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.
SCIENZE FILOSOFICHE - 40
Dario Sacchi

Evidenza e interpretazione

Argomenti per una riflessione


sulla struttura originaria del sapere

VITA E PENSIERO

Pubblicazioni della
Università Cattolica del Sacro Cuore
Milano 1988
© 1988 Vita e Pensiero- Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano
ISBN 88-343�24()..()
I ND I C E

Introduzione 9

PRIMA PARTE

L'orizzonte dell'infinità potenziale: senso comune e sapere


scientifico 19

1. L'aspetto inferenziale della percezione 21


l. La natura essenziale della percezione 21
2. L'origin aria universalità del contenuto di coscie nza 23
3. La mediazione nell'immediato 36

11. La struttura della necessità 49


l. Critica del riduzionismo empiristico 49
2. Critica del riduzionismo formalistico 64

m. La verità come coerenza 73


l. La ciTColarità dell'interpretare 73
2. Coerenza ed evidenza 85
3. Coerenza e corrispondenza 93

SECONDA PARTE

L'orizzonte dell'infinità attuale: il sapere filosofico 109

rv. Coerenza e metodo dialettico 111


l. La deduzione delle categorie 111
2. L 'applicazione del metodo 122

v. Esperienza e pensiero nella dialettica 135

VI. Il risultato della dialettica 146

Indice dei nomi 159


Perché il No, il Non essere, la negazione?
E dopo e nonostante il Sl, l'Essere, l'affer­
mazione? Perché non è solo il Sì? Perché
tutto non è Essere? Questo è lo stesso pro­
blema del mondo, lo stesso enigma della vita
nella sua massima semplicità logica.

BERTRANDO SPAVENTA
Introduzione

Negli anni dell'immediato dopoguerra la scena filosofica interna­


zionale parve dominata dal calare di una vera e propria cortina di
incomunicabilità tra due aree agevolmente delimitabili anche nei
loro confini geografici. Nei paesi di lingua e di cultura anglosas­
sone, da una parte, e in quelli dell'Europa continentale occiden­
tale, dall'altra, sembrarono prevalere orientamenti talmente ete­
rogenei nella loro impostazione da far escludere la possibilità
non diremo di una discussione o di un'interazione più o meno
proficue, ma anche soltanto di una comprensione reciproca. L'ap­
parenza era in tutto e per tutto quella di due universi monadistici
tra i quali, beninteso , non correva alcuna armonia prestabilita.
In seguito , sia pure in maniera estremamente lenta, sia pure at­
traverso passaggi che, presi singolarmente, potevano risultare im­
percettibili ad un occhio non abbastanza esperto od acuto, questo
quadro è venuto modificandosi : e i mutamenti, dapprima timidi
e marginali, con il volgere degli anni sono divenuti sempre più
sostanziali e, in ultimo, distintamente percepibili anche dagli os­
servatori meno attenti. L'iniziale condizione di assoluto isola­
mento tra le due aree è stata almeno in parte superata, certi utili
contatti sono stati avviati; si è scoperto che le discussioni tra
prospettive affermatesi in ambienti o in contesti diversi sono non
solo possibili ma, a volte, addirittura interessanti, e si è giunti
perfino a riconoscere che talune correnti che si era soliti ricon­
durre ad orientamenti eterogenei mostrano punti in comune as­
solutamente insospettati e che certe classificazioni tradizionali si
rivelano non di rado assai discutibili. Tale processo è stato poten­
temente favorito dal graduale e autonomo maturare, all'interno
di ciascuno dei due filoni, di nuove consapevolezze che, debita­
mente coltivate e sviluppate, hanno oggettivamente condotto le
varie forze in campo ad una maggiore vicinanza di interessi, di
10 EVIDENZA E INTERPRETAZI ONE

impostazioni e, in definitiva , di risultati . L 'orientamento in senso


lato « esistenzialistico » che ancora caratterizzava il pensiero
dell 'Europa continentale nell 'immediato dopoguerra ha successi­
vamente trovato uno stabile punto d 'approdo nel concetto del­
l 'essenziale ermeneuticità del filosofare e, in questa sua interna
evoluzione, è venuto accordando un'attenzione sempre maggiore
al fenomeno del linguaggio : ciò ha senz 'altro favorito l'affermar­
marsi in ambito continentale di problematiche e di prospettive
meno distanti, almeno in linea di principio , dall 'orizzonte di
quella filosofia analitica anglo-americana che da tale interesse
era sempre stata essenzialmente definita e che, d 'altra parte , in
quello stesso periodo di tempo, veniva lentamente correggendo
certe sue iniziali unilateralità e chiusure attraverso un i n t imo
processo di rinnovamento critico . Ma il pensiero di tendenza
ermeneutica non si è fermato qui : la centralità da esso assegnata
al l inguaggio è stata intesa in senso forte come trascendentalità
del medesimo , ossia come onnilinguisticità dell 'esperienza uma­
na (si pensi alla celebre formulazione gadameriana, egregiamente
riassuntiva d i questo orientamento : Sein, das verstanden werden
kann, ist Sprache). Si è sostenuto , insomma , che ogni incontro
con il mondo - anche con le cose nella loro cosiddetta « imme­
diatezza » - si rivela essere un incontro lingu istico ; che non c 'è
un darsi delle cose al di fuori d i questo « medium » totale , e che
la parola non viene ad aggiungersi come mezzo di conservazione
o di comunicazione ad un 'esperienza che in sé sia prelinguistic a .
I l mondo non è oggetto del linguaggio, n é quest 'ultimo v a assolu­
tamente concepito alla stregua di una « nomenclatura »: H p re­
sentarsi delle cose come « in sé » non è che una particolare mo­
dalità dell'atteggiamento che l 'uomo può decidere di assumere
nei loro confronti . Anteriormente all 'individuazione di ogni pos­
sibile relazione tra io e mondo sta quell 'unità di base che è il
mondo-linguaggio, il linguaggio come « orizzonte del mondo »:
il linguaggio, si potrebbe dire tranquillamente, come ciò in cui
ci muoviamo, viviamo e siamo 1•

1 S e c on do un noto giudizio di
Haberm as l 'opera di Gadamer sarebbe da ri­
guardarsi come una « urbanizzazion e ,. della filoso fia di Heidegger: e, in ef­
fetti, propri o la sostanziale rinuncia agli aspetti del pensiero del maestro che
risultano più esoterici e, ne l l o stesso tempo, più polemici verso una dimen­
sione come quella delle s cie nze positive che è avvertita come un valore i mpre­
scindibile d a tanta parte della cultura filosofica contemporanea, è ciò che ha
INTRODUZIONE ll

La filosofia dei paesi anglosassoni , dal canto suo, è andata tem­


perando sempre più le iniziali impostazioni scientistiche che , an­
che quando non le impedivano di considerare le varie dimen­
s ioni del linguaggio ordinario, la portavano comunque a svalutar­
le, per questa o per quella ragione , di fronte alle caratteristiche
( reali e forse, talvolta, solo presunte) del discorso scientifico . Vi
era in questa filosofia - giunta in tale sua evoluzione ad autoriz­
zare perfino certe forme di « metafisica descrittiva » una com­ -

ponente che sembrava strutturalmente incompatibile con l 'accet­


tazione di una tesi come quella, elaborata sul continente, dell 'as­
solutezza dell 'orizzonte linguistico : alludiamo alla componente

consentito al discepolo di instaurare con tale cultura presa in tutta la sua com­
plessità un rapporto maggiormente positivo e costruttivo, contribuendo proba­
bilmente più di chiunque altro al formarsi del nuovo clima di cui stiamo di­
cendo. Sul rapporto Heidegger-Gadamer (senza dubbio uno dei punti nodali
per l'in terpretazione della filosofia odierna) si è ovviamente scritto molto,
ed una buona guida bibliografia è rinvenibile ad esempio nella « Postilla»
redatta da G. Vattimo per la II ediz. (Bompiani, Milano 1983) della sua tra­
duzione di Verità e Metodo (l ediz. Fratelli Fabbri, Milano 1972, con Introdu­
zione). Non sono certamente mancate le voci tese a mettere in rilievo la com­
plessiva discutibilità, sul piano strettamente speculativo, dell'operazione gada­
meriana. Tuttavia ci sembra che almeno relativamente alla questione fonda­
mentale da noi ricordata - che è poi quella su cui tale operazione ha propria­
mente fatto leva - Gadamer abbia effettivamente colto il senso genuino della
riflessione heideggeriana cosl come questa si è venuta sviluppando soprattutto
dopo l a Kehre: si tratta, appunto, della negazione dell'originarietà di ogni con­
cetto del linguaggio come strumento o, che è lo stesso, di ogni nozione della
p arol a come segno che «rinvia,. alla cosa («mezzo» il linguaggio lo è certa­
mente ma, come si è visto, nel senso di milieu o di dimensione). Tale nega­
zione comporta il rifiuto della prospettiva secondo la quale, per dirla con lo
studioso italiano sopra ricordato, «la parola si esaurisce nella funzione di ri­
mandare alle cose, di farle presenti nel senso di "avvicinarle" spazio-temporal­
mente .. [e] l'ermeneutica è l'arte di interpretare correttamente i discorsi nel
.

senso di attraversarli, andando al di là di essi, alle cose cui rimandano. L'ideale


di una tale ermeneutica è un mondo dove le parole non ci siano più, o non
siano p iù necessarie, e le cose siano tutte sempre presenti nella loro fi sicità.
t come dire che il discorso è una triste necessità della nostra condizione di
esseri finiti, che non possono essere sempre presenti ovunque e avere "in pre­
senza le cose... Ora, la conoscenza della verità non è un incontrare le cose

"a l di là" dei nostri pregiudizi e del nostro "modo di vedere": le cose sono vere
non nel senso che sono Il davanti a noi - sicché si debba cercare di ridurre al
minimo tutto ciò che non è presenza bruta, tutto ciò che è punto di vista o
interpretazione - ma perché appartengono a una certa apertura dell'essere, a
quel p rogett o gettato (dall'essere stesso) che noi stessi già sempre siamo. La
st es sa presenza ... è resa possibile da questa apertura, la quale si attua primaria­
mente nel linguaggio» (G. Vattimo, Essere, storia e linguaggio in Heidegger,
c Filosofia», Torino 1963) .
Ediz. di
12 EVIDENZA E INTERPRETAZIONE

empiristica che - in unione e, per certi aspetti, anche in tensione


con l'altro elemento costituito appunto dall'analisi logica del lin­
guaggio - era sempre parsa un ingrediente indispensabile della
cosiddetta «visione scientifica del mondo» (ed anzi ne era stata
storicamente la prima ispiratrice). Sembrava cosi profilarsi una
situazione vagamente paradossale, dovuta al fatto che proprio
l'orientamento cui spettava il merito di avere per primo indicato
I'importanza filosofica della dimensione linguistica si mostrava
riluttante ad una piena e coerente valorizzazione di tale punto di
vista. Pareva insomma che l'empirismo, al servizio del quale la
nuova prospettiva era stata in fondo elaborata (almeno inizial­
mente, infatti, l'analisi linguistica era stata riguardata come lo
strumento principe di una nuova e più radicale forma di anti­
metafisicismo), dovesse in ultimo rivelarsi come un impedimento
all'accettazione di tutte le conseguenze implicite in quella mede­
sima prospettiva. Il perché di questa situazione è presto detto:
pare proprio che essere empiristi significhi credere che, per
quanto ogni nostra conoscenza sia traducibile in enunciati lingui­
stici, alcuni di questi enunciati o asserti debbano comunque oc­
cupare una posizione privilegiata rispetto ad altri (debbano es­
sere riguardati come «asserti di base ») per il semplice fatto di
possedere un legame diretto con una dimensione prelinguistica
(quella, appunto, dell'esperienza sensibile) al di fuori della quale
non potrebbe darsi alcun criterio di verità e senza la quale, anzi,
la stessa nozione di verità perderebbe senso.
Ebbene, l'aspetto più interessante dell'evoluzione subita in questi
decenni dalla filosofia dominante nei paesi di lingua inglese è
stato proprio quel fenomeno di revisione interna per cui l'empi­
rismo e la connessa visione realistica della verità come « corri­
spondenza ai fatti» sono stati sottoposti a critiche sempre più
incalzanti e severe fino ad essere, in ultimo, demoliti e rifiutati
completamente 2• E chiaro che al termine di questo processo

2 I • dogmi non empirici • dell'empirismo, i • metafisici articoli di fede • sui


quali esso si basa sarebbero soprattutto i due indicati da W.V.O. Quine, che è
per molti versi la figura più rappresentativa della tendenza cui alludiamo: si
tratta della distinzione di natura tra proposizioni analitiche e sintetiche e della
riducibilitè delle proposizioni sul mondo fisico a proposizioni su esperienze
immediate (il famoso • riduzionismo • sul quale, com'è noto, tanto si arrovellò
Camap). Una componente importante della posizione quineana è l'adesione
al risultato delle lucide meditazioni condotte già anteriormente al primo con­
flitto mondiale da P. Duhem intorno all'impossibilità di principio di pervenire
INTRODUZIONE 13

quella filosofia ha mutato radicalmente i propri connotati: la di­


mensione linguistica, liberata dal vincolo sempre meno gradito
con una dimensione osservativa da essa indipendente, è rimasta
unica padrona del campo e ha potuto pretendere e ottenere quel­
l'assolutezza che già la filosofia ermeneutica non ·aveva avuto
difficoltà a concederle. Guardando a quegli elementi genuina­
mente strutturali che per loro natura devono costituire l'oggetto
primario dell'indagine teoretica, non si può forse dire che la con­
vergenza fra le due tradizioni sia in questo modo divenuta assai
significativa? Certo, lo storico potrà continuare a rilevare diffe­
renze di toni, di accenti, di clima culturale: ma pare che anche a
queste ultime si vada ormai lentamente rimediando, per esempio
con l'accresciuto interesse che da un po' di tempo in qua si nota
negli Stati Uniti per l'applicazione dei nuovi orientamenti ai
campi prima negletti dell'estetica e della critica letteraria. Non è
un caso, del resto, che la svolta di cui stiamo parlando sia matu­
rata soprattutto oltre oceano, dove l'autoctona tradizione pragma­
tistica ha recato un notevole contributo alla critica del concetto
della verità come adeguazione ad una realtà previamente data, ed
ha altresì potuto fecondare certe correnti della filosofia analitica
togliendo loro, almeno in parte, quel formalismo che era la con­
tropartita del realismo implicito nella componente empiristica
in esse originariamente presente s.

nelle scienze della natura ai cosiddetti esperimenti cruciali. L'interpretazione


di ogni esperimento scientifico comporterebbe infatti l'adesione a tutto un com·
plesso di asserzioni, esplicite e no, sl che ciò che viene vagliato dall'esperienza
no n � mai un'ipotesi isolata ma sempre una costellazione di ipotesi; l'esperi­
mento dipende sempre concettualmente dal quadro teorico entro il quale viene
ideato e la pretesa che esso possa attingere una supposta realtà in sé della
natura o dell'oggetto è ingenuamente dogmatica. Su posizioni in gran parte ri­
conducibili a questi principi di fondo, .pur nelle inevitabili differenziazioni
personali, sono oggi in America autori come D. Davidson (colui che è partito
all'attacco del «terzo e forse ultimo,. dogma dell'empirismo, il dualismo fra
schema concettuale e contenuto da ordinare), W. Sellars e R. Rorty tra coloro
che coltivano o hanno coltivato soprattutto studi logici e linguistico-analitici,
e N.R. Hanson, S. Toulmin, T.S. Kuhn e P.K. Feyerabend tra gli epistemologi

in senso stretto (soprattutto gli ultimi due hanno contribuito a rendere popolari,
con alcune opere onnai già divenute «classiche», le nuove impostazioni nelle
loro venioni più radicali).
3 Per una panoramica il più possibile aggiornata della produzione filosofica
nell'America d'oggi si veda F. Restaino, R. Rorty e R. Bernstein. NeopragrruJ­
tismo e riscoperta della filosofia europea, « Giornale critico della filosofia ita­
liana •, 1987, n. 1.
14 EVIDENZA E INTERPRETAZIONE

� cosi potuto accadere che il superamento della situazione di


isolamento e di incomunicabilità , richiamata all'inizio d i questa
introduzione, sia cominciato con la scoperta di sorprendenti ma
ancora limitati parallelismi tra le riflessioni dell 'ultimo Wittgen­
stein (certamente il massimo ispiratore del rinnovamento della
filosofia anglosassone) e la speculazione ermeneutica di ascen­
denza heideggeriana (si pensi anche soltanto al ricorrere in en­
trambi i contesti della medesima espressione letterale « gioco
linguistico ») 4, per terminare in anni recenti con la positiva acco­
glienza decretata negli Stati Uniti alle opere di autori come
Derrida e Foucault , alfieri di una tendenza , quella post-struttura­
listica francese , tra le più radicali nel panorama dell 'attuale filo­
sofia europea . A questa accoglienza ha significativamente fatto
seguito quella , non meno cordiale , che da noi G. Vattimo, altro
interprete accreditato a livello europeo delle istanze più avan­
zate dell 'odierno pensiero ermeneutico , ha tributato alle opere di
R. Rorty, un esponente di primo piano dell 'attuale filosofia ame­
ricana del quale nel 1986 sono apparsi in traduzione italiana due
libri importanti cui anche noi faremo qualche riferimento nel
corso di questo lavoro 5•
Al di là delle differenze di varia natura che permangono e , con
ogni probabilità, permarranno anche in avvenire fra i suoi vari
settori e le sue varie componenti , la più recente filosofia contem­
poranea sembra unificata dalla convinzione pro fonda che l 'uomo,

4 L a u tore che più di ogni altro ha preso sul serio la possibilità, ri conosc i uta
'

dallo stesso Gadamer, di un incontro fra le due prospettive è n otoria mente


K.O. Ape!, il quale ha creduto di individuare nel l a « fil o s ofi a pratica», secondo
l'espressione recentemente tornata in auge in Germania, il terreno più propizio
per tale incontro: e ciò gli ha consentito, tra l'altro, di stabilire numerosi punti
di conta tto anche con gli s vil uppi più recenti de lla tematica di ori gi ne franco­
Cortese .
s Cfr. G. Vattimo, La fine della modernità, Garzanti, Milano 1985 (a Rorty è
dedicato il cap. IX), n onché il volume miscellaneo Filosofia '86 (Laterza, Bari
1987), curato dallo stesso autore e nel quale il contributo di Rorty (La priorità
della democrazia sulla filosofia, pp. 23·50) si affianca, insieme con la riedizio­
n e del testo di una conferenza parigina di Gadamer del 1962 (l fo ndamenti
filosofici del XX secolo), ad una serie d i saggi dovu ti a studiosi italiani. Degna
di nota , p oi, anche la partecipazione di S. T o u lm in e dello stesso Rorty al
Colloqu io Internazionale s u Jntersoggettività, Socialità, Religione p ro mo s so dal­
l ' Istituto E. Castelli (si ve d a il fa se 1986 dell'« Archivio di Filosofia», ch e ospita
.

tra gli altri a n c he gli interventi di Ricoeur, Apel , Luhmann, Uvinas, per ri­
cordare soltanto i più illustri fra i partecipanti stranieri).
INTRODUZIONE 15

anche dal punto di vista conoscitivo e non solo da quello pratico­


vitale, sia sempre « imbarcato», non si trovi mai in una posizione
di puro inizio o di pura immediatezza : come del resto attesta
la stessa anteriorità lessicale del termine « mediato», da cui « im­
mediato » deriva per negazione. In questa prospettiva, il codice
empiristico è qualcosa di talmente inadeguato, di talmente lon­
tano dai concreti dinamismi della vita dello spirito che si può
addirittura sostenere che quest'ultima ne costituisca di per se
stessa una continua, patente violazione. Non vi è nulla di più
intellettualistico dello sforzo di mettere in pratica una visione
« riduzionistica » della conoscenza mediata; soprattutto non vi è
nulla di più patetico agli occhi di chi sa che l'autentico mito è
rappresentato dalla figura della « pura» immediatezza. Questi
ril ievi non ci sembrano marginali, se pensiamo che, mostrando
l 'inconsistenza del credo empiristico, il pensiero contemporaneo
ha di fatto tolto di mezzo quello che era forse il principale osta­
colo sulla via d i una riproposizione dell'autentica valenza me­
tafisica del filosofare entro l'odierno contesto culturale, ossia
ha demolito quello che era forse il principale ispiratore - palese
o nascosto, diretto o indiretto - delle più frequenti obiezioni for­
mulate contro tale possibilità . Eppure, nonostante questa pre­
messa apparentemente così favorevole, l'attuale pensiero filosofi­
co non sembra, nella grande maggioranza delle sue espressioni e

delle sue correnti, disposto ad avvalersi di una simile opportunità


o anche solo a prenderla in seria considerazione: pare anzi che
se c'è una persuasione sulla quale esso registra una concordia
pressoché assoluta, oltre beninteso al convincimento relativo al­
l'insostenibilità dell'empirismo, questa sia proprio la persuasione
dell'improponibilità, comunque, di un discorso metafisica. E, in
un certo senso, la speculazione contemporanea ritiene persino di
aver attinto le motivazioni più profonde e più genuine per un
autentico atteggiamento antimetafisico, quelle motivazioni che
erano in concreto inaccessibili a larga parte dell'antimetafisici­
smo tradizionale: essa, infatti , non rifiuta la metafisica in base
a pregiudiziali empiristiche, bensi rifiuta l'empirismo proprio
perché ravvisa in esso caratteristiche ancora essenzialmente me­
tafisiche, proprio perché non lo ritiene in pari con le istanze di
una criticità radicale. La visione empiristica classica, in quanto
coltiva la persuasione di poter istituire un legame stabile e uni­
voco tra frammenti isolabili del nostro patrimonio conoscitivo e
16 EVIDENZA E INTERPRETAZIONE

frammenti altrettanto isolabili di una base ad esso estrinseca , si


rivela vincolata ad una forma mentis che è eminentemente me­
tafisica, se i caratteri della metafisicità sono indiv.iduati appunto
nella tendenza a fissare, a irrigidire, a chiudere in una naturali­
stica e illusoria compiutezza strutture per loro natura mobili,
aperte, vive e, proprio per questo, in linea di principio inesauri­
bili e non assoggettabili a schemi assolutamente prescrittivi e
vincolanti. Ma una mentalità immune dai riflessi condizionati di
quella tradizione che ha sempre concepito il sapere alla stregua
di un edificio da elevarsi sopra un fondamento la cui sicurezza
si dove ss e appurare previamente e una volta per tutte , una men­
talità affrancata dalla so g ge z ione a simili schemi ingenuamente
oggettivistici coglie con facilità il carattere « fattizio » , e quindi
provvisorio e rivedibile, di ogn i « esperienza» che si vog li a ado­
perare come pietra di p ar agon e per la validità delle nostre cre­
denze, e ravvi sa altresì in queste ultime una forma di interpre­
tazione della re altà (di « semiosi») destinata per sua natura
ad essere in fin ita . Prop r io questa do t tr i n a peirceana della semiosi
infinita è ormai divenuta un inalienabile patrimonio comune
della coscienza sp e culativ a contemporanea; ma essa, affermando
un'infinità che coincide con l 'aristotelica infinità potenziale (cioè
con una finitezza in atto cui compete un'illimitata incrementabi­
lità) , sembra assolutamente sbarrare la porta ad ogni possibilità
di elaborazione metafisica, cioè ad ogni possibilità di formulare
un discorso per sua natura volto al cons eguimento di una siste­
mazione almeno per qualch e riguardo definitiva, ovvero volto al
conseguimento di una « semi os i » che almeno entro certi limiti

sia « finita» (cioè compiuta).


O ra n o n si può fare a meno di notare che la « fi nitezz a» in que­
st'ultimo senso si potreb be raggiungere solo a patto di disporre
di qualche termine o concetto la cui portata semantica fosse in­
finita: prendendo questa parola, stavolta , nel senso dell 'a ri s to­
telica infinità attuale. Per cui l ' i n terrog at ivo fondamentale al
quale cercar di dare una risposta diviene il seguente : s e ricono­
sciamo la fondatezza e l'acutezza della contemporanea critica del
sapere per quanto riguarda i tre livelli della coscienza comune,
della sc ie n za e, infine, delle varie forme non scientifiche di cul­
tura e di espressione delle qual i è intessuta la civiltà umana, sa­
remo per questo costretti a negare la p re s en za di un ambito qua­
litativamente diverso del conoscere rispetto al quale la suddetta
INTRODUZIONE 17

critica, anche se (come vedremo) in un senso speculativamente


non trascurabile rimane valida, possieda tuttavia un significato e
un valore differenti? Almeno quando dico essere e intero (o

totalità) non ho già di fatto trasceso- per lo meno formalmente­


l'infinità numerica delle interpretazioni alla quale sarei costretto,
e nella quale mi troverei avvolto, se rimanessi in un qualunque
altro ambito della cultura ? E non ho dunque per ciò stesso at­
tinto quella che, con classica espressione, potrebbe ben essere
chiamata la sfera delle « categorie » o dei « concetti puri »?
E per quale motivo non dovrei essere in grado di sfruttare co­
struttivamente questa possibilità che mi è così concessa (e che mi
è comunque concessa, anche se non si può non riconoscere che
i concetti di cui dispongo sono, almeno inizialmente, determinati
in maniera soltanto formale) ? Non si vorrà riesumare a questo
proposito la dottrina del primo Wittgenstein sulla tautologicità
di ogni sapere non empirico, dopo che si è data prova di tanta
lucidità e di tanto acume critico nel denunciare l'inconsistenza
(la« metafisicità »!)dell'impianto generale in cui essa era inserita.
Storicamente il tentativo più rilevante ed approfondito di cimen­
tarsi in una simile impresa è stato quello hegeliano, e ad esso
non può in qualche modo non richiamarsi chiunque oggi sia an­
cora interessato ad una tematica di questo genere . Il grande
interesse della logica hegeliana, la quale parte proprio dai due
elementari concetti sopra rievocati, consiste nel fatto che il pen­
satore germanico ha in essa cercato di configurare l'insieme delle
categorie come un vero e proprio sistema, ossia come qualcosa
che non si può semplicemente « descrivere » o « esporre » ma che
deve propriamente essere dedotto . E « dedurre una categoria
significa per lui togliere una contraddizione: ogni categoria è
cioè una determinazione senza di cui la coscienza incorrerebbe (o
resterebbe) in una certa contraddizione, e il modo specifico in cui
una particolare contraddizione è tolta costituisce appunto una
particolare categoria » 6• Stabilire l'esistenza di una connessione

6 E. Severino, La filosofia moderna, Rizzo li , Milano 1984, p. 236. U n 'opera


che, come gli altri due volumi dedicati ri spettivamente a l pensiero antico e a
quello contemporaneo, è solo apparentemente divulgativa (o, meglio, lo è nel
senso nobile, che è il senso in base al quale il divulgare coincide con l'inse­
gnare, semplicemente, e non ha nulla a che vedere con il volgarizzare o il ba­
nalizzare). In essa Severino ripropone le linee essenziali di un'interpretazione
della dialettica hegel iana la cui formulazione p i ù rigorosa e approfondita dal
18 EVIDENZA E I NTERPRETAZ IONE

logica tra le varie categorie implicite nella costituzione dell'espe­


rienza equivarrà allora ad istituire un processo nel quale vengano
tolte tutte le contraddizioni (speculative, ovviamente, non em­
piriche) che debbono essere tolte.
Il presente lavoro, di intonazione nettamente teoretica, è diviso
in due parti . Nella prima cercheremo di indagare alcune strut­
ture e caratteristiche generali del sapere non filosofico: prende­
remo certamente lo spunto da alcuni luoghi e momenti del pen­
siero contemporaneo, ma tenteremo comunque di svolgere un
discorso che, nella sostanza, risulti autonomo. Nella seconda
parte ci volgeremo tematicamente al problema del sapere filoso­
fico e metafisico attenendoci in qualche modo al sopra delineato
approccio hegeliano; la conclusione cui ci parrà di poter perve­
nire sarà difforme, sia nello spirito sia nella lettera, dagli esiti
dell'hegelismo storico (anche se, a nostro parere, verrà maturata
entro una prospettiva che non è per nulla estrinseca alle coordi­
nate di questo) .
Abbiamo spiegato sopra il motivo per il quale designeremo la
sfera indagata nella prima parte come orizzonte della « infinità
potenziale », mentre parleremo di « infinità attuale » in rapporto
alle tematiche della seconda parte .

punto di vista tecnico egli ha consegnato soprattutto al cap. IX de La struttura


·Originaria, II ediz. ampliata, Adelphi , Milano 1 98 1 (corrispondente al cap . XI
della I ediz., La Scuola, Brescia 1 958; i n rapporto al medesimo tema sono no­
tevoli anche i § § 4 e 5 dell'« In troduzione ,. aggiunta nella nuova edizione).
Si vedano poi anche il primo e i l terzo paragrafo del limpido saggio Tramonto
.del marxismo, ne Gli abitatori del tempo, A rmando, Roma 1 978.
PRIMA PARTE

L'orizzonte dell'infinità potenziale:


senso comune e sapere scientifico
CAPITOLO PRIMO

L'aspetto inferenziale
della percezione

1. La natura essenziale della percezione

La forma più semplice nella quale possa esercitarsi l 'attività pen­


sante è il giudizio , e la forma più semplice di giudizio è rinveni­
bile già nella percezione .
Una breve riflessione sarà sufficiente a chiarire le ragioni d i que­
sta duplice affermazione . Ravvisiamo nel giudizio la forma più
semplice di pensiero perché non troviamo nulla di più elementare
cui abbia senso attribuire verità o falsità : ed è noto che , tra infi­
nite attività umane tutte in senso lato intenzionali o finalizzate
a qualche scopo, quella in cui consiste il « pensare » in senso
stretto 1 si caratterizza proprio per il suo tendere direttamente
alla verità come tale 2 • Affronteremo già nel prossimo paragrafo il
non facile problema della natura logica del singolo termine o con­
cetto, cioè della componente elementare del giudizio che per sé
non è né vera né falsa ; fin d 'ora , però , non possiamo non tenerci
fermi a quell 'insidenza dell 'altemativa vero-falso nella dimensio­
ne apofantica - e non semplicemente semantica - del logo , che lo
stesso Aristotele richiama all'inizio del De Interpretatione.
Se il giudizio è da intendersi nel modo detto , la percezione non è
altro che il giudizio nella sua forma rudimentale : ché con la più

l Cioè la forma teoretica dell o spirito, naturalmente distinta d a l p ensa re in


·

senso lato che equivale all'orizzonte tr a scendenta l e della coscienza o alla forma
della consa pe volezza in generale, e n t ro la q uale si s ituano sia la sfera conosci­
tiva, della quale appunto vogli amo occuparci qui, sia la sfera pratica.
2 Oltre alle innumerevoli forme d 'attività che non m i ra no alla ve rit à in nessun
senso e in nessun modo ve ne sono alcune che tendono ad essa i ndire tta m en te
(come, per esempio, l'imparare a le ggere o ad usare s trumen ti di ricerca). Ma
quando cerchiamo direttamente la verità su alcunché, allora non faccia m o
altro che pensare, semplicemente .
22 L'OR I ZZONTE DEL L ' I NFINITÀ POTENZIALE

semplice e vaga apprensione di qualcosa , presente ai sensi , come


qualtosa (e appunto in ciò è da ravvisarsi il più elementare mo­
dello di percezione) un giudizio, acerbo quanto si voglia, ha già
fatto il suo ingresso nella nostra vita mentale . Quando parliamo
di percezione, intendiamo riferirei all 'atto con cui , sulla base di
un dato della sensazione , teniamo per vera (wahrnehmen) in mo­
do del tutto naturale o spontaneo , cioè senza il concorso della
riflessione , la realtà di un qualche oggetto d inanzi a noi . « Og­
getto » inteso nel senso più ampio : può essere tutto ciò cui nel
linguaggio comune si adatterebbe la denominazione di «cosa»,
ma può anche trattarsi di ciò che , essendo una qualità o una rela­
zione , non sarebbe propriamente una cosa ma, semmai , un
« qualcosa » . E. chiaro che l 'atto percettivo così inteso coincide
con quanto vi è di più comune nel nostro vivere quotidiano :
anche se , purtroppo , questa estrema familiarità non ne agevola
affatto lo studio e l 'analisi . Il suo meccanismo è così automatico
che solo di rado abbiamo l 'occasione di dirigere consapevolmen­
te su di esso la nostra attenzione , e le sue componenti sono così
cementate dall 'abitudine che ci è assai difficile riuscire a sepa­
rarle, anche solo idealmente . Da un lato è indubitabile che la
percezione non s arebbe percezione se non avesse la sua b ase in
ciò che è sensibilmente dato (se ciò che afferma non lo affermasse
an Hand der Erfahrung); dall 'altro non è meno vero che la fun­
zione di una "base" è proprio quella di reggere qualcosa d 'altro
da sé (si tratti pure , all 'atto pratico , di un prope nihil, come cer­
tamente accade in taluni tipi di percezione ancora molto immersi
nell 'elemento sensitivo) . Se dunque è presente la sola sensazione ,
siamo ancora al di sotto del livello percettivo : perché questo
possa instaurarsi deve essere presente un giudizio , o qualcosa di
strettamente imparentato ad un giudizio. Chi , per esempio, tro­
vandosi di fronte alla vetrina di un negozio di abbigliamento non
avesse presente nient'altro che il colore (poniamo azzurro) del­
l 'abito in essa esposto non starebbe a rigore compiendo un atto di
percezione 3 : quest'ultimo comparirebbe propriamente solo quan-

3 Una situazione simile si può rinvenire nei casi di affascinazione ove, come
osserva Sartre , « non vi è altro che un oggetto gigante in un mondo deserto ,.
e « il conoscente non è assolutamente nient 'altro che pura negazione, non si
trova né si recupera da nessuna parte, non è»: tali casi sono proprio per questo
i più idonei a rappresentare « i l fatto immediato del conoscere » ( J .P. Sartre,
L'essere e il nulla, tr. it. Del Bo, Il Saggiatore, M ilano 1965, p . 233).
L'A S PETTO INFERNZIA LE DELLA PERCEZI ONE 23

do egli considerasse l 'azzurro come . . : come il colore dell 'abito,


.

come uno dei colori dell 'iride ... o , infine , anche semplicemente
come azzurro . La sensazione rappresenta dunque il limite infe­
riore della percezione . I l giudizio esplicito ne segna invece il li­
mite superiore . E. evidente che quando un giudizio viene formu­
lato in maniera riflessa e, per così dire , deliberata , il livello della
percezione è stato superato , perché ciò che in essa si era tacita­
mente asserito non è più riguardato come un che di semplice­
.
mente presente ma è in qualche modo riconosciuto come una
sorta di presa di posizione sulla realtà e , perciò, come qualcosa
che non esclude da sé una dose di rischio , potendo al limite anche
rivelarsi erroneo. Per tornare al nostro esempio , se la presenza di
una luce molto vivida destasse qualche dubbio sul colore dell 'abi­

to esposto in vetrina e si dicesse « questo è un azzurro più scuro


di quello che sembra » , si sarebbe usciti dall 'ambito della perce­
zione e si sarebbe entrati in quello del giudizio esplicito (il quale
potrebbe , d 'altra parte, anche ribadire il contenuto del giudizio
primitivo aggiungendovi la gratificazione o il conforto di un
espl icito assenso) . Il territorio che dobbiamo esplorare si e stende
così fra due confini ben delineati ; non sarebbe esatto negare ,
tuttavia, che la percezione abbia qualcosa in comune con i suoi
due vicini . Manifestamente essa include la sensazione , anche se si
tratta di una sensazione elaborata e « interpretata »; parimenti
contiene in sé un giudizio , sia pure un giudizio ancora implicito
e , per così dire , allo stato incoativo.

2. L'originaria universalità del contenuto di coscienza

E. chiaro che nell 'orizzonte d i una vita mentale sufficientemente


sviluppata (quel tipo di vita dal quale è addirittura assente la
memoria di uno stadio prepercettivo , perché i ricordi più antichi
vertono già su uomini , cose , eventi riconosciuti come tali) la
pura sensazione tende sempre più a configurarsi come un mero
limite ideale , non troppo diverso dalla 7tpw-;'l) {))."l aristotelica:
quasi un antecedente fisiologico della conoscenza piuttosto che
un vero e proprio momento conoscitivo 4 o, per dirla nel lin-

" Si veda a questo riguardo il breve scritto crociano su Il mito della sensazione,
in Discorsi di varia filosofia, Laterza, Bari 1945, Il, pp. 1-7.
24 L'ORIZZONTE DELL'INFINITÀ POTENZIALE

guaggio della Scuola, quasi una semplice species impressa, pe r ­

ché qualunque expressio ne costituisce gi à un trascendimento,


è già una sua logicizzazione o immissione nella cor rente del
pensiero.
Non desta meraviglia il fatto che questo punto venga og gi sotto­
lineato specialmente da chi sostiene la prospettiva dell'assoluta
equazione fra conoscenza e linguaggio: quella prospettiva se­
condo la quale, com'è noto (ma su questi temi ci so ffe rmerem o
a lungo in uno dei prossimi capitoli), una proposizione può essere
fondata o giustificata solo da un'altra proposizione ed o gn i espe­
rienza « grezza » è completamente irrilevante per il pr oce s so di
costruzione della nostra conoscenza. Secondo due fra i più ag­
guerriti rappresentanti di questo orientamento,« dire», poniamo,
« che il nostro rapporto immediato con la rossezza o con un esem­
pio di rossezza "fonda" (anziché "è una condizione causale de")
la nostra conoscenza del fatto che "questo è un oggetto rosso"
o che "il rosso è un colore", costituisce sempre un errore » 5•

Questo tentativo di presentare la conoscenza come un corpus che

s e lo specchio della natura, tr. it . Millone-Salizzoni, Rom­


R. Rorty, La filosofia
piani Milano
, 1986,
p. 139 (discutendo e approvando il contenuto di un saggio
di W. Sellars, Empiricism and the Philosophy of M ind, in Id., Science, Percep­
tion and R eality Routledge and Kegan Pau), Londra 1963). L'errore sarebbe
,

quello di chi non si rende conto che (per usare le parole di S el lar s in quel
saggio) «caratterizzando un episodio o uno stato come "di conoscenza" noi non
forniamo una descrizione empirica di quell'episodio o di quello stato, ma Io
collochiamo nello spazio logico delle ragioni, della giusti fi caz ione e della capa­
cità di giusti fi ca re quel che si dice» (Science, Perception and Reality, p. 169).
Si tratta dunque del medesimo vizio psicologistico, comportante la co nfu s i on e
tra « ques tioni d'origine » e « questioni di validità » del conoscer e che è stato
,

denunciato da Poppe r in varie occasioni e, in particolare, nel saggio Le fonti


della conoscenza e dell'ignoranza (pubblicato sia in Congetture e confutazioni,
tr. it. Pancaldi, Il Mulino, Bologna 1972 sia in Scienza e filo sofia tr. it. A.
,

Trinchero, Einaudi, Torino 1969): anche secondo l'epistemologo austr�britan­


nic o chi non cade vittima di una simile confusione non può non riconoscere
che «le esperienze possono motivare una decisione, e q uindi l'accettazione 0
i] rifiuto di un'asserzione, ma un'asserzione·base non può esser e giustificata da
esse » (Logica della scoperta scientifica, tr. it. A. T ri nch ero, E i n audi , Torino
1970, 100). La pubblicazione della Logik der Forschung risale al 1934 il
p.
che significa che questa presa di posizione popperiana è matu r a ta direttame �te
nel contesto della celebre polemica neo �ositivistica sui p rotoc oll i (dei quali gli
.
«ass erti di base» rappresentano mfattt un sostanziale eq uivale nte). Avendo
visto proprio ora come gli stessi sostenitori attuali della tesi della natura me­
d iata e quindi del valore soltanto ipotcti � o e no � a � soluto, di ogni proposizione
,

empirica facciano leva su questa netta ddTerenztaz tone tra la di m en s ione della
fisicità, o della fatticità, e quella della logicità, o del si gni fi cato non ci si può
,
'
L ASPETTO INFERN ZIALE DELLA PERCE ZIONE 25

si struttura in ogni sua componente secondo un modello proposi­


zionale, e che quindi si risolve per intero in una « faccenda lin­
guistica», va incontro all'ovvia obiezione che noi attribuiamo
conoscenze anche ad esseri che non possiedono il linguaggio, per
esempio ai bambini che non sanno ancora parlare. Ma, rispon­
dono gli autori citati, non si deve trascurare in questo caso la
differenza che sussiste fra un primo tipo di conoscenza, in virtù
del quale si sa soltanto «com'è un dato oggetto x » , ed un secon­
do tipo, l'unico propriamente degno del nome, in virtù del quale
si sa «che tipo di oggetto è x » . Il riconoscimento della realtà
del primo tipo di conoscenza non è, come potrebbe sembrare,
una concessione al punto di vista comune - né reca di fatto alcun
sostegno a quel « mito del dato » (legend of given) che sarebbe
alla base della persistente renitenza ad ammettere l'onnilinguisti­
cità dell'umano conoscere - perché, secondo i nostri autori, il

esimere d al rilevare la debolezza di fondo insita nella posizione di colui (0.


Neurath) che , pure , più vigorosamente di ogni altro aveva patrocinato la me­
desima tesi nell'ambito delle discussioni del Circolo di Vienna. Pur avendo per
ce rt i aspetti mostrato d i possedere un livello di consapevolezza teorica deci­
samente notevole, e quasi in anticipo sulla sua epoca (si pensi solo alle pro­
fonde intuizioni contenute nelle sue due celebri a ffe rm az ion i « Noi non pos­
s i amo in quanto esseri parlanti prendere posizione in qualche modo fuori del

parla re e poi essere al tempo stesso accusatori, accusati e giudici » e « Non c'è
,

alcun mezzo per porre all'inizio della scienza nette proposizioni protocollari
accertate definitivamente. Non c 'è una tabula rasa. N oi siamo come marinai
che devo no riparare la loro nave in mare aperto, senza mai poterla disfare in
un cant iere e ricostruirla con parti migliori ») , questo autore ha p u rt roppo
compromesso la validità generale della sua posizione allorché, spinto dall'osses­
sione fisicalistica da lui poi trasmessa anche a Carnap e ad altri esponenti
del neopositivismo viennese ha contraddittoriamente creduto di poter inscrivere
,

la p rop ri a teoria della verità come coerenza nelle coordinate di una concezione
del linguaggio come mero fatto fisico: di una concezione , cioè, nella quale non
è più possibile distinguere il senso logic o delle proposizioni dalla successione
materiale dei suoni o dei segni che le costituiscono. Che ciò implichi il venir
meno di quell 'uni c a dimensione entro la quale la prospettiva coerentistica può
ricevere un significato qualsiasi, non sembra in alcun modo negabile.
Vedremo peraltro fra non molto (gi à, in parte, nell 'ultimo paragrafo di questo
capitolo ma poi , soprattutto, nel capitolo seguente) come non sia realmente
sostenibile una assolutizzazione della predetta dualità tra logos e physis; tu t­
tavia dovrebbe essere chiaro fin d 'ora che , se si vuole parlare di riduzione di
una del le due dimensioni all'altra, ciò potrà avvenire solamente a vantaggio
della dimensione log i c a (purché quest 'ultima non sia intesa a sua volta in
modo formalistico : ma anche di ciò di remo in seguito). In al tre parol e : l a già
ricordata ri pu lsa heideggeri ana della concezione segnica o strumentale del lin­
guaggio (cfr. la nota l dell'Introduzione) non potrà certo a nda re a beneficio d i
una v i s i one del linguaggio come semplice « fatto » tra altri « fatti ».
26 L'ORI ZZONTE DELL ' I N F I N I TÀ POTENZIALE

rapporto che viene ad instaurarsi fra i due l ivelli risulterebbe co­


munque molto labile e del tutto privo di valore fondante. Il pri­
mo l ivello, infatti , sarebbe una semplice condizione causale del
secondo e, per di più , una condizione causale non necessaria e
non sufficiente . « Non sufficiente per l 'ovvio motivo che si può
sapere com'è il rosso senza sapere che è diverso dal blu , che è
un colore , e così via. Non necessaria perché possiamo sapere tut­
to questo, e molto di più , sul rosso pur essendo ciechi d alla na­
scita e non sapendo quindi com'è il rosso. f: semplicemente falso
che non si possa parlare di o avere conoscenze su ciò di cui non
abbiamo sensazioni grezze , e altrettanto falso che non potendo
parlare di qualcosa si possa ugualmente avere giudizi veri giusti­
ficati al riguardo » 6• La distinzione proposta appare sufficiente-

6 R. Rorty, La filosofia e lo specchio della natura, cit., p. 140. Ci sembra che


ciò equivalga nella sostanza a formulare il seguente dilemma. Per quel tanto
che il contenuto dell'esperienza immediata può essere espresso, i l tipo d i con­
sapevolezza implicito nell 'apprensione del dato si risolve in un giudizio percet­
tivo, per sua natura situato al secondo livello, e non già nel contatto con qual­
cosa di meramen te dato. Se, d 'altra parte, il contenuto dell 'esperienza imme­
diata deve restare un che di inesprimibile o di ineffabile, allora non si vede
come l 'appello al dato possa svolgere la funzione che la prospettiva tradizionale
gli attribuisce, come possa cioè garantire il preteso fondamento empirico della
nostra conoscenza. Quel fondamento dal quale M . Schl ick (non a caso il prin­
cipale avversario di Neurath nella polemica sui protocolli) si attendeva il sod­
disfacimento dell'esigenza che secondo lui era « all'origine di tutti i tentativi
di stabilire una teoria gnoseologica ,. : l 'esigenza di « possedere una certezza
assoluta nel sapere ,., cioè di ancorare saldamente la conoscenza empi rica ad
uno strato d i totale, completa i nfallibilità (o incorreggibilità, incontrovertibilità).
Ma, appunto, contro i l suddetto dilemma non c 'è scampo: o la consapevolezza
del dato si traduce i n una varietà più o meno esplicita, più o meno deliberata
di giudizio percettivo e allora l a certezza viene a trovarsi esposta ad almeno
potenziali minacce (ché l 'operazione del descrivere non è tale da recare in sé
alcuna garanzia logica d i successo o di infallibilità) ; o, altrimenti , il persegui­
mento ad ogni costo della esigenza di certezza conduce ad una vittoria di
Pirro , non potendosi comprendere come un « dato » che paga la propria i nfal­
l ibilità con l 'ineffabilità (che, in altre parole, riesce a sottrarsi alle insidie del
falso solo a patto di sottrarsi, insieme, anche alla giurisdizione del vero) possa
poi valere come base o fondamento epistemico di alcunché, possa sensatamente
militare a favore di un 'ipotesi sull 'oggetto conosciuto piuttosto che di u n 'altra.
t chi aro che dei due corni del dilemma il più controverso - cioè il più impor­
tante e, insieme, i l più i nteressante da stab il ire - è il primo : essendo ancora
diffusa a livello filosofico, e pressoché inestirpabile a l ivello d i senso comune,
la convinzione che almeno certi predicati « di base », o primitivi , del nostro
linguaggio verrebbero appresi mediante un atto di pura astensione. Ma l 'appello
all 'astensione (qui l 'ultimo Wi ttgenstein docet) è )ungi dall'essere risolutivo,
trattandosi dell'appello a qualcosa il cui significato non è in sé più traspa-
L 'A S PETTO INFERNZIALE DELLA PERCEZIONE 27

mente chiara ed ha senza dubbio una sua vaHdità, anche se la


questione in rapporto alla quale è stata invocata esige, per essere
compiutamente chiarita, il possesso di alcune coordinate concet­
tuali delle quali ancora non disponiamo in questa fase iniziale
della nostra indagine e che potremo guadagnare solamente in
virtù di un paziente lavoro di preparazione. Ciò che per il mo­
mento ci sembra più importante e più degno di rilievo, all'interno
delle formulazioni riportate, è la caratterizzazione del secondo,
e fondamentale, livello conoscitivo - quello connesso alla padro­
nanza dello strumento linguistico - come sapere « tipizzante »
( « che tipo di cosa è x »); tanto più significativa appare questa
caratterizzazione, se si pone mente al fatto che proviene da autori
nella cui formazione la componente empiristica ha, com'è noto,
giocato un ruolo essenziale. Il « tipo » è ovviamente l'universale,
il quale ci porta immediatamente nella dimensione di quel pen­
siero che, in forma minimale, ma nondimeno armato di tutte le
sue essenziali caratteristiche, già traluce nel momento della per­
cezione. Nella nostra sommaria caratterizzazione di quest'ultima
abbiamo insistito sulla posizione del « come » che in essa è con­
tenuta come sul tratto che la differenzia strutturalmente da qual­
siasi esperienza che si situi al livello della mera sensibilità, posto
che tali esperienze si diano: e il « come » altro non è che il

rente di quello di qualsiasi espressione linguistica. Il mero « indicare » non è


mai sufficiente a individuare o ad evidenziare alcunché : per comprendere ciò
che è « semplicemente mostrato » è necessario possedere alcuni principi di
classificazione. La notizia del significato non può dunque essere data unica­
mente dall'estensione, atteso che quest'ultima può funzionare solo all'interno
di un linguaggio già costituito e già contenente principi di interpretazione e
di classificazione non stabiliti estensivamente. I l senso in cui si può parlare
correttamente di « immediatezza » dei giudizi di percezione è allora molto
diverso da quello contemplato nella prospettiva tradizionale : come rileva
Sellars, un referto può dirsi puramente osservativo quando per formularlo
non è ormai più necessario « pensarci su », ossia non è più necessario impie­
gare una certa frazione di tempo per riflettere. Un'utile e valida opera di rica­
pitolazione di tutta questa problematica è rinvenibile in un volumetto scritto
da un allievo d i Rorty : M . Williams, Groundless Belief. An Essay on the Pos­
sibility of Epistemology, Blackwell, Oxford 1977. Qui vale la pena di ricordare
che uno dei limiti caratteristici del senso comune è proprio l'incapacità di rico­
noscere la theory-ladenness inerente anche ai livelli percettivi ritenuti infimi e,
comunque, ancora « vergini » : un 'incapacità che trae con sé l'irrefrenabile
tendenza a riguardare la problematica di cui sopra come vana sofisticheria,
come sterile ed eccessiva sottigliezza et similia (si veda anche il p rossimo pa­
ragrafo del presente capitolo) .
28 L 'ORIZZONTE DELL'INFIN ITÀ POTENZ I A L E

respectus o il riguardamento, ossia il correlato di quell'opera­


zione tipicamente e spontaneamente intellettiva (e proprio a ca­
gione di tale spontaneità e naturalezza tanto raramente avvertita
come operazione) che è l'« assunzione di una prospettiva » sulle
cose e che, a mano a mano che l 'attività pensante viene affinando
il suo modo di procedere (come abbiamo visto che accade già nel
giudizio esplicito), si configura sempre più come un deliberato
distanziarsi da esse quasi per « prendere » loro « le misure »,

come s i suoi dire . Esprimendosi attraverso forme operative via


via più comple sse , il pensiero non fa altro che manifestare in
modo sempre più chiaro quel suo aspetto che, a onor del vero ,
già costituisce il primum o la forma della spiritualità come tale
(di ciò che abbiamo chiamato il pensiero in senso lato) : quel­
l'aspetto per cui esso si pone come disincantamento dal senso o

dall'immediato e che è rinvenibile g i à appunto nel momento per­


cettivo , per quel tanto che anche questo (cfr . quanto si diceva
nella nota 3) implica a suo modo un disincantarsi . Quando, però �
si parla di respectus, riguardamento, p rosp et tiva . . . non si può
insieme non parlare, come s i diceva , de l l ' un i v e rs al e . Sembra che
« assumere un punto d i v is ta » o « una p rospettiva » su qualche
cosa non sia pos s i bi le se non trascendendone la particolarità , se
non riguardandola come qualcosa che almeno in linea di prin­
cipio non è un unicum assoluto p erché è comunque coglibile
sub specie universali : o, almeno , questo è ciò che ci ha insegnato
a pensare u na lunga trad izio n e , rotta solo di quando in quando
dal risuonare di qualche isol ata voce nominalistica . Per cercare
di ricondurre la tesi dell 'esistenza degl i universali alle sue moti­
vazioni più autentiche provi amo ancora una volta a rifarci alla
distinzione dei due tipi di conoscenza che era stata precedente­
mente enunciata . Il primo d e i due, quell o di cui si trova in pos­
sesso l 'infante , abbraccia con tutta probabilità una gran co pi a
di me s sagg i . Quasi certamente tutte le fondamental i spe cie di
sensazioni - visive e ud itive , gustative e olfattive , termiche, di
dolore e simili - entrano in quella miscela di stimoli dalla quale
il bambino si trova continuamente investito e come assalito ; ed è
altrettanto proba b i le che di o g n u na di e sse egli possa ben avver­
tire anche il gra do o l'intensità . Il ba m b i no che pia nge in risposta
ad un rumore forte m a non in risposta ad uno debole, che piange
più forte in corrispondenza di un grave attacco di in d igestio ne
L 'A S PETTO INFERNZIALE DELLA PERCEZ IONE 29"

e meno quan do ne subisce uno più lieve , dimostra di essere sen­


sibHe al varia re dell 'intensità di suoni e di dolori . Ma si può dire
(questo è il punto) che percepisca il suono alto come alto, o
come un suono , o anche solo come distinto dal dolore ? Qui la
risposta sembra dover essere negativa . Non si può percepire un
suono alto come alto senza disporlo in una scala entro la quale
esso risulti opposto ad un suono meno alto, ed è chiaro che al­
l 'inizio non vi sono suoni meno alti . Non affermiamo ovviamente
che la nuda esperienza dell 'intensità o della forza di un suono
dipenda dalla sperimentazione di altre intensità, perché allora
è evidente che il primo suono udito non avrebbe mai potuto
possedere alcuna intensità e che il processo di cui stiamo par­
lando non avrebbe mai potuto nemmeno avere inizio ; diciamo
semplicemente che l 'intensità di un suono non è mai percepita
come tale sino a che non è colta in contrasto con qualcosa d'altro
da cui possa, appunto , acquisire rilievo o spicco . I n prima bat­
tuta n ulla può essere percepito come ciò che esso è (e quindi
null a può essere percepito simpliciter) . Per cogliere un suono
come un suono dobbiamo coglierlo come un suono , come un
esemplare d i qualcosa che potrebbe realizzarsi anche altrove, ed
all 'inizio questo tipo di « prensione » non c 'è : solo quando sa­
ranno stati uditi suoni in quantità potrà eventualmente sbocciare
l'idea che essi siano, per così dire , variazioni su un unico tema e
solo allora ciascuno di essi potrà essere visto alla luce della co­
mune natura di tutti (e, quindi , solo allora potrà essere veramen­
te percepito) . La via per giungere a cogliere il suono passa at­
traverso l 'esperienza dei suoni ; all 'universale si può giungere
solo attraverso il particolare . Fin qui dunque l 'empirismo ha
ragione .
Solo fin qui , però . I l che significa che ha torto riguardo alla sua
tesi caratteristica che affe rm a la mera particolarità di ogni s ingola
sensazione ; o, in altre parole, che vi è un senso fondamentale nel
quale a ll 'universale non si giunge , per la semplicissima ragione
che in esso si è già fin dall'inizio. Sarà questo , forse , un punto
sottile , ma ciò non togl ie che sia estremamente importante .
Certo, l 'universale è l 'identico-nel-diverso e ha bisogno del diver­
so per essere saputo, ossia ha bisogno della differenza perché
quell 'identità in cui esso consiste abbia la possibilità e l 'occasio­
ne di funzionare. D 'altra parte non è meno vero che dal con­
fronto tra i diversi può , diciamo cosi , sortire qualcosa di buono
30 L'ORIZZONTE DELL'INFINITÀ POTENZIALE

(che, in altri termini , questo confronto può costituire una fase


utile ed anzi necessaria attraverso la quale passare per giungere
alla meta) solo se . . . si sa già , i n qualche modo , che cosa propria­
mente si deve confrontare. Il che significa : solo se fin dall 'inizio
i vari contenuti sperimentati non erano fra loro totalmente diffe­
renti e solo se ognuno di essi già conteneva implicitamente quel­
l 'identico fattore che si vorrebbe venisse trovato solo alla fine
(e che mai si potrebbe trovare se già non vi fosse) . Da questo
punto di vista non può non risultare evidente la carica d'ambi­
guità insita nella formulazione, tanto diffusa e corrente da rap­
presentare quasi la quintessenza della banalità, secondo la quale
noi « otteniamo le idee generali astraendo da più cose singole ciò
che esse hanno in comune » : formulazione che certo lascia in
ombra il fatto che posso confrontare fra loro più oggetti per in­
dividuare quale sia il loro « tipo » solo se li ho previamente i so­
lati dall 'infinità dei rimanenti mediante un atto, che non si riesce
a comprendere che cosa possa essere se non è un originario cogli­
mento del « tipo » in questione : coglimento che qualsiasi evento
successivo potrà dunque chiarire , arricchire, specificare sempre
più, i n un processo di approfondimento idealmente infinito , ma
non certo produrre . Questa situazione circolare, che qui si lascia
sorprendere nella sua forma più sorgiva ed elementare, deve
sin d 'ora richiamare su di sé tutta la nostra attenzione per­
ché è una struttura che l 'attività pensante verrà riproponen­
do ad ogni livello e, come avremo occasione di verificare , costi­
tuisce add irittura la caratteristica fondamentale del suo modo di
procedere .
Per concludere la discussione del caso presente non ci resta che
ribadire che , se davvero all 'inizio fossimo confinati nella sensa­
zione di puri particolari , non potremmo mai in seguito acquisire
la capacità di formulare , per esempio, il più elementare giudizio
di riconoscimento intorno ad un oggetto visto in precedenza né,
in definitiva , avere una qualsiasi percezione. Ciò che nella no­
stra vita psichica ha avuto una storia è la nostra padronanza
effettiva dell'universale, la sua operatività in noi , non l'universa­
le in se medesimo. Non vi è alcuno stadio dell 'esperienza - nem­
meno la pura sensazione, se es iste - in cui l 'universale non sia
già presente . E se si ritiene assurdo dire che si « sente » o si spe­
rimenta un universale, non si deve affermare che cominciamo
sperimentando meri particolari non legati fra loro da alcun nesso
L ' A S PETTO I N F E RNZ IALE DELLA PERCEZ I ONE 31

d i identità 7 e che questa identità la troviamo pOI m qualche


modo lungo la strada . Si deve concludere piuttosto che non c 'è
mai stata un 'epoca in cui eravamo confinati nella pura sensa­
zione : e ciò semplicemente perché la pura sensazione non può­
esistere (così come , d 'altra parte , non può esistere il suo fratello·
gemello, che è il « puro » fatto) .
Ma accanto a quest'aspetto , e strettamente legato ad esso , ve n 'è
un altro non meno importante sul quale ora ci soffermeremo solo
brevemente perché avremo occasione di trattame a lungo in se­
guito . � vero che suoni , sensazioni dolorose , sfumature varie di
colore , sensazioni termiche di varia intensità che entrano nel­
l 'esperienza di un bambino sono tutte qualificate da caratteri pro­
pri che le differenziano l 'una dall 'altra ; ma non è la stessa cosa
essere differenti ed essere propriamente distinti . Dobbiamo certo
ritenere che nell 'esperienza del bambino queste sensazion i , per
quanto vaghe e ancora indiscriminate , differiscano in qualche
modo tra loro : ché , anche in questo caso , se non differissero af­
fatto non si capirebbe come potrebbero mai giungere a differen­
ziarsi in un secondo momento . Ma è certo che esse non sono
ancora state investite da un processo di distinzione : non si può
distinguere alcunché finché non si è giunti a percepirlo come
questo piuttosto che quello (ché, altrimenti , che cosa verrebbe
distinto?) e in questa prima fase non si è ancora verificato , per
ipotesi , il riconoscimento di alcuna determinazione . La reciproca
distinzione delle determinazioni e l 'uso degli universali come uni­
versali nascono dunque ad un parto . I l riconoscimento dell 'uni-

7 Per un dispiegamento anali tico della critica dell'empirismo nominali stico


moderno non si può che rimandare alla seconda delle R icerche logiche di
Hus se rl Qui ci sembra che valga la pena d i ricordare come Gadamer, nella
.

sua cara tteri zza zion e dei momenti origi nari e fondanti dell 'esperienza erme­
neutica, non possa fare a meno di richiamarsi esplicitamente all'analisi del­
l'incxyc.)yo/j data da Aristotele nei Secondi A nalitici (8 19, 99b ss.) : si veda sia
Verità e metodo , cit., pp. 405 ss. e p . 479, sia Ermeneutica e metodica universale,
Marietti , Torino 1973, p. 87 s. (è la traduzione italiana, ad opera di vari autori ,
de l primo volume dei Kleine Schriften ; il punto da noi indicato si trova all 'in­
temo d el saggio L'universalità del problema ermeneutico) . Nella prima delle due
opere ci tate si rileva altresl che, sebbene Aristotele non metta espressamente
in rapporto la costruzione dei concetti con la costruzione delle parole e con
l'apprendimento della lingua, la parafrasi di Temistio ricorre senz'altro, per
illustrare l inse gn amento dello Stagirita, all 'esempio dell 'apprendimento del
'

linguaggio da parte dei bambini.


