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A
Prove di verifica finale
odulo 1 pag. 11
Le caratteristiche
del testo narrativo
odulo 2 pag. 40
Le forme
della narrazione
VERIFICA FINALE
Unità 1: La struttura di un testo narrativo
A
erifica della teoria
1 Completa queste due definizioni:
a. La fabula è l’insieme ………… ………………………………………, considerati nella loro …………………………
La fabula è dunque l’ordine ………………………………………
11
omprensione
1 Chi sono i protagonisti di questa storia?
2 Dove è ambientata?
nalisi
1 In questa storiella la narrazione segue l’ordine in cui si sono svolti i fatti. Completa lo schema:
Un uomo che camminava per un campo ……………………………………………………………………
Si mise a correre, tallonato ……………………………
Giunto a un ………………, si afferrò ……………………………………… e si lasciò penzolare oltre l’orlo.
La tigre ……………………………………
Tremando, l’uomo guardò giù, dove, in fondo all’abisso, ………………………………………………………
Soltanto ………………… lo reggeva.
Due topi, ………………………………, cominciarono a ………………………………………………………
L’uomo scorse accanto a sé ……………………………………………………
Afferrandosi alla vite ……………………………………………, con l’altra spiccò la fragola e ………………
2 Si può dunque affermare che è una storiella basata su un intreccio …………………, particolarmente usato
nella stesura di brevi racconti e favole.
3 Il testo è troppo breve per poter essere diviso in sequenze: al massimo, considerandolo un’unica sequen-
za…………………, possiamo identificare, al suo interno, numerose microsequenze. Indicale sul testo, spiegan-
do perché le hai divise in questo modo e individua l’unica microsequenza che ha una tipologia diversa dalle altre.
4 Ora identifica situazione iniziale, evento che altera l’equilibrio esistente, peripezie, scioglimento.
iflessione e produzione
1 Dai un titolo a questo testo, spiega perché hai fatto questa scelta e illustra quale funzione hai voluto privilegiare.
2 La fragola può rappresentare la speranza, che non deve morire mai, anche quando si è in grande difficoltà,
oppure la necessità di cogliere l’attimo in ogni circostanza della vita: quale di queste due interpretazioni ti pare
più convincente e per quale motivo?
12
VERIFICA FINALE
Unità 2: C’è chi ascolta e chi narra
A
erifica della teoria
1 Completa queste definizioni:
Il lettore reale è ………………………………………………………………………………
Il narratario è …………………………………………………………………………………
L’autore implicito è ……………………………………………………………………………
LA MORTE DELL’IMPIEGATO
ANTON CECHOV
Il protagonista di questo racconto di Anton Cechov, uno dei più grandi scrittori russi del secondo Ot-
tocento, è un impiegato di basso livello dell’amministrazione pubblica, abituato a essere sottomesso e
rispettoso nei confronti dei potenti. Una sera egli si reca a teatro per assistere ad uno spettacolo, ma un
improvviso starnuto trasforma la sua vita in dramma…
Una magnifica sera un non meno magnifico usciere, Ivàn Dmitric’ Cerviakòv,
era seduto nella seconda fila di poltrone e seguiva col binocolo “Le campane
di Corneville”. Guardava e si sentiva al colmo della beatitudine. Ma a un
tratto... Nei racconti spesso s’incontra questo “a un tratto”. Gli autori han
ragione: la vita è così piena d’imprevisti! Ma a un tratto il suo viso fece una
smorfia, gli occhi si stralunarono, il respiro gli si fermò... egli scostò dagli oc-
chi il binocolo, si chinò e... eccì!!! Aveva starnutito, come vedete. Starnutire
non è vietato ad alcuno e in nessun posto. Starnutiscono i contadini, e i capi
di polizia, e a volte perfino i consiglieri segreti. Tutti starnutiscono. Cerviakòv
non si confuse per nulla, s’asciugò col fazzolettino e, da persona garbata,
guardò intorno a sé: non aveva disturbato qualcuno col suo starnuto? Ma
13
qui, sì, gli toccò confondersi. Vide che un vecchietto, seduto davanti a lui,
nella prima fila di poltrone, stava asciugandosi accuratamente la calvizie e il
collo col guanto e borbottava qualcosa. Nel vecchietto Cerviakòv riconobbe il
1. Dicastero: mini- generale civile Brizzalov, in servizio al dicastero1 delle comunicazioni.
stero. «L’ho spruzzato!», pensò Cerviakòv. «Non è il mio superiore, è un estraneo,
ma tuttavia è seccante. Bisogna scusarsi».
Cerviakòv tossì, si sporse col busto in avanti e bisbigliò all’orecchio del generale:
– Scusate, eccellenza, vi ho spruzzato... io involontariamente...
– Non è nulla, non è nulla...
– Per amor di Dio, scusatemi. Io, vedete... non lo volevo!
– Ah, sedete, vi prego! Lasciatemi ascoltare!
Cerviakòv rimase impacciato, sorrise scioccamente e riprese a guardar la sce-
na. Guardava, ma ormai beatitudine non ne sentiva più. Cominciò a tormen-
tarlo l’inquietudine. Nell’intervallo egli s’avvicinò a Brizzalov, passeggiò un
poco accanto a lui e, vinta la timidezza, mormorò:
– Vi ho spruzzato, eccellenza... Perdonate... Io, vedete... non che volessi...
– Ah, smettetela... Io ho già dimenticato, e voi ci tornate sempre su! – disse il
generale e mosse con impazienza il labbro inferiore.
«Ha dimenticato, e intanto ha la malignità negli occhi», pensò Cerviakòv, get-
tando occhiate sospettose al generale. «Non vuol nemmeno parlare. Bisogne-
rebbe spiegargli che non desideravo affatto... che questa è una legge di natura,
se no penserà ch’io volessi sputare. Se non lo penserà adesso, lo penserà poi!...».
Giunto a casa, Cerviakòv riferì alla moglie il suo atto incivile. La moglie, come
a lui parve, prese l’accaduto con troppa leggerezza; ella si spaventò soltanto,
ma poi, quando apprese che Brizzalov era un “estraneo”, si tranquillò.
– Ma tuttavia passaci, scusati, – disse. – Penserà che tu non sappia compor-
tarti in pubblico!
– Ecco, è proprio questo! Io mi sono scusato, ma lui in un certo modo strano...
Una sola parola sensata non l’ha detta. E non c’era neppur tempo di discorrere.
Il giorno dopo Cerviakòv indossò la divisa di servizio nuova, si fece tagliare
i capelli e andò da Brizzalov a spiegare... Entrato nella sala di ricevimento
2. Postulanti: perso- del generale, vide là numerosi postulanti2, e in mezzo ai postulanti anche il
ne che chiedono i generale in persona, che già aveva cominciato l’accettazione delle domande.
favori più disparati.
Interrogati alcuni visitatori, il generale alzò gli occhi anche su Cerviakòv.
– Ieri, all’Arcadia, se rammentate, eccellenza, – prese a esporre l’usciere, – io
starnutii e... involontariamente vi spruzzai... Scus...
– Che bazzecole... Dio sa che è! Voi che cosa desiderate? – si rivolse il gene-
rale al postulante successivo.
«Non vuol parlare!», pensò Cerviakòv, impallidendo. «È arrabbiato dun-
que... No, non posso lasciarla così... Gli spiegherò...».
Quando il generale finì di conversare con l’ultimo postulante e si diresse
verso gli appartamenti interni, Cerviakòv fece un passo dietro a lui e prese a
mormorare:
– Eccellenza! Se oso incomodare3 vostra eccellenza, è precisamente per un
senso, posso dire, di pentimento!... Non lo feci apposta, voi stesso lo sapete!
Il generale fece una faccia piagnucolosa e agitò la mano.
3. Incomodare: infa-
stidire. – Ma voi vi burlate semplicemente, egregio signore! – diss’egli, scomparendo
dietro la porta.
14
«Che burla c’è mai qui?», pensò Cerviakòv. «Qui non c’è proprio nessuna
burla! È generale, ma non può capire! Quand’è così, non starò più a scusarmi
con questo fanfarone! Vada al diavolo! Gli scriverò una lettera e non ci andrò
più! Com’è vero Dio, non ci andrò più!».
Così pensava Cerviakòv andando a casa. La lettera al generale non la scrisse.
Pensò, pensò, ma in nessuna maniera poté concepire quella lettera. Gli toccò
il giorno dopo andar in persona a spiegare.
– Ieri venni a incomodare vostra eccellenza, – si mise a borbottare, quando il
generale alzò su di lui due occhi interrogativi, – non già per burlarmi, come
vi piacque dire. Io mi scusavo perché, starnutendo, vi avevo spruzzato... e a A
burlarmi non pensavo nemmeno. Oserei io burlarmi? Se noi ci burlassimo,
vorrebbe dire allora che non c’è più alcun rispetto... per le persone...
– Vattene! – garrì4 il generale, fattosi d’un tratto livido5 e tremante.
– Che cosa? – domandò con un bisbiglio Cerviakòv, venendo meno dallo 4. Garrì: gridò con
voce acuta, piena
sgomento. di rabbia.
– Vattene! – ripeté il generale, pestando i piedi.
5. Livido: violaceo,
Nel ventre di Cerviakòv qualcosa si lacerò. Senza veder nulla, senza udir paonazzo dalla
nulla, egli indietreggiò verso la porta, uscì in strada e si trascinò via... Arri- rabbia.
vato macchinalmente a casa, senza togliersi la divisa di servizio, si coricò sul
divano e... morì.
Da A. Cechov, Racconti e novelle, Sansoni, Firenze
omprensione
1 Chi è il protagonista di questo racconto? Quali altri personaggi sono presenti?
2 Il protagonista dimostra la sua soggezione nei confronti del superiore anche nella scel-
ta dell’abbigliamento: che cosa fa, infatti, prima di recarsi da lui?
nalisi
1 Ricostruisci in modo schematico la fabula del racconto. L’esercizio è avviato:
• Una sera l’usciere Cerviakòv è a teatro
• all’improvviso starnutisce
• … continua tu
4 In quale punto del testo si verifica l’evento che cambia la situazione iniziale?
15
5 C’è, nel testo, una sequenza che può avere la funzione di Spannung? Se la risposta è
affermativa, quale?
iflessione e produzione
1 Perché, secondo te, il povero usciere se la prende così tanto per ciò che è accaduto?
2 Prova a raccontare brevemente la storia dello starnuto dal punto di vista del generale,
con un narratore esterno e focalizzazione zero oppure con un narratore interno e fo-
calizzazione interna.
16
VERIFICA FINALE
Unità 3: I personaggi, le loro parole e i loro pensieri
A
erifica della teoria
1 Completa queste definizioni:
a. Il personaggio è ………………………………………………………………………………
b. Il protagonista è ………………………………………………………………………………
c. Il flusso di coscienza riferisce …………….……………………………………………………
3 Un narratore esterno, di solito, preferisce riferire le parole e i pensieri dei personaggi con
………………………………………; in questo modo ………………………………………
LA LUPA
GIOVANNI VERGA
La novella che ti proponiamo, intitolata La lupa, prende spunto da un fatto vero, l’omicidio di una
donna compiuto dal genero, che era il suo amante. Giovanni Verga (1840-1922) trasforma questa
sfortunata popolana catanese in una bellissima e intensa figura femminile, che tutti in paese chiamano
La lupa…
Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso da bruna – e pure
non era più giovane – era pallida come se avesse sempre addosso la malaria,
e su quel pallore due occhi grandi così, e delle labbra fresche e rosse, che vi
1. Satanasso: demo-
mangiavano. nio.
Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai – di nulla.
2. Sant’Agrippina:
Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una proteggeva dai de-
cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si moni: è chiamata
spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra in causa perché la
Lupa ha occhi da
rosse, e se li tirava dietro alla gonnella solamente a guardarli con quegli occhi satanasso.
da satanasso1, fossero stati davanti all’altare di Santa Agrippina2. Per fortuna
3. Aveva…lei: anche
la Lupa non veniva mai in chiesa, né a Pasqua, né a Natale, né per ascoltar il sacerdote non e-
messa, né per confessarsi. – Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un vero ra rimasto insensi-
servo di Dio, aveva persa l’anima per lei3. bile al suo fascino.
17
18
va in volta femmina buona20, la gnà Pina era la sola anima viva che si vedes-
se errare per la campagna, sui sassi infuocati delle viottole, fra le stoppie21
riarse dei campi immensi, che si perdevano nell’afa, lontan lontano, verso 20. In quell’ora…
buona: un al-
l’Etna nebbioso, dove il cielo si aggravava22 sull’orizzonte. tro modo di di-
“Svègliati!” disse la Lupa a Nanni che dormiva nel fosso, accanto alla siepe re popolare: in
polverosa, col capo fra le braccia. “Svègliati, che ti ho portato il vino per quell’ora tra le
quindici e le di-
rinfrescarti la gola”. ciotto, in cui le
Nanni spalancò gli occhi imbambolati, tra veglia e sonno, trovandosela di- donne per bene
nanzi ritta, pallida, col petto prepotente, e gli occhi neri come il carbone, e
stese brancolando le mani.
non escono di
casa.
21. Stoppie: gli steli
A
“No! non ne va in volta femmina buona nell’ora fra vespero e nona!” sin-
del grano che re-
ghiozzava Nanni, ricacciando la faccia contro l’erba secca del fossato, in stano nei campi
fondo in fondo, colle unghie nei capelli. “Andatevene! andatevene! non ci dopo la mietitura.
venite più nell’aia!” 22. Aggravava: in-
Ella se ne andava infatti, la Lupa, riannodando le trecce superbe, guardan- combeva.
do fisso dinanzi ai suoi passi nelle stoppie calde, cogli occhi neri come il
carbone. Ma nell’aia ci tornò delle altre volte, e Nanni non le disse nulla.
Quando tardava a venire anzi, nell’ora fra vespero e nona, egli andava ad
aspettarla in cima alla viottola bianca e deserta, col sudore sulla fronte; e
dopo si cacciava le mani nei capelli, e le ripeteva ogni volta:
“Andatevene! andatevene! Non ci tornate più nell’aia!”
