Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
E REPRESSIONE CRIMINALE
IN ROMA ARCAICA
a cura di
LUIGI GAROFALO
ESTRATTO
Copyright 2013
ISBN 978-88-243-2298-0
JOVENE EDITORE
Via Mezzocannone 109 - 80134 NAPOLI NA - ITALIA
Tel. (+39) 081 552 10 19 - Fax (+39) 081 552 06 87
web site: www.jovene.it e-mail: info@jovene.it
I diritti di riproduzione e di adattamento anche parziale della presente
opera (compresi i microfilm, i CD e le fotocopie) sono riservati per tutti
i Paesi. Le riproduzioni totali, o parziali che superino il 15% del
volume, verranno perseguite in sede civile e in sede penale presso i
produttori, i rivenditori, i distributori, nonch presso i singoli
acquirenti, ai sensi della L. 18 agosto 2000 n. 248. consentita la
fotocopiatura ad uso personale di non oltre il 15% del volume
successivamente al versamento alla SIAE di un compenso pari a quanto
previsto dallart. 68, co. 4, L. 22 aprile 1941 n. 633.
Printed in Italy Stampato in Italia
ALBERTO RAMON
1.
Note introduttive.
riferimento alla sacert, v. il saggio di C. PELLOSO, Sacert e garanzie processuali in et regia e proto-repubblicana, in questo volume, con la bibliografia correlata; fondamentali sono tuttavia P. VOCI, Diritto sacro romano in et arcaica in SDHI,
XIX, 1953, passim; S. TONDO, Il sacramentum militiae nellambiente culturale romanoitalico, in SDHI, XXIX, 1963, passim; G. BASSANELLI SOMMARIVA, Proposta per un
nuovo metodo di ricerca nel diritto criminale (a proposito della sacert), in BIDR,
LXXXIX, 1986, 367 ss.; B. ALBANESE, Sacer esto, in BIDR, XCI, 1988, passim; R.
FIORI, Homo sacer, Dinamica politico-costituzionale di una sanzione giuridico-religiosa,
Napoli, 1996, passim; E. CANTARELLA, I supplizi capitali. Origine e funzioni delle pene
di morte in Grecia e a Roma, Milano, 2011, 287 ss.; G. CRIF, Problemi dellaqua et
igni interdictio, in Lesclusione dalla citt. Altri studi sullexilium romano, Perugia,
1985, 31 ss.; L. GAROFALO, Sulla condizione di homo sacer in et arcaica, in SDHI, L,
1990, 223 ss. (ora in Appunti sul diritto criminale nella Roma monarchica e repubbli-
146
ALBERTO RAMON
147
148
ALBERTO RAMON
149
mente in capo alla figura carismatica del pater una potenza numinosa tanto da rispettarlo al pari di una divinit, poich tale
sarebbe divenuto al momento della morte, subendo un accrescimento di quella forza magico-religiosa di cui era dotato gi in
vita , deve ritenersi che solo loltraggio rivolto al medesimo
avesse la forza di scatenare lira degli antenati defunti, nella cui
cerchia lo stesso doveva ricomprendersi, seppur solo in potenza9.
9 Sul
tema, v. P. DE FRANCISCI, Primordia, cit., 152, per cui la posizione del pater allinterno della familia gli deriva dalla credenza nella potenza di colui che lincarnazione del genius, generatore del gruppo che di padre in figlio ne assicura la continuit: il pater animato da unenergia misteriosa e produttiva che gli assicura unindiscutibile situazione di preminenza, inattaccabile dai membri del gruppo; v. anche S.
TONDO, Il sacramentum, cit., 40. Di certo, quanto detto assumerebbe maggior valore
interpretando come io credo il riferimento alla verberatio in senso estensivo, comprendendovi non solo la semplice fustigazione, ma pi in generale ogni azione
volta a mettere in discussione il potere del padre allinterno della familia: e ci nella
piena consapevolezza che lesatta etimologia del termine non aiuta a dilatarne il significato oltre lutilizzo violento delle verghe (verbero ha chiaramente il significato di
batto con le verghe, maltratto, in quanto tratto da virbas, verga, a sua volta originato
da ver, ramo, primavera: G. SEMERANO, Le origini della cultura europea, II.2, Firenze,
1994, 608 s.). Tuttavia, la tradizione giuridica pu fornire elementi utili a comprendere
il valore simbolico che la verberatio assumeva nello stadio primevo della societ romana, allorquando le virgae fungevano da strumento attraverso il quale il padre puniva
i sottoposti, il mezzo esclusivo di attuazione dello ius corrigendi domestico, tanto che
le fruste erano comparabili, per valore evocativo, ai fasci littori della civitas, simbolo
dellimperium del rex e in seguito del magistrato (v., sullargomento, E. TASSI SCANDONE, Verghe, scuri e fasci littori. Contributi allo studio degli insigna imperii, PisaRoma, 2001, passim). Specialmente per coloro che credono (e mi riferisco in particolare a U. COLI, Regnum, in SDHI, XVII, 1951) che la civitas abbia assimilato molti elementi dalla familia, e viceversa, in un continuo scambio di valori e simboli tra due
istituzioni coeve e indipendenti tra loro (parallele, per usare la terminologia dellautore), non stupisce certo che nei fasci littori, rappresentanti il potere regale, fossero
presenti la securis, la scure con la lama verso lesterno, e le virgae, le verghe di olmo e
di betulla utilizzate per flagellare il condannato prima della decapitazione: due diversi
simboli tenuti assieme da una cinghia di colore rosso, a riconoscimento dellautorit di
pater populi impersonata dal rex, titolare di quello ius gladi cos fortemente richiamante lo ius vitae ac necis. Agli occhi delle genti romane, abituate fin dalla nascita a
sottostare allautorit assoluta del pater, pi che la securis, dovevano essere perci le
virgae a infondere rispetto e sottomissione. Quindi, non credo di allontanarmi molto
dal vero nellaffermare che il riferimento al verberare del puer e della nurus contro il
capo della domus significasse non solo arrecare unoffesa fisica al padre, ma soprat-
150
ALBERTO RAMON
151
152
ALBERTO RAMON
modo che nella fattispecie in discussione il puer e la nurus entrassero in potestate deorum in forza della semplice verberatio,
seguita dallinvocazione del parens malmenato. Donde lesigenza
di abbandonare lintegrazione testuale in precedenza riportata, al
fine di proporne una scevra da ogni riferimento al giudizio criminale, piuttosto volta a valorizzare linvocazione rivolta agli di
oltraggiati da parte delloffeso13.