32 L'ORIZZONTE DELL'INFINITÀ POTENZIALE

versate e il suo relazionarsi ad altri universali sono aspetti del


medesimo processo. In questo senso si deve dire che non si può
possedere un concetto senza possederne molti e che la distinzio­
ne può significare solo rapporto ad altro : dapprima, com 'è natu­
rale, secondo lo spazio , il tempo e i vari aspetti quantitativi , suc­
çessivamente secondo altri cri teri di empiricità via via decre­
scente . Attraverso queste considerazioni , qui ancora volutamen­
te mantenute ad un livello assai elementare , si viene in qual che
modo delineando la visione (destinata con il procedere della no­
stra indagine ad acquisire una consistenza e pienezza di signifi­
cato sempre maggiori) di un pensiero che opera convogliando
gradualmente nell 'unità di un si stema integrato i contenuti che
via via si presentano entro il suo orizzonte. Se i rilievi formulati
in precedenza sfociavano nella dimostrazione della contradditto­
rietà di una « pura » sensazione ed avevano la funzione di illu­
strare e di difendere quell 'aspetto dell 'universale per cui esso si
presenta come universale astratto (un aspetto indubbiamente ce­
lebrato a dovere dalla pars potior della tradizione filosofica occi­
dentale) , queste ultime osservazioni mirano a richiamare l'atten­
zione sulla contraddittorietà insita in un esercizio dell'attività
pensante ispirato ai canoni di quello che storicamente fu chia­
mato intelletto astratto (e che più precisamente si sarebbe dovuto
<:hiamare astratt i st ico ) , compendiabili n e ll a sostanziale id ent ifi­
caz io ne operata fra il distinguere o l 'astrarre e il sep ara re o
l ' i s ol are . Conseguentemente , tali osserv az io ni tendono ad evi­
d en z i a re l 'al tro as petto dell 'universale, quello per cui esso si
c on fi g u ra come universale concreto (meno del precedente cele­
b r a to dalla tradizione filosofica nel suo complesso, che a n z i ha
errone amente credu to , talora , di doverli contrapporre : sì che è
potuto accadere che il pens iero classico si a stato inv olto nelle
sp i re del form alismo dalla ra d i cal e insofferenza provata da taluni
suoi soste n i tori per ogni impostazione « oli stica » o dialettica ,
la d dove i nemici dell'astrattismo hanno talvolta ceduto a certe
suggestioni del nominalismo) .
Poiché in questo pa ragrafo a bbi a m o parlato soprattutto dell 'idea
o del concetto (l 'univers a l i t à ne è in f a tt i un dire t to attributo) ,
l a d dove nel precedente era stato portato in p rimo piano il giu­
dizio, s i a p u re rappresentato da q ue l l a sua versione decisame nte
umile che alberga nella percezione , riteniamo che s i a questa la
sed e adatta per forn i re al lettore la d i l u ci d az i on e di cui gli s i amo
'
L A S PETTO IN FERNZIALE DELLA PERCEZIONE 33

debitori sin dall 'inizio d e l presente capitolo riguardo al problema


del rapporto fra logo semantico e logo apofantico. Un problema
che a nostro avviso necessita di differente trattazione a seconda
che il giudizio che funge da termine di paragone ponga in rap­
porto due determinazioni finite (sia cioè quello che gli Scolastici
avrebbero chiamato un giudizio de tertio adiacente) o sia invece
un giudizio d 'esistenza (il giudizio de secundo adiacente dei lo­
gi c i medievali ) . Vediamo .
L'elementare ma, nondimeno, decisiva osservazione secondo la
quale non si può possedere un concetto senza insieme possedeme
altri ci può guidare alla soluzione del primo caso. Essa ci ram­
ment a che il concetto o il termine per sé preso non può non essere
un 'astrazione da quel nucleo, sia pure ristretto, di contesti alme­
no implici tamente proposizionali entro i quali è venuto origina­
riamente emergendo il suo significato. Ne viene che o l 'idea con­
tiene implicito in sé il rinvio alle fondamentali situazioni predi­
cative nelle quali può correttamente comparire , ed allora è effetti­
vamente un atto di pensiero, per quanto ellittico o concentrato;
oppure non lo contiene , e allora non è in nessun senso un atto
di pensiero ma potrà identificarsi solamente con un'emissione d i
v oc e o c o n u n a sequenza di segni sulla carta. Possedere un con­
cetto non può insomma significare altro che saper usare un ter­
m i n e , nella conversazione che teniamo tanto con gli altri quanto
con noi stes s i : e per questo aspetto essenziale ci sembra che la
posi zione del Wittgenstein delle R icerche, il cosiddetto secondo
Wit tgenstein, sia inattaccabile.
La persuasione che il concetto sia qualcosa di anteriore alla pro­
posizione è quella che , a nostro avviso, definisce la cosiddetta
concezione « iconica » della conosce nza, sempre tendenzialmente
platonica perché portata a ricondurre la conoscenza al modello
della visione oculare. La persuasione opposta si associa alla vi­
sione « proposizionale », quella secondo l a quale il conoscere è
sempre « conoscere che . . . ». La concezione iconica del sapere è
forse il documento più rilevante del predominio esercitato dal­
l 'i ntelletto astratto su tanta parte del pensiero occ i dentale : nella
sua forma più ingenua diviene visione pittografica 8, ma in forme

a A nche qui non si può non pensare a W i t tgcnstcin : stavol t a , però, al W i t t gcn­
stein del Tractatus. Singolare il destino di questo pcnsatore che, in fasi di lfc-
34 L 'ORI ZZONTE DELL ' I N F I N I TÀ POTE:'>I Z I A LE

più raffinate non ha risparmiato nemmeno pensatori che, date le


loro premesse , avrebbero dovuto restarne immuni ed anzi s i sono
talora distinti per i rilevanti cont ributi oggettivi che storicamente
hanno recato all 'enucleazione della prospettiva rivale . La quale ,
nel momento stesso in cui si applica a pensare coerentemente
le implicazioni olistiche del suo rifiuto di ogni referente extra­
linguistico per la nostra conoscenza, tende ad assumere u n a colo­
ritura pragmatistica (si pensi all 'accento inevitabilmente posto
sulla dimensione dell'«uso » come su quella in ultima analisi
determinante) . Anche questo , però , è uno dei temi la cui d i s cus­
sione risulterebbe ora prematura e che ci proponiamo d i ripren­
dere in seguito .
Un poco diverso è invece il caso del giudizio esistenziale , che
sembra effettivamente configurare una situazione a parte rispetto
a quella del classico giudizio d 'attribuzione ; anche qui , pe rò , non
riusciamo a vedere come si possa difendere un 'anteriorità del
concetto , per poco che si consideri l 'effettivo significato delle
operazioni logiche che sono in questione.
Certamente , qui non pare sostenibile in prima battuta l a tesi fatta
valere nella discussione precedente : ché il giudizio d 'esistenza
sembra essere , semmai , proprio il più idoneo ad evidenziare
l 'aspetto per il quale giudizio e idea natura differunt. L a diffe­
renza tra i due momenti consisterebbe in ciò : che l 'idea , pur
rinviando alla realtà significata , giunta per così dire di fron te ad
essa si arresta ; laddove il giudizio prosegue e investe la realtà
esprimendola e compiendo così il moto (o l'intentio) dell 'idea.
Quest'ultima sarebbe sì un atto logico m a un atto, per così dire,
incompiuto, che aspira a compiersi nel giudizio. Ora , non è possi­
bile che l 'incompiutezza anteceda il compimento e sia più ele­
mentare di esso ? Non rivela forse la concettualizzazione , almeno

re n t i della sua evol uzione specula t i v a , ci ha offerto le e s p ressioni forse più


t i p i c he (per non d i re a d d i r i t tura para d i g m a t i c he) d i ciascun a delle due pro­
spettive. Dal punto di vista del l a posizione elaborata per ultima l 'opera giova­
n i re può essere considerata come l 'esposizione logicamente più consequenziale
(e i n questo senso diciamo più ingenua ; una m i nore i ngenuità, rim anendo in
quel pri m o o ri zzon te, si potrebbe i n fatti otten ere solo a p rezzo di u n a minore
coerenza) delle regole d i q u e l gioco l i n gu i s t ico che si c rede assoluto (e quindi,
propriamente, non un g i oco) a motivo del suo ancoraggio al l '« obiett i vi t à •
i n tesa come di mensione extralinguistica.
'
L A S P E TTO INFERNZ I A L E D E L L A PERC E Z I O N E 35

in questo senso 9 , la sua natura di prima operazione mentale, an­


teriore e pregiudiziale rispetto alla sintesi predicativa o apo­
fantica ?
I n verità, a noi sembra che, data l'assoluta spontaneità o natura­
lezza dell'intentio al reale che è propria del pensiero, quell'idea
che di tale intentio è la sospensione non possa, nel concreto di­
spiegarsi dell'attività mentale, che situarsi in seconda battuta.
Nell'effettivo pensare e ragionare il semplice entertaining un
contenuto ideale, !asciandolo quasi aleggiare sulla realtà, non può
non equivalere alla formulazione di una domanda o di un dubbio
intorno al valore del contenuto stesso : non può non esprimere
un atteggiamento che, per sua natura, segue e non già precede la
forma più semplice di giudizio esistenziale contenuta, come sap­
piamo, nella percezione. Una siffatta sospensione, se riferita ad
un contenuto percettivo, è da mettersi in rapporto con l'atteggia­
mento di circospezione o di cautela proprio della mente che è
già passata attraverso l'istruttiva esperienza dell'errore e che ha
conosciuto il tipico senso di delusione ad essa associato . Se rife­
rita ad un contenuto che non è già stato oggetto di percezione,
essa coincide con l'emergere di tale contenuto quale risultato
dialettico, ma al tempo stesso solo possibile e problematico, di
una riflessione su contenuti già presenti : sì che a maggior ragione
rivela il suo rapporto con uno stadio già avanzato dell'attività
mentale (addirittura quello nel quale si formulano esplicitamente
ipotesi o illazioni che si avvertono come bisognose di verifica) .

9 t s t at o anzi sostenuto che l 'autentica differenza tra i dea e giudizio è sempre


soltanto questa e che ogni giudizio nella sua forma logica è un giudizio d 'esi­
stenza, qualunque sia la sua forma grammaticale. G iudicare sarebbe sempre
riferire alla realtà un contenuto ideale che è numericamente unico anche quan·
do è i n terna me nte complesso. « I l contenuto ideale che viene affermato nel
g i ud i z i o poss i ede senza dubbio relazioni interne e nella maggior parte dei casi
( n on i n tutti) può essere tradotto i n u n rapporto d i soggetto e predicato. Questo
contenuto, però, è il medesimo sia che si compia l'asserzione sia che non la si
c ompia Se, invece di giudicare, si domanda, ciò che viene domandato è pre­
.

cisamente lo stesso di ciò che viene affermato nel g i udiz io . Cosicché è impos­
sibile che questa relazione interna al con tenuto possa di per se stessa essere
il giudiz i o ; al massimo potrà essere una condizione del giudizio » (F.H . Bradley,
Principles of Logic, Clarendon Press, Oxford 1 922", p . 2 1 ) . Sempre nella sua
trattazione del giudizio Bradley afferma, seguendo uno spunto già presente in
Herbart, che i giudizi universal i debbono essere a loro volta intesi come giu­
dizi i potetic i , potendo cosi ri trovare anch'essi per questa via un legame con
l'esistenza (« Tutti gli x sono y » significherebbe cioè « Se qualcosa è x , allora
è y ») .
36 L 'ORIZZONTE DE LL'INFIN ITÀ POT E N Z I ALE

Per concludere diremmo dunque che , se l 'origine dell 'idea è


nella sua astrazione dal sensibile , sembra proprio che essa venga
scoperta la p rima volta all 'interno di un giudizio d 'esistenza , per
quanto implicito : che il prendeme atto primariamente (intuizio­
ne eidetica o astrazione universalizzatrice) e lo scoprirla e sistent e
i n un certo punto del reale (percezione nel senso nostro) siano
unum et idem .

3 . La mediazione nell'immediato

Se nel primo paragrafo di questo capitolo iniziale la nostra at­


tenzione si è port a t a prevalentemente sul giudizio e nel secondo ,
invece , sul concetto , non p a rrà strano che il terzo (e conclusivo)
intenda pre n d e re in cons i derazione la figura che tradizion almente
conclude la c l a s sica triade rinveni bile in tutti i manuali di logica
filosofica : l 'inferenza , ovviamente riguardata in quella fanna
umile e, per cosi dire , cland e stina (a somiglianza d i quanto già
si è v isto per il giudizio) che sola potrà annidarsi nell a perce­
zione . Si tratta del discorso in c er to qual modo più paradossale,
se solo s i pone mente al fa t to che il completo automatismo della
percezione rendeva già arduo il riconoscimento della presenza in
essa di un g i ud i zio . P r oprio p e r q u e sto , p e rò , è insie m e il d i scor­
so più interessante e cost i tu i s ce l 'intima giustificazione di qu anto
siamo venuti esponendo sin qui (come d 'altra parte risulta dalla
nostra sc e l t a di intitola re ad esso l 'intero capitolo) : in ogni caso
varrà , c redi a mo, a d i m o s t r are come nel momento aurorale della
vita pensante siano già p re s ent i in nuce tutte le fasi successive
dell 'attività inte l l e tt i v a .
Proviamo a riflettere . Che veramente vi sia nel l a percezione d e i
comuni oggetti d e l l a nostra e sperienza qualcosa che va al di là
d e l l a sensazione non solo formalmente ( c om e soprattutto s i è
cercato d i evidenziare fin qui) ma a n che m a t e rial m ente , non è
d i ffi c i l e d a mostrare : anzi , in u n certo senso il nostro co m p i t o
è p i ù agevole ora di quanto non fosse in p re c e d e n z a . Suppon ia­
mo d i vedere , alzando gl i occhi al ciel o , un m i nuscolo oggetto a
form a d i croce e di u d i re un carat teri s t i co rumore : in d ividuiamo
immediatamente un aerop l a n o e , a ch i u nque ci domandasse qual­
cosa su di esso, ri sponderemmo sen z ' a l t ro di averlo percepito,
d i averlo «v isto » . Ma che cosa abbiamo realmente v i s to o udito?
L ' A S PETTO I N FERNZIALE D E L LA PERC EZIONE 37

Poco più di un punticino nell 'azzurro del cielo e nulla più di un


particolare ronzìo. Ora , affermare che la somma di un punto e
di un ronzìo sia un aeroplano sarebbe ovviamente senza senso ;
è dunque evidente che nella percezione è contenuto qualcosa
che ol trepassa materialmente il dato della sensazione , e sembra
altrettanto evidente che i n molti cas i , forse nella m a gg i or parte ,
si t ra tta proprio di ciò che riveste ai nostri occhi la maggiore im­
portanza , di ciò che ci consente di attribuire un significato con­
creto e immediato ai contenuti della nostra esperienza . Per chi
non ha mai riflettuto su questi argomenti una simile scoperta
cost ituisce una sorpresa , forse in c e rt o qual modo una rivelazio­
ne . Ma non bisogna meravigliarsi troppo di siffatta meravigl ia.
I l fatto è che un interesse puramente intellettuale è raro , e certo·
risulta assente dal normale commercio che l 'uomo ha con il suo
mondo . � dunque difficile che l 'intelligenza si trovi a ope rare ,
per così d i re , allo stato puro : l 'interesse conoscitivo è quasi sem­
pre subordi nato a quello pratico e solitamente ci basta c h e le
nostre convinzioni si ano tali da risul tare soddisfacenti per le
ordinarie esigenze che scaturiscono dal contatto con il nostro
ambiente naturale e sociale. � solo quando una determinata situa­
zione si presenta tale da « smen tire » certe nostre « asp ett a tive »
consolidate , è solo qu and o i nostri convincimenti dimostrano per
q ualc h e motivo di n o n « funzionare » , che quel normale s e n t i ­
mento di calma sicurezza svanisce ed eventualmente si ri s v egl i a
10•
in noi un intere sse conoscitivo Così , attenendoci al caso dell a
percezione , si deve dire che la nostra mente rivela spesso un a
certa pigrizia nello s v olg i ment o del compito di d i s t i n gue re espli­
citamen te ciò che è differente . Essa è avvezza ad anali zzare i suoi
oggetti solo in vista d i qualche finalità p ra ti ca : ora , è raro che
si riscontri u n in t e re ss e p ratic o a di scriminare l a componente

1 0 C i sembra che , in fondo, i l pragm a t i s mo a b b i a avuto per lo meno il merito

d i richi amare l 'a t t e nzion e su una dottrina spec u l a t i vamente v a l i d a e i m p orta n t e ,


p u r se non sempre debitamente ricord a t a : q u e l l a che ri conduce espl i c i tamente
il sorgere e lo svi lupparsi d e l l a r i flessione al man i festarsi d i u n a situazione
in q ualche m odo con tradd i t toria e a l l esigenza d i superarla ( s i pensi del res t o ,
'

portando il d iscorso al suo m a s s i mo l i ve l l o di u n i versal i tà, a l l a ben nota eq ua­


zione hcgeliana fra bisogno d d l a fi l osofi a in q u a n t o tale e si tuazione d i
Entzweiung) . S u i rapporti fra d i m e nsione logica e d i mensione elemen tare o
vi tale (quella su cu i i pragm a t i s t i amano i n s i s tere) del cogl i me n t o d i u n a d i sar­
mon i a si veda già, in parte, i l segu i t o del prese nte paragrafo ma poi , soprat­
tutto, l 'intero primo paragrafo del prossimo capi tolo.
38 L'ORIZZONTE DELL'IN FIN ITÀ POTENZIALE

sensibile da quella non sensibile della percezione, visto che la


credenza che noi vediamo le cose per intero, senza doverne inte­
grare la rappresentazione con qualcosa di non visto, si dimostra
generalmente ben funzionante (al punto da non essere nemmeno
avvertita come una credenza o un'assunzione) . Qualche volta,
tuttavia, capita che funzioni meno bene, e non vi è nulla che
mostri più chiaramente come, di norma e senza rendercene con­
to , noi oltrepassiamo il dato quanto il modo i n cui talvolta la
percezione ci inganna 1 1 • « Vediamo » per la strada un biglietto
da diecimila lire , ci dirigiamo verso di esso per andare a racco­
glierlo e ci accorgiamo che è solo carta . Stavolta, certo, la no­
stra percezione della banconota non è stata una sensazione.
Questo ed altri casi più o meno simili potranno essere poco im­
portanti (anche se si ricordano addirittura tragedie fortuite m atu­
rate , in circostanze particolarmente malaugurate, per equivoci del
genere) e soprattutto non troppo frequenti , ma accade spesso che
proprio i casi che si discostano dalla norma siano i più illumi­
n anti . Riflettendo su tali esempi ci si rende conto che, se è evi­
dente che non possiamo dire di aver visto o udito gli oggetti
fisici nei casi in cui li abbiamo percepiti erroneamente , nemmeno
li avremo semplicemente visti o uditi nei casi in cui li abbiamo
percepiti correttamente : sì che si comprende che ogni percezione,
vera o falsa, implica in ultima istanza un salto nel buio ( anche
se generalmente , per fortuna, non si tratta di un buio fondo) ,
comporta sempre un azzardo o un rischio 1 2 •

Il Analogamente, su un al tro piano accade, per ci tare u n esempio di Rorty,


che finché c 'è solo una teoria sugl i dèi o sulle stagioni non c 'è alcuna teoria.
ci sono solo i ben noti « fatti » sugli dèi o sulle stagion i. La teoria ha inizio
quando qualcuno nu tre dubbi su ciò che tutti hanno sempre creduto e sugge­
risce che vi possa essere u n altro modo di vedere le cose. Le teorie, insomma ,
intervengono sempre due, o più, alla volta. Cfr. R . Rorty, Conseguenze del
pragmatismo, trad. Elefante, Feltrinelli, Mil ano 1 986, p. 56 s.
12 Non si può dire che la tradizione empiristica non abbia avuto consapevo­
lezza di ciò, anche se non sempre ne ha tratte le debite conseguenze. Si veda
questo passo, contenuto in un 'opera tra le più classiche: « L'universalità della
confusione tra le percezioni e le inferenze che ne sono tratte, e la rarità della
capacità di discriminare le une dalle altre, cessano di sorprenderei se conside­
riamo che in un numero di casi assai maggiore le percezioni effettive dei nostri
sensi non hanno per noi né importanza né interesse, se non come segni da
cui inferiamo qualcosa oltre ad esse. Per noi non sono importanti i l colore e

l 'estensione superficiale percepiti dal l 'occhio, ma l 'oggetto di cui quelle a ppa­


renze visibili attestano la presenza. Qualora la sensazione stessa sia indifferente,
'
L A S P E TTO I N F E R N Z I A LE D E L LA P E R C E Z I O N E 39

C o n queste semplici cons iderazioni , però , non si è ancora detto


che cosa propriamente accada quando, sulla scorta di certe sen­
sazion i , si giunge alla percezione di una « cosa » . Una corretta
interpretazione del meccanismo non sembra agevole . Vi è una
teoria nota fin dai tempi di Hume e costantemente accolta da
tutte le scuole filosofiche e psicologiche i spiratesi al magistero
dello Scozzese , la quale è sempre parsa in fondamentale accordo
con i parametri del senso comune e proprio per questo ha facil­
mente i ncontrato il favore anche di chi troverebbe senz 'altro
paradossali la maggior parte delle dottrine humiane . Secondo tale
prospettiva la percezione è quel processo psichico nel qual e , dopo
aver d iscriminato e classificato una sensazione o un complesso
di sensazion i , li integriamo con altre sensazioni richiamate alla
mente attraverso la memoria . Questa spiegazione sembra abba­
stanza plausibile : ma in realtà - e ciò è assai curioso - sarebbe
difficile immaginare qualcosa di più difforme da quanto il più
semplice accertamento fenomenologico è già in grado di rilevare .
Osserviamo ad esempio gli oggetti contenuti i n una stanza - po­
niamo una sedia , un tavolo e su di esso un l ibro e un vaso di
fiori - e compiamo un 'elementare introspezione . Nel percepire il
vaso di fiori avevamo o abbiamo forse in mente immagini o ricor­
di di quel suo Iato che è ora sottratto alla nostra vista , del suo
peso , della sensazione di freddo che solitamente produce al tatto ?
t evidente che ch i avesse nella propria mente tali rappresenta­
zioni s i troverebbe ben al di là dello stadio meramente percetti­
vo , in quanto starebbe compiendo un consapevole sforzo di vo­
lon tà ( per quanto facile possa poi risul tare in concreto una si­
mile opera di rievocazione) . Ma, a ben guardare , l 'errore com­
messo da questa teoria non si limita ad una pessima lettura del
dato fenomenologico : esso è l 'errore , schiettamente concettuale ,
di chi non ha afferrato la particol are natura dell'integrazione
mentale che qui è rich iesta, dato che le immagi ni o le rappre-

com 'è in genera l e , non abbi amo alcun m ot ivo di p orvi part i col are attenzione
ma a c quist ia mo l 'a b i t udine d i passarc i sopra senza una coscienza prec i sa , g i u n­
g end o senz'altro al l 'i n ferenza . Così conoscere quello che la sens a zione è e ffet­
tivamente s tata è per sé uno studio, cui pe r ese m p i o i p i t tor i hanno da a d de ­
strarsi con d isciplina ed appl ic a zio n e c ontinuate a lungo. I n cose ancora più
remote dal domi nio d ei sensi esterni nessuno è capace d i rompere quest ' i n t e r n a
associ azione se non ha una grande esperienza di a n a l i s i ps i co l o g i c a » ( J . S .
M i l l , Sistema d i Logica, trad. Facchi , Ubald i n i , Roma 1 968, p. 7 7 5 ) .
40 L'OR IZZONTE DELL'INFIN ITÀ POTENZIALE

sentazioni o i ricord i , se anche fossero presenti in gran copia,


non sarebbero per nulla sufficienti . La percezione n on implica
semplicemente la presenza , a qualunque titolo, di un con t enuto
mental e , m a l 'att ribuzione d i realtà a qualcosa che n on è a t tual­
mente sperimentato, e richiamare alla mente una qualsiasi qualità
sensibile non equivale affatto ad ammetterne la reale presenza :
prova ne sia che la percezione, come sappiamo, può essere erro­
nea, laddove parlare di verità o di e rrore in rapporto ad una
semplice rappresentazione avrebbe tanto poco senso quanto
parlarne in rapporto ad una mera sensazione (ovviamente po t rà
essere e rroneo un giudizio pronunciato intorno alla sensazione o
alla rappresentazione, ma questo è un al tro problema) . Credi amo
dunque di aver raccolto elementi più che sufficienti per e scludere
che la percezione sia l 'integrazione di una o più sensazioni a d
opera di u n certo numero di rappresentazioni.
A ben vedere , l e contraddizioni nelle quali questa teor i a è in­
corsa sono dovute al carattere schiettamente empiristico della sua
ispirazione , che l 'ha condotta a postulare uno schema in con­
t rasto con i fatti (ecco una nuova conferma della contra ddizione
di fondo di ogni empirismo, costretto prima o poi a violenta re
l 'esperienza proprio per tener fed e al dogma dell 'intrascend ibi­
lità dell 'esperienza) pur di evitare una spiegazione della perce­
zi one che ravvisi in essa la presenza di un vero e propr i o mecca­
nismo infe renziale, di qualcosa come un ragionamen t o che con­
senta di passare da ciò che è dato a ciò che non lo è. E la ragione
per cui la teoria fallisce è la stessa che, d 'altra part e , l a rende
tanto plausibile agli occhi del senso comune , il quale t ro v a in
essa ri.spettata la propri a istintiva riluttanza all 'amm i s s ione di
un elemento i n ferenziale nel fat to percettivo. Ma n o i s iamo
persuasi che l 'u n ica e ffett iva sol uzione al p roblema del l a pe rce­
zione passi proprio attraverso questa a m m issione e che le o b ie­
z ioni formulate contro di essa s i ano t u t t 'altro che decisive .
S i tratta ovv i amente di non fra i nten dere il senso della t e s i s oste­
n u t a . Quando a ffermiamo, come cre d i a mo si possa a ffe rm a re , che
il p rocesso perce t t ivo è quasi-sil logi stico, non i n ten d i a m o ovvia­
mente d i re che t u t te le volte che , per esempio , cogl i amo c o n lo
sguardo u n a m a t i t a stia mo esegu endo un perfetto s i llogi smo
in forma. D i ciamo che una success iva rifle ssione p u ò m o s trare
che in u n a s i m i l e operazione mentale devono e s sere p re s en t i tre
t e rm i n i , per quanto non esplici tamente d i s t inti , e che il p a s s ag-
'
L A S PE TTO I N F ERNZ I A L E DE L LA PERCEZ I O N E 41

gio dall 'uno all 'altro è stato operato in un modo che , se il pro­
cesso fosse stato esplicito, avremmo chiamato sillogistico . Quan­
do percepisco la matita , i miei occhi colgono una figura di colore
marrone . Evidentemente non è questo colore che mi gu ida al
ri conoscimento dell 'oggetto, perché prima d 'ora , almeno in linea
teorica, potrei anche non averlo scorto nemmeno una volta in
una matita . Ciò che , per così dire , dispiega la sua azione svolgen­
do in definitiva la funzione del « termine medio » è l ' universale di
cui questa figura colorata non è che una esemplific a zione . Tale
universale , in certe esemplific a zioni che ne ho viste in passato,
era associato ad altre caratteristiche che nel loro insieme defini­
scono quell 'oggetto complesso che ho appreso a denominare
« matita » : e proprio l 'idea o il concetto di ques t 'ul t imo , nel
quale quelle caratteristiche sono riassunte come note della sua
comp re n sione , mi sorge in mente quando l 'universale suddetto mi
viene ripresentato . « Questo » è M; ma M è A; ergo « questo »
è A . I tre « te rm ini » sono ris p ettivamente il contenuto sperimen­
tato , il primo universale, l 'universale associato. Si può osservare
che l 'estremo minore si pre senta al ieno da ogni dimensione con­
cettuale , quasi non fosse nemmeno , in senso proprio , un te rm ine
logico . M a proprio questa è la peculiarità assoluta del processo
che s ti amo considerando : quel processo che più « originario » e
« archeti p ico » non p otre bb e essere , pe r c h é è prop rio c iò da cui

il « d a t o » attende la sua prima caratterizzazione concettuale


esplicita , ciò da cui la eideticità del dato , se vogl i amo chiamarl a
c osì , vie ne p ri mari a m ente costitu i t a . E che , nell 'essenza, si tratti
di un movimento s illogi stico non ci pare d u b bio .
Le ob iezioni che p os s ono p i ù fa c i l mente affac c ia rs i all a me n t e di
ch i non può fare a meno di a vve rt i re i n sé una tenace e rad i c a t a
diffidenza nei confronti di questa prospe t t a t a on n i perva s i v i t à d el­
la m e d iazione logi c a , di questa assol u t a i n v a d e n z a che sembra
addirittura risuscitare spettri p a n l o gi s t i c i , sono - almeno , così ci
sembra - essenzialmente tre . Val la pe na di e s ami n a rl e p a r t i t a ­

mente , non perché ri teniamo che possano d avvero i n t a cc a re la


validità di quanto or ora detto, m a perché u n a loro con si derazio­
ne c o ntri b uisce comunque a co l l ocar e la teoria d a noi d i fe s a nella
dimensione che prop ri a m e n te le s p e t t a e fa v o r i s c e una m i g l i ore
comprensione del suo auten t i c o s i g n i ficato.
La prima o b iez i one è qu el la che a pri m a vista appare p i ù strin­
gente dal punto di vista logico : la cla s s i ficazione d i « questo »
42 L'ORI ZZONTE DELL' I N F I N I TÀ POTENZ I A LE

contenuto come M (la minore del nostro sillogismo) è essa stessa


un atto di percezione e, se ogni percezione fosse u n 'inferenza,
richiederebbe un siHogismo precedente per potersi compiere , e
così di seguito , in un inarrestabile processo all 'infinito 13• B chiaro
che un simile argomento sarebbe realmente conclusivo, e si rivele­
rebbe quindi rovinoso per la nostra posizione, solo se non si
ponesse mente ad una distinzione che , a dire il vero, era già im­
plicita nella nostra iniziale formulazione del problema , ma che
l 'obiezione ha comunque il merito di costringerci ad espl icitare :
quella fra « cose » e « qualità » . I l lettore ricorderà che allorché,
all 'inizio del presente capitolo, avevamo introdotto in maniera
ancora molto generale il tema della percezione, presentando que­
sta figura in immediata connessione con la figura del giudizio ,
tale distinzione era stata da noi espressamente dichiarata come,
almeno per il momento, trascurabile . Quando, però , nel pre­
sente paragrafo abbiamo avviata la discussione relativa all 'aspet­
to propriamente inferenziale della percezione i primi banali esem­
pi da noi scel ti hanno manifestamente richiamato l 'attenzione
-sul problema della percezione di « cose » vere e proprie e non
di semplici qualità. I n effetti, il regresso all 'infinito prospettato
dall 'obiezione sorgerebbe solo se si sostenesse che anche per la
percezione delle qualità è richiesto il procedimento quasi-sillogi­
stico sopra delineato; ma qui si parlava del modo in cui propria­
mente percepiamo le cose. Da questo punto di vista si deve rico­
noscere , riferendosi ad un 'altra distinzione da noi prima ricor­
data , che la percezione di qualità , almeno nella maggioranza dei

lJ In questo modo crede di potersi sbarazzare della dottrina qui esaminata


G . Calogero quando, in una sua opera non specificamente dedicata a questioni
di filosofia pura (La logica del giudice e il suo con trollo in cassazione, Cedam.
Padova 1 9642, pp. 70 ss.), la considera nella forma in cui era stata sostenuta
da uno studioso germanico, lo Stei n : « I dati di fatto si presentano ... nell'aspet·
to di giudizi : ma i giudizi sono sempre i l risultato di una deduzione sillogistica,
che tutt'al p i ù può svolgersi senza coscienza, ma non può mai mancare del
tutto. Per lo meno, la premessa maggiore è costituita i n ogni caso dalla cono­
scenza dell 'espressione linguistica conveniente alla ricevuta espressione sensi·
bile: espressione che dobbiamo mettere in opera anche per giungere soltanto
all'enunciazione " ho visto un cavallo bi anco " . Gli Africani che alcuni anni
fa, a Berlino, videro per la prima volta nella loro v i t a una nevicata erano
assolutamente incapac i di formulare il giudizio " nevica ", per mancanza della
premessa maggiore. Ogni gi udizio è, cosl, una conclusio da premessa mag·
giore e premessa minore » (da Das private Wissen des R ichters, Leipzig 1 893,
p. 1 1 , tradotto e riportato dal pensatore italiano a p. 70 del suo libro).
'
L A S P E TTO I N F E RN Z I A L E D E L L A PERC E Z I O N E 43

casi , differisce solo formalmente e non anche materialmente dalla


rispettiva sensazione e quindi rappresenta il momento di mas­
s ima immediatezza - o di massima prossimità a quell 'idea-limite
che è l 'immediatezza assoluta - rinvenibile all 'interno di un oriz­
zonte già dominato dalla presenza del pensiero o del logo (quel
logo che già traspare nella natura inequivocabilmente concet­
tuale del termine , quale che sia - « rosso » , « dolce » , ecc . -, usa­
to per denotare la qualità sperimentata) . Essa è anzi un tale
« minimo logico » , che nei confronti della percezione delle cose
vere e proprie (cioè del tipo di percezione praticamente più fre­
quente e più interessante) tiene quasi il posto tenuto dalla sensa­
zione nei confronti della percezione globalmente intesa : è cioè
qualcosa che molto spesso , se non proprio quasi sempre , figura
come già trasceso , già oltrepassato , ed anzi isolabile a livello ri­
flesso solo mediante un consapevole atto di astrazione. Proprio
su questo, del resto, si fonda la classica tesi gestaltistica dell 'ante­
riorità della discriminazione delle cose rispetto a quella delle
loro qualità : sul fatto innegabile che il giudizio esplicito riguardo
a queste ultime sembra quasi sempre un momento psicologica­
mente successivo e più elaborato rispetto al giudizio sull 'esistenza
della cosa (e vi sono alcune particolari qualità che probab ilmen­
t e potranno essere rilevate sin dalla p rima volta soltanto in
questo modo) . Ma non è meno vero , d 'altra parte , che quando
percepiamo una cosa la sperimentiamo raramente come un tutto
e che ne ammettiamo piuttosto l 'esistenza sulla scorta di certe
sue qualità che sperimentiamo , a differenza di altre che invece
non vediamo i mmediatamente : e normalmente il giudizio im­
plicito sul p rimo tipo d i qualità è anteriore allo stesso giudizio
sulla cosa (costituendone anzi , come si è cercato di far vedere ,
una delle premesse) .
In secondo luogo l'incredulità di fronte alla nostra teoria può
appoggiarsi semplicemente al ril ievo che il fatto percettivo ap­
pare come un che di istantaneo , mentre un 'inferenza , per quanto
rudimentale, si configura pur sempre come un passaggio da . . . a . . .
e quindi non può n o n richiedere u n a frazione temporale . Que­
st 'obiezione, che è la meno interessante e la meno solida , fondata
com 'è su un'assai semplicistica con siderazione di indole psi co­
logica , merita comunque un breve cenno perché ci dà lo spunto
per ribadire un aspetto già in qualche modo da noi messo in luce
sin dalle p rime battute della nostra trattazione della percezione
44 L 'O R I ZZONTE DE LL'IN F I N I TÀ POTEt-." Z I A LE

e che , per la sua grande importanza, non deve venire mai né


dimenticato né sottovalutato . Si potrebbe rispondere osservando
innanzi tutto che l 'essenziale d i un'inferenza è il cogl imento
d i un rapporto di connessione o d i implicazione fra un antece­
dente e un conseguente e che tale coglimento non cessa affatto
d i costituire un 'inferenza per il fatto d i avvenire in maniera
istantanea : il « passaggio » in cui esso consiste non va inteso
in senso temporale ed il fatto che generalmente occorra del tem­
po per enucleare da una premessa le sue conseguenze o implica­
zioni non è in nessun modo qualcosa che definisca l 'inferenza
come tale . Ma anche prescindendo da una simile considerazione
si può rilevare che l '« istantaneità » di cui l 'obiezione p a rla è
semplicemente il frutto , reale o apparente, del carattere sempre
più ripetitivo , automatico, abitud inario assunto d a quelle ope­
razioni mentali , un carattere che rende estremamente d ifficil e ,
come già si osservava a s u o tempo , l 'adozione di un genuino me­
todo fenomenologico nell'indagine che s i conduce intorno ad
esse : sì che si può dire che quella del carattere infere n z i ale
della percezione è una tesi che , in ultima analisi , v iene guada­
gnata soprattutto per via . . . inferenzial e . A chi in vario modo
persistesse nelle sue riserve su di essa non avremmo altro da
opporre , in definitiva , che la presenza di quell 'integrazione del
contenuto sensi tivo che indubitabilmente si registra almeno nelle
percezioni , peraltro anch 'esse apparentemente istantane e , di og­
getti non del tutto familiari , specie se avvenute in cond i z i oni non
agevol i ; e poi , soprattutto (dal punto di vista concettuale è
l 'aspetto più rilevante) , la fallibilità della percezione i n genere.
La terza e ul t i m a consi derazione che i n qualche modo si può
opporre alla nostra tes i , non più stavolta per tentare di smontarla
ma solo per circoscriverne la portata e d il significato , è l a se­
guente : sta bene, nel momento percettivo effettivamente s i com­
pie una medi azione o un passaggi o d i qualche tipo; m a , p roprio
per le caratteristiche che sono state messe in luce nella replica
all 'osservazione p recedente , non si può ammettere che s i tratti
veramen te di un passaggio inferenzial e , cioè logico-razionale.
I giud izi sono collegati meccanicamente i n virtù dell'abitudine
e i n modo tale che il successivo è sempl icemente richiamato o
evocato dal secondo : ciò che muove il proce s so è dunque un
meccani smo associativo e riprod uttivo di indole puram e n te p si­
c ologic a . Questo rilievo è i n un certo senso il più interessante
'
L A S P E TTO I N F E RN Z I A L E D E L LA P E RC E Z I O N E 45

dal punto di vista filosofico e ci offre la possibilità di compiere


alcune puntualizzazioni su certe questioni di fondo , che rivele­
ranno un'importanza decisiva nel proseguimento della nostra
indagine .
Che non si tratti di un nesso necessario è in qualche modo impli­
cito nella principale delle motivazioni che ci hanno indotto a
pome l 'esistenza e , quindi , è qualcosa che noi non solo ammet­
t iamo , ma addirittura teniamo a sottolineare . I n effetti sarebbe
singolare che , dopo aver riconosciuta la presenza di una media­
zione nell 'atto percettivo proprio per render conto di quella sua
fallibilità che mal si concilia con una pura e semplice aderenza
al dato, ci si dovesse ritrovare fra le mani un tipo di mediazione
necessario e necessitante che , in quanto tale, non risulta certo
meno incompatibile con la possibilità dell 'errore . L 'obiezione
suppone però che l'inevitabile non necessità di questo nesso o
passaggio abbia senz'altro l 'effetto di declassarlo a mera associa­
zione psicologica : suppone, in altre parole, che la nozione di in­
ferenza sia assimilabile a quella di passaggio logico stretto (tale ,
cioè , che la sua negazione sia autocontraddittoria) 1 4 • Ed è pro­
prio questo presupposto, secondo noi privo di fondamento, che
bisogna qui cominciare a discutere . Se una tale assimilazione
fosse valida si dovrebbe parimenti escludere dal novero dei pro­
cedimenti inferenziali la maggior parte dei ragionamenti formu­
lati all 'interno delle scienze empi riche . L 'induzione è certamente
una forma di ragionamento nel senso ordinario della parola pur
non contemplando passaggi rigorosamente necessari . Evidente­
mente (ma questo è proprio ciò che sembra costitutivamente
s fuggire alla prospettiva da cui l 'obiezione trae alimento) la ne­
cessità dell 'induzione risiede nel suo fondamento , nella sua giu­
stificazione strutturale : cioè in quel principio del determinismo ,
derivante direttamente dal principio di identità-non contraddi­
zione , che ci garantisce che leggi e connessioni necessarie comun­
que vi sono (essendo l 'assolutizzazione della contingenza o della
mera fattualità un'intima contraddizione dalla quale già nel suo

1 4 Nella fattispecie, poi, bisogna ricordare che non ci si trova nemmeno di

fronte ad un sillogismo form a l mente im proprio, di t i po i n d u t t i vo (privo di


un autentico medio perché volto, semmai, alla venatio medii), ma ad un ge­

nuino sillogismo basato su una premessa maggi ore stab i l i ta induttivamente (e,
in questo senso, certamente suggeri ta da un procedimento associa tivo) .
46 L'ORIZZONTE DELL'I N F I N I TÀ POT ENZIALE

uso spontaneo l 'intelligenza rifugge) pur delegando aii 'esperien­


za il compito, infinito, di appurare in concreto quali esse s iano
e di determinarle e specifica de sempre meglio 15 • Questo rilievo,
d i capitale importanza, ci consente d i intravedere fin d 'ora che,
se da un lato è certamente im portante distinguere un 'impl ica­
zione in senso stretto da connessioni che siano semplicemente
associative (ché, certamente, di inferenza in senso pieno non si
può parlare finché si resta al di qua di quella necessità alla quale
soltanto, come proprio ora s 'è visto, può competere una realtà
ul tima) , d all 'al tro non si deve porre una separazione rigid a e
dualistica tra i due livelli (ché l a minima associazione di i dee
in base alia quale venga trasceso il dato, l a più insignificante
generalizzazione compiuta in seno ali 'esperienza documentano
già la segreta presenza ed efficacia della legge logica sopraddet­
ta) . La necessità può, per così dire, essere all'opera già in quegl i
infimi processi percettivi che sembrano essere di natura mera­
mente associat iva ; anzi , come meglio vedremo in seguito, nessun

1 s Nel suo significato puramente metafisica il principio del determinismo non

è altro che l 'atTermazione Non ex quacumque virtute quaevis actio procedit ,


ri nvenibile per esempio nel cap. 2° della parte I l i della tomistica Summa
contra Genti/es. « f: una immediata conseguenza del principio di identità, poi­
ché se ogni cosa è determinata, ogni cosa avrà anche un determinato modo di
agire, non essendo l 'attività se non una man ifestazione dell'essere » ( S . Vanni
Rovigh i , Elementi di filosofia, La Scuola, Brescia 1 964, vol. 2°, p . 85). G . Bon­
tadin i , dal canto suo , osserva : « Questo dovrebbe essere il fondamento dell'in­
duzione : la considerazione della natura o essenza o forma - quella nat ura o
essenza o forma che Aristotele poneva a fondamento della deduzione » . Infatti
« la scienza induttiva mira a stabil ire le relazioni tra le determinazioni un iver­
sali e particolari [incontrate nell 'esperienza] e nello stabilirle suppone logi­
camente - e, crediamo, ben lecitamente - che esse dipendano dalla natura o
essenza - o come altrimenti si voglia dire - dei termini in relazione: giacché
il dire che l'acqua - cioè una determinata natura - bolle a cento gradi mentre
u n 'altra sostanza, ossia un 'altra determ inata natura , bolle ad altro grado non
può avere in sé nessun sign i ficato se non in quanto ciò si faccia dipendere dalla
diversa natura di esse sostanze » (Saggio di una metafisica dell'esperienza, Vita
e Pensiero, Mi lano 1 9 79', p. 235 s.).
D 'altra parte (ibid., p . 236) « è ... facile scorgere che questo, che dovrebbe essere
il fondamento dell 'induzione, quando esercitasse questo suo ufficio non solo dal
p .d.v. antologico (nel senso cioè che la natura delle cose genera il modo di
connettersi delle medesime, le leggi), ma anche dal p .d.v. gnoseologico (nel
senso cioè che la natura delle cose come generatrice delle leggi fosse cono­
sciu ta), allora esso renderebbe superflua l'induzione stessa come processo di di­
mostrazione (cd anche di scoperta) : per la conoscenza della natura noi , infatti,
conosceremmo già la legge. I n al tri termini saremmo entrati nell'aristotelica
conoscenza deduttiva ».
'
L A S P E TTO I N F E R N Z I A L E D E L L A P ER C E Z I O N E 47

processo è meramente associativo , nessuna operazione mentale ha


una portata meramente psicologica . I l cosiddetto pensiero asso­
ciativo è già in certo modo un pensiero logico inferiore , iniziale ;
lo psicologico è già tutto imbevuto del logico , sia pure di un
logico ancora latente e solo implicito , sì che la razionalità che si
esplica nella costruzione delle più ardite ed elaborate ipotesi
scientifiche e quella implicita nello svolgimento delle più sem­
plici operazioni mentali richieste dal quotidiano commercio con
il mondo sono qualitativamente la medesima.
Lo sviluppo di questa problematica e la giustificazione di queste
affermazioni , che ormai oltrepassano decisamente il tema della
percezione, saranno l 'oggetto del prossimo capitolo . Nel con­
cludere questo non possiamo però fare a meno di porci un ulti­
mo interrogativo . Possiamo tracciare entro la percezione una
linea divisoria fra ciò che in essa è dato e ciò che è inferito?
Possiamo veramente sceverare il dato dal costrutto ? Abbiamo
ormai visto ad abundantiam quanto sia arduo nella pratica riu­
scire a raggiungere un contenuto che non sia in qualche modo
investito dal pensiero e sappiamo come sia addirittura struttu­
ralmente impossibile attingere la sensazione di un « puro parti­
colare » . Si potrebbe però intendere il quesito come se in qual­
che modo insinuasse la suggestione che fra dato e costrutto non
v i è distinzione di alcun genere , che la realtà è integralmente
risolvibile in una costruttività mentale che non si distingue in
nulla da una assoluta creatività . Quest'ipotesi , proprio per la
nota di assolutezza che la caratterizza , non sembra accettabile :
non pare possibile negare che , distinto da quello che abbiamo
chiamato elemento inferenziale , nella percezione vi sia pur sem­
pre un altro elemento che , se non è mai del tutto afferrabile nel
modo d 'essere che gli è proprio, è purtuttavia avvicinabile al­
l 'i nfinito (o asintoticamente, come direbbe un matematico) .
E ppure , anche se non sembra negabile che una divisione fra il
dato e il costrutto vi sia , si deve in fondo riconoscere che poi , di
fatto , le cose vanno come se essa non ci fosse : ché , appunto,
ogni linea che si possa effettivamente tracciare tra l 'uno e l 'altro
si rivela labile ed arbitraria. L'inferenza percettiva non è in con­
creto un processo nel quale dapprima appaia l 'antecedente per
suo conto e solo dopo ciò che su di esso viene costruito : i due
appaiono insieme e in modo tale da condizionarsi a vicenda.
Più in generale si può dire che il costrutto non è propriamente
48 L'ORIZZONTE DELL ' I N F I N I TÀ POTENZIALE

qualcosa che vada ad « aggiungersi » al dato, ma esplica su di


esso un effetto, per cosl dire, di retroazione. I « fatti >> solidi e
indubitabili sui qual i si suppone che le teorie vengano edificate
sono spesso creature di quelle medesime teorie e la linea tra
fatti e teorie appare come qualcosa di decettivo e di evanescente.
Può un fatto , quando è visto alla luce di una teoria, rimanere
lo stesso che era prima? E se questo mitico punto di riferimento,
istintivamente ritenuto tanto saldo da venire senz'altro riguarda­
to come ciò cui la verità deve per natura « corrispondere » o
adeguarsi , venisse a cadere per la Iabilità e l 'inattendibilità d imo­
strate ad un più attento esame, che ne sarebbe allora della verità
stessa, sia nei suoi tratti definitori sia nella sua concreta possi­
bilità di venire da noi attinta ? Questa è la problematica che
affronteremo nel terzo capitolo .
CAP ITOLO SECONDO

La struttura della necessità

l . Critica del riduzionismo empiristico

La posizione esami nata per ultima nella nostra discussione sul­


l'elemento inferenz iale della percezione sosteneva, come abbia­
mo visto, che alla mediazione contenuta in questa prima opera­
zione mentale non si deve attribuire un carattere di inferenza a

motivo della sua natura di semplice associazione. Non ci sembra


difficile scorgere in questa prospettiva la simultanea presenza
di due distinte componenti, l 'una empiristica e l 'altra formalisti­
ca : distinte ma certamente, almeno in grande misura , comple­
mentari ed anzi mutuamente impl icantisi. Un empirismo alme­
no tendenziale è ravvisabile nella persuasione secondo la quale
i nessi empiricamente conosciuti possono, senz 'altro, essere
realiter contingenti : questa, infat t i , è la base sulla quale si af­
fenna che il procedimento induttivo (non di verso, per naturap
da quello associativo che era di scusso nel caso concreto) ha u n
semplice fondamento psicologico e che, conseguentemente , là
dove c'è induzione o associazione non c'è inferenza o passaggio
logico. La necessità , intesa correttamente come contrassegno del­
la logicità , sarebbe dunque qualcosa che o c 'è tutta o non c 'è
affatto, senza conoscere al proprio interno alcuna gradazione ;
tra lo psicologico e il logico non vi sarebbe alcuna continuità,
come già si diceva, m a solo una dicotomia netta , solo u n peren­
torio aut aut.
L'aspetto formalistico del la posizione considerata non stenta ad
eme rgere e a presentarsi come la na turale contropartita dell'em­
pirismo in essa presente . E. abbastanza ch iaro che la vi sione d i
una sfera logica che sia totalmente, o qua s i , sibi comm issa ap­
punto perché l 'esperienza si configura in modo del tutto extra-
50 L'OR I ZZONTE DELL 'ATTI VITÀ POTENZI A LE

logico (appunto perché « fuori della logica tutto è accidente ») 1

coinci derà i n ultima analisi con la visione di una logica ridotta


a sistema delle norme regolanti la manipolabilità dei termini
di un lingu aggio meramente formale, nel quale la necessità si
i dentifica con la tautologia e l 'implicazione può solo s ignificare
inclusione. Si può anche osservare, abbordando l a questione dal­
l 'altro lato, che quella concezione « puristica » dell 'inferenza
che parrebbe denotare in colui che la difende il possesso di una
sensib ilità p articolarmente vigile e raffinata per la d i mensione
logica dell'attività spiri tuale , si basa i n realtà sul m isconosci­
mento del genuino carattere logico del cosiddetto « fondamento
dell'induzione » o, per dirla ancor più chiaramen te, sul l 'incapa­
cità di cogliere la radicale contradd ittorietà dell 'immagine di un
mondo fisico cost ituito in modo tale da non prestarsi obiettiva­
mente all 'applicazione del metodo induttivo come metodo di
ricerca ; sì che denota , in ul tima anal isi, proprio una carenza di
autentica sensibilità logica. I l legame tra empirismo e fonnali smo
si palesa dunque strettissimo : se nella formulazione precedente
non abbiamo taciuto una lieve riserva (complementari e mutua­
mente implicant isi , dicevamo , almeno in grande misura . . . ) è per­
ché eravamo memori del fatto che l 'empirismo può a rigore
essere sostenuto (e storicamente si è tentato di sostenerlo) anche
senza lasciare alcuno spazio a una dimensione entro la quale
valga invece il formal ismo , cioè anche in una versione assolu ta­
mente integrale . Pensiamo allo psicologismo ottocentesco dei
Mill e degli Spencer, che in fondo tentavano di rimediare alla re­
lativa incoerenza che ancora sedimentava in Hume quando que­
sti ammetteva un ambito delle relations of ideas oltre e accanto
a quello delle matters of fact , e che appunto per questo cerca­
vano di ricondurre allo habit anche il primo e non soltanto il se­
condo. Siccome, però , sembra che , se c 'è ormai qualcosa di defi­
nitivamente confutato e screditato nella storia della filosofia,
questo sia proprio lo psicologismo , ora semplicemente empiristi­
co ora deci samente material istico, che aleggiò su tanta parte della

l L. Wit tgenstei n , Tractalus Logico-Philosophicus, tr . it. A.G. Conte, Einaudi,


Torino 1 964, 6.3 . Si pensi anche alla prop. 5 . 1 34 secondo la quale da una
proposizione elemen tare è imposs ibile inferirne un'altra, essendo reciprocamen­
te i ndipende n t i i fatti atomic i rispecchiati i n tali proposizioni : un'afferma­
zone che colli m a perfettamente con il classico assioma humiano della reale
cseparabilità di contenuti distinguibili mentalmente.
LA S T R U TT U RA DELLA NEC E S S ITÀ 51

riflessione gnoseologica del secondo O ttocento, in conclusione


oggi crediamo che si possa senz 'altro affermare che empirismo e
formalismo logicistico sono due facce della stessa medaglia. Di­
remmo anche che ciascuno dei due può essere assunto come fon­
damento dell'altro . Nel classico atomismo russelliano-wittgen­
steiniano che è alla base della neopos itivistica wissenschaftliche
Weltauffassung, per esempio , la visione tautologistica della lo­
gica è chiaramente al servizio del dogma empiristico dell 'equa­
zione tra significato osservativo e significato tout-court, perché è
l 'un ica che s i presti a sorregger lo 2 • I n fondo, per la stessa ricerca
scientifica s arebbe di gran lunga preferibile che tra i cosiddetti
fatti atomici potessero darsi anche rapporti non meramente con­
tingenti , tali da consentire una autentica legalità dell'esperienza :
sì che quest'ultima potesse essere studiata con metodi razionali
assumibili non più semplicemente come strumenti formali ma
come vie per un reale incremento del sapere . Ma in tal caso ver­
rebbe sacrificato l 'empirismo , il quale vale molto di più della
stessa pratica effettiva degli scienziati . . .
D 'altra parte si può anche concepire i l caso d i chi , movendo d a
u n a visione formalistica e analiticistica dei rapporti logici e non
trovandola certo esemplificata nei nessi concreti che l 'esperienza
gli offre , è portato a misconoscere la presenza d i ogni struttura­
zione logica all 'interno della stessa esperienza .
Non possi amo qui non osservare , en passant , che la stessa posi­
zione di Popper , per quel tanto che si fonda sul rifiuto di ciò che
egli chiama « il mito dell 'induzione » , non si distacca affatto dalle
premesse neopositivistiche pur tanto appassionatamente da lui
criticate sotto altri aspetti . In effetti l 'induzione può essere con­
siderata un mito solo da chi aderisce alla prospettiva antologica
- e s sa , sì , veramente mitica - di un mondo costituito di entità
isolate e assolutamente particolari, di un mondo completamente
destrutturato. La dice lunga il fatto che su questo aspetto Popper

2 Questo aspetto è ben sottolineato da F. Barone nella sua ormai classica mono­
grafia su Il neopositivismo logico, Laterza , Bari 1 97 7 (2" ed.; t• ed. Torino-
1 95 3 ) , sop ra ttu tto nelle pp. 1 30 ss. lvi l'importanza fondamentale del Tractatus
per lo sv il u p po del primo neopositivismo viene giustamente ravvisata nella
riduzione, che in que ll opera viene esplicitamente compiuta, della logica a
'

tautologicità pu r a : senza la quale un empirismo radicale quale voleva essere­


quello del Wiener Kreis non può dire di aver raggiunto la p ro p ria perfetta
coerenza.
52 L'ORIZZONTE DELL 'ATTIVITÀ POTENZ I A LE

si richiami espressamente all'impianto wittgensteiniano del Trac­


tatus, ri tenendolo valido 3 •
f: però opportuno, a questo punto, tentare u n esame più ana­
litico delle ragioni con le quali si cerca di giustificare la visione
riduzionistica della necessità, sia sul suo versante empiristico sia
su quello formalistico. Da questa ricognizione dovrebbe emergere
in positivo una caratterizzazione sufficientemente adeguata e pre­
cisa del concetto di necessità da noi proposto, un concetto sul
quale, tra l'altro, contiamo successivamente di fondare la solu­
zione del problema della verità. Cominciamo dunque a prendere
in considerazione l 'attacco empiristico alla nozione di una ne­
cessità reale. Nel prossimo paragrafo ci volgeremo all'esame del­
le argomentazioni addotte dalla prospettiva formalistica.
Non possiamo fare a meno di esprimere sin dall'inizio quell a che
secondo noi è l 'incongruenza più significativa che affligge l 'empi­
rismo classico, orientamento a conti fatti tutt 'altro che scomparso
dalla scena del dibattito filosofico , nonostante le ripetute e vigcr
rose confutazioni subite su tanti punti particolari. Ci sembra una
difficoltà degna di particolare rilievo perché riguarda la genera­
lità della dottrina, nella sua complessiva ispirazione, più che que­
sto o quel singolo contenuto. Soprattutto ci sembra che l a sua
portata sia anche, in qualche modo, esistenziale , e non mera­
mente logica o intellettuale.