Maricchia piangeva notte e giorno, e alla madre le piantava in faccia gli occhi
ardenti di lagrime e di gelosia, come una lupacchiotta anch’essa, allorché la
vedeva tornare da’ campi pallida e muta ogni volta.
“Scellerata!” le diceva.“Mamma scellerata!”
“Taci!”
“Ladra! ladra!”
“Taci!”
“Andrò dal brigadiere, andrò!”
“Vacci!”
E ci andò davvero, coi figli in collo, senza temere di nulla, e senza versare una
lagrima, come una pazza, perché adesso l’amava anche lei quel marito che le
avevano dato per forza, unto e sudicio delle olive messe a fermentare.
Il brigadiere fece chiamare Nanni; lo minacciò sin della galera e della forca.
Nanni si diede a singhiozzare ed a strapparsi i capelli; non negò nulla, non
tentò di scolparsi.
“È la tentazione!” diceva “è la tentazione dell’inferno!”
Si buttò ai piedi del brigadiere supplicandolo di mandarlo in galera. 23. Ricusò… Signo-
“Per carità, signor brigadiere, levatemi da questo inferno! fatemi ammazzare, re: rifiutò di am-
mandatemi in prigione, non me la lasciate veder più, mai! mai!”. ministrargli il sa-
cramento dell’e-
“No!” rispose invece la Lupa al brigadiere. “Io mi son riserbato un cantuccio strema unzione.
della cucina per dormirvi, quando gli ho data la mia casa in dote. La casa è
24. Andarsene: mo-
mia. Non voglio andarmene”. rire.
Poco dopo, Nanni s’ebbe nel petto un calcio dal mulo, e fu per morire, ma il
25. Comunicò: fece
parroco ricusò di portargli il Signore23 se la Lupa non usciva di casa. La Lupa la comunione.
se ne andò, e suo genero allora si poté preparare ad andarsene24 anche lui da
26. Contrizione: ri-
buon cristiano; si confessò e comunicò25 con tali segni di pentimento e di con- morso.
trizione26 che tutti i vicini e i curiosi piangevano davanti al letto del moribondo.
19
E meglio sarebbe stato per lui che fosse morto in quel giorno, prima che il dia-
volo tornasse a tentarlo e a ficcarglisi nell’anima e nel corpo quando fu guarito.
“Lasciatemi stare!” diceva alla Lupa “per carità, lasciatemi in pace! Io ho visto
la morte cogli occhi! La povera Maricchia non fa che disperarsi. Ora tutto il
paese lo sa! Quando non vi vedo è meglio per voi e per me …”
Ed avrebbe voluto strapparsi gli occhi per non vedere quelli della Lupa, che
quando gli si ficcavano ne’ suoi gli facevano perdere l’anima ed il corpo. Non
sapeva più che fare per svincolarsi dall’incantesimo. Pagò delle messe alle
anime del Purgatorio, e andò a chiedere aiuto al parroco e al brigadiere. A
Pasqua andò a confessarsi, e fece pubblicamente sei palmi di lingua a strasci-
27. Fece… sacrato: coni sui ciottoli del sacrato27 innanzi alla chiesa, in penitenza – e poi, come la
in segno di pe- Lupa tornava a tentarlo:
nitenza percorse
sei palmi di ciot- “Sentite!” le disse “non ci venite più nell’aia, perché se tornate a cercarmi,
toli del sagrato a com’è vero Iddio, vi ammazzo!”
carponi, toccan- “Ammazzami,” rispose la Lupa “ché non me ne importa; ma senza di te non
do il terreno con
la lingua. voglio starci.”
Ei28 come la scorse da lontano, in mezzo a’ seminati verdi, lasciò di zappare
28. Ei: egli.
la vigna, e andò a staccare la scure dall’olmo. La Lupa lo vide venire, pallido
e stralunato, colla scure che luccicava al sole, e non si arretrò di un sol passo,
non chinò gli occhi, seguitò ad andargli incontro, con le mani piene di ma-
nipoli di papaveri rossi, e mangiandoselo con gli occhi neri. “Ah! malanno
all’anima vostra!” balbettò Nanni.
Da G. Verga, Vita dei campi, Mondadori, Milano
omprensione
1 Che titolo è stato dato a questo racconto?
2 Chi è Maricchia?
nalisi
1 Evidenzia sul testo le parti che compongono il racconto.
3 Quale focalizzazione è usata in questa sequenza: “La Lupa lo vide venire, pallido e
stralunato, colla scure che luccicava al sole, e non si arretrò di un sol passo, non chinò
gli occhi, seguitò ad andargli incontro, con le mani piene di manipoli di papaveri rossi,
e mangiandoselo con gli occhi neri” ? Motiva la tua risposta in modo adeguato.
20
7 Traccia un ritratto completo della Lupa sulla base delle informazioni presenti nel
testo. A
8 La Lupa è un personaggio piatto o a tutto tondo? Per quale motivo?
11 Spiega questo schema, che illustra il sistema dei personaggi della novella:
LA LUPA
MARICCHIA NANNI
13 Nella novella l’autore utilizza con frequenza tre modi di rappresentazione delle
parole e dei pensieri dei personaggi: il discorso diretto, il discorso diretto libero e
il discorso indiretto libero. Trascrivi un esempio per ciascuno di loro e spiega in che
cosa consistono.
iflessione e produzione
1 Avrai notato, nel testo, la predominanza di un colore: quale? Dove compare? Perché
prevale sugli altri?
3 Come finisce, secondo te, la novella? Raccontalo in breve, facendo in modo che il tuo rac-
conto si leghi all’ultima parte della novella verghiana e ne rispetti personaggi e contenuti.
21
VERIFICA FINALE
Unità 4: Il tempo
2 Che differenza c’è tra tempo della scrittura e tempo dello scrittore?
IL COLOMBRE
DINO BUZZATI
Il colombre è uno dei racconti più famosi di Dino Buzzati (1906-1972): esso rispecchia la concezione
della vita che ebbe quest’autore, convinto che il suo mistero debba essere indagato con coraggio ed
energia prima che sia troppo tardi, perché potrebbe riservarci piacevoli sorprese…
Quando Stefano Roi compì i dodici anni, chiese in regalo a suo padre, capita-
no di mare e padrone di un bel veliero, che lo portasse con sé a bordo.
– Quando sarò grande – disse – voglio andar per mare come te. E comanderò
delle navi ancora più belle e grandi della tua.
– Che Dio ti benedica, figliolo – rispose il padre. E siccome proprio quel gior-
no il suo bastimento doveva partire, portò il ragazzo con sé.
Era una giornata splendida di sole; e il mare tranquillo. Stefano, che non era
mai stato sulla nave, girava felice in coperta1, ammirando le complicate ma-
1. In coperta: sul
ponte superiore novre delle vele. E chiedeva di questo e di quello ai marinai che, sorridendo,
della nave. gli davano tutte le spiegazioni.
22
per prima cosa, appena ebbe un minuto libero, si affrettò a raggiungere l’e-
stremità del molo, per una specie di controllo, benché in fondo lo ritenesse
superfluo. Dopo tanto tempo, il colombre, ammesso anche che tutta la storia
narratagli dal padre fosse vera, aveva certo rinunciato all’assedio.
Ma Stefano rimase là, attonito, col cuore che gli batteva. A distanza di due-
trecento metri dal molo, nell’aperto mare, il sinistro pesce andava su e giù,
lentamente ogni tanto sollevando il muso dall’acqua e volgendolo a terra,
quasi con ansia guardasse se Stefano Roi finalmente veniva.
Così l’idea di quella creatura nemica che lo aspettava giorno e notte divenne
per Stefano una segreta ossessione. E anche nella lontana città gli capitava
di svegliarsi in piena notte con inquietudine. Egli era al sicuro, sì, centinaia
di chilometri lo separavano dal colombre. Eppure egli sapeva che, di là dalle
montagne, di là dai boschi, di là dalle pianure, lo squalo era ad aspettarlo. E,
si fosse egli trasferito pure nel più remoto continente, ancora il colombre si
sarebbe appostato nello specchio di mare più vicino, con l’inesorabile ostina-
zione che hanno gli strumenti del fato.
Stefano, ch’era un ragazzo serio e volonteroso, continuò con profitto gli stu-
7. Remunerativo: di e, appena fu uomo, trovò un impiego dignitoso e remunerativo7 in un
con un buon sti- emporio8 di quella città. Intanto il padre venne a morire per malattia, il suo
pendio.
magnifico veliero fu dalla vedova venduto e il figlio si trovò ad essere erede
8. Emporio: grande
magazzino.
di una discreta fortuna. Il lavoro, le amicizie, gli svaghi, i primi amori: Stefano
si era ormai fatto la sua vita, ciononostante il pensiero del colombre lo assil-
9. L’attrazione… a-
bisso: il richiamo
lava come un funesto e insieme affascinante miraggio; e, passando i giorni,
del mistero. anziché svanire, sembrava farsi più insistente.
Grandi sono le soddisfazioni di una vita laboriosa, agiata e tranquilla, ma anco-
ra più grande è l’attrazione dell’abisso9. Aveva appena ventidue anni Stefano,
quando, salutati gli amici della città e licenziatosi dall’impiego, tornò alla città
natale e comunicò alla mamma la ferma intenzione di seguire il mestiere pater-
no. La donna, a cui Stefano non aveva mai fatto parola del misterioso squalo,
accolse con gioia la sua decisione. L’avere il figlio abbandonato il mare per la
città era sempre sembrato, in cuor suo, un tradimento alle tradizioni di famiglia.
E Stefano cominciò a navigare, dando prova di qualità marinare, di resistenza
alle fatiche, di animo intrepido. Navigava, navigava, e sulla scia del suo ba-
10. Arrancava: nuo- stimento, di giorno e di notte, con la bonaccia e con la tempesta, arrancava10
tava a fatica. il colombre. Egli sapeva che quella era la sua maledizione e la sua condanna,
ma proprio per questo, forse, non trovava la forza di staccarsene. E nessuno
a bordo scorgeva il mostro tranne lui.
– Non vedete niente da quella parte? – chiedeva di quando in quando ai
compagni, indicando la scia.
– No, noi non vediamo proprio niente. Perché?
– Non so. Mi pareva...
– Non avrai mica visto per caso un colombre – facevano quelli, ridendo; e
toccando ferro.
– Perché ridete? Perché toccate ferro?
– Perché il colombre è una bestia che non perdona. E se si mettesse a seguire
questa nave, vorrebbe dire che uno di noi è perduto.
Ma Stefano non mollava. La ininterrotta minaccia che lo incalzava pareva
anzi moltiplicare la sua volontà, la sua passione per il mare, il suo ardimento
nelle ore di lotta e di pericolo.
24
Con la piccola sostanza11 lasciatagli dal padre, come egli si sentì padrone del
11. Sostanza: ere-
mestiere, acquistò con un socio un piccolo piroscafo da carico, quindi ne di- dità.
venne il solo proprietario e, grazie a una serie di fortunate spedizioni, poté
in seguito acquistare un mercantile sul serio, avviandosi a traguardi sempre
più ambiziosi. Ma i successi, e i milioni, non servivano a togliergli dall’animo
quel continuo assillo; né mai, d’altra parte, egli fu tentato di vendere la nave
e di ritirarsi a terra per intraprendere diverse imprese.
Navigare, navigare, era il suo unico pensiero. Non appena, dopo lunghi tra-
gitti, metteva piede a terra in qualche porto, subito lo pungeva l’impazienza
di ripartire. Sapeva che fuori c’era il colombre ad aspettarlo, e che il colombre A
era sinonimo di rovina. Niente. Un indomabile impulso lo traeva senza re-
quie12, da un oceano all’altro. 12. Requie: sosta,
Finché, all’improvviso, Stefano un giorno si accorse di essere diventato vecchio, riposo.
vecchissimo; e nessuno intorno a lui sapeva spiegarsi perché, ricco com’era,
non lasciasse finalmente la dannata vita del mare. Vecchio, e amaramente in-
felice, perché l’intera esistenza sua era stata spesa in quella specie di pazzesca
fuga attraverso i mari, per sfuggire al nemico. Ma più grande che le gioie di una
vita agiata e tranquilla era stata per lui sempre la tentazione dell’abisso.
E una sera, mentre la sua magnifica nave era ancorata al largo del porto dove
era nato, si sentì prossimo a morire.
Allora chiamò il secondo ufficiale13, di cui aveva grande fiducia, e gli ingiunse 13. Secondo ufficia-
di non opporsi a ciò che egli stava per fare. L’altro, sull’onore, promise. le: il vice coman-
dante della nave.
Avuta questa assicurazione, Stefano, al secondo ufficiale che lo ascoltava
sgomento, rivelò la storia del colombre, che aveva continuato a inseguirlo
per quasi cinquant’anni, inutilmente.
– Mi ha scortato da un capo all’altro del mondo – disse – con una fedeltà
che neppure il più nobile amico avrebbe potuto dimostrare. Adesso io sto
per morire. Anche lui, ormai, sarà terribilmente vecchio e stanco. Non posso
tradirlo.
Ciò detto, prese commiato14, fece calare in mare un barchino e vi salì, dopo 14. Prese commia-
essersi fatto dare un arpione. to: salutò.
– Ora gli vado incontro – annunciò. – È giusto che non lo deluda. Ma lotterò,
con le mie ultime forze.
A stanchi colpi di remi, si allontanò da bordo. Ufficiali e marinai lo videro
scomparire laggiù, sul placido mare, avvolto dalle ombre della notte. C’era in
cielo una falce di luna.
Non dovette faticare molto. All’improvviso il muso orribile del colombre
emerse di fianco alla barca.
– Eccomi a te, finalmente – disse Stefano. – Adesso, a noi due! – E, racco-
gliendo le superstiti energie, alzò l’arpione per colpire.
– Uh – mugolò con voce supplichevole il colombre – che lunga strada per
trovarti. Anch’io sono distrutto dalla fatica. Quanto mi hai fatto nuotare. E tu
fuggivi, fuggivi. E non hai mai capito niente.
– Perché? – fece Stefano, punto sul vivo.
– Perché non ti ho inseguito attraverso il mondo per divorarti come pensavi.
Dal re del mare avevo avuto soltanto l’incarico di consegnarti questo.
E lo squalo trasse fuori la lingua, porgendo al vecchio capitano una piccola
sfera fosforescente.
