storie in viaggio
FIABE A MERENDA
Si racconta si ascolta e si mangia
CARTOLINE SONORE
Paesaggio, suono, archivio
Dicembre 2008 - n° 8
INDICE
p. 7 I. Fiabe a merenda
Il progetto Dagli Archivi alla Sce- zione che fa capo al Ministero dei
na è stato avviato già da due anni Beni Culturali, si prosegue con gli
all’interno dell’attività di ricer- archivi audio-visivi e mediateche,
ca di Archivi del Sud. Da sempre sempre più numerosi e importan-
l’associazione ha nella sua mission ti, ma dove già le metodologie di
la diffusione e divulgazione del catalogazione e salvaguardia di-
patrimonio di tradizione orale. vergono e sfuggono all’istituzione
Si tratta di beni culturali dal ca- centrale, per arrivare agli “archi-
rattere particolare, “intangibili”, vi viventi”, coloro che l’etnolo-
dice l’Unesco, o “volatili”, come gia chiama con termine neutro
ama definirli Alberto Mario Cire- “informatori” e che sono maestri
se, e gli archivi che li custodisco- della memoria, che nell’antichità
no e proteggono dall’oblio sono era un’arte, l’ars memorandi, a cui
anch’essi di natura diversa. Cer- era preposta la divinità madre di
chiamo perciò di definire innan- tutte le Muse, Mnemosine. Nel ra-
zitutto il primo termine in cui si pidissimo cambiamento dei tempi
articola il progetto: “archivi”. moderni, coloro che con volontà,
non per caso, conservano e voglio-
Diamo a questa parola l’acce- no trasmettere il proprio patrimo-
zione più ampia possibile, inten- nio personale di storie, di saperi,
dendo qualsiasi contenitore entro di ricordi, sono preziosi archivi di
il quale dei supporti di diverso memoria.
genere conservano documenti
ascrivibili alla “tradizione orale”, Condurre la ricerca attraver-
il nostro campo d’indagine. Si va so elementi tanto diversi tra loro
dagli archivi storici e le bibliote- comporta problemi metodologici,
che, istituzioni ben definite e ri- che in un certo senso il continuo e
conoscibili nell’attuale organizza- rapidissimo divenire tecnologico
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tivo di scrittura. Si pensi al proble- rienze che riteniamo dei modelli
ma della trascrizione musicale del ripercorribili e abbiamo adattato le
repertorio di origine popolare. Se il nostre proposte all’uditorio, all’oc-
luogo della performance è la scena, casione e anche al budget.
il nostro raggio di interesse si esten-
de alle arti dello spettacolo dal vivo. Le esperienze che vi illustria-
La scena è lo spazio che qualcuno mo in questo numero della rivista
occupa nel tempo presente per co- “Contos” sono tre: Le Fiabe a me-
municare con un pubblico anche renda, dove si racconta si ascolta e
questo presente, non virtuale. si mangia; La storia di Donna Fran-
cesca Zatrillas, la ricostruzione di
La riflessione sulla quale ci siamo un giallo storico tra fonti ufficiali
concentrati è in quale maniera sia e memoria popolare; Le Cartoline
possibile far uscire dall’archivio il sonore, ovvero paesaggio, suono,
patrimonio culturale e fare in modo archivio.
che raggiunga il più ampio pubblico
possibile. Il rischio è, infatti, quello
di spendere una quantità enorme
di energia per salvaguardare, digi-
talizzare, catalogare una serie pra-
ticamente infinita e multiforme di
contenuti, spesso preziosissimi, dei
veri e propri tesori, destinati però
a rimanere nascosti o accessibili ad
una ristretta cerchia di studiosi che
possiede le chiavi di accesso al sa-
pere.
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I. Fiabe a merenda
Le fiabe con la merenda c’en- nomi con cui, nella variante lo-
trano più o meno quanto i cavoli. cale del sardo, si indicano i pasti
Perché non era certo l’ora in cui si della giornata: immulzare, bustare,
raccontavano le storie, quella del- chenare. Si verifica che la merenda
la merenda. Una volta, quando si non c’è. Molti dicono: «non ci ave-
usava raccontare le storie ci si riu- vo mai pensato»)
niva alla fine della giornata di duro
lavoro, le sere d’estate fuori dalla La parola non c’è, e se non c’è
la parola non c’è neanche la cosa.