Sicch parrebbe pi aderente allarcaico significato del sacer esto una ricostruzione del segmento mancante cos formu13 Interessanti appaiono le considerazioni svolte sulla voce Plorare da M. MONoterella festiana. A proposito di ploro, in Aevum, I, 1990, 78 ss., il quale compie una incisiva analisi filologica circa le integrazioni operate dal Lindsay nella pubblicazione, avvenuta lanno 1913 nella Biblioteca Teubneriana, del codice recante il testo
del lessicografo latino rinvenuto per opera di Manilio Rallo. In riferimento al testo
delle due leges regiae, che il manoscritto presenta come di Romolo e Tito Tazio in relazione alla nurus e di Servio Tullio in relazione al puer , lo studioso ritiene evidente che la seconda legge debba seguire la prima dal punto di vista sia logico, che
cronologico; levento del figlio che percuote il genitore rappresenta il caso generale:
il caso della nuora che percuote uno dei suoceri rappresenta unestensione particolare
del primo, e richiede quindi lesistenza di una norma che commina questa particolare
forma di maledizione rappresentata dalla formula sacer esto al giovane che abbia percosso il padre o la madre. Cosicch il testo riguardante le percosse inferte al parens,
sempre secondo il Morani, deve essere attribuito a unepoca precedente rispetto allaltro. Quanto invece allintegrazione finale dix<erit diem>, lautore si dice certo
trattasi di una contraddizione in termini: il genitore non fissa il giorno della causa in
tribunale, sia perch questo sarebbe da un punto di vista psicologico assai poco consono col tono di elevata drammaticit della scena evocata nella legge, sia perch il fissare la causa in tribunale realizzerebbe una conclusione dellavvenimento che si mantiene ancora nei confini dello ius, senza che la formula di maledizione abbia alcuna ragione dessere, e quindi senza che levento riesca ad uscire dallambito del diritto
umano per entrare nella sfera del fas tramite la consegna del puer o della nurus agli di
oltraggiati. Per tali ragioni, lo studioso suggerisce di leggere lintegrazione del Lindsay
clamarit diu<om atque hominum fidem> o, pi semplicemente e coerentemente con
lo spazio lasciato dalla piccola finestra, diu<om fidem>: cos valorizzando in modo
del tutto condivisibile linvocazione che il parens verberatus doveva rivolgere alle divinit parentali affinch si ricomponesse, in forza della caduta in sacert dellautore del
misfatto, la pax deorum. Si pone in contrasto con quanto sin qui esposto M. FIORENTINI, La citt, i re e il diritto, in La leggenda di Roma, III.La costituzione, Torino, 2011,
354 ss., il quale sembra accogliere il riferimento alla chiamata in giudizio del puer e
della nurus verberantes in tribunale per linstaurazione di un giudizio costitutivo di sacert.
RANI,
153
qui proposta, a dire il vero, non mia, essendomi stata suggerita da Carlo Pelloso durante uno dei nostri frequenti confronti sul tema della verberatio parentis.
15 Limprescindibile dizionario etimologico A. ERNOUT - A. MEILLET, Dictionnaire etymologique de la langue latine, Paris, 1951, 427, sotto la voce fleo riporta che
les grammairiens le diffrencient de lacrimare, plorare, cfr. Differ. ed Beck, 66, 3: lacrimare levis strictura cordis est, flere gravioris affectus est, plorare violentioris; dello
stesso avviso G. SEMERANO, Le origini, cit., 521, che riconduce lantico verbo ploro a
piango, esplodo in lacrime, in singhiozzi, in grida, rimpiango, imploro, supplico piangendo, chiedo tra le lacrime e G. BONFANTE, I verbi di piangere in latino e nelle lingue romanze, in Archivio glottologico italiano, LXII, 1977, 98 ss., secondo cui in latino piangere si diceva flere, plorare, lacrimare. La pi antica attestazione per plorare, che appare gi nelle leges regiae di Romolo e Tito Tazio e di Servio Tullio, con il
senso di piangere urlando. Con riferimento alloriginario significato di gridare,
nel tempo abbandonato in favore di piangere, si veda il contributo di G. MAZZOLI,
Etimologie per dissimulazione: lat. exploro, plaustrum, in Paideia, XXXVIII, 1983,
211 ss. dove viene accolta, con riferimento alletimologia di ploro, la tesi avanzata da
O. SZEMERNYI, Si parentem puer verberit, ast olle plorassit, in Beitrge zur alten Geschichte und deren Nachleben, Festschrift F. Altheim, I, Berlin, 1969, 173 ss., dallo
stesso autore in questi termini condensata: il latino ha ereditato, o formato da una
base verbale ereditata, il verbo oro, significante in origine gridare. Questo significato
si indebol in parlare, forse gi nel VII-VI sec. a.C., (cfr. etrusco uru); il successivo
sviluppo in pregare, quasi soppiantato da rogo, ecc., venne riportato in vita dalluso
cristiano. Loriginario gridare sopravvisse solo nella frase *pro oro grido: avanti!, poi
unificata in *proro con successiva dissimilazione in ploro. Il senso tecnico di clamor
tese a essere pi esattamente definito da un avverbio, e gi nelle XII Tavole la funzione
originale di ploro largamente assunta da endoploro grido dentro, forma primitiva del
classico imploro. Ci lasci ploro libero per ulteriore sviluppo nei sensi di piangere, lamentarsi. Ritiene che il verbo plorare sia stato utilizzato da Festo con unaccezione
pi forte rispetto a piangere anche M. MORANI, Nota festiana, cit., 82, l dove sostiene
che il valore primitivo fosse quello di lamentarsi protestando (minacce, invocazioni
di aiuto, richieste di compassione, o qualunque altra cosa), come fa appunto chi viene
percosso. Significato, questo, che troverebbe conferma indirettamente dallanalisi del
valore esatto di clamo, glossato nellepitome con conviciis et maledictis persequi: il che
svelerebbe come presso gli antichi plorare valesse plane inclamare. In taluni testi
classici, osserva sempre il Morani, si rinverrebbero degli esempi in cui clamo viene
usato in un senso vicino a quello di chiamare a testimonio, tra cui un passo dellorazione ciceroniana pro Murena (Cic. pro Mur. 37.78) ove si trova lespressione clamo
154
2.