Stefano la prese fra le dita e guardò. Era una perla di grandezza spropositata.
25
E lui riconobbe la famosa Perla del Mare che dà, a chi la possiede, fortuna,
potenza, amore, e pace dell’animo. Ma era ormai troppo tardi.
– Ahimè! – disse scuotendo tristemente il capo. – Come è tutto sbagliato. Io
sono riuscito a dannare la mia esistenza: e ho rovinato la tua.
– Addio, pover’uomo – rispose il colombre. E sprofondò nelle acque nere per
sempre.
15. Risacca: le onde Due mesi dopo, spinto dalla risacca15, un barchino approdò a una dirupata16
del mare. scogliera. Fu avvistato da alcuni pescatori che, incuriositi, si avvicinarono. Sul
16. Dirupata: sco- barchino, ancora seduto, stava un bianco scheletro: e fra le ossicine delle dita
scesa. stringeva un piccolo sasso rotondo.
Il colombre è un pesce di grandi dimensioni, spaventoso a vedersi, estrema-
mente raro. A seconda dei mari, e delle genti che ne abitano le rive, viene
anche chiamato kolomber, kahloubrha, kalonga, kalu-balu, chalung-gra.
17. I naturalisti: gli I naturalisti17 stranamente lo ignorano. Qualcuno perfino sostiene che non
studiosi della na- esiste.
tura.
omprensione
1 In quale epoca è ambientato questo racconto? E quale arco di tempo copre?
nalisi
1 Dividi il testo nelle parti che lo compongono.
26
8 Indica con quali tecniche sono riferiti questi pensieri e queste parole:
a. – Perché? – fece Stefano, punto sul vivo.
– Perché non ti ho inseguito attraverso il mondo per divorarti come pensavi. Dal re del
mare avevo avuto soltanto l’incarico di consegnarti questo.
b. Eppure egli sapeva che, di là dalle montagne, di là dai boschi, di là dalle pianure, lo squalo
era ad aspettarlo.
c. E, si fosse egli trasferito pure nel più remoto continente, ancora il colombre si sarebbe appostato
nello specchio di mare più vicino, con l’inesorabile ostinazione che hanno gli strumenti del fato.
A
9 Nel testo prevalgono i tempi verbali commentativi o quelli narrativi? Perché?
10 Trascrivi tutti i momenti del racconto in cui compaiono indicazioni relative allo
scorrere del tempo.
iflessione e produzione
1 Il narratore ha proposto solo al termine del racconto le informazioni più significative
sul colombre
perché poste all’inizio avrebbero tolto mistero al personaggio del colombre
perché ha voluto dare un’idea di razionalità al racconto, in modo che il lettore non lo ar-
chivi come una semplice fiaba, ma ne mediti il messaggio
perché ha voluto chiudere il racconto senza emotività, in modo che il lettore non rimanga
turbato dalla forte immagine dello scheletro nel barchino.
2 L’insegnamento di questo racconto si ricava da una frase: il «suo» colombre, che incro-
ciava lentamente su e giù, ostinato ad aspettarlo. Per comprenderlo basta sostituire
alla parola colombre il termine
destino
nemico
futuro.
Infatti il senso di questo racconto è che ……………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
27
VERIFICA FINALE
Unità 5: Lo spazio
1. Castello di Fratta:
situato presso Fos-
salta, tra Veneto e
IL CASTELLO DI FRATTA
Friuli. E I SUOI DINTORNI
2. Donde… gelsi:
da dove i contadini
IPPOLITO NIEVO
prendono libera-
mente sassi e rot- Questi due passi sono tratti dal più famoso romanzo di Ippolito Nievo (1831-1861), Le confessioni di un
tami per riempire
le fosse dei gelsi italiano. Il narratore-protagonista è Carlo Altoviti, che, ormai ottantenne, racconta le vicende della sua
appena piantati. vita, dall’infanzia, trascorsa nel castello feudale di Fratta, fino alla prima guerra d’indipendenza.
3. A quei tempi:
verso la fine del
Settecento (il pro- Io vissi nei miei primi anni nel castello di Fratta1, il quale adesso è nulla di
tagonista è nato
nel 1775). più d’un mucchio di rovine, donde i contadini traggono a lor grado sassi e
rottami per le fonde dei gelsi2, ma era a quei tempi3 un gran caseggiato con
4. Finestroni gotici:
l’ arte gotica si dif- torri e torricelle, con un gran ponte levatoio scassinato dalla vecchiaia, e i più
fuse in Europa dal bei finestroni gotici4 che si potessero vedere tra il Lèmene e il Tagliamento5.
XII secolo; è carat- In tutti i miei viaggi non mi è mai accaduto di veder fabbrica6 che disegnasse
terizzata dal pre-
valere delle strut- sul terreno una più bizzarra figura; né che avesse spigoli, cantoni, rientrature
ture verticali su e sporgenze da far meglio contenti tutti i punti cardinali ed intermedi della
quelle orizzontali. rosa dei venti. Gli angoli erano poi combinati con sì ardita fantasia, che non
5. Il Lèmene e il Ta- ne avea uno che vantasse il suo compagno; sicché ad architettarli o non s’era
gliamento: due adoperata la squadra, o vi si erano stancate tutte quelle che ingombrano lo
fiumi del Friuli.
studio d’un ingegnere.
6. Fabbrica: costru-
zione.
28
29
30
omprensione
1 In che condizioni si trova, nel tempo della scrittura, il castello di Fratta?
3 Che cosa succede nel castello dopo il suono dell’Avemaria della sera? A
4 Per che cosa sembra adatta la natura che circonda il castello di Fratta?
nalisi
1 Nel primo passo il …………………-……………………, Carlo Altoviti, descrive il …………
in cui ha vissuto la sua infanzia, il castello di Fratta, soffermandosi soprattutto su un
………………, la cucina.
2 Il narratore dà giudizi espliciti sullo spazio che descrive? Se la risposta è sì, cita due
esempi tratti dal testo.
3 Per sottolineare la lontananza del tempo della ……………………… dal tempo della
…………… (Carlo ha ormai ottant’anni), il narratore usa un tono che oscilla tra l’ironico
e il fiabesco: cita un’espressione del testo che possa confermare questa affermazione.
5 Queste caratteristiche non sono sottolineate a caso: il vecchio e strano castello sim-
boleggia, infatti,
la stranezza, la decrepitezza e l’immobilità dei suoi abitanti
l’originalità, l’essere senza tempo e la mancanza di stile dei suoi oggetti.
6 Queste prerogative sono confermate e ribadite dalla descrizione della cucina: per
quale motivo?
31
7 Nel primo passo risulta evidente la tendenza ad ingigantire la cucina e gli oggetti in
essa contenuti, in modo da rappresentarli come apparivano al narratore-protagonista
quando era bambino. Cita alcune affermazioni che possono confermare quanto appe-
na detto.
9 Nel secondo passo il narratore descrive i dintorni del castello con la stessa precisio-
ne e abbondanza di dettagli che ha usato per presentare gli ambienti. La natura che
circonda il castello di Fratta si presenta come un rigoglio di vita vegetale e animale,
attraversata dall’elemento acqua, da sempre simbolo di fecondità e di purificazione,
ma, in questo caso, anche di ……………………………………………, rappresentati dal
laberinto di giravolte sussurrevoli e capricciose della fiumiera.
iflessione e produzione
1 In questi passi le modalità di descrizione dello spazio sono condizionate dallo sguar-
do di un bambino, a cui tutto sembra enorme, maestoso e affascinante. Ricordi un
ambiente o un luogo che ha colpito la tua fantasia di bambino? Prova a fornirne una
breve descrizione, sottolineando perché esso ti sembrava imponente o spaventoso o
meraviglioso o irraggiungibile…
32
VERIFICA FINALE
Unità 6: Le scelte stilistiche ed espressive
A
erifica della teoria
1 Completa queste tre definizioni:
a. Il lessico medio usa …………………………………………………………………………
b. Lo stile nominale consiste ……………………………………………………………………
L’INCONTRO
CON IL PROFESSOR SPENCER
JEROME DAVID SALINGER
Holden, il giovane e scapestrato protagonista di un famoso romanzo di Jerome David Salinger (1919-
2010), Il giovane Holden (1951), è stato espulso dalla scuola. Prima di andarsene, egli va a salutare il
suo insegnante di storia, il professor Spencer.
33
- Siediti là, figliolo, - disse il vecchio Spencer. Voleva dire sul letto.
Mi sedetti là. - Come va la sua influenza, professore?
- Figliolo, se mi sentissi un tantino meglio, dovrei chiamare il medico, - disse
il vecchio Spencer.
Questo lo mise fuori combattimento. Cominciò a ridacchiare come un matto.
Poi finalmente si riprese e disse: - Com’è che non sei giù alla partita? Crede-
vo che la grande partita fosse oggi.
- Infatti. Ero lì. Ma è che sono appena tornato da New York con la squadra di
scherma, - dissi. Ragazzi, quel letto sembrava un sasso.
Lui cominciò a fare la faccia serissima. Me l’aspettavo.- Sicché ci lasci, eh? - disse.
- Sì, professore. Mi sa proprio di sì.
Lui attaccò il suo solito su e giù con la testa. Roba che in vita vostra non avete
mai visto nessuno fare così su e giù con la testa come il vecchio Spencer. Uno
non sapeva mai se muoveva tanto la testa perché stava pensando eccetera
eccetera, o solo perché era un caro vecchiotto che non capiva un accidente.
3. Il dottor Thur- - Che cosa ti ha detto il dottor Thurmer3, figliolo? Se ho capito bene, avete
mer: il preside fatto una bella chiacchierata.
della scuola.
- Sì. Altroché. Sono stato nel suo ufficio un paio d’ore, come minimo.
- Che cosa ti ha detto?
- Oh... be’, che la vita è una partita e via discorrendo. E che va giocata se-
condo le regole. È stato abbastanza gentile, però. Voglio dire, non ha perso le
staffe né niente. Ha solo continuato a parlar della vita che è una partita e via
discorrendo. Lei sa bene.
- La vita è una partita, figliolo. La vita è una partita che si gioca secondo le
regole.
- Sì, professore. Lo so. Questo lo so.
Partita un accidente. Una partita. È una partita se stai dalla parte dove ci sono
i grossi calibri, tante grazie - e chi lo nega. Ma se stai dall’altra parte, dove di
grossi calibri non ce n’è nemmeno mezzo, allora che accidente di partita è?
Niente, non si gioca.
- Il dottor Thurmer ha già scritto ai tuoi? - mi domandò il vecchio Spencer.
- Ha detto che scriverà lunedì.
- E tu hai dato tue notizie?
- No, professore, non ho dato notizie perché probabilmente li vedrò merco-
ledì sera quando arrivo a casa.
- E come credi che prenderanno la faccenda?
- Be’, saranno abbastanza seccati, - dissi - Non c’è dubbio. Sarà perlomeno la
quarta volta che cambio scuola -. Scossi la testa. Scuoto la testa a tutto spia-
no, io. - Ragazzi! - dissi. Dico anche “Ragazzi!” a tutto spiano. In parte per-
ché ho un modo di parlare schifo, e in parte perché certe volte, per la mia età,
mi comporto proprio come un ragazzino. Avevo sedici anni, allora, e adesso
ne ho diciassette, e certe volte mi comporto come se ne avessi tredici. È pro-
prio da ridere, perché sono alto un metro e ottantanove e ho i capelli grigi.
Sul serio. Da un lato - il destro - sono pieno di capelli bianchi, milioni. Li ho
sempre avuti, anche quand’ero bambino. Eppure certe volte mi comporto
ancora come se avessi appena sì e no dodici anni. Lo dicono tutti, specie mio
padre. E in parte è vero, ma non del tutto vero. La gente pensa sempre che le
cose siano del tutto vere. Io me ne infischio, però certe volte mi secco quan-
do la gente mi dice di comportarmi da ragazzo della mia età. Certe volte mi
34
comporto come se fossi molto più vecchio di quanto sono - sul serio - ma la
gente non c’è caso che se ne accorga. La gente non si accorge mai di niente.
Il vecchio Spencer ricominciò a fare su e giù con la testa. Cominciò pure a
mettersi le dita nel naso. Faceva come se stesse soltanto pizzicandoselo, ma
in realtà ci infilava dentro il suo vecchio pollice. Mi sa che pensava di poterlo
fare tranquillamente perché nella stanza non c’ero che io. Non che me ne
importasse, però è abbastanza stomachevole guardare uno che si mette le
dita nel naso.
Poi lui disse: - Alcune settimane fa, quando sono venuti a parlare col dottor
Thurmer, ho avuto l’onore di conoscere il tuo papà e la tua mamma. Sono A
persone eccezionali.
- Sì, certo. Sono molto in gamba.
Eccezionali. Ecco una parola che detesto con tutta l’anima. È fasulla. Roba
che vomiterei ogni volta che la sento.
Poi, tutt’a un tratto, il vecchio Spencer ebbe l’aria di dovermi dire una cosa
bellissima, acuta come una puntina da disegno. Si sedette un po’ più dritto
sulla poltrona e si girò un poco. Era stato un falso allarme, però. Non fece
altro che prendere l’Atlantic Monthly che teneva sulle ginocchia e tentar di
gettarlo sul letto, vicino a me. Fece cilecca. Era a non più di cinque centimetri,
ma fece cilecca lo stesso. Io mi alzai, lo raccolsi e lo posai sul letto. E tutt’a
un tratto mi venne una voglia matta di andarmene da quella stanza. Sentivo
arrivare una predica tremenda. Non che quell’idea mi sgomentasse molto,
ma non mi sentivo in vena di sorbirmi una predica e di fiutare quell’odore di
gocce Vicks e di guardare il vecchio Spencer in pigiama e vestaglia, tutto in
una volta. Proprio no.
E invece eccola. - Che cosa ti succede, figliolo? - disse il vecchio Spencer. E
trattandosi di lui fu piuttosto secco, anche.
- Quante materie hai portato, questo trimestre?
- Cinque, professore.
- Cinque. E in quante sei stato respinto?