porta, in sa carrela, e d’inverno in-
torno al camino, in sa tziminea o Nel senso che la merenda è un’in-
venzione moderna, del benessere,
su ‘ochile. O nelle stalle delle gran-
di case coloniche, quando il fred- del baby boom. Prima non si aveva
do della lunga notte invernale era l’abitudine di mangiare tanto, an-
attenuato dal calore degli animali, che perché non sempre ce n’era,
come si può vedere ne l’albero deglidi che mangiare. A volte era già
zoccoli di Ermanno Olmi. tanto riuscire a fare due pasti, si
era fortunati se c’era qualcosa a
Ora che le fiabe non si racconta- bustare e a chenare.
no più - tutt’al più si leggono, ma
soprattutto si vedono alla tv e nel Del resto anche le fiabe molto
dvd al computer - possiamo anche spesso parlano di questa situazione
permetterci di raccontarle all’ora di mancanza di cibo: quante storie
della merenda. Che prima non esi- iniziano con la povera famiglia che
steva, la merenda. Infatti, come si non può sfamare i figli, e quante
dice in sardo “merenda”? si concludono con il banchetto nu-
ziale, dove la più grande felicità è
(gli ascoltatori riflettono, non l’abbondanza di cibo. E la più gran-
trovano la parola, ripassiamo i de tristezza è la tavola vuota.
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In effetti, una volta, c’era uno sentite, questo pane suona come
spettro che si aggirava per i pae- un tamburo (lo accosto al microfo-
si, ed era uno spettro che faceva no e tamburello sotto la sfoglia con
paura a tutti, grandi e piccoli. Non i polpastrelli), non solo, ma suona
era Mommoti, non era sa mama de quando lo spezzate e quando lo
su sole, ma quello più terribile di mangiate. Perché? Come è questo
tutti era Mastru Juanne, quando si pane a differenza dell’altro pane
infilava nelle case tutto era per- rotondo che conosciamo, che fac-
duto. Perché Mastru Juanne era ciamo noi in Sardegna? (prendo
la fame. E la stagione più dura era una spianata tra le mani e mostro
l’inverno. la diversa consistenza, più morbi-
da). (I bambini elencano una serie
Ora, per fortuna quei tempi di aggettivi: duro, rigido, croccan-
sono passati, almeno dalle nostre te…). E perché è così?
parti. E il pane sulle nostre tavole
non manca mai. Ecco, a proposito
del pane…
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Pauleddu era un bambino che aveva più o meno la vostra età, tu quanti
anni hai? Ecco come te, più o meno 9 o 10 anni. Soltanto che non andava
a scuola, la famiglia aveva bisogno di lui per governare il piccolo gregge di
capre. Sapete, una volta la vita era dura e spesso i bambini erano mandati
a lavorare molto presto. Nelle famiglie di pastori succedeva così, i bambi-
ni andavano a badare al bestiame nei pascoli, e non era proprio una vita
da Heidi (la conoscete Heidi?...) no, era una vita dura, stavano lontano
da casa per giorni e giorni, a volte per settimane. Allora la mamma gli
preparava il pane, il pane carasau (spiego la doppia cottura per tostarlo)
che durava anche mesi dentro lo zaino di cuoio che i pastori portavano
con sé nella montagna. Ecco perché è così, duro e croccante per la dop-
pia cottura, che lo fa durare a lungo dentro gli zaini di cuoio del pastore.
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Pauleddu dunque stava per giorni e giorni lontano da casa, da solo
nel suo ovile, su cuile, di ginepro (spiego brevemente come è fatto
l’ovile, il cerchio di pietre e il tetto di grossi rami di ginepro) e un po’ si
annoiava a stare da solo in montagna con le capre. Per lui la montagna
non aveva segreti, conosceva tutti i sentieri come le capre, e conosce-
va tutti i suoni. Il fruscio del vento tra gli alberi, il verso degli uccelli
e di altre bestie selvatiche, come il grugnito del cinghiale, il suono dei
campanacci delle sue capre, era capace di riconoscere ogni singola
capra dal suono della sua campanella. (ecc. ecc., il mondo dei rumori
può essere solo evocato dal narratore, invitando i bambini a comple-
tare e descrivere quali suoni si possono udire in questo ambiente, il
verso degli animali, il soffio del vento, e così via).
Ma, un bel giorno, Pauleddu sente un suono nuovo, che non aveva
mai sentito prima, tende l’orecchio e non ha dubbi: è una ragazza che
canta, con una voce così melodiosa che non aveva mai sentito una
cosa così bella, ma una ragazza da quelle parti non s’era mai vista!