ALBERTO RAMON
A questo punto, definito lambito di efficacia delle leges regiae relative al parens verberatus, opportuno dare un resoconto
delle principali opinioni dottrinali avanzate a giustificazione
della necessit della ploratio per il perfezionamento della fattispecie in parola: invocazione, questa, non ravvisabile nelle altre
norme comminanti la sacert, le quali prevedevano limmediata
consecratio del colpevole, senza richiedere il pronunciamento di
alcunch da parte del soggetto offeso (faccio riferimento, in specie, alla violazione della fraus nel rapporto clientelare)16.
Il tentativo di ricondurre le varie teorie nel tempo espresse
in un unico schema riassuntivo porta a rintracciare tre filoni interpretativi: per il primo, la ploratio era un grido emesso dal vecchio pater ormai privo della capacit di opporsi allaggressione
del sottoposto, al fine di chiamare nel luogo i parenti e i vicini affinch accorressero in suo soccorso17 o, al limite, per rendere
atque testor con una ridondanza volta a conferire maggior vigore allespressione per
mezzo dellaccostameto di due parole fra loro sinonime. Alla luce di siffatte considerazioni, lo studioso giunge a ritenere che, attraverso la pronuncia dellinvocazione, il
parens denunciasse il carattere abnorme dellavvenimento, chiamando gli di a testimonio di ci che sta subendo e perseguendo il figlio con una formula di maledizione.
Degna di interesse, infine, risulta la voce festina Sub vos placo (Lindsay 402): sub vos
placo in precibus fere cum dicitur significat id quod supplico, ut in legibus: transque dato
et endoque plorato; piace leggere in essa, l dove il verbo placare risulta posto in correlazione con lespressione endoque plorato, propria in realt della norma decimtabulare a sanzione del furto diurno (v. infra), il riferimento alla possibilit di placare le divinit cos ristabilendo la pace celeste nei casi di commissione di scelera inexpiabilia
attraverso una supplica, un grido rivolto ai medesimi numi oltraggiati.
16 Dion. Hal. 2.10.3; Serv. Verg. Aen. 6.609: aut fraus innexa clienti ex lege XII
tabularum venit, in quibus scriptum est patronus si clienti fraudem fecerit sacer esto; in
letteratura, v. R. FIORI, Homo sacer, cit., 225 s; F. SERRAO, Patrono e cliente da Romolo
alle XII Tavole, in Studi in onore di A. Biscardi, VI, Milano, 1987, 293 ss.
17 L. PEPPE, Note minime intorno alla nozione di homo sacer, in SDHI, LXXIII,
2007, 433, secondo cui lanziano discendente maltrattato che no sa o non pu
punirepu solo chiedere aiuto. evidente il riferimento a Cic. Tull. 21.50: furem,
hoc est praedonem et latronem, luci occidi vetant XII tabulae; cum intra parietes tuos
hostem certissimum teneas, nisi se telo defendit inquit, etiam si cum telo venerit, nisi
155
156
ALBERTO RAMON
157
158
ALBERTO RAMON
159
tae ac necis, per le ragioni che si diranno oltre, sia nel comizio
cittadino, la cui giurisdizione nellambito dellordinamento religioso familiare fortemente dubbia28.
Rimane, a questo punto, da prendere in considerazione la
tesi secondo cui la ploratio troverebbe la propria ragion dessere
nel concedere al padre la possibilit di decidere, sulla base di una
personale valutazione circa il livello di offensivit della verberatio,
se consacrare o meno il figlio e la nuora alle divinit ctonie della familia: tale prospettiva si basa sulla ragionevole considerazione secondo la quale sarebbe insensato lassoggettamento a una sanzione cos estrema di una qualsiasi azione di ribellione al paterfamilias, tra cui i litigi pi banali, sfocianti in una reazione avverso
il capo familiare non particolarmente lesiva29.
28 Di
recente, ha rimarcato la necessit di mantenere nettamente separata la giurisdizione degli uomini da quella divina F. ZUCCOTTI, Dallarcaica sacert, cit., 1562 ss.