- In quattro -. Spostai un pochino il didietro sul letto. Non mi ero mai seduto
su un letto così duro. - Sono passato in inglese, - dissi, perché tutta quella
roba su Beowulf e Lord Randal4 figlio mio l’avevo già fatta a Whooton5. Voglio 4. Beowulf e Lord
dire, in inglese non ho dovuto fare quasi niente, tranne un tema ogni tanto. Randal: due famo-
si testi della lette-
Non stava nemmeno a sentire. Non stava quasi mai a sentire, quando uno gli ratura inglese.
diceva qualche cosa.
5. Whooton: una
- Io ti ho bocciato in storia per il semplice motivo che non sapevi assoluta- delle scuole fre-
mente niente. quentate da Hol-
- Lo so, professore. Ragazzi, lo so benissimo! Non poteva farne a meno. den.
- Assolutamente niente, - ripeté. Ecco una cosa che mi fa perdere le staffe.
Quando la gente dice le cose due volte, dopo che uno gli ha dato ragione
la prima volta. Allora lui la disse tre volte. - Ma assolutamente niente. Sono
quasi convinto che tu non hai aperto il libro nemmeno una volta durante
tutto il trimestre. L’hai aperto? Di’ la verità, figliolo.
- Be’, ci ho dato un’occhiata un paio di volte, - gli dissi. Non volevo ferire i
suoi sentimenti. Lui era fissato, per la storia.
- Ci hai dato un’occhiata, eh! - disse, molto sarcastico. - Il foglio del tuo...
ehm... esame scritto sta lassù sul comò. In cima a quel mucchio. Portamelo,
per piacere.
35
Era un tiro schifo, ma andai a prenderlo e glielo portai - non avevo scelta,
niente. Poi tornai a sedermi su quel letto di cemento. Ragazzi, quanto rim-
piangevo d’essere andato a salutarlo non potete nemmeno immaginarvelo.
Lui si mise a maneggiare il mio compito come se fosse uno stronzo o che so
io. - Abbiamo studiato gli egiziani dal 4 novembre al 7 dicembre - disse. - Per
il tema facoltativo, sei stato tu stesso a scegliere quest’argomento. Ti interessa
di sapere che cosa sei riuscito a dire?
- No, professore, non molto, - dissi.
Ma lui lo lesse lo stesso. Non puoi fermare un professore quando vuol fare
una cosa. La fa, e basta.
- “Gli egiziani erano un’antica razza caucasica e risiedevano in una delle re-
gioni settentrionali dell’Africa. Questa, come tutti sappiamo, è il più vasto
continente dell’emisfero orientale”.
E io dovevo starmene seduto lì a sentire tutte quelle cretinate. Era proprio un
tiro schifo.
- “Gli egiziani, oggi, costituiscono per noi argomento di grande interesse per
vari motivi. La scienza moderna vorrebbe ancora sapere quali fossero gli in-
gredienti segreti che gli egiziani usavano quando fasciavano i morti, in modo
da salvare dalla putrefazione i loro visi per innumerevoli secoli. Questo inte-
ressante enigma è tuttora una vera sfida alla scienza moderna del ventesimo
secolo”.
Smise di leggere e posò il mio compito. Stavo cominciando a provare per lui
una specie di odio.
- Il tuo saggio, chiamiamolo così, finisce qua, - disse con quel tono molto
sarcastico.
Chi l’avrebbe mai pensato che un uomo così vecchio potesse essere tanto
sarcastico e così via.
- Però, - disse, - hai aggiunto una piccola nota in fondo alla pagina.
- Lo so, - dissi io. Lo dissi molto in fretta, perché volevo fermarlo prima che
si mettesse a leggere forte anche quella. Ma bravo chi lo fermava. Era partito
in quarta.
-“Egregio professor Spencer”, - lesse ad alta voce .- “Questo è tutto quello che
so sugli egiziani. A quanto sembra, non riesco a provare un grande interesse per
loro, benché le sue lezioni siano molto interessanti. Non ho niente da obiettare
se mi boccia, perché tanto sarò bocciato in tutto fuorché in inglese. Con i miei
ossequi, Holden Caulfield” -. Poi posò il mio maledetto compito e mi guardò
come se mi avesse clamorosamente battuto a ping-pong o che so io. Credo che
non gli perdonerò mai di avermi letto quelle cretinate ad alta voce. Se a scriverle
fosse stato lui, io non gliele avrei mica lette ad alta voce, neanche per sogno.
Tanto per cominciare, io quella dannata nota l’avevo scritta soltanto perché l’i-
dea di bocciarmi non lo facesse restar troppo male.
- Mi biasimi se ti ho bocciato, figliolo? - disse.
- Ma no, professore, no davvero! - dissi. Avrei dato non so che cosa perché la
smettesse di chiamarmi tutto il tempo “figliolo”.
Ormai che aveva finito col mio compito, cercò di gettarlo sul letto. Ma fece
cilecca anche stavolta, naturalmente. Dovetti alzarmi di nuovo, raccoglierlo e
posarlo sopra all’Atlantic Monthly. Una bella seccatura, quella ginnastica ogni
due minuti.
- Come ti saresti regolato tu al posto mio? - disse. - Sii sincero, figliolo.
36
Be’, era chiaro che in realtà l’idea di avermi bocciato lo faceva sentire un ver-
me. Sicché per un poco mi misi a sparar balle. Gli dissi che ero un autentico
lavativo eccetera eccetera. Gli dissi che se fossi stato al suo posto avrei fatto
esattamente la stessa cosa, e che la maggior parte della gente non valuta
quanto sia duro fare il professore. Eccetera eccetera. Le solite balle.
La cosa buffa, però, è che mentre continuavo a raccontar balle pensavo a
tutt’altro. Io abito a New York, e pensavo al laghetto di Central Park, vicino a
Central Park South. Chi sa se quando arrivavo a casa l’avrei trovato gelato, mi
domandavo, e se era gelato, dove andavano le anitre? Chi sa dove andavano
le anitre quando il laghetto era tutto gelato e col ghiaccio sopra. Chi sa se A
qualcuno andava a prenderle con un camion per portarle allo zoo o vattelap-
pesca dove. O se volavano via.
È una bella fortuna, però. Voglio dire, potevo sparare balle col vecchio Spen-
cer e al tempo stesso pensare a quelle anitre. È buffo. Non occorre spremersi
le meningi, quando si parla con un professore. Tutt’a un tratto, però, mentre
continuavo a raccontare balle, lui m’interruppe. Non faceva che interrom-
permi.
- E tu, di fronte a tutto questo, cos’è che senti, figliolo? È una cosa che m’in-
teressa molto. Proprio molto.
- Parla della mia espulsione da Pencey con quel che segue? - dissi. Avevo il
vago desiderio che si coprisse il petto bitorzoluto. Non era un bello spetta-
colo.
- Se non sbaglio, mi sembra che tu abbia avuto qualche difficoltà anche a
Whooton e ad Elkton Hills - Stavolta il suo tono non era soltanto sarcastico,
ma anche un po’ maligno.
- A Elkton Hills non ho avuto troppe difficoltà, - gli dissi. - Non sono stato
proprio espulso né niente. Me ne sono andato io, in un certo senso.
- Perché, se non sono indiscreto?
- Perché? Oh, be’, è una storia lunga, professore. Voglio dire che è un po’
complicata -.
Non me la sentivo di rivangare tutta quella faccenda con lui. Tanto non l’a-
vrebbe capita. Non era proprio pane per i suoi denti, Uno dei principali moti-
vi per cui avevo lasciato Elkton Hills è che c’era pieno così di palloni gonfiati.
Ecco tutto. Arrivavano a frotte da ogni parte. C’era quel preside, per esempio,
il signor Haas, che era il pallone gonfiato più bastardo che avessi mai cono-
sciuto in vita mia. Dieci volte peggio del vecchio Thurmer. La domenica, per
esempio, il vecchio Haas faceva il giro per stringere la mano a tutti i genitori
che venivano in visita a scuola. Sprizzava cordialità da tutti i pori. A patto che
un ragazzo non avesse dei genitorucoli un po’ buffi. Dovevate vedere come
faceva coi genitori del mio compagno di stanza. Voglio dire, se uno aveva
una madre un po’ tracagnotta o mezza calzetta o vattelappesca o un padre
di quelli con le giacche imbottite sulle spalle e le scarpe bianche e nere da
contadino a festa, allora il vecchio Haas si limitava a scambiare con loro una
stretta di mano, gli faceva un sorriso fasullo e poi se ne andava a parlare, ma-
gari per mezz’ora, coi genitori di qualcun altro. Queste sono le cose che non
posso sopportare. Ci divento matto. Mi deprimono talmente che ci divento
matto. Lo odiavo, quel maledetto Elkton Hills.
37
omprensione
1 La vicenda narrata si svolge in un luogo in un ambiente.
nalisi
1 Fabula e intreccio coincidono? Perché?
2 Nel testo è presente un narratario: chi è? Qual è il motivo della sua presenza?
5 Be’, era chiaro che in realtà l’idea di avermi bocciato lo faceva sentire un verme. Sicché
per un poco mi misi a sparar balle. Gli dissi che ero un autentico lavativo eccetera
eccetera. Gli dissi che se fossi stato al suo posto avrei fatto esattamente la stessa cosa,
e che la maggior parte della gente non valuta quanto sia duro fare il professore. Ec-
cetera eccetera. Le solite balle. Che cosa puoi osservare, in questo punto del testo, a
proposito di io narrante e io narrato?
6 Ricostruisci la figura del protagonista collocando gli indizi sparsi nel testo nelle sedi
opportune di questa tabella:
38
13 Esso usa anche vocaboli colloquiali, espressioni gergali e volgari: trascrivi qual-
che esempio per ogni tipologia indicata. A
14 Nel testo sono presenti alcune parole enfatizzate: scegline due e spiega perché
sono state messe in rilievo.
iflessione e produzione
1 Che idea ha della vita Holden? Attraverso quale figura retorica la esprime?
2 Holden considera la scuola un ambiente che diffonde un sapere inutile, acritico e ri-
petitivo. Anche tu la pensi così? E, nel caso, il tuo giudizio riguarda l’istituzione-scuola
o alcuni professori? Illustra e motiva il tuo pensiero in un breve testo, che faccia riferi-
mento alle esperienze del tuo percorso scolastico.
39
VERIFICA FINALE
Unità 1: Il mito
IL FUOCO
ANONIMO
La conquista del fuoco costituisce una tappa fondamentale per la storia dell’umanità. Ecco che cosa
raccontano in proposito gli Indiani d’America…
In principio non c’era il fuoco e la terra era fredda. Poi gli Uccelli del Tuono man-
1. Sicomoro: albero darono il loro fulmine a un sicomoro1 su un’isola dove vivevano le Donnole. Le
simile al fico dif-
fuso in Africa e in Donnole furono le uniche ad avere il fuoco, e non volevano darne a nessuno.
Asia Minore. Gli Uomini sapevano che c’era fuoco sull’isola, perché vedevano il fumo
2. A concilio: in as- uscire dal sicomoro, ma l’acqua era troppo profonda da attraversare. Quando
semblea. giunse l’inverno gli Uomini soffrivano tanto per il freddo che si riunirono a
concilio2, al fine di trovare un modo per ottenere il fuoco dalle Donnole.
Tutti gli animali che sapevano nuotare erano stati invitati.
“Come potremo ottenere il fuoco?” si chiesero gli Uomini.
La maggior parte degli animali temeva le Donnole perché erano sanguinarie
e mangiavano topi e talpe e pesci e uccelli. Coniglio fu l’unico abbastanza
coraggioso da tentare di rubare loro il fuoco.“So correre e nuotare più veloce
delle Donnole” disse.“E sono anche un buon danzatore. Ogni notte le Don-
nole fanno un gran fuoco e vi danzano intorno. Stasera attraverserò l’acqua a
nuoto e mi unirò alle danze. Poi scapperò con un po’ di fuoco”.
Considerò un po’ la faccenda, poi decise come si sarebbe comportato. Prima
che il sole tramontasse, si strofinò la testa con resina di pino in modo da far
star dritti i peli. Poi, al cadere delle tenebre, attraversò l’acqua a nuoto e rag-
giunse l’isola.
40
Le Donnole accolsero Coniglio con gioia, poiché avevano sentito parlare del-
la sua bravura come danzatore. Presto un gran fuoco brillò e tutte comin-
ciarono a danzarvi intorno. Mentre danzavano, le Donnole si avvicinavano
sempre più al fuoco, al centro del cerchio. Vi si inchinavano davanti e poi,
sempre danzando, se ne allontanavano.
Quando Coniglio entrò nel cerchio delle danzatrici, le Donnole gli gridaro-
no: “Guidaci tu, Coniglio!”. Egli danzò in testa a tutte, facendosi sempre più
vicino al fuoco. Si inchinò ad esso, abbassando sempre più la testa, come se
avesse intenzione di prenderlo. Mentre le Donnole danzavano sempre più
veloci tentando di stare al passo con lui, Coniglio all’improvviso si chinò così A
profondamente che la resina di pino sui suoi peli prese fuoco con un guizzo.
Scappò con la testa in fiamme e le Donnole furiose lo inseguirono gridando:
“Prendetelo! Prendetelo! Ha rubato il nostro fuoco sacro! Prendetelo e but-
tatelo a terra!”
Ma Coniglio corse molto più svelto di loro e si tuffò in acqua, lasciando le
Donnole a riva. Nuotò attraverso l’acqua con le fiamme ancora vive sul capo.
Le Donnole allora chiamarono gli Uccelli del Tuono perché facessero piovere
in modo da spegnere il fuoco rubato da Coniglio. Per tre giorni la pioggia
cadde violenta sulla terra e le Donnole erano sicure che non fosse rimasto
alcun fuoco acceso oltre a quello nel loro sicomoro.
Coniglio, tuttavia, aveva fatto un fuoco in un albero cavo e quando la pioggia
fu cessata e tornò il sole, egli uscì e diede il fuoco a tutti gli Uomini. Da allora
in poi, ogni volta che piove, gli uomini tennero il fuoco nei loro rifugi, e fu
così che Coniglio portò il fuoco agli Uomini.