3 Sia pure nella prima in ordine cronologico delle sue opere importanti (Die
beiden Grundprobleme der Erkenntnistheorie, edita a Tubinga solo nel 1 979
ma risalente al periodo fra il 1 930 e il 1 933 e ora disponibile anche in ediz.
italiana: trad. A. Trinchero, Il Saggiatore, Milano 1 987) la quale ha però il
vantaggio, rispetto alla Logik der Forschung che d'altra parte è da essa deri­
vata mediante notevoli accorciamenti, di esplicitare in misura assai maggiore
le motivazioni che in quella fase del pensiero popperiano stavano realmente
alla base dell'antiinduttivismo peraltro sempre caratteristico di questo pensiero
(e più tardi preferibilmente, ma meno autenticamente e radicalmente motivato
con argomenti di indole puramente gnoseologica). « Ciò che viene presupposto
in ogni induzione » si può leggere in quell 'opera « è che esistono stati di
cose general i , ossia che esistono regolarità. Ora questo presupposto baste­
rebbe effet tivamente a giustificare il procedimento induttivo ,. (p. 35 della tr.
cit.) . Ma il nostro autore ammette di essere d 'accordo sia con Wittgenstein
sia con i neoposi tivisti sul fa tto che esistono soltanto « stati di cose ,. (Sachver­
halte) particolari. « Nella questione se esistano o non esistano stati di cose ge­
nerali empirici e sperimen tabili la concezione deduttivistica concorda con il
posit i vismo logico: entrambi negano la domanda ,. (p. 290) . Si veda su questo
tema M. Buzzon i , Conoscenza e realtà in K.R. Popper, Angeli, Milano 1 982,
p. 62 s.
LA S TR U TT U RA DELLA NECE S S ITÀ 53

G l i empiristi di tutti i tempi hanno sempre amato presentare i l


loro orientamento come l 'unico che , di fronte alle intemperanze
delle varie metafisiche , sapesse difendere sino in fondo l 'umano
senso del limite (in particolare la coscienza della finitezza delle
uman e risorse conoscitive , unitamente al salutare atteggiamento
di cautela e umiltà intellettuale che da essa non può non deriva­
re) . Ebbene , a noi sembra che l 'empirismo sia in realtà la pro­
spettiva filosofica che più di ogni altra afferma la strutturale ade­
guazione del pensiero umano alla realtà : più dello stesso pan­
logismo hegeliano , che v iene tradizionalmente citato come esem­
pio principe di una concezione che miri ad espungere dalla realtà
umana ogni segno di finitezza , di creaturalità . Vediamo di spie­
gare questa affermazione che a prima vista può sembrare para­
dossal e . Per i grandi pensatori greci è noto - il .filosofare nasce
-

dalla meravigli a : da quella meraviglia che il filosofo prova con­


sapevolmente di fronte al mondo come tale , ossia al mondo nella
sua totalità , ma che , limitatamente ai contenuti particolari , si
esprime fin dai primi « perché ? » che ogni uomo , ancora bambi­
no, rivolge insistentemente a sé e agli altri a mano a mano che
gli si svela lo spettacolo dell 'esperienza . Si tratta dell 'atteggia­
mento più caratteristicamente umano di fronte alla realtà, e con­
siste proprio nella tensione verso quella necessità il cui afferra­
mento, soltanto, consentirà all 'uomo di capire, di com-prendere
ciò che gli sta innanz i , rispondendo alla domanda sul 8 L 6"C't
e trascendendo compiutamente l' 6 "C't , cioè il semplice dato di
fatto . O ra , noi diciamo che la più innocente richiesta di un per­
ché suona già come una implicita sconfessione della visione em­
piristica . L 'uomo vuole comprendere , abbiamo detto ; ma nel­
l 'empirismo ciò non ha senso : e non , si badi bene , perché le cose
che egli desidera capire si ano al di là della sua capacità di com­
prensione ma proprio perché , a rigore , non c'è nulla da capire .
La realtà è per l 'empirismo costituita in modo tale che il volerei
« capire » qualcosa di più di ciò che già si « vede » è una pura

assurdità , una pretesa insensata , così come sarebbe i l voler sfon­


dare una porta apert a . Quando si domanda il perché di una cosa
qualsiasi si suppone appunto , per quanto implicitamente , di po­
tere e di dover risalire da ciò che è dato a qualcosa di non attual­
mente dato che gli sia connesso necessariamente : ma dove ogni
rapporto è contingente o estrinseco (perché tutto è esemplato sul
modello dell 'esperienza, la quale per sua n atura mi dà solo l' 6't'�)
54 L ' ORIZZONTE DELL'ATT IVITÀ POTENZ I A LE

nulla ci può essere che sia « per » qualcos 'altro. Certo , per l 'em­
p irista l 'uomo non finirà mai di apprendere, avrà sempre infinite
cose da conoscere : ma si tratterà di un 'infinità meramente quan­
titativa, che non comporta alcuna limitazione qualitativa del suo
sapere (le infinite porte che gli resteranno sempre da aprire non
gli richiederanno mai chiavi speciali né , tanto meno , gli sarà mai
necessario p renderle a spaliate) . Si rifletta bene , e si veda se c 'è
un 'altra dottrina filosofica che pretenda al pari di questa d i giun­
gere a concepire la realtà addirittura sul modello della forma
più elementare , spontanea , i mmediata che abbiamo di entrare i n
contatto con essa. Almeno Hegel , prima di regalare all 'uomo l 'on­
niscienza , gli infliggeva la fatica del concetto (e quale fatica ! ) . . .
M a prescindiamo pure da questa singolare situazione , la quale sul
piano strettamente speculativo sembra configurare più un i n co n ­
veniens (per quanto grave e sign ificativo) che una vera e p ropria
contraddizione , e vediamo di con siderare più da vicino alcune
classiche formulazioni empirist iche , per sorprendere eventual­
men te entro di esse gli estremi della vera e propria contraddit­
torietà formale o, quanto meno, per verificare se la prospettiva
testé delineata - della quale già ci risulta in qualche modo evi­
dente l 'invivibilità , cioè l 'effettiva insostenibilità sul piano esi­
stenziale - non abbia a subire rilevanti smentite proprio d alle
concrete movenze del discorso che cerca di esprimerla. Ci avve­
diamo tosto che quella filosofia che si caratterizza per la consa­
pevole esclusione dal proprio orizzonte di ogni forma e d i ogni
esigenza d i spiegazione 4 non sembra poi potersi sottrarre al com­
pito di « spiegare » o di rendere ragione almeno di un fatto : ap­
punto della presenza della generale e radicata persuasione intor­
no all 'esi stenza reale della necessità , intorno al carattere necessa­
rio delle connessioni costantemente e ripetutamente sperimentate .
t proprio , del resto , questo istintivo orientamento antiempiri stico
del sen so comune (della human nature) il fattore che più d i ogn i
al tro conferisce all 'empiri smo la sua innegabile rilevanza i n

4 S ì che l'unica possibile organizzazione del sapere è per essa un'organizza­


zione economica i l cui scopo è quel lo di perven i re con i l minimo sforzo men­
tale ad una vi sione il più possibile generale dei fenomeni indagati : l 'esito
propri amente empiriocriticistico (scienza come descrizione abbreviata o sem­
plificata dei fenomeni in base ad u n cri terio di economia del pensiero) sembra
necessariamente implicito nell 'affermazione empiristica.
LA S T R U TT U RA DELLA NECE S S I TÀ 55

quanto dottrina filosofica : cioè i n quanto orientamento capace d i


esercitare un 'indubbia provocazione sul senso comune presentan­
dogl i qualcosa che , valido o no , non rientra comunque nei suoi
parametri e costringendolo perciò ad una salutare revisione cri­
tica dei suoi fondamenti . Donde viene questa idea di connessione
necessaria ? s i domanda dunque Hume � ; ed è nota la sua risposta .
La regolare ripetizione della congiunzione di A e B produce l 'abi­
tudi n e (habit) di connetterli nel pensiero, in modo tale che al ri­
presentarsi di A segue senz 'altro nello spi rito un 'idea di B ac­
compagnata dalla credenza (belief) nell 'esistenza del medesimo
B , a differenza di quanto avviene nell 'associazione di idee dovuta
a contiguità o a somiglianza , la quale non prevede il sentimento
dell 'esistenza di ciò che viene da essa evocato. Ammettendo pure
per un momento la validità , la fondatezza , quanto meno la plausi­
bilità sul p i ano fattuale di una simile risposta, non possiamo
però fare a meno di dirigere la nostra attenzione su quel « pro­
duce » che in essa è contenuto (e che è ovviamente convert ibile
in altri termini dal significato più o meno simile , come genera ,
determina ecc.) . Come dobbiamo veramente intenderlo ? Fra la
costanza di una successione e la rappresentazione della necessità
causale non è già supposto, facendo ricorso ad espressioni del
genere , quel medesimo rapporto di causalità di cui si vorrebbe
così spiegare l 'origine e che si vorrebbe così relegare in u n am­
bito meramente psicologico ? Come possiamo dire che l 'idea della
neces s ità causale (e, in genere , di una qualsiasi necessità reale ,
non meramente tautologica) , sia « prodotta » nel soggetto da
qualcos 'altro , dal momento che solo in base ad essa s i può pen­
sare alcunché come « prodotto » ? M a , prima ancora , con quale
diritto ci si domanda « donde viene » l 'idea di connessione ne­
cessaria? Che significato può avere un simile quesito ? E può

s cChe mutamen to è sopraggiunto p er far sorgere questa nuova idea di con­


n e s si one ?» (Ricerche sull 'intelletto umano e sui principi della morale, a cura

d i R. Gil ard i , Rusconi, M i lano 1 980 , p. 225 : sia m o , com'è not o , nella sez. V I I
del la 2 " pa rte ) . I l corsivo nella ci t a z ione è nostro.
I l p ro ble ma della connessione causale , inevitabilmente evocato da ogni riferi­
mento al nome del pensatore scozzese, è certamente q u a l cosa di ul teriore e di
più c o m p less o rispetto al problema della sem p l ice connessione necessaria e noi
qui non i n tendia mo affrontarlo. Cercheremo dunque , nel s eg uito della nostra
trattazione, di riferirei alla causal ità solo per quel t a nto che essa i m p l ica nella
propria nozione quella di connessione necessaria.
56 L 'O R I ZZONTE DELL 'ATT I V I TÀ POTEN Z I A L E

esistere un « ambito meramente psicologico » nel quale si possa


pensare di esiliare o confinare alcunché , in modo da declassarne
lo statuto logico od antologico ? Sembra che negando in actu
signato il valore obiettivo di ogni forma di necessità l 'empirismo
neghi un principio che è implicito in ac tu exercito nelle s ue stesse
affermazioni e, in particolare, nello stesso tentativo di giustificare
la sua v isione riduzionistica della necessità. Si potrebbe tentar di
uscire da questa situazione , strettamente i m parentata con quella
prospettata da A ristotele nel libro I V della Metafisica a proposito
del p rincipio di non contraddizione , c ompien d o uno sforzo di
estrema coerenza e cercando di affermare che la produzione di
un 'abitudine mentale da parte di una ripetizione costante signi­
fica semplicemente il re go lare ri p et e rs i del succedere di un 'ab itu­
dine ad un regolare ripetersi. M a , prescind endo dal fatto che una
simile asserzione verrebbe a ri v estire un carattere di semplice
constat azi one o descrizion e e quindi non potrebbe più presentarsi
come spiegazione di alcunché (cioè come risp osta a d una do­
manda del tipo : perché abbi a mo un 'idea di connessione neces sa­
ria, o donde v iene tale ide a ; benché d 'altra parte non si i n tende
come ad essa si possa p e rve nire se non p as sando a ttraverso quello
sforzo di com-prensione c he sembra così riluttante a lasciarsi in­
seri re nei quadri empiristici) anc he prescindendo da ciò , d ice­
v a mo, resta che in tal modo la sce p s i humian a , aspi ra n te a pre­
sentarsi come il risvolto di quella nuova scienza d ell a human
nature cui dovrebbe essere ri c ond o tto tutto il nostro p atrimonio
conoscitivo , ne uscirebbe s fi gu rata nei suoi lineamenti essenziali.
Se si a m mette che gli stessi m e cca nismi che p r esiedono all 'asso­
c iazione fra le i dee possano anche ope rare a caso, che non vi sia
una l e g a lità che regola lo snod a rsi dei nostri processi p s i c h i c i al­
meno in a l cun i dei loro a s p e tt i ( sì che abbi a senso attendersi
q ua ls ia si n ov i t à , an che per e s em p io che in futuro i l belief possa
ritrovarsi in un 'idea richi amata in base ad un rapporto di somi­
g l i a n z a o di con t i gu i tà e non più n e l l e i d ee e vocate in base alla
concomi t anza o a l l a con ness ione) , allora è chiaro che qual siasi
a s s e rz i o n e ( d ogm atica o cri t i c a , cos t ru t tiva o d emoli trice ) il filo­
sofo e m p i ri s t a possa p ron u n c i a re perderà , se non p ro p ri o ogni
s i g n i fi c a nza in senso stre t t o , cert amente ogn i interesse cono­
s c i t i vo per chiunque e , in u l t i m a a n a l i s i , anche per l u i stesso:
e s i a s s i sterà , i n d e fi n i tiva , a d una sorta di auto d i s soluzion e del­
l ' e m p i ri s m o . Non sembra d u n q u e ipoti zzabile che questo orien-
LA STRUTTURA DE L LA NEC E S S ITÀ 57

tamento filosofico possa rinunciare a sostenere per l o meno una


forma di detenninismo psicologico . Ma, dato che lo psichico si
caratterizza di fronte ai suoi contenuti , in quanto siano per l 'ap­
punto riguardati come suoi contenuti (cioè nella loro intenzio­
nalità) , proprio per la sua fisicità od onticità , ne segue che il
determinismo che gli si attribuisce verrà comunque proiettato in
quell a sfera extrasoggettiva o. semplicemente , oggettiva dalla
qual e , viceversa, la scepsi empiristica intendeva tenerlo seque­
strato ( dal che si scorge finalmente la vacuità di ogni ricorso alla
figura. sostanzialmente gnoseologistica, di un ambito meramente
psicologico che sia del tutto estraneo ad ogni obiettività : come se
lo psichico non avesse per lo meno la sua obiettività . la sua onti­
cità . appunto ! ) 6• Certo , il detenninismo verrà proiettato sola­
mente su una particolare regione dell 'obiettività ; ma. a questo
punto , è chiaro che se l 'empirismo si fenn.a qui si configura come
una prospettiva gravemente incoerente : l 'incoerenza di chi attri­
buisce un assetto detenninistico , per giunta di stampo accentua­
tamente meccanico (qual è quello su cui innegabilmente si mo­
della l 'associazionismo psicologico) , proprio alla dimensione che
immediatamente sembra ad e sso meno assoggettabile , salvo ne­
garlo a quell 'altra nella quale la sua presenza appare molto meno
discutibile, cioè a quella dimensione natu ralistica la cui indagine
ha anzi storicamente fornito i modelli più appropriati e credibili
per concepirlo in concreto . Dovrebbe da qui trasparire l 'incon­
sistenza filosofica di quelle posizioni (classica a questo riguardo
è la posizione dell 'empiriocri ticismo machiano) che , mentre da
un lato ritenevano di dover celebrare l 'irreversibile cri si del mo­
dello rneccanicistico nell 'amb ito della scienza fisica , dall 'altro
non si peritavano di concepire in base ad esso ogni momento del-

6 Alla celeb re asserzione che « la necessità esiste solo nella mente e non negli
ogge t ti » , prese n t ata dallo st e sso H u me come la formula più idonea a s i n tet iz­
zare il suo pensiero sull 'argomento, poss i amo insomma opporre un dilemma
sempl i c i ssimo . L'essere « nella ,. m e n t e s i p u ò i nten dere o i n senso logi c o­
intenzionale o in senso p s icologico . Nel primo caso la necessità viene ipso facto
at t ri b u i t a al reale in sé, in quanto dal p.d.v. intenzionale la mente non è altro
che il conguagliarsi a ll 'ogg e tto . Nel secondo caso la necess i t à ri e s c e comunque
a contaminare la sfera dell 'oggettività, se solo si consi dera che, riguardata nel
suo aspetto ps i cologico , la m e nte non è meno corposamente o massicciamente
real e di qu egli enti naturali dal cui ambito essa vorre bbe proscrivere tutto c i ò
che n o n s i a semplice contingenza o a c c i d e n t a l i t à : s l c h e i l programma humia·
no sembra comunque destinato al fal l imen to.
58 L'ORIZZONTE DELL'ATTI V I TÀ POTENZ IALE

l'attività conoscitiva e della vita mentale in genere . � chiaro che


il preteso scetticismo metodologico integrale si riduce , in quelle
condizioni , ad una forma particolarmente incongruente di natura­
lismo positivistico .
Ma è possibile mostrare in concreto l 'insostenibilità del riduzio­
nismo empiristico riguardo all 'idea di necessità anche percorren­
do una via più diretta , che ha fra l 'al tro il vantaggio di agevol are
la comprensione di ciò che in una corretta concezione del metodo
induttivo può rendere parziale ragione all 'istanza empirist ica.
L'empirista sostiene che l 'induzione non è un procedimento ra­
zionale , ma di fatto ne riconosce comunque la ragionevolezza.
A ben vedere , l 'unico autentico significato che può competere
al suo tentativo di interpretarla in chiave psicologica è proprio
questo : un ambito psicologico sottoposto a leggi determinate sta
ad indicare una dimensione intermedia fra la pura arb itrarietà
o irrazionalità e la logicità stretta cui , come sappiamo, v iene at­
tribuito solo un valore formale o analit ico . Se B è stato in pre­
cedenza più volte sperimentato in concomitanza con A , perché
riteniamo più ragionevole credere che anche in futuro riscontre­
remo tale concomitanza piuttosto che credere che non la ri scon­
treremo ? Una volta scoperta la genesi psicologica di questa cre­
denza nulla ci impedirebbe, in fondo, di abbandonarla o , quanto
meno, di dubitarne fortemente se in qualche modo non la cogl ies­
simo come preferibile alla sua opposta. Certo , siamo consapevoli
di correre qualche rischio affidandoci ad essa (la nostra è pur sem­
pre una scommessa, secondo l 'espressione di Reichenbach) : ma
perché, adottandola, siamo persuasi di correre pur sempre il ri­
schio minore ? A ben guardare , sembra che se A non è connesso
con B da qualcosa di più di una concomitanza meramente casuale
una tale persuasione non abbia alcun fondamento : che non solo
non sia razionale, ma nemmeno sia ragionevole . Quale potrebbe
essere, prescindendo da quest 'ipotesi , il supporto della convin­
zione che una successione costante nel passato porti con sé una
successione costante nel futuro? Si può naturalmente dire che
tutte le volte che abbiamo arguito il futuro ripresentarsi di quelle
regolarità dal loro ripetuto manifestarsi nel passato le nostre
aspettative sono state confermate, ma si tratta di una risposta
palesemente insufficiente perché la regolare successione di aspet­
tativa e conferma è semplicemente un'ult eriore successione che
va ad aggiungersi a quelle già date , situandosi sul loro stesso
LA STRUTT U RA DELLA NECE S S I TÀ 59

piano, e non gode d i nessun particolare diritto quando si tratta


di scoprire la ragione per cui da una qualsiasi successione se ne
arguiscono altre simili . Ci si può dunque appellare soltanto alla
persuas ione dell 'uniformità della natura : ovviamente senza pre­
sentarla, alla maniera di J .S. M ili, come essa stessa desunta dal­
l'esperienza , ché si cadrebbe in una petizione di p ri ncipio. Non
resta quindi che riguardarla alla stregua di un postulato, e questa
è infatti l a posizione assunta dalle forme p iù consapevoli del­
l'empirismo contemporaneo: ma, di nuovo, è realmente soddisfa­
cente la prospettiva , cui l'empirismo sembra strettamente legato
pena il suo necessario trapassare in qualcos 'altro , secondo l a
quale il postulare si risolve q u i i n u n semplice scommettere?
La difficoltà sembra solo spostata, non rimossa, finché non si
spec ifica il motivo per il quale si ritiene che valga la pena di
scommettere . Non basta asserire che le innumerevoli scommesse
particolari sono specificazioni di un 'unica fondamentale scom­
messa che le antecede logicamente , non basta dire che è ragio­
nevole credere nel futuro riproporsi delle concomitanze già note
perché è ragionevole credere nell 'uniformità della natura : non
basta fermarsi qui , perché gli oneri imposti dalla cosiddetta ra­
gionevolezza non differiscono in nulla, conclusivamente , da quel­
li impost i dalla vera e propria razionalità. In effetti , se la posizio­
ne di un « ragionevole >> come di stinto dal « razionale » non è
mera retorica la si dovrà riguardare come la posizione di qual­
cosa che, sia pure non nella forma l ineare o diretta in cui al puro
razionale si connette un altro razionale , sia pure non per sem­
plice via deduttiva, trova comunque un preciso aggancio con i l
puro razionale . L a possibilità di questo particolare tipo di rap­
porto è evidentemente da ricondursi al fatto che la razionalità,
intesa qui come attributo o caratteristica dell 'attività pensante
umana , si ·realizza o si partecipa nelle sue varie espressioni non
già in maniera univoca , ma secondo una gradazione che va da
un più ad un meno : che è poi il senso più rigoroso che sia possi­
bile d are all 'affermazione che tale razional ità ha una struttura o
un carattere « analogici » 7• Nel nostro caso tutto ciò significa

7 Che nel suo senso speculativo più stretto l 'analogia sia da intendersi, tomi­
st icamente, come il realizzarsi di una medesima natura secundum magis et
minus è ciò che abbiamo cercato di di mostrare nel saggio La « divisio en t is ,.
e l'analogia trascendentale, in Aa.Vv., La differenza e l'origine, Vita e Pensiero,
M ilano 1 987.
60 L'ORIZZONTE DELL'ATT I VITÀ POT E N Z I A L E

che il « postulato >> dell 'uniformità , se non ha da rivelarsi come


un che di meramente arbitrario , deve in ultima analisi esibire un
carattere compiutamente e semplicemente razionale, senza riser·
ve o restrizioni di sorta : ed infatti noi avevamo precedentemente
visto che è perfettamente possibile la sua riduzione al primo prin·
cipio , la quale lo spoglia di ogni carattere postulatorio e lo con­
figura esplicitamente come principio del determinismo, come
fondamento a priori dell'induzione .
Ma gran parte di quanto abbiamo detto finora potrà risultare an­
cora più chiaro se proviamo a riflettere anche solo brevemente
sull 'effettivo comportamento di chi si trova dinanzi ad una situa­
zione problematica mentre svolge una ricerca scientifica 8• Quan­
do si è di fronte a due esperienze che paiono inconciliabili o
quando l 'applicazione di una teoria ritenuta valida si è risolta in
un insuccesso, la l inea di condotta più ragionevole non consiste
nell'immediata rinuncia ad uno strumento ormai ritenuto difet·
toso ma nella ricerca di una teoria più vasta che comprenda in
sé la vecchia e la nuova verità come suoi casi particolari , ossia
di una legge più generale che , in base alla presenza di questa
o quella condizione prima non consi derata, dia luogo invaria·

B Si dirà , quasi certamente, che il modello di « critica e crescita della cono­


scenza � che stiamo per proporre rispecchia u n a visione ingenuamen te « li­
neare ,. e « cumulativa ,. del progresso scientifico. Nel cap. I I I cercheremo di
affrontare qualcuno dei problemi posti dalle tendenze recentemente afferma­
tesi sia nel campo della riflessione epistemologica sia negli studi di stori a della
scienza e tenteremo di mostrare come la rivendicazione, da queste operata,
dell 'importanza spettante ai momenti di crisi e di discontinuità innegabilmente
rinven i b i l i nella d inamica storica dell 'im presa scientifica non sia realmente
i ncompat ibile con i capisaldi di u n « cont i n u ismo » rettamente inteso. Per il
momento ci limiteremo ad osservare che cadrebbe in un grave errore c h i rite­
nesse la nostra critica del l 'empirismo in q ualche modo agevolata dall 'esclusiva
considerazione di meccan ismi evolutivi affi n i a quelli dominanti nei periodi
di scienza « normale �. sottin tendendo che una maggiore attenzione alle carat­
teristiche proprie dei momenti di rottura rivoluzionaria ci avrebbe forse reso
il gioco un po' meno faci le. Un simile sospetto sarebbe del tutto infondato
perché, in real t à , proprio i nuovi orien tamenti si sono distinti nel ritenere
ancora troppo viziato da residui « baconiani » lo stesso pensiero di Popper,
pur così cri tico verso tanti aspe t t i dell 'empirismo trad izionale: residui avverti­
b i l i principalmente nella sopravvalutazione della portata fa lsificante dell 'espe­
ri mento e nella generale persu asione c h e sia sempre quest'ultimo ciò che c ci
aiuta ad uscire dalla routine e ci sfida a trovare nuove strade ,. ( Logica della
scoperta scien t ifica, c i t . , p . 296). Laddove, secondo le impostazioni più recenti,
s i trat terebbe di riconoscere il carattere prevalentemente non sperimentale e,
talora , anche non conosci tivo dei moventi che stanno realmente alla base delle
« rivoluzioni scientifich e ».
LA S TRUTT U RA DE L LA NEC E S S ITÀ 6f

bilmente all 'uno o all 'altro esito. Chi avendo ordinariamente con­
statato la concomitanza ABCD si trovasse di fronte un giorno alla
congiunzione ARCE dovrebbe , se volesse tener fede ad un orien­
tamento integralmente empiristico , limitarsi a constatare che al
primo collegamento s i è reso preferibile il secondo : nulla infatti
vieterebbe in tal caso di supporre che realmente i rapporti fra gli
elementi in questione siano mutati in maniera tale da dare luogo
alla nuova connessione . Ma in realtà la nostra mente è portata ad
assumere che vi sia una ragione per cui alla serie A BC si unisce
ora D ora E , vale a dire che ci debba essere l ' intervento di una
condizione diversa nei due casi : in modo da rimanere in ultima
istanza con un 'unica connessione dotata di valore assoluto , e

cioè A BC � :� f , essendo le c i rcostanze d ed e non arbitrarie o


casuali ma dovute all'intervento regolare in ABC d i altre serie
causali che per il momento risultano accidentali rispetto all 'in­
teresse prossimo da cui è mossa l 'indagine . Quest 'esigenza si fa
sentire così potentemente sulla mente del ricercatore che questi è
portato , anche là dove non può rinvenire facilmente la differenza
di condizioni che dovrebbe spiegare la variabilità dell 'esperien­
za , a suppome comunque l 'esistenza riferendola a cause ancora
ignote : anzi , per meglio dire , ad inferire la presenza e l 'efficacia
di queste cause demandando alla sua futura indagine proprio il
compito di conferire loro u n volto il più pos s i b i le concreto. Si
scorge dunque molto chiaramente che la coscienza d i u n a ripeti­
zione non può implicare di per sé nessuna ab i tudine , nessuna
aspettativa riguardo al futuro : il formarsi di questa aspettativa
è già un effetto della nostra coscienza della legalità dell 'espe rien­
za . La sola differenza che vi sia fra l 'u n i t à stabilita da un 'asso­
ciazione (e qui pensiamo volentieri alle stesse associazioni p r i ­

mordiali da noi esamin ate , almeno in parte , nel capitolo prece­


dente) e quell a stabil ita da una l egge d i pe nd e dal fatto che nella
prima non viene preso in con s i derazione l 'insieme delle condi­
zioni , date le quali la contigu i t à d i due dati a c qui s t a valore di
legge 9 • L 'anima di veri tà dell 'empirismo è tutta qui : n el r a m ­
mentarci che il principio a priori del determinismo è condizione

9 « Cosl , ad ese m pio che l 'acqua bolla a cen to gradi (in quelle certe condi­
,

zioni di pressione) è un giudizio uni v e r sale p rovato induttivamente in quanto,


essendo stato constatato più volte (la molteplicità delle e spe r ien z e o degli
L'ORIZZONTE DELL'ATTIVITÀ POTENZIA LE

necessaria ma non certo sufficiente del concreto esercizio del me­


todo induttivo, che il successo di questo è in massima parte affi­
dato all 'abilità dello sperimentatore, che l 'adozione di schemi e di
procedure aprioristiche è quanto di più rovinoso possa esistere
per il buon esito dell 'impresa scientifica e per u n 'effettiva possi­
bilità di crescita del nostro patrimonio conoscitivo. Ma p roprio
mentre stiamo cosl rendendo giustizia ad un motivo che , a lmeno
in senso lato , si può certo chiamare empiristico, non possiamo
d 'altra parte astenerci dall 'osservare che la testé decantata abi­
lità, sagacia, fertilità mentale . . . dello sperimentatore farebbe poi
molta fatica a trovare una giustificazione, diciamo pure a trovare
una molla adeguata, entro un quadro propriamente empiristico.
Da che cosa , infatti, essa è sollecitata e stimolata se non d all 'esi-

esperimenti veramente non serve che a mettere in chiaro, attraverso la varia·


-zione delle circostanze, il rapporto stesso o legge che si vuole formulare, ma
non ha alcun peso probante in favore di essa legge) che l 'acqua bolle a cento
_gradi, indipendentemente dalle variazioni di certe c i rcostanze o addirittura di
tutte le circostanze variabili dell 'esperienza (eccettuata la pressione) , si con·
elude che l 'elevazione a cento gradi è condizione o ragion sufficiente della
ebollizione. Se infatti tutte le volte, ovvero anche una volta sola, è avvenuto
così , mancherebbe la ragion sufficiente perché avvenisse, un'altra volta, diversa·
mente. Se avviene di fatto diversamente, bisogna supporre che è i ntervenuto
un nuovo fat tore perturbatore, che sarebbe esso, allora, la ragion sufficiente
della non-ebollizione. Così, ad esempio, se noi supponiamo che l 'ambiente
dello sperimentatore sia a pressione omogenea e costante, esso sperimenta tore
formulerà la legge dell 'ebollizione dell 'acqua a un certo numero di gradi , indi­
pendentemente dalla pressione. Pongasi che a un certo momento la pressione
cambi ; lo sperimentatore constaterà allora che l 'acqua non bolle più alla stessa
temperatura. Da ciò egli sarà indotto a ricercare se, precisamente, nel suo
a m b i ente non sia avvenuto qualche cambiamento, che s i a causa o ragion
sufficiente del camb iamento da lui constatato. Trovata questa causa egli non
avrà punto mutata la sua legge primitiva, ma sempl icemente l 'avrà integrata
con una nuova in cui il grado di ebollizione sarà espresso non solo in fun­
zione della temperatura, ma anche della pressione : e cosl via » (G. Bontadini,
Saggio di una metafisica dell 'esperienza, cit., p . 234 s.). Lucidissime e tuttora va·
lide ap paiono le dettagliate argomentazioni ant iempiristiche svolte da P . Marti·
netti n e l l a sua opera maggiore Introduzione alla Metafisica (si vedano le pp.
1 49-74 della meritoria ried . di Marietti del 1 987).
Dovrebbe essere inutile dire che, stanti questi principi, siamo risol u t i soste·
ni tori della port a t a meramente gnoseologica delle note limi tazioni riguardo al·
l 'u t i l i zza b i l i tà della legge causale v igenti nell 'ambito della microfisi c a . Come
giustamen t e osserva Popper, l 'argomento di Heisenberg a favore dell'indetermi·
ni smo non si riduce ad altro che a un tentativo di « dare una spiegazione cau­
sale del perché le spi egazioni causali sono im possibili ». « La sua argomenta­
zione è. in breve, che l a causalità va all 'aria a cagione della nostra i n te rferenza
con l 'ogge tto osservato, cioè a cagione di una certa in terazione causale ,.
(Logica, c i t . , p . 272 e n . ) .
LA S T R U T T U RA DELLA NECE S S ITÀ 6)

genz a , che innanzitutto anima i l ricercatore , di « far quadrare


i conti » , ossia di salvaguardare comunque la logicità dell 'imma­
g i n e del suo universo di oggetti ? E come sarebbe possibile ciò in
una prospettiva che esclude sse un min imum di apriori capace d i
e n t rare in tensione con l 'esperienza ? L a radice della fondamen­
tale d i stinzione tra semplice esperienza ed esperimento , o espe­
rienza qualificata , sta proprio in con s iderazioni come queste . Ma
è un argomento sul quale avremo occasione d i tornare .
R i p rendiamo comunque il filo della nostra esposi zione . Nell 'asso­
ci azione abituale , la più rozza e spontanea , si afferma il valore
assoluto della coesistenza A B : l 'errore è in questo caso , s i diceva ,
nell 'imperfezione dell 'esperienza che non include nella propria
cons iderazione le condizioni o i complessi di con dizioni a, b, c,
ecc . , che , variando , vari ano i l risultato e possono invece di
A ( b ) B dare A (c) C ecc . Ma in ogni caso i l fondamento logico
deii a rudimentale associazione AB è lo stesso che opera nella
legge A (b)B e in tutte le altre ancor più elaborate che si possano
formulare : è la presupposizione del valore necessario ed asso­
luto dei rapport i affermati , rapporti nei quali entrano le nature
dei termini che li compongono . Ne viene che la A B è certamente
falsa , ma è ben lungi dall 'essere arbi trari a : anzi è eminente­
mente ragionevole (in certo modo l 'incarnazione stessa della ra­
gionevolezza , intesa come atteggiamento che caratterizza il l i vel­
lo p refilosofico e che trova il p roprio metodico potenz i amento
n e Ila scienza posi tiva) , cioè è i l tralucere del i a razional ità en tro
una dimensione che non potrebbe comu nque albergarla nella sua
p ienezza ma solo in una forma dim in uta 10• L 'assoc i azion e , dun-

I o t ta l m e nt e erronea la p e rsu asion e relativa all'esi stenza di un a d i fferenza

di n atura e non semplicemente di grado fra le d u e con ness i oni esaminate, che
si può fa cil me n t e mostrare come i n realtà no n v i sia assolutamente alcun ca­
ra t tere , fra quelli soli ta m e nt e attribuiti alla seconda (la « legge » vera e propri a ) ,
che n o n risulti i n qualche modo condiviso d a l l a pri m a (che è poi i l << fatto »
dell a nostra comune esperienza ) . Non solo, in e ffe t t i , l 'asserzione s i n g o l a re
e s i s tenzi ale c o rr i s pond e n te al t i p o più elementare di s i n t e s i si è ri ve l ata fa l l i ­
b i l e (cfr. ca p . l , p a r. 3 ) ; ma anche nei casi (i p i ù numero s i ) in c u i , per man­
c a nza di un a ttuale ri scontro negativo, viene d i fa tto trattata come assolu ta­
m e n te vera , essa non è mai p ropria m en t e , rigorosamente verifìcab ile ( a s om i­
glianza di quanto avv i e n e p e r le l egal ità naturali espresse con o p er a t ori uni­
versali illim i ta t i ) . Si può i llu s t rare la va l i d i tà di q u esto assunto, carnapiano
non meno che popper i a no, ricorrendo a l noto e s e mpio della proposizione :
« c 'è un foglio di carta bian c a su questa t avola » . Per a c ce r t a r si che si t ratta

di c arta si può compiere una serie di sem p l i c i osservaz ioni ; s e ri m a n g o n o


64 L 'O RIZZONTE DELL'ATT IVITÀ POTEN Z I A L E

que, proprio perché si rivela essere un logo allo stadio germinale


non può certo costituire la spiegazione del pensiero logico svi­
luppato, come voleva Hume e come con lui hanno continuato a
ritenere gli empiristi successivi ; semmai si deve dire che entro
una prospettiva empiristica rimane essa stessa, in ultima analisi ,
inspiegabile.
E con quest 'ultimo rilievo crediamo che la nostra critica al ridu­
zionismo empiristico della nozione di necessità possa dirsi com­
piuta.

2. Critica del riduzionismo formalistico

M a una buona parte delle considerazioni sin qui formulate suona


già come un implicito rifiuto di quella visione formalistica e ana­
liticistica dei rapporti logici che , come avevamo visto fin dal­
l 'inizio, dell 'empirismo è quasi sempre o la condizione o il pro­
dotto e che comunque risulta ad esso strettamente legata. La
rivend icazione del valore sintetico del principio di identità-deter­
m inazione , della sua capacità non solo e non tanto di fecondare
l 'esperienza quanto propriamente di costituirla 11 , come è di­
retta contro la semplice contingenza e, qui nd i , aposteriorità dei

dubbi , è possibile procedere ad esperimenti fisici e chimici : si posso n o cioè


esaminare le proposizioni inferibili dalla proposizione data (inferibili, natural·
mente, in forza di un ben preciso e noto sistema di legalità naturale) per fare
predizioni su osservazioni future. Essendo però infinito il numero delle predì·
zioni possibili, la proposizione data non potrà mai essere verificata completa·
mente ma solo confermata (o corroborata) in maniera gradualmente p�
gressiva. La sua accettazione dipenderà qu i ndi da una componente conven­
zionale che determina i l punto in cui si decide di interrompere il processo di
con ferma : ché da un p .d .v . logico stretto la situazione non è m ai tale da c�
stringerei ad arrestarci a questa proposizione piu ttosto che a un'altra o, a ddì·
rittura, a ri nunci are al con t rol lo. D a ciò Popper trae un notevole argomento
a favore della sua celebre concezione della « scienza su palafitte • ; a noi i nvece,
,

preme ancor più rilevare come da tutto questo risulti che, i n fondo, ogni sin·
golo evento o accad imento è, in sé, una completa l egge di natura. I l che a sua
volta di mostra che l 'autent ica i n d uzione ha assai poco a che vedere c o n quel
procedi mento « per sem p l ice enumerazione » al quale, v icevers a, la assimilano
di fa tto tutti gli autori di formazione empiristica, sia che intendano criticarla
sia che i n tendano difenderl a .
1 1 I n tendiamo q u e s t o termine i n senso schiettamente kantian o : a ffermiamo
cioè che proprio nel principio cardine della logica classica si deve ravvisare
l 'auten tico « principio dei giudizi s i n tetici a priori • . capace di fondare la
connessione necessa ria degl i oggetti dell 'esperienza rendendo anzitutto possi·
b i l i le più originarie ed elementari sintesi percettive.
LA STRUTTURA DELLA NECE S S I TÀ 65

nessi che l 'esperienza presenta , così è diretta anche contro l 'equa­


zione fra necessario e tautologico . Non solo, ma si deve aggiun­
gere che come la più rudimentale delle generalizzazioni empiri­
che non si presenta mai del tutto scevra da una dimensione di
necessità, cosi non vi è connessione o legge, anche fra quelle rite­
nute più salde e scientificamente accertate, che realizzi perfet­
tamente l 'ideale di una necessità assoluta : o, in altre parole , s i
deve dire che come non v i è alcun nesso che sia meramente empi­
rico , così non ve n 'è alcuno che risulti completamente privo di
quel carattere di provvisorietà e di ipoteticità che ne decreta la
controvertibilità di principio e ne rende sempre in qualche modo
aleatoria l 'affermazione . Ciò deriva immediatamente da quanto
si è detto intorno alla natura « digradante » o analogica della ne­
cessità, che ne fa qualcosa che noi possiamo rinvenire ovunque
ma in proporzioni diverse . Per comprendere meglio quest'aspet­
to, s i pensi al motivo per il quale si è affermata l 'erroneità delle
primitive associazioni mentali così come di fatto si presentano :
esse , abbiamo visto, non includono le condizioni della necessità
che implicitamente affermano , così che questa può essere fonda­
tamente asserita solo attraverso un congruo ampliamento del loro
contenuto. M a si scorge subito il carattere almeno tendenzial­
mente infinito di un tale allargamento d 'orizzonte o, per d irla in
altri termin i , la mancanza di ragioni di principio che ne possano
limitare l 'estensione . Le condizioni incluse nella più compren­
siva formulazione subentrata all 'ipotesi iniziale (e rinvenibili e
accertabili in ultima analisi solo per via sperimentale) sono certa­
mente tali da porre lo sperimentatore al riparo da molte delle
delusioni cui si sarebbe esposto sottoscrivendo senz 'altro tale
ipotesi e, anz i , sono tali da fargli apparire quelle smentite come
casi particolari di una differente connessione e quindi come qual­
cosa che , in effetti , ri afferma una superiore e più autentica (più
complessa, più articolata) legal ità dell 'esperienza , nella quale la
stessa ingenua associazione di partenza rientra come momento
superato ma non annullato . Ma in un più vasto ambito di espe­
rienze anche questa « le gg e » apparentemente così ben stabilita
può subire smentite o, comunque , limitazioni della sua validità
tali da esigere ulteriori revisioni o integrazioni chiamanti in
causa nuovi , prima trascurati fattori ; e in ogni caso , anche indi­
pendentemente da questa eventual ità , potrebbe sempre presen­
tarsi l 'esigenza - magari pratica e n o n soltanto teorica - di tener
66 L 'ORIZZONTE DELL'ATT I V ITÀ POTE!\ZlALE

conto di quelle circostanze che presiedono a loro volta all 'inter­


vento delle cond izioni che abbiamo introdotte nella nostra formu­
lazione per correggere l 'ipotesi iniziale , circostanze che solo tem­
poraneamente si possono riguardare come accidentali rispetto
alla nostra prospettiva. In ogni caso , porre dei limiti teorici alla
possibilità di rel ativizzazione, o di « superamento » nel senso
dianzi chiarito , cui le varie regol arità di volta in volta indi­
viduate sono soggette nell'infinito processo di estensione e di af­
finamento della nostra esperienza sarebbe, più che arbi trario,
assurdo : tanto varrebbe sottoscrivere quell 'interpretazione dete­
riormente aprioristica d el principio del determinismo contro la
quale abbiamo detto che ogni protesta sarebbe non solo legittima
ma doverosa . Ma se le cose stanno così risulta ormai chiaro che
l 'autentico luogo della necessità, ossia della razionalità i n senso
stretto , può essere solo la tota lità : al di qua di essa ogni possibile
affermazione, quale che sia il suo grado d i pratica attendibilità
e quindi di ragionevolezza per le esigenze del nostro commercio
con il mond o, non può non possedere un carattere di s commessa.
non può non presentarsi in veste essenzialmente ipotetic a ; e la
natura fondamentalmente imprevedibile ed ignota d i ciò che essa
non contempl a , ma che pur dovrebbe scontare dentro d i sé, lascia
imprecisato il grado di relativizzazione e di conseguente modifi·
cazione che il suo contenuto potrebbe subirne . L' impasto d i vero
e di falso che essa presenta non differisce affatto , per natura,
da quello che è ravv isabile già nella primord iale assoc i azione A-B
da noi infinite volte presa in considerazione : la quale è per un

verso perfettamente fon data, fosse pure derivata dall 'osserva­


zione anche di un u nico caso, perché in quel caso , come del resto
accade per tutti i nessi rinven ibili in qualsiasi altro caso reale o
pos sibile , quanto da essa affermato era effettivamente necessario;
ma, per altro verso, è sommamente lontana d al vero per i l suo
asserire di fatto come universalmente valido ciò che , almeno
prima facie, non appare per nulla giustificato in una prospettiva,
appunto, universal e . La conclusione che ci sembra di poter fon­
datamente trarre da que ste considerazioni è l 'affermazione del­
l 'assoluta inadeguatezza del modo di vedere - proprio di tutta
una tradizione formal istica del pens iero occidentale che include.
per vari aspe tti, Aristotele o Kant non meno della contemporanea
logistica - secondo il quale la necessità è qualcosa di limitato a
particolari regioni o amb iti dell 'esperienza , essendo l a caratteri-
LA S T R U TT U RA DELLA NECE S S ITÀ 67

stica di certe forme o relazioni che connettono elementi astratti .