29 Sul punto, conviene puntualizzare come si contrappongano due opposte visioni in merito alla necessit o meno di pronunciare la ploratio a seguito della condotta
violenta del puer e della nurus: da una parte, si sostiene che al paterfamilias spettasse il
potere di delimitare discrezionalmente i confini del sacro, potendo scegliere in quali
casi la verberatio comportasse inevitabilmente la rottura della pax deorum, con la doverosa consegna del colpevole ai divi parentum. In questo modo si sono espressi Garofalo, per cui proprio per evitare linesorabile e indiscriminata caduta in sacert del
puer allatto del verberare, comportante la possibilit per chiunque dimpunemente ucciderlo magari contro la volont dello stesso pater , si fosse stabilito che il puer non
incorresse nella sacert in mancanza del plorare della vittima (L. GAROFALO, Appunti,
cit., 29), e Albanese, il quale sostiene che in certi casi il comportamento violento del
puer poteva esser stato valutato dalla vittima in modo tale da non implicare la gravissima sanzione: e ci sarebbe stato concretato in una rinunzia al richiamo dinvocazione (B. ALBANESE, Sacer esto, cit., 154). Dallaltra parte, al contrario, si ritiene che
il pater, dinanzi a un particolare atteggiamento violento del puer e della nurus, inquadrabile entro uno di quei casi che la tradizione familiare aveva consolidato come cause
di rottura della pax deorum, non avesse avuto altra scelta che pronunciare linvocazione magica (di questa opinione mi pare F. ZUCCOTTI, In tema, cit., 449). A ben vedere, entrambe le visioni non si presentano prive di problematicit: la prima nel momento in cui ammette un eventuale perdono del padre, in grado di lavare di dosso al
figlio e alla nuora la colpa intrinseca nella verberatio investe il pater stesso di un fortissimo potere di ingerirsi nellambito sacrale con una sua personalissima valutazione
circa la gravit del comportamento filiale, quasi che soltanto dal suo verdetto dipendesse la collera delle divinit familiari; la seconda, invece, presupponendo limmediata
160
ALBERTO RAMON
161
162
ALBERTO RAMON
163
164
ALBERTO RAMON
165
Pur correndo il rischio di un approccio semplicistico, possibile ricondurre il legame tra la comunit familiare e quella sovrannaturale a una sorta di pactum, la cui violazione consistente nel mancato rispetto dei dettami del legalismo religioso
da qualunque membro della familia provenisse comportava una
situazione di squilibrio, con la conseguente responsabilit solidale dellintera collettivit. Losservanza delle norme religiose era
a tutti richiesta, anche al pater, sicch la verberatio parentis,
quando fosse stata di gravit tale da offendere la divinit, alla
luce delle circostanze concrete dellatto valutate dal padre-sacerdote, non poteva certo esser lasciata impunita, rendendosi invero
necessario ristabilire lo stato di armonia con la sfera divina: risultato che va escluso potesse raggiungersi tramite lesercizio
dello ius vitae ac necis avverso il filiusfamilias colpevole, stante il
carattere prettamente laico di questultima sanzione.
Stando cos le cose, mi sembra si debba escludere leventualit di un concorso tra la potestas punitiva del paterfamilias e
quella degli di: la consegna dellhomo sacer ai divi parentum, nel
caso la fattispecie del si puer verberit si fosse perfezionata tramite la pronuncia della ploratio paterna, era lunica possibilit che
la familia aveva per ristabilire la pax deorum ed evitare di venir
contagiata dallimpurit dellautore delloltraggio.
Pertanto, a fronte di una condotta offensiva ritenuta in
grado di sprigionare la vendetta divina sul gruppo familiare, il
pater non aveva altra alternativa che pronunciare la ploratio, e
con ci rendere il puer e la nurus sacri ai Manes: grida che venivano emesse si pu ipotizzare subito dopo o durante la verberatio, senza che ci fosse il tempo di instaurare alcun giudizio
costitutivo della sacert. Quindi, essendo questultima il solo
modo per placare gli di, non si poneva alcun concorso tra due
diverse potest sanzionatorie.
Daltra parte, la pronuncia dellimprecazione, per usare il
lessico processualistico moderno, esauriva sia il momento della
cognizione posto che il padre era chiamato, in quanto interprete e al tempo stesso autore del legalismo religioso familiare, a
166
ALBERTO RAMON
valutare il perfezionamento dello scelus sia il momento dellesecuzione, rappresentando la sacert stessa, che ricadeva immediatamente sul colpevole per mezzo dellinvocazione paterna, la
pena per lo scelus commesso. La consecratio capitis, infatti, comportava di per s luscita del reo dalla comunit di appartenenza
e il suo passaggio nella potest delle divinit parentali35; essa, insomma, scioglieva la potestas paterna sul filius e sulla nurus verberantes affinch questi entrassero sotto il dominio dei divi parentum, che potevano poi liberamente scegliere il destino da assegnare loro: luccisore dellhomo sacer, conviene puntualizzare,
era soltanto un esecutore della volont divina, per mezzo del
quale la divinit disponeva di una res in loro propriet36.
Quanto detto non porta a escludere, tuttavia, che in tema di
sacert sorgesse talvolta un concorso di giurisdizioni, corrispondenti a diversi ordinamenti religiosi; anzi, ritengo che una situazione del genere si presentasse ogniqualvolta una condotta illecita
violasse precetti religiosi di ordinamenti diversi: il caso paradigmatico sembrerebbe essere quello della violazione dei confini 37.
35 Sulla capacit delle divinit di essere titolari di situazioni giuridiche analoghe
alla propriet, v. G. IMPALLOMENI, Sulla capacit degli esseri soprannaturali in diritto romano, in Studi in onore di E. Volterra, III, Milano, 1971, 23 (nonch in ID., Scritti di diritto romano e tradizione romanistica, Padova, 1996, 227 ss.).