Da D. Brown, Attorno al fuoco, Mondadori, Milano
omprensione
1 In che modo le Donnole ottengono il fuoco?
nalisi
1 Chi racconta questo mito?
2 Con quale focalizzazione? Cita un passo del mito che confermi la tua risposta.
3 Chi è il protagonista?
41
4 Quali sono le sue principali qualità? Esse permettono di considerarlo un eroe? Perché?
8 Illustra, con espressioni tratte dal testo, le caratteristiche del tempo della storia e
mettilo in rapporto con il tempo tipico del mito.
iflessione e produzione
1 A quale tipologia appartiene questo mito e perché?
2 Esso ha a che fare con la religione? E potrebbe avere a che fare anche con la storia?
3 Quali valori positivi comunica questo mito? E quali atteggiamenti negativi biasima?
4 Perché l’azione di Coniglio, pur essendo a tutti gli effetti un furto, può essere giudicata
positivamente?
5 Riassumi il mito che hai letto, riducendone la lunghezza almeno della metà.
42
VERIFICA FINALE
Unità 1: La leggenda
Hai già avuto modo di conoscere alcuni episodi delle vite dei Santi: in questa leggenda, raccontata da
Jacopo da Varazze, uno di loro, San Giorgio, sconfigge un terribile drago.
San Giorgio, originario della Cappadocia1 e tribuno nell’armata romana2, 1. Cappadocia: re-
gione della Turchia.
giunse una volta alla città di Silene, in Libia. Vicino a questa città vi era uno
stagno grande come il mare in cui si nascondeva un orribile drago che più 2. Tribuno… roma-
na: ufficiale dell’e-
volte aveva messo in fuga il popolo intero armato contro di lui; quando poi sercito romano.
si avvicinava alle mura della città uccideva col fiato tutti quelli in cui si im-
batteva. I cittadini, per mitigare il furore del drago e impedire che appestasse
l’aria causando la morte di molti, gli offrirono dapprima due pecore ogni
giorno perché se ne cibasse; ma quando le pecore, di cui non avevano grande
abbondanza, cominciarono a mancare, furono costretti a dargli da mangiare
una pecora e un uomo. Si tirava dunque a sorte il nome della vittima scelta
tra i giovani della città e nessuna famiglia era esclusa: già quasi tutti i giovani
erano stati divorati quando l’unica figlia del re fu designata come la vittima
da presentare al drago.
Il re profondamente addolorato disse:“Prendetemi tutto l’oro e l’argento che
ho e metà del mio regno ma rendetemi la figlia mia, onde non perisca di
siffatta morte!”. Rispose il popolo infuriato: “O re, hai fatto tu stesso questo
editto3! I nostri figli sono morti e tu vorresti salvare la figlia tua? Se tu non 3. Editto: legge.
permetterai che questa muoia come gli altri, bruceremo te e la tua casa!”. Il re
43
allora disse piangendo alla figlia: “Che cosa devo dirti, figlia mia dolcissima?
Ormai non vedrò più le tue nozze!”. Rivolto poi al popolo esclamò:“Vi prego
di darmi otto giorni di tempo per piangere la figlia mia!”. Il popolo acconsen-
tì, ma dopo otto giorni così parlò al re:“ Non vedi che tutti muoiono per il pe-
stifero soffio del drago?”. Il re vide che in nessun modo poteva salvare la fi-
4. Onde: per cui. glia onde4 la vestì di vesti regali e abbracciandola disse fra le lacrime:“Ahimè!
Figlia mia dolcissima, io credevo che nel grembo regale tu avresti allevato i
tuoi figli, e invece diverrai preda del drago! Ahimè! Figlia mia dolcissima, io
speravo di invitare i principi alle tue nozze, di ornare di perle il mio palazzo
e di ascoltare l’allegro suono dei timpani e degli organi: invece tu diverrai la
preda del drago!”. La figlia allora cadde ai piedi del padre chiedendogli la sua
benedizione. Il re la benedisse con molte lacrime; dopodiché la giovinetta si
incamminò verso il lago.
Il beato Giorgio che per caso passava di là vide la fanciulla piangente e le
chiese cosa avesse. E quella: “Buon giovane, risali subito sul cavallo se non
vuoi morire con me”. E Giorgio: “Non temere, figlia mia, ma dimmi cosa fai
qui in lacrime sotto gli occhi di tutto il popolo, che ti sta ad osservare dalle
mura”. E quella:“Vedo che sei un giovane audace e generoso, ma perché vuoi
morire con me? Fuggi, fuggi senza più aspettare!”E Giorgio:“Non me ne an-
drò finché tu non mi abbia detto che cosa stai facendo”. Quando la fanciulla
gli ebbe raccontato la sua storia disse Giorgio:“Figlia mia non temere, poiché
io ti verrò in aiuto nel nome di Cristo”. E quella: “Buon soldato non voler
morire, basta la mia morte!”.
Mentre i due parlavano il drago sollevò la testa dall’acqua del lago onde la
fanciulla tutta tremante gridò: “Fuggi, fuggi, mio buon signore!”. Giorgio al-
lora salì sul cavallo e fattosi il segno della croce si gettò sul drago, vibrò con
violenza la lancia e, raccomandandosi a Dio, gravemente lo ferì. Il drago cad-
de a terra e Giorgio disse alla giovinetta: “Non aver più timore e avvolgi la
tua cintura al collo del drago”. Così ella fece e il drago cominciò a seguirla
5. In tal guisa: in mansueto come un cagnolino. Vedendola in tal guisa5 avvicinarsi alla città,
questo modo. tutto il popolo atterrito cominciò a gridare: “Ahimè, ora moriremo tutti!”. Ma
il beato Giorgio disse loro: “Non abbiate timore poiché Iddio mi ha mandato
a voi onde liberarvi da questo drago. Abbracciate la fede di Cristo, ricevete il
battesimo e io ucciderò il mostro”. Allora il re con tutta la popolazione rice-
vettero il battesimo; dopodiché Giorgio uccise il drago e comandò che fosse
portato fuori della città con un carro tirato da quattro paia di bovi.
Senza contare le donne e i bambini, in quel giorno furono battezzati venti-
mila uomini. Il re fece costruire una gran chiesa in onore della Madonna e
6. Fonte viva: sor- del beato Giorgio e dall’altare sgorgò una fonte viva6 per la cui acqua molti
gente. infermi recuperarono la salute. Il re offrì a Giorgio anche una gran somma
7. Gli uffici divini: di denaro ma questo ordinò che fosse distribuito tra i poveri. Infine Giorgio
le cerimonie reli- dette al re quattro ammaestramenti: di aver cura delle chiese, di onorare i
giose.
sacerdoti, di ascoltare devotamente gli uffici divini7, di ricordarsi sempre dei
bisognosi. Poi lo abbracciò affettuosamente e se ne andò da quella città.
Da Jacopo da Varazze, Legenda aurea, Einaudi, Torino
44
omprensione
1 Dove accadono i fatti narrati?
3 Egli usa la focalizzazione …………………… come si deduce dal fatto che ………………
……………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
8 Chi è l’antagonista?
10 In quale tempo sono ambientati i fatti narrati? Esso è tipico della leggenda? Per quale
motivo?
11 Commenta lo stile del testo che hai letto, citando alcuni esempi che possano con-
fermare quanto affermi.
45
iflessione e produzione
1 Hai letto una leggenda sovrannaturale naturalistica storica, perché
…………………………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………………………
2 Quali elementi di questa leggenda sono reali? E quali, invece, sono frutto di fantasia?
3 Questi due elementi della leggenda hanno un valore simbolico: scrivi, accanto a ciascu-
no, che cosa può rappresentare.
Il santo: ………………………………………………………………………………………
Il drago: ………………………………………………………………………………………
5 Quando, come e perché si diffusero leggende come questa? Spiegalo in un breve testo,
in cui esporrai le tue conoscenze sull’argomento.
46
VERIFICA FINALE
Unità 2: La novella
A
erifica della teoria
1 Completa queste definizioni:
a. La novella è ………………………………………………………………………………………
b. Le novelle d’azione sono quelle in cui …………………………………………………………
c. Le novelle d’analisi sono quelle in cui …………………………………………………………
2 Chi e perché può essere considerato il padre di questo genere letterario? 1. Biviere di Lenti-
ni: lago di Lentini,
che si trovava (oggi
è prosciugato) tra
Siracusa e Catania.
LA ROBA 2. Stoppie riarse: re-
sidui della mietitu-
GIOVANNI VERGA ra bruciati dal sole.
3. F r a n c o f o n t e …
La novella che stai per leggere contiene temi e spunti che l’autore, Giovanni Verga, sviluppò in uno dei Passanitello: tutte
suoi più grandi romanzi, Mastro don Gesualdo: i protagonisti di entrambi i testi sono infatti vittime di località che si tro-
una smania di possesso che non dà loro tregua. vano tra Catania e
Siracusa.
4. Fosco: offuscato.
Il viandante che andava lungo il Biviere di Lentini1, steso là come un pezzo
di mare morto, e le stoppie riarse2 della Piana di Catania, e gli aranci sempre 5. Lettiga: una spe-
cie di portantina
verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Pas- formata da un abi-
saneto e di Passanitello3, se domandava, per ingannare la noia della lunga tacolo poggiato su
strada polverosa, sotto il cielo fosco4 dal caldo, nell’ora in cui i campanelli stanghe sorrette da
della lettiga5 suonano tristamente nell’immensa campagna, e i muli lasciano muli; veniva usata,
un tempo, per tra-
ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica sportare le persone
per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: - Qui di chi è? - sentiva importanti nelle
rispondersi: - Di Mazzarò -. E passando vicino a una fattoria grande quanto strade strette, in
cui le carrozze non
un paese, coi magazzini che sembrano chiese, e le galline a stormi6 accocco- potevano passare.
late all’ombra del pozzo, e le donne che si mettevano la mano sugli occhi per
6. A stormi: a schiere.
vedere chi passava: - E qui? - Di Mazzarò -. E cammina e cammina, mentre
la malaria vi pesava sugli occhi7, e vi scuoteva all’improvviso l’abbaiare di un 7. La malaria… oc-
chi: la malaria pro-
cane, passando per una vigna che non finiva più, e si allargava sul colle e sul voca una forte son-
piano, immobile, come gli pesasse addosso la polvere, e il guardiano sdraia- nolenza.
47
dei suoi mietitori, col nerbo18 in mano, non ne perdeva d’occhio uno solo, e
badava a ripetere: - Curviamoci, ragazzi! - Egli era tutto l’anno colle mani in 18. Nerbo: frusta.
tasca a spendere, e per la sola fondiaria19 il re si pigliava tanto che a Mazzarò 19. Fondiaria: l’im-
gli veniva la febbre, ogni volta. posta sui terreni.
Però ciascun anno tutti quei magazzini grandi come chiese si riempivano 20. Capire: entrare.
di grano che bisognava scoperchiare il tetto per farcelo capire20 tutto; e ogni
21. Carta sudicia:
volta che Mazzarò vendeva il vino, ci voleva più di un giorno per contare il cartamoneta
denaro, tutto di 12 tarì d’argento, ché lui non ne voleva di carta sudicia21 per (deteriorabile, al
la sua roba, e andava a comprare la carta sudicia soltanto quando aveva da
pagare il re, o gli altri; e alle fiere gli armenti22 di Mazzarò coprivano tutto il
contrario delle
monete).
22. Gli armenti: le
A
campo, e ingombravano le strade, che ci voleva mezza giornata per lasciarli
greggi.
sfilare, e il santo23, colla banda, alle volte dovevano mutar strada, e cedere il
passo. 23. Il santo: la statua
del santo patrono,
Tutta quella roba se l’era fatta lui, colle sue mani e colla sua testa, col non portata in proces-
dormire la notte, col prendere la febbre dal batticuore o dalla malaria, coll’af- sione nei giorni di
faticarsi dall’alba a sera, e andare in giro, sotto il sole e sotto la pioggia, col festa.
logorare i suoi stivali e le sue mule - egli solo non si logorava, pensando alla 24. Nudo e crudo:
sua roba, ch’era tutto quello ch’ei avesse al mondo; perché non aveva né figli, modo di dire po-
polare: povero in
né nipoti, né parenti; non aveva altro che la sua roba. Quando uno è fatto canna.
così, vuol dire che è fatto per la roba.
25. Campieri: sorve-
Ed anche la roba era fatta per lui, che pareva ci avesse la calamita, perché glianti dei campi;
la roba vuol stare con chi sa tenerla, e non la sciupa come quel barone che di solito erano
prima era stato il padrone di Mazzarò, e l’aveva raccolto per carità nudo e armati.
crudo24 ne’ suoi campi, ed era stato il padrone di tutti quei prati, e di tutti quei 26. Al minchione:
boschi, e di tutte quelle vigne e tutti quegli armenti, che quando veniva nelle allo sciocco.
sue terre a cavallo coi campieri25 dietro, pareva il re, e gli preparavano anche 27. Rubato: deruba-
l’alloggio e il pranzo, al minchione26, sicché ognuno sapeva l’ora e il momen- to.
to in cui doveva arrivare, e non si faceva sorprendere colle mani nel sacco.
- Costui vuol essere rubato27 per forza! - diceva Mazzarò, e schiattava dalle
risa quando il barone gli dava dei calci nel di dietro, e si fregava la schiena
colle mani, borbottando: - Chi è minchione se ne stia a casa, - la roba non è
di chi l’ha, ma di chi la sa fare -. Invece egli, dopo che ebbe fatta la sua roba,
non mandava certo a dire se veniva a sorvegliare la messe, o la vendemmia,
e quando, e come; ma capitava all’improvviso, a piedi o a cavallo alla mula,
senza campieri, con un pezzo di pane in tasca; e dormiva accanto ai suoi co-
voni, cogli occhi aperti, e lo schioppo fra le gambe.
In tal modo a poco a poco Mazzarò divenne il padrone di tutta la roba del
barone; e costui uscì28 prima dall’uliveto, e poi dalle vigne, e poi dai pascoli, 28. Uscì: fu costretto
e poi dalle fattorie e infine dal suo palazzo istesso, che non passava giorno a rinunciare.
che non firmasse delle carte bollate, e Mazzarò ci metteva sotto la sua brava 29. Lo scudo di pie-
croce. Al barone non era rimasto altro che lo scudo di pietra29 ch’era prima sul tra: lo stemma del
casato.
portone, ed era la sola cosa che non avesse voluto vendere, dicendo a Maz-
zarò: - Questo solo, di tutta la mia roba, non fa per te -. Ed era vero; Mazzarò
non sapeva che farsene, e non l’avrebbe pagato due baiocchi. Il barone gli
dava ancora del tu, ma non gli dava più calci nel di dietro.