La visione da noi sostenuta è quella genuinamente olistica d i
u n a necessità che pertiene non a certe forme particolari ma ad
un intero sistematico, ad una totalità organica entro la quale
la tradizionale distinzione tra componente fattuale e stru ttura
logica dell 'esperienza risulta in definitiva superata . Ma l 'inevita­
bilità di una simile concezione e la connessa insostenibilità del
carattere analitico delle proposizioni necessarie si possono mo­
strare non solo attraverso questi rilievi , che rappresentano sem­
plicemente un ulteriore sviluppo delle argomentazioni già ad­
dotte contro la prospettiva empiristica , ma anche attraverso una
più d i retta considerazione dei caratteri della dottrina logica tra­
d izionale. Secondo quest'ultima , si diceva , un enunci ato neces­
sario deve tale sua proprietà al fatto di essere analitico , cioè al
fatto che il predicato è incluso nel soggetto in modo tale che la
sua negazione sarebbe autocontraddittoria . Alcuni enunciati ne­
cessari possono sì risultare sintetic i , ma solo i n un senso psico­
logico , nel senso cioè che il soggetto può di fatto essere pensato
senza riferimento al predicato : sono quegli enunciati che richie­
dono un procedimento mediazionale per essere resi evidenti . Ma
il fondamento della loro verità non differisce in nulla da quello
dei giudizi la cui analiticità è, invece , i mmediatamente perspicua
per essere il loro predicato parte integrante della definizione del
soggetto e non semplicemente una caratteristica p ropria o, co­
munqu e , logicamente necessaria di questo .
Ora , questa teoria tradizionale risulta d i fatto incompatib ile con
un v e ro riconoscimento della presenza di implicazioni o di nessi
logic i nella realtà ed equivale , nella sostanz a , alla pura e sem­
plice espunzione della necessità dal mondo . Ciò dovrebbe risul­
tare particolarmente evidente d all 'esame dei casi di analiticità
stretta , quella che appunto coincide con la tautologicità o con
l 'espl icatività in senso letterale e che è riguardata come il proto­
tipo della necessità proprio per la sua radicale esclusione di qual­
siasi a spetto o elemento sintetico. :E, chiaro che se si riu scisse a
mostrare che una tale espl icatività non si d à mai nella concreta
situazione p redicativa e che , comunque , nella mi sura in cui si
dà rappresenta la negazione e non già l 'assoluta affermazione
de11a necessità , lo stesso statuto della proposizione mediatamen­
te evidente ne uscirebbe profondamente modificato : essa i nfatti
non dovrebbe più la sua necessità alla ri ducibilità ad un modello
68 L 'ORIZZONTE DELL'ATT I V I TÀ POTENZ I A LE

analitico, e il suo carattere sintetico non sarebbe più una deter­


minazione da ascriversi all'incidenza di circostanze psicologi­
che ma si rivelerebbe come qualcosa di ben più sostanziale. Con­
sideriamo due enunciati estremamente semplici, la cui necessità
pare indubitabile e che proprio per questo dovrebbero offrire
una luminosa esemplificazione della pura analiticità: «il rosso
è un colore >> e «ciò che è colorato è esteso » . Se nel primo caso
con la parola «rosso » intendo la congiunzione di certi elementi
fra i quali compare anche il colore, allora affermare che il rosso
è un colore è senza dubbio una ripetizione tautologica la cui ne­
gazione sarebbe assolutamente priva di significato, proprio come
se dicessi « il rosso è rosso ». Ma se intendo dire che in ciò che
chiamo rosso vi sono aspetti distinguibili , tali che l'uno implica
l'altro in quella particolare , intima relazione che sussiste fra
genere e specie, allora la mia affermazione esprime qualcosa di
non tautologiéo. Certo, il rosso non potrebbe essere rosso senza
appartenere al genere «colore »: l 'essere un colore è parte di ciò
che intendo con «rosso » e non potrei dunque oppormi all'enun­
ciato senza incorrere in un assurdo. Ma ciò non significa che il
soggetto sia una collezione di attributi uniti solo di fatto o estrin­
secamente, fra i quali nel predicato io scelga di evidenziarne
uno 12• � dunque chiaro qual è il vero problema sollevato dal co-

12 Cons iderando infatti , ad esempio, il rosso e l'azzurro, sembra che se da essi


eliminiamo tutto ciò che cade sotto la denominazione « colore » non ri manga
più nulla. Noi non riusciamo a div idere il colore rosso in una plura l i t à di
com ponenti , alcune delle quali apparterrebbero solo ad esso mentre le altre si
ri t roverebbero anche nell 'azzurro (e poi n e l giallo, nel verde e così via ) : la
qual i t à « colore » sembra essere ciò che i vari colori hanno in comune m a , al
tempo stesso, anche c i ò in cui d i fferiscono. E non è questo l 'unico caso nel
quale la relazione fra genere e specie appare tanto difficile da analizzare.
Nem meno la sfera - per addurre un a l t ro esempio - si presenta come una de­
termi nazione della nozione generica di estensione o di spazio tramite un quid
non spaziale che l a caratterizzi appunto come sfera e non come spazio in ge­
nera l e . Lo spazio non è un genere che costituisca una parte della rea l t à com­
plessiva della sfera : al contrario, quest 'ul tima è tutta formalmente spaziale.
Così pure (a ltro esempio) si dice che il pari e i l dispari siano specie del genere
« numero », ma non per questo è possibile ri muovere da essi tale nozione
lasciando sussistere qualcosa di form a l mente non numerico: ché « dispari ,. ha
senso solo se significa numero dispari. Lo schema computistico di hob besiana
e leibnizi ana memoria, fondato sull 'assi mil azione dell 'essenza logica ad un
mero aggregato di caratteri fra i quali poter eseguire somme e sottrazioni . si
di mostra dunque inapplicabile ad un gran numero di casi nei quali è in gioco
il rapporto fra genere e specie (e, probabi lmente, ad un 'attenta consi derazione
LA S T R U T T U RA D E L LA NECE S S I TÀ 6 9•

siddetto giudizio analitico : si tratta del fatto che, se non vi può


essere analisi (cioè s-composizione) di qualcosa di semplice , al­
lora è pura irriflessione il ritenere che possa esistere un qualsiasi
giudizio che non racchiuda in sé o che non evoch i , comunque ,
una com-posizione o una sintesi. Ma in tal caso l 'attenzione di chi
vuole indagare sull 'autentica struttura logica dei giudizi che di
volta in volta pronuciamo non potrà non concentrarsi sulla na­
tura di questa composizione . Se si tratta di una composizione
estrinsec a , allora non vediamo proprio come ci si possa opporre
ai ben noti rilievi neopositivistici secondo i quali un enunciato
sempre vero esprime le convenzioni o le stipulazioni semantiche
vigenti all 'interno di un particolare linguaggio o sistema di segni ,
ma sul·l a realtà propriamente non dice nulla (sulla realtà potendo
dire qualcosa solo quel genere di sintesi avventizia che , per l 'ap­
punto , si intravede alle spalle del soggetto dell'enunciato) ; so­
prattutto non vediamo come a tali rilievi possa realmente op­
porsi quella prospettiva tradizionale (scolastica) che con il neo­
pos itivismo condivide l 'equazione di necessità e analiticità ma
che , al tempo stesso , vorrebbe assolutamente evitare l'interpreta­
zione convenzionalistica o tautologistica dell 'analiticità da quello·
propugnata. Sembra proprio che la necessità reale od ontologica
poss a essere salvata solo concependo la com-posizione implicita
nel soggetto del cosiddetto giudizio analitico alla stregua d i un
nesso organico o di una compagine sistematica , ossia abbando­
nando esplicitamente la prospettiva analiticistica e accedendo
all 'equazione fra la necessità come tale e quella sin tesi strutturale
(tutt 'altro che « psicologica » , dunque) fra elementi realmente
distint i , che dalla suddetta prospettiva è radicalmente esclusa ;

mostrerebbe la sua rad i ca l e inadegu a tezza di fronte a q ual s i a s i esemp l i fica­


zione di quel rapporto) . Ciò a n ostro parere tes t i m o n i a l opportuni tà di risco­
'

prire e d i recuperare una nozione che è fra le pi ù ostiche alla men tal i t à forma­
listica ( e che p r o p ri o per questo fu messa in d iscussione già dalla tarda
Scolastica) : la nozione tom istica della distinzione reale come qualcosa che sus­
siste non solo fra realtà separab ili (non s o l o inter rem et rem ) m a anche fra
pri n c i pi o e le men ti o a spetti legati fra loro da una relazione trascenden tale o
cost i tutiva Tale c o n c e t to essenziale per la so luzi o n e o anche s o l o per la cor­
. ,

retta impostazione d i tut t a una serie d i pro b l e m i che s i pongono a l i v e l l o


propriamente metafisica, co s t it u isce u n p u n t o cardine, ci sembra , di una v i sione
non analiticistica della necessi t à : illustrarlo adegu atamente significherebbe d 'al­
tra p arte c omp ie re un diretto ed im pegnato ingress o nel dominio dell 'an tologi a .
i l che esorbita dagli int en t i del presente lavoro.
70 L'ORIZZONTE DELL'ATT IVITÀ POTENZIALE

o , in altre parole , intendendo con enunciati del tipo fin qui con­
s iderato non che SP è P , ma che, all 'interno della totalità SP,
S si relaziona a P in modo necessario. La dottrina tradizionale,
secondo la quale ogni s intesi che paia non essere meramente
estrinseca è il risvolto psicologico di un 'analisi, si regge in ulti­
ma i stanza su u n 'identificazione stretta fra contraddizione e
autocontraddizione : troppo stretta, e quindi colpevole di obnu­
b ilare una distinzione fra possibili s ituazioni predicative che in­
vece va assolutamente mantenuta . Una proposizione sarebbe ne­
cessaria , si sostiene, quando la negazione del predicato contrad­
dice il soggetto . M a quando si nega, per riprendere il nostro se­
condo esempio, che ciò che è colorato sia esteso non si affenna
che « ciò che è colorato non è colorato » ; l 'estensione non è un
elemento della qualità « colore » che prima venga accettato e poi
negato. Ciò che viene negato è l 'esistenza di una struttura, di
un 'unità sistematica che abbraccia sia il colore sia l 'estensione
in modo tale che i due elementi stanno o cadono insieme , per
così dire ; e la situazione che deriva da un simile d isconoscimento
non si lasc i a interamente rinchiudere nello -schema di quella con­
traddizione intrinseca cui allude la classica formulazione « que­
sta proposizione è vera perché altrimenti il soggetto non sarebbe
se medesimo » , con la quale si ritiene di poter esaurire il senso
della necessità d i un enunciato. Tale formulazione tende a ri­
durre l ' implicazione ad inclusione (o, propriamente , ad implici­
tazione) : essa, infatt i , prescinde dalla possibilità che elementi
realmente d istinti si trovino tra loro logicamente connessi e si
l imita a dire che una somma non è più la medesima in mancanza
di uno dei suoi addendi 13• Si tratta invece di contemplare espli­
ci tamente quella possib ilità e di mostrare come nel caso che essa

13 Dire , infatti , che l a posizione di un qualsiasi significato (x) implica la di­

st inzione di quel significato dall 'orizzonte del suo contraddittorio (non x) e


quindi implica la presenza di tale orizzonte, con la conseguente presenza della
stessa totalità del sign i ficare (dato che l a coppia di contraddittori x - non x
vale ad esaurire l'Intero), significa già travalicare l 'orizzonte anali ticistico fon­
dato sulla semplice ri pulsa del l 'au/ocontraddizione in senso stretto. Ogni con­
traddizione logica - in quanto, appunto, sia una figura logica e non un con­
trasto o un con n i tto reale - è sempre, si badi bene, un'autocontraddizione, al­
meno in senso lato; qui però interessa osservare che proprio il principio di non
contraddizione nella sua valenza p i ù i mmed iata, purché sia concepito concreta·
mente e non come un astratto principio di identità, conduce all 'affermazione
di nessi logici il cui conseguente non è interno all 'antecedente, non è parte
LA STR U TT U RA D E L LA N E C E S S I TÀ 71

si realizzi la negazione di uno di quegli elementi trae con sé la


rovina degli altri . Questa struttura della necessità , tale per cu i
essa s i pone come sintesi originaria di elementi non inclusi ana­
liticamente uno nell 'al tro, comporta altresì (ed ecco che per altra
via torniamo al punto che avevamo già in qualche modo guada­
gnato p artendo dalla prospettiva del paragrafo precedente) com­
porta altresì che l 'organi smo o il sistema chiamato in causa non
abbia limiti di principio , che sia tendenzialmente infinito, e che
quindi non sia mai rinvenibile per intero in un giudizio isolato,
o anche in un qualsiasi nesso inferenziale così come lo troviamo
esplici tamente formulato . Cercheremo di illustrare adeguatamen­
te questo lato della questione nel capitolo che segue , ma intanto
non possiamo fare a meno di prospettare sin d 'ora alcuni aspetti
essenziali del quadro che ne scaturisce. Si intravede già, per
esempio, che aggettivi come « possibile » , « impossibile » , lo stes­
so (( necessario » , acqu isteranno un significato concreto solo in
rapporto ad un insieme di dati o di conoscenze (coincidente nel
c aso limite con il patrimon io complessivo delle nostre conoscen­
ze) rispetto al quale si presenti l 'esigenza di classificare qualcosa
come , rispettivamente , coerente , incoerente o indispensabile 1 4 •
N o n s i p u ò definire un 'implicazione n e i soli termini dell 'antece-

d e l l a sua e ssen za (la pos izione astratta d i u n sig n i fi ca to è appunto q u e l l a c h e


i de n t i fica la distinzione d i t a l e sign ificato da gli a l t ri con la sua separa tezza o c o n
i l suo isolamento da essi : m a . p e r d i rla con Hege l , è una pos i z ione s o l o « op i ­
na t a » [gemein te] perché così facendo non p o n e rea l m e n t e c i ò c h e i n te n d e
porre e , i n q u e s t o s e n s o , è con tradd i t toria) . Q u i , i n somma , i n teressa osservare
c h e il pr i n c i p i o di non contradd i z i one ha di per sé valore s i n t e t i c o . La figura
c h e ne ri s u l t a immediatamente fon data è l a relazione trascendentale ( s i veda
l a nota precedente) , p e r sé val i d a ad o l t repassa re ogni ori zzonte form a l i s t i c o .
Qua l s i as i esistente non implica nulla meno che la tot a l i t à c o m e determ inazione
formale, ed è a d essa cost i t u t ivamente legato : questa è l a p i ù uni versale e d
e lementare d e l l e relazioni trascendental i . N o n occorre prec i s a re che i l gra­
du ale conferimento di un volto sem pre più concreto a questa prese nza d e l l a
t o t al i t à , dapprima c o m e si è d e t t o semp l i cemente formale , n o n è u n a lTare
puri intellectus : ma ben di v e r si sono gl i occh i con i q u a l i si guarda ali 'es pe­
ri e nza , e ben d i verso i l senso d e l l 'appe l l o che ad essa com unque si deve rivol­
gere, a s ec o n da che s i ammetta o no la poss i b i l i t à d e l l a ragione di o l t repass a re
la mera analiticità e s erc it a n d o una fu n z i one costru ttiva e fon d a n t e .
H L'interpretazione kant i a n a del l e ca tegorie d e l l a modal i tà n e i « Pos t u l a t i del
p e nsi e ro em p i r i c o • ci sembra dunque, a l m e n o n e l l a sua d i rezione di fon d o ,
valida e a p p ro pri a ta . Nel secondo paragra fo del pross i m o c a p i tolo cercheremo
di mostrare c o m e l o stesso conce t t o d i pos s i b i l i t à i n t ri n sec a , in tesa come sem­
plice assenza di con tra d d i t torietà i n te rna , possa essere ricondotto a d una si m i l e
pros pet t i v a .
72 L'ORIZZONTE DELL'ATTIVITÀ POTENZ IALE

dente e del conseguente che compaiono nella sua formulazione ,


perché in realtà in essa è sempre contenuto molto di più. Se si
dice che il primo implica il secondo è perché entrambi appar­
tengono ad una configurazione sistematica, e cogliere il rapporto
di implicazione fra essi significa appunto coglierli come membri
di quel contesto. Nessuna proposizione singola è, per così dire,
autonoma , né quanto al suo significato né quanto alla sua verità.
Alcuni esemp i , assai sempl ici . « Gli angoli d i un triangolo sono
equivalenti a due angoli retti »: certo, purché i nostri triangoli
siano concepiti come situati nello spazio euclideo e si sa che la
verità della proposizione è garantita dal crollo del sistema eucli­
deo che seguirebbe alla sua negazione. « Se mi lancio dalla cima
di un grattacielo mi sfracellerò miseramente al suolo » : sì , se

non ho il paracadute , se il mio corpo conserva la sua massa , se

l a legge d i gravità così come la conosciamo non subisce una


smentita, e così via. « Se un raggio di luce si riflette su una
superficie ·l'angolo di riflessione è uguale all 'angolo di inciden­
za )) : certamente, se lo spazio è euclideo, se non sono presenti
fattori di distorsione . . . Il fatto che queste condizioni restino
sottintese non vuoi dire che non siano autentiche cond izioni al
pari d i quelle esplicitamente formulate. Vuoi dire che , in linea
di principio, ogni nostra affermazione equivale all 'assunzione di
un impegno o di una responsab ilità . I n qualche modo sappiamo
che il contenuto delle nostre proposizioni può essere invalidato
da cond izioni imprev iste, ma osiamo comunque credere che
l 'ignoto non sarà sfavorevole : corriamo l 'alea e scommettiamo.
Quando dalle condizioni dichi arate si traggono le conseguenze,
l 'affermazione di queste u l time presuppone in realtà tutte le
condiz ioni , note o igno te, i ndispensabili alla sua verità ed esige
quindi dalla totalità del reale un sostegno la cui dimensione non
può essere in alcun modo valutata o mi surata 15•

M a per poter passare ad una trattaz ione più articolata delle im­
plicazioni di ques ta vis ion e olistica o coerentistica della verità è
necessario, a questo punto della nostra esposizione, ritorn are un
poco sui nostri passi e ricollegarci con quanto era emerso dalle
riflessioni con tenute nel primo cap itolo . t quello che cerche remo
di fare nel pa ragra fo iniziale del capitolo che segue.

Is t. merito pre c i puo d i Duhem aver richiamato l'attenzione, in campo propria·


m e n t e e p i stemolog i c o , su questa profonda e pr e zi o s a verità.
CA P I TOLO TERZO

La verità come coerenza

l. La circolarità dell 'interpretare

Abbiamo cercato di documentare, agli inizi della nostra indagine ,


la presenza di quell 'attività mentale irriflessa dalla quale scatu­
risce la trama logica sottile e inconsapevole che già avvolge an­
che per la coscienza prefilosofica e prescientifica la realtà sensi­
bile; ci siamo successivamente sforzati d i mettere in luce il ca­
rattere genuinamente logico di tale attività , che poteva apparire
dubbio proprio a cagione delle modalità automatiche o mecca­
niche del suo dispiegars i , e nel fare ciò abbiamo avuto l 'occa­
sione di chiarire il valore che secondo noi è da attribuirsi ai con­
cetti di razionalità e di necessità nonché il rapporto che si deve
correttamente istituire fra la dimensione logica e quella psico­
logi ca dell 'attività mentale. t tempo onnai di di rigere più ana­
liticamente la nostra attenzione su alcuni fondamentali aspetti d i
quel pensiero riflesso c h e consapevolmente viene svolgendo, a
part i re dal suddetto ordine rudimentale, un ordine logico più per­
fetto e che già più volte, d 'altra parte , e sotto vari profili è stato
tematizzato nel corso delle riflessioni fonnulate nel capitolo pre­
cedente . Si tratta di quel genere di razionalità che trova la sua
fanna più alta nell 'indagine delle scienze positive : ché della
filosofia , come già sappiamo, dovremo occuparci a parte , nella
secon d a sezione .
Già nella nostra prima presentazione del fatto percettivo aveva­
mo messo in evidenza la di stinz ione fra il giudizio esplicito, l ' uni­
co di cui la logica e la gnoseologia trad izionali si sono sempre
occupate , e quel giudizio implicito che invece compare nella per­
cezione intesa come fonna minimale dell 'attività pensante . Non
che quest 'ultimo differisca dal primo per la sua struttura logica,
ché anzi, in quel senso, non solo è un giudizio a pieno ti tolo ma ,
74 L 'OR I ZZONTE DELL'ATT IV ITÀ POTE:"Z I A L E

<:ome si è visto, si presenta assai spesso addirittura come la con­


clus ione di un'inferenza : esso si caratterizza di fronte al com­
pagno più illustre unicamente per quell 'aspetto di meccanicità
e di irriflessione sul quale abbiamo insistito ormai infinite volte .
Quell 'aspetto che non solo, come sappiamo , ne rende disagevole
la stessa rilevazione o individuazione sul p iano fenomenologico
ma che in ogni caso, anche quando ci si sia razionalmente per­
suasi degli argomenti che dimostrano l 'esistenza di un lo go nella
percezione, è alla radice d i quel fondo di perplessità che semb ra
<:omunque destin ato a permanere in no i . Il fatto è che siamo
troppo avvezzi ad associare agli atti propriamente spirituali una
nota di autotrasparenza e, per così dire, di libertà , per non ri­
manere in qualche modo sconcertati di fronte all 'automati smo
di queste prime operazioni della nostra vita mentale delle qu a l i
non ci sarebbe possibile , per al tro verso , negare l 'autentico valore
conoscitivo. Ed è di per sé degna di ri lievo una simile tendenza
ad attribuire agli atti della sfera teoretica quella caratteris tica di
volontarietà e di libertà che tradizionalmente in filosofia si assu­
me come defini toria dell'al tra sfera della vita spirituale, c ioè de l l a
sfera pratica : noi stessi abbiamo avuto occasione d i sperimen tar­
ne la fondatezza tutte le volte che abbiamo usato espressi on i
come « presa d i posizione » , « presa di distanza » , « assunzione di
un impegno » o « di un rischio » , e simi l i , riferendoci ad episodi
o a momenti dell 'attività pensante riflessa. La prima volta capitò
proprio parlando di quel giudizio espl icito 1 sul quale o ra , ap­
p unto, vorremmo brevemente dirigere la nostra attenzione . I l let­
tore ricorderà che in quel contesto si era portato l 'esemp i o di un
giudizio emesso per risolvere un dubbio sorto riguardo aHa vera­
cità d i un precedente giudizio implicito racchiuso i n u n atto
percettivo. A ben guardare, l 'elemento emerso con chi arezza
anche da tutte le indagini e le riflessioni successive è l a fonda­
mentale in-determinazione o non-necessità d el nostro ra pporto
con la realtà , quasi ch e , pur venendo senz'altro in qualche mod o
da noi appresa , essa non ci rifornisca ipso facto dei concetti o
dei simboli più appropriati per esprimerl a , ossia non vogl i a com­
p iacentemente liberarci da una tale respon sabil ità m a c e ne las ci
tutto intero il peso : sì che quei simbol i , almeno in un cert o senso

I Si veda a p . 2 3 .
LA V E R I TÀ COM E COERENZA 75

ed entro certi limiti , siano da noi scelti più che d a essa imposti 2 •
Il senso d i queste considerazioni , e di altre analoghe che s i po­
trebbero formulare, si può forse tradurre nell'affermazione che
ogn i giu � iz !o esplicito , anche quando non è la conclusione di
u n procedimento inferenziale , è sempre in realtà la risposta a una
domanda da noi rivolta alle cose : il che equivale a dire che è
sempre in qualche modo un « giudizio » nel senso ordinario del­
la parol a , un valutare alla stregua di ... E una domanda non può
a sua volta non dipendere da e non inscri versi in un particolare
contesto mentale, in una determinata « precomprensione » : la
c
quale potrà consistere tanto nella più banale esigenza pratica, che
ci costringe per esempio a controllare meglio il contenuto di una
percezione forse affrettata , quanto nel raffinatissimo apparato
teorico servendosi del quale uno scienziato programma i suoi
esperimenti , quanto (ed è ovviamente il caso più frequente) nei
sistemi di attese, sia cognitive sia affettive , che ci portiamo dietro
si può dire in ogni momento della nostra esistenza e che per com­
plessità si situano nel l 'immenso spazio che si apre fra quei due

2 Non resta, insomm a , che affermare la cosi ddetta « trascendenza della descri­
zione »: cioè l 'esistenza di uno iato insuperabile tra osservazione ed espres­
sio ne dell 'osservato, dovuto al fatto che nessuna proposizione empirica , per
quanto istintivo o spontaneo possa apparire l 'atto della sua emissione, è pro­
priamente /'espressione del dato, ma è sempre sol tanto un 'espressione ( tra infi­
nite possibili) pronunciata più o meno « sulla scorta » (an Hand, che non si­
gni fica auf Grund) del dato. Qui è l 'autentica origine della nozione del cono­
scere umano com e esercizio di interpretazione e del linguaggio come processo
ermeneutico la cui libertà ed i nesauribilità possono essere negate s o lo in base
all 'ast ratta schematizzazione di un « dato » assoluto e irrevocabile. Estrema­
mente interessanti appaiono, anche sul piano antropologico, i seguenti ril ievi
di R . Rorty : « Se riuscissimo a trasformare la conoscenza da un fatto discor­
sivo, raggiunto attraverso il continuo aggi ustamento delle idee e delle parole ,
in qualcosa di tanto ineluttabile come l 'essere sconvolti oppure l 'essere tra­
passati da uno s guard o che ci lasci senza parole, in questo caso allora no n
avremmo più la responsabilità di scegl iere fra idee e parole tra loro in concor­
renza , fra teorie e vocabolari . Questo tentativo di liberarci dalla responsabilità

è qu e l l o che Sartre descrive come il tentativo di trasformarci in una cosa - in


un etre-en-soi. Nella prospettiva dell'epistemologo questa nozione incoerente
porta a considerare i l raggiungimento della verità come materia di necessità,
vuoi la n ec e s s i t à logica " dell'epistemologo trascendentale, vuoi quella " fisica "
M

dell'epistemologo evolutivo M naturalizzante " . . . Il b isogno imperioso di trovare


queste necessità tradisce il desiderio di liberarsi dalla libertà dell'individuo di
c o stru i re comunque un'altra teoria o vocabolario alternati v i . . . la ricerca del
modo di rendere inutili ulteriori ridescrizioni, trovando la maniera di ridurre a
una tutte le possibili descrizion i , rappresenta un tentativo di sfuggi re alla con­
dizione umana » (La filosofia e lo specchio della nat u ra, cit., pp. 289 s . ) .
76 L 'ORIZZONTE DE LL'ATT I VI T À POTENZ IALE

.casi limite . Senza dubbio il giudizio non sarebbe possibile se non


partisse in qualche modo da un dato sensib ile, ma d 'altra parte
sappiamo ormai troppo bene che il semplice sperimentare non
equivale a giudicare e che i concetti adoperati nel giudizio non
sono necessitati solo dal contenuto appreso ma anche dal nostro
contesto appercipiente. I l caso del giudizio negativo è certamen­
te quel lo che più si presta ad una convincente esempl ificazione 3•
La frase « N o, non è rossa » , riferita alla carrozzeria di un 'auto­
mobile della quale io veda il colore azzurro , ha senso , come
ognuno può agevolmente comprendere , solo se per qualche parti­
çolare ragione volevo sapere se quella automobile è rossa o mi
attendevo che lo fosse . Ed ha senso aoche nel caso che io sia riu­
scito a dare alla macchina solo un rapido sguardo, i nsufficiente
per poter dire quale sia il suo colore ma sufficiente per esclu­
dere comunque che sia rossa. Posso sapere , riguardo all e condi­
zioni in cui avviene la mia osservazione, quel tanto che basta
per essere certo del modo in cui l 'automobile sarebbe dovuta
apparire se fosse stata rossa e, se tutto ciò che di essa volevo
-conoscere era proprio questo, allora sono senz'al tro soddisfatto.
Anzi è addirittura possibile che , avendo calcolato che in quelle
particolari circostanze può essere difficile scorgere l 'esatto colore
della macch ina e, tuttavia, relativamente facile vedere se è o non
è rossa, io abbia consapevolmente li mitato le mie esigenze e
abbia form ulato il mio problema in modo che esso consista uni­
camente nel sapere se la macchina è rossa . I n tal caso , certo , la
mia osservazi one può dirsi riuscita , mentre non si sarebbe potuto
dire Io stesso se da essa mi fossi aspettato di più.
Ma siamo certi che questo discorso si applichi soltanto al giudizio
negativo e non ad ogni giu dizio, soltanto a « questa automobile
non è rossa » e non anche a « questa automobile è rossa » ?
Dopo tutto perché d i co c h e l 'automobile è rossa e non che è
veloce , che è bella o che è di grossa cilindrat a ? Lo d ico perché
è ciò che, per questa o quella rag ione , ero preparato ad osser­
vare . Non si trattava (e nella pratica non s i tratta quasi mai , a
meno di non trovarsi in situazioni del tutto a rtificiose predisposte
per fini assol ut amen te particolari) di scegl iere la cosa più inte­
ressante da d i re i n t orno alla macchina o di dire su d i essa tutto

3 L'ultima parte della bergson iana Evo/u tion créatrice contiene alcune conside·
razioni su questo argomento che sono ormai di venute classiche .
LA V E R I TÀ COM E COER ENZA 77

il possi b ile né , tanto meno, di offrire u n resoconto accurato ed


es a uriente di una mia privata e del tutto fu ggevole e sperienza.
Il mio i nteresse era semplicemente di sapere se essa è o non è
rossa ; e mi era evidentemente noto che cosa doveva essere in­
cluso e che cosa no sotto la voce « rosso » perché , ai fini del giu­
dizio che dovevo emettere , ciò era accuratamente determinato
dalle esigenze dell 'ipotesi o della teoria che dovevo sottoporre a
controllo . I n ogni giud izio , dunque , sia la scelta dei termini sia
il s i gnificato in cui essi vengono assunti appaiono determinati
da u n cont esto teorico più o meno complesso , ante riore alla sin­
gola ap p rensione e da essa indi pe ndente 4• E naturalmente possi­
bile ed anzi è sin troppo facile per uno sperimentatore porsi do­
mande alle quali le sue concrete possibilità di osservazione non
consentono di rispondere : sì che a buon diritto il trionfo del
metodo scientifico è stato ravvisato nella capacità di rivolgere
alla natura i quesiti di volta in volta più appropriati accertan­
dosi se ci si trova nella posizione giusta per compiere le rileva­
zioni necessarie , cioè per sperare d i ottenere una risposta a l le
prop rie domande . Si ponga mente , però , alla situazione che così
si delinea . Da un lato l 'osservazione che detiene un autentico
valore ed un 'effettiva rilevanza agli occhi del pensiero riflesso
non può non essere illuminata e diretta da una teoria ; dall 'altro
non è p ossi b ile non vedere , al tempo stesso , la teoria come ciò
che può scaturire solo d all a sperimentazione e al cui consegui­
mento lo svolgers i delle osservazioni è essenzialmente orientato ,
ossia come qualcosa che della fase sperimentale costituisce il tra­
guardo o il punto d 'arrivo . Sembra allora che alla meta si debba
già in certo modo essere pervenuti prima ancora di poter indi­
viduare i mezzi idonei per giungervi ; sembra di trovarsi in una

t I l carattere prelimi nare della domanda rispetto ad ogni conoscenza e ad ogni


discorso autentici , il fatto che non si compiano esperienze senza porre domande
essendo la struttura della doman da presupposta appun to in ogn i nostro contatto
rilevante con la realtà, il pri n c i p i o che i l significato di una proposi zione è rela­
tivo alla domanda cui essa vuole rispondere, sono tutti m otivi chiaramente af­
fermati da Gadamer in Verità e Metodo, cit. (pp. 4 1 8 ss., 427 ss.) , i n un con­
testo nel quale viene messa i n rilievo l 'i mportanza sia storica sia speculativa
della tecnica del d ialogare platonico come primo documento, entro il pensiero
occidentale, della consapevolezza dei carat teri dell 'autent ica esperienza erme­
neutica (significativo è anche il richiamo, contenuto in una nota di p . 427 ,
alla celebre dottrina crociana della Logica secondo la quale , appun to, ogni
definizione è da vedersi come ris p osta a una domanda e, quindi , « stori ca­
mente ») .
78 L'ORI ZZONTE DELL'ATT IVITÀ POTDIZIALE

situazione fondamentalmente circolare, anche se non è d etto che


debba trattars i , poi , di un ci rcolo vizioso. I n effetti una domanda
include sempre , per sua natura, una qualche nozione della natura
generale di ciò che può valere come risposta ad essa ; quando si
desidera conoscere qualcosa non si può non sapere , per quanto
in forma vaga , che cos 'è ciò che si desidera conoscere . O , per
prospettare la cosa in maniera solo un poco divers a , non ci ca­
pita mai di imbatterci in un ostacolo di qualche natura senza
disporre di una cornice concettuale, di un quadro teorico entro il
quale collocarlo : se non li possedessimo affatto non potremmo
nemmeno, propriamen te , coglierlo come ostacolo , non potrem­
mo neppure avvertire un qualsiasi impedimento sul nostro cam­
mino . Il pensiero riflesso è un 'attività intenzionale il cui scopo
è comprendere: e sappiamo éhe comprendere (capire , spiegare)
qualcosa si gnifica collocarlo nel contesto di un sistema entro il
quale possa apparire come non puramente contingente . Il movi­
mento della riflessione sorge proprio quando ci troviamo di
fronte ad un quid - sia esso un'idea o un fatto sensibile - che do­
vremmo o vorremmo inserire in un sistema già presente e ope­
rante nella nostra mente , ma che per parte sua sembra resistere a
tale inclusione. :t come se dovessimo collegare un'isola ad un
continente ma non sapessimo come fare in concreto : dallo stato
di tensione e di disagio associato a tale situazione sorge quella
che chiamiamo riflessione , la quale ha innanzitutto il compito
di risolvere o di tradurre la condizione aporetica in una domanda,
in un interrogativo preciso (e, se occorre , in una serie di int erro­
gativi) . I l pensiero riflesso, infatti , non è altro, nella sua essenza,
che l 'attività di rispon dere a domande ; avendo sempre la sua
genesi in una situazione problematica esso si nutre di interro­
gativi procedendo costantemente sotto la loro guida, per così dire.
E in questa struttura del domandare , riguardato come documento
dell 'interno lavorìo di un sistema che tende al ricostituirsi del
proprio equil ibrio ad un livello più alto (e quindi ad una maggio­
re specificazione della sua iniziale, inevitabile genericità) , ravvi­
siamo una sostanziale analogia con la situazione che già avevamo
evidenziata parlando dell 'ap prensione degli universali così come
avviene fin dagli albori della nostra vita psichica 5 : si tratta di

s Si veda a p . 30.
LA V E R I TÀ C O M E COERENZA 79

que l lo schema o di quel modello circolare che ormai ci si mostra


non già come la caratteristica di questa o di quella fase, di questo
o di quel comparto della nostra attività pensante, bensì come il
respiro stesso di tale attività in ogni suo manifestarsi, come il
ritmo s egret o che ne scandisce ogni movimento . Ma, in tal modo,
non abbiamo forse trovato - al termine di un itinerario sviluppa­
tosi lungo le direttrici di una riflessione sugli aspetti più gene­
rali del conoscere - gli e sse nzi ali lineamenti speculativi di qu el
circolo e rmeneutico del quale Heidegger afferma nel § 32 di
Sein und Zeit che « se si vede [ i n esso ] un circolo vizioso e se
si m i ra ad evitarlo o semplicemente lo si " sente " co m e un'irrime­
diabile imp e rfez i o n e , si fraintende la comprensione da capo a
fondo » , i n quanto « l 'importante non sta nell'uscir fuo ri del cir­
colo, ma nello starvi dentro nella man iera giusta » 6 ? E si tratta
a p p unt o di una st ru tt u ra tanto fon d a men tale da no n sembrare
i d on e a a seg na r e il discrimine fra il procedere delle scienze dello
s p iri to e q u e l l o delle scienze naturali , a meno d i n on avere una
v i s io ne del tutto inadeguata delle condizioni nelle qual i queste
ul time p os s o n o svil up p arsi e progredire . N o n ha, in e ff et ti , la
scienza fisica imboccato la strada che le ha procurato tanti suc­
cessi p ropri o qua ndo i suoi cultori hanno appreso ad accostarsi
alla natura non da s e mp l ici d i s c e p ol i ma pe r così dire d a mae­
stri , ponendole domande p rec i s e e cercando di costri ngerla a ri­
s pon dere ad esse mediante l 'accorta predisposizione di i donei
p rogr ammi sperimentali? 7 • C e rt o , la presenza fra le proprietà
dell 'oggetto stu d i at o di una caratteri stica così rilevante come la
libertà è tale da conferi re al concetto di interpretazione, quando
vie n e applicato al mondo umano , una valenza ul teriore e p i ù
tipica , c h e è infatti que ll a con c ui esso per lo più compare nel
dibattito odierno ; ma non sembra , d 'altra p ar te , che siano in
errore gl i orientamenti favorevoli a scorgere n ell ' e rm ene utic a

6 Si ve d a a p. 194 della tr. it. di P . Chiodi (Long a nesi , M ilano 1 976') .


1 Ancora Rorty osserva in p ro p o s it o : « Quando Galileo formulò il suo voca­
bolario matematizzato concludeva con su c cesso un 'indagine c he in realtà era ,
nel solo senso c he posso attribuire al termine, ermeneutica . Lo s tesso vale per
Darwi n . Non vedo a lcun a i n teressante differenza tra ciò che es s i facevano
e ciò che fan n o gli esegeti biblici, i critici letterari o gli storici della cultura » .
Infatti c a mio avviso, essere " interpretativi " o " ermeneutici " non significa avere
uno speciale me t o do ma semplice ment e ricercare un vocabolario che d i a un
certo affidamento ,. (Conseguenze del pragmatismo, cit., p . 201 s.).
80 L'ORIZZONTE DELL 'ATTI VI TÀ POTENZ I A LE

qualcosa che, per l 'essenzialità e l 'ampiezza delle tematiche da


essa evocate, p u ò svolgere la funzione tradizionalmente e sercit a t a
dalla teoria generale della conoscenza , mettendo in luce mecca­
nismi e processi appartenenti al conoscere come tale ed aiutan­
doci a vedere quest 'ultimo in una prospettiva più unitaria di
quanto la tradizione non ci avesse abituato a pensare (senza che
tale spinta verso l'unità debba p eraltro andare a beneficio di
istanze riduzionistiche dell 'uno o dell'altro tipo , secondo una
tendenza deteriore della quale la storia della filosofia e della cul­
tura ci hanno notoriamente offerto più di u n esempio) 8• Il cir­
colo ermeneutico, a ben vedere, affiora per la prima volta alla

a Ne La filosofia e lo specchio della nat ura Rorty afferma che l a diffusa e ra di­
cata tendenza a vedere nell'ermeneutica un modello teorico soft, adottabile
nello studio di ambiti oggettuali cui non sembra applicabile, strutturalmente o
per lo meno di fatto, il « metodo scienti fico » vero e proprio (quello tematizzato
dall '« epistemologia ,. in senso stretto, dalla hard ph ilosophy of science) , si può
in realtà spiegare facendo riferimento alla distinzione tra scienza « n ormale »
e scienza « rivoluzionaria » e alla naturale inclinazione a privilegiare e , quas i ,
ad ipostat izzare l e strategie e gli « stili ,. cognitivi caratteristici della prima, la­
sciando in ombra le modalità, spesso altamente problematiche, della loro genesi
storica. « Da questo punto di vista, la l inea che divide i campi rispettivi dell 'epi­
stemologia e dell'ermeneut ica non ha a che fare con la differenza tra Natur·
wissenschaften e Geistes wissenschaften , o tra fatto e valore, o tra " conoscenza
� solo differenza di fami­
ogget tiva " e qualcosa di più improvvisato e dubbio.
liari tà. Avremo un atteggiamento epistemologico quando, conoscendo perfetta­
mente quel che s ta succedendo, sentiremo l'esigenza di codificarlo per am­
pl iarlo, o irrobust irlo, o insegnarlo, oppure per " fondarlo " . Saremo ermeneutici
quando, non comprendendo quel che succede, saremo tuttavia abbastanza one­
sti da ammetterlo ... Questo significa che poss iamo assumere u n atteggiamento
di commisurazione epistemologica solo quando abbiamo gi à convenuto sulle
norme della ricerca (o, più in generale, del discorso) - tanto nell"' arte accade­
m ica " , nella fìlosofia " scolastica " , nella " politica parlamentare ", quanto nella
scienza " normale " . Lo possiamo assumere ... perché, quando una pratica è
durata abbastanza a lungo, le convenzioni che l 'hanno resa possibile ... sono
relati vamente facili da isol are . . . Non c'è nessuna difficoltà nell 'ottenere la
commisurazione nella teologia, nella morale o nella critica letteraria quando
queste arce di cultura siano " normali " . In alcuni periodi è stato altrettanto
facile determin are quali crit ici avessero una " percezione giusta " del val ore di
una poesia quan to lo è oggi determin are quali esperimenti sono in grado di
fornire osservazioni e misurazioni prec ise. I n al tri periodi... sapere q uali scien­
ziati stiano realmente ofT rendo spiegazioni ragionevoli può risultare t a n to ditTi­
ci le quanto ca pire quali pit tori siano destinati all 'immortalità » ( p . 244 s.). Il fi.
losofo ameri c<�no gi unge alla conclusione che l 'ermeneutica dovrebbe essere
riguardata non come un metodo (il « metodo delle scienze umane », à la
Dilth ey) ma come un atteggiamen to, à la Gadamer: l 'atteggiamento culturale e
i n t ellet tuale cui precisamente si giunge quan d o si mette da parte l 'i d ea tipica­
mente moderna ( c<�rtesi ano-k antian<J) di u n « metodo » della conoscenza , con
LA VERITÀ COM E COERENZA 81

consapevolezza del pensiero occidentale nella veste del ben noto


dilemma sofistico che impegnò Platone : se sai che cosa cerchi ,
la tua ricerca è inutile perché lo possiedi già , se invece lo cerchi
perché non lo c onosci , non saresti in grado di riconoscerlo
qualora lo trovassi e la tua ricerca sarebbe egualmente inutile.
Non è un caso che alla mentalità schiettamente eleatica cui que­
st ' argome n to si ispira il circolo appai a senz 'altro nella forma d i
un insolubile p a ra dosso ; la dottrina dell 'anamnesi concepita da

Platone rappresenta a tutt 'oggi uno dei p iù vigorosi e determi­


nanti contributi all'enucleazione degli elementi della struttura
originaria del sapere ed a nostro parere qualcosa di molto simile
ad essa rimane alla base di tutte le fondamentali argomentazioni
antiempiristiche apparse nella s toria del pensiero success i vo , ivi
compresi certi spunti in tale direzione provenienti dalle correnti
epi stemologiche contemporanee , cioè da orientamenti e da conte­
sti problematici che di platonico in senso proprio non hanno
nulla 9 (e chi fosse incline a sopravvalutare la portata degli in­
dubbi elementi « mitici » che essa contiene nella sua originaria
formulazione storica non potrebbe comunque trovare più nulla

tutti i suoi annessi e c on n e s s i , e si è prop ens i a concepire la propria attività


d i ri cerca più come un mo do di « far fro n te » a certe s i t u a z i o n i n a t u rali o
u ma n e , i nstaurando con esse una sorta di « d i a lo g o • o di « co nversa z i o ne »
da t e n e re sem pre aperta, che non come l 'adesione a precisi canoni o c r i t eri di
razional i tà fin a l i z zati al consegu imento d i una corrispondenza tra le proprie
ra p p re sen ta z io n i conosc i t ive e l e strutture del reale. Proprio i n questa i dea,
del resto, è rac c h ius o il s e n s o fondamentale del la propos ta neopra g m a t i s t i c a
rivolt a d a Rorty alla c ul t ura contemporanea e sv i l u p p a t a nei due libri p i ù
volte c i t a t i . U n a proposta che s us c i t a certamente il nostro in teresse e c h e , i n
u n a certa misura , ci trova a n c h e consenzi enti. Peccato che non v a d a es ente
d a v ena ture e da c o m p ia c i m e n t i irrazion a l i s t i c i e , i n d e fi n i t i v a , a n t i fi losofic i ,
imputab ili alla d i s c u t ibil e i nterpre tazione che da p i ù parti - a c o m i n c i a re d a l l o
stesso K u hn - si è d a t a del la d i s t i nzione, i n sé accettabile, tra sc i en za norm a l e e
rivol uzionari a . Ma di c i ò p a r l ere mo p i ù ava n t i .

9 S i p e n s i solamente al v a l i d i s s i mo ri lievo po p p er i a n o secondo i l quale s e la

scienza fosse dovuta part ire dall 'osservazione non avrebbe com p i u to nemmeno
il p ri mo pa s s o , perché s enz a ipotesi o aspe t t at iv e d i qu a l c h e t i po non saprem­
mo n e ppure che cosa guardare. Ne viene che la nostra mente non p otr ebbe mai
essere la c la ss ica tabula rasa voluta d a l l a trad i z ione e m p i ristica perché ogni
nos t ra osservazione è già sempre , in rea l t à , « i m p reg nata di teori a ». Ma che
cosa p u ò signi ficare ciò se non ch e lo s p er i m e n t a t o r e è se m p re una mem oria ,
una com pl e s s a memoria biologico-culturale in c on t i n u a interazione con il suo
ambiente? Tanto basta, d u n q u e , perché questo c o n cet to s i fac c i a strada anche
a l l 'interno d i un o ri zz ont e n a t u ra l i s t i c o , s e s i vo g l i ono evitare le p i ù gravi d i f­
ficoltà co n n es se all'osservativismo della teori a e p i s te m ologi c a tradi zionale.
82 L'ORIZZONTE DELL 'ATTIVITÀ POTENZIALE

di mitico in quella dottrina dell'eros che , sorta anch'essa da que­


sta problematica, una problematica mossa in ultima analisi dal­
l 'esigenza di chiarire il senso del socratico « sapere di non sape­
re » , resta ancora la più potente caratterizzazione cui sia perve­
nuta l 'antropologia filosofica dell 'Occidente) .
Procedendo nell 'esame dei significati e degli aspetti che l a ci rco­
larità può assumere non s i deve poi dimenticare che ess a , oltre
che come interconnessione fra teoria ed esperienza (quel suo
aspetto che si ricapitola simbolicamente nella rivendicazione del­
l 'universale astratto) , si configura anche come interconness ione
dei momenti interni alla teoria (il che chiama invece in causa la
dimensione dell 'universale concreto) . Anche questo secondo
a spetto si ritrova in Platone, almeno per quel tanto che la dialet­
tica platonica può e deve considerarsi come un impresc i ndibile
antecedente storico della dialettica di H egel ; ma è toccato so­
prattutto a quest 'ultimo pensatore l 'onore (e l 'onere) di svilup­
pare o d i elaborare tematicamente , in forma metodica e completa,
il fondamentale motivo dell 'assoluta interdipendenza dei signi­
ficat i . In questo caso la circolarità è data dal fatto che l a posi­
zione o considerazione dei singoli termini è possibile solo se è
insieme noto il modo di presentarsi della struttura , consistente
nella posizione della relazione dei termini . Il man ifestarsi della
complessiva costellazione teorica non è dunque un risultato che
s i realizzi soltanto al termine dell 'analisi delle componenti ma
è immanente ad ogni momento di questa , sì che l 'appartenenza
della parte al tutto è posta in quanto sia posta o saputa i n qualche
modo la concretezza del tutto : onde si può dire che la validità
dell'analisi implica la precomprensione del contesto . D 'altra
parte quest 'ultima suppone a sua volta una qualche notizia delle
singole componenti, sì che al circolo non si sfugge . Non è difficile
rendersi conto che una tale situazione rapprese nta in certo qual
modo l 'inverso della si tuazione delineata i n precedenza : come
quella era idonea soprattutto a mostrare la non autonomia e
non autosufficienza del momento osservativo, così questa si pre­
�ta particolarmente ad evidenziare l 'intima relatività , provviso­
rietà, incertezza che sempre caratterizza H momento teorico nel
suo vario esprimersi , quel carattere di « prova >> o di « tentativo »
che da esso non è mai del tutto disgiunto. :t chiaro che da un
punto di vista meramente intellettuali stico l a circolarità testé
prospettata può apparire del tutto paralizzante , ma è questa una
LA VE R I TÀ COM E COE R E N ZA 83

conseguenza dalla quale traspare appunto l 'insufficienza di un


simile punto di vista : in effetti ci troviamo di fronte a una di
quelle d ifficoltà dalle quali si può uscire solo deambulando , ossia
i n certo qual modo accettandole e cercando di trarre partito dalla
necessità di muoversi entro il loro orizzonte . Il che significa , per
esempio, non pretendere di definire in senso proprio un determi­
nato concetto o i l significato di una determinata parola prima di
adoperare in concreto quel concetto o quella parol a , quasi si vo­
lesse conquistare subi to una posizione che possa senz 'altro im­
pedire ogni errore nella prassi del l 'uso concreto : quasi, insomma,
che l a verità e l 'errore non venissero gradualmente alla luce pro­
prio dai rapporti impliciti negli enunciati o , meglio, nei sistemi
di enunciati e nei contesti linguistico-teorici sempre più complessi
costruiti grazie all 'iniziale , coraggiosa decisione di aderire alla
vaga ed instabile precomprensione quotidiana dei significati (pre­
com p rensione già da sempre esprimentesi in forme propos izio­
nali, per quanto semplici ed elementari) 10• Per quest 'aspetto si
tratterà allora di sostituire al primato della categoria di sostanza
quello della categoria d i relazione o di funzione o di operazione ,
gi u ngendo a vedere nel circolo fra il tutto e le parti di un contesto
teorico l 'indicazione di una circolarità più profonda sussistente

J o Ciò rappresenta una convalida della nota a ffermazione kantiana secondo la

quale un concetto distinto è possibile solo per mezzo d i un giudizio ed un


concetto completo è possibile solo per mezzo di un ragionamento. He ge l dal
canto suo rileva nel § l dell 'Enciclopedia che « la fi losofia può ben presup­
porre, anzi deve, una certa conoscenza [Bekanntschaft, propriamente " familia­
rità " , notoriamente distinto da Erkenntnis] dei suoi oggetti, come a nche un
interessamento per essi : non foss 'altro per questo, che la coscienza nell 'ordine
del tempo se ne forma prima rappresen tazioni che concetti; e lo spirito pen­
sante solo attraverso le rappresentazioni e la vor a n d o sopra queste progredi sce
alla conoscenza pensante e al concetto ,., Lo stesso sapere filos o fi c o , dunque,
risul t a soggetto alle condizioni ora v iste, che accom pagnano inevitab i lmente
Io sviluppo di ogni forma dell 'umano conoscere . M a nel suo caso particolare
una simile situazione sembra configurare una d i fTico l tà di non l i eve m o mento ,
essendo la fi losofia proprio quella d i sci p lin a che « non ha i l vantaggio, del
quale godono le altre scienze, di poter presupporre i suoi oggetti come imme­
diatamente dati dalla rapprese ntazione, e come già ammesso ... il metodo del
suo conoscere ,. , secondo ciò che dice lo stesso § 1 nel suo esordio: se in filo­
sofia è • inammissibile il fare o i l las ci a r correre presupposti ed asserzioni ,.
sorge infatti • la difficoltà del com inciare ,. , perché • un com inciamento, es­
sendo qualcosa di immediato, form a , o piuttosto è, esso stesso, un presuppo­
sto • (lbid.) . � questo un problema assai i mportant e , sul quale ci soffermeremo
nella seconda parte del presente lavoro.
84 L'ORIZZONTE DELL'ATT IV ITÀ POTEN Z I A LE

fra teoria e pras si , secondo lo spunto felicemente compen diato


nelle parole di un celebre epistemologo contemporaneo : « S i d à
spesso p e r scontato che una comprensione ch iara e d istinta d i
nuove idee n e preceda, e dovrebbe precedeme , l a formulazione
e l 'espressione istituzionale . . Prima abbiamo un 'idea, o u n pro­
.

blema , e poi agi amo , cioè parliamo, o costruiamo , o distruggia­


mo. Questo non è però certamente il modo in cui si sviluppano
i bambini piccol i . Essi usano le parole, le combinano , giocano
con esse , finché pervengono ad afferrare u n significato che
finora era sfuggito loro . E l 'attività iniziale di gioco è un pre­
supposto essenziale del l 'atto finale della comprensione. Non c 'è
alcuna ragione per cui questo meccanismo dovrebbe smettere di
funzionare nell'adulto. Dobbiamo attenderc i , per esempi o , che
l 'idea di libertà possa essere chiarita solo per mezzo di quelle
stesse azioni che dovrebbero creare la libertà. La creazione d i una
cosa , e la creazione più la comprensione piena di un'idea corretta
della cosa, sono molto spesso parti di un medesimo processo in­
divisib ile e non possono essere separate senza determinare l ' in­
terruzione del processo. I l processo stesso non è guidato d a un
programma ben definito e non può essere guidato da un s iff atto
programma , in quanto conti ene le condizioni per la real izzazione
di tutti i poss ibili programmi . Esso è guidato piuttosto da un
vago impulso, da una " p assione ., ... la quale dà origine allo spe­
cifico comp imen to, che a sua volta crea le circostanze e le idee
necessarie per analiz zare e spiegare il processo , per renderlo
" razionale ., » 11• Probabilmente in questa descrizione la alogicità
o arazionalità dell'« im pulso » o della « passione » iniziali è stata
sopravvalutat a , tuttavia la ricostruzione complessiva del processo
ci sembra sostanzi al mente corretta ed an che acuta .
Le due val enze della c i rcolarità d a noi individuate hanno così
messo in ril ievo due aspetti tra loro complementari : l 'inqu adra­
mento di ogni osservazione entro un contesto teorico e la sost i tu­
zione , come modello secon do i l q uale concepi re la struttura del­
Ia teori a , del parad igma dell 'e d i ficio (basato sul rapporto asi m­
metrico tra fon d a mento e fond ato) con quello del cam p o di
forza (Quine) o, volendo muoversi più in armonia con una certa
trad izione, con quello dell 'organi smo b iologico. Ora , ment re il

Il P. K . Fcyerabcnd, Con l ro il me/odo, trad. Sos i o , Fcltrincll i , Mi lano 1979, p. 23.


lA V E R I TÀ COM E COERENZA 85

primo a spetto sembra mettere in crisi il tradizionale concetto del­


la verità come corrispondenza 1 2 , il secondo pare rivolgersi contro
l'altro classico concetto della verità come evidenza. � quello che
ora cercheremo di vedere in maniera più dettagliata , prendendo
le mos se da questo secondo versante .

2 . Coerenza ed e viden z a

Si ritiene che per dimostrare una proposizione occ o rra richiamar­


si ad altre proposizioni dalle quali la prima consegue. M a come
è possibile conoscere la verità di queste altre proposizion i ? Se
occorre riferirsi ad altre proposizioni ancora , dove terminerà
la s eri e ? Naturalmente essa terminerà quando si tro v eranno as­
serti che non hanno più bisogno di prova, essendo per sé stessi
evidenti : i cosiddetti assiomi , cioè il tipo di proposizioni che
Euclide ammise come punti di partenza della sua costruzione
e dalle quali dedusse i suoi teoremi . Questo processo di dedu­

zione è, poi , a sua volta possibile solo se si conforma a certe

12 G iova precisare fin d 'ora che non sarà nostro intendimen to, nelle pagine che
seguono e s p e cialm e nt e nel terzo paragrafo, muovere all 'attacco della nota
dottrina di A. Tarski. Non avremmo alcun biso g no d i entrare in confli tto con
una teori a c he si inquadra i n un ori zzon te stre t t amente sem a n t i co e che dal suo
stesso a u t ore è stata pre sent a t a come « neutrale » (quindi i rrilevante) rispetto
a quel piano e p i s t em olo g i co che è a l cen tro del nostro interesse in questa sede.

