Christie’s poi a Milano presso Sotheby’s, qui discusso e illustrato).
p. 164, fig. 41, Incoronazione della Vergine (discusso a p. 161, considerato inedito).
Ho dubbi sulla completa autografia dell’opera, che non ho visto.
pp. 166-167, figg. 45-46, due versioni della Sacra Famiglia con Sant’Anna e San Gio-
vannino (discusse a pp. 161-168, considerate entrambe inedite). I due dipinti sono
entrambi di Nicola Vaccaro, e sono versioni dell’opera omonima a Napoli, Santa Ma-
ria in Portico, qui catalogata da Mariaclaudia Izzo. Il secondo di essi è passato a Na-
poli, Blindarte, 11-XII-2008, lotto 59, e dalla sua visione diretta ho ricavato non po-
che riserve sull’autografia della sigla, che appare coeva ma più rozza di quelle che sia-
mo soliti trovare sui quadri di Andrea. Aggiungo che una ulteriore versione di que-
sta composizione, che deve aver riscosso un grande successo e che a mio avviso è ba-
sata su un originale di Andrea Vaccaro non ancora rintracciato, è a Torre del Greco,
nei depositi della Chiesa di Santa Croce (cf. Di Geronimo 2008: 136-137; 58-59).
Il contributo di Pacelli è perlopiù fatto di illustrazioni (circa venti pagine), mentre il
commento alle opere è molto, forse troppo agile, in molti casi sbrigativo. La lettura che
l’autore dà di Vaccaro è in linea con molte delle tesi ormai sedimentatesi nella critica – e
che qui si è tentato di verificare e qualificare – ma i paralleli che egli compie tra Vaccaro
e pittori come Andrea Polinori o Alessandro Turchi non mi sembrano pertinenti, spe-
cie per il primo dei due. Poi Turchi, mediante i suoi legami con Gimignani, può essere
anche indicato come un esponente di quel classicismo del quale Vaccaro è in fin dei con-
ti parte, ma non sembra credibile che di questo pittore Vaccaro abbia sentito il bisogno
di imitare i lavori più caravaggeschi e di piccolo formato come la Deposizione della Bor-
ghese, un quadro del 1617 il cui fondo è scuro non solo per scelte legate al tardo cara-