- Questa è una bella cosa, d’avere la fortuna che ha Mazzarò! - diceva la gen-
te; e non sapeva quel che ci era voluto ad acchiappare quella fortuna: quanti
pensieri, quante fatiche, quante menzogne, quanti pericoli di andare in ga-
lera, e come quella testa che era un brillante avesse lavorato giorno e notte,
49
meglio di una macina del mulino, per fare la roba […] E quante seccature
30. Mezzadri: con- Mazzarò doveva sopportare! - I mezzadri30 che venivano a lagnarsi delle ma-
tadini che colti- lannate31, i debitori che mandavano in processione le loro donne a strapparsi
vano un podere
facendo a metà
i capelli e picchiarsi il petto per scongiurarlo di non metterli in mezzo alla
del guadagno con strada, col pigliarsi il mulo o l’asinello, che non avevano da mangiare.
il proprietario. - Lo vedete quel che mangio io? - rispondeva lui, - pane e cipolla! e sì che
31. Malannate: cat- ho i magazzini pieni zeppi, e sono il padrone di tutta questa roba -. E se gli
tivi raccolti. domandavano un pugno di fave, di tutta quella roba, ei diceva: - Che, vi pare
che l’abbia rubata? Non sapete quanto costano per seminarle, e zapparle, e
raccoglierle? - E se gli domandavano un soldo rispondeva che non l’aveva.
E non l’aveva davvero. Ché in tasca non teneva mai 12 tarì, tanti ce ne vole-
vano per far fruttare tutta quella roba, e il denaro entrava ed usciva come un
fiume dalla sua casa. Del resto a lui non gliene importava del denaro; diceva
che non era roba, e appena metteva insieme una certa somma, comprava
subito un pezzo di terra; perché voleva arrivare ad avere della terra quanta ne
ha il re, ed esser meglio del re, ché il re non può né venderla, né dire ch’è sua.
Di una cosa sola gli doleva, che cominciasse a farsi vecchio, e la terra doveva
lasciarla là dov’era. Questa è una ingiustizia di Dio, che dopo di essersi logo-
rata la vita ad acquistare della roba, quando arrivate ad averla, che ne vorreste
ancora, dovete lasciarla! E stava delle ore seduto sul corbello, col mento nelle
mani, a guardare le sue vigne che gli verdeggiavano sotto gli occhi, e i campi
che ondeggiavano di spighe come un mare, e gli oliveti che velavano la mon-
tagna come una nebbia, e se un ragazzo seminudo gli passava dinanzi, curvo
sotto il peso come un asino stanco, gli lanciava il suo bastone fra le gambe,
per invidia, e borbottava: - Guardate chi ha i giorni lunghi32! Costui che non
32. Chi ha ... lunghi!: ha niente! –
chi ha ancora
molto da vivere! Sicché quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare
all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzan-
do a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: - Roba mia,
vientene con me! –
Da G. Verga, Tutte le novelle, Mondadori, Milano
omprensione
1 Chi è Mazzarò?
3 Quale lusso si concede, nel suo abbigliamento, dopo essere diventato ricco?
50
nalisi
1 Questa novella può essere considerata d’azione di carattere d’analisi? Per-
ché?
3 Quale focalizzazione usa per descrivere, nella lunga sequenza iniziale, tutti i possessi
di Mazzarò? Perché è stata scelta questa focalizzazione? A
4 La focalizzazione usata per descrivere Mazzarò è invece quella …………………… al
lettighiere. Perché è stata scelta proprio questa focalizzazione?
7 Spiega, con opportuni riferimenti al testo, da dove nasce la sua smania di roba.
8 Il contrasto tra il borghese Mazzarò e il nobile barone è uno degli aspetti più in-
teressanti di questa novella: evidenzia le principali differenze che esistono tra i due
personaggi completando questo schema.
Non è abituato a …………………………………… le mani, non sa
14 Sottolinea tre iperboli (cioè tre espressioni esagerate) che sono state usate per de-
scrivere l’enorme vastità dei possessi di Mazzarò.
15 Con quale tecnica sono riferite queste parole di Mazzarò: Ché lui non ne voleva di
carta sudicia per la sua roba?
51
iflessione e produzione
1 In tutto il testo aleggia lo spettro della morte, che segnerà inesorabilmente la fine del
possesso della roba: quali riferimenti a questo tema sono presenti fin dall’inizio della
novella?
2 Alcuni critici hanno usato, per questa novella, l’espressione “la religione della roba” dal
momento che
Mazzarò è ateo
Mazzarò ha, per la roba, la stessa venerazione che si ha per Dio
Mazzarò onora e rispetta il dovere del lavoro e i suoi frutti.
Indica quali punti del testo confermano l’opzione scelta.
3 Questa novella descrive un uomo dell’Ottocento che, in realtà, non ha tempo, perché
anche oggi molte persone collegano la serenità al possesso di beni materiali. È così
anche per te? Illustra il tuo parere e spiega perché la figura di Mazzarò ti è sembrata
lontana / vicina al tuo modo di vedere.
52
VERIFICA FINALE
Unità 3: Il racconto
A
NB: Proponiamo due prove di verifica sul racconto, una sul racconto realistico e l’altra sul racconto fan-
tastico; la verifica sul racconto psicologico è rimandata alla trattazione del romanzo psicologico.
2 Elenca gli scopi che si possono perseguire con la scrittura di un racconto realistico.
3 Dopo la lettura spiega perché, in base alle due risposte che hai appena dato, questo
racconto può essere considerato realistico.
LA SPOSA BAMBINA
BEPPE FENOGLIO
In questo racconto, intitolato La sposa bambina, Beppe Fenoglio tratteggia uno spaccato di vita conta-
dina ambientato nelle Langhe piemontesi, una zona collinare tra Asti e Cuneo che egli conosce molto
bene, perché è la sua terra d’origine.
Catinina1 del Freddo era di quella razza che da noi si marchia col nome di 1. Catinina: diminu-
mezzi zingari perché mezza la loro vita la passano sotto l’ala del mercato2. tivo di Caterina.
Proprio sotto l’ala si trovava, a tredici anni giusti, a giocare coi maschi a tocco 2. L’ala… merca-
e spanna3, quando sua madre le fece una chiamata straordinaria4. to: la tettoia della
piazza in cui si fa il
– Lasciami solo più giocare queste due bilie! – le gridò Catinina, ma sua ma- mercato.
dre fece la mossa di avventarsi e Catinina andò, con ben più di due bilie nella
3. A tocco… spanna:
tasca del grembiale. con le biglie (qui
A casa c’era suo padre e sua sorella maggiore, tra i quali vennero a mettersi con la grafia meno
lei e sua madre, e così tutt’insieme fronteggiavano un vecchio che Catinina consueta bilie).
conosceva solo di vista, con baffi che gli coprivano la bocca e nei panni un 4. Straordinaria: i-
cattivo odore un po’ come quello dell’acciugaio5. I suoi di Catinina stavano naspettata.
come sospesi6 davanti al vecchio, e Catinina cominciò a dubitare che fosse 5. Acciugaio: vendi-
venuto per farsi rendere ad ogni costo del denaro imprestato e i suoi l’aves- tore di acciughe.
sero chiamata perché il vecchio la vedesse e li compatisse. 6. I suoi…sospesi: i
Invece il vecchio era venuto per chiedere la mano di Catinina per un suo parenti di Catinina
stavano come in
nipote che aveva diciotto anni e già un commercio suo proprio. attesa.
53
Sua madre si piegò e disse a Catinina: – Neh7 che sei contenta di sposare il
7. Neh: espressione nipote di questo signore?
tipica del dialetto Catinina scrollò le spalle e torse8 la testa. Sua madre la rimise in posizione:
piemontese e lom-
bardo, con cui si
– Neh che sei contenta, Catinina? Ti faremo una bella veste nuova, se lo spo-
chiede conferma di si. Allora Catinina disse subito che lo sposava e vide il vecchio calar pesan-
ciò che si sta dicen- temente le palpebre sugli occhi. – Però la veste me la fate rossa, – aggiunse
do (equivale, quin- Catinina. – Ma rossa non può andare in chiesa e per sposalizio. Perché ti
di, a “vero che?”).
faremo una gran festa in chiesa. Avrai una veste bianca, oppure celeste.
8. Torse: voltò. A Catinina la gran festa in chiesa diceva poco o niente, quella veste non rossa
9. Scoramento: de- già le cambiava l’idea, per lo scoramento9 si lasciò piombare una mano in
lusione. tasca e fece suonare le bilie.
10. Alla vicaria di Allora la sorella maggiore disse che le avrebbero portato tanti confetti; a sen-
Murazzano: nel-
la chiesa principa-
tir questo Catinina passò sopra alla veste non rossa e disse di sì su tutto.
le di Murazzano, Anche se quei confetti non finivano in bocca a lei.
un paese in pro- Si sposarono alla vicaria di Murazzano10, neanche un mese dopo. Lo sposo
vincia di Cuneo. dava alla vista meno anni dei suoi diciotto dichiarati, aveva una corona di
11. Pustole: brufoli. pustole11 sulla fronte, più schiena che petto, e certi occhi grigi duretti.
12.Vespro: tramon- Fecero al Leon d’Oro il pranzo di nozze, pagato dal vecchio, e dopo vespro12
to. partirono. C’era tutto il paese a salutar Catinina, e perfino i signori ai loro da-
13. Bastardini: bim- vanzali. Lo sposo, che era padrone di mula e carretto, aveva giusto da andare
betti. fino a Savona a caricar stracci, che era il suo commercio, e ne approfittava per
14. Q u a n t u n q u e : fare il viaggio di nozze con Catinina.
anche se. Alla sposa venne da piangere quando, salita sul carretto, dominò di lassù
15. Pedaggera: stra- tutta quella gente che rideva, ma le levò quel groppo un cartoccio di mentini
da di campagna che le offrì una donna anche lei della razza dei mezzi zingari.
che si poteva per-
correre solo pa-
Alla fine partirono, ma ancora a San Bernardo avevano il tormento di quei
gando una tassa. bastardini13 che fino a ieri giocavano alle bilie con la sposa. Quantunque14 lo
16. E ne… ghiaia: e sposo non tardasse a girare la frusta.
ne avevano già Viaggiavano sulla pedaggera15 e ne avevano già ben macinata di ghiaia16, e
percorso un lun- Catinina non aveva ancora aperto bocca se non per infilarci quei mentini
go tratto.
uno dopo succhiato l’altro, e lo sposo le sue quattro parole le aveva dette alla
17. A filo… langa: mula.
parallelamente al
pendio della col-
Ma passato Montezemolo lo sposo si voltò e le disse: – Voi adesso la smettete
lina. di mangiare quei gommini verdi –, e Catinina smise, ma principalmente per
18. Avete a darmi:
lo stupore che lo sposo le aveva dato del voi.
dovete darmi. Veniva su la luna, e dopo un po’ fu un mostro di vicinanza, di rotondità e
19. Il listello di le- giallore, navigava nel cielo caldo a filo del greppo della langa17, come li voles-
gno: il sedile del se accompagnare fino in Liguria.
carretto. Catinina toccò il suo sposo e gli disse: – Guarda solo un momento che luna.
20. Aggiustata: si- Ma quello le si rivoltò e quasi le urlò: – Voi avete a darmi18 del voi, come io lo
stemata. do a voi!
Catinina non rifiatò, molto più avanti disse semplicemente che il listello di
legno19 l’aveva tutta indolorita dietro, dopo ore che ci stava seduta. E allora lui
parlò con una voce buona, le disse che al ritorno sarebbe stata più comoda,
lui l’avrebbe aggiustata20 sugli stracci.
Arrivarono a Savona verso mezzogiorno.
Lo sposo disse: – Quello lì davanti è il mare, – che Catinina già ci aveva af-
fogati gli occhi.
54
55
omprensione
1 Perché Catinina è una mezza zingara?
nalisi
1 Chi racconta la vicenda?
7 Rintraccia, nel testo, due esempi di ellissi: perché il narratore è intervenuto in questo
modo sul tempo del racconto?
8 Nella parte finale del testo è presente un’anticipazione: dove? Quale funzione ha?
56
11 Trascrivi un esempio di discorso indiretto e spiega perché, nel racconto, esso è stato
utilizzato meno di quello diretto.
iflessione e produzione
1 Le Langhe sono la terra d’origine dell’autore: ti pare che in questo testo prevalga il
A
desiderio di ricordare e descrivere dei luoghi amati oppure la volontà di documentare
una situazione di disagio?
2 Fenoglio richiama l’attenzione del lettore sul problema dei matrimoni combinati, in
particolare su quelli che avvengono quando gli sposi sono troppo giovani: ti sembra
che egli prenda una posizione in proposito? Se la risposta è affermativa, in quali punti
del testo?
57
VERIFICA FINALE
Unità 3: Il racconto fantastico
2 Elenca gli scopi che si possono perseguire con la scrittura di un racconto fantastico.
3 Dopo la lettura spiega perché, in base alle due risposte che hai appena dato, questo
racconto può essere considerato fantastico.
Questo breve racconto in prima persona è stato scritto nel 1917; il suo punto di partenza, come dice
Italo Calvino, è evidentemente “una situazione ben reale in quell’inverno di guerra […]: la mancanza
di carbone.”
1. Assurda la palet- Tutto il carbone consumato; vuoto il secchio; assurda la paletta1; la stufa che
ta: inutile la paletta
(perché non c’è più manda freddo; la stanza gonfia di gelo; davanti alla finestra alberi irrigiditi
carbone). dalla brina; il cielo uno scudo d’argento2 contro colui che gli chiede soccorso.
2. Il cielo… d’ar- Devo trovare il carbone; non dovrò mica gelare; dietro di me la stufa spietata,
gento: il cielo si davanti a me il cielo nelle stesse condizioni, perciò devo barcamenarmi3 e
oppone come uno cercare aiuto dal carbonaio. Questi però è già insensibile alle mie solite pre-
scudo, con il suo
grigiore, a chi chie- ghiere; devo dimostrargli con precisione che non ho più neanche una briciola
de aiuto. di carbone, e che pertanto egli è per me addirittura il sole del firmamento.