P e r la c o s truzion e di un sis tema logico-l ingu i s t ico è del t u t to i n d i fferente c h e


la rel a zione semantica anal izzata dal logico polacco s ia la corrispondenza ad
una real t à detenninata anterionnente ad ogn i esperienza possibile o la quali­

ficaz io ne dei singoli g iudiz i in base alla loro inseri b i l i t à , in u n momento deter­
minato, nel c onti nuo processo di i n terpre tazione e d i sistemazione dell 'espe­
rienza : sì che non ha torto D . Davidson nell 'a ffermare che, nel senso i n cui la
teoria di Tarski è una teoria della corrispondenza , « nessuna battagl i a è stata
v i n t a , e n e p pure combat tuta fra la teoria della corrispondenza e le al tre » ( True
to the Facts, c Journal of Phi losophy » , 1 969 , p. 7 6 1 ) , cioè nessuna battaglia
che co n ce rn a la erkenntnistheoretisch controversa « teoria della veri tà come cor­
rispondenza » , di c u i le teorie della coerenza e pra gmatiche sono ritenut e
essere alternative. D ' a l t r a parte, si può osservare che la s empli c e esistenza d i

u n a ltro piano , rispetto al qual e l e con s iderazioni d i indole epistemologica


risultano e s s e i n s uffic i enti , ha a s u a volta u n preciso e non trascurab i l e signi­
ficato. Sull'opportunità, d a noi riconosc iuta, di d i s t i n guere con cura il criterio
di verità (cui si riferisce la problematica qui d i rettamente affron tata) dal­
l 'essenza o natura d e ll a medesima (riguardo alla quale è da tenersi ferma la
tesi tars k i a na) si v e d ano le osservazioni conclusive del l ' i n tera prima parte di
questo lavoro.
86 L 'ORI ZZON TE DELL'ATT I V I TÀ POTE!'IZIALE

leggi logiche , in rapporto alle quali si ripropone il medesimo


problema : come giustificarle nel caso che vengano poste in que­
stione ? Non certo con una prova o con una dimostrazion e , perché
s i tratta appunto delle leggi che regolano i procedimen t i infe­
renziali e dovremmo tacitamente ammetterne la validità i n qual­
siasi prova che ne volessimo dare . Ci troviamo dunque nella
condizione di non poter assolutamente dimostrare asserzioni che
d 'altra parte non possiamo non ritenere certe, e che cosa può
significare tutto ciò se non che si tratta di verità intrinsecamen­
te evidenti ? Di fronte a questa posizione tradizionale , del resto
perfettamente conforme ai canoni del senso comune , due sono
gli atteggiamenti da assumers i , a seconda che si consi deri il caso
degli ass iomi o quello delle leggi logiche .
La discussione del primo caso è senza dubbio la più agevole ,
ora che da tempo la stessa matematica , c i oè la scienza alla cui
struttura si era ispirato il modello appena v isto , ha cessato di
appellarsi ali 'autoevidenza o alla certezza immediata degli assio­
mi , mettendone sempre più in luce la natura d i « postulati » e
presentandosi come i l luogo privilegiato della costruzione di siste­
mi ipotetico-deduttivi sempre più raffin ati , tali da fornire ade­
guati supporti teorici allo studio di svariati settori dell 'esperien­
za ma non da rispecchi are alcuna struttura « naturale » od
« obiettiva » delle cose. Non è qui il caso di ripercorrere l 'arci­
nota vicenda della nascita delle geometrie non euclidee nel se­
colo scorso , che ha rappresentato la tappa decisiva sulla v i a del­
l 'acquisizione di questa consapevolezza. Oggi è normale ritenere
che la scelta delle proposizioni primitive di un sistema sia princi­
palmente una questione di convenienza tecnica e che ciò che è
logicamente primitivo all 'interno di un particolare sistema possa
benissimo essere qualcosa di derivato in un altro. La credenza
nell 'indispensabilità a livello logico di primi principi dotati di
validità ontologica o nell 'autoevi denza di ciò che occupa una
posizione logicamente privilegiata non trova conferma nell a s trut­
tura degli odierni sistemi ipotetico-deduttivi , dal punto di vista
dei quali « logicamente anteriore » significa soprattutto « dedut­
tivamente più fecondo » , o anche « più semplice » , intendendo
questo termine essenzialmente nel senso di più comodo o più ma­
neggevol e per le esigenze della deduzione . M a una prospettiva
del genere è per sua natura olistica : essa equivale infatti ad af­
fermare che non vi è nulla che sia basilare o fondante in se stesso
LA VER ITÀ COM E COERENZA 87

e che g l i elementi basi lari potranno essere isolati solo a partire


da una preliminare conoscenza della costruzione complessiva
all 'i nterno del la quale essi s i danno, e magari mettendo a con­
fronto i risultati ottenuti assumendo ipoteticamente come basi­
l ari elementi di volta in volta d ivers i . Dunque non è vero sola­
m e n te che le propos izioni derivate s i giustificano tramite il loro
rinvio alle primitive, come si sottolineava nella visione tradizio­
n a l e del rapporto deduttivo ; ma è vero anche l 'inverso , cioè che
le proposizioni primitive traggono la legittimazione del loro
rango dalla qualità e dal volume delle conseguenze cui sanno dar
luogo e che non sarebbero raggiungibili per al tra via. Tale ap­
punto è il senso inerente alla concezione della conoscenza come
c i rcolo o come sistema invece che come edificio ben fondato ; e
s i scorge che la principale differenza consiste nel qual ificare l 'ori­
gine non staticamente per la sua posizione , ma dinamicamente
per la sua funzione : appunto per il suo carattere « originante »
(cioè per la sua fecondità euristica e per la sua facilità di utiliz­
zazione, in modo che il punto d i partenza sia veramente ciò da
cui s i parte) e non per la sua tangenza ad un presunto referente
estrinseco del si stema, cioè per la capacità d i assicurare a que­
st 'ultimo un qualche « aggancio » od ancoraggio ad una dimen­
sione extralinguistica , extradiscorsiva , extraconoscitiva .
:E. poi chiaro che non solo la certezza , ma anche il significato delle
proposizioni assiomat iche è strettamente legato al si stema che le
include . Che una linea retta sia la di stanza più breve fra due
punti è vero nello spazio eucl ideo ma può essere falso in certi
spazi non eucl idei , ed anche l 'autentico significato di « linea » ,
« retta » , « breve >> e « pun to >> è una funzione del sistema . I n
qualunque modo possa essere costituito l o spazio « reale » , e pre­
scindendo dal problema se abb ia senso o no parlare di un tale
spazi o , lo spazio della nostra comune esperienza (che non è ,
per esempio, l o spazio curvo della fisica celeste) è del tipo d i
quello descritto d a Euclide ; e quando pensiamo a linee , super­
fici , figure , le costruiamo in accordo con esso. L'assioma che la
linea retta è la più breve appartiene alla geometria dell 'unico
spazio che la maggior parte di noi conosce e sa rappresentarsi ,
e l a natura generale di questo spazio ha a tal punto permeato di
sé i significati dei termini da noi usati che l 'essere la distanza
più breve fra due punti sembra più una componente dell'essere
rettilineo che non una sua conseguenza , per quanto facilmente
88 L'ORIZZONTE DELL'ATTIVITÀ POTENZIALE

deducibile. I caratteri dello spazio e della linea si sono talmente


fusi e compenetrati che una loro dissociazione sembra - e pro­
babilmente è - irrealizzabile . Lo stesso, mutatis, si può dire di
2 + 2 = 4; noi pensiamo ai termini che compaiono in questo giu­
dizio come a numeri , ossia come a membri di un ordine nume­
rico , e se per assurdo ogni rife rimento ad un siffatto ordine ve­
nisse eliminato dai nostri concetti e non pensassimo più , per
esempio, al 4 come al numero 4 con tutto ciò che questo com­
porta , è difficile dire che cosa resterebbe . Sostenere che tali pro­
posizioni sono autoevidenti , nel senso che sia possibile cogl ierne
la verità senza alcun riferimento ad una dimensione c he le in­
quadri in sé oltrepassandole (e venendone a sua volta fondata,
dato che esse ne esprimono una parte integrante) , vuoi dire tra­
scurare una concreta e aderente considerazione del loro signifi­
cato sì da trasformarlo, in definitiva , in una morta pictura in
tabula : vuoi dire , in ultima analisi, adottare nei riguardi del si­
gnificare come tale il tipico atteggiamento formalistico e intellet­
tualistico che già tante volte abbiamo denunciato nel corso di
questo nostro lavoro . Non può essere insomma di alcuna utilità
la disperata ricerca di un residuo di autoevidenza o di intrinseca
certezza dell 'asserto compiuta tentando di espungere da esso ogni
riferimento ad altro , perché ciò che così rimarrebbe non solo
non sarebbe p iù la proposizione dalla quale eravamo parti ti ma
risulterebbe talmente indeterminato da rendere ardua la risposta
alla domanda su che cosa propriamente sia ciò cui attribuiamo
un 'evidenza intrinseca.
Se questo è quanto ci premeva rilevare intorno alla questione
degli « assiomi » , ci resta ancora da formulare qualche osserva­
zione riguardo al problema delle leggi logiche ; e per conferi re a
ciò che diremo su questo argomento i l respiro più ampio possi­
bile prenderemo subito in esame la legge logica suprema , coinci­
dente con il principio che , più d i ogn i altro nell 'orbita dell 'umano
sapere , è sempre stato unanimemente ritenuto come il depositario
dei requisiti dell 'assoluta autoevidenza : il principio di non con­
traddiz ione . E chiaro che , se si riesce a mostrare che anche nei
suoi con fron ti il criterio dell 'evidenza intrinseca in ultima i stan­
za non regge , la battaglia contro tale criterio di verità potrà c on­
siderarsi interamente combattu t a , e potrà dirsi posta al riparo
da ogni poss ibile sorpresa la vittoria conseguit a . Certamente non
si t ratterà i n questo caso d i mostrare che il principio non è real-
LA VER I TÀ COME COERENZA 89

mente evidente perché può essere senza danni sostituito da qual­


co s ' altro o addirittura dal suo opposto, bensì che l 'autentico cri­
terio di tale insostituibilità e indubitabilità non è l 'evidenza in­
trinseca ma qualcos 'altro di cui questa è solo l 'esterno sembiante.
A ben vedere , il cammino per una simile conclusione è stato già
spianato una volta per tutte dalla celebre discussione aristotelica
del Libro IV della Metafisica, sì che per quest 'aspetto la critica
moderna non deve tanto ribaltare le impostazioni tradizionali
quanto cercare di condurre al suo esito ultimo la logica che già
in esse era implicita . � noto che ai negatori del principio lo
S tagirita oppone non una dimostrazione vera e propria , che nella
fattispecie sarebbe per sua natura impossibile, ma una d ifesa del
principio stesso che si traduce in una confutazione dei tentativi
o delle velleità di rifiutarlo ; l ' i). eyx o ç così inteso può assumere
tuttavia più di una valenza o di un 'inflessione , e si tratterà di
esaminarle con cura perché non tutte posseggono la medesima
cogenza e il medesimo valore . M a intanto , prima ancora di af­
frontare questo aspetto centrale della questione, non si può fare
a meno di rilevare la s ingolarità di una situazione caratterizzata
dall 'insorgere del dubbio proprio là dove , secondo i sostenitori
della tesi opposta alla nostra , esso non potrebbe né dovrebbe
sorgere, proprio in quell 'unico territorio che per definizione
si dice che dovrebbe restare immune dalle sue scorrerie. Non è
sufficiente ciò a mostrarci che di fatto il criterio dell 'autoevidenza
rimane inoperante? E non è proprio l ' e).e:yx o ç il momento dal
quale si spera possa scaturire quel criterio ultimo che invano si
cercherebbe in una pretesa intrinseca certezza del principio?
Quale necessità vi sarebbe stata, altrimenti , di porsi seriamente
il problema cui Aristotele ha dedicato buona parte d i uno dei
libri più importanti della sua opera maggiore ? M a cerchiamo
di vedere in concreto che cosa può emergere dall 'esame d i que­
sto problema. Negare il principio di non contraddizione significa
presumibilmente asseri rne la falsità p i uttosto che la verità ; ma
questo equivale già a fare uso del medesimo principio che s i vuo­
le negare , perché nel negarlo certamente non si intende che ,
benché falso, esso possa essere anche vero . La stessa negazione
del principio , per tenersi ferma come tale, deve dunque presup­
porlo : negazione in actu signato , affermazione in actu exercito.
Non v 'è dubbio che un ragionamento di questo tipo s i è già la­
sciato alle spalle di un buon tratto ogni appello alla certezza
90 L 'ORI ZZON TE D E L L 'ATT I V ITÀ POT EN Z I A LE

immediata : una cosa, infatti , è cogliere un 'evidenza intrinseca


(posto che ciò sia possibile) e un 'altra cosa è rendersi conto della
verità di una proposizione considerando ciò che è impl icito nella
sua negazione . Si tratta però di domandarsi se il passo così com­
piuto è veramente risolutivo . In fondo esso equivale ad affer­
mare che chi rifiuta il principio di non contradd izione si contrad­
dice implicitamente , che si deve accettare tale principio per evi­
tare di cadere in un 'incoerenza : una formulazione tautologica
che si lascia sfuggire il punto deci sivo . Il quale può sintetica­
mente esprimersi così : contraddirsi equivale ad annullare il pro­
prio discorso o il proprio pensiero , equivale a non dire o a n o n
pensare nulla . Pensare in modo coerente non significa , in ultima
istanza , null 'altro che riusci re a dare un effettivo contenuto al
proprio atto di pensiero e salvaguardarne , quindi , la positività.
Chi si rifiuta di attribuire alle parole o alle espressioni che usa un
senso determinato ad esclusione di altri , chi avendo detto una
cosa qualsiasi immediatamente la d i s-dice (tale appunto è la na­
tura del contraddir-si) potrebbe benissimo dispensarsi dalla fa­
tica d i aprire la bocca : ché in realtà è come se stesse del tutto
zitto , come se fosse « simile ad un tronco » . Il negatore del prin­
cipio può ribattere , quando gli viene contestato che la sua nega­
zione si può tenere ferma solo in vi rtù del principio stesso , che
ciò che non gli piace nella posizione dei suoi avversari è proprio
questa smania di « tenere fermi » i sign ificati ; dimostrando così
di non rendersi conto che i significati vanno tenuti ferm i 13 non
per altro scopo che per questo : per evitare al proprio dire di

1 3 I l che non i m plica affatto che debbano essere t r a loro « i solati » o " sepa­

rati )) . In generale si può d i re che tutte le rivolte che storicamente sono s t a t e


proclamate con tro i l principio, t u t t e le i n sofTerenze c h e si s o n o avvert i te e c h e
s i possono ancora avvert i re nei s u o i riguardi h a n n o avuto e h a n n o l a loro
ragion d 'essere in questa confusione concettuale, spesso prop iziata dalle i n t er­
pretazioni forma l i s t iche che del pri n c i p i o medesimo sono state date t a n t o fre­
quentemente lungo la storia del pens iero. L'hege l i s m o si può appunto c o n s i d e­
rare c o m e i l massi mo s forzo storicamente com p i u to p e r mostrare che n o n solo
la determ i n a tezza o defi n i tezza dei vari s i g n i ficati non esige il loro isol a m e n to
e la loro rec i proca i n d i pendenza ma che, a d d i rittura , l i v ieta ca tegori c a m e n t e ,
r i s u l tando con essi i ncompa t i b i l e (cfr. la nota 13 al cap . prec . ) . M a s u l l e i m p l i ca­
zioni u l t i m e di questa corretta posizione, nonché sulla parziale verità della per­
suasione che Hegel a b b i a comunque cri ticato i l p r i n c i p i o di non contra d d i­
zione assunto in qualunque sua version e , n o n poss i a m o che rimand a re , ancora
u n a volt a , alla seconda parte d i questo lavoro.
L4. VERITÀ C O M E COERENZA 91

risult are nullo come valore pur configurandosi come qualcosa


di fisi camente reale (emissione di voce, segni tracciati sulla
carta , ecc .) .
Questo è l 'essenziale significato dell' ÉÀ e:yx, o ç aristotelico : e ci
sembra che , convenientemente inteso, esso possa rappresentare
la più rilevante ed autorevole conferma dell 'orientamento riguar­
do al problema della verità che stiamo cercando di difendere in
questo capitolo. Quando, in effett i , ci si trova di fronte al prin­
cipio d i non contraddizione si avverte , in certo qual modo, che
se esso non è valido allora non resta, per così dire , più nulla :

ed è appunto una sensazione del genere ciò che si vuole espri­


mere quando impropriamente si afferma che il principio è « in­
trinsecamente evidente >> . Ma vediamo come questo rilievo s i
può inquadrare n e l nostro schema esplicativo generale intorno
al c riterio della verità . Quando vogliamo saggiare il valore di
una determinata proposizione due sono le vie che normalmente
ci si aprono dinanzi . La .p rima consiste nell 'ammettere la verità
di quella p roposizione e nel domandarsi che cosa ne consegue ;
se vediamo che essa c i conduce a conseguenze che paiono i n mas­
sima parte accettabili e presentano solo una modesta proporzione
di problematicità , riteniamo che il nostro tenerla per vera sia
sufficientemente fondato (perché implica, come sappiamo , l 'ac­
cettazione del rischio relativamente minore) . Si ammetta la verità
dell 'ipotesi evoluzionistica in biologia e si vedrà che innumere­
voli fatti variamente accertati divengono non solo pienamente
accettabili ma addirittura tali da garantirsi un reciproco soste­
gno, mentre non si scorge nulla d i paragonabile , per rilievo e
vastità, che in base alla legge si sia costretti a rifiutare . A mano
a mano , però , che saliamo verso domini sempre più astratti si
accresce il nostro bisogno di un criterio diverso, essendo difficile
o addirittura impo ss i b ile derivare risul tati concreti da leggi o da
principi, poniamo , lo gici o matematici . I nvece di domandarsi che
cosa seguirebbe dalla verità di tali asserzioni appare quindi più
conveniente domandarsi che cosa se g u i re bbe dalla loro falsità.
Determ inare le conseguenze della proposizione che due linee
ret t e non po ss ono circoscri vere uno spazio può essere u n ' imp res a
ardua , ma è in compenso abbastanza facile vedere che se tale
proposizione viene rifiutata l o spazio eucli deo ha ricevuto i l ben­
servito. Né le cose vanno diversamente con una qualunque pro­
p o si z ion e fra quel le che sono per solito ritenute « assolutamente
92 L'ORI ZZONTE DELL'ATTI V I TÀ POTENZIALE

certe » o « immediatamente evidenti » . Dinanzi al giudizio che


« arrecare dolore a qualcuno senza ragione è un 'azione ma lva­
gia » noi possiamo senz 'altro affermare che se esso è falso non vi
è nessun ordine morale , nessun mondo di valori , e questo è certa­
mente l 'autentico fondamento del l '« evidenza » di quel giudizio.
Di fronte all 'asserzione che 2 + 2 = 4 possiamo dire « o tale as­
serzione è vera o non vi è alcun ordine numerico » . Di fronte alla
citata affermazione riguardo alle l inee rette possiamo d i re « o
così o niente mondo spaziale come noi lo conosciamo » . Quando,
infine, giungiamo dinanzi all 'affermazione che « una proposizione
non può essere al tempo stesso vera e falsa » non ci resta che
dire « o così o niente del tutto » . Questa, infatti, è proprio l 'af­
fermazione rifiutando la quale ci si sequestra da ogni possibile
ambito di verità e, dunque , può bene essere detta legge d el l 'essere
come tale (laddove le precedenti erano leggi o assiomi della mo­
rale, della quantità discreta, dello spazio . . . ) , appunto perché è
insieme legge del pensiero e del suo contenuto (di ogni suo con­
tenuto) . Anche l 'uomo più alieno da sottigliezze e da virtuosismi
dialettici si rende conto che se un tale principio non è valido il
significato delle sue più elementari persuasioni, in qualunque
campo esse s i situino, viene minato alla ra dice e che la sua atti­
vità pensante è ridotta alla paral isi. Proprio quest 'ultimo è il
punto più importante : dalla falsità del principio, infatti , non
segue tanto una conclusione impossibile quanto l 'impossibilità
di qualsiasi conclusione; se la legge non è valida il pensiero , più
che muoversi verso un esito assurdo , semplicemente non può
muoversi affatto. I l principium firmissimum è dunque tale pro­
prio perché riceve la sua patente dalla nostra conoscenza nel suo
complesso , e la sua evidenza , lungi dall 'essere la più intrinseca di
tutte, è in certo qual modo, paradossalmente, la più estrinseca,
perché chiama in causa nulla meno che l ' intero del sapere ( na­
turalmente riguardato nella sua formalità: il sapere come t ale o
l 'ordine del conoscere, che in ultimo si rivela speculativamente
coincidente con l 'essere) . Il nostro criterio di verità, olistico e
pragmatico ad un tempo, ha dun que fornito la sua prova miglio­
re : e se è riuscito nell 'impresa d i espugn are quella che per tra­
dizione è sempre stata cons iderata come la più munita roccaforte
dell 'evidenza immedi ata , allora i « conti » con quest 'ultima , in­
tesa come criterio di veri tà, possono ritenersi definitivamente
saldati .
lA V E R I TÀ COM E COE R E N ZA 93

3. Coerenza e corrispondenza

Ma che dire dell 'altra non meno tradizionale persuasion e , se­


condo la quale il criterio della verità sarebbe da ravvisarsi nella
« corrispondenza ai fatti » ? Come la teoria appena esaminata

pretende di isolare un che di assolutamente immediato nell 'am­


bito delle cosiddette « verità di ragione » , presentandolo come
infallibilmente certo proprio nella sua solitudine , così questa
pretende di fare Io stesso nell 'ambito delle « verità di fatto » . Si
tratta, in fondo , di due specificazioni di quell 'unico criterio che
è l 'evidenza in senso Iato : nel primo caso ci troveremmo di fronte
ad un 'evidenza propriamente « logica », nel secondo dovremmo
piuttosto parlare di un 'evidenza « fenomenologica » . La prima
è l 'evidenza dei « primi principi » del sapere , i ncarnanti l'ideale
deii 'assoluta necessità ; la seconda è l 'evidenza dei « puri fatti »
o dei « puri dati » , incarnanti il tipo dell 'assoluta contingenza .
Se si riesce a dimostrare l 'inconsistenza di un simile schema , al­
lora viene meno anche ogni ragione per affermare una differenza
di natura , e non semplicemente di grado, tra « verità di ragione »
e « verità di fatto » : se , infatti , non vanno concepite né le une
né le altre come qualcosa che si strutturi sopra una « base », al­
lora cade quella tesi il cui unico fondamento era l 'antitesi sussi­
stente fra il genere di base al quale vanno ricondotte le verità del
primo tipo e quello cui vanno ricondotte le verità del secondo.
Ove « tutto si tiene » all 'interno di una struttura circolare , la ne­
cessità non appartiene a nessun elemento preso in sé ma si può
attingere per gradi illuminando connessioni sempre più vaste ;
d 'altra parte , ma per la stessa ragion e , in quel tipo di struttura
non ha alcun senso parlare di una « mera » o « assoluta » con­
ti ngenza , di una « fatticità » irredenta e irredimibile .
Non crediamo proprio d i dover qui ripercorrere dall 'inizio le fasi
di quella dimostrazione del l ' i rrealtà del « puro dato » (di quella
confu t azione del mito della sensazione, del l a legend of given) ,
che ci sembra sia stata sostanzialmente guadagnata attraverso le
riflessioni sviluppate lungo l 'arco di tutto il primo capitolo e per
la quale ulteriori argomenti sono stati addotti nel primo para­
grafo di questo. In questa sede ci propon iamo semmai di formu­
lare qualche consi derazione illustrativa riguardo ad un aspetto
importante e poi , soprattutto, di rispon dere a certe obiezioni
che alla nostra teoria coerentista d el l a verità vengono sol ita-
'94 L'ORIZZONTE DELL'ATTI V ITÀ POTENZIALE

mente rivolte d a coloro che difendono l a correspondence-theory.


In linea di massima chiunque, i n seguito ad una sufficiente ri­
flessione, sarà disposto a riconoscere che ogni procedimento di
verifica delle nostre ipotesi, sia nella vita quotidiana sia nel l ' am­
bito della ricerca scientifica, si appella i n ultima analisi a d un
criterio di coerenza , ma subito aggiungerà che questa coerenza
h a valore solamente in quanto poggia per un lato su ciò che è
dato ind ipendentemente da essa : in quanto è coerenza con i fatti
ritenuti rilevanti. Prescindiamo dall'osservazione che già il giu­
dizio di « rilevanza » così inevitabilmente chiamato i n causa è
.qualcosa che sulla scorta di una semplice descri�ione o registra­
zione del dato osservativo non solo non potrebbe mai essere for­
mulato d i fatto ma neppure potrebbe essere ipotizzato nella sua
possibilità (sl che i fatti che dovrebbero svolgere la funzione di
supporto esterno alla struttura teorica si rivelano già, per que­
sto fondamentale aspetto , come qualcosa d i relativo ad essa).
Prescindiamone, d icevamo, non perché non la riteniamo impor­
tante, ché anzi abb iamo cercato di svilupparla debitamente a
suo tempo , ma perché val forse la pena di affrontare la questione
ad un l ivello più radical e : osservando che , se da un lato non si
può certo negare che esista qualcosa come l a « datità », ossia
una sfera del dato come tale, d all 'altro si deve richiamare con
forza il fatto che , non appena si tenta di esprimere che cosa è
dato, nulla può in ultima istanza venire in soccorso che non sia
un appello a qualche forma di coerenza . L 'esperienza dell 'errore
dovrebbe togliere ogni dubbio al riguardo : non a caso ci eravamo
ad essa richiamati nella nostra trattazione dell 'elemento inferen­
ziale nella percezione come al momento più idoneo a rivelare
quella mediazione nell 'immediato, quella circuminsessione di
dato e costrutto, che costitui sce la struttura originaria del nostro
sapere . Come riconoscere i n concreto e , soprattutto , come cor­
reggere un errore? Se ciò che ci è presente è l 'unica realtà ed
è identico con l'oggetto, come disti nguere la presenza illusoria
da quella autentica ? M a , prima ancora , com 'è possibile che vi sia
una p resenza inautentica? Come si spiega che un medesimo og­
getto possa a secon d a del punto d i vista ap parire, per esempio,
ora con una certa forma geometrica ora con un 'altra ? 14• Sembra

1 4 Su questo tema ci sembrano tut tora valide le con si derazioni formulate d a


P. Martinetti nella g i à c i t ata Introduzione alla Metafisica alle pp. 1 33-37.
LA V E R I TÀ COM E COERENZA 9 '5

a prima v ista - e questa è infatti l a risposta data dal rea l i sm o


d e l senso comune , sostanzialmente accolta da tanta parte del la
tradizione filosofica - che si debba proprio ammettere la presenza
di una realtà in sé che funga da autentico criterio di veri tà , ri­
conducendo le cause dell 'errore alle alterazioni soggettive del
conoscente . Ma la natura puramente verbale di una tale soluzione
non t arda a manifestars i : da che cosa si può infatti riconoscere
la presenza dell 'oggetto reale , cioè dell 'oggetto non occultato o
deformato da interp ola z io n i di alcun genere ? Questa presenza
non è un criterio esteriore , a me noto per altre vie, in base al
quale io possa discriminare fra una percezione e l 'altra : ché ,
anz i , io giudico della presenza reale dell 'oggetto solo in base alla
percezione . Ci siamo dunque avvolti i n u n circolo vizioso , e per
di più sappiamo benissimo come la percezione non vada in nes­
sun modo assimilata ad una mitica « sensazione >) (la quale non
ci sarebbe peraltro di nessun aiuto, anche se la potessimo per
mi racolo attingere) . Due rappresentazion i di un medesimo og­
getto, delle quali una è giudicata vera e l 'altra fals a , non hanno
in sé nulla che le distingua per natura , né hanno nulla che ripu­
gni alla realtà , essendo l 'una e l 'altra egualmente possibili : nes­
suna d i esse reca né potrebbe recare un timbro o una certifica­
zione particolari . Ciò che decide fra loro non è il confronto con
un ordine in sé (che , di nuovo , in quan to appreso non potrebbe
essere se non una rappresentazione in più , incapace di farsi di­
stingue re dalle altre) ma l 'estensione dell 'esperienza , l'appello ad
altri dati , l 'inquadrabil i tà in un 'uni tà più vasta , già sperimentata
e collaudata per proprio conto . Non occorre ribadire che , alme­
no nei casi più comuni ed elementari , sia il carattere ormai istin­
tivo ed automatico acquisito da questo processo sia l 'effettiva
modestia o te n uità, e comunque la semplicità , del l 'integrazione
del l 'e s perienza che esso implica possono renderne difficile la
rilevazione e la tematizzazione; ma , i n ogni caso, ciò che viene
compi uto non va confuso con l ' imposs ibile lettura immed i a t a di
un a corrispondenza tra una fantom atica realtà in sé e una singola
pre s enta z i one Trovandoci in presenza di più contenuti pe rcettivi
.

noi consideriamo il loro complesso come real t à in quanto lo ve­


d i amo suscettibile d i armonizzarsi in un ordine unico , e la rap­
presentazione che risulta irriducibile alle altre (o a qualche con­
ten u t o che presumiamo sia ad esse associato in base alle verifi­
che dell 'esperienza passata) , e quindi in contraddizione con esse ,.
'96 L'ORIZZONTE DELL'ATT I V I TÀ POTENZIALE

è da noi considerata come falsa. Si comprende perciò come in


molti cas i sia difficile sceverare la verità dall 'illusione e sia possi­
bile commettere errori di valutazione : mentre , se il criterio della
verità consistesse in un raffronto intuitivo con la realtà , ciò non
dovrebbe accadere . Ed anche in quei casi la decisione, peraltro
mai definitiva , dipende da un ulteriore ampliamento del proprio
orizzonte , dalla considerazione di un ordine più comprensivo.
« I l criterio . . . non è quindi il raffronto con una realtà obiettiva
extracosciente . . . che sia come il testo da cui deve dipendere la
decisione circa il valore delle sue diverse traduzioni subbiettive.
Non vi sono in realtà che queste diverse traduzioni: il testo è
quella che ci dà il senso migliore » 15 • Non si deve ovviamente
incorrere nell 'errore di considerare questo criterio della coerenza
come un principio astrattamente aprioristico : esso coincide , in
ultima analisi , con l 'attività organizzatrice e unificatrice dello s p i­
rito che , costruendo forme d 'unità sempre più complesse nelle
quali la visione della realtà viene purificandosi dalle imperfezio­
ni e dagli errori che il senso comune non è nemmeno in grado
di rilevare , assume infinite forme concrete nell 'infinito numero
delle sue manifestazioni. Cosi , l 'unità intuitiva di una serie tem­
porale o spaziale in base alla quale giudichiamo della realtà od
irrealtà di un fatto o di un oggetto sensibile non è l 'unità di una
serie causale in base alla quale giudichiamo del valore di un 'os­
servazione scientifica né , come vedremo , il tipo di unità logica in
base alla quale saggiamo il valore di una teoria filosofica . Non
bisogna peraltro dimenticare che in base ai fondamenti ultimi
della dottrina, da noi esposti soprattutto nel secondo capitolo,
l 'unico luogo della coerenza è , a rigore , la totalità : sl che c 'è
solo un sistema propriamente vero , ed è quello nel quale tutto
ciò che è reale e po s sib i l e è armonicamente incluso . Una prospet­
tiva che esige il trascend imento dell'astratta immediatezza d i ogni
singolo contenuto conoscit ivo , e che pone una differenza di grado
e non di natura fra necessità e co n t i n genza , non può sentirsi ap­
pagata di fronte a sintesi limitate e parziali destinate a ripro­
porre prima o po i le stesse u n ila t e ral i t à di principio delle loro
componenti e , soprattutto , non può c e l e brare compiaciuta come
un p roprio s u c r. es s o l 'even tuale prol iferare di linguaggi , sistemi ,

1s C i t . , p . 1 34 .
LA VERITÀ C O M E COERENZA 97

universi reciprocamente incommensurabili o, addirittura , teoriz­


zare la sostanziale identificazione fra ricerca scientifica e creati­

vità artistica 16 , quasi che si potesse pensare di conservare alla


sfera teoretica uno statuto autonomo solo a patto di concepirla
come realisticam�nte dipendente da un referente ad essa estrin­
seco (il che suonerebbe , poi , come un'indiretta convalida della
tradizionale visione del conoscere) . Una prospettiva coerentistica

16 P roprio quest i , com'è noto, sono gli esiti cui giungono le prospettive di
Kuhn e di Feyerabend, ossia di due fra i più celebrati esponenti dell 'epistemo­
logia post-popperiana . Non saremo certamente noi a disconoscere i meriti che
questi autori si sono conquistati con la loro intelligente opera di chiarifica­
zione delle autentiche strutture del sapere scientifico, riguardato anche e so­
prattutto nell a sua dimensione diacronica . Tuttavia essi ci sembrano critica­
b i l i per le conclusioni che hanno ritenuto di paterne trarre : conclusioni che ,
mentre paiono ispirate ad un generale scetticismo riguardo alla funzione del
conoscere come tale, nulla veramente aggiungono ai momenti più validi ed
interessanti della sullodata opera (sostanzialmente riassumi bili, secondo noi ,
nella critica serrata della dicotomia linguaggio osservativo-linguaggio teorico e
nel deciso rifiuto delle nozioni di fondazione assoluta e d i experimentum crucis
n e l campo delle scienze positive) . La teoria dell 'incommensurabilità dei vari
c p a ra d i gm i » non ci sembra essere altro che un modo particolarmente ener­

gico per richiamare l 'attenzione sulla necessità di storicizzare integralmente


l 'impresa scientifica , cioè sulla necessità di allargare l'orizzonte della storia
della scienza fi no a includervi lo stesso mondo degl i oggetti fisic i , ol tre alle
credenze , alle teorie, ai si s t e m i di misurazione che per c ogli e re quel mondo
furono elaborati : e ciò perché il passaggio da una teoria al l a lt r a non modifica
'

soltanto i significati dei termini che compaiono in entrambe m a può giungere


a n c he a demolirne i riferimenti (magari p rop r i o quelli precedentemente più ac­
credita t i ) e a crearne di nuov i , si che l 'universo di discorso come tale viene
anch'esso a trovarsi coinvolto n el processo storico, ) u n g i dal rappresen tare u n
i mm o t o termine di ri ferimento ideale al q u a l e cer ca r e d i « a pprossimarsi » i n ­
defi n i tamente. Ma q u e s t a giusta avvertenza , per a l t r o g i à implicita nella sempl ice
affermazione della coerenza come criterio (la quale è d i per sé sufficiente a
denunci are l 'infondatezza della na t ural istica p resu pposizione d i u n a qualsiasi
c immagine del mondo » al concreto s v o lg ers i della ricerca ) , può comportare

la necessità di intendere il progresso scienti fico non come qualcosa di mera­


mente cumulativo, lineare, continuo (tutte determinazion i , del resto, che n e l l a
sem p l ic e idea della « coerenza » non sono incluse ) , b e nsì come una vicenda
complessa con tenente al suo interno anche discon tinuità o « fratture » : non
implica però l'abbandono d i ogn i i d ea d i progresso o l a fra ntumazione di og n i
orizzonte unitario entro il quale poter co ns i d er a r e gli opposti programmi d i
ricerca o le teorie « rivali » . Di fatto la comunicazione fra scienziati sostenitori
di ori e ntamenti teo r i c o-s peri m e nt ali di versi si dà e storicamen t e , quando la s i è
ricercata su q ues ti oni sufficientemente importanti, si è se mpr e data , come
peraltro hanno finito col ri co n o sc ere gli stessi assertori della chiusura di ogni
universo teorico; e anche delle più rad icali « riv ol u zi o n i sc ienti fiche ,. (se
proprio non si intende presentarle a tu t t i i cos t i , per amor di tesi , come cam­
pagne propagandistiche ben riuscite: è n ot o i l tenta t ivo feyerabendiano di
interpretare sostanzialmente in tal modo la svolta copernicano-galileiana) sem-
98 L'ORIZZONTE DELL'ATTIVITÀ POTENZIALE

non dimentica delle proprie genuine motivazioni guarda all 'intra­


scendibile pluralità dei sistemi perennemente rivedibili, e all 'oc­
correnza anche ricostruibili ab im is , di cui è contesto il nostro
patrimonio conoscitivo come ad una conseguenza praticamente
inevitabile della finitezza e della storicità umane (ed anzi, nella
misura in cui concepisce il finito non atomistic� mente ma come
un che di autotrascendente, sembra particolarmente idonea a ccr

bra difficile negare che siano state, comunque, promosse e attuate dai loro
protagonisti « a ragion veduta », il che a ben guardare sufficit per ridimensio­
nare le pretese di ogni radicalismo epistemologico (tanto più che « veduto • non
vuoi dire affatto, di per sé, « non rivedibile » o incontrovertibile). Il fatto è che
anche la differenza fra ciò che storicamente si rivela come continuità o linearità
di evoluzione (come « normalità • ) e ciò che, invece, si manifesta senz'altro
come una « frattura • è una differenza di grado, per quanto grande, e non di
natura; una divaricazione fra universi teorici che risultasse in linea di principio
insuperabile sarebbe tanto astratta e « intellettualistica » quanto quella sepa­
razione fra realtà data e pensiero, fra soggetto e oggetto della quale gli autori
ricordati sono invece, e giustamente, i critici più sarcastici e corrosivi .
Non è difficile, tuttavia, rendersi conto delle ragioni che ciò nonostante sem­

brano conferire alla tesi dell'incommensurabilità il valore di una conclusione


non solo plausibile ma addirittura inevitabile. Pare ai nostri autori che un con­
fronto obiettivo tra modelli teoric i differenti potrebbe essere istituito solo a
condizione di possedere (l) un linguaggio osservativo « puro • o « neutro 1t

(non vincolato ad alcun paradigma) nel quale giungere ad esprimere, attra·


verso appropriate procedure riduzionistiche, il contenuto sperimentale di cia­
scuna delle ipotesi a confronto e (2) un complesso di canoni metodologici e di
« algoritmi » precostituiti e vincolanti, alla stregua dei quali giudicare (commi­
surare, appunto) i vari sistemi in competizione. Ma proprio queste due con·
dizioni sono i massimi idoli epistemologici (i « fatti », il « metodo » ) dell "ori­
ginaria mentalità neoposi tivistica e, in genere, dello scientismo tradizionale;
ergo... In effetti bisogna riconoscere che l'incommensurabilità è l'esito, contrad­
dittorio quanto inevitabile, di prospettive epistemologiche che, sebbene siano
state in grado di individuare il carattere dogmatico di certi diffusi presupposti.
non hanno poi saputo elevarsi alla consapevolezza di quell'orizzonte puro o

trascendentale della razionalità entro il quale soltanto può assumere significato


ogni indagine e presa di posizione sulle concrete e particolari modalità del
sapere e che, in definitiva , costituisce il luogo di ogni possibile commisura­
zione, il paradigma d i tutti i paradigmi. U n limite di questo tipo è tutt'altro che
irrilevante perché, in ultima analisi, sancisce l'impossibilità di affrancarsi vera­
mente fino i n fondo dagli stessi schemi mentali pur validamente in più occa­
sioni criticati: sì che, per questo aspetto, si può ben estendere a Kuhn e a

Feyerabend il rilievo che essi hanno giustamente formulato nei riguardi di


Popper. Per tenerci fermi al caso più significativo: la persuasione che l'abban·
dono della visione neopositivistica della razionalità scientifica apra di per sé la
porta ad un'epistemologia « anarchica » - cioè sostanzialmente irrazionalistica -
non implica forse la tacita ammissione che, qualora fosse degna di persegui­
mento, la razionalità dovrebbe effettivamente possedere i caratteri a lei asse­
gnati dal neopositivismo e quindi risolversi o esaurirsi nel particolare plesso
di procedure che questo aveva fissato? Mentre la migliore giustificazione del
LA V E R I TÀ CO M E COER ENZA 99

gliere tale dimensione di storicità) ; ma non può insieme non av­


vertire il superamento di quella pluralità almeno come un ideale
regolativo, dato che la relatività e l 'autotrascendenza del finito si
d i cono , in linea di principio e in ultima istanza , in rapporto al­
l 'intero . Queste precisazioni sono indispensabili per poter ri­
spondere alla classica obiezione che da parte realistica si usa
muovere alla teoria della verità come coerenza 1 7 • Ammesso, si

rifiuto d i un certo apparato metodologico (o, anche , del corretto ri fiuto di


assolutizzare qualsiasi apparato di quel t i po) sta proprio nel riconosci mento
che la ragione come tale non è vincolata ad alcuna struttura o ad alcun sistema
prefissato di regole perché rappresenta l'organo supremo dal quale tal i regole
ricevono di volta in volta la loro sempre revocabile investitura : e non, si badi
bene, nel senso che essa si pronunci non seguendo alcuna regola, bensl nel
se n so che è essa medesima legge e regola suprema a se stessa , attraverso quel

principium firmissimum (non formal isticamente inteso) di cui i l nostro criterio


della coerenza vuole essere una diretta espressione (dovendosi ravvisare nella
coerenza null'altro che il contrassegno più prossimo alla determinazione trascen­
de ntale della razionalità simpliciter) . Si vede bene , dunque, come sia ingiusti­
ficato muovere da un'incommensurabilità di fatto tra differen ti paradigmi, even­
tualmente registrabile in determinate circostanze storiche (e sempre imputabile a
motivazioni soggettive, per esempio alla relativa debolezza degl i ingegni appli­
catisi in quel periodo all'esame di tale problema) , per giungere all'afferma­
zione di una loro incommensurabilità di principio, dovuta ad una strutturale
incapacità della ragione di giungere mai (attraverso procedimenti da vagl iare
caso per caso e non certo una volta per tutte) ad una decisione o ad una
composizione obiettiva e i m parziale dei con fl i t t i teorici che l a di namica storica
del sa pere scientifico continuamente le presenta, e sempre le presenterà anche
in avvenire. Concluderemo comunque questa lunga nota con un u l timo, i m­
portante ril i evo : dovrebbe ormai risultare chiara da quanto detto l 'ob iettiva
insufficienza di un 'ottica meramente pragmatistica o convenzionalistica per la
corre tta e compiuta definizione della nostra proposta epistemologica , pur rico­
noscendo i notevoli contributi recati da quei due orientamen t i , nella storia
dell a filosofia e del pensiero sc ientifico, al l eliminazione dell oggc t t i v i smo in­
' '

genuo ( e pur riconoscendo che nell 'effettiva pratica scienti fica l 'ideale della
coerenza si specifica e si traduce spesso i n valori lato sensu pragmatici, come
quelli richiamati all'inizio del paragrafo precedente a proposito dei moderni
sistemi a ssiomatico-deduttivi ma rinvenibili anche i n altri contesti più d i retta­
mente legati alla componente sperimentale della ricerca) . La nostra proposta
non può non richiamarsi esplici tamente alla classica dottrina della afisicità
del logo (cioè del l 'unico attri buto che può consentire al lago di essere, in qual­
che modo, tutte le cose) , rivissuta nella speculazione ideali s t ica e neoideali­
stica degli ultimi due secoli ed espressa in forma particolarmente vigorosa
nel l ' a t tualistica dott ri na del l 'inobiettiva b i l i t à . Quale sia stata, storicamente, l a
coherence-theory p i ù attenta a queste e s igenze e , quindi filosoficamente p i ù
,

sol i d a , diremo brevemente n e l l a n o t a 1 8 .


1 7 Si p u ò leggerl a , p e r esem pio, nell'o p eretta S u l fondamento della conoscenza,
con la quale Schlick esplicitava la sua posizione nella polemica sui protocolli
( trad. E. Severino, La Scuola, Bresci a 1970, p. 25).
1 00 L 'ORIZZONTE DELL'ATT I V ITÀ POTENZ I A L E

dice, che più proposizioni vere debbano essere coerenti fra loro,
non potrebbero tuttavia essere coerenti senza essere vere ? Non
vi sono forse molti sistemi di notevole coesione intrinseca e di
altrettanto notevole ampiezza che, nondimeno, sono falsi? Non si
possono inventare favole, novelle , trame d i romanzi, di opere
teatrali o cinematografiche che per la loro estrema comples s i tà
e per la loro interna coerenza dovrebbero, i n base alla teoria
proposta, essere senz 'altro vere (anzi più vere di tante situazioni
reali che , almeno in apparenza, non presentano quei caratteri con
eguale intensi tà) ? Dal punto d i vista della nostra teoria della
coerenza la risposta è estremamente semplice : diciamo che come
operazione conoscitiva (finalizzata , cioè, al conseguimento de lla
verità) non avrebbe alcun senso la costruzione di un sistema che
già per libera scelta del suo ideatore, e non solo per inev i t abile
quanto indesiderata conseguenza della limitatezza delle nostre
capacità , fosse escluso dalla possibilità di abbracciare in sé la
totalità del reale (nella fattispecie, di abbracciare quei contenuti
del « nostro » mondo con i quali le costruzioni fantastiche non
potrebbero mai armonizzarsi , per quanto armoniche risultassero
18•
al loro interno)

18 Cfr. il breve saggio di G .W. Leibniz, Sul modo di distinguere i fenomerti

reali dai fenomeni immaginari (pp. 7 1 9 ss. del l'ediz. UTET degli Scritti fil o sofi ci.
a cura di D.O. Bianca) , nel quale appu nto il mondo della vegl ia v i e n e con­
trapposto a quello dei sogni non per la presenza di qualche (impossibile) con­
trassegno intrinseco delle sue singole part i , ma nel modo in cui si può con­
trapporre un 'unica trama organica, imponente per la copiosità e la complessità
degli elementi in essa unificati e suscettib ile di essere sempre ripresa n o n ostan­
te le periodiche in terruzioni cui è soggetta, ad una miriade di vicende fram­
mentarie e del tutto prive di comunicazione fra loro.
La consapevolezza del valore sintet ico del principio di non contraddizione e il
conseguente superamento di una visione puramente formalistica di quel l a coe­
renza logica che si assume come criterio di verità sono rinvenibili n e l l a ver­
sione della coherence-tlzeory offerta dal neoidealismo britannico : da Bradley.
che n e è stato notoriamente il principale ispiratore e che l 'ha svol ta, p i ù che
in Appearance and R eality, in alcuni degli Essays on Truth and Reality ( C i a ren­
don Press, Oxford 1 9 1 4) per i quali rimandiamo al nostro Unità e relazione,
Vita e Pensiero, M i lano 1981 (cfr. il saggio su L'evidenza e la sua espressione
nel pensiero di Brad/ey) ; da B. Bosa nquet, che le ha dedicato i l penultimo
capitolo della sua ponderosa Logic or the Morplwlogy of Knowledge (Clarendon
Press, Oxford 1 888); e po i , soprattutto, da H .H . J oachim, tra gli a l l i e v i di
Brad lcy colui che ha maggiormente insistito su questa tematica contribuendo
a rendcrla in qualche modo « classica ,. all 'in terno del dibattito gnoseo-episte­
mologico svoltosi in questo secolo nei paesi anglosasson i . II suo l i b ro The
Nat ure of Truth, comparso ad Oxford nel 1 906, e i v i riedito nel 1 9 39 ( tr. it. di
LA V E R I TÀ CO M E COERENZA 101

Un 'altra obiezione , non necessariamente associata ad una pro­


spettiva realistica, è quella secondo la quale la teoria della verità
come coerenza costituirebbe una sorta di « razionalizzazione »
del conservatorismo . Sembra , secondo chi muove questa critica ,
che in base alla teoria si debba accettare tutto ciò che si accorda
c on il corpus delle credenze stabilite e rifiutare tutto ciò che con
esso non si accorda . Ma i momenti s toric i nei quali il nostro
sapere ha registrato le sue maggiori avanzate sono stati precisa­
mente quelli in cui i sistemi ereditati sono stati attaccati a fondo
e nuove istanze con essi incompatibili sono state elevate e , nei
casi migliori , soddisfatte in mezzo alle opposizioni e allo scherno
di quanti parteggiavano per la visione consolidata. Il progresso
scientifico, come del resto quello politico, è tal v olta passato at­
traverso ri voluzi oni . M a come possono avvenire rivoluzioni , co­
me potrà mai esserci qualcosa di più di una mera rifinitura di
ques to o quel dettaglio del patrimonio conoscitivo già stabilito, se
si p retende in anticipo che non possa essere vero mai nulla che
non si accordi con esso ?
Anche quest'obiezione , come la precedente , ha il torto di rivo!-

F. C a l l i g a ri s con una bella I nt rod u zion e di V . Ma th i e u , Fra telli Fabb ri , Milano


1 967) , provocò appassionate d i s cu ss ion i (si vedano g l i i n t erventi e i saggi di
vari autori de l l 'e p o ca ri prodo tt i nel l 'edizione i t a l i a n a ) alle quali presero parte,
come s o s t eni t o ri d i quel punto d i vista real istico ed empiristico che proprio
in queg l i anni era impegnato nella con q u i st a d i una nuova consapevol ezza
li nguistica e l ogica , B. R u s s el l e G .E . M oore . t noto che la A useinandersetzung
tra la linea Bradley-Joachim e il na s ce nt e « atomismo logico » russel liano - de­
s t i n a t o , come s a p p iamo , ad eserc i t a re u n 'in fluenza deci s i v a sul pri m o Wit tgen­
st ei n - si co n c e n t rò in modo particol are sul pri n c i p i o d eli 'in trinsec i t à delle rel a­
zi oni ai loro termini, risolutamente negato dai s e gua c i della seconda p rospettiva .
Questo p ri n c i p io intendeva affermare, ovviamente, non la pari ri levanza o
essenzialità di qualsiasi relazione per il proprio soggetto, bensì la d i fferenza
solamente di grado e non di natura tra i nessi comu nemente ri t en u t i « neces­
sari ,. e i nessi r i gu arda t i i nvece come « conti ngenti » (secondo un m odello
concettuale che noi, per parte nostra , ci s i a m o s forza t i di i l l ustrare nel capi tolo
p rec e den t e e i n particolare nel suo secondo paragrafo) . t degno di nota che,
nella P re fa zion e alla I I ediz. d e l l "opera c i ta t a , } oa c h i m scrivesse : « la cri tica
del l a metafisica che sta dietro la teoria della veri t à come qua l i t à d i entità i n­
d i pendenti è a ncora senza rispos ta ; e finché non si s i a risposto, l 'i ntero svi­
luppo re c e n t e della logica - ciò che viene conosciuto come a n a l i s i log i c a e
pos i tivis mo l og ico - rimane , per quanto posso vedere , privo di valore , per
quanto ingegnoso, e radicato in una pura confusione » . Gli ori e n t a m en t i qui
ricordati si e ran o ormai im padron i t i comple tamente della filosofia d 'O i t rema­
nica dopo che, poc h i anni prima ( 1 9 3 6 ) , A . J . Ayer aveva dato alle stampe quel l a
summula d e l neopositivismo nel l a sua forma p i ù radicale c h e è , c o m e t u t t i
sanno , Language, Truth and Logic.
1 02 L'OR IZZONTE DELL'ATTIVITÀ POTENZIALE

gersi contro una teoria della coerenza sganciata dai suoi genuini
fondamenti. Si suppone che secondo l 'autentica prospettiva oli­
stica ciò che risulta affermato o stabilito in una data epoca,
nel senso che « tiene il campo >> in cui si sviluppa la vita scienti­
fica e culturale propria di quell 'epoca , sia per ciò stesso da conce­
p irsi come stabilito logicamente, laddove l a teoria correttamente
intesa nega a chiare lettere che possa essere così . Certo, l a teoria
rivendica con vigore contro ogni impostazione empiristica il ca­
rattere schiettamente logico del principio generale sulle cui fon­
damenta viene operata ogni mediazione o unificazione concet­
tuale, dalle più oscure ed elementari alle più complesse e sottili,
e su questo punto noi abbiamo infatti insistito convenientemen­
te a suo tempo; ma si premura anche di aggiungere che nessun
sistema può essere riguardato come definitivo al di fuori d i quel
s istema onniinclusivo e perfettamente integrato nel quale l 'i deale
del pensiero troverebbe la sua realizzazione e con i l quale , evi­
dentemente , nessuno dei sistemi storicamente comparsi (e poi
scomparsi o destinati a scomparire) è identificabile. Si deve
tuttavia riconoscere che, sebbene questa risposta sia sufficiente
a togliere di mezzo la difficoltà di principio alla quale l 'obie­
zione si riferiva , può sempre rimanere qualche dubbio sul modo
in cui secondo la teoria è possibile sconfiggere in concreto il
dogmatismo affermatosi in un 'epoca particolare . Pur ammettendo
in generale ed in astratto che ogni sistema di credenze in vigore
i n un determinato periodo storico sia imperfetto e manchevole,
come si può in pratica correggere un certo sistema là dove non
c 'è altra misura della sua correttezza che non sia data dal sistema
(dal « paradigma » ) stesso ? Giudicato alla stregua del paradigma
tolemaico , quello galileiano-newtoniano era falso; giudicato alla
stregua di quest'ul timo è falso quello einsteiniano . In ognuno di
questi casi il sistema più antico ha di fatto perduto l a gara con
quello rivale , }asciandolo alla fine padrone del campo; ma se
l 'unica concreta misura della verità fosse stata la congruenza con
ciò che era già accettato, un simile esito non avrebbe mai potuto
aver luogo. Tale ragionamento si fonda , però , su u n 'arbitraria
limitazione della natura delle persuasioni che entrano nella co­

stituzione del corpus esistente. Questo non contiene , infatti, so­

l amente persuasioni relative agli oggetti empirici di volta in volta


considerati e ai costrutti teorici postulati per rendere ragione
del modo di presentarsi e di comp ortarsi di tali oggetti , ma in-
LA VER I TÀ COM E COERENZA 1 0 3-

elude anche persuasioni o teorie , per così dire , di secondo l ivello :


vertenti cioè sulle teorie del primo l ivello e , in generale , sul
modo d i costruire e di controllare teorie . Un determinato patri­
monio complessivo di conoscenze non sarebbe riguardato nella
sua totalità se non comprendesse anche le consapevolezze e i
criteri di indole metodologica e gnoseologica che ne hanno gui­
dato lo strutturarsi . Ora , capita spesso naturalmente che i referti
del l 'o sservazione scientifica - di quell 'osservazione costruita in
armonia con l 'insieme di cognizioni metodologiche che defin isce
il suddetto secondo livello - contraddicano le persuasioni accet­
tate del p rimo livello e , se queste sole fossero decisive , quelli
dovrebbero senz 'altro essere messi da parte . S i potrebbe pensare
che nella nostra prospettiva le credenze del primo livello fini­
rebbero comunque con il prevalere a motivo del loro volume
complessivo che ne fa la parte più rilevante del sistema , ma una
simile convinzione sarebbe gravemente erronea . Se , infatti, si
ri nunciasse alle credenze del secondo livello implicite nel modo
in cui si è giunti all 'osservazione contestata , un 'immensa mole
di persuasioni del primo livello dovrebbe , proprio in base al cri­
teri o della coerenza , restare coinvolta in tale rinuncia e l 'ob iet­
tivo di salvare il corpus inizi ale verrebbe mancato ben più cla­
morosamente che se si acconsentisse ad operare , all 'interno del­
le sue assunzioni cosiddette « di base » , le revisioni necessarie
ad accordarlo con i nuovi risultati . La stessa tendenza alla sta­
bilità impone dunque in tal caso di lasciare via li bera a questi
ul timi 1 9 •

1 9 l quali determineranno la meno trau matica delle modificazioni che il nostro

complessivo patrimonio intellettuale sarebbe com u n que cos t re t to a s u b i re .