36 V., in proposito, L. GAROFALO, Appunti, cit., 29; contra, F. ZUCCOTTI, Dallarcaica sacert, cit., 1559 ss.
37 Dion. Hal. 2.74.3: eij dev ti" ajfanivseien h] metaqeivh tou;" o{rou", iJero;n ejnomoqevthsen ei\nai tou` qeou` to;n touvtwn ti diapraxavmenon, i{na tw`/ boulomevnw/ kteivnein
aujto;n wJ" iJerovsulon h{ te ajsfavleia kai; to; kaqarw`/ miavsmato" ei\nai prosh`/; Paul.Fest. voce Termino (Lindsay 505): Termino sacra faciebant, quod in eius tutela fines
agrorum esse putabant. denique Numa Pompilius statuit, eum, qui terminus exarasset, et
ipsum et boves sacros esse. In letteratura, v. S. TONDO, Il sacramentum, cit., 35 s., che,
aderendo allopinione di E. SAMTER, Die Entwicklung des Terminuskultes, in Archiv fr
Religionswissenschaft, XVI, 1913, 140 ss., pone in luce linesattezza del riferimento a
Iuppiter Terminus, intendendo la sacert siccome avente specifico riferimento al particolare Terminus colpito dalla illecita rimozione. V. altres B. ALBANESE, Sacer esto,
cit., 155 s; B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 9; L. GAROFALO, Appunti, cit., 8 s.; R. FIORI,
Homo sacer, cit., 204 s.; F. ZUCCOTTI, Dallarcaica sacert, cit., 1572 ss.; G. PICCALUGA,
Terminus. I segni di confine nella religione romana, Roma, 1974, 112 ss.; G. MACCORMACK, Terminus motus, in RIDA, XXVI, 1979, 249.
167
168
ALBERTO RAMON
169
170
ALBERTO RAMON
171
il capo dellordinamento familiare, ma lintera comunit domestica, in forza del principio della solidariet di gruppo46.
3.
172
ALBERTO RAMON
173
Giova in primo luogo chiarire come la dottrina maggioritaria52 faccia discendere la consecratio capitis dalla violazione dei
reciproci doveri di patronato nonostante la mancanza di un
chiaro riferimento testuale al riguardo. Sul punto, le condotte
oggetto del vincolo di patronato sono riportate da Dionigi dAlicarnasso53, secondo cui i patroni dovevano interpretare il diritto
ed assistere e difendere i clienti in giudizio; i clienti dovevano
contribuire a dotare le figlie dei patroni, a riscattare i patroni o i
loro figli eventualmente fatti prigionieri dal nemico, a pagare le
multe inflitte ai patroni, a pagare le spese sostenute dai patroni
nellesercizio delle cariche pubbliche. Gli uni non potevano accusare gli altri o render testimonianza contraria o votare contro
gli altri o porsi dalla parte dei nemici. Lo stesso storico greco, a
tale elencazione, aggiunge che se qualcuno fosse stato riconosciuto colpevole di uno di questi delitti, sarebbe stato sottoposto
alla legge sul tradimento stabilita da Romolo e, se ritenuto colpevole di un tal crimine, sarebbe potuto essere ucciso da chiunque in quanto sacro al Dio degli inferi (qu`ma tou` katacqonivou
Diov")54.
fortemente dubbio, per, che il termine qu`ma possa alludere allhomo sacer, essendo pi corretto riferirlo al differente
concetto di sacrificium55; tuttavia, ci non esclude che proprio la
52 T. TRINCHERI, Le consacrazioni, cit., 59 ss.; P. VOCI, Diritto, 59; F. SERRAO, Patrono e cliente, cit., 293 ss.; B. SANTALUCIA, Diritto, cit., 8; F. GNOLI, Diritto penale nel
diritto romano, in Dig. disc. pen., IV, Torino, 1990, 48; B. ALBANESE, Sacer esto, cit.,
148 ss.; L. GAROFALO, Appunti, cit., 11 ss.; E. CANTARELLA, I supplizi, cit., 291 s.
53 Dion. Hal. 2.10.3: koinh`/ d ajmfotevroi" ou[te o{sion ou[te qevmi" h\n kathgorei`n
ajllhvlwn ejpi; divkai" h] katamarturei`n h] yh`fon ejnantivan ejpifevrein h] meta; tw`n
ejcqrw`n ejxetavzesqai (La traduzione di F. SERRAO, Patrono e cliente, cit., 293).
54 Dion. Hal. 2.10.3: eij dev ti" ejxelegcqeivh touvtwn ti diaprattovmeno" e[noco" h\n
tw`/ novmw/ th`" prodosiva", o}n ejkuvrwsen oJ Rwmuvlo", to;n de; aJlovnta tw`/ boulomevnw/
kteivnein o{sion h\n wJ" qu`ma tou` katacqonivou Diov" (La traduzione di F. SERRAO,
Patrono e cliente, cit., 293). Utile alla ricostruzione dei reciproci doveri di patronato
anche Plut. Rom. 13.7-8, il quale riproduce lelencazione di Dionigi dAlicarnasso,
omettendo per ogni riferimento alla conseguenza in caso di loro infrazione.
55 L. GAROFALO, Appunti, cit., 12 s. (sebbene vi siano autorevoli studiosi i quali
mostrano di ritenere che il sostantivo qu`ma esprima il concetto romano di soggetto sa-
174
ALBERTO RAMON
sacert potesse essere la conseguenza prevista da Romolo per colui che avesse infranto le prescrizioni del patronato.