3. Barcamenarmi: Devo presentarmi come il mendico che rantolando dalla fame sta per morire
arrangiarmi. sulla soglia, sicché la cuoca dei signori si risolve4 a versargli i fondi dell’ul-
4. Si risolve: si deci- timo caffè; nello stesso modo il negoziante, sia pure furibondo, ma sotto la
de. minaccia del comandamento “Non ammazzare!”, dovrà gettare una palata
nel mio secchio.
Il mio stesso arrivo deve decidere: perciò vado da lui a cavallo del secchio.
Cavalcando attaccato al manico, briglie semplicissime, giro scendendo fati-
58
“Perfida!” grido, mentre lei volgendosi verso il negozio agita le mani nell’aria
tra sprezzante e soddisfatta.“Perfida! Ti ho chiesto una palata del più scaden-
te e tu non me l’hai data.” Così dicendo salgo nelle regioni delle Montagne
di ghiaccio e mi sperdo per non più ritornare.
Epilogo per Il cavaliere del secchio
Fa più caldo, quassù, che sulla terra gelata dall’inverno? Le alture intorno
son tutte bianche, l’unica cosa scura è il mio secchio. Se prima ero in alto
ora sono in basso, per alzare lo sguardo alle montagne mi slogo il collo. Una
bianca superficie di ghiaccio, solcata a righe dalle tracce di pattinatori scom-
parsi. Sull’alta neve che non affonda di un pollice seguo le orme dei piccoli
cani artici. La mia cavalcata non ha più senso, perciò sono smontato e porto
il secchio su una spalla.
Da F. Kafka, Tutti i racconti, Mondadori, Milano
omprensione
1 In quale stagione è ambientato il racconto?
nalisi
1 Suddividi il racconto nelle parti che lo compongono (situazione iniziale, evento che
1. Ricorda che l’Epilogo altera l’equilibrio esistente, peripezie, Spannung, scioglimento1) e riassumine breve-
non era presente nel- mente il contenuto.
la versione originale
del racconto; esso
fu trovato tra le carte 2 Chi racconta la vicenda?
dello scrittore dopo la
sua morte.
3 Con quale focalizzazione? Citane un esempio.
6 In quale punto preciso del racconto si passa da una situazione realistica a una
fantastica?
iflessione e produzione
1 Nel racconto hanno molta importanza l’alto e il basso. Prova a spiegare tutti i punti del
testo in cui si accenna a queste due dimensioni.
4 Che cosa può fare il lettore, secondo Todorov, al termine della lettura di questo rac-
conto?
5 Il racconto affronta il tema della solitudine dell’uomo: tenendo presente la lettura sim-
bolica più ovvia del racconto (che non è l’unica), per cui
cavaliere → uomo contemporaneo
carbone → desiderio d’amore
fuoco → calore umano
spiega se ti è mai capitato di sentirti come il povero protagonista del racconto.
61
VERIFICA FINALE
Unità 5: Il romanzo epistolare
LE ULTIME LETTERE
DI JACOPO ORTIS
UGO FOSCOLO
Le lettere che compongono il romanzo permettono di ricostruire gli ultimi mesi di vita di Jacopo Ortis.
Egli, esule sui colli Euganei per motivi politici, conosce Teresa, già promessa in sposa a un ricco bor-
ghese, Odoardo. Jacopo, nonostante ciò, s’innamora della ragazza e arriva persino a baciarla; poi, però,
resosi conto dell’assurdità e dell’irrealizzabilità del suo amore, decide di allontanarsi e di viaggiare per
l’Italia. Una volta tornato, apprende che Teresa si è sposata: non potendo più sopportare il peso della
delusione politica e delle sofferenze d’amore, Jacopo sceglie di morire.
Teresa e la musica
3 Dicembre
Stamattina io me n’andava un po’ per tempo alla villa, ed era già presso
1
1. Un po’… tempo:
sul far del giorno. alla casa T***2, quando mi ha fermato un lontano tintinnio d’arpa. Oh! io
2. Casa T***: la casa
mi sento sorridere l’anima, e scorrere in tutto me quanta mai voluttà3 allora
in cui vive Teresa, m’infondeva quel suono. Era Teresa - come poss’io immaginarti, o celeste
la ragazza di cui è fanciulla, e chiamarti dinanzi a me in tutta la tua bellezza, senza la dispe-
innamorato. razione nel cuore! Pur troppo! tu cominci a gustare i primi sorsi dell’amaro
3.Voluttà: piacere. calice della vita, ed io con questi occhi ti vedrò infelice, né potrò sollevarti se
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non piangendo! io; io stesso ti dovrò per pietà consigliare a pacificarti con la
tua sciagura4. 4. Io… sciagura: io
Certo ch’io non potrei né asserire5 né negare a me stesso ch’io l’amo; ma dovrò consigliarti,
per pietà, di sposa-
se mai, se mai! - in verità non d’altro che di un amore incapace di un solo re Odoardo.
pensiero: Dio lo sa!6 - Io mi fermava, lì lì, senza batter palpebra, con gli occhi,
5. Asserire: afferma-
le orecchie, e i sensi tutti intenti per divinizzarmi7 in quel luogo dove l’altrui re.
vista non mi avrebbe costretto ad arrossire de’ miei rapimenti. Ora ponti nel
6. In verità… lo sa!:
mio cuore8, quand’io udiva cantar da Teresa quelle strofette di Saffo9 tradotte
alla meglio da me con le altre due odi, unici avanzi delle poesie di quella
amorosa fanciulla, immortale quanto le Muse10. Balzando d’un salto, ho tro-
in verità solo di
un amore casto e
puro, come sa Dio,
che può leggere
A
vato Teresa nel suo gabinetto11 su quella sedia stessa ove io la vidi il primo
nel cuore degli uo-
giorno, quand’ella dipingeva il proprio ritratto. Era neglettamente12 vestita mini.
di bianco; il tesoro delle sue chiome biondissime diffuse su le spalle e sul 7. D i v i n i z z a r m i :
petto, i suoi divini occhi nuotanti nel piacere, il suo viso sparso di un soave provare un senso
languore13, il suo braccio di rose, il suo piede, le sue dita arpeggianti molle- di beatitudine.
mente, tutto tutto era armonia: ed io sentiva una nuova delizia nel contem- 8. Ponti… cuore:
plarla. Bensì Teresa parea confusa, veggendosi d’improvviso un uomo che la mettiti nei miei
mirava così discinta, ed io stesso cominciava dentro di me a rimproverarmi panni.
d’importunità e di villania: essa tuttavia proseguiva ed io sbandiva tutt’altro 9. Saffo: una poe-
desiderio14, tranne quello di adorarla, e di udirla. Io non so dirti, mio caro, in tessa greca famosa
per le sue liriche
quale stato allora io mi fossi: so bene ch’io non sentiva più il peso di questa che parlano d’a-
vita mortale. more.
S’alzò sorridendo e mi lasciò solo. Allora io rinveniva15 a poco a poco: mi 10. Muse: le dee del-
sono appoggiato col capo su quell’arpa e il mio viso si andava bagnando di la poesia.
lagrime - oh! mi sono sentito un po’ libero. […] 11. Gabinetto: stan-
zetta privata.
19. Dal seno: dal 20. Io me... prostra- 21. Rattenerla: trat- padre di Teresa, che
petto. to: mi sono getta- tenerla. lo considera come un
to ai suoi piedi. figlio, e di Odoardo,
22. Tr a d i m e n t o : il fidanzato, di cui è
nei confronti del diventato amico.
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omprensione
1 Che cosa sta facendo Teresa durante l’incontro descritto nella prima lettera?
2 Che cosa non osa né affermare né negare a se stesso Jacopo nella prima lettera?
nalisi
1 Chi è il mittente di queste due lettere?
2 E chi è il destinatario?
3 In quali punti del testo il destinatario è direttamente chiamato in causa? Per quale
motivo?
5 Traccia un breve ritratto di Jacopo sulla base delle affermazioni che egli fa in queste
due lettere.
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9 E la sintassi?
10 Che cosa caratterizza la forma del primo capoverso della prima lettera?
iflessione e produzione A
1 Quale immagine dell’amore emerge dalla prima lettera?
3 Prova a metterti nei panni di Lorenzo, l’amico a cui Ortis invia le sue lettere, e rispondi
a una delle due lettere. Naturalmente fai in modo che la tua risposta sia adeguata, per
forma e contenuto, alla lettera di riferimento.
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VERIFICA FINALE
Unità 5: Il romanzo autobiografico
CASALINGHITUDINE
CLARA SERENI
Clara Sereni (1946 – viv.) è l’autrice di un’originale autobiografia intitolata Casalinghitudine, uscita nel
1987: la narrazione e la descrizione dei fatti e delle persone più importanti della sua vita (tra cui spicca
il padre, lo studioso Emilio Sereni) sono accompagnate da ricette di cucina che fanno rivivere sapori e
profumi familiari.
Gnocchi di semolino
Faccio scaldare il latte con il sale, quando bolle aggiungo – a pioggia – il se-
molino. Dopo una decina di minuti, quando il semolino è più o meno cotto,
tolgo dal fuoco e aggiungo gli altri ingredienti mescolando bene: e in fret-
ta, perché l’uovo non diventi frittata. Quindi verso il composto sul tavolo di
marmo, in uno strato alto al più mezzo centimetro, che pareggio con una
lama di coltello bagnata. Lascio freddare bene, taglio a quadrati o a tondini
con una tazzina da caffè, dispongo in due o tre strati in una pirofila che infor-
no al caldo (250 gradi) per un quarto d’ora, o comunque finché non ottengo
una crosticina dorata. Naturalmente, porto in tavola nella stessa pirofila.
Maestra elementare, ex dama di compagnia della regina, pianista, enigmi-
sta frenetica, poliglotta, vedova senza figli, con dei bellissimi capelli bianchi
pettinati all’antica e una gamba malata che le consentiva di sfoggiare son-
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67
omprensione
1 Quale ricetta viene data?
nalisi
1 Chi racconta la vicenda?
5 Illustra ogni aggettivo attribuito a zia Ermelinda nella sua descrizione finale (dura,
avara, dispotica, poco simpatica, insopportabilmente frivola, disposta a dare molto)
con un episodio, un comportamento, un atteggiamento presenti nella narrazione.
7 Tempo della scrittura e tempo della storia sono molto lontani tra loro: l’io narrante,
perciò, comprende alcune cose che l’io narrato non poteva sapere. Quali, per esempio?
8 Nel testo sono presenti vocaboli tecnici che appartengono a due ambiti diversi: quali?
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iflessione e produzione
1 II mondo della religione mi appariva esotico e favoloso, senza che ciò mi desse un
desiderio particolare di entrarvi: spiega, con le tue parole, questa considerazione della
protagonista.
A
2 Anche tu, probabilmente, come Clara, associ un piatto a una persona, una circostanza
o un evento: prova a scrivere la ricetta di questo piatto e a raccontare chi o che cosa
ti ricorda.
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VERIFICA FINALE
Unità 6: Il romanzo storico
4 Che cosa s’intende per “espediente del manoscritto” e quali funzioni ha?
I PROMESSI SPOSI
ALESSANDRO MANZONI
Renzo, appena guarito dalla peste, decide di andare a cercare Lucia, che si trova a Milano, ospite di due
coniugi, don Ferrante e donna Prassede: lo incontriamo al suo arrivo in città, mentre osserva, in preda
allo sconforto, i devastanti effetti dell’epidemia.
1. Per cagion… fa-
me!: a causa della La peste a Milano
carestia! Il narrato-
re sottolinea che le
condizioni di Mi- Quale città! e cos’era mai, al paragone, quello ch’era stata l’anno avanti, per
lano in preda alla cagion della fame1!
peste sembrano a Renzo s’abbatteva2 appunto a passare per una delle parti più squallide e più
Renzo peggiori di
quelle, che già gli
desolate: quella crociata di strade che si chiamava il carrobio di porta Nuova.
sembrarono ter- (C’era allora una croce nel mezzo, e, dirimpetto ad essa, accanto a dove ora
ribili, in cui vide la è san Francesco di Paola, una vecchia chiesa col titolo di sant’Anastasia).
città durante la ca- Tanta era stata in quel vicinato la furia del contagio, e il fetor de’ cadaveri la-
restia.
sciati lì, che i pochi rimasti vivi erano stati costretti a sgomberare: sicché, alla
2. S’abbatteva: si ac- mestizia3 che dava al passeggiero quell’aspetto di solitudine e d’abbandono,
cingeva.
s’aggiungeva l’orrore e lo schifo delle tracce e degli avanzi della recente abi-
3. Mestizia: tristezza.
tazione. Renzo affrettò il passo, facendosi coraggio col pensare che la meta
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non doveva essere così vicina, e sperando che, prima d’arrivarci, troverebbe
mutata, almeno in parte, la scena; e infatti, di lì a non molto, riuscì4 in un 4. Riuscì: sbucò.
luogo che poteva pur5 dirsi città di viventi; ma quale città ancora, e quali 5. Pur: finalmente.
viventi! Serrati, per sospetto e per terrore, tutti gli usci di strada, salvo quelli
6. Monatti: erano gli
che fossero spalancati per esser le case disabitate, o invase; altri inchiodati e addetti alla sepol-
sigillati, per esser nelle case morta o ammalata gente di peste; altri segnati tura dei morti di
d’una croce fatta col carbone, per indizio ai monatti6, che c’eran de’ morti peste e al trasporto
degli ammalati nel
da portar via […]. Per tutto cenci7 e, più ributtanti8 de’ cenci, fasce marciose,
strame ammorbato9, o lenzoli buttati dalle finestre; talvolta corpi, o di perso-
ne morte all’improvviso, nella strada, e lasciati lì fin che passasse un carro da
Lazzaretto, una
struttura del XV
secolo in cui essi
erano tenuti in iso-
A
portarli via, o cascati da’ carri medesimi, o buttati anch’essi dalle finestre: tan-
lamento e assistiti. I
to l’insistere e l’imperversar del disastro aveva insalvatichiti gli animi, e fatto monatti annuncia-
dimenticare ogni cura di pietà, ogni riguardo sociale! Cessato per tutto ogni vano il loro arrivo
rumor di botteghe, ogni strepito di carrozze, ogni grido di venditori, ogni con dei campanelli,
affinché la gente
chiacchierìo di passeggieri, era ben raro che quel silenzio di morte fosse rotto potesse evitarli.
da altro che da rumor di carri funebri, da lamenti di poveri, da rammarichio10
7. Per tutto cenci:
d’infermi, da urli di frenetici11, da grida di monatti. All’alba, a mezzogiorno, a dappertutto stracci.
sera, una campana del duomo dava il segno di recitar certe preci12 assegna-
8. Ributtanti: disgu-
te dall’arcivescovo: a quel tocco rispondevan le campane dell’altre chiese; e stosi.
allora avreste veduto persone affacciarsi alle finestre, a pregare in comune;
9. Strame ammor-
avreste sentito un bisbiglio di voci e di gemiti, che spirava una tristezza mista bato: paglia sudicia
pure di qualche conforto. e infetta.