Ascolta ancora meglio e riesce anche a capire da dove proveniva il suo-
no, veniva da una vecchia catapecchia, su una collinetta poco distante
dal suo ovile, ma messa in un punto che non ci si poteva arrivare,
tanto era fitta la boscaglia che la circondava, infatti nessuno andava lì
da molto tempo, il sentiero per arrivarci era sparito, ingoiato da un
intrico di rovi e arbusti.
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persona che canta, ma qui non c’è nessuno”. Il padre era severo, non
voleva che Pauleddu si distraesse dal suo lavoro con chissà quali pen-
sieri. E se ne va, se ne torna al paese dove aveva le sue cose da fare. E
Pauleddu, di nuovo solo, quella voce continua a sentirla il giorno dopo,
e il giorno dopo ancora e nella sua testa comincia una battaglia: ci vado
o non ci vado, bi ando o no bi ando. Era piccolo, un po’ aveva paura,
ma era anche molto curioso di vedere chi cantava con quella voce così
bella. E quindi, ci va o non ci va? Secondo voi … (lascio che siano i bam-
bini a scegliere, di solito prevalgono i “ci va!”, e certo, rispondo io, “ci va,
anche perché se no la storia finirebbe qui”).
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bini non hanno familiarità con questo lavoro femminile e spesso non
hanno mai visto un telaio).
Una spola tutta d’oro. Subito Pauleddu pensa di prendere quella cosa
meravigliosa e portarla dal babbo, per fargli vedere che aveva ragione
lui. Afferra la spola e si precipita fuori dalla casupola per correre verso
il paese, verso casa.
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A questo punto dico: “Bene, visto che siete stati così bravi ad ascolta-
re questa storia, ora vi preparo una merenda” e durante la preparazio-
ne descrivo gli ingredienti)
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Prima merenda
Crepes di pane carasau
con formaggio
grattugiato pecorino
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Eh, sì erano piccole, tanto che si potevano infilare nelle case, di not-
te, quando la gente dormiva, attraverso il buco della serratura … ma
questa storia ve la racconto dopo. Piuttosto, continuiamo nella descri-
zione: un’altra cosa si sa di certo delle fate, che erano “ricchissime”,
beh, l’abbiamo visto, tessevano in telai tutti d’oro, e indossavano dei
BELLISSIMI COSTUMI, fatti con le stoffe che loro stesse creavano con
quei fantastici telai. Erano tessuti magnifici, sete e broccati con fili
d’oro e d’argento, che andavano di notte a lavare al fiume e poi sten-
devano ad asciugare sotto i raggi della luna. Perché le janas temono
il sole, si muovono solo con la LUCE DELLA LUNA, del resto il loro
stesso nome sembra derivare dalla divinità lunare, la dea Diana.
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che gli piaceva, lo chiamavano per tre volte, così: Antoneddu, Antoné,
oh Antoné. E quello si svegliava e le seguiva, loro lo guidavano lungo
il sentiero che conduce a Monte Oe, illuminando il cammino con la
luce che emanava dal loro corpo. E quando arrivavano al loro palazzo
gli spalancavano le porte e lo facevano entrare per mostrargli tutti i
loro tesori nascosti, su siddadu, s’iscusorgiu , su pòsidu. C’erano stanze
piene di forzieri e bauli che custodivano pietre preziose, gioielli, sete e
broccati, marenghi d’oro … Ma il tesoro delle fate non si poteva tocca-
re, se qualcuno cercava di prenderlo si trasformava subito in … (lascio
che siano i bambini a terminare, in cenere, in carbone, in polvere …).
1. Farina (o grano)
2. Acqua
3. Sale
4. Lievito
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na, e poi mi dite, ma questo è un messaggio più che altro rivolto agli
adulti presenti) e il lievito.
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I.b La leggenda del lievito
E così vede che Sa Sabia Sibilla prende il tavolo per fare il pane, sa
mesa, poi prende il recipiente di terracotta per versarvi la farina, su
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Seconda merenda
Fette di pane con olio,
pomodoro, sale
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Bene, continuiamo ora con un’altra storia che ha a che fare con un
altro elemento magico, necessario alla vita, di cui oggi non potremmo
fare a meno. E’ qualcosa che serve anche per fare il pane … (invito i
bambini ad indovinare che cosa può essere, non ci vuol molto a scopri-
re che si tratta del FUOCO).