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vaggismo, ma soprattutto per essere stato eseguito su lavagna [l’invenzione della Ma-
donna con Bambino con San Giovanni e San Francesco pubblicata da Pacelli con l’attri-
buzione a Turchi, considerata inedita (p. 147; 146, fig. 19) e confrontata con lo stile di
Vaccaro, è situata dalla critica nel periodo veronese dell’Orbetto (cf. G. Peretti in Mo-
stra Verona 1999: 237, n. 82, che elenca dieci versioni note oltre quella del Museo di Ca-
stelvecchio e “altri esemplari in collezione privata”)].
Piuttosto bisognerà registrare una sintonia di Vaccaro con le opere mature di Turchi,
non a caso vicine a quelle dei pittori classicisti qui chiamati in causa per Vaccaro. È
curioso che Pacelli non citi un esempio che rafforzerebbe la sua tesi: la Cacciata di
Adamo ed Eva di Turchi a Los Angeles, collezione privata, in cui l’angelo sembra
quasi una versione ribaltata della figura nell’opera omonima di Vaccaro da lui stesso
riprodotta a p. 161, fig. 36 (per l’opera di Turchi cf. D. Scaglietti Kelescian in Mostra
Verona 1999: 152-153, n. 40, che data l’opera alla prima metà del quarto decennio del
Seicento e pone la figura dell’angelo in rapporto con modelli tratti dall’antico).
Nel discutere e riprodurre molte opere Pacelli adotta un metodo che non è più in li-
nea con i requisiti della letteratura scientifica corrente poiché – come ho qui rapida-
mente riassunto – in molti casi egli considera come inediti dipinti transitati sul mer-
cato e pubblicati in cataloghi di aste o di antiquari. Il transito delle opere sul merca-
to va registrato anche dalla letteratura scientifica, sia per la conoscenza della prove-
nienza e dei movimenti delle opere suddette, sia perché le attribuzioni nei cataloghi
di aste ed esposizioni antiquarie sono pubblicazioni a tutti gli effetti, che confluisco-
no nelle biblioteche specializzate e negli archivi telematici in rete. In altre parole, le
pubblicazioni relative ad opere sul mercato sono letteratura al pari di ogni altro sag-
gio scientifico. Letteratura diciamo così ‘applicata’, ma letteratura. Considerare ine-
diti dipinti per i quali esistono attribuzioni già formulate in queste pubblicazioni o
archivi significa non considerare il lavoro di esperti – per la chiarezza, io stesso lo so-
no stato – che hanno prodotto, anche se perlopiù nell’anonimato, ricerche serie e dif-
ficili in tempi spesso molto brevi, e in molti casi centrano l’attribuzione di opere che
dopo non si possono considerare inedite. Questo lavoro va riscontrato, verificato e,
aggiungo, anche riconosciuto e rispettato. Il lavoro accademico è più lento perché
non consente sconti o scorciatoie: il dovere della completezza – quella umanamente
possibile, è chiaro – è ancor più grande per chi produce letteratura scientifica. Inol-
tre, in un momento in cui da più parti si invoca una maggior trasparenza di rapporti
tra ricerca applicata al mercato e ricerca – diciamo così – ‘pura’, non si può accettare
che il mercato sia trattato come un pozzo oscuro, dal quale pescare informazioni sen-
za riconoscerne (o anche disconoscerne, se necessario) il valore.
Negli studi napoletani questa attitudine non è rara, e si potrebbero fare molti esem-
pi di contributi di prolifici amateurs che da anni pubblicano disinvoltamente e di
continuo opere per le quali case d’asta e antiquari hanno prodotto materiali anche
inediti (ormai basta solo uno scanner, e il gioco è fatto). Cambiare quest’attitudine è
importante; serve per immettere finalmente anche gli studi napoletani in un circuito
meno provinciale, e di questa esigenza c’è oggi più che mai un gran bisogno. Spero
che l’amico Pacelli non me ne vorrà per questa tirata, che sentivo necessaria poiché
tocca un nervo scoperto del nostro mondo scientifico e professionale del quale an-
ch’egli è parte integrante ed autorevole.
Riccardo Lattuada

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Sartori 1993 Christie’s Roma 21-XI-1995


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Rudolph 1995A
Schütze 1996
Stella Rudolph, Una visita alla capanna del pastore Disfilo ’Primo
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1994 (1995), pp. 387-415.
Cappellieri 1997
Rudolph 1995B Alba Cappellieri, Filippo e Cristoforo Schor, «Regi Architetti e Inge-
Stella Rudolph, Niccolò Maria Pallavicini. L’ascesa al Tempio della gneri» alla Corte di Napoli (1683-1725), in Capolavori in festa. Ef-
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Schleier 1995A
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Barrella 1996
Facecchia 1997
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Laura Facecchia, Andrea Perrucci. Le opere napoletane, a cura di
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Bologna 1996A
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chiarimento sul suo esordio «Studi in onore di Michele D’Elia» a cu- Capolavori in festa. Effimero Barocco a largo di Palazzo 1683-1759,
ra di Clara Gelao. Matera 1996, pp: 353-365. catalogo della mostra, Napoli, Electa Napoli, 1997.
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1996. ta, 1999.

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Siracusano 1997 Freeman’s Philadelphia, Pensylvania, Art Auction, 17-IV-1999.
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Tamburini 1997
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G. Borrelli 1998
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Christie’s Roma. Dipinti antichi. Arte del XIX secolo, 26 Maggio e 2 Pestilli 1999
Giugno 1998, Roma 1998. Livio Pestilli, “Ad arma ad arma”: una rilettura della cosiddetta
Delfino 1998 “Allegoria della pace tra la Francia e l’Inghilterra” di Paolo de Mat-
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Sotheby’s Londra 9-VII-1998 John T. Spike, Mattia Preti. Catalogo ragionato dei dipinti, Comune
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Sotheby’s Londra 14-X-1998 Twenty Important Neapolitan Baroque Paintings 1999