Morti a quell’ora forse i due terzi de’ cittadini, andati via o ammalati una 10. Rammarichìo:
buona parte del resto, ridotto quasi a nulla il concorso13 della gente di fuori, lamenti.
de’ pochi che andavan per le strade, non se ne sarebbe per avventura, in un 11. Frenetici: uomini
lungo giro, incontrato uno solo in cui non si vedesse qualcosa di strano, e che impazziti a causa
dava indizio d’una funesta mutazione di cose. Si vedevano gli uomini più della peste.
qualificati, senza cappa14 né mantello, parte allora essenzialissima del vestia- 12. Preci: preghiere.
rio civile; senza sottana i preti, e anche de’ religiosi in farsetto15; dismessa16 13. Ridotto… con-
in somma ogni sorta di vestito che potesse con gli svolazzi toccar qualche corso: a causa del-
la peste nessuno si
cosa, o dare (ciò che si temeva più di tutto il resto) agio agli untori17. E fuor recava più in città
di questa cura d’andar succinti e ristretti il più che fosse possibile, neglet- dalle campagne
ta18 e trasandata ogni persona; lunghe le barbe di quelli che usavan portarle, circostanti.
cresciute a quelli che prima costumavan19 di raderle; lunghe pure e arruffate 14. Gli uomini…
le capigliature, non solo per quella trascuranza che nasce da un invecchia- cappa: gli uomini
to abbattimento, ma per esser divenuti sospetti i barbieri, da che20 era stato di più alta condi-
zione sociale sen-
preso e condannato, come untor famoso, uno di loro, Giangiacomo Mora: za il loro abituale
nome che, per un pezzo, conservò una celebrità municipale d’infamia21, e ne mantello corto.
15. Farsetto: giub- 17. Dare... agli un- uomini (chiamati, 19. Costumavan: e-
botto imbottito tori: dare agli appunto, untori) un- rano soliti.
tipico dell’abbi- untori la possi- gessero con sostanze
gliamento della bilità di diffon- infette le porte delle 20. Da che: da quan-
gente più povera. dere il contagio case o gli oggetti per do.
agli untori. La diffondere il contagio. 21. Celebrità… d’in-
16. Dismessa: ab- virulenza dell’e-
bandonata. 18. Negletta: trascu- famia: rimase fa-
pidemia, infatti, moso in tutta Mi-
aveva fatto sup- rata.
lano come quello
porre che alcuni di un criminale.
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meriterebbe una ben più diffusa e perenne di pietà22. I più tenevano da una
22. Ne meritereb- mano un bastone, alcuni anche una pistola, per avvertimento minaccioso a
be… pietà: per- chi avesse voluto avvicinarsi troppo; dall’altra pasticche odorose, o palle di
ché non fu colpe-
vole di nulla, ma
metallo o di legno traforate, con dentro spugne inzuppate d’aceti medicati;
una vittima della e se le andavano ogni tanto mettendo al naso, o ce le tenevano di continuo.
superstizione po- Portavano alcuni attaccata al collo una boccetta con dentro un po’ d’argento
polare. vivo, persuasi che avesse la virtù d’assorbire e di ritenere ogni esalazione pe-
23. Ritenere… pe- stilenziale23; e avevan poi cura di rinnovarlo ogni tanti giorni. I gentiluomini,
stilenziale: trat- non solo uscivano senza il solito seguito, ma si vedevano, con una sporta in
tenere ogni ema-
nazione di vapore braccio24, andare a comprar le cose necessarie al vitto25. Gli amici, quando pur
in grado di dif- due s’incontrassero per la strada, si salutavan da lontano, con cenni taciti e
fondere la peste. frettolosi. Ognuno, camminando, aveva molto da fare, per iscansare gli schi-
24. Con una… in fosi e mortiferi inciampi di cui il terreno era sparso e, in qualche luogo, anche
braccio: con in affatto ingombro26: ognuno cercava di stare in mezzo alla strada, per timore
mano la borsa
della spesa. d’altro sudiciume, o d’altro più funesto peso che potesse venir giù dalle fi-
nestre; per timore delle polveri venefiche che si diceva esser spesso buttate
25.Vitto: sostenta-
mento. da quelle su’ passeggieri; per timore delle muraglie, che potevan esser unte.
Così l’ignoranza, coraggiosa e guardinga alla rovescia27, aggiungeva ora an-
26. Affatto ingom-
bro: del tutto pie- gustie all’angustie, e dava falsi terrori, in compenso de’ ragionevoli e salutari
no. La descrizio- che aveva levati da principio28.
ne è molto forte: Tal era ciò che di meno deforme e di men compassionevole si faceva vedere
tra poco si parle-
rà addirittura di intorno29, i sani, gli agiati: ché, dopo tante immagini di miseria, e pensando a
cadaveri gettati quella ancor più grave, per mezzo alla quale dovrem condurre il lettore, non
dalle finestre (al- ci fermeremo ora a dir qual fosse lo spettacolo degli appestati che si strasci-
tro più funesto…
finestre).
cavano o giacevano per le strade, de’ poveri, de’ fanciulli, delle donne. […]
In mezzo a questa desolazione aveva Renzo fatto già una buona parte del
27. C o r a g g i o s a …
rovescia: corag-
suo cammino, quando, distante ancor molti passi da una strada in cui doveva
giosa e sospetto- voltare, sentì venir da quella un vario frastono, nel quale si faceva distinguere
sa quando non quel solito orribile tintinnio.
serve (gli uomini Arrivato alla cantonata30 della strada, ch’era una delle più larghe, vide quattro
sono stati impru-
denti all’inizio carri fermi nel mezzo; e come, in un mercato di granaglie31, si vede un andare
dell’epidemia, fin e venire di gente, un caricare e un rovesciar di sacchi, tale era il movimento
troppo scrupolosi in quel luogo: monatti ch’entravan nelle case, monatti che n’uscivan con un
una volta diffuso
il contagio, ma peso su le spalle, e lo mettevano su l’uno o l’altro carro: alcuni con la divisa
con paure e cre- rossa, altri senza quel distintivo, molti con uno ancor più odioso, pennacchi
denze del tutto e fiocchi di vari colori, che quegli sciagurati portavano come per segno d’al-
irrazionali e prive
di fondamento).
legria, in tanto pubblico lutto. Ora da una, ora da un’altra finestra, veniva
una voce lugubre: – qua, monatti! – E con suono ancor più sinistro, da quel
28. In compenso…
principio: al po- tristo brulichìo32 usciva qualche vociaccia che rispondeva: – ora, ora –. Ovvero
sto delle paure, eran pigionali33 che brontolavano, e dicevano di far presto: ai quali i monatti
ragionevoli e u- rispondevano con bestemmie.
tili, che invece
aveva eliminato
quando il conta-
gio cominciava a 30. Cantonata: an- 32. Tristo brulichio:
diffondersi. golo. triste andirivieni.
29. Tal… intorno: 31. Mercato di gra- 33. Pigionali: affit-
ciò che di meno naglie: il mercato tuari.
brutto si poteva in cui si commer-
incontrare per le ciano grano e ce-
strade erano… reali.
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Entrato nella strada, Renzo allungò il passo, cercando di non guardar que-
gl’ingombri, se non quanto era necessario per iscansarli; quando il suo sguar-
do s’incontrò in un oggetto34 singolare di pietà, d’una pietà che invogliava 34. Oggetto: scena.
l’animo a contemplarlo; di maniera che si fermò, quasi senza volerlo. 35. Guasta: rovinata.
Scendeva dalla soglia d’uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una 36. Da una… lan-
donna, il cui aspetto annunziava una giovinezza avanzata, ma non trascor- guor: da una
sa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta35, da una grande sofferenza
e da un pallore.
gran passione, e da un languor36 mortale: quella bellezza molle a un tempo
e maestosa, che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata,
ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d’averne A
sparse tante; c’era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che
attestava un’anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il
solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla
pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito37 ne’ 37. Stracco e am-
cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov’anni, morta; ma tutta mortito: stanco e
indebolito.
ben accomodata38, co’ capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo,
come se quelle mani l’avessero adornata per una festa promessa da tanto 38. Accomodata: si-
stemata.
tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere sur
un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non 39. A guisa di: come.
che una manina bianca a guisa di39 cera spenzolava da una parte, con una 40. Inanimata gra-
certa inanimata gravezza40, e il capo posava sull’omero della madre, con un vezza: inanimata
pesantezza.
abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza
de’ volti non n’avesse fatto fede, l’avrebbe detto chiaramente quello de’ due
ch’esprimeva ancora un sentimento.
Un turpe41 monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie 41. Turpe: ignobile.
però d’insolito rispetto, con un’esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi
indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, - no! - disse: - non me la
toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete -. Così dicendo, aprì
una mano, fece vedere una borsa42, e la lasciò cadere in quella che il monatto 42. Una borsa: che
le tese. Poi continuò: - promettetemi di non levarle un filo d’intorno, né di contiene, ovvia-
mente, del dena-
lasciar che altri ardisca di farlo, e di metterla sotto terra così. ro.
Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi os-
sequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per
l’inaspettata ricompensa, s’affaccendò a far un po’ di posto sul carro per la
morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come sur un
letto, ce l’accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l’ultime parole:
– Addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre
insieme. Prega intanto per noi; ch’io pregherò per te e per gli altri -. Poi vol-
tatasi di nuovo al monatto, - Voi, - disse, - passando di qui verso sera, salirete
a prendere anche me, e non me sola.
Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s’affacciò alla finestra, te-
nendo in collo un’altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in
volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il
carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare,
se non posar sul letto l’unica che le rimaneva, e mettersela accanto per mori-
re insieme? come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino
ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l’erbe del prato.
- O Signore! - esclamò Renzo: - esauditela! tiratela a voi, lei e la sua creatu-
rina: hanno patito abbastanza! hanno patito abbastanza!
73
omprensione
1 Che cos’è il Lazzaretto?
3 E gli untori?
74
nalisi
1 Che tipo di narratore descrive Milano in preda alla peste?
2 A tratti questo narratore adotta il punto di vista di Renzo: rintraccia nel testo un
esempio che possa dimostrare quest’affermazione.
7 Nella descrizione di Cecilia e di sua madre prevale un colore: quale? Perché Manzoni
ha scelto proprio questo colore?
9 Il narratore esprime un giudizio sui monatti: quale? Questo giudizio vale per tutti o c’è
qualche eccezione? Per quale motivo?
11 Nelle lunghe sequenze descrittive che presentano Milano in preda alla peste il nar-
ratore crea spesso, implicitamente o esplicitamente, delle contrapposizioni. Rispondi
a queste domande:
a. Che cosa si oppone ai rumori tipici della città?
b. E al modo di vestire proprio di ogni classe sociale?
c. E alla pietà che gli uomini dovrebbero mostrare verso i propri simili?
12 Per fare in modo che la descrizione di Milano sia realistica e completa, Manzoni usa
tre sensi: riporta, accanto a ciascuno, qualche espressione tratta dal testo che vi sia
riconducibile.
VISTA: ………………………………………………………………………………………
OLFATTO: …………………………………………………………………………………
UDITO: ……………………………………………………………………………………
75
13 A che cosa sono paragonate la madre e la sua bambina? Perché l’autore ha scelto
proprio questo paragone?
iflessione e produzione
1 Quali figure del testo sono proposte come modelli di comportamento positivo?
2 Manzoni ha scelto di isolare, nella descrizione su base storica di Milano in preda alla
peste, un episodio di fantasia come quello della madre di Cecilia e lo ha posto in chiara
contrapposizione al resto della descrizione. Infatti
ingombri ↔ oggetto singolare
iscansarli ↔ contemplarlo
Spiega questo schema narrativo e perché l’autore ha ritenuto opportuno isolare que-
sto episodio.
76
VERIFICA FINALE
Unità 6: Il romanzo verista
2 Elenca le principali differenze che esistono tra romanzo naturalista e romanzo verista.
I MALAVOGLIA
GIOVANNI VERGA
Siamo nel quindicesimo e ultimo capitolo de I Malavoglia di Giovanni Verga: Alessi ha riscattato la casa
del nespolo, ma ormai il nonno ’Ntoni è morto in ospedale. ’Ntoni il giovane ritorna al paese, dopo aver
provato la vita del contrabbandiere, che gli è costata cinque anni di carcere.
77
- Addio, - ripetè ’Ntoni. - Vedi che avevo ragione d’andarmene! qui non pos-
so starci. Addio, perdonatemi tutti.
E se ne andò colla sua sporta sotto il braccio; poi quando fu lontano, in mez-
zo alla piazza scura e deserta, che tutti gli usci erano chiusi, si fermò ad ascol-
tare se chiudessero la porta della casa del nespolo, mentre il cane gli abbaiava
dietro, e gli diceva col suo abbaiare che era solo in mezzo al paese. Soltanto
il mare gli brontolava la solita storia lì sotto, in mezzo ai fariglioni, perché il
mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascol-
tare, di qua e di là dove nasce e muore il sole, anzi ad Aci Trezza ha un modo
tutto suo di brontolare, e si riconosce subito