N e l c a p . 3 ° d i Contro i l metodo, c i t . ( pp . 30-39) , Feyerabend rivolge a n c h e con­
tro quella che egli chiama la « con d i z i one della coerenza • gli s t ra l i d e ll a cri­
tic a da lui diretti lungo quasi tutta l opera , i m p l icitamente o esplicitamente,
'

con t ro la dottrina realistica della corris p ondenza a i fa t t i . L 'obiez ione addotta


è la seguente : il p recetto metodologico statuente che le nuove ipotesi s i ano i n
accordo con teorie acce t t a t e è i rragionevole i n q u a n t o preserva l a teoria ante­
riore, non la m i g l iore ; esistono fa t t i c ap aci di met tere in crisi u n a teoria , che
non possono emergere se n o n con l 'a i u t o di a l ternative a q u e l l a medes i m a
teoria e c h e cessano d i essere d i spon i b i l i n o n appena tali alter n a t i ve s i a n o­
escluse . Evi dentemente il nostro a u t ore fa qui ri ferimento a l l ' u t i l i t à e m a gari
alla necessità di ricorrere a controes e m p i e a cont roinduzioni nei riguardi di
una determinata teoria ancor prima che essa sia entra t a , per cosi d i re , uffi­
cialm e nte in crisi e anzi proprio quando sembra più che mai so l i da : a ll u t i l i t à
'

e a l l a necessità, cioè, di e labora r e a l ternative non solo per sos t i t u i re teorie g i à


con futate i n altro modo m a proprio per p rodurre o comu n que favorire tale
104 L 'ORIZZONTE DELL 'ATTIVITÀ POTENZ I A L E

M a - ed è questa , certamente , l 'obiezione più insidiosa e specu­


lativamente più interessante che si possa muovere alla teoria oli­
stica della verità - se la verità di ogni affermazione non può
mai essere perfettamente conosciuta s ino a che non sia noto il
posto occupato da quell 'affermazione nell 'organismo comples­
sivo del vero, se nel processo di espansione del nostro conoscere
le precedenti « certezze >> decadono a verità parziali o a d dirit­
tura a convinzioni del tutto superate e quindi insosten ibili , non
vi sarà allora nessuna proposizione isolata che si possa fiducio­
samente proporre come assolutamente vera. Eppure non è pro-

confutazione. Ma la coherence-theory correttamente intesa (che n o n pone in


realtà alcun divieto, diversamente da quanto mostra di credere Feyera b e n d . ri­
guardo alle modalità di formazione delle ipotesi) non ha nulla contro u n 'istanza
di questo t i po (che per certi versi è già presente in Popper) . Si elabori n o pure
le p roprie i potesi come meglio si crede, ricorrendo anche alla controind uzione;
resta i l fatto che, se anche si riuscirà effettivamente i n questo modo a provocare
un conflitto con qualcosa di precedentemente accettato, tale confli t to n o n po trà
poi essere dominato in concreto, ed eventualmente risolto, se non facendo
appello ad u n qualche cri terio di interna coerenza del nostro patrimonio cono­
scitivo (che si specifichi pure provvisoriamente, come del resto avviene nella
maggior parte dei casi concreti , come ricerca del male minore, ossia de1l 'in­
coerenza meno grave e profon da). Nel l 'ambito in cui propriamente si s i tua.
insomma, la dottrina della coerenza non cessa di manifestare la propria vali­
dità. Ché non sarà certo un Feyerabend a pretendere che l 'i nsorgenza del con­
flitto debba di per sé sola costituire un motivo per scegliere immediatamente
la nuova i potesi : proprio lui che ha contri buito in maniera rileva n te a soste­
nere e a mostrare l 'inconsistenza di quel � falsificazionismo ingenuo ,. che si
è voluto erigere sulla base della pretesa asimmetria logica fra le d u e opera­
zioni della verificazione e dell a fa l s i fi cazione. Ma ciò di cui la p i ù recente
riflessione epis temologica non sembra essersi resa conto a sufficienza è il fatto
che la critica di tale posiz ione ha sgombera to il terreno da quello che in
Popper e nei popper i ani era il pri nc ipa le argomento contro la validità del­
l 'induzione (cfr. la nota 3 al cap. 11) e si è ri solta , di conseguenza, in un 'in­
diretta riabil itazione di questa. I n effetti coerentismo e induttivismo, )ungi
dall 'essere prospe t t i ve r i v a l i , com e spesso si pensa, sono il m i gl ior alleato l 'uno
de1 l al tro : crediamo di aver offerto nel secondo cap itolo sufficienti giustifica­
'

zioni e d i 1 lustrazioni di questa nostra m e d i t a t a persuasione. I n fondo a b b iamo


l ' i m pressione che, cosl come il si gnifìcato elementare de 11 a proposta falsifi cazio­
nis tica si ri assume nell 'affermazione « l 'esperienza può solo darmi torto e non
ragion e ; i n n umerevoli conferme non bas terebbero a verificare un'ipotesi men tre
u n a sola s m e n t i t a basta a fa lsificarla ,., nella quale trova la sua espressione un
modo d i ragionare e m i nentemente forma l i stico , la posizione contraria si t rm·i
già sostanzi a l mente rispecchiata nell a tte gg i a mento di quel « sano buon senso
' •

c he rifiuterebbe di abbandonare immediatamente una convinzione p i ù volte


corroborata di fron te ad una sol a sment i t a , per quanto innegabile e rile v a nte
questa s i p resentasse, e a l meno in un primo tempo opterebbe scnz 'altro per
qualcosa come la formulazione di u n ' i potesi ad !wc (si veda del resto la d i fl!sa
della « a d h ocneità ,. rinv en i b i l e in p i ù p u n t i del l i bro di Feyerabend).
LA V E R I TÀ CO M E COERENZA 105

p rio questo che si tenta ora di fare da parte nostra con la stessa
teoria olistica ? Quando affermiamo che la verità è coerenza
non in tendiamo che ciò sia vero solo in parte ; quando diciamo
in generale dei nostri enunciati che sono veri in misura soltanto
parziale riteniamo certamente che questa nostra asserzione su
di essi sia interamente vera . Quest 'argomentazione sembra soste­
nersi sul presupposto che non sia mai possibile , mentre si emette
un giudizio, considerare la possibilità che tale giudizio sia falso .
Se s i ammette una tale possibil ità allora ciò che si sta realmente
affermando è che l 'asserzione considerata ha solo la possibilità
di e ssere vera , e almeno questo viene affermato senza riserve.
Il d i fensore della coerenza sarebbe quindi posto con le spalle
al muro. Se , quando dice che tutte le proposizioni enunciabili
sono vere solo in parte , conferisce un valore assoluto a questa
sua asserzione allora si contraddice immedi atamente . Se , d 'altra
part e , non gl ielo conferisce l 'esito non sarà molto m igliore . Per­
ché l 'enunciazione della teoria non abbia a contraddire immed ia­
tamente la teoria bisognerà precisare che quest 'ul t ima è vera o
adeguata solo a certe condizion i : ma l a seconda enunciazione
così ottenuta non sarà vera solo a certe con dizioni , bensì senza
ri serve . E ciò senza dire del fatto che una teoria che pretendeva
di avere colto in pos i t ivo la natura della verità ha dovuto con­
fessare la propria inadeguatezza 20 •
Bisogna però osservare che , sebbene sia vero che se vedo ]a verità
soltanto ipotetica della mia proposizione emetto un giudizio che
in quanto esprime tale si tuazione è vero i n assoluto , ciò ha i n
realtà meno importanza di quanta l 'obiezione gl iene attribuisca.
Ché , per quanto un tale g i u d i z i o possa essere categorico ed as­
soluto nella forma , è lungi dall 'esserlo ne] con ten uto. Quali siano
]e condizioni che renderebbero vera ] 'apodosi non m i è dato sa­
pere , e nemmeno so se quelle attual mente esi stenti ]a possano in­
val idare . La mia asserzione può benissimo limitarsi a d i re che
all a luce delle condizioni a m e note l a proposizione è cred ibile 2 1

20 Q u e s t o è i l modo i n c u i , s v i l u p p a ndola un poco , ci s e m b ra d i poter i n t e n d e re


l 'obiezione conci sa m e n te form u l a t a da R u ss c l l nel s a g g i o The M o n is t ic Thcory
of Truth , edito n e i Ph ilosoph ical Essays (tr. it. con il t i tolo Fil os o fi a e scicn :a ,
Newton Compton , Roma 1 97 2 , p . 1 6 5 ) .
21 C ioè è « ragionevole ,. nel s i g n i fi c a t o c h e a b b i a m o a t t ri b u i to a questa p a rol a
nel secondo capitolo.
1 06 L'OR I ZZONTE DELL'ATT I V ITÀ POTENZIALE

l addove, se fossero prese in esame tutte le condizioni che possono


esercitare una qualche influenza sul suo contenuto , potrebbe
forse non esserlo. Non ho dunque bisogno, quando sostengo la
teoria della verità come coerenza, di credere che l 'onniscienza do­
vrebbe sottoscriverla precisamente nello stesso significato che le
attribuisco io ora mentre ne affermo la verità sulla base degli
elementi di cui attualmente dispongo . La pretesa obiezione alla
nostra teoria non fa dunque che esprimere la situazione reale in
cui ci troviamo , e in questo senso non esige neppure una risposta
m a può essere tranquillamente accolta : la teoria che ci ha inse­
gnato ad accettare ogni prospettiva particolare sempre e sol tanto
con la tacita riserva della sua modificab ilità qualora d isponessimo
di un quadro completo non subisce alcuna spiacevole conseguen­
za per il fatto di dover essere appl icata a se medesima. Nel princi­
pio sul quale l 'obiezione si regge c'è sicuramente qualcosa di vali­
do, che si può sintetizzare nel seguente rilievo : ogni giudizio è
"Sempre incondizionato e assoluto perché asserisce che in ciò che
io sto ora affermando vi è qualcosa che , non importa a quali con­
dizion i , appartiene comunque alla realtà . D'altra parte non è me­
no vero che ogni giudizio è sempre anche ipotetico , nel senso che
le condizioni implicitamente riconosciute possono vietare a ciò
che viene da me posto esplicitamente di godere di una verità
assoluta e definitiva.
L 'obiezione segnalata è tuttavia estremamente rilevante perché,
in ogni caso , ci costringe ad affermare qualcosa che , se anche
non comporta alcuna difficoltà per la nostra posizione , è comun­
que idoneo a porre tutto quanto abbiamo detto finora in una
l uce nuova : alludiamo a quella certa qual inadeguatezza della
teoria della coerenza in ordine al compito di afferrare la natura
ultima della verità - a quel la sua insufficienza a livello metafisica
ultimo, per così dire - che siamo stati in qualche modo obbl igati
a riconoscere 22 • Ma un ril ievo del genere traval ica, per l 'appunto,

22 E che non era affatto sfuggita all'idealismo inglese (si legga ad esempio il
capi tolo conclusivo dell 'opera citata d i Joachim, in gran parte ispirato agli
esiti più radicali della scepsi bradleyana di Appearance and Reality e riguar­
dabile proprio come l 'interno processo di autocri tica, maturato a livello meta·
fi s ico, di una posizione originariamente elaborata sul piano gnoseologico e in
tale ambito validamente difesa contro le sue rival i ) . Si può dire anzi che proprio
questa consapevolezza è ciò che d i fferenzia strut turalmente l 'hegelismo anglo­
sassone da quello di H egel, conferendo alla riflessione svolta dagli autori insu-
LA V E R I TÀ COME COERENZA 107

l a dimensione nella quale si è fin qui mossa la nostra indagine :


per sperare di coglierne almeno in parte il senso è necessario ac-

l ari un t i m bro inconfondibile che la caratterizza in modo assai netto anc h e


di fronte a d altre versioni del neoidealismo : ne a vremo la p rova nella parte
res t a n te del presente lavoro (per una valutazione g ene ra l e della funzione storica
dell'idealismo b ri t a n n i c o ci p e rm ett ia m o di rimandare, oltre che al già cit at o
Unità e relazione, al saggio i n t rodut t i vo che abbiamo p remes so alla nostra edi­
z i o n e di A pparenza e R ealtà, R us co n i , M i l a n o 1 984) . Qui , g i u n ti al termine
della prima parte, vale forse la pena d i accennare all 'elemento che p i ù di ogni
altro ci s e m bra documentare, all'interno di un orizzonte strettamente epistemo­
lo g i c o , la p red et ta relativizzazione del cr i te r i o coerentistico : c i riferiamo al
fall imento del programma hilbertiano d i una completa formalizzazione della lo­
gica m a tematica (un e pis o di o al quale , i n m isu ra maggiore o m in ore si ricolle­,

gano anche le indagini d i Tarski sul concetto di veri t à ; ci siamo brevemente


richiamati a questo autore nella nota 12) . Se un sistema formale si d i c e com­
p let o quando ogni p ropos i z i o n e i n esso e sp r im i b i le è f o rm al m e n t e deci dibile a
parti re d a gl i assiomi - quando esiste , cioè, una catena deduttiva fi n i t a che
sviluppandosi secondo le r e g o l e del calcolo l o gi c o cominci con cer t i ass i om i
e t erm i n i con la p ropos i zio n e A o co n la p ro p os i z i o ne non A - , K. G o d ei ha
notoriamente dimostrato che non esiste alcun sistema con un n um e r o fi n i to
di assiomi che sia comp l e to anche sol tanto rispetto alle proposizioni dell 'aritme­
tica : e dall 'impossibilità d i costruire un ins ieme di assiomi per la teo r i a dei nu­
meri che go d a della c o m pl e t e z z a richiesta da H i l bert consegue c h e tutti i si­
stemi form a l i della matematica contengono proposizioni aritmetiche i n deci d i b i l i ,
e c h e l 'affermazione di non c ontra d d itto r ietà appartiene sem pre a l l e pr op o s i­
zioni i n dec i d ib i l i d i ognuno d i qu es t i sistem i . Un sistema - cosl si può espri­
mere la fo ndament a l e conclusione di G o d e i - non è in grado di formalizzare
i mezzi necessari per la d i m ostra z i o n e della propria non con tradd i t toriet à ; una
p rova di coerenza p ot r e bbe venire c o ndo t t a solo trami te procedimenti i n fe­
renziali a loro volta non formalizzab i l i entro le rego l e del « g i oco » ch e defi­
niscono il sistema stesso. Questa d i sequazione tra ve r i tà e d i m o s t r a b i l i tà .

questa impossibilità di bloccare il reg resso all 'infinito delle metateorie, costi­
tuisce la pu n t u a l e conferma a l i vello tecnico di una l i m i tazione interna al
p.d.v. della c o e re n za che, a n o s tro parere, era già accertabile a t t ra v ers o consi­
derazioni filosofiche g e n e r ali del tipo di que l l e esposte or ora nel testo , co n s i­
derazioni a cc e ss ibi li nel loro valore essenziale anche p r i m a della sc o pe r ta com­
piuta da Godei.
Una particolare attenzione pe r l e imp lic a z i on i c ul t u ra l i de g l i sviluppi tecnici
intrinseci a ll i nda gine e p iste m o l o g i c a sui fondamenti è ri l eva b i l e in M. C acc i a r i
' .

Krisis. Saggio sulla crisi del pensiero negativo da Nietzsche a Wittgenstein ,


Fel tri n elli , Milano 1 982", nelle pp. 70-98 : dove si p ro s pe t t a chiaramente la tesi
che tali im p l ic azio n i siano state convenientemente messe in luce nella rifles­
si o n e del secondo W i tt ge n s t e i n (notoria ispira trice, tra l a l tro, di molte delle
'

più caratteristiche p os i zioni d i Kuhn) e dove , quindi , ci s i p ro n u nc i a i n defi­


nitiva per l 'a ffermaz i on e di un o ri e n t a me n t o simile a quello da noi criticato
nella nota 1 6 e nel testo ad essa relativo. Orien tamento che negli ultimi anni,
in I talia, ha trov a to un'espressione particolarmente agile ed efficace per o p e ra
di uno studioso non a caso formatosi i n p r e va le nza attraverso lo studio di
Wittgenstein : ci ri f eriamo ad A.G. Gargani , d e l quale non p o ss i a mo qui non
ricordare sia il sa gg i o Il sapere senza fondamenti, Einaudi, Torino 1 9 7 5 , sia
l'I ntroduzione del lib ro di Aa.Vv. d a lui curato Crisi della ragione, ibid., 1 979.
1 08 L'ORI ZZONTE DELL'ATTI VITÀ POT ENZ IALE

cedere ad un 'ulteriore dimensione, che verrà infatti messa a tema


nella seconda parte di questo lavoro. Qui tennina ciò che entro
la nostra indagine ci premeva di evidenziare riguardo all 'ambito
prefilosofìco del sapere : ed abbiamo visto che la teoria della
verità come coerenza attinge il massimo di razionalità (cioè, po i ,
il massimo di ragionevolezza) che c i è consentito finché rima­
niamo in quell 'ambito .
SECONDA PARTE

L'orizzonte dell'infinità attuale:


il sapore filosofico
C A P I TO LO QUARTO

Coerenza e metodo dialettico

l. La deduzione delle categorie

G i à nel l ' I ntroduzione avevamo visto, sia pur brevemente 1 , quale


sia il significato essenziale che compete al metodo dialettico in
filosofia . Si può mostrare come il fondamento (ossi a l 'autentico
punto d i partenza) d i quella connessione necessaria fra le cate­
gorie - di quel s istema categoriale - che il metodo mira a rico­
stru ire non possa rinvenirsi nella cate g oria dalla quale il movi­
mento si inizia (essendo quest ' ultima piuttosto il cominciamen­
to , o il punto di movenza, de l processo) , perché in ta l caso la
conclusione non potrebbe mai avere una ricchezza di contenuto
ma g gi ore di quella che è incl u sa in quella prima determinazio­
ne : tutto ciò che si può fare con una sola premessa è , i n fa tt i , ana­
lizzarla e la se m plice analisi di un contenuto non potrebbe mai
condurci ad un altro contenut o che non sia g ià incluso o impli­
cito nel primo. Se dun q ue la dialettica p retende di i ncrementare
la nostra conoscenza - e non semplicemente di delucidarla - pur
affermando la val idità della cate g oria superiore senza altra pre­
messa esplicita che non sia la validità della cat e g oria inferiore ,
una simile pretesa potrà g i ustifi c arsi solamente facendo riferi­
mento all 'azione dis p iegata dall 'intero orizzonte mentale entro
cui il movimento dialettico si s itua 2• La base ines pr e ssa è costi-

1 Cfr. p. 1 7 s.
2 t:: nota l'obiezione formulata da F.A. Trendelenburg contro la stessa possibi­
l i t à di una dialettica i ntesa alla maniera hegeliana: il processo in cui questa con­
siste è in realtà possibile solo a patto di operare con tinui e surret t izi appelli
all'esperienza , cosl da mascherare in qualche modo la steri l i t à di quel puro
pensiero nell 'ambito del quale, invece , esso pretenderebbe di svolgersi intera­
mente. In risposta si può citare il seguente passo dell a Lo[l,ica di Bradley ( i n
u n contesto dove peraltro n o n si f a alcun riferimento esplicito a Trendelen-
1 12 L 'OR I ZZONTE D E L L ' I N F I N I TÀ ATT U A L E

tuita appunto da questa originaria presenza dell 'esperienza inte­


grale , da questa originaria posizione di una totalità concreta che
si tratta di rendere via via più intelligibile traendo alla luce l 'in­
terno organizzarsi e strutturarsi del suo contenuto ideale . Il mo­
tore del processo (un processo che realizza in sé una s intesi di
apriorità e di aposteriorità dato che la ragione vi appare sempli­
cemente come la forma più elaborata, o la verità , dell 'esperienza)
consiste nella disequazione tra ciò che lo spirito h a , per così dire,
davanti a sé come un contenuto obiettivato e ciò che invece rac­
chiude in sé (ciò che , in qualche modo, è, in quanto in e sso si
raccoglie e si unifica la molteplicità del reale) . Il contenuto con­
templato è sperimentato come manchevole in rapporto allo sfon­
do implicitamente presente : il procedimento deduttivo prende le
mosse non tanto da tale contenuto quanto dalla insufficienza e
dal limite che gli ineriscono . Si può dunque affennare che la
dialettica sia possibile solo in quanto lo spirito sappia sollevarsi
al ricordo (all 'anamnesi ! ) dell ' I n tero e ne sia costantemente
sorretto : si tratta di un ricordo che coincide con quel p rocesso
di interiorizzazione (Er-innerung) o di riappropriazione di sé che
la coscienza compie nel momento fenomenologico , cioè nel ma-

burg) : « Predomina la co nvinz ion e che il metodo d ia le t t i c o sia una sorta di


esperi mento men tale in vacuo. Si suppone d i non a v ere nient 'altro che una
s i ngola i solata i dea astrat t a , e questa monade solitaria dovrebbe riprodursi per
gemmazione o pe r scissione della sua i nterna sostanza o ma ga ri per assu n z i on e
di n uovo m a teriale dal vuoto i m p a l pa b i le Ma questa è una m e ra caricatura ,
.

derivante dalla confusione fra c i ò che l a men te ha di fronte a sé e ciò che ha


i n sé . D i nan z i a l l a m e n t e c 'è un u n i co concetto, ma la mente s tessa nella sua
in terezza [ the whole m ind itself] , anche se non appare, pre n d e parte al pro­
cesso, opera su l dato e produce il risul tato. L 'opposizione tra il reale , in quel
carattere frammentario nel quale la mente lo possiede, e la vera realtà che la
mente in q ua l che modo avverte i n sé è la causa motrice di quell 'inquietudine
che dà luogo al processo d i a l e t t i co » . E a nco ra : « Il t ut to che abb ra c ci a en·
,

t ram b i i lati di qu es t o processo , ri fi u ta l e pretese di un dato unilaterale e Io


i n tegra mediante quel lato d i v erso ed opposto che realmente è in esso i m p l icit o ,

generando così attraverso l a negazione u n 'u n i t à bi lanciata. Una volta imboccato


questo c a m m i n o , il processo ri p ren d e con la n uova totalità cosl ragg i unta.
Anche questa appare come l 'u n i laterale espressione di una si n t esi superiore e
d à origine ad u n opposto che si u n i sce ad essa per forma re una terza totalità,
l a quale verrà poi a sua vol t a degradata a fra mmento di verità. Così il processo
con t i nua fi nché la m e n t e , in esso i m p l i c i tamente p resente , non t r o v i un conte­
n u t o che corri sponda a l l a sua inconsapevole i dea di se stessa ; e qui, essendo
d iven u ta per i n tero un da t o a se stessa , essa s i acqu ieta in que ll a t ti v i tà che nel
'

p roprio oggetto conosce se mede s i m a » (F.H. B r a d le y Principles o/ Logic,


,

c i t . , p. 408 s . ) .
COERENZA E M E TODO D I A LETT I CO 1 13

mento che , com'è noto , forma l 'antecedente o il presupposto del


sistema perché è la via al costituirsi di quell 'orizzonte del Sapere
Assoluto che è l 'unico entro il quale possa trovar posto un 'auten­
tica s istematicità . La quale si svolge non tra semplici concett i ,
ma tra giudizi che hanno come soggetto l 'Assoluto: s e infatti le
varie categorie di volta in volta esaminate non fossero da inten­
dersi come predicati di un tale soggetto non sarebbe possibile
porre tra esse alcuna connessione necessaria perché verrebbe me­
no l 'unico elemento sul quale si può e si deve fare leva per sta­
b i l i rla 3• La contraddittorietà del finito quando sia assunto nella

J S i veda il § 85 dell 'Enciclopedia : « ..• l e determinazioni logiche tutte possono


essere consi derate come defin izioni dell 'assol uto, come le defin izion i metafìsiche
d i Dio » . D 'altra parte questa consapevolezza - per noi preziosi s s i ma e , anzi,
a d d i ri t tura i n d ispensabile - si scontra i n Hegel con altre con v i nzioni profon­
d a m e n t e radicate , le quali in primo luogo fanno sì che egli dica sempl icemente
c h e l e determinazioni logiche possono essere considerate nel modo visto ( ! a d­
dove a nostro avviso avrebbe dovuto dire che deb bono esserlo) ; e in secondo
luogo l o portano ad affermare , nel segu ito d i quel medesimo paragrafo, che
c se però si usasse la forma di defi n i z i o n i , i n questa s i avrebbe un sostrato rap­

presen t a t i v o ; giacché anche l 'assol uto, come quello che deve esprim ere D i o nel
senso e nella fanna del pensiero, res t a , i n re lazione col suo predicato che è la
sua espressione determ inata e rea le in pensieri , un pensiero soltanto i n tenzio­
nale [ e in gemein ter Gedan ke, qualcosa che desi dera o crede sol tanto di essere
un pensiero, senza esserlo veramente] , un sostrato per sé indetermi nato. Essen­
do i l pensiero, che è la sola cosa di c ui qui si tra t t a , contenuto sol amente nel
pred i c a to , la forma d i una proposizione, con rel at ivo sogge t t o , è del tutto super­
fl u a » . I l corsivo è nos t ro. Hegel r i n v i a al § 3 1 , del quale è per noi i m­
portante soprattutto la A n m e r k u ng « N e l l a proposizione : Dio è eterno ecc.
.

- v i s i legge - si com i n c i a con l a ra p p resentazione Dio, ma ciò ch 'egli è non


si sa a ncora : solo i l pred icato d i ce c i ò che e g l i è . Perciò nel pensi ero log i c o ,
do ve il contenuto è determ inato esclusivamente n ella forma del pensiero [ a n­
cora corsivo nostro] , non solo è superfluo fare di quei caratteri p red i c a t i
d i p roposizioni i l cui soggetto è Dio o , p i ù vagamente, l 'assol uto; ma a n c h e
s i ffa t t o procedere avrebbe lo svantaggio d i f a r pensare a u n a m is u ra di versa
dalla na t u ra stessa del pensiero » ( sem p re cors i vo nostro) . N e l concludere que­
sta nota , il pensa tore di Stoccarda acce nna a l t resì ad un suo ferm i ssimo e ce­
lebre convincimento, da lui ri badi to in varie occ a s i o n i come un autentico capo­
saldo di tutta la sua speculazione : « Del resto, la form a della proposizione, o ,
per d i r meglio, d e l g i u d i z i o , è i m p ropria ad esprim ere il concreto - i l vero è
concreto - e lo specu l a t i vo : il giudizio è , per cagion d e l l a sua form a , u n i la­
tera l e , e quindi fal so » . C i troviamo certamente d i fron te ad uno d e i nodi p i ù
d i ffi c i l i d a sciogl i ere e , a l tempo stesso, d i p i ù v i t a l e e strategica i m portanza
p e r una complessiva interpretazione d e l l 'hegeli smo storico: non a caso esso si
trova a l l a b a se d i molte delle d i scussioni occorse g i à fra i c ri t i c i e i commen­
tatori ottocenteschi del filosofo, nonché dei vari t e n t a t i v i di « ri form a re » i n u n
senso o nell'altro l a s u a d i a l e t t i c a . L a p r i m a a fferm azione ri porta ta i n questa
nota esprime il ri ferimento del p rocesso d i a l e t t i co a l l 'idea dell 'Assoluto, sì che
1 14 L'ORI ZZONTE DELL'IN F I N I TÀ ATT U A L E

veste d i immediato documento dell 'Assoluto costituisce la prova,


a l ivello riflesso, dell 'esistenza dell 'Assoluto come orizzonte che
oltrepassa il finito nell 'atto stesso in cui ne fonda e ne garantisce
compiutamente il significato. Più in generale si può dire che l'es­
-sere dell 'Assoluto traspaia non dall 'essere del contingente o del
finito ma dal suo non-essere (dalla sua impossib ilità di sussistere
isolato, dall 'assoluta negatività in cui nell 'ipotesi della sua autcr
sufficienza esso si converte) . Nella Vorrede della Fenomenologia

stando ad essa si potrebbe credert che l 'originarietà dell'intero speculat ivo.


tematizzata ad esempio nel passo di Bradley citato nella nota precedente ma
senza dubbio non sufficientemente esplici tata nel complesso dell'opera hegel iana.
rientri tuttavia con certezza nell'ambito delle cose di cui il pensatore genna·
nico aveva piena coscienza. Abb iamo visto però che il desiderio di salvare il
fondamentale principio secondo il quale la deduzione delle categorie si muo\e
tutta nell 'elemento del puro pensiero conduce Hegel, per altro verso. a scor·
gere nel suddetto riferimento qualcosa di superfluo o addirittura d i fuon•iante:
l 'idea dell 'Assoluto alla quale le varie determinazioni dovrebbero essere via via
riferite non si presenta infatti come un autentico contenuto di pensiero m a .
piuttosto, come qualcosa che proprio d a quelle determinazioni attende la sua
graduale chiarificazione concettuale. Sembra in qualche modo sfuggire a Hegd
la strutturale, decisiva importanza di quel « sostrato ,. che, proprio e solamente
in tale sua condizione di implici tezza e, come dire, di chiaroscuro (proprio e
solo i n quanto « segre tamente fungente », per usare un'espressione husserliana),
costitui sce il motore e l 'alimento continuo di un processo del « puro pensiero "
che diversamente non potrebbe nemmeno iniziars i ; sembra che gli sfugga che
senza quel fondamento (il quale non implica alcun « surrettizio richiamo al·
l 'empiria ,. e quindi è perfettamente compatibile con l 'unico significato che si
possa fondatamente attribuire all 'espressione « puro pensiero ») u n 'obiezione
come quella di Trendelenburg risulterebbe insuperabile : sl che la presenza di
una « misura diversa dalla natura stessa del pensiero ,. risulta i n definitiva
tutt'altro che superflua, o addiritt p ra con taminante, per lo stesso intrinseco
stru tturarsi della logicità. C 'è in Hegel l 'illusione di poter attingere un ambito o
un livello del pensiero che, per non essere « empirico », si sviluppi secondo
uno schema o un modello radicalmente diverso da quello « fenomenologico "
(intendendo questa parola sia nel senso di « conforme alla Fenomenologia •
dello stesso Hegel sia, almeno per un certo aspetto, nel senso novecentesco
husserl iano, che poi è meno lontano dal primo d i quanto talora non si creda).
Ma non è il caso di anticipare !ematiche che cercheremo d i svolgere con la
debita cura nel prossimo capitol o ; qui concluderemo con un 'osservazione sul­
l 'ultima delle afTermazioni hegeliane sopra riportate. Non ci sembra che. se
smettesse di parlare di superfluità o d i inopportunità della forma proposizio­
nale per l 'articolarsi della sua Logica, il nostro filosofo sarebbe per ciò stesso
costretto a rinunciare alla sua tesi fondamentale - che secondo noi è valida -
riguardo alla falsità e all'unilateralità del giudizio come espressione del vero
speculativamente i n teso: ciò che conta, i n fatti, è che tutti i giudizi che verreb­
bero così formulati nella Logica siano tali da dover essere tolti l'uno dopo
l 'altro e che l 'esito ult imo del processo determini l'A ufhebung della fanna giu·
<licativa come tal e .
C O E R E N ZA E M E TODO DIA LETT I C O 1 15

dello Spirito Hegel tematizza quest'importante aspetto . « Un


così detto principio fondamentale della filosofia, se pur è vero �
è poi già falso in quanto è soltanto principio . E perciò facile
confutarlo. La confutazione consiste nell 'indicarne la deficienza;
ma deficiente esso è perché è soltanto universale o principio,
soltanto cominciamento » . D 'altra parte non è meno vero che la
confutazione è « propriamente lo sviluppo del principio e quindi
il complemento di ciò che gli manca » : essa è fondata solo in
quanto sia « tratta e sviluppata da quel principio s tesso » , sì che
è lo s tesso atto di fondazione per il quale resta fondato un altro
dal principio 4• N elle battute iniziali della Logica s i precisa che
« l 'avanzare da ciò che costituisce il cominci amento non è da

rigua rdare che come u n 'ulteriore determinazione dello stesso co­


minc iamento, sì che ciò che comincia continua a stare i n fondo
a tutto quello che segue » . Pertanto « l 'avanzamento non consiste
nel dedurre semplicemente un altro o nel passare in un vero
altro » , essendo il cominciamento ciò che è presente e che s i
conserva in tutti gli sviluppi successivi , ossia « c i ò c h e resta as­
solutamente immanente alle sue ulteriori determ inazioni » 5 • L'at­
to che accerta la contraddittorietà dell 'inizio (o che coglie l 'ini­
zio come contraddittorio) è dunque lo stesso atto per il quale
l 'inizio si realizza come inizio di qualcos 'altro , ossia esercita
concretamente la sua funzione di punto da cui qualcos'altro pro­
cede . Ma l 'originare qualcosa non è un avanzare dall'origine
verso un qualcosa che sia soltanto al tro da essa : questa alterità è
infatti l a stessa posizione dell'origine i n quanto ormai esente dal­
la contraddizione che la affliggeva prima del suo essere origi ne
o inizio della mediazione . Sì che quel dare luogo a qualcos 'al tro ,
che è insieme acce rtamento della contraddittorietà dell 'origine di
questa alterità e toglimento dell 'origine in quan to contradditto­
ria, è sviluppo o ulteriore determinazione dell 'origine stessa . La
quale, in quanto è quella i mmediatezza dalla quale si procede,
« continua a stare in fondo a tutto quello che segue »: sì che
l 'atto in cui l 'inizio è assolutamente tolto è anche l 'atto con
il quale esso ha assolutamente realizzato il suo valore di inizio,

4 Fenomenologia dello Spirito, tr. i t . E . De Negri , La N u o v a I ta l i a , Firenze


1 960, p. 1 8 .
s Scienza della Logica, trad . Moni·Cesa, Laterza, Bari 1 96 8 , p . 5 7 .
1 16 L 'ORIZZONTE DELL'I N F I N I TÀ ATT U A L E

ossia ha assolutamente adempiuto il suo compito . I l realizzarsi


della mediazione è pertanto, proprio in quanto toglimento asso­
luto dell'origine, lo sviluppo o la realizzazione totale dell 'origine.
Il processo che conduce a questa realizzazione è quindi il pro­
cesso che conduce a porre l 'origine come ciò che essa è : la linea
da percorrere si manifesta cosl come un circolo ed il processo
avanza solo in quanto torna su se stesso reagendo sul proprio
punto di partenza . Nella prima parte del nostro lavoro abbiamo
visto che proprio questa è la particolarità del modello olistico
della deduzione, per cui esso si disti ngue dal modello intellet­
tualistico o formalistico imperniato sulla metafora dell 'edificio.
Secondo quest 'ultimo modello, lo sappiamo ben e , un processo
deduttivo corretto deve assolutamente poggiare su una base che
per la sua validità non dipende affatto da ciò che viene su di essa
costruito e che per la sua saldezza non può subirne alcun con­
traccolpo. Nella prospettiva qui delineata, viceversa, si può cor­
rettamente affermare che le stesse distinzioni tra fondamento e

fondato, tra immediatezza e mediazione vengono da u ltimo su­


perate : ché la mediazione, una volta giunta al suo culmine, si
presenta come una « seconda » immediatezza o un 'immediatezza
« matura » . L'inizio è , insomma , il risultato : ciò che si i ntende
porre all'inizio del processo è realmente posto solo al termine ;
sì che il fondamento della mediazione è lo stesso scopo o ri sultato
della medesima . Pur essendo immediatamente visibile nella sua
posizione formale , lo scopo è realizzato soltan to da ultimo :
primum in intentione, ultimum in executione.
Il passo hegel iano che a questo proposito raggiunge la massima
esplicitezza ci sembra rinvenibile nella Anmerkung del § 50 del­
l'Enciclopedia. lvi il nostro autore afferma che le cosiddette
prove del l 'esistenza di Dio hanno una loro validità nella misura
in cui descrivono e analizzano il naturale movimento del pensiero
speculativo : u n movimento che però , a ben vedere , si presenta
più come un elevarsi sul sensibile che come un argomentare a
partire da esso. Quando infatti, osserva il pensatore di Stoccarda,
si cerca di ridurre questo procedere dello spirito in forma di
ragionamento e di sillogismo, « il punto di partenza è certamente
la contemplazione del mondo, comunque determinato, come un
aggregato di accidentalità » : e, in quanto il pensiero si presenta
in tale veste raziocinante , una base siffatta « può sembrare . . . un
COE R E N ZA E M ETODO D I A L ETT I CO 1 17

saldo fondamento, tale da restare ed essere lasciato nella forma


affatto empirica che tale materia ha dapprincipio » . Accade dun­
que che « la relazione del punto di partenza con il punto finale al
quale si procede viene rappresentata come semplicemente affer­
mativa, come un inferire da uno , che è e resta, ad un altro, che
egualmente è » . Ma questa è un 'alterazione del vero modo di
p rocedere del pensiero speculativo, il quale, allorché considera
il mondo empiric.: o , ne trasvaluta proprio la forma empirica o rap­
presentativa : (( il pensiero esercita insieme un 'attività negativa
su quel fondamento ; la materia percepita , quando è determinata
mediante l 'universalità , non resta nella sua prima forma empi­
rica » . Da ciò scaturisce la decisiva osservazione che l 'eleva­
zione del pensiero al soprasensibile « essendo trapasso e m ed ia­
zione è insieme superamento del trapasso e della medi azione ,
perché ciò per mezzo di cui Dio potrebbe sembrare mediato , il
mondo, è invece dichiarato per il nulla : solo la nullità del­
l 'essere del mondo dà la possibilità dell 'elevazion e , cosicché ciò
che è come mediatore sparisce , e così in questa mediazione stessa
è tolta la mediazione » . La ragione per cui l 'apparente mediazio­
ne s i capovolge in immediatezza è la stessa per cui , d 'altra parte ,
ciò che appare come immediato si rivela non essere veramente
tale . Se il cominciamento esplica la sua funzione in quanto è
una negatività , ogni negatività acquista s ignificato solo nel suo
contrapporsi all 'orizzonte negato : sì che i l vero immediato è
questa stessa contrapposizione vista come equ ivalente ali 'intero
logico originario, il quale può essere considerato a partire in­
differentemente da una qualsiasi delle sue determinazioni . Que­
sta determinazione indifferente sarà si il cominciamento, ma co­
me una variabile o come un che di semplicemente accidentale .
In ogni caso si tratta , come abbiamo visto , di un sempl i ce punto
di movenza che non deve essere assolutamente confuso con l 'au­
tentico inizio, che è quello or ora detto e al quale soltanto può
essere riservata la qualifica di fondamento; e poi è qualcosa che
dipende comunque da una scelta, da un atto di astrazione ope­
rato entro il fondamento, e in tal senso si presenta già come un
che di mediato. Questi ril ievi , che esprimono egregi amente la
necessità d i porre come originario il con creto , sono stati talora
presentati come obiezioni rivol te alla stessa visione hegel iana
della dialettica : in realtà costitui scono un 'espl icitazione , più
che un capovolgimento , di ciò che i n essa già s i t rova implici-
1 18 L'ORIZZONTE DELL'INFINITÀ ATTUALE

to 6 • Senza dire che Hegel è poi andato oltre , tentando di fornire


un 'analisi concreta del modo in cui si struttura l 'astratto o, il che
è lo stesso, tentando di accertare l 'ordine e il limite del depoten­
ziamento del concreto : e nel puro essere con il quale si apre la

6 Anche se alcuni passi hegeliani sembrano poi denotare una sostanziale in­
comprensione di questo fondamentale lato della questione: si veda la nota 3 di
questo stesso capi tolo.
L'interpretazione di Bradley da noi ricordata, che è in tal senso la più chiara
e che, come vedremo fra poco, sta alla base anche delle riflessioni svolte da un
altro rappresentante dell'anglo-hegeli smo, J .E. McTaggart (cfr. il nostro saggio
su Differenza e opposizione nell'idealismo britannico: Bradley e McTaggart in
La differenza e l'origine, cit.) , ci sembra concordare per alcuni aspetti fonda­
mentali con quella proposta nei giorni nostri da E. Severino e non a caso ri­
chiamata nel l ' I n troduzione del presente l avoro (si veda, colà, la nota 6). Anche
per questo autore « la connessione necessaria tra l e determinazioni non deve
essere un ri sultato, ma l 'originario: solo cosl l'isolamento della determina­
zione può essere il fondamento del costituirs i della contraddizione di alettica e
tale contraddizione riesce a liberarsi dal carattere di presupposto che invece
essa possiede nel testo hegeliano » (La struttura origi�taria, Adel phi , M i lano
1 98 1 ", p. 56). La dialettica è da intenders i , nel suo signi ficato centrale, come
« il rapporto tra il concetto concreto e il concetto astratto dell'astratto » ( ibid.,

p. 47). Il concetto concreto dell 'astratto è « l 'apparire della determinazione


particolare dell'originario come determinazione che, distinta dalle altre deter­
mi nazioni dell'originario, è peraltro ad esse necessariamente unita . è quindi..

l a stessa struttura originaria nella sua relazione determ inata a i tratti che la costi­
tuiscono ». Il concetto astratto dell'astratto è « l 'apparire della determinazione
particolare dell 'originario come determinazione che non solo è d i stinta ma è se­
parata dalle a ltre determinazioni dell'originario » (p. 42 s . ) . Non solo : « Ogni
negazione dell'originario è concetto astratto dell'astratto, perché ogni nega­
zione è una determinazione particolare dell'originario che viene separata dalla
relazione necessaria che la unisce, come nega ta, alla struttura originari a . Ogni
concetto astratto dell'astratto è una negazione deli 'originario appunto perché
oesso è, esplici tamente o i mplicitamente, negazione del nesso necessario in cui
la struttura originari a consi ste. Poiché la s trut tura originaria è la struttura
della Necessi t à solo i n quanto essa è negazione della propria negazione, la strut­
tura originaria è il concetto concreto come negazione del concetto astratto
del l 'astratto, e qu indi della totalità, at tuale e possibile, dei concetti as tratti del­
l 'astratto » (p. 43). Che poi i l concetto concreto dell'astratto differisca dal con­
cetto astra tto dell 'astratto essenzialmente come il « per sé • differisce dall'c in
sé » e che, quindi, la dialettica non sia al tro che un graduale processo di appro­
priazione in actu signato di ciò che è comunque presente in actu exercito, ri·
sulta chiaramente da questi ulteriori ril ievi severiniani: « Il concetto astratto
dell 'astratto si riferisce all 'astratto ... nel suo apparire come quella determina­
zione che è ciò che essa è in quanto essa è necessariamente connessa all'origi­
nario. L'astratto, cui il concetto astratto dell'astratto si riferisce , è l 'astratto
nel suo esser signi ficante all'interno del concetto concreto dell'astratto, ossia è
l 'astratto nel suo apparire come necessariamente connesso all'ori ginario.
L'astratto, su cui cade la rete isolante del concetto astratto del l 'astratto, è un
tratto d eli 'ori gina rio, nel suo concreto strutturarsi come originari età. t di questo
tratto - che dunque può apparire nel concetto astratto dell'astratto solo in
COE R E !"'I ZA E M E TODO D I A L E T T I CO 1 19

sua Logica egli ha appunto ravvisato il limite inferiore di tale de­


potenziamento , offrendo così un 'adeguata giustificazione del suo
i nizio e quindi riscattando validamente quella medi azione che
sarebbe stata , comunque , implicita nella scelta di qualsiasi inizio .

q u a n t o appare questa sua strutturaz ione , c i oè solo i n quanto appare il concetto


concreto dell 'astra t t o , c i oè solo i n quanto la stru t t ura origi naria appare - che
i l concetto astratto afferma c h e i l suo esser s i g n i ficante c osì come esso è s ign i­
fi c a n t e è i n d i pendente da ogn i sua con nessione ad al tro . . . I l concetto astratto
d e l l 'a s t ra t t o identifica A (come determ i nazione necessariamente connessa al­
l 'origi n ario) a un « A • ch e , concepito come i n d i pendente dalla sua connessione
con l 'o ri g i nari o, è in verità u n non-A ; identifica questo non-A (che è q uanto
i n verità è posto, se si conce pi sce A come i n d i pendente d a l l a sua connessione
ori g i n a ri a con l 'or igi n a ri o ) ad A (come determ i nazione concretamente connessa
all 'orig i nario ) . Q ue s ta i d e n t i ficazione è poss i b i l e - e cioè i l conce tto astra t t o è
p o ssi bi le - solo se nel conce tto astratto appaiono en trambi i t e r m i n i iden t i fi­
cat i , e c i oè solo se in tale concet t o appare la stessa struttura originaria (cioè
la s t ru t turazione originaria di A , n e l l a quale consiste la connessione necessa ria
d i A a l l 'o rig i n a ri o ) , dalla quale i l concetto astratto isola l 'astratto . . . Proprio
perché ri ferisce a d A questo predicato [ l 'esser separato da ogni rel azi one,
N .d . R .] il concetto a s t ra t to d i A è necessariamente l 'apparire d i A , ossia è
l 'a p parire di qu el significato concreto di A rela t i vamente al quale quel predi­
cato è un predicato impossibile. La separazione d i A è l 'imposs ibile, l 'inesi­
ste n t e , ma i l concetto a s t ratto d i questa separazione implica necessariamente
quel concetto d i A , c i oè l 'appari re d i quella rel azione necessaria d i A al con­
c ret o orig inario, dalla quale i l concetto astratto di A separa A ( concepi sce A =

come separa t o ) . La separazione d i A è l 'impossibile ma, nel concetto astratto


d i A , l 'a pparire d i questa separazione è, da u n lato, l 'apparire del si gni ficat o
con c re t o di A (del significato cioè, ri spetto al quale la separazione è pred icato
impo s s i b i l e ) , dall 'alt ro lato è , appunto, l 'ap parire d i A come separato, e , come
se p a ra t o , A non è A , è non-A . Nel concetto astratto, ad A (che appare , nel
suo esser A , nel suo si gni fic at o concreto) viene ri feri to u n predicato (la separa­
zion e ) , rel a t ivamente a l quale i l soggetto della predicazion e , in veri tà, non è A,
ma un n on-A. A resta così iden t i fi cato a non-A . Ma i l concetto astra t t o , da un

l a t o , pur implicando necessari amente l 'a p p a ri re del s i g n i ficato concreto d i A ,


c i oè p u r implicando l 'a p p a ri re d e l l a s t ru t t u ra ori g i n a r i a della N ecess i t à , tratta
la struttura or i g ina ri a come un niente . . . sì che nel concetto astratto appare il
sign i fic a t o concreto d i A , ma non com e signi ficato concre t o ; dall 'al t ro la to , in
q u a nto è l 'appari re d i A c o m e separato, o s s i a in quanto è d i neces s i t à l 'appa­
rire di non-A , il concetto astratto è l 'appa ri re i n cui non-A appare non come
non-A, ma come A - appunto come quel l 'A di cui tale concetto pred ica l a sepa­
razion e ,. (pp. 44-6) . Vedremo nel l 'ul timo capi tolo qual è l 'obiezione fonda­
mentale che Severi no - i n armon i a , de l resto, con la sua posi z ione filosofica
complessiva - rivolge al metodo d i alettico hege l i a n o ; alla prospet t i va del i neata
in q uel ca p i t olo giungeremo percorrendo un i t i nerario almeno i n p a rte solle­
citato dall'adesione ad u n interessante ed originale spunto cri t i c o prese nte nelle
lucide medi tazi o n i sul sign ificato della dialettica formulate dal g i à ricordato
M cTagga rt (uno spunto che, conven ientemente rad icalizzato, renderà i n u l t i mo
n ec e s s ari a una rettifica sostanziale del senso spettante ad alcuni t ra t t i dello
stesso ge n e ral e modello i n terpre t a t i vo del la dialettica fi n q u i presentato e ,
come i n precedenza avevamo detto, dal M cTaggart i n izialmente con d i v iso) .
1 20 L 'ORIZZONTE DE L L ' I N F I N I TÀ ATT UALF

L 'accento posto sin qui sulle figure della negazione e della con ·
traddizione non deve mai indurci nell 'equivoco di credere che
il metodo dialettico possa fare leva sulla scoperta di auto-con­
traddizioni : ché queste , nel caso venissero effettivamente ri le­
vate , sarebbero del tutto insanabili e n on darebbero luogo ad
alcun processo dialettico , potendo essere tolte solo con la pura
e semplice cancellazione o eliminazione di ciò che da esse risulta
affetto. In questo senso , anzi , si deve affermare con il massimo
della decisione e della chiarezza che la verità e la realtà consisto­
no non di contraddizioni , ma di momenti che , se fossero i solati,
sarebbero contraddittori , laddove nella loro sintesi (nel loro or­
ganismo, nel loro si stema) si presentano conciliati e coerenti : la
contraddizione non è mai intrinseca ad alcunché, perché è qual­
cosa che si delinea sempre fra l 'astratto esplicito ed il concreto
più o meno implicito , fra il tema e lo sfondo 7 • Ma da questi
fon damentali rilievi segue che il ruolo giocato dalla negazione
entro il processo dialettico è, nonostante ogni apparenza con ­
trari a , sostanzi almente secon dario . L 'aspetto realmente essenziale
della dialettica non è infatti la tendenza della categoria finita a
negarsi m a , piuttosto , la sua tendenza a completarsi . Certo , le
varie sintesi relative che segnano le tappe del processo constano
ognuna di due momenti od aspetti che , isolati , stanno fra loro
nella relazione di idee contrarie, sì che una caratteri stica del
moto di alettico sembra con sistere proprio nel passaggio da
un 'idea alla sua contraria : ma ciò non è dovuto , come volentieri
s i suppone , ad un 'intrinseca tendenza di ogni categoria ad affer­
mare la propria negazione in quanto negazione , ma ad u n 'intrin­
seca tendenza ad affermare il proprio complemento. Nella pro­
spettiva hegel iana non è un fatto meramente contingente che il
com plemento o l 'i n tegrazione di una categoria sia in qualche
m isura la sua negazione, ché anzi si tratta di un principio neces­
sario ed assoluto : tuttavia resta vero che una categoria trapassa
n eli 'altra non perché questa negh i il suo significato , ma perché lo
compl e t a . La antiteticità rispetto alla categoria precedente sem-

7 Per l a d i fferenza tra i d u e t i p i d i con t ra d d izione cfr. p . 70 e la nota 13 a l


cap. I l . C i sem b ra inol t re s i g n i fic a t i v o i l f a t t o c h e nella stessa fonnulazione
d e l l a t i p i c a s i t u a z i o n e d i a l e t t i c a s i trovi i m p l i c i to i l ri c h i amo al fondamen tale
p a r a d i gm a fenomenologico ( a p punto il b i n o m i o d i « tema », o « primo p iano •,

e « s fo n d o » ) : ne p a r l e remo n e l pros s i m o c a p i tolo.


C O E R E N ZA E M E TODO D I A L E "M" I CO 121

bra essere più un carattere proprio di ciò che funge da comple­


mento che non una parte della sua essenza. Questo fondamentale
aspetto della problematica relativa all 'applicazione del metodo
dialettico è stato assai opportunamente colto da J . E . M cTaggart
nella sua interpretazione generale del dialetticismo hegeliano :
si tratta , osserva questo studioso , di « uno dei punti nei quali la
difficoltà, sempre grande , di distinguere ciò che Hegel ha detto da
ciò che secondo coerenza avrebbe dovuto dire diviene quasi in­
superabile » 8• Che il pensatore di Stoccarda in qualche misura
riconoscesse la secondarietà dell 'idea di negazione sembra al
McTaggart probabile , specialmente quando si consideri il § 240
d el i ' Enciclopedia 9 , secondo il quale l 'elemento della negazione
sembra entrare nel processo dialettico con gradi assai differenti
di accentuazione del suo ruolo nelle tre fasi ( Essere , Essenza ,
Concetto) di cui quel processo si compone, i n modo che il pas­
saggio da una categoria all 'altra acquista una linearità sempre
maggiore e diminuisce invece l 'importanza del movimento da
contrario a contrario: il che sarebbe naturale in un sistema nel
quale materia e forma sono così intimamente connesse che i gra­
duali mutamenti della materia o del contenuto non possono
prima o poi non reagire sulla n atura stessa del movimento at­
traverso il quale hanno luogo . Ma, come rileva il commentatore
scozzese , « l 'assenza dai testi hegeli ani di ogn i dettagl iata espo­
sizione di un principio così fondamentale come quello della parte
gradualmente decrescente svol ta dalla negazione nella dialettica
e l 'incapacità di trame tutte le conseguenze sembrano ind icare

che il pensatore germanico o non Io avesse c h iaramente scorto


o non ne avesse colta tutta l im portanza » 1 0 •
'

Come si può facilmente com prendere , ci trov iamo di fronte ad


uno dei nodi fondamentali da sci ogli ere per giungere ad una
corretta i n terpreta z io n e e valutazione del sign i ficato compless ivo
della filosofia hegelian a : solo da questo eventuale sc iogl i mento

8 Studies in the Hegclian Dialectic, U n i ve rs i ty P r e s s , Cambridge 1 92 2 , p. I O


( 1 st ed. 1 896) .
9 « La forma a s t ra t t a del pros i e g u o , n eli "essere , è un altro e un t rapassare i n
altro ; n e l l 'essenza , l 'apparire nell "oppost o ; nel conce t t o , l a d i s t i n z i o n e d e l
singolo dall 'universalità, la q u a l e c o m e t a l e con t inua i n c i ò c h e è d i s t i n t o d a
l e i ed è c o l dist i n to i n re l a z i o n e d i iden t ità » .
I o Studies, cit., p . I l .
1 22 L 'ORIZZONTE DELL' I N F I N ITÀ ATT U A L E

potranno venire lumi riguardo alla validità ultima della dialet­


tica per il nostro sapere filosofico in generale e metafisica in
particolare , così come potranno venire ind icazioni circa il s e n so
da attribuire in defin itiva alle considerazioni che , rel ativamente
alla dimens ione prefilosofica del sapere , abbiamo form u l a t e al
termine del la prima parte del presente studio. Cercheremo q u i n d i
d i affron tare l 'impegnativa questione fi n dal prossimo paragrafo.
Nel capitolo successivo prenderemo in esame la problema tica
del rapporto fra immedi atezza e mediazione nel metodo dial et­
tico, considerandola da una prospe ttiva differente da quella nel­
la quale ci s iamo posti nel presente paragrafo. dove abb i amo
messo a tema l 'immediatezza così come essa si configura, nelle
sue varie accezion i , entro l 'el emento logico (das Logische) e non
- come invece tenteremo di fare là, sia pur riprendendo i ril ievi
qui svol ti - nel senso l ato di « esperienza » . Nel capitolo con­
clusivo , infine , cercheremo di util izzare quanto saremo venuti
così appurando per tentar di dare una risposta agli interrogativi
sopra prospettati e per tirare le fila di tutta la nostra indagine.