Bene, c’è stato un tempo in cui gli uomini non conoscevano il fuo-
co, o meglio lo conoscevano, ma non lo possedevano. Vi immaginate
che razza di vita? (con la collaborazione dei bambini elenchiamo le
cose che mancavano agli uomini primitivi senza il fuoco: il calore per
riscaldarsi, per illuminare, per scacciare le belve, per cuocere gli ali-
menti …). Così gli uomini, stanchi di questa vita così triste, decidono
di andare a chiedere aiuto a Sant’Antonio abate (da non confondere
con quello di Padova, che viene molti secoli dopo).
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razionalismo scientifico, che poco o nulla sanno dell’inferno con cui
una volta ci impaurivano al catechismo). Ebbene, va a cercarlo all’IN-
FERNO, là dove brucia sempre in gran quantità.
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Terza merenda
Ricotta e miele
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II. La storia di Donna Francesca Zatrillas
Spettacolo per voce narrante
di Enedina Sanna
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ne vedova Zatrillas, a soli due mesi dalla morte del marito, il giovane capi-
tano Silvestro Aymerich. La cosa viene sfruttata dal nuovo viceré inviato
dalla Spagna che ribalta il risultato delle indagini condotte fino ad allora e
accusa la Zatrillas di essere la mandante dell’omicidio del marito. E sulla
stessa famiglia dei Castelvì cade l’accusa di aver combinato l’assassinio del
Viceré. L’intrigo come l’epilogo sono degli di una tragedia shakespiriana.
— Prologo
Per cominciare, perché raccontare questa storia ormai lontana nel tem-
po. Per la verità, non sono stata io a deciderlo. Il fatto è che questa vicenda
mi si è presentata più volte, mentre andavo in cerca di innocue leggende
popolari, mi si presentava ogni tanto sotto forma di frammento, di ricordo,
di aneddoto, nelle situazioni più diverse, mentre frugavo a caso tra i libri
di una biblioteca. Alla fine ho pensato: questa storia chiede di essere rac-
contata. E va bene, ho detto, la raccontiamo, così come fanno i cantastorie
siciliani con la Barunissa di Carini.
— Musica
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Questa è una tragedia perfettamente secentesca, così come noi siamo
abituati a guardare al Seicento, questo secolo buio e dorato, il tempo del
barocco e dell’Inquisizione, di grandi tragedie e quindi di grandi dramma-
turghi, come Shakespeare.
Perché di questa storia ci sono molte varianti, un’unica verità forse non
la si ricostruirà mai, ammesso che si possa mai stabilire una sola verità
per le vicende umane, tanto più se queste sono alterate, inquinate da
sentimenti e ragioni di natura diversa.
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Don Artal, giovane figlio della famiglia Alagon, marchesi di Villasor,
e sua madre donna Teresa Pimentel
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Enzo Favata ha collaborato con Archivi del Sud fin dagli inizi della
sua attività e ha condotto negli anni innumerevoli indagini sul campo,
a partire dal 1992 con un’inchiesta sulle benas, l’antico strumento a
fiato precursore delle launeddas. Successivamente ha registrato e con-
tinua a registrare i suoni della Sardegna, nelle più diverse occasioni e
località, dalla Settimana Santa al Carnevale, dalle feste religiose della
primavera ai luoghi di lavoro artigianale. In questo modo, nel corso
degli anni, si è creato un prezioso archivio sonoro, una banca dati di
suoni che serve a documentare un patrimonio intangibile degno di
essere salvaguardato.
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1. Preghiera del mattino nell’abbazia benedettina
di San Pietro di Sorres (SS).
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Bibliografia / Discogafia
Fiabe a merenda
Chiarella Addari Rapallo, La leggenda del lievito, in In nome del pane: forme,
tecniche, occasioni della panificazione tradizionale in Sardegna, Nuoro, I.S.R.E.,
1991, pp. 23-25.
Enedina Sanna (a cura di), Contami unu Contu CD + libretto, vol. I Lo-
gudoro, traccia 8, Su contadu de sa Sabia Sibilla (Ozieri, narratrice Bonaria
Manca, raccolta da Maria Manunta).
AA.VV., Fonti orali: istruzioni per l’uso, Venezia, Società di Mutuo Soccorso
Ernesto De Martino, 2008
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rassa don Manuele Gomez De Los Cobos, vicere di Sardegna, Cagliari,
Società editoriale italiana, 1942.
Link
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- www.ina.fr
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associazione
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provincia
di sassari