La presente conclusione suggerita, infatti, non solo dal
verbo katanomavzein, usato dallo storico cario nel medesimo
passo56 nella plausibile accezione di rendere sacro57, ma soprattutto dal raffronto con un passo di Servio, l dove linclusione della fraus innexa clienti ad opera della Sibilla fra i peccati puniti nel Tartaro viene giustificata con il richiamo a un versetto delle XII tavole, il cui tenore secondo il commentatore
dellEneide avrebbe potuto essere: patronus si clienti fraudem
fecerit sacer esto58.
A ben vedere, le due disposizioni normative, reciproche dal
lato dei destinatari, possono trovare una spiegazione ipotizzando
che originariamente la sacert fosse prevista ai danni dei soli
clienti che non avessero adempiuto ai doveri di fedelt verso la
gens a cui erano applicati: solo successivamente, con il nascere
del nuovo stato patrizio-plebeo, derivante dallaccettazione da
cro, per parte mia credo che la loro opinione non meriti adesione, in quanto il significato proprio di tale vocabolo quello di vittima o di sacrificio); S. TONDO, Il sacramentum, cit., 46, per il quale il riferimento a wJ" qu`ma allude ad una uccisione in
forma rituale; B. ALBANESE, Sacer esto, cit., 148, che parla di vittima a Zeus infero.
56 Dion. Hal. 2.10.3: ejn e[qei ga;r Rwmaivoi", o{sou" ejbouvlonto nhpoini; teqnavnai,
ta; touvtwn swvmata qew`n oJtw/dhvtini, mavlista de; toi`" katacqonivoi" katanomavzein o}
kai; tovte oJ Rwmuvlo" ejpoivhse.
57 L. GAROFALO, Appunti, cit., 13.
58 Serv. Verg. Aen. 6.609: aut fraus innexa clienti ex lege XII tabularum venit, in
quibus scriptum est patronus si clienti fraudem fecerit sacer esto. Anche nella presente
fattispecie di scelus inexpiabile, riguardante la fraus del patrono ai danni del cliente, la
sacert sarebbe rivolta a un dio sotterraneo; v. al riguardo, T. MOMMSEN, Rmisches
Strafrecht, III, Leipzig, 1854 (trad. it. Firenze 19632), 566.1, il quale, al sacer esto testimoniato da Servio aggiunge Diti patri, come per lappunto testimoniato dal passo di
Dionigi dAlicarnasso (l dove parla di qu`ma tou` katacqonivou Diov"): ipotesi peraltro
non condivisibile poich, se di certo vero che la menzione a una divinit infernale
doveva per forza esserci, posto che il reo era sempre sacer alicui deorum, alquanto
dubbio che in questo caso potesse trattarsi proprio di Dis pater, vale a dire Plutone, la
cui comparsa piuttosto recente. Sul punto, P. VOCI, Diritto, cit., 59, nt. 71, il quale ritiene che la divinit a beneficio della quale era disposta la consecratio fosse Vediove;
contra, S. TONDO, Il sacramentum, cit., 41 s.
175
176
ALBERTO RAMON
177
178
ALBERTO RAMON
179
ricompreso il soggetto verberans: se chiunque, infatti, avesse potuto adempiere il mandato degli di e, in tale veste, uccidere impunemente il colpevole dello scelus, non sarebbe certo servito
alcun segno esteriore che permettesse di escludere al riguardo
lesercizio della potest punitiva domestica, competenza esclusiva del paterfamilias.
In realt, questa critica, come gi anticipato, solo apparente, essendo ragionevole pensare che nel periodo arcaico fosse
sempre il detentore della patria potestas a infliggere la morte agli
altri membri della familia: daltronde, cos come i filii colpevoli
di un crimen punito dalla civitas erano spesso affidati al relativo
pater per lesecuzione della condanna, allo stesso modo deve ritenersi che questultimo svolgesse il ruolo di carnefice nel momento di mettere a morte un suo discendente o affine precedentemente caduto in sacert64.
verosimile, allora, che lo stretto legame di patria potestas
venisse rotto solo dal suo titolare, il pater, il quale assumeva personalmente il doloroso compito di uccidere i familiari responsabili di un misfatto sia nellambito della giurisdizione domestica65,
64 A. MORDECHAI RABELLO, Effetti personali, cit., 47, del medesimo avviso, l
dove pone in luce come il fatto che Festo sottolinei divi parentum fa pensare che la
sacert si avesse solo allinterno della famiglia, e che quindi solo al pater sarebbe spettata la facolt di uccidere il figlio sacer. Esprime la medesima opinione F. ZUCCOTTI,
In tema, cit., 453, che evidenzia come leventualit che il figlio divenisse liberamente
uccidibile da parte di chiunque non sembra essere soverchiamente in sintonia con tale
situazione e, in particolare, con la specifica consacrazione di questo ai mani familiari.
65 Alcuni episodi, tre in particolare, riguardanti la messa a morte del figlio potrebbero, solo a prima vista, contraddire lasserzione secondo cui fosse sempre il padre
ad uccidere il discendente di propria mano, senza delegare ad altri latto dellinterficere. Nel primo, il console Lucio Bruto, nel 509 a.C., fece decapitare con la scure, da
parte dei littori, i suoi figli accusati di adfectatio regni, cio di congiurare per restaurare
la monarchia dei Tarquinii (Liv. 2.3-5; Verg. Aen. 6.820; Dion. Hal. 5.8.2-6; 8.79.2;
Val. Max. 5.8.1). Nel secondo, il console Tito Manlio Torquato, nel 340 a.C., condann a morte il giovane figlio colpevole di aver disubbidito allordine consolare combattendo al di fuori dello schieramento (Liv. 8.7; Cic. off. 3.31.112; Sall. Cat. 52.30;
Val. Max. 2.7.6; Oros. 3.9.2). Nellultimo, il dittatore A. Postumio Tuberto, nel 431
a.C., condann alla stessa sorte il figlio che aveva abbandonato la postazione in battaglia senza esserne autorizzato, spinto da una fortunata occasione di combattimento che
180
ALBERTO RAMON
181
182
ALBERTO RAMON
183
sarebbero stati di per s distinguibili ratione materiae dalle condotte comportanti un semplice castigo domestico, senza alcuna
necessit che intervenisse al riguardo un elemento formalistico
con funzione definitoria. Una volta che il pater avesse ereditato
dagli antenati precedenti univoci sulla necessit di consacrare ai
Manes il figlio colpevole, ad esempio, di averlo schiaffeggiato in
pubblico, non sarebbe pi servita una particolare invocazione
per includere lepisodio entro i confini della sacert: gli stessi
mores sarebbero stati sufficiente per distinguere leventuale uccisione dellhomo sacer da un mero esercizio dello ius vitae ac necis.