2. L 'applicazione del metodo

Sembra allora che il metodo con il quale nel la Logica hegeli ana
si procede da una ca tegoria a quella success iva non sia qualcosa
che s i manti ene invariato lungo tutto il processo ma che , al con­
trario, muti a mano a mano che questo avanza . Abbiamo visto
il § 240 dell 'Enciclopedia , che di questo punto dà una pros petta­
zione estremamente sintetica ; la differenza tra il modo di proce­
dere della dottrina dell 'Essere e quello della dottrina dell'Es senza
e tra quest 'ul timo e quello della dottrina del Concetto è espressa
in modo più dettagl iato nei Zusiitze al § 111 11 e, rispett ivamente ,

11 « Nell 'Essenza non avviene più alcun passaggio, ma c'è sol tanto la relazione.
La forma della relazione è n eli 'Essere soltanto come nostra riflessione ; invece
n eli 'Essenza la r i llcssione è la sua determ inazione propria . Se nella s fera del·
l 'E ssere il qualcosa diventa altro con ciò stesso il qualcosa è scomparso. Nel·
l ' Essenza invece le cose non stanno così ; qui non abbiamo alcun vero altro,
ma soltanto d i versità, relazione dell 'uno al suo al tro. Il passare dell'Esse nza non
è dunque un passare, perché nel passare del d iverso nel diverso il diverso non
scompare, ma i di versi rimangono nella loro relazione. Se per esempio parliamo
dell 'essere e del nulla, l 'essere è per sé e il nulla per sé. Le cose stanno in modo
del tutto d iverso nel caso del positivo e del negativo. Questi termini hanno sì la
C O E R E N ZA E M E TOOO D I A L E TT I CO 1 23

al § 1 6 1 12• Da questi testi si possono già trarre alcune prime ,


importanti conclusioni. A mano a mano che la deduzione procede
la singola categoria appare per così dire sempre meno stabile e
p e rde quel sembiante di solidità e di autonomia da cui erano
c a ratterizzate le categorie inizial i ; per contro il processo diviene
sempre più limpido e trasparente e appare sempre p iù come
qualcosa che compendia in sé il reale significato delle categorie .
Nella s fera dell'Essere ogni categoria appare in se medesima
come qualcosa di fisso, che esclude tutto il resto e non contiene
alcun rimando a ciò che la segue ; solo la riflessione esteriore può
denunciare questa falsa pretesa di stabilità e mostrare l 'inevita­
bilità del processo dialettico. Nella sfera dell 'Essenza ogni cate­
goria rinviene in se stessa il rimando alla categoria successiva
e il passaggio sembra perciò intrinseco alla sua natura ; ma questo
trapassare in altro viene pur sempre avvertito soltanto come una

determinazione dell'essere e del nulla , ma il p o s i t ivo per sé non ha alcun senso


bensì è assolutamente i n relazione al negativo. Lo stesso vale per i l negat ivo.
Nella sfera dell'Essere la relazionalità è posta s o lt an t o in sé ; nell 'Essenza i nvece
è posta . Questa è in generale la differenza tra le forme dell'Essere e del­
l 'Essenza . Nell 'Essere tutto è imm ed i at o , nell 'Essenza tutto è relat ivo » ( tr. it.
Verra , UTET, Tor i n o 1 98 1 , p . 305 ) .
1 2 « Passare i n al tro è i l processo dialettic o nella sfera dell'Essere, apparire in

al t ro è i l processo dialettico nella sfera dell'E ssenza . I n vece il movimento del


Concet to è sviluppo, m e d iante il quale viene posto s o lt a n t o ciò che c 'è già in sé .
N e l l a natura è la vita organica che corrisponde al grad o del Concetto. Così , per
esem p i o , la pianta si svi luppa dal suo germe. Il germe c o n t ien e propri amente
l ' i n t e r a pianta in sé , ma in modo ideale, e non se ne deve quindi i n tendere lo
sv i luppo come se l e d i verse parti fossero g i à rea/iter p re s e n t i nel germ e , benché
sol t a n t o in modo m i nus c o l o Questa è l a cosiddetta ipotesi del l 'i ncapsulamento,
.

i l c u i d i fetto consiste nel fatto che c i ò che d apprima c 'è in modo s ol t a n t o ideale
v i e n e considerato come già esistente. Ciò che vi ha di giu s to in questa ipotesi
è i nvece che il Concetto n e l suo processo rimane presso d i sé , e mediante
tale processo non è posto niente di nuovo q u a n t o a l contenuto, m a sol tanto
viene prodotto un mu tam e nto di form a . Questa natura del Concetto d i mostrars i
nel suo processo come sviluppo di se stesso costi tuisce p o i a n c h e i l term i ne d i
ri fe r i m e n t o d i c h i p arla di id ee i n n a t e nell 'uomo o d i c h i , come Platone , con­
si dera ogni i mparare c om e ricordare ; il che però non deve essere inteso come
se quanto cost i tuisce i l conte n u t o d e l l a cosc i enza formata attraverso l 'i s t ru­
z i o n e fosse già stato presen te prima n e l l a coscienza medesi ma i n modo deter­
minato ed esplicito. Il movimento del Concetto va con s i derato, per così d i re ,
soltanto come u n gioco; l 'altro c h e v i e n e posto mediante questo movi mento
i n effetti non è un a l t ro . I l c he t ro v a espress ione nella dottr i na del l a rel i g i one
cristiana, quando dice che D i o non ha c reato sol tanto u n mondo c h e gli sta d i
fronte come a lt ro , ma d a l l 'eternità ha anche generato un fi g l i o nel quale è
come s p i ri t o presso di sé » (lbid., p. 3 7 9 s . ) .
1 24 L 'ORI ZZONTE DE L L ' I N F I N ITÀ ATT U A L E

specie di riflesso o di riverbero con cui tale natura s i manifesta


esteriormente , dato che essa è tuttora distinta dalle relazioni che
ha con le altre categorie. Le cose mutano con il passaggio nella
sfera del Concetto ; si tratta del passaggio « più difficile , perché
la realtà per sé stante deve pensarsi che abbia la sua sostanzialità
soltanto nel trapasso e nell 'identità con la realtà per sé stante
altra da lei » 13• A questo punto il passaggio non è più sempl ice­
mente un che di necessario alle categorie , ma è le categorie : la
realtà di ogni determinazione finita si esaurisce nel suo ricapito­
lare le determinazioni precedenti e nel suo rinviare a quelle suc­
cessive . Questo mutamento di forma cui il processo d ialettico è
soggetto nel corso del suo svolgimento ne trae poi con sé u n
altro non meno rilevante , egregiamente messo in luce dal
McTaggart 14• Entro la logica dell'Essere la tipica modalità di

13 § 1 59 , A n m .
a L a t ra ttazione c h e ora segue sintetizza il con tenuto di buona parte d e l I V ca­
p i tolo (The development of the method) del l i b ro sopra ricordato e ricalca
l 'e sp o si z i o n e che del medesimo punto g i à avevamo data nelle p p . 200 ss. del
saggio Differenza e opposizione nell'idealismo britannico . . . , cit., al quale riman­
d i a m o per ul teriori r ag g u a g l i sull 'opera svol t a da questo autore in q u a l i t à di
s t u d i os o di H egel . Ciò che ci sembra particolarmente significativo e prezioso
a l l ' i n t e r n o di tale o p e ra , sl d a meritare di essere ri p ro p os to entro l 'odierno
d i ba t t i t o fi losofico come q u a l c o s a di ancora fecondo ed attuale, è la scoperta
del l a necessi t à d i d issen t i re da certe persuasioni heg e l i ane « in forza d e l l e s tesse
premesse h e g e l i a n e • : s c o pe r ta che si pone al term i n e di u n tragitto cara tteriz­
za t o da u n a compenetrazione m i ra b i l e di lu c i d a intell igenza storica e di v i g i l e
s en s i b i l i t à teoretica , tale da con fi gu ra re l a c ri t i c a q u a s i come u n p o rt a to n a tu·
rate del l 'e s e ge s i e l 'ese ges i come qu a l c o s a di s pon t a n e a m e n t e ed i n tri n seca­
mente orien tato verso il momento d e l l ' i n t e r p ret a z i on e speculativa. L'aspetto
sul quale, come già in parte abb i a m o v i sto e come a ncora v e d rem o , lo studioso
scozzese i nsist e mag g i o rm e n te è la rilevazion e del carattere subordinato. e in
u l t i m a ana l i s i provvisorio e acci dentale, spettante alla negazione entro i l pro­
ce d i me n t o d i alettico : g i à il riconosc i me n to di q uesto punto impl ica secon d o
l u i il coragg io di « a ff e rm a re esp l i c i tamente qualcosa che nei testi hegeliani
n o n si trova sc ritto • , s i a pur facendo l e v a su asserzioni che, peraltro, quei testi
c o n tengo n o in modo s u ffi c i e n te m e n te c h i aro. Ma da qui il nostro a u t ore
parte per compiere u n 'afTermazione u l t e ri o re e più im pegnativa , che ci dà pro­
p riament e l a m isura d e l l 'eret ical i t à d e l l a sua po si z ione ri s petto a q u e l l a di
H egei : si tra t t a d e l l a tesi secondo la q u a l e la dialettica , i ntesa come p roces­
s i o ne delle categorie svolgentesi per successi vi con trasti e co n c i l i a z i o n i , n on
esprime e non può e s p r i mere la verità a ss ol u ta , ossi a la natura pro f o n d a del
p uro pensiero , essendo quest 'u l t i m a r i s p e c c h i a t a piut tosto da una progress i one
c o s t ru i ta sul modello di uno s v i l u p p o l i neare e privo di op po s i z i on i , come
sarebbe ad esempio la c re s c i t a d i u n seme fi n o a diven ire pianta (il che nel
corso efTc t t i vo d e l l a d i a l e t t i c a non si v eri fi c a mai perché è piuttosto un id ea l e
a s i n to tico) . S a re b b e questo, in n uce, il paradosso della d i a l e t t i c a , come lo
COERENZA E M E TODO D I A L E T T I CO 125

avanzamento d a una categoria all 'altra è costituita dal trapassare


della tesi in un'antitesi che è ad essa meramente complementare
e che non le è superiore per ricchezza qualitativa ; solo quando
i due estremi sono visti nella loro unità si registra il progresso
verso una nozione superiore , il che significa che la sintesi non
può non presentarsi come la conseguenza della tesi e dell 'antitesi
considerate congiuntamente . Sarebbe impossibile pervenire ad
essa , o compiere comunque un progresso , partendo dal solo se­
condo termine , dato che entrambi i termini si situano sul mede­
simo piano e , quindi , risultano egualmente lontani dalla perfe­
zione della sintesi . Diversamente vanno le cose nella sfera del­
l 'Essenza . Qui l 'antitesi non è semplicemente complementare alla
tesi ma, in qualche modo , la corregge : è dunque più concreta e
più vera di essa e segna nei suoi confronti un reale progresso .
I l passaggio alla sintesi può allora compiersi partendo, più che
da un confronto fra i due termin i , dalla sola antitesi, la quale
non si limita ad opporre al difetto della tesi un difetto contrario
ma in qualche misura pone rimedio a quell 'iniziale manchevo­
lezza e quindi si mostra più o meno in grado di « inverare » la
tesi , a ssumendola come parte del suo stesso significato. Ma, seb­
bene l a conciliazione dei due termini possa essere ricavata anche
solo dal secondo senza il primo , qualcosa come una conciliazione
resta pur sempre necessari o : ché , nonostante l ' antitesi segni un
progresso sulla tes i , è anche opposta ad essa (non ne è sempli­
cemente un'integrazione ma anche una negazione , benché si tratti
di una negazione che segna già un approssimarsi all 'unità dei
due elementi) . La nota dell 'opposizione e della negazione tende
invece a scomparire una volta che si è giunti nella sfera d el Con­
cetto . A mano a mano che le categorie presenti in quest'ultima
si avvicinano alla meta dell 'intero processo rimangono sl distinte
l 'una dall 'altra , ma non si può dire che siano in oppos izione

c h i a m a il McTaggart e come volen t i eri lo c h i a m i a m o anche noi : non solo con­


d i v i dendone il senso fondamentale ma ri tene n do a d d i r i t tura c h e , i n certo qual
mod o , esso esiga di essere ulte riormen te rad i c a l i zzato, sembrando a noi che
l'ideale del logo debba essere visto non g i à i n u n tipo d i processo l i n eare p i u t­
t os to che oscil l ante /rom side to side m a , p i ù sempl icemen te, nel superamento
di ogni processualità. I n questo senso sia la nota 16 sia, almeno i n part e . i l testo
cui essa si ri fe r isc e rap presentano già -i n s ieme con le u l t i me p a g i ne d i questo
paragra fo - u n nostro autonomo s v i l u p po del le suggestioni che c i sono prove­
nute dalla lettura degli Studies in the Hegelian Dialectic.
1 26 L 'OR IZZONTE DE L L ' I N FI N I TÀ ATT U A LE

tra loro perché si è ormai pervenuti alla consapevolezza più o


meno esplicita del fatto che in ognuna di esse sono compendiate
tutte le precedenti e sono implicitamente contenute tutte le suc­
cessive . « Il movimento del Concetto è da ri guardarsi in ultima
istanza come una sorta di gioco. L'altro che esso fonda non è in
realtà un altro » . Ne segue che il terzo termine si limita ad inte­
grare il secondo senza correggerne alcuna unilateralità , così come
il secondo a sua volta non fa nulla più che espandere e comple­
tare il primo : a questo punto , anzi , si può dire che ogni distin­
zione tra le posizioni che un termine può assumere all'interno
di una configurazione ternaria perda significato, cosi come in ul­
tima istanza lo perde lo stesso ritmo triadico nel quale tanto
spesso si è voluto ravvisare il tratto più caratteristico del pro­
cesso dialettico . Non vi è più un 'opposizione fra due termini che
venga mediata da un terzo : ogni termine segna un diretto pro­
gresso sul precedente sì che il passaggio presenta l 'andamento,
spontaneo e continuo , di uno sviluppo organico e non quello di
una confutazione. E divenendo più spontaneo e più immediato,
appunto perché ogni categoria mostra di rimandare alla suc­
cessiva per una necessità immanente alla sua natura ed anzi
mostra di esaurire il suo s ignificato in questa transizion e , esso
pone in maggiore evidenza ciò che sta alla radice della dialettica
come tale : vale a dire il principio che la verità delle categorie
che si presentano in reciproca opposizione risiede unicamente
nella loro sintesi . La natura essenziale del processo dialettico
si rende dunque più chiaramente visibile nelle sue ultime fasi ,
ormai più vicine al modello del Concetto , che non nelle prime ,
ancora caratteri zzate dalla loro prossimità al modello dell'Es­
sere 1 5 • Ciò non deve destare in noi alcuna meraviglia : se ogni

1 5 I l Mc T a gg a r t adduce, a sostegno di q uest i rilievi, a lc uni significativi esempi

tratti dal processo ded ut t i vo così come questo si configura nella Logica del·
l'Enciclopedia. Nella prima triade della logica hegeliana tesi e antitesi sono
tali in senso assol u t o : il Nulla non è su u n piano più alto dell 'Essere né l o
contiene i n un senso nel quale anche l'Essere non lo contenga. Si può passare
con eguale facilità dall 'uno all al t r o e vicever s a e ci ascuno dei due è inca pace
' ,

di p ro d u rre per sé i l Divenire: la s i ntesi può venire sol o d a l l a co n g i u nz i on e


di e n t rambi. D 'a l t ra parte questa è l u n i ca triade che verifichi in sé lo schema
'

ass o l u t amente puro della logica dell 'Essere : gi à all'interno della prima s fe ra .

con i l procedere delle categori e della Qual i t à e dell a Quantità, il meccanismo


della deduzione si mostra s o g ge t t o ad una lenta quanto inesora b i l e alterazione.
Se si con fron ta l 'Essere-in-sé con l'Essere-per-altro, l 'Uno con i Molti e la mera
C O E R E N ZA E M ETODO D I A L ETT I CO 1 27

momento del processo segna un passo avanti nella conoscenza


della verità rispetto al momento precedente , è naturale (ed in
ciò a nostro avviso consiste la fondamentale ermeneuticità , nel
senso prettamen te novecentesco di questo termine , insita nel mo­
dello hegeliano) è naturale che questa migliore conoscenza rea­
gisca sulla maniera in cui viene eseguito il passaggio al mo-

Q u a n t i t à con il Quanto, si vede che la seconda categoria di c i ascuna coppia


è supe riore aila prima e che non ne è solamente il complemento m a , in qual­
che m i su ra , l a ol trepass a ; I'in trinsec i t à della relazione fra tesi e a n t i tesi sembra
crescere ad ogni passo cosicché prima ancora di giungere all 'Essenza sono g i à
i n certo modo visib i l i le caratteri s t i c he c h e saranno proprie d i questa secon d a
sezio n e e la mera passività e fi n i tezza dell'Essere è i n parte venuta m e n o .
Ovvia mente i l primo s t a d i o del l 'E ssenza è ancora vicino a l modello del­
l 'Essere : la D i fferenza , cosl come viene trattata da H ege l , segna certamente
un p rogresso sul l ' I dentità e non una mera opposi zione a d essa , t u t t a v i a una
buon a dose d i oppos izione permane comunque fra i due term i n i . I l progresso
è mostrat o dal fatto che la D i fferenza contiene i n sé l ' Eguagl ianza e l ' l negua­
g l i a n za , m e ntre l 'opposizione delle due ca tegorie risulta c h i a ra non solo dal­
l 'uso comune dei term i n i ma anche dal fa tto che la s i n tesi deve con c i l iarli e
d eve compensarne le varie manchevolezze . Se d 'a l t ra parte consideriamo la
triade situata esattamente a metà d e l l a dottri na d e l l ' E ssenza - quel l a di Mondo
d e l Fenom e no , Contenuto e Forma , Relazione - vediamo che l 'idea d i Con te­
nuto e F o rm a rappresenta u n c h iaro progresso nei con fro n t i d e l l 'idea del Mond()
d el Fenomeno, dal momento che nel Contenuto e nella Form a « l a relazione del
fenomeno a sé è completamente determ i n a t a » ; la Relazione, poi , per q u a n to sia
la s i n tesi dei due t e rm i n i preceden t i , è dedotta solo dal secondo men tre n o n
potrebbe essere dedotta s o l o dal p r i m o (è l a v i cendevole relazione t r a i l Con­
tenu t o e l a Forma q u e l l a che c i porta a l l 'ul teriore figura che è c h i a m a t a Rela­
zione) . Ma quando si giunge alla Sostanza e a l l a C a u s a si vede che la nozione
d i c o n t raddizione è subord i n a t a a quella d i svol g i m e n t o quasi nella stessa
misura che se fossimo g i à al l ' i n izio della dottrina del Conce t t o . E n t ra t i nella
quale, si scorge pera l t ro che i passaggi del Conce t t o come tale, d e l G i u d i z i o
e del Sillogismo non s i s o n o ancora i n teramente l i bera t i dagli elementi d i op­

posi zione e d i negazione. t solo quando si g i u n ge a l l a triade conclusiva d e l l a


Log i c a che s i è i n grado d i scorgere appieno i l t i pico a n d a m e n t o del Con­
cetto : nel passaggio dalla Vita a l Conoscere e dal Conoscere a l l ' I dea Assoluta
si nota che i l m o vime n to è perfettamente continuo, che l a presenza della tota­
l i tà è ravvisabile in ognu n a delle sue parti e che non c 'è più con trasto m a solo
svil uppo (si vedano l e pp. 1 24-26 degli Studies . . . , c i t . ) . Al trove ( p p . 225 ss.) i l
McTaggart afferma che l a conclusione d e l l a Logica appare prefe r i b i l e a quella
deila Fi losofia dello Spirito a mot ivo d e l l a sua maggiore con form i t à all 'accer­
tata incapacità del metodo d i a l e t t ico (che pur è l 'espressione supre m a del l 'a t t i ­
vità conoscitiva i n genere e fi l osofica in spec ie) d i espri m e re adegua tamente l a
rea l t à assoluta : mentre i n fa t t i n e l l a secon d a la filosofia r i s u l t a essere il tra­
guardo ultimo d el l u n go iti nerario d a essa stessa descri t t o , n e l l a prima i l Cono­
sc e re rappresenta a ri gore un momento subord i nato rispetto a l l ' I dea Assoluta
(nella quale si può forse in qualche modo ravvi sare l ' a pertura di u n a di men ­
sione metafilosofica e metarazion a l e ) e si d i a l e t t i zza per u n verso con la V i t a
e per l 'altro con la Volon tà.
1 28 L'ORIZZONTE DELL'IN FIN ITÀ ATTUALE

mento ulteriore. Abbiamo detto più volte che l a dialettica è


messa in moto dalla relazione fra il tutto concreto che è im­
plicito nella coscienza e quella parte di esso che , astratta dal
rimanente, è divenuta esplicita. Ora, poiché questo secondo
elemento è mutevole per definizione (ed infatti il significato
<lei processo consiste nel modificarlo conti nuamente) , è chiaro
che anche il suo rapporto con il tutto immutabile muterà in ma­
niera corrispondente , il che in definitiva non potrà non riper­
cuotersi sulla stessa natura del metodo dialettico. Poiché i l mu­
tamento cui il rapporto è soggetto risulta tale da rendere il rap­
porto stesso sempre più perspicuo , ogni passo compiuto sulla
strada che conduce alla verità piena sarà tale da rendere sempre
più spedito e più agevole il compimento dei passi successivi : sì
che il progredire del processo influirà sulla stessa legge in base
alla quale si realizza la progressione. Dapprima l 'idea comple­
mentare a quella assunta come punto di partenza si presenta con
essa incompatibile (si presenta cioè, propriamente , nella veste
di antitesi) e deve quindi perdere questo suo sembiante attraverso
un processo che appare a sua volta di stinto dai due termin i che si
tratta di armonizzare e ad essi ulteriore. Nelle fasi successive,
invece, l 'idea complementare tende sempre più a man i fe starsi
·come immediatamente congruente con quella ad essa a n te riore
dalla quale risulta implicata. I l mutamento gradualmente subito
dalla struttura del processo dialettico dipende allora dalla ten­
denza a fondere in un u nico atto due operazioni che prima erano
di stinte , cioè a lasciar gradualmente cadere quello stadio interme­
dio nel quale i due lati , di cui pure si sa e si vede la reciproca
connessione, appaiono nondimeno come mutuamente incompati­
bili. Se tutto ciò è vero - e noi non vedi amo come si possa ne­
garlo - non solo si dovrà d i re che l 'idea della negazione è un
che di subordinato destinato a di ssolversi entro la sintesi, ma
anche che la sua temporanea introduzione è un accidente, certo
necessario nelle fas i inizi ali del processo ma gradualmente elimi­
nato (o comunque d i importanza decrescen te) a mano a mano
che questo avanza e che i contenuti sui quali la deduzione si
esercita crescono in concretezza e in ampiezza (e , quindi , anche
in autotrasparenza) .
Ma questi rilievi non sono affatto privi di conseguenze sulla que­
stione, che a noi sta qui parti colarmente a cuore, della natura e
della validità ul tima della dialettica. I l cambiamento del metodo,
CO E R E N ZA E M E TODO DIALETTICO 1 29

s i è detto , risulta dalla crescente trasparenza della verità che sta


alla base di tutto il processo : cioè dell'irrealtà di ogni cat e gori a
finita al di fuori del momento sintetico, consistendo l'autentico
significato di quella solo nel suo rimando e nel suo passaggio a
questo . Se ciò non fosse vero di ogni categoria in qualunque fase
della dialettica , quest 'ultima non potrebbe esistere perché la sua
giustificazione consiste appunto nella persuasione del carattere
falso e decettivo della tesi e dell 'antitesi quando siano riguardate
come qualcosa che non si riduce ad un semplice momento della

sintes i . Questa decettività , però , è qualcosa che si manifesta


con chiarezza soltanto nella Logica del Concetto, per di più solo
alla conclusione del cammino in essa percorso (e , in rea l tà , è
più esatto dire che non ne raggiungiamo mai una visione com­
pleta, ma solo una visione sempre più approssimata a mano a
mano che ci avviciniamo all ' I dea Assoluta) . Nelle fas i prece­
denti , invece , . le categorie appaiono sempre come qualcosa di
stabile e di autosufficiente , sì che la consapevolezza che la loro
verità è rinvenibile solo nella sintesi appare in contraddizione
con il loro iniziale modo di presentarsi.
Se tuttavia le cose stessero realmente in q ue st ' ul t ima maniera il
processo dialettico, come si diceva , sarebbe impossibile : se vera­
mente nelle categorie ci fosse q u a l che elemento destinato a con­
s e rv a re la sua indipen d enza e a s fu ggire alla conciliazione o p e­
rata nella sintesi, qu e st ' u ltima non sarebbe una autentica sintesi
e la dialettica non riassumerebbe in sé tutti i gradi inferiori della
verità . Siamo così posti di fronte a qu e ll o che potremmo benissi­
mo chiamare il paradosso della dialettica : un parad os so riassu­
mibile nell'affermazione che l a s tes s a esi stenza del processo dia­
lettico tende ad essere una prova della sua n o n assoluta validità .
Da una parte, infatti , non sarebbe po ss ib i le alcun passaggio se
i termini fra i q ual i esso avviene non fo ss e ro obiettivamente
collegati in conformità al modello del Concetto ; dall 'altra non si
trova mai , nemmeno in quella sfera della Logi c a , un p as s aggi o
che s i svolga esattamente in b a s e a quel modello , né sarebbe del
resto possibile ri nv e nirl o . Si deve dunque supporre che l a d i alet­
tica non renda fedelmente l a natura della real t à , perché se l a
realtà fosse così c om e essa l a ra pprese n t a l a stessa d i alettica non
potrebbe aver luogo : nel caso , i n fatti , che non s i de ssero l e in­
tegrali condizioni della sua val i d i tà i l processo sarebbe materi al­
mente es e g u ibile, ma formalmente i llegi t t i m o ; nel caso che invece
1 30 L 'O R I ZZONTE DE L L ' I N F I N ITÀ ATT U A L E

si dessero diverrebbe, a rigore , del tutto superfluo 16 (per di rla in


breve : nel primo caso non potrebbe darsi la liceità di un processo
dialettico , nel secondo non sarebbe più possibile né, del resto,
necessario alcun processo in generale) . Vi è nel movimento dia­
lettico , oltre all 'elemento che esprime la reale natura del rap­
porto fra i termini di volta in volta esaminati , un altro elemento
che contribuisce ad oscurare e a confondere l 'autentico signifi­
cato della stessa dialettica , perché esprime piuttosto l 'inadegua­
tezza inevitabilmente connessa alla considerazione iniziale di
un oggetto che potrebbe essere pienamente compreso solo quan­
do la considerazione stessa fosse stata completata : ossia , per
l 'appunto, quando il processo dialettico si fosse compiuto 17•
Ritorna qui il carattere ci rcolare della struttura ermeneutica mes­
sa in luce nel terzo capitolo e che abbiamo ritrovata già due

16 In questa seconda ipotesi, infatti, sarebbe già disponibile prima facie quella
prospettiva di perfetta unità e continuità fra i termini (tanto perfetta che perde­
rebbe addirittura senso in relazione ad essa continuare a parlare a qualsiasi
titolo di una pluralità di termini) alla quale viceversa, nel caso preced ente. si
pensava di poter accedere proprio attraverso il processo dialettico. Non solo
ma, non essendovi più alcun luogo per passaggi o mediazioni di sorta, q u esti
ultimi diverrebbero anche materialmente impossibili. E, a ben guardare, p�
prio cosi dovrebbero stare le cose se noi dovessimo prendere sul serio il re­

sponso della dialettica: ché il luogo obiettivo per la possibilità del darsi di
una mediazione non potrebbe essere, in ultima analisi, se non uno iato o una
frattura presenti in seno alla realtà, e invece proprio dalla dialet tica noi ve­
niamo a sapere che di tali iati o fratture non ve ne sono. Dunque sembrerebbe
proprio, come sopra si diceva, che se la dialettica ha ragione nella sua conclu­
sione fondamentale e nel suo esito ultimo non debba, poi, poter esistere come
processo: e in ciò consisterebbe appunto il suo supremo paradosso. Di fatto le
varie determinazioni logiche ci appaiono inizialmente come isolate da quel­
l'organismo vivente nel quale soltanto sono reali (e nel quale dovrebbero com­
penetrarsi e fondersi in modo tale che nulla di esse vada predu to) ; ora, com'è
possibile che ciò avvenga? E, in ogni caso, giova osservare che il processo d ialet­
tico che da esse può svilupparsi non sarà mai veramente soddisfacente perché,
anche ammesso che la sintesi destinata a scaturime risolva davvero in sé tutto il
contenuto positivo dei momenti che l'hanno preceduta , non riuscirà comunque
a risolvere in se medesima per lo meno quel loro aspetto per cui tali contenuti
sono apparsi discreti o isolati fuori di essa : sl che, se vorrà presentarsi come
integrale o assoluta risoluzione di tutti i conflitti presenti nelle determinazioni
ad essa inferiori, potrà farlo solo operando in qualche modo una forzatura,
ossia - come dicevamo nel testo - senza che tale sua pretesa goda di un 'auten·
tica legittimità. Cercheremo comunque di delineare nell 'ultimo capitolo della
nostra indagine quella che ci sembra essere la soluzione più appropriata per
questa fondamentale e impegnativa problematica.

17 Rimandiamo qui alla nota 9 del cap. I I I e alla trattazione in cui essa era

inserita.
C O E R EN ZA E M ETODO D I A LE T T I C O 131

volte nel nostro esame del dialetticismo hegeliano, ivi attingen­


done in qualche modo la dimensione più radicale e profonda ,
cioè la dimensione strettamente speculativa . Si tratta , in breve ,
di porre mente al fatto che nel sapere filosofico (e, sia pure in
misura minore e con diverse modalità, anche nel sapere scienti­
fico) l 'oggetto può significare soltanto ciò che emerge da e si
costituisce attraverso il movimento della considerazione pensan­
te ; la sua vera realtà è nella sua autorivelazione o automanifesta­
zione , il suo esse è intelligi. Ciò si comprende bene , perché sa­
rebbe immediatamente contraddittorio - ed è la contraddizione
nella quale , precisamente , cade il realismo naturalistico - pre­
supporre alcunché, in questo caso la stessa strutturazione del
sapere assoluto, al di qua del concreto processo volto al suo ac­
certamento. D'altra parte, se un tale accertamento è ciò cui il
processo è « volto » , se esso è ciò che , appunto, deve solamente
risultare dall 'esplicazione del procedimento argomentativo , que­
st 'ultimo dovrà necessariamente essere visto come qualcosa che ,
almeno per un lato, si situa esteriormente alla dimensione nella
quale si colloca l 'attuale possesso della verità . Sì che il punto
d'avvio del movimento non può non essere, in questo senso , un
che di inadeguato : ma ciò non deve meravigliarci particolar­
mente, perché lo scopo della deduzione dialettica è proprio quel­
lo di mostrare l 'inadeguatezza della sua premessa (il che vuoi dire
l 'irre altà che le compete se viene presa nella forma in cui , ap­
punto , funge da premessa) . Ci si muove , infatti , solo da ciò che
per qualche aspetto si presenta inadeguato ; di fronte a ciò che
tale non fosse in nessun senso e in nessun modo , si potrebbe e si
dovrebbe dire soltanto : hic manebimus optime (come infatti si
dice quando si giunge al cospetto dell 'esito ultimo della dedu­
zione) . Eppure , anche se ciò non deve destare in noi una partico­
lare meraviglia , tuttavia è già in certo qual modo paradossale
perché equivale a dire - come , in parte , era emerso già nel pa­
ragrafo precedente - che la mediazione ha per scopo il toglimen­
to del suo stesso punto di partenza : equivale a dire che il de­
stino della mediazione è quello di procedere facendo in qualche
modo terra bruciata dietro di sé. Ma del tutto paradossale è
poi la conclusione cui si giunge se, compiendo un altro p iccolo
passo , si osserva che togl iendo il suo punto di partenza la media­
zione toglie una parte costitutiva del suo stesso essere come me­
diazione . Si tratta di rendersi conto che , se è inadeguato il punto
1 32 L 'OR IZZONTE DEL L 'I N F I N I TÀ ATT U A LE

di inizio, inadeguato sarà in qualche modo anche tutto ciò che da


esso si può ricavare e in particolare , almeno nelle modalità
d 'esecuzione, la stessa denuncia dell 'inadeguatezza : proprio per­
ché essa dipende strutturalmente dal termine denunciato e d è ,
per così dire , costretta a prenderlo sul serio e , come abbiamo
visto, a !asciarsene influenzare in maniera decisiva. Se ciò che si
colloca fuori del Tutto concreto appare per ciò stesso i rreale,
anche il passaggio da questa irrealtà a qualche altra irrealtà e,
in ultima analisi, alla stessa Realtà non sarà qualcosa che ri­
flette una struttura reale. Il nesso che lega fra loro le categorie
come momenti dell ' I dea Assoluta non è adeguatamente reso dal
nesso delineato entro la deduzione dialettica : non nel senso che ,
pur mantenendo quest 'ultimo tipo di legame , le categorie deb­
bano essere disposte diversamente (il che potrà anche in qualche
caso essere vero , ma non costituirebbe comunque un difetto di
struttura e, in ogni caso , non è l 'aspetto che ora ci interessa) 1 8 ,

I B C i sembra i nfatti che i l problema sollevato i n queste pagine s i s i tu i ad u n

livello p i ù o ri gi na ri o e c h e quindi conserverebbe tutto i l suo si gn ificato anche


se, una volta posti i mezzi logici umani al servizio del compito che Hegel si
era prefisso, si dovesse effettivamente concludere che la particolare s i stema·
zione o successione delle categorie da lui offerta nella sua Logica è perfetta·
mente valida e non necessita di correzione o di aggiornamento alcuno : anche in
una simile eventuali t à , infatti , tale sistemazione o successione avrebbe pur scm·
p re un significato ed un valore ben diversi da quelli che le attribuiva il pen·
satore di Stoccarda e che , almeno in linea di principio, le hanno attribuito
a nche mol ti di quegl i in terpreti che in seguito l 'hanno criticata per questo o
per quell 'aspetto particolare o che addiri ttura l 'hanno rifiutata in toto. Dovreb­
be o rm ai essere chiaro che, se nella prospettiva esposta e difesa in questo
lavoro si fa innegabilmente riferimento ad un intimo contrasto presente nella
concezione hegeliana della dialettica (e determinato da due anime o da due
vocazion i , l 'una propriamente meta-fisica e l 'al tra in senso lato storicistica , che
si scontrerebbero nella mente del fil osofo) , tale contrasto non ha però n u l la a
che vedere con l 'ormai logora e abusata contrapposizione tra metodo e s i stl!ma
nell 'hege l i smo. I n fat ti noi non sosteniamo che, a fronte d i un impianto met�
dico valido e i n teressante, vi sia i n Hegel un edificio sistematico meno valido
perché viziato, i n certi passaggi della sua costru zione, da difetti logici concre·
tamente estens i b i l i e sanabi li o perché col pevole di assolutizzare un materiale
legato alla prospettiva culturale, necessariam ente caduca , di una determinata
epoca storica ; non diciamo questo , perché ci sembra che celebrare il metodo
che presiede allo svolgersi del processo s m i n uendo nello stesso tempo il valore
dei conten uti equivarrebbe p roprio a con feri re un valore assoluto a quella pura
processual ità del pensie ro che, secondo noi , costi tuisce viceversa il princi pale
segno di non assolutezza . Sosteniamo p i u ttosto che, con un metodo che nella
p ropria applicazione si presen t a strutturalmente incapace di serbare fedel tà ai
suoi stessi principi fon damentali (sì che la vera contrapposizione sembra anni-
CO E R E N Z A E M ETODO DI ALETT I CO 1 33

ma n el senso che la forma o la qualità della connessione che le

stringe in seno all ' I ntero è diversa e assai più stretta , potendosene
caso mai scorgere una prefigurazione , come sappiamo, soltanto
nelle p arti conclusive della logica del Concetto. L 'essenza della
mediazione , in quanto consiste dapprincipio nel superamento del­
l 'immediato, si configura in ultimo come superamento della stessa
medi azione : ritroviamo così , con una consapevolezza ancora
più p rofonda del suo significato , l 'affermazione dell 'essenziale e
già ric ordato § 50 dell 'Enciclopedia 1 9 • Non resta allora che ripe-

darsi tutta al suo inte rn o , tra i l suo fondamento e l a sua effettiva app l i c a b il i t à ) �
nessun « si s t e ma ,. di d eter m i na z io n i concettuali potrà m a i , quand'anche risul­
t as se logicamente i nc o rre gg i b i le o storicamente immodificabile, essere r i gu a rd ato
come u n documento del l 'Assoluto. Ma siamo con sap e v o l i che il senso di quest a
affermazione ris u l ter à in terame n te c om p rens i b ile s o l o nell'ult i mo c a p i to l o del
presente lavoro.
1 9 Alla lettura del q u ale si deve a ffi ancare q u ella del parimenti i m p o rt a n te
§ 12 con la sua A nmerkung, p re z io sa per il co n t r i b u t o alla delineazione de l
fatidico nesso di immediatezza e mediazione e, soprattutto, dei sensi in cui la
seconda può essere detta di pe nde n te o i nd i pen d ente dalla pri m a. « Qui biso­
gn a ... richiamare l 'attenzione , in l i nea pre l i m ina re, sul punto c h e se anche i
d ue momenti appaiono come d i stinti , nessuno d e i due può mancare e che essi
sono in connessione i n sci ndibile. Così la c o n os ce n z a di Dio, e quel la di ogn i
s o p r a sen si bi l e in genere, con tiene essenzialmen te un elevamento su ll ' a pp ren­
sione s e nsi bile o i ntu i z i one ; contiene dunque un a ttegg ia m ent o negativo v e rs o
questa, ma, in quell 'atteggiamento, è i n s i e m e la mediazione. G i acché media·
zione è pri n c i p i o e pa s sa ggi o a un secondo term i n e , in modo che q ue sto se­
c o ndo solo in tant o è in q u a n t o vi si è gi u n ti da un qua lcosa che è a l t ro r i s pe tto
ad es s o . Con ciò, per altro, la conoscenza d i D io non è meno i n d i p e nd e nte
rispe t to a quel lato empirico, anzi si conq u i st a la s u a indipendenza essenzial­
mente mediante siffatta negazione ed elevazione . Se la medi azione è prese ntat a
come una co ndi z io nal i t à [Bedingtheit ] ed è messa u n i l at eralmen te in ri l ievo,
si può dire - ma non si dice gran cosa - che la filosofia deve l a sua prima
origine a l l 'espe ri e nz a (all 'a posteriori ) . In r eal t à il p en s i ero è es s e n z i a lm ente
la n eg az i on e di un e s i s ten t e i m med iato. Allo stesso modo il mangiare si d eve ai
m ezzi d i nutrizione, p e rc h é senza questi non s i potrebbe mangiare : il man­
gi are viene in verità, sotto questo aspetto, rappresen t a to come u n i ngrato, che
distrugge ciò a cui deve se stesso. E il pe n s i e r o, in questo senso, no n è meno
un i n grato » . Poiché è i n neg a b i le che il m a n g i a re s a re bbe i m p o s s i b i l e s e nza
q u al cosa d a mangi are m a , al tempo stesso, Hegel d i c e che esso non d i p e nd e
d a l l 'esistenza di questo qualcosa , così dobbiamo pensare che l 'i n d i spe n sab i l i t à
d ell 'es perienza per l 'esistenza del la fi losofia non c ompo r t i la d i pendenza d i
qu est a d a qu el la (ossia , nel l a te rm i nolo g i a sopra v i s t a , l a s u a condizionalità o
condizionatezza ad op e r a d i q u el l a ) . t i n somma p os s i b i l e che il pe n s i e r o si
svi luppi come m e d i a z ion e di un p u n t o di i n i z i o , e che abbia d u n que bisogno
di tal e punto di i n i z i o , senza per questo e sse r ne d i pendente. In ass en za del
materiale su cui d i volt a i n v o l ta s i e se rc i t a , è ovv i o , l a d i a l e t t i c a non c i sa­
rebbe : non si p u ò d i re tut t a v i a c h e sia cau sata da tale materiale perc hé è sem-
1 34 L 'ORI ZZONTE DELL' I N F I N I TÀ ATT U A LE

tere un 'ultima volta che nessuna idea o categoria sta in rapporto


d i opposizione con nessun 'altra ; che non vi è in realtà nessuna
res istenza da affrontare, né vi è nulla contro cui combatte re.
Tutto questo aspetto del processo dipende dalla nostra incom­
prensione del rapporto fra l 'astratto e il concreto : gu ardando la
d ialettica per così d ire dall 'esterno si può immaginare che l a ve­
rità possa essere raggiunta solo attraverso la lotta e attraverso il
contrasto fra i vari momenti nei quali si articola lo sviluppo del
pensiero, ma guardandola dall'interno si vede che quest 'ultimo
è per natura sua qualcosa che procede diretto e senza contrasti
(tendendo anzi, in definitiva, ad aufheben la processualità come
tale) .
Questa breve analisi delle caratteristiche del metodo dialettico,
inteso nella classica accezione hegeliana di rigoroso procedimen­
to logico per la deduzione del sistema delle categorie e quindi
per la costruzione sistematica del sapere metafisica, ci ha ormai
messi in condizione di intravedere la risposta a più d 'uno dei
quesiti che ci siamo posti nel corso della nostra indagine : tut­
tavia un tentativo di sintesi su tali problemi riuscirebbe vero­
similmente prematuro se prima non avessimo esaminata a suffi­
cienza anche la non secondaria questione alla quale dedicheremo,
infatti , il prossimo capitolo.

mai con esso necessariamente fusa in un'unità superiore, e non ne dipende più
di quanto un 'astrazione operata a partire da una certa totalità dipenda da
altre astrazioni pure derivabili da quella medesima totalità. Ogni passo che
essa com pie è determ inato, come sappiamo, dalla relazione che sussiste fra i l
passo p receden t e e la meta dell 'intero processo : quest 'ultimo, dunque, può a
ragione essere considerato come non dipendente da alcunché.
C A P I T O LO QU I NTO

Esperienza e pensiero nella dialettica

Se i l carattere proprio della filosofia consiste nella sua assoluta


autonomia razionale , allora essa non può dipendere da nulla che
le s i a esterno né può presupporre alcunché . D 'altra parte per arri­
v a re alla logica, che si pone all 'inizio della filosofia considerata

nel suo svolgimento sistematico e che rappresenta la struttura di


fond o del pensiero e della realtà , il pensiero filosofico deve muo­
vere d a qualcosa che non è filosofia, cioè da un sapere nel quale
ciò che appare non è ancora ciò che è e nel quale il cammino
verso la verità non coincide e non può coincidere con la verità
stes s a . Il cammino della coscienza che attraverso la fenomenolo­
gia ( « la scienza dello spirito che appare ») giunge al sapere as­
soluto , è un cammino che si svolge nella realtà storica e quindi
in una dimensione temporale . D 'altro canto , il punto d 'arrivo - e
in ciò si può scorgere il senso elementare di quanto abbiamo af­
fermato al termine della trattazione precedente - non è qualcosa
che esista in conseguenza del cammino storico o psicologico
percorso nel tempo : esso è vero nel momento in cui lo si rag­
giunge solo perché era vero anche prima di essere raggiunto, e
d a questo punto d i vista si deve dire che , se per un verso la feno­
m e n ologia è necessaria per raggiungere il sistema , per altro verso
il si stema , una volta scoperto , riassorbe in sé la fenomenologia 1 •
Questo è probabilmente i l modo più semplice d i impostare l 'an­
noso problema dei rapporti tra fenomenologia e sistema all 'in­
temo della concezione dialettica e comunque è il più conforme
ai suggerimenti provenienti dai testi hegelian i . La differenza tra
fenomenologia e logica consi ste essenzialmente nel punto di vista .

I Su questo si veda E . Paci , Dialettica, Fenomenologia e A n tropologia in Hegel.


in Relazioni e Significati, vol . I I I , Lampugnani N igri , M i lano 1 966, p. 234 s.
1 36 L'ORI ZZONTE D E L L ' I N F I N ITÀ A TT U A L E

per cui la prima considera il processo quale esso opina d i essere


prima della rivelazione finale data dall'instaurarsi del sapere
assoluto, la seconda lo riconsidera nella sua rischiarata verità.
M a per quanto riguarda la possibilità d i dare un contenuto con­
creto a questa differenza saremmo inclini a sottoscrivere il pa­
rere espresso dal De Negri nella sua In terpretazione di Hegel
(un 'opera che ha tuttora molto da insegnare) . Nella Fenomeno­
logia - è noto - Hegel dice che i vari gradi del cammino della
coscienza verso il sapere sussistono nella loro verità solo in sé,
c ioè nella loro essenza ancora occulta della quale essi medesimi
non sono consapevol i , o per noi, cioè per i l filosofo stesso che,
pervenuto alla luce dell'idea, può penetrare il senso di ciò che è
occulto. Per rifarci all 'esempio più semplice e più noto (che ha
però un valore paradigmatico) : in sé o per noi l 'oggetto che sta
di contro al soggetto non è oggetto, ma è anch'esso pensiero.
I nvece i gradi stessi non sono per sé, cioè non sono ancora in
chiaro circa la loro essenza, si che l 'oggetto che sta di contro a
un soggetto è « per » questo stesso soggetto (ossia per l a consa­
pevolezza inerente a quel grado fenomenologico) proprio un og­
getto esterno da tenersi fermo e da comprendere i n tale sua
esteriorità. La « scienza della logica » , dal canto suo, s i situa
entro l'orizzonte del sapere assoluto proprio perché in essa sa­
rebbe ormai caduta la dist inzione tra l ' « in sé » , o il « per noi »,
e il « per sé ». Ma che cosa può significare in concreto una simile
affermazione? Significa forse che l 'idea, ora presente in ogni gra­
dino, lo illumina della sua luce pura e perfetta in modo tale da
di ssipare ogni « adombramento » ed ogni « chiaroscuro » ? Que­
sta prospettiva, osserva lo studioso italiano, « se non si esaurisse
in un grandioso programma senza esecuzione comporterebbe
l 'abbandono del criterio di gradi successivi più o meno partecipi
della verità, la quale si svelerebbe intera fin nel primo grado,
qualora di un primo grado si potesse più parlare. Ma in realtà
la Logica hegeliana non è costruita così » 2 • Noi ci troviamo forse
nel l a cond izione più favorevole per apprezzare la fondatezza di
questo rilievo: ché nelle analisi del capitolo precedente ci è trop­
pe volte capitato di veri ficare come il principio motore del pro­
cesso « logico » in senso hegeliano fosse quella differenza tra in

:z E. Dc N e gri , ln terpreta::: i one di Hegel, S a n son i , Firenze 1 969", p . 260.


E S PERIENZA E PEN S I ERO NELLA DIALETTICA 1 37

sé e per sé, o tra sfondo e primo piano, che già costituisce il


tratto caratteri stico del movimento « fenomenologico » 2 b i • . L 'or­
dine nel quale le categorie vengono dedotte (movendo, come
sappiamo, dalla conoscenza esplicita di quella relativamente
più a stratta e più povera e giungendo alla conoscenza d i quell a
rel a tivamente p i ù concreta e più ricca , senza di c u i la prima
non avrebbe alcuna realtà e nella quale trova dunque il suo
prius) è esattamente l 'inverso del l ' ordo rerum , che va sempre
dal fondamento al fondato e , quind i , dal concreto all'astratto 3 •
S embra allora impossibile sottrarsi alla conclusione che anche
quello della logica sia, in ultima analisi, un cammino verso l a
verità che non coincide e non può coincidere con l a verità.
M a se la situazione nella quale il pensiero filosofico si trova di
fatto è sempre , in definitiva , una situazione di tipo « fenomeno­
logico » , ne segue che il concetto di « esperienza » così come
risulta elaborato all 'interno della riflessione sulle strutture del
procedere fenomenologico riassume in sé il senso di tutta la
logica e la metodologia dialettica e poi , più in generale, il senso
stesso della condizione umana come condizione di un essere per
sua natura pensante in itinere. La filosofia si configura primaria­
mente come « scienza dell 'esperienza della coscienza » .
L 'apparire (Erscheinen) di qualcosa si produce entro l 'orizzonte
della coscienz a ; l 'esperire (Erfahren) della coscienza è viceversa
il suo modo di appropriarsi di ciò che le appare . L 'uno corri­
sponde all 'altro e l 'orizzonte della coscienza definisce appunto il
loro ambito comune , la loro intrinsecità o circumi nsessione . I l
sapere stesso rientra nella coscienza come modalità del suo espe­
rire : essa « fa esperienza » del sapere quando questo le « appa-

2 bi R
Osserva ancora il De Negri (nella pagi na successiva a quella appena c i tata) :
c E si può appena immaginare lo scompigl io che sarebbe nato nel mondo dello
Hegel , se questi fosse riuscito davvero a saldare l' 'in sé', il ' per noi ' e il ' per sé'
egualmente in ogni categoria dialettica, anche in quel le nelle quali si riflet­
tono p osi z io n i matematizzanti, posizioni empirico-natural istiche e ipostasi del
pensiero formale ».
3 Del resto non è lo stesso Hegel che, all ' i nizio della Logica, c i avverte che
c in filosofia l 'andare innanzi è piuttosto un andare indi etro e un fondare »?
(Scienza della Logica, cit., p . 56). E i n che cosa d i fferisce nell 'essenziale una
simile visione del sapere da quella professata da Aristotele , notoriamente ne­
mico dichiarato di ogni panlogismo ed esplicito teorizzatore della d ivergenza
fra le due serie (quella conoscitiva e quella reale ) ?
138 L'ORIZZONTE DE L L ' I N F I N I TÀ A TT U A L E

re » , ossia quando si manifesta nell'orizzonte d i lei dispiegando­


visi per gradi e rivelandosi infine « nella sua verità » . Il cri terio
della quale cade internamente alla coscienza stessa, essendo il
corrispondere o il non corrispondere del sapere ali 'ogge tto qual­
cosa che ha luogo appunto per lei . Per questa intrinsecità la co­
scienza si trova presa in un movimento dialettico dal quale vi ene
sospinta a rideterminare in continuazione il rapporto fra con­
cetto e oggetto , fra sapere e veri tà : un movimento che rientra
anch'esso nell'« esperire » di cui si è detto, costituendone anzi
il senso pieno ed autentico, ma nel quale la coscienza n a turale
è coinvolta a sua insaputa . Sì che non si potrà semplicemente
« osservarlo » o « registrarlo » , ma occorrerà , per trarlo alla luce
·della presenza, scandagliare la coscienza stessa , addentrarsi sem­
pre più nel suo esperire : e quest 'opera di rivelazione coinciderà
con il fare l 'esperienza di un tale movimento , e precisamente
quel tipo particolare di esperienza che è l'esperienza fenomeno­
logica. « La coscienza sa qualcosa , questo oggetto è l 'essenza
o l 'in sé ; ma esso è l 'in sé anche per la coscienza ; e con ciò entra
in gioco l 'ambiguità di quel vero . Noi vediamo che la coscienza
ha ora due oggett i : l 'uno è il primo in sé, l'altro è l'esser per lei
di questo in sé ( . . . ) . Ora le si muta il primo oggetto; esso cessa
di essere l 'in sé , e le diviene un oggetto siffatto che è l ' in sé sol­
tantoi per lei; ma così ciò , l'esser per lei di questo in sé, è poi
il vero ; il che significa peraltro che questo è l 'essenza, o il suo
oggetto . Questo nuovo oggetto contiene la nullità del primo ed è
l 'esperienza fatta su di esso » 4• Al sorgere per la coscienza di un
nuovo « ogge tto vero » , che è l 'aspetto colto per primo all 'in terno
del punto di vista naturale o « mondano » , fa riscontro il trasmu­
tare del modo d 'essere della coscienza medesima . « I l nuovo og­
getto si mostra come divenuto mediante un rovesciamento della
coscienza stessa ( . . . ) . Quanto per l'innanzi appariva come l 'og­
getto si abbassa, per la coscienza, a sapere di esso, e l 'in sé di­
viene un essere per la coscienza dell'in sé; questo è il nuovo
oggetto con il quale compare anche una nuova figura della co­
scienza, figura alla quale l 'essenza è qualcos'al tro che non alla
figura precedente » 5• I l movimento dialettico che la coscienza

4 Fenomenologia dello Spirito, c i t . , p . 76.


5 lbid., p . 7 7 .
E S P E R I ENZA E P EN S I E RO N E L L A D I A L E T T I C A 1 39

vive in se stessa, e che è propriamente ciò che per Hegel si d ice


esperienza 6, designa il W erden , cioè il movimento del sorgere o
d eli '« esser divenuto » dell 'oggetto entro l 'orizzonte della co­
scienza . E come l 'esperienza fatta sull 'oggetto ha l 'esito di mo­
strare che la verità dell 'essere in sé è l 'essere per la coscienza ,
così l 'esperienza fatta riflessivamente su quest'ultima vale a
chi arire che la verità di una qualsiasi figura della vita cosciente
è un'altra sua figura , la quale racchiude il significato della pre­
cedente e , in generale , di tutte le precedenti . Il duplice e correla­
tivo trasmutare dell 'oggetto e della coscienza « guida l 'i ntera
successione delle figure della cosc ienza nella sua necessità » , una
necessità che alla coscienza s i offre « senza che essa sappia come
le accade » e che quindi « si muove , per così d i re , dietro le sue
spalle » 7 • Alla cosc ienza il nuovo oggetto si offre già costituito :
nulla essa sa del suo Werden , della sua genesi costitutiva, e la
specifica opera del sapere filosofico si concentra nel persegu ire e
nel rivelare questo movimento in virtù del quale sorge e si
costituisce ciò che alla coscienza prefilosofica si offre come già
sorto e costituito . D 'altra parte il movimento del sorgere e del­
l 'apparire è anch'esso interno alla coscienza ed è propriamente
un movimento di le i , che pur lo ignora e che tuttavia ne viene
trasmutata .
Si può sintetizzare il s en so complessivo dell 'esperienza fenome-

6 t significativo il fatto che, anche quando si riferisce sia pur brevemente al­
l 'esperienza in contesti nei quali non viene temat i zzato l 'aspetto che stiamo ora
considerando, H egel tenga comunque a sottoli neare come in tale concetto sia
inclusa l 'idea di un mutuo e dinamico coinvolgimento d i soggettività e ogge t t i­
vità, cioè di qualcosa che è ben diverso da una « semplice-presenza » di que­
st 'ultima (per usare una nota espressione hei deggeriana). Vedasi l 'A nmerk ung
del § 7 dell'Enciclopedia : « I l principio dell 'esperienza contiene l 'a ffermazi one
infinitamente importante che l 'uomo, per accettare e tener per vero u n conte­
nuto, deve esserci den tro esso stesso; più determinatamente, c he egli trova quel
contenuto i n accordo ed unione con la certezza di se stesso . Dev 'essere esso
stesso colà, o soltanto coi suoi sensi esterni o col suo più profondo spirito, con
la sua autocoscienza essenziale » (corsivi nel testo) . Nell'A n m . del § 38
si parla dell '« importante p rincipio, che si trova nell'empirismo, della libertà :
che cioè quello che l 'uomo vuole ammet tere nel suo sapere deve esso st esso
vederlo, vi si deve esso stesso sapere presen te » : non sorprende che il nostro
filosofo attribuisca ad un simile concetto fondamentali impl icazioni pratiche,
ravvisando anche e proprio nell 'enucleazione d i questo legame il fondamen tale
apporto storico e culturale dell 'em p i rismo e dell 'illuminismo.
7 Fenomenologia, cit., p . 77 s .
1 40 L'ORI ZZONTE DELL' I N F I N I TÀ A T T U A LE

nologica dicendo che essa « non è una vita della coscienza a pro­
posito delle cose . . . [ma] è divenire della coscienza nelle cose ed
è anche un venire delle cose a sé medesime nella cosci enza e
mediante la coscienza » 8• Ma allora si scorge agevolmente come
la classica struttura circolare di tipo ermeneutico da n o i ben
conosciuta non possa non ripresentarsi anche all'interno di
una corretta e concreta applicazione del metodo fenomenologi-

e A . De Waelhens, Phénom énologie husserlienne et Phénoménologie hégélienne.


« Revue Philosophique de Louvain », 1 954, p. 245 ( il saggio comprende le
pp. 234-49). Un lavoro degno di qualche attenzione, pur nella sua brev i t à , per·
ché prende in esame un problema (quello del rapporto tra le due « fenome­
nologie » ) che a t u t t 'oggi non si può dire sia mai stato al centro di u n a at ten­
zione speciale da parte degl i studiosi. Il De Waelhens sostiene che il concetto
d i intenz ionalità della coscienza, se assunto in tutta la sua pregnanza e ric­
chezza di significato, di per sé vale ad esprimere la figura di un'interiorità che
si esteriorizza, che comporta essenzi almente una dimensione d i estem i t à . che
è insieme e inseparabilmente « per sé ,. e « per altro ». Lo studioso belga ri t iene
poi piu ttosto semplicistica la contrapposizione che si è soliti delineare tra una
fenomenologia husserliana che si limi terebbe a « d escrivere » e una hegel iana
che invece si avven tura nell'i mpresa di « costruire » dialetticament e : se si
guarda alla radice la « descrizione » husserliana si dovrebbe infatti vedere che
essa si fonda per i n tero sulla tensione dialettica tra senso e presenza. Un
esempio di questa dialettica (modesto e nondimeno interessante, se non altro
perché era volto a sorprenderla nelle sue movenze originarie) crediamo di
averlo offerto nell'ultimo paragrafo del primo capitolo di questo lavoro, dove
erano in qualche modo v i sibili almeno alcuni di quegli aspetti che il De
Waelhens cita come caratteri stici dell 'esperienza fenomenologica cosl intesa. Là
i nfa tti la coscienza, nel costituire i sign i ficati della comune esperienza, non si
lasciava certo guidare dalla sola spontaneità della sua a t tività ma, al contrario,
si trovava come condotta da una sorta di necessità immanente ai suoi contenuti,
senza peraltro che ciò le sottraesse del t u t to una certa qual libertà di elabora­
zione pur sempre testimon iata dalla possi bilità dell'errore. In una s i tuazione
del genere il « senso » si svi luppa incessantemente appellandosi , per cosl dire,
alle sue sole forze, e la coscienza si presenta al tempo stesso come « costi­
tuente » e come testimone: testimone di un processo che si svolge in lei, che
essa non può control lare ma che, tuttavia, attende da lei il suo compimento.
Questo m i stero di una coscienza « agente » e « agita » al tempo stesso, e agita

dai suoi stessi « temi », è comune ad entrambe le fenomenologie - osserva il


nostro studioso - ed è in esse fon damentale. Da esso segue che una relazione
concretamente v issuta tra un soggetto e un oggetto è sempre diversa dalla me­
desima relazione semplicemente rappresentata o pensata in precedenza : del
tutto evidente per i sen timenti (perché nessuno ha mai creduto, per esempio,
che amare sign i fichi entrare in u n rapporto di cui si sa già in anticipo ciò che
sarà e che si dovrebbe qui ndi semplicemente accettare o rifiutare, ma tutti sanno
che, al contrario, sign i fi ca trasformare ed essere trasforma ti) , questa tesi deve
essere estesa a tutte le modal ità della coscienza, anche a quelle per le quali
può sembrare a prima v i sta meno pacifica.
E S P E R I E N ZA E PE N S I ERO N E L LA D I A L E T T I CA 141

co 9 : sì che solamente una visione formalistica e , i n ultima analisi ,


naturalistica di quest 'ultimo può suffragare la persuasione della
reciproca estraneità o addirittura ostilità di fenomenologia ed er­
meneutica . Se poi pensiamo che la presenza di una struttura
ermeneutica è stata più volte da noi rilevata in situazioni di tipo
sch iettamente dialettico e che , d 'altro canto, lo stesso procedi­
mento dialettico ci si è mostrato indissociabile da un impianto e
da u n andamento di tipo fenomenologico , allora non sembra
troppo azzardato concludere che , qualora vengano riguard ate nel
loro più profondo e autentico significato speculativo , le tre prin­
cipali impostazioni metodologiche presenti nell 'odierna rifles­
sione filosofica depongono ogni parvenza di mutuo antagonismo
o incompatibilità e manifestano anzi una sostanziale consonanza
o convergenza d i indirizzi (come , del resto , oggi appare sempre
più chiaro) .
Tutte e tre suppongono quello che Husserl chiama il « duplice
modo di fungere e di mostrarsi della ragione » : da un lato il suo
dispiegarsi e rivelarsi nel libero elemento del concetto ; dall 'altro
« il suo costante e segreto fungere » med iante il quale essa
« sempre razionalizza e ha già sempre razionalizzato i dati sen­

sibili » 10 , dando luogo a quel mondo di oggetti sensibili e in­


tuitivi che già da sempre sta alla nostra portata , che anzi ci si
presenta come un mondo già dato e precostituito , tale da sorreg­
gere il successivo formarsi di ogni sapere scientifico . Ritroviamo
qui il problema di quella ragione nascosta che ha richiamato
la nostra attenzione soprattutto nei primi capitoli di questo la­
voro , entro una dimensione nella quale non era ancora tema-

9 Ed anzi , com 'è noto, proprio la ri flessione s u l s en so d e l con c e t to hege l ia no


di esperienza è stata alla base della gadameriana proposta di un '« ontologia
erm e n e ut i ca » , i m p e rnia t a per un suo asp e tt o essenziale sulla valorizzazione
della tesi che « l 'esperienza h a la struttura di u n rovesciamento della coscienza »
e che questo rovesciamento consiste nel « fa t t o di riconoscere sé stessi i n ciò
che è es t ra n eo altro » ( Verità e m e todo , ci t . , p . 4 1 0 s.). Il rifer i m e n t o al­
,

l 'Erfahrung he ge lia n a riveste poi una g rande i mportanza anche all 'interno della
sin tesi che della propria posizione ( l 'ormai famoso « pens iero debole » , con­
siste n te nell 'estrema radicalizzazione di alcuni spunti e motivi già p re se n t i
nella prospettiva ermeneutica) ha dato G . Vattimo in Al di là del soggetto,
F e l trin el l i Milano 1 984 .
,

Io E . Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascenden tale,

tr. it. E . Filippini, Il Saggiatore, M i lano 1 96 1 , p. 1 2 2 .