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Barroero–Susinno 1999
Voss 1999
Liliana Barroero-Stefano Susinno, Roma arcadica capitale universa-
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178. A.G. De Marchi, Venezia, Neri Pozza Editore, 1999.
Bonhams Londra 11-XII-1999 Mostra Nettuno 1999-2000
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Causa Picone 1999 Carrella 2000
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Christie’s Roma 5-VI-2000
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Dall’Ombra 2000
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Lattuada 2000
Riccardo Lattuada, Francesco Guarino da Solofra. Nella pittura na- Sotheby’s New York 25-I-2001
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Deanna Lanzi-Jadranka Bentini, I Bibiena: una famiglia europea, a Bellucci-Mancini 2002
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Silvia Battistini e Alessandra Cantelli, Venezia, Marsilio, 2000. Musica, a cura di Ermanno Bellucci e Giorgio Mancini, III, Napoli,
Il Quartiere Edizioni, 2002.
Mostra Roma 2000
L’Idea del Bello. Viaggio per Roma con Giovan Pietro Bellori, cata- Christie’s Roma 18-VI-2002
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2002.
Mostra Conversano 2000
Paolo Finoglio e il suo tempo. Un pittore napoletano alla corte degli Izzo 2002A
Mariaclaudia Izzo, Nicola Vaccaro (1640-1709), ricerca di dottorato
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nos», 1, 2000, pp. 113-116.
Izzo 2002B
Sotheby’s Londra 6-VI-2000 Mariaclaudia Izzo, Nicola Vaccaro impresario, librettista e scenografo
Sotheby’s London. Old Master Paintings Part II, 6 July 2000, Lon- del pubblico teatro di Napoli San Bartolomeo dal 1683 al 1689, «Ricer-
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Christie’s, Londra, South Kensington, 13-VII-2001 Mostra Napoli 2002
Christie’s London, South Kensington, Old Master Pictures, 13 July Micco Spadaro: Napoli ai tempi di Masaniello, a cura di Brigitte Da-
2001, Londra 2001. prà, catalogo della mostra, Napoli, Electa Napoli, 2002.

Christie’s, Roma, 22-V-2001 Napoli 2002


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Christie’s Roma 12-XII-2001 poli e Provincia, Soprintendenza Speciale per il Polo Mussale di Na-
Christie’s Roma. Dipinti e Disegni Antichi Arte del XIX secolo, 6 e poli. Napoli, Paparo Edizioni 2002.
12 Dicembre 2001, Roma 2001.
Sotheby’s New York 24-I-2002
Fagiolo dell’Arco 2001 Sotheby’s New York, Important Old Master Paintings European
Maurizio Fagiolo dell’Arco, Pietro da Cortona e i ’cortoneschi’, Mi- Works of Art, 24 January 2002, New York 2002.
lano, Skira, 2001.
Christie’s Roma 18-VI-2003
Mostra Napoli 2001 Christie’s Roma. Dipinti e Disegni Antichi, 18 Giugno 2003, Roma
Luca Giordano 1634-1705, catalogo della mostra, Napoli, Electa 2003.
Napoli 2001.
Di Domenico 2003
Mostra Roma 2001 Laura Di Domenico, Un’aggiunta al catalogo di Andrea Vaccaro e
Orazio e Artemisia Gentileschi, catalogo della mostra, Milano, Ski- alcune considerazioni sui rapporti con il Cavallino, «Confronto», n.
ra, 2001. 2, 2003, pp. 129-132.