4.
184
ALBERTO RAMON
In specie, si potrebbe pensare che il filius e la nurus divenissero sacri nei casi in cui il parens verberatus non riuscisse a trattenere le lacrime per la particolare intensit della verberatio; il
pianto della vittima avrebbe rappresentato, allora, il segno dellatrocit delle percosse, oltrepassato il quale lequilibrio con gli
di veniva irrimediabilmente turbato. Cos ragionando, la ploratio avrebbe assunto la veste di un fatto giuridicamente rilevate
indipendente dalla volont delloffeso, espressione piuttosto di
una reazione fisica incontrollabile , a cui lordinamento sacrale
riconduceva la sacert del soggetto verberans.
Del resto, non sarebbe in contrasto con quanto sin qui detto
neppure considerare la ploratio come un atto discrezionale del
parens, con ci ravvisando in essa una componente volontaristica, a condizione per di non vanificarne la natura di atto comunque vincolato, a cui il soggetto malmenato non avrebbe potuto sottrarsi in presenza di una condotta lesiva della pax deorum: in tal senso, per la caduta del reo in sacert non sarebbe
servita uninvocazione formale, ma sarebbe stato sufficiente, per
lappunto, un semplice grido disperato, al tempo stesso indice
della gravit delloffesa presente in re ipsa con riguardo alla
verberatio e chiamata in causa delle divinit domestiche.
A parer di chi scrive, per, il carattere magico-performatico
dellinvocazione paterna viene massimamente in rilievo volgendo
lattenzione ai riti di passaggio che regolavano lingresso dei soggetti alieni iuris nel gruppo familiare del paterfamilias.
Di particolare importanza risulta, ai nostri fini, il tollere liberos, praticato ab antiquo nellimmediatezza del parto per sanzionare laccoglimento dellinfante come filiusfamilias71.
71 La dottrina molto ha discusso sulleffettiva valenza del tollere liberos, elaborando, in proposito, due opposte teorie: luna, accolta nel presente saggio, incline a
ravvisarvi il momento acquisitivo della patria potestas sul nuovo nato; laltra, invece,
escludente la pur minima rilevanza giuridica al sollevamento del neonato da terra. Tra
i sostenitori della prima tesi, occorre quantomeno citare E. VOLTERRA, Unosservazione
in tema di tollere liberum, in Fetschrift F. Schulz, I, Weimar, 1951, 388 ss.; ID., Ancora
in tema di tollere liberum, in IURA, III, 1952, 216 s.; J. DCLAREUIL, Paternit et fi-
185
186
ALBERTO RAMON
187
sciogliere il vincolo di patria potestas, in modo che il figlio passasse in propriet delle divinit: il puer, infatti, per entrare nel
dominio dei divi parentum, doveva essere spogliato da ogni legame di subordinazione terreno, perdendo lo status familiare per
ritornare a quello neonatale, quando appunto plorabat79 prima di
essere sollevato da terra mediante il suscipere liberos.
Ecco allora che linvocazione del padre era indispensabile
per cancellare la purificazione compiuta alla nascita, per rompere il vincolo di soggezione instaurato con lentrata dellinfante
nella familia e, forse, per revocare al figlio il nome gentilizio e familiare, considerato nellet arcaica un elemento costitutivo dellindividuo, non meno del corpo e delle sue membra80. La ploratio, insomma, sarebbe stata il rito di passaggio contrario al tollere liberum: tramite essa, il puer verberans perdeva ogni legame
con la familia dorigine per acquisire un nuovo status, cio quello
di homo sacer.
Analoga funzione, daltro canto, avrebbe dovuto riscontrarsi
in relazione alla sacert della nurus che avesse oltraggiato il paterfamilias: anche in questa circostanza era imprescindibile allorch la donna alieni iuris dovesse essere consegnata nelle mani
della divinit spezzare il vincolo che la teneva astretta al dominus familiae. Non c dubbio, del resto, che financo il matrimonio si accompagnasse a rituali magico-animistici costituenti, nel
loro insieme, un vero e proprio rito di passaggio, il cui effetto risiedeva nel mutamento di status della giovane sposa, che abbandonava la condizione di filia per assumere quella di nurus. Faccio riferimento, in special modo, non solo alla cerimonia attraverso la quale la fanciulla si separava dalla propria familia
dorigine tramite la deposizione della toga praetexta81 e la sua
79 Plin.
nat. hist. 7 pr. 2: hominem tantum nudum et in nuda humo natali die abicit ad vagitus et statim ploratum.
80 P. DE FRANCISCI, Primordia, cit., 281.
81 Fest. voce Praetextum sermonem (Lindsay 282): Praetextum sermons quidam
putant dici, quod praetextatis nefas sit obsceno verbo uti: ali quod nubentibus depositis
praetextis a multitudine puerorum obscena clamentur.