1 42 L'ORIZZONTE DELL ' I N F I N I TÀ ATTUALE

tizzato il rapporto con l ' Intero 1 1 • C i sembra che il luogo del­


l 'opera hegeliana nel quale questo tema viene accostato più
direttamente sia la trattazione, entro la Logica , della categori a
d e l fondamento intesa come determinazione decisiva dell 'Essen­
za. Questa, com'è noto , è per Hegel qualcosa che è sempre già
stato (Wesen come Ge-wesen , -rò -rt ljv dviXt ) , un pas sato , un
« passato senza tempo » (zeitlos) , « mediazione sparita » , « crea­
zione di un mondo » 12• I l fondamento è a sua volta un « dile­
guare » , il Grund è un Werden zum Grunde: « l 'andare a fondo
del la mediazione è in pari tempo il fondamento d a cui sorge
l 'immediato » . Al di sotto dell 'immediatezza del mondo e del dua­
listico fronteggiarsi di soggettività ed oggettività che la caratte­
rizza, si apre l '« abisso » , la profondità « senza fondo » della
mediazione , che non è da intendersi come un astratto pri ncipio
logico-trascendentale ma è un movimento originario che al l i vello
della coscienza è sempre « passato » , « dileguato » , quindi strut­
turalmente « inconscio » . L 'inconscio non è cronologicamente
anteriore alla coscienza : semmai è anteriore allo stesso livello
cronologico proprio della coscienza, essendo ciò in cui essa è ra­
dicata e ciò con cui essa non riuscirebbe mai a stare in un con­
tatto di tipo oggettuale correlato alla forma dell 'io (ciò che in­
somma non potrebbe mai rappresentarsi od obiettivare) . La me­
diazione originaria è dunque la « logica inconscia » , fondamento
sempre fungente e insieme sempre perduto perché, appunto, fun-

Il Lo stesso Hegel nella prefazione alla sua seconda edizione della Scienza della

Logica ( 1 83 1 ) scrive : « Quell 'attività del pensiero che c 'intesse tutte le rappre·
sentazioni . tutti gli scopi, tutti gl'in teressi e tutte le azioni, opera, come dicem·
mo, i nconsciamente (è la logica naturale) )) (cit., p. 1 5 ) . Ora « portare alla
coscienza codesta natura logica che anima lo spirito, che i n esso spinge ed
agisce, questo è il compito » (lbid. , p. 1 6 ) . La libertà dello spirito comincia
proprio quando il contenuto di tale operare viene sottratto alla sua immediata
unità con il soggetto e viene por tato ad una condizione d i oggettività. « Depu·
rare pertanto queste categori e , che operano soltanto istintivamente come im·
pulsi , e che son dapprima portate nella coscienza dello spirito come isolate,
epperò come mutevoli e come intralcianti s i , mentre procuran così allo spirito
una realtà a sua volta isolata e malsicura , depurarle, e sollevar con ciò in
esse lo spirito alla libertà e alla veri tà, questo è il più alto compito logico •
(p. 17).
12 S u questo importante aspetto vedasi la prima parte, dedicata a Hegel, del

pregevole la voro di A. Masullo, Antimetafìsica del fondamento, Guida, Napoli


1 97 2 ; nonché, nel vol. del medesimo autore dedicato alla Metafisica (Mond a­
dori , M ilano 1 980) , il cap . Il fondamento come mediazione sparita, pp. 224-32.
E S P E R I DI ZA E P E N S I ERO N E L LA D I A L E TT I CA 1 43

ge perdendosi , « passando via » , « assentandosi » 1 3 • D 'altra parte


ciò che è sempre passato , proprio perché è sempre passato e ,
quindi, è « passato senza tempo » , è anche sempre-ancora-da­
raggiungere, è un futuro parimenti « senza tempo » : il che signi­
fica che , se il fondamento è un non-esser-più , d 'altra parte può
esser pure un non-essere-ancora . Il fondamento è insomma l'in­
conscio che la coscienza , originandosi in quanto coscienza , ha
perduto , ma è anche ciò che essa per un invincibile bisogno cer­
ca ; è non solo origine, ma anche scopo , -rÉ:À o �.
M a , radicalizzando ulteriormente la riflessione sin qui svolta ,
si deve dire che dal fondamento debbono essere comunque espun­
te tutte quelle caratteristiche che , in una maniera o nell 'altra ,
possono far pensare a d esso come a d una causa nel senso natu­
ralistico dell 'espressione . I n esso è da ravvisarsi in ultima istan­
za la vita stessa della ragione e , perciò, dobb iamo intenderlo
come il punto-limite della fluidificazione dialettica : quindi non
come un momento del processo di mediazione , poni amo come il
momento della mera idealità , né come la stessa mediazione con­
siderata in quanto legge del d ivenire mediativo (perché anche
quest a sarebbe infine un semplice momento) . Il fondamento è il
divenire stesso di ogni legge , è la mediazione come reale unità
d i tutti i suoi momenti 1 4 • Se nella logica formalistica o intel lettua­
listica della riflessione astratta il fondamento è, di volta in volta,
la realtà come un che di esterno al pensiero o la pura , vuota
forma del conoscere , nella logica della riflessione concreta esso
è invece la stessa perenne fluidità e apertura della medi azione .
I n definitiva , il fondamento correttamente inteso è qualcosa che
può essere solo là dove non è: il che significa che non è un 'effet-

13 In questo senso si deve ra mment a re che l 'opera d i obiet tivazione di cui alla
nota 1 1 , indipendentemen te d a l l e sue concrete po ss i b i l it à d i successo finale, non
riu s ci rà comunque mai ad abol i re questa base e ad i n st a u ra re il regno i n te­
g r a l e d e l l a c o nsap ev o lez za , cioè a far sl ch e la vita dello spirito si s v olga tutta
nell 'orbita di ques t ' u l t i m a . Quand 'anche i segreti del l a l ogi c a inconscia fossero
svelati p er i n t e r o d al l a « fatica del conce tto » , q u e l la l ogica continuerebbe
comunque ad o p e rare come opera adesso , cioè, a p p u n t o , inconsciamente (lo
stesso accade , su un altro piano, allorché si nota che un ' i l l us ione ottica non
v i e n e el iminata dal fa tto d i d i v e ni r n e co n sa p e v o l i ) : pretendere i l contrario sa­
rebbe come voler saltare sulla propria omb ra o, forse meg l io , come voler e l i ­
minare il terreno sul quale si poggiano i pied i .
1 4 Si v e d a anche l 'esposizione c h e Hegel dà d e lla Wirklich keit : i n particolare,
nell'Enciclopedia, i § § 1 47-49 . U n notevole s v i l uppo queste cons i derazioni tro­
vano nella prima delle due opere ricordate nella nota 1 2 .
1 44 L 'ORIZZONTE DELL 'INFINITÀ ATT U A LE

tualità nella quale trovi l a sua genesi e il suo sostegno u n 'altra


effettualità e che , dunque, « non rimane indietro come un diverso
dal fondato » , proprio perché la sua consistenza è nel « semplice
sparire » . Esso coincide con l'« internarsi » (Er-innerung) delle
condizioni nella totalità , in modo tale che cessino d i essere mere
con dizioni e che la cosa sorga ; coincide con lo sparire delle con­
dizioni che si internano e con l 'emergere della cosa. Ma non è
difficile vedere che , se con lo sparire delle condizioni e con il
nascere della cosa il fondamento nasce , con il nascere della cosa
esso , insieme, già sparisce : rivelandosi , cosl , come il « limit e »
fra le condizioni e la cosa, dunque come un ni-ente, come il
movimento stesso dello sparire delle condizioni nella cosa , come
l '« andare a fondo » , come la mediazione e insieme il negarsi del­
la mediazione onde la cosa si pone e ssendo, ad un tempo , l 'im­
mediato (secondo che si era visto già nel capitolo precedente) .
Lo spirito nella sua originarietà è a monte della astratta soggetti­
vità individuale e della stessa forma universale dell 'io : non si
può coerentemente pensarlo se non come l 'inconscio ed inesauri­
bile movimento mediativo in forza del quale tutti gli oggetti si
presentano nell'« immediatezza » del mondo. La coscienza degli
oggetti, la dimensione del concetto , e l 'i o che è la stessa concet­
tualità di ogni concetto, n on potranno mai essere coscienza del
fondamento , proprio perché quest'ultimo li fa essere solo na­
scondendos i .
Q u i giunti non ci s i può tuttavia esimere dal formulare un im­
portante rilievo d i struttura . Nel capitolo precedente ci siamo
sforzati di evidenzi are non solo la concordanza fra dialettica e
principio di non contraddizione , ma addirittura l 'assoluta fedeltà
o la completa ded izione di quella a questo : risultando il movi­
mento dialettico animato, come appunto si era visto, proprio dal­
l 'esigenza di intendere il principio nella maniera più concreta e
meno formal istica possibile, assicurandone l 'effettiva validità a
livello dell ' I ntero . Nondimeno in queste ultime movenze del no­
stro discorso, nelle quali abbi amo peraltro ripreso e sviluppato
spunti e motivi che erano già emersi proprio in quel capitolo
(quando non add irittura già nella prima parte) , ci è capitato
particolarmente spesso di citare o di usare, per di più presen­
tandole come espressione del massimo rigore speculativo, for­
mulazioni verbali che parevano impl icare proprio l a violazione
o quanto meno la trascuranza del princ ipio . Come si deve inter-
E S PERIENZA E PEN S I ERO N E LLA DIALETT I CA 1 45

pretare questa apparente oscillazione ? Evidentemente ricono­


scendo che la verità ultima sul principio stesso non è quella che
era emersa dalla prima sezione del nostro lavoro (in stretto rap­
porto, il lettore ricorderà , con la dottrina della verità come coe­
renza , della quale d 'altra parte già al termine di quella medesima
sezione era emersa la non definitiva validità) .
I l fatto è che il principio vale per tener ferma la determinazione
ma non riguarda il suo origina rio prodursi, non riguarda l 'attua·

lità del suo processo genetico : non esprime altro che il diritto
della determinazione che afferma se stessa , sì che può soltanto
difenderla quando è già posta , ma non prescrive alcunché sul
divenire o sul nascere . Quest 'ultimo è per definizione ciò che
antecede quella determinazione senza di cui non c 'è negazione e
senza di cui , per conseguenza , il principio di non contraddizione
non ha alcuna base . Non è esatto, dunque, affermare che il fon­
damento così come è stato delineato in queste pagine violi il
principio. Piuttosto si dovrà dire che esso sfugge alla giurisdi­
zione del principio , in quanto non verifica le condizioni del co­
stitu irsi dello stesso significato di questo (e non le verifica pro­
prio perché le fonda) : si che , a rigore, non è né contraddittorio
né incontraddittorio, ma, piuttosto, a-contraddittorio 1 5 •
Con queste considerazioni , tuttavia , la nostra indagine è ormai
pervenuta ad un grado di radicalità tale da consentirle di af­
frontare senza ulteriori indugi le ultime , decisive questioni alle
quali dedicheremo infatti il capitolo che segue , conclusivo di
tutto il nostro lavoro .

1s C i sembra sia proprio questa la maniera di aujheben (nello schietto senso


hegeliano) il principio senza, appunto, negarlo simpliciter. Si veda il nostro
Un ità e relazione, Vita e Pensiero, Milano 1 98 1 , p. 22 s . e passim .
CAPITOLO SESTO

Il risultato della dialettica

Nella prospettiva dell 'hegelismo storico l 'unità assoluta che costi­


tuisce nello stesso tempo il fondamento e il fine del processo
dialettico deve trovare la sua espressione concreta nell'in tegrale
dispiegarsi di questo, deve risolversi in esso senza residui di
sort a : l 'ammissione d i una qualsiasi forma d i trascendenza, ma­

teriale o formale che sia, potrebbe dipendere solamente da un


concetto astratto, e quindi adialettico, dell'unità stessa . Abbiamo
visto d 'altra parte che in alcuni testi hegeliani non mancano
spunti idonei, qualora fossero convenientemente sviluppati, a
condurre verso al tri esiti la prospettiva dialettica e a mostrare
l 'infondatezza della concezione storicamente prevalsa 1• Noi sap­
p iamo che ognuno dei punti di vista inferiori che costituiscono
le tappe del processo è da ricondursi ad una limitazione del­
l 'orizzonte, in base alla quale accade che il rispettivo momento
venga eretto a verità assoluta ; mentre il punto di vista assoluto
è superiore a tutti i singoli momenti perché coglie ciascuno di
essi nella sua vera posizione e nel suo autentico valore . La serie
dei momenti dell 'Assoluto (che è al tempo stesso la serie dei mo­

menti attraverso i quali la coscienza si eleva al sapere assoluto)


è come una serie di necessarie illusioni da cui la coscienza deve
successivamente l iberarsi; il sapere assoluto dovrebbe contem·
plare nel loro insieme queste successive illusioni essendosene al
tempo stesso definitivamente l iberato. Ora , ciò che riesce d ifficile
concepire è come possa sussistere nell 'Assoluto quella succes·
sione graduale d i limi tazioni la quale non ha in sé al tro fine che
quello di togliere ogni l imitazione alla conoscenza de I l ' Assoluto

I All udiamo a tutti quelli citati nel quarto capitolo e, in particolare, al § 50


dell 'Enciclopedia, ricordato più d 'una vol ta.
IL R I S U LTATO D E L LA D I A L E TT I CA 1 47

medesimo : poiché tale successione costituisce in realtà una serie


di illusioni che l ' instau razione del superiore punto di vista ha per
effetto di sopprimere definitivamente , l 'assumere che il sapere
assoluto consista semplicemente nel ripetere in maniera cosciente
questa catena d i illusioni che hanno poi per termine lo stesso
sapere assoluto è un circolo vizioso che racchiude in sé una con­
trad d iz ione 2• Ogni deduzione o concatenazione logica non potrà
mai essere un « sistema » nel classico senso hegeliano , ma solo
una « in t roduzione » al sistema : ritroviamo così la verità di quan­
to avevamo in precedenza asserito riguardo al carattere sempre
« fenomenologico » e non « logico » ( intendendo i termini an­
cora nel senso hegeliano) del moto dialettico . Anzi , da quanto
abbiamo evidenziato or ora dovrebbe apparire chiaro che la
stessa espressione « introduzione al sistema » è impropria : ché ,
se il sistema non coincide con quella molteplicità di determina­
zioni alla quale la concezione corrente della dialettica attribuisce
tale valore, null 'altro potrà a rigore meritare una simile deno­
mi n azione . Non certo quell 'Assoluto la cui conoscenza è dal
processo dialettico, come si è visto, più preparata negativamente
(attraverso un 'opera di remotio prohibentis) che costruita in posi­
tivo : un tale Assoluto infatti si caratterizza per un 'unità indivi­
sibile e perfetta, del tutto aliena da quella moltiplicazione di parti
cui è invece associata, per un suo aspetto essenziale , l 'idea di
sistema. Sì che , se la dialettica ci conduce fin sulle soglie di qual­
cos a , questo qualcosa non è comunque un sistema . Qui , anzi ,
cade opportuno rilevare che, quando sia riguardata con attenzio­
n e , l a nozione di sistema si palesa essere o un che di estrema­
mente banale, ben lontano dal possedere il valore che solita­
mente gli viene attribuito dai suoi più entusiastici assertori , o un
che di radicalmente insostenibile perché addirittura contrad­
dittorio . Banale perché un molteplice appreso come molteplice è

2 Cfr. pp. 1 32 ss. Si che, in ul tima istanza, risulta insostenibile anche lo schema
(si vedano le citazioni severiniane contenute nella nota 6 del cap. IV) secondo
il quale l'originario è il concetto concreto dell'astratto, e Io è in quanto nega­
zione dell'isolamento dell 'astratto. I n sé, l 'originario è il concreto simpliciter
e n on è strutturazione dell 'astratto ; il riferimento all 'astratto vale solo quoad

nos. In generale si deve affermare che la norm a per cui qualcosa è vero perché
è negazione della propria negazione definisce solo la ratio quia ; la ratio propter
quid rimane espressa soltanto nella connessione i nversa, in base alla quale qual­
cosa è negazione della propria negazione perché è vero.
1 48 L'ORIZZONTE DELL'IN F I N ITÀ ATT U A LE

già sempre , per ciò stesso, in qualche modo unificato , è già sem­
pre un uno-di-molti (dunque , in questo senso elementare , è già
un sistema o una struttura , sia pure con un grado infimo di
coesione delle sue componenti : ma sappiamo , peraltro , dalle in­
dagini della prima parte che in questo campo è sempre soltanto
questione di gradi) ; insostenibile perché un' originaria moltepli­
cità di determinazioni è impensabile , in quanto l 'unità-nella­
molteplicità , o analogia che dir si voglia, rimanda sempre per sua
natura ad un Primo che è pura ed assoluta unità ( non unità s iste­
matica) , e dunque non può in se stessa intendersi come docu­
mento dell 'Assoluto o dell'Originario 3 •
L a dialettica è perciò qualcosa che si svolge fuori dell 'Assoluto :
non è più il caso , ormai , di nutrire la minima perplessità di fronte
a questa affermazione , la cui verità e ra già stata d 'altro canto
intravista nei due capitoli precedenti , al termine di percorsi
diversi eppure complementari . Ma una tale acquisizione solleva
immediatamente un grave problema . Non ci si può non doman­
dare come si debba propriamente intendere, e come s i possa
p ropriamente spiegare , l 'esistenza stessa di un ambito della
realtà situato « fuori dell'Assoluto » , cioè , in certo qual modo ,
situato fuori della Realtà ; come , in altre parole , debba conce­
pirsi il rapporto antologicamente sussistente tra la dialettica , così
depotenziata gnoseologicamente , e l 'Originario metadialettico.
Certo , quando si giunge alla formulazione di un simile quesito
s i ha l 'impressione che la teori a filosofica del conoscere abbia
1:>rmai sostanzialmente assolto il suo compito introduttivo e quasi
« aperitivo » nei confronti dell'indagine schiettamente metafisica
e che non resti perciò che cedere il campo a quest 'ultima : la
quale , proprio mentre obbliga l 'intelligenza a tendere le sue
forze fino allo stremo, le richiede insieme uno sforzo non meno
v igoroso di vigilanza critica sui propri limiti e, in definitiva, di
umiltà. Noi , in questa sede , non intendiamo cimentarci in una
simile impresa ; prima di conged arci con riconoscenza dagli even­
tuali lettori che avessero avuto la bontà di seguirei sino alla fine
ci limiteremo a formu l a re poche , modeste considerazioni che pos­
sano eventualmente valere come una prima , generica prefigura­
-zione dell 'itinerario che a nostro avviso una tale indagine po­
trebbe seguire .

3 S i veda a p . 59 s.
I L R I S U LTATO DELLA D I A LETT I C A 1 49

Abbi amo verificato ampiamente a suo tempo l'infondatezza della


viet a , logora obiezione secondo la quale la dialettica negherebbe
sic et simpliciter il principio di non contraddizione o, comunque ,
si risolverebbe in una tecnica raffinatamente sofistica volta a
far apparire compatibili fra loro contenuti che non lo sono e
non lo potranno mai essere . Non s i tratta infatti nel metodo
dialettico - come si era più volte sottolineato - di scovare qual­
che idea che sia in grado di conciliarne in maniera più o meno
m i racolosa altre due , originariamente del tutto prive di recipro­
che relazioni : si tratta di reintegrare o di ricostituire l 'unità
dalla quale quelle due idee originariamente sono sorte. M a che
cosa può significare questo , in ultima analisi , se non che il vero
artificio mentale irrispettoso della natura della realtà non è ,
come tanto spesso s i è voluto credere, il superamento delle con­
traddizioni ad opera della Vernunft ma, viceversa, la loro crea­
zione ad opera del Verstand? Se la sintesi è un prius logico ri­
spetto ai suoi momenti e se le contraddizioni dipendono soltanto
dalla limitatezza del raggio v i sivo di cui l ' intelletto è capace ,
superarle vorrà dire mostrarne la speciosità, ossia il carattere di
mera apparenza : in una parola, l 'irrealtà. Non si può tuttavia
fare a meno , se le cose stanno così , d i domandarsi la ragione di
questo insorgere dell 'apparenza : la ragione , insomma , del con­
traddirsi, cioè di qualcosa che è ben reale per quanto irreale
possa essere il contenuto della convinz ione che si contraddice .
Rispondere che l a rad ice dell 'apparire d e i termini fuori della
sintes i , quando invece sono reali solo in essa, è da ravvisarsi nel
l imite intrinseco alla visione intel lettualistica non significa avere
compreso il problema nella sua portata reale : sign i fica piuttosto
spostare la difficoltà senza affrontarla veramente , supponendo
già ciò che si dovrebbe spiegare . Se la realtà è in se medesima
così come risulta essere al termine del processo dialettico non
si scorge i n essa alcun fondamento , alcun a cond izione di possi­
bilità per il « limite » al quale la risposta si riferisce né - ed è
questo certamente l 'esito più paradossale - per quel medesimo
processo dialettico la cui necessità dipende soltanto dalla neces­
sità di superare il limite . La particolare natura del risultato ulti­
mo cui tende il moto dialettico si palesa a rigore incompatibile

con il suo manifestarsi al termine di una qualsivoglia processua­


lità , cioè con la sua forma stessa di risultato. Non solo si deve
affermare, come sarebbe comprensibile, che essa non è concilia-
150 L 'ORIZZON T E D E L L ' I N F I N I TÀ ATT U A LE

bile con la verità di ciò che appare anteriormente al suo risultare ,


ma si deve aggiungere che non è conciliabile nemmeno con l 'es­
serci di una siffatta apparenza. Dopo aver mostrato che la dialet­
tica non può essere fondatamente equiparata al sapere assoluto,
siamo così posti di fronte all 'impossibilità di ammettere comun­
que un itinerario di preparazione o di propedeusi al sapere asso­
luto che si situi esternamente all 'Assoluto stesso : siamo in al tre
parole posti di fronte all'impossibilità di assegnare una colloca­
zione qualsiasi , nella rappresentazione razionale della realtà , a
quella « esperienza della coscienza » nella quale abbiamo rinve­
nuto d 'altra parte l 'unico possibile significato della dialettica e ,
i n generale , della condizione umana . Hegel stesso, è vero , dice
che all 'Assoluto non si può giungere se non vi si è già in qualche
modo insediati fin dall 'inizio ; ma anche così resta pur sempre un
senso secondo il quale all 'Assoluto si deve , comunqu e , giungere ,
e questo basta per ingenerare una situazione gravemente apore­
tica . Come dovrebbe ormai risultare chiaro, l 'aporia deriva in­
teramente dal fatto che, con i caratteri che la realtà non può in­
telligibilmente non possedere , non si comprende che cosa le possa
impedire di essere presente tota simul fin dall 'origine , n on s i com­
prende perché essa non appaia come il soggetto e il term ine in­
sieme di un atto intuitivo indivisibile e unitario , di una perfetta
autointuizione. Com 'è possibile che non tutto sia autointuizione
dell 'Assoluto , che ci sia anche qualcos 'altro ? Questo è l 'interro­
gativo fondamentale che ci sta di fronte, il problema più arduo
che ci si presenta una volta giunti al termine del cammino che
ci proponevamo di compiere in questo lavoro . L 'affermazione
hegeliana secondo la quale siamo già da sempre in quell 'Assoluto
che raggiungiamo tramite la mediazione dialettica , ossia tramite
l 'uso costruttivo e sintetico della ragione (della Vernunft) , è il
modo speculativamente più robusto di esprimere il « circolo
ermeneutico » ; ma questo circolo (il cui instaurarsi corrisponde
alla situazione , tipicamente fenomenologica e dialettica , di chi
dapprincipio ha p resente l ' I n tero solo in forma implicita) , anche
se non ha nulla a che vedere con un circolo v izioso, come ab­
biamo cercato di sottoli neare già nella prima parte della nostra
indagine , definisce comunque una dimensione che non può
essere quella originaria o assoluta. Altrimenti si riproporrebbe ,
inesorabile, il precedente interrogativo. Perché questo perenne
soggiorno nell 'Assoluto è soltanto implicito o atematico, sì d a
I L R I S U LTATO D E L LA D I A LETT I CA 151

costringere ad una paziente e tormentata opera di esplicitazione ?


Perché , ancora una volta , l ' Intero non è esplicitamente presente
e perfettamente dispiegato fin dall 'inizio?
Data la nostra impossibilità di negare la realtà per lo meno di
quel processo in cui consiste l'« esperienza della coscienza >> 4 e ,
insieme , d i scorgere come esso possa risolversi i n u n elemento d i

" Diciamo « per lo meno ,. perché non siamo ignari della proposta che ormai
da quasi un quarto di secolo E . Severino va formulando con insistenza nei suoi
scri tti - la proposta di riguardare il divenire, ogni d ivenire, come un semplice
apparire e scomparire - e perché siamo nello stesso tempo persuasi che essa
possa essere presa in considerazione , almeno i n linea di principio, soltanto per
quanto concerne l 'oggetto della coscienza ma non certamente per quanto
attiene a quest 'ultima: atteso che il sottrarsi ad essa di un oggetto che, pure,
in sé sarebbe eterno non può non comportare « per Io meno » (ci siamo ! ) l 'an­
nullarsi di quel positivo che è costituito dal rilucere o dall 'apparire del mede­
simo oggetto alla coscienza , la quale , dunque, risulta innegabilmente sottoposta
a un divenire che è tale nel senso forte . « nichilistico », dell'espressione e non
solo nel senso debole voluto da Severi no. Ché la coscienza è proprio quel­
l 'unico ambito nel quale il senso forte e il senso debole coincidono i mmedi a­
tamente, se solo si considera che predicare il non-apparire di quel particolare
soggetto che è l 'apparire significa appunto predicarne il non-essere. In questo
senso i rilievi formulati nella Postilla bontadiniana apparsa già nel lontano
1 965 sulla « Rivista di Fi losofia Neoscolastica » in risposta al Poscritto di
R itornare a Parmen ide (riedita, quella, in Con versazioni di Metafisica , vol. I l ,
Vita e Pensiero , Milano 1 97 1 , all'interno del saggio Dialogo di metafisica ; ri­
stampato, questo, in Essenza del nichilismo, Paideia, Brescia 1 972) ci sembrano
tuttora decisivi e non ci pare che in nessuna delle successive opere severiniane
siano stati validamente ribattuti.
M a proprio partendo dalla sua peculiare concezione metafisica Severino svolge
ne La struttura originaria, cit. (cfr. la nota 6 del nostro cap. IV) alcune consi­
derazioni critiche i ntorno al metodo dialettico hegeliano, volte a metterne in luce
u n a sorta di strutturale ambiguità o i nstabilità, per certi aspe t t i non dissimile
da quella denunciata nel presente lavoro anche se i n terpretata i n man iera assai
d i fferente. Il metodo dialettico sarebbe dunque, insieme, « una teoria del signi­
ficato e una teoria del diveni re : teoria del significato come divenire » (p. 5 5 ) .
Nel s u o senso fondamentale - c h e è conforme al dogma sovrano n e l quale si
esprime l 'alienazione essenziale dell 'Occidente, ossia è conforme alla fede nel­
l 'evidenza originaria del di venire dell 'en te i n quanto tale - esso equivarrebbe
all'affermazione che « poiché l 'astratto . è il cominciamento del movimento del
..

concetto, per questo l 'astratto, andando oltre se stesso, si mostra come l 'al tro
di se stesso ... [ossia] è perché l 'astratto è cominc iamento, che l'isolamento
della determinazione operato dall'intelletto produce la contraddizione dialettica
in cui la determinazione andando oltre se stessa si mostra come l 'altro da sé.
Il d ivenire è il fondamento del prodursi della contraddizione dell 'astratto (cioè
l 'affermazione dell'esistenza del divenire è il fondamento dell 'affermazione che
l 'astratto è un contraddirsi) » (pp. 51 ss.) . Ma, continua Severino, se nel l i n­
guaggio hegeliano domina la persuasione del l 'originaria evidenza del divenire,
questa persuasione dominante tende tuttavia a rimanere implicita : sì che la con-
1 52 L'ORIZZONTE DELL'I N F I N I TÀ ATT U A L E

una realtà intemporale, proponiamo senz 'altro di ammettere,


contro ogni visione monistica (che ci sembra inaccettabile sia
quando introduce l 'empirico nell'assoluto sia quando pretende
di annegare senza residui il primo nel secondo) , l 'esistenza di u n
ambito della realtà sostanzialmente distinto dall 'Assoluto : un
ambito che in questa sede rinunciamo a determinare concreta-

nessione sopra enunciata resta sullo sfondo e viene invece in primo p i a n o


quest 'altra connessione: « è perché l 'astratto viene isolato ad opera dell 'intel let­
to, che l 'astratto si contraddice e diviene » ( p . 52). Mentre la prima connessione
non fa altro che esprimere la struttura del divenire, nella seconda , i n v ece, il
contraddirsi e i l divenire dell 'astratto è presentato come conseguenza necessaria
dell'isolamento dell'astratto. « L 'intento, qui , è d i presentare il diven i re e la
contraddizione non come un fatto o u n presupposto ma come determ inazione
necessaria dell'astratto, come una determinazione che l'astratto ha in proprio ...
cioè non è sul fon damento della coscienza del divenire che il cominciamento
appare come u n portarsi avant i , ma è lo stesso contenuto imme diato del
cominciamento che è in lui stesso l'impulso a portarsi avan t i ; non è perché
l 'astratto appare come cominciamento dell'andar oltre che si può affermare il
suo andar oltre, ma è perché l 'astratto è astratto ... che esso va oltre se stesso •

(pp. 52 ss., passim ) . Eppure, in quanto il metodo dialettico non intende valere
come una pura fede nel divenire, in quanto i n tende cioè dedurre i l di venire
della determinazione dalla determinazione in quanto tale, la sua strumentazione
logica appare fortemente inadeguata, dal momento che una siffatta deduzione
del divenire opera presupponendo proprio ciò che vorrebbe dedurre. t a questo
punto del suo discorso che Severino introduce una serie di considerazioni singo­
larmente convergenti con quelle su cui noi abbiamo fatto leva nella nostra
critica dell'hegelismo storico (e significativamente conformi , nello spirito se

non nella lettera, ad un ap proccio come quello del McTaggart, benché i l nostro
autore non si sia mai riferito nelle sue opere all 'idealismo anglosassone, almeno
stando a quanto ci risulta). « Se ... si sta alla forma esplicita della ded uzione
ogni passo del metodo risulta inesplicabile. Perché la detenninazione indugi4
nella propria immediatezza e riesce ad essere qualcosa di • fisso• che ancora
non è andato oltre di sé? Ossia perché non è un originario star oltre di s.é ?
C h e cosa trattiene la determinazione alla propria immedia tezza (anche se solo
provvisoriamente essa vi si trattiene)? E perché la determinazione, a ndando
oltre di sé, indugia daccapo nella contraddizione costituita da questo andar
oltre - indugia nella contraddizione come contraddizione non tolta? E solo
dopo che la contraddizione è riuscita a fissarsi nel suo essere come ancora non
tolta, essa è tolta nel l a negazione della negazione in cui consiste l'unità degli op­
posti? Perché la determinazione non è originariamente negazione della propria
negazione? Perché la dete rm i n azione indugia " d apprima " nel proprio isola­
mento e, poi, nella contraddi zione da esso provoca ta, e non è invece originaria­
mente il toglimento della contraddizione e cioè dell 'isolamento che l a provoca?
t indubbio che per Hegel i momenti del metodo non debbono essere separati
fra loro ... , ma la loro unità non elimina la loro scansione, e quindi è perché
la determinaz ione riesce dapprima a fissars i , che essa si contraddice, ed è perché
la contraddizione riesce, a sua vol ta, a costituirsi come non tolta, che poi essa

è tolta » ( p . 58 s . ) . Qual è tutta via la conclusione che Severino crede di dover


I L RI S U LTATO DELLA D IALETTICA 1 53

mente , bastandoci dire che esso vale , comunque, come orizzonte,


necessariamente finito , dell'imperfetto manifestarsi dell 'Assoluto .
Si tratta di vedere se questa che ci sembra un'inevitabile am­
missione sia necessariamente contrastante con l 'altrettanto irri­
nunci abile affermazione dell 'onnirisolvenza dell 'Assoluto (dicia­
mo irrinunciabile perché il suo abbandono determinerebbe la

trarre da questa sua maniera, secondo noi esattissima, di formulare lo Haupt­


problem della dialettica ? Egli conclude che « siccome il testo hegeliano non
indica perché l 'immediato indugi presso di sé piuttosto che stare immediata­
men te oltre di sé, ne viene che l'unico motivo dell'indugi are è dato appunto
dalla circostanza che l 'indugiare è condizione dell'andar oltre ; sl che è perché
l'andar oltre dev 'esserci, che la deduzione del divenire assume l'immediato come
un ind u giare - e cioè come cominciamento ,. (p. 59) . Sembrerebbe allora che

la seconda delle due connessioni sopra enunciate, nelle quali veniva condensato
il s i gn ificat o del metodo dialettico, sia destinata in ultima istanza a risolversi
nel l a prima, di cui era però parso chiaro il carattere tautologico e, quindi,
tut t 'altro che genuinamente medi azionale. Ora, secondo noi è verissimo che
Hegel n on indica nei suoi testi la ragione per l a quale il sapere si struttura
come m ediazione e come processo invece di confi gu rarsi come un'istantanea

ed esaustiva visione di sé , e proprio perciò riteniamo, c ome abbiamo


s p i egato per esteso in questo capitolo conclusivo, che all 'esito cui Hegel è
storicamente pervenuto non ci si possa assolutamente fermare, una volta im­
boccato con assoluta serietà q u el cammino che lui , peral tro, ha avuto il merito
di a dditarci M a , non concordando con la persuasione di Severino che l 'af­
.

fe rm azione della realtà del divenire abbia un carattere meramente « fideistico » ,


attri buiamo un significato assai d i fferente a q uel problema cui i l pensatore
di Stoccarda non ha dato soluzione e, di conseguenza, anche alla soluzione
che se ne dovrebbe dare . Noi non lamentiamo, infatti , l 'assenza dalle pagine
del filosofo germanico di una deduzione che sia tale i n senso strettamente
logico e sia capace di riscattare speculativamente quella spontanea mediazione o
i n t erpretazione dell 'esperienza che sfocerebbe nella posizione della real t à del
d iveni re (deduzione la cui necessaria impossibilità dovrebbe peraltro condurre
al r i getto dell'interpretazione e, quindi , del divenire su d i essa fondato) ; né
d i ciamo che tempo e diveni re dovrebbero essere coraggiosamente riguardati
come semplici « illusioni ,. o « a pparenze ,. (alla maniera , i n defi nitiva, di
quel l 'idealismo anglosa ssone di cui pure c i confessi amo debi tori) perché rico­
nosci amo di non avere un simile coraggio (essendo la figu ra del l '« apparenza »
comprensibile solo entro un orizzonte gnoseologistico ed essendo il presupposto
gnoseologistico sempre logicamente inaccettabile, i n qualunque versione venga
prop osto) Noi ci domandiamo piuttosto quali possano essere le condizioni
.

an t ologiche di una processua l it à che, per un aspetto essenziale, non può non
presentarsi aporetica en tro una coerente e compiuta visione dialettica del reale
(e per l 'illustrazione d i quell 'aspetto e per la fondazione di tale aporeticità,
ambedue condotte indipendentemente da ogni prospettiva parmenidca o neo­
parmenidea, non poss iamo che riman dare all 'esposizione dei nostri u l t i m i tre
capitol i , nei quali esse si appoggiano semmai a testi dovut i allo stesso Hegel ) ;
riteniamo d 'a ltra parte che, al meno in l i nea di principio, il metodo hegeliano
s i a i n grado di offri re una sufficiente giusti ficazione dell 'asserto che « l 'isola-
1 54 L 'ORIZZONTE DELL ' I N F I N I TÀ A TT U A L E

caduta in un dualismo metafisica non meno inaccettabile del


sopra ricordato monismo ; quel dualismo contro il quale la p ro­
spettiva dialettica ha impegnato una dura battaglia che rappre­
senta il suo maggiore titolo di legittimità e la sua perenne anima
di verità) . La questione è certamente assai delicata.

mento della determinazione è il fondamento della sua non verità • ( l a seconda


delle connessioni severiniane) e che riesca perciò a dare una almeno relativa
spiegazione del carattere o del valore propriamente logico d i quel divenire in
cui esso consiste. Tale spiegazione ci sembra almeno in parte soddisfacente
forse perché non pretendiamo di subordi narla all 'altra , ossia a quella che d�
vrebbe rendere ragione di tale divenire nel suo carattere più genericamente
psicologico e che , intesa nel senso nostro (secondo il quale non sarebbe altro
che la risposta al quesito « come può darsi, anticamente o di fatto , quell "is�
lamento di cui si sa che logic a m ente è i l fondamento della non-verità? • ) , è
compito dell 'antologia, mentre, se è intesa nel senso di Severino, ci pare sem­
plicemente superflua, non essendo il divenire o la processualità in senso ge­
nericamente ps ic olog i co null 'altro che l 'evidenza ori gi naria e in ded uci b i l e .
( E non si dica che proprio noi, dopo la serrata critica del concetto di « e v id e n za
fenomenologica » condotta nella prima parte di questo lavoro, siamo i meno
idonei a pronunciare una s i mi l e affermazione. Ché , a ben gu ard a re , i l s i g n i ficato
propriamente speculativo dell'operazione d a noi compiuta i n quella sede si può
ravv isare tutto nell 'astensione d e ll a precarietà o evanescenza di ogni s i n go lo
dato, di ogni singolo « p roto co l l o » ; e che cosa sono, queste ultime, se non
modalità e determinazioni del « divenire • i n senso lato? Sì che si può b e n dire,
proprio in seguito alla critica della nostra prima parte, c h e c 'è u n 'unica i n con­
trovertibile ed origi naria evidenza fenomenologica, rappresentata appunto dal
divenire : quel divenire che non potrebbe mai essere il contenuto di un'interpre­
taz ione p e rch é ogni interpretazione è già divenire) .
Ma ora , proprio per poter concludere i l nostro lavoro offrendo qualche spunto
d i soluzione della p rob l ema t i c a propriamente metafisica che si è ormai deli·
ne at a dinanzi ai n os t r i occhi come l 'esito naturale di tutta l ' i nd ag in e che abbia­
mo condotta sul terreno gnose�metodologico, gradiremmo in qualche modo
ispirarci ad alcuni acutissimi rilievi severiniani contenuti nell 'ul timo capitolo
de La struttura originaria e risalenti ad un 'epoca - quella d el la l edi zione -
nella quale il nostro autore, ancora fedele all 'orientamento del suo ( e , si pan•a
licet , nostro) maestro G . Bontadini, correttamente impostava il problema del
divenire nei termini del superamento antologico di un dato che per un verso è
incontrovertibil mente e v i den te e che per l 'altro si presenta l o gi camen t e refrat­
tario ad ogni ipotesi di asso l u t izz a zio ne metafisica. Ci sembrano tuttora note­
vol i , quelle considerazioni, perché non t ra scura n o nessuna delle asperità con­
cettu ali i nsite nella stessa formul azio ne del problema, cioè nella piena espli­
c i tazione dei suoi term in i , e con i l loro apprezzabile rigore cri tico paiono volte,
i n certo qual modo, più a sgom bera re i l campo dai possibili equi voci , e d a l l e
obiezioni che i n base ad essi è p oi sempre facile muovere, che non a delineare
in p o s i t iv o una vera e propria soluzione. Quella soluzione che , d 'altra parte,
alla fine di tali riflessioni si intravede al l 'o rizz o nte e che noi nelle battute con­
clusive c e rc h ia mo di re n de re esplicita, s i a pur solamente, com'è ovvio, ne i suoi
tratti generalissim i .
I L R I S U LTATO D E L LA D I A L E T T I C A 1 55

Senza dubbio 5 l 'intero come perfezione assoluta non è il finito al


quale l 'intero appare inadeguatamente. In quanto il finito non è
un nulla la distinzione fra l 'intero e il finito è distinzione fra
due positività, e cioè equivale all 'affermazione che il finito ap­
partiene all'intero (è incluso in esso , è un suo momento) , ma non
ali 'intero in quanto Assoluto . Si deve dunque riconoscere che il
significato « intero » può intendersi in due accezioni diverse :
come realtà assoluta, e quindi come opposto al finito, e come
inclusivo del finito stesso. Resta da precisare il senso dell 'oppo­
sizione implicita nella prima delle due accezioni . I l finito è un
posit ivo che non può contenere alcun aspetto o modo d i posi­
tività che non siano contenuti nell 'Assoluto : d iversamente
quest 'ultimo non sarebbe ciò che risolve in sé tutte le determi­
nazioni possibili che la coscienza , cioè il finito, incontra nel
suo cammino . Si può anche dire che l 'intero , come inclusivo del
finito e dell 'Assoluto , non contiene alcuna posi tività che non
sia contenuta in quest'ultimo : il quale , pur essendo altro dal fi­
nito , non è dunque « parte » dell 'intero . Il finito sta « oltre »
l'Assoluto come un positivo che non aggiunge nulla alla totalità
del reale : questa è l 'unica maniera di concepire incontradditto­
riamente la distinzione fra i due . Una maniera che può apparire
essa stessa contraddittoria solo qualora si vogliano applicare alla
realtà in quanto tale certe categorie che sono proprie del piano
della quantità (solo qualora , per intenderei , si creda di poter
e stendere al caso presente il tipo di argomentazione in base al
quale , dal fatto che il numero x , aggiunto o sottratto al numero y,
non determina un aumento o una diminuzione di y , si conclude
che x è uguale a zero) . Già comunque nella logica del comune
argomentare si può rilevare « che il concetto di alterità (differen­
za , contraddittorietà) fra due termini qualsiasi non implica
come tale che nel primo sussista una positività che non sussiste
nel secondo, e viceversa : se quel concetto implicasse come tale
questa proprietà sarebbe impossibile parlare d i alterità fra l 'es­
sere e il nulla, o fra il tutto e la parte . � vero che l 'Assoluto è
altro dal finito non come l 'essere è altro dal nulla e nemmeno
come il tutto è altro dalla parte [ abbiamo anzi posto fin qui la

s Per ciò che diremo da qui sino alla citazione testuale cfr. La struttura origi­
naria, cit., pp. 543-49, passim (nella vecchia edizione, pp. 40 1 -6) .
1 56 L 'OR I ZZONTE D E L L ' I N F I N I TÀ A T T U A L E

massima cura nell 'escludere proprio queste due possibil ità , la


prima delle quali corrisponde al monismo acosmistico e la se­
conda al monismo immanentistico, contrario il primo all 'espe­
rienza e il secondo alla ragione . N .d .R . ] ; ma qui ci basta ap­
punto rilevare che , se si dànno tipi di alterità in cui non si veri­
fica che i termini che stanno in rapporto di alterità siano tali
che ognuno dei due contenga una positività che l 'altro non con­
tiene , segue che non è immediatamente contraddittorio supporre
un ulteriore tipo di alterità per il quale il finito , pur differendo
dall 'Assoluto, non contenga alcuna positività che non sia in
quello contenuta » 6 • Noi peraltro già sappiamo che un tale t i p o
di differenza deve necessariamente sussistere , data l 'insosteni­
lità dell'ipotesi dualistica : sì che la semplice mancanza d i con­
traddizione , o la semplice possibilità logica , era tutto ciò che qui
ci occorreva . Problematici , insomma, rimangono soltanto , per
noi , i lineamenti concreti di questo particolare modo di differire ,
non la sua esistenza.
M a se i l finito non contiene nessuna positività che non s i a conte­
nuta nell 'Assoluto , allora è qualcosa che non appartiene neces­
sariamente alla totalità del reale : si può benissimo pensare che
sarebbe potuto anche non esistere, è insomma un che di contin­
gente . Se infatti l 'esistenza del finito come distinto dall 'Assoluto
fosse necessaria (se la sua inesistenza desse luogo a una con­
traddizione) allora dovremmo ammettere che il finito possiede
qualcosa che all 'Assoluto invece manca e di cui quest 'ultimo
avrebbe bisogno per essere veramente tale ; che c 'è ancora per
lo meno una contraddizione che non aveva trovato soluzione in
seno al preteso Assoluto , il quale dunque millantava questo suo
titolo. E se si dicesse che l 'autentico Assoluto deve allora in­
cludere anche quel finito che si è rivelato indispensabile alla
totalità del reale , ecco che il finito sarebbe per ciò stesso « ri­
so lt o » nel nuovo Assoluto così riconfigurato cessando di essere
« distinto » da esso : sì che c i troveremmo in una si tuazione meta­
fisica nella quale le due possibil i accezioni del significato « i n t e­
ro » che abbi amo sopra individuate sarebbero di fatto o materi al­
mente coinci den ti 7 • Se d u n q u e esiste qualcosa di genuinamente

6 lbid., p. 550 (p. 406 ) .


7 L a s i t u a z i o ne che s i a v rebbe qualora l 'A s sol u t o fosserimasto sol o : q u a l o ra
D i o non avesse creato il m o n d o ( s i veda q u a n t o d i remo fra p oco nel testo ) .
I L R I S U LTATO DELLA D I A L ET T I CA 1 57

distinto dall 'Assoluto, qualcosa che con la sua presenza fa sì che


i due « interi » non coincidano, non può che essere contingente :
non può che essere , in un certo senso, gratuito .
M e se il finito è qualcosa che sarebbe potuto anche non esi stere ,
d 'altra parte esso esiste solo in quanto esiste anche l 'Assoluto .
E: questo, dell 'autotrascendenza o della non autonomia del fini­
to , il principio fondamentale di cui proprio la logica dialettica
rappresenta la più grandiosa elaborazione e applicazione . Ma la
conseguenza ultima di tutto ciò sembra essere questa : se il finito
non appartiene necessariamente alla realtà e se l 'Assoluto è ciò
per cui il finito è, che il finito sia è una libera decisione del­
l ' Assoluto .
Una tale conclusione può forse aiutarci a formulare qualche mo­
d estissimo rilievo sulla questione precedentemente delineata ri­
guardo all'indole del tutto particolare della differenza intercor­
rente tra l 'Assoluto e quel finito che , appunto , se ne dist ingue
e s istendo fuori di esso . Questa particolarità risulta in parte chia­
rita, almeno per un aspetto non secondario , quando si scorge che
l 'alterità in questione differisce dall 'alterità tra due finiti se non
altro perché implica che uno dei suoi due termini sia tale che
senza l 'altro non sarebbe nulla. A ben vedere si potrebbero , forse,
scorgere già qui il senso e la verità di quel « nulla » che sembra­
vano tanto difficili a cogl iersi quando, in precedenza , avevamo
considerata la parvenza di contradd ittorietà inerente all 'afferma­
zione secondo la quale l 'esistenza distinta del fin ito non aggiunge
« nulla » all 'onnirisolvente realtà dell 'Assoluto . Sembrava molto
problematica quest 'asserzione perché , anche riconoscen d o che
nell 'essenza del finito non vi sia alcunché che non risulti conte­
nuto eminenter nell 'Originario, pareva tuttavi a che quel l 'ulterio­
re attuazione esistenziale d i una certa essenza che la distinta real­
tà del finito innegabilmente comporta rappresentasse , almeno es­
s a , un irriducibile « di più » rispetto a quanto è incluso nell 'Ori­
ginario . Ma ora si vede che anche ciò che può apparire riluttante
a lasciarsi completamente assorb i re in un 'essenza dell 'Assoluto
che venga intesa più o meno staticamente non può invece op­
porre alcuna resistenza ad una propria integrale risoluzione nella
forza creatrice o nella attuosità del medesimo Assoluto . Quel­
l 'attuosità che non ci dobb iamo affatto stupire di trovare incom­
prensibile nel modo concreto del suo esplicarsi , se solo poniamo
mente al fatto che essa è superiore allo stesso principio d i non
1 58 L'ORIZZONTE DELL ' I N F I N ITÀ ATTUALE

contraddizione : ed è superiore in quella particolare maniera alla


quale ci siamo riferiti nella conclusione del capitolo precedente
e che non implica la violazione del principio.
Ma qui non ci è assolutamente possibile andare oltre questi
brevi cenni : come già dicevamo, la presente indagine non era
dedicata ai problemi più ardui della metafisica ma si p roponeva
semplicemente di offrire qualche « argomento di riflessione »

sullo statuto dell'umano sapere considerato nei vari gradi del


suo estrinsecarsi. Se saremo almeno in parte riusciti nell 'esecu­
zione di tale più modesto programma allora la nostra fatica sarà
stata in qualche misura ricompensata.
I N D I CE D E I N O M I

A pel , K . O . , 1 4 n . Habermas, J., t O n.


A ristotele, 2 1 , 3 1 n . , 46 n . , 5 6 , 6 6 , H anson, N .R., t 3 n .
89, 1 37 n. Hegel, G .W.F., 5 4 , 7 1 n . , 8 2 , 8 3 n.p

Ayer, A.J., 101 n. 9 0 n . , 1 06 n., 1 1 3 n., 1 1 4 n., 1 1 5,


t 1 8 , t 24 n . , 1 27 n . , 1 32 n . , 1 3 3
F., 5 1 n .
Barone , n . , 1 3 6 , t 3 7 n . , 1 3 9 e n . , 1 42 e
Bontadini , G . , 4 6 n . , 6 2 n . , 1 54 n . n . , 1 43 n . , 1 50 , 1 5 2 n . , t 5 3 n .
Bosanquet, B . , 1 00 n . Heidegger, M . , 1 0 n., 1 1 n., 79
Bradley, F . H . , 3 5 n . , 1 00 n . , l O t n . , Heisenberg, W., 6 2 n .
1 1 t n., 1 1 2 n., 1 14 n., 1 1 8 n . Herbart , J .F . , 35 n .
Buzzoni , M . , 5 2 n . Hilbert , D . , t 07 n .
Hume, D . , 5 0 , 5 5 , 5 7 n . , 64
Cacciari , M . , 1 07 n . Husserl , E . , 3 t n . , 1 4 1 e n .
Calogero , G., 42 n.
Camap, R . , t 2 n . , 2 5 n . Joach i m , H .H . , 1 00 n., 101 n.�
1 06 n .
Darwin, Ch . , 7 9 n .
Davidson , D . , t 3 n . , 85 n . Kant, l . , 66
D e Negri , E., 1 3 6 e n . , 1 3 7 n . Kuh n , T . S . , 1 3 n . , 81 n . , 97 n . �
Derrida, J . , 1 4 98 n . , 1 07 n .
De Waelhens, A., 1 40 n .
Dilthey, W., 8 0 n . Leibniz, G .W., 1 00 n .
Duhem, P . , 1 2 n . , 72 n . Lévinas, E., t4 n.
Luhmann , N . , 1 4 n .
Euclide , 8 5 , 87
McTaggart, J .E., 1 1 8 n., 1 1 9 n.,
Feyerabend, P.K., 13 n., 84 n., 1 2 1 , 1 24 , 1 2 5 n . , 1 2 6 n . , 1 2 7 n . ,
9 7 n . , 9 8 n . , 1 03 n., 1 04 n . 1 52 n.
Foucault, M., 1 4 Martinetti, P . , 6 2 n . , 9 4 n .
Masullo, A . , 1 42 n .
G adamer, H.G., 10 n., 1 1 n . , 14 n., Mathieu , V . , 1 0 1 n .
3 1 n . , 77 n . , 8 0 n . Mill , J .S . , 39 n . , 50, 59
Galilei ,
G., 79 n . Moore, G .E., 1 0 1 n.
Gargani , A.G., 1 07 n .
Godei , K., 1 07 n. Neurath, 0., 2 5 n., 26 n.
1 60 INDICE DEI NO M I

Paci , E . , 1 35 n. Sellars, W . , 1 3 n . , 2 4 n . , 2 7 n.
Platone, 8 1 , 82, 123 n . Severino, E., 1 7 n., 1 1 8 n., 1 1 9 n.,

Popper, K . R . , 24 n., 5 1 , 62 n . , 1 5 1 n., 1 52 n., 1 53 n . , 1 54 n.

6 4 n . , 9 8 n . , 1 04 n. Spencer, H . , 50
Stein, P., 42 n.
Quine, W.V.O ., 12 n., 84
Tarski , A., 85 n., 1 07 n.
Reichenbach, H . , 5 8 Temistio, 3 1 n .
Restaino, F . , 1 3 n . Toulmin, S . , 1 3 n., 1 4 n .
Ricoeur, P . , 1 4 n. Trendelenburg, F.A ., 1 1 1 n., 1 1 4 n.
Rorty, R., 13 n., 1 4 e n., 24 n.,
2 6 n . , 27 n., 3 8 n . , 75 n., 79 n., Vanni Rovighi, S., 46 n .
80 n., 81 n. Vattimo, G., 1 1 n . , 1 4 e n., 1 4 1 n.

Russell, B . , 101 n., 1 05 n.


Williams, M . , 2 7 n .
Sartre, J .P., 22 n . , 75 n. Wittgenstein, L., 1 4 , 1 7 , 2 6 n., Jj
Schlick, M . , 26 n . , 99 n. e n., 50 n., 5 2 n., 1 0 1 n., 107 n.

Fimto di stampare nel grugno 1 �88


presso lo Stabilimento G rafico Scotti S.p.A. di M ilano

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