313
Ferrari-Scavizzi 2003 Coliva 2004
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inediti, Napoli, Electa Napoli, 2003. cura di Anna Coliva, Milano, Silvana Editoriale, 2004.
Finarte-Semenzato Roma 23-VI-2003 de Frutos Sastre 2004
Finarte-Semenzato Roma, Gli Arredi di Palazzo Lazzaroni: Mobili, Leticia de Frutos Sastre, Noticias sobre la historia de una dispersión:
Dipinti, Oggetti d’Arte, Avori, Tappeti, 23 Giugno 2003, Roma el Altar de pórfido del VII marqués del Carpio y un lote de pinturas,
2003. «Ricerche sul ’600 napoletano. Saggi e documenti 2003-2004, rubri-
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Gregorio Preti da Taverna a Roma, 1603-1672. Un pittore riscoper- Lattuada 2004
to e l’ambiente artistico nella Presila tra ’500 e ’700, a cura di C. Car- Riccardo Lattuada, Attribuzioni a Christian Berentz, Rosa da Tivo-
lino, Reggio Calabria, Iiriti editore, 2003. li, Luciano Borzone, Charles Mellin e Luca Giordano per i dipinti
Izzo 2003 della Pinacoteca Comunale di Macerata, in Per la storia dell’arte in
Mariaclaudia Izzo, Una ’Assunta’ di Andrea Malinconico a Calviz- Italie e in Europa, a cura di Mimma Pasculli Ferrara, 2004, pp. 364-
zano, «Napoli Nobilissima», V serie, IV, fasc. I-II, Gen-Apr, 2003, 373.
pp. 21-26. Mostra Milano 2004
Mostra Cosenza 2003 Anton van Dyck. Riflessi italiani, catalogo della mostra, a cura di
Anteprima della Galleria Nazionale di Cosenza, catalogo della mo- Maria Grazia Bernardini, Milano, Skira, 2004.
stra, a cura di Rossella Vodret, Milano, Silvana Editoriale, 2003. Schleier 2004
Mostra Genova-Salerno 2003 Erich Schleier, Laurea Honoris Causa in Conservazione dei Beni
Metamorfosi del Mito. Pittura barocca tra Napoli Genova e Venezia, Culturali a Erich Schleier. Seconda Università degli Studi di Napo-
catalogo della mostra, a cura di Mario Alberto Pavone, Milano, Elec- li, 28 giugno 2000, Avellino, Elio Sellino Editore, 2004.
ta, 2003.
Acordon 2005
Porro & C. Bologna 15-XI-2003 Quaderni di Villa Durazzo di Santa Margherita Ligure. I dipinti, a
Porro & C., Asta di Dipinti Antichi, Mobili e Oggetti d’Arte dal cura di Angela Acordon, Genova, San Giorgio Editrice, 2005
fallimento del gruppo Nadini S.p.a. già parte della Collezione Biz-
Christie’s Londra South Kensington 6-VII-2005
zini, parte I, 15 Novembre 2003, Bologna 2003.
Christie’s South Kensington, Old Master Pictures, 6 July 2005, Lon-
Spinosa 2003 dra 2005
Nicola Spinosa, Ribera. L’opera completa, Napoli, Electa Napoli,
2003. Sotheby’s Milano 29-XI-2005
Sotheby’s Milano, Dipinti Antichi, 29 Novembre 2005, Milano 2005.
Bocchi (2004)
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a cura di Giulio e Ulisse Bocchi, Viadana, senza data (2004) Christie’s New York. Important Old Master Paintings, 26 January
2005, New York 2005.
Bugli 2004
Marialuigia Bugli, Da Capodimonte a Palazzo Grande a Chiaia. La Christie’s Roma 15-VI-2005
collezione d’Avalos ’torna’ nella prestigiosa dimora, «Ricerche sul Christie’s Roma, Dipinti Antichi, 15 Giugno 2005, Roma 2005.
’600 napoletano. Saggi e documenti 2003-2004», 2004, pp. 7-54. Donadio-Pacelli-Speranza 2005
Christie’s Londra, South Kensington 9-VII-2004 Laura Donadio, Vincenzo Pacelli, Fabio Speranza, Santa Maria del-
Christie’s London, South Kensington, Old Master Pictures, 9 July la Pietà dei Turchini. Chiesa e Real Conservatorio, Napoli, Paparo
2004, Londra 2004. Edizioni, 2005.

Christie’s New York 23-I-2004 Loire 2006


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Christie’s Roma 16-VI-2004 Magnani 2006


Christie’s Roma, Dipinti e Disegni Antichi, 16 Giugno 2004, Roma Lauro Magnani, 1666: un’inedita committenza genovese per Rem-
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