188
ALBERTO RAMON
offerta, unitamente ai giocattoli dellinfanzia, ai Lares82 , ma soprattutto al solenne momento dellingresso nella casa del marito,
preceduto dallunzione con olio e grasso della porta principale,
ornata per loccasione da una benda di lana83.
A ben vedere, poi, considerare la ploratio come un rito di
passaggio volto ad escludere il puer e la nurus dalla comunit familiare non implica disconoscere in toto la tesi secondo cui linvocazione sarebbe stata un mezzo per distinguere la consecratio
capitis dallesercizio dello ius vitae ac necis. Anzi, laver individuato nella ploratio il contrarius actus rispetto al suscipere liberos
e ai complessi riti che accompagnavano il matrimonio permette
di capire quanto fosse avvertita lurgenza di scindere i casi sottoposti alla giurisdizione familiare, devoluti al iudicium domesticum, da quelli rientranti nellambito del diritto sacrale, dove
mancava ogni potere discrezionale del pater. Il padre, infatti, non
doveva di certo preoccuparsi di sciogliere il legame di patria potestas qualora avesse dovuto esercitare lo ius vitae ac necis, essendo questultimo proprio lespressione pi alta della sua sovranit allinterno della familia84.
82 Non.
534.14.
nat. hist. 28.37.142; Serv. Verg. Aen. 4.458; Isid. Orig. 9.7.12; Arn. Adv.
nat. 3.25. In letteratura, v. P. DE FRANCISCI, Primordia, cit., 284, 288.
84 Allinterpretazione test avanzata si potrebbe obiettare che nella diversa fattispecie sacrale della termini exaratio non era previsto alcun actus volto a sciogliere i legami potestativi astringenti il puer al paterfamilias, al fine di consentire lentrata dello
stesso nel dominio di Iuppiter Terminus. In realt, deve escludersi che la norma numana punisse il puer che avesse rimosso o spostato i cippi di confine, essendo la medesima rivolta inequivocabilmente al titolare del dominium ex iure Quiritium: tale constatazione discende dalla lettera del frammento di Dion. Hal. 2.74.3, l dove lo storico
greco riporta per il perfezionamento dello scelus inexpiabile lesigenza di quellelemento soggettivo in capo allautore che, con terminologia moderna, definiremmo dolo
specifico, vale a dire la volontariet di compiere lazione con lo specifico fine di arricchimento patrimoniale. Donde linopportunit di ricondurre a un soggetto subordinato di per s privo della capacit di essere titolare di situazioni giuridiche soggettive, e quindi senza alcun interesse a operare una estensione maliziosa del fondo appartenente al proprio pater una fattispecie volta a punire un illecito arricchimento.
Daltro canto, non deve sottovalutarsi la peculiarit stilistica delle leges regiae di Ro83 Plin.
189
Affinch possa apparire ancor pi chiaro il motivo che rendeva necessaria la maledizione nella fattispecie in commento,
utile rimarcare ancora una volta il confronto fra questultima e la
norma relativa alla fraus nel rapporto clientelare, ove non era richiesta la ploratio per il perfezionamento della consecratio capitis.
Ebbene, erano le stesse modalit con cui il cliente si assoggettava al patrono a rendere linvocazione del tutto superflua.
Giova rammentare, in proposito, che il rapporto di clientela era
basato sulla fides, tanto che latto costitutivo era sempre un in fidem se dedere, realizzato tramite la deditio, cio la sottomissione
del gruppo vinto al potere della gens vincitrice; lapplicatio, cio
la sottoposizione di uno straniero al potere gentilizio; infine, in
epoca pi recente, la manumissio85. Nessuno di questi modi di
costituzione del vincolo di patronato assimilabile a un rito di
passaggio: in essi non si scorgono i tratti n di una cerimonia di
purificazione, n di una celebrazione religiosa assimilabile ai rituali di ingresso del soggetto alieni iuris entro la potestas del paterfamilias. Il cliente, del resto, non doveva mutare status per poter entrare in una gens, tanto che nessuna cerimonia era necessaria affinch si creasse il vincolo clientelare, il che avveniva
piuttosto de facto, per semplici ragioni economiche e sociali: il
piccolo proprietario, lo straniero povero, lindividuo espulso da
un altro gruppo o facente parte di una gens decaduta, lartigiano
immigrato decidevano di mettersi al servizio di un gruppo gentilizio per assicurarsi banalmente la sopravvivenza.
molo e Tito Tazio e di Servio Tullio sotto il profilo della specificazione, rispettivamente, del puer e della nurus quali soggetti attivi della condotta incriminata: la struttura da queste tracciata, sempre prendendo a prestito il lessico penalistico moderno,
quella di un reato proprio, del tutto peculiare nel diritto arcaico. Il fatto, quindi, che
si fosse sentita lesigenza, nel caso specifico della verberatio parentis, di limitare il novero dei possibili autori dello scelus alle persone assoggettate alla potestas paterna induce a ritenere che le altre fattispecie sacrali debbano considerarsi alla stregua di reati
comuni, cio commissibili da parte dei soggetti di diritto comunemente intesi: i paterfamilias, per lappunto.
85 G. FRANCIOSI, Clan gentilizio, cit., 293 s.
190
ALBERTO RAMON
In caso di violazione dei doveri di obbedienza e di obsequium da parte del cliente, quindi, questultimo diveniva automaticamente sacer, trasmigrando entro il dominio delle divinit
ctonie senza la necessit di alcun rito di passaggio, dato che nessun legame giuridico, almeno nellet primitiva, lo teneva assoggettato alla potestas del patrono: il cliente, insomma, era gi libero da vincoli terreni, tanto che non era contemplato come soggetto passivo dello ius vitae ac necis.