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“Secolo che ci squarti… Secolo che ci incanti.

"
1 FUTURISTI IN TRINCEA. APOCALISSE DELLA MODERNITÀ E
RIGENERAZIONE DELL’ARTE.
L’elogio della guerra in generale e in particolare della prima guerra mondiale, vista contemporaneamente come
catastrofe e vitalità. Il futurismo, che si autodefinisce avanguardia storica, considera la guerra un’operazione
igenica in sintonia con le leggi dell’evoluzione. Ecco perché Le futurisme, raccolta di saggi e proclami di Marinetti
in lingua francese del 1911, viene tradotto in italiano nel 1915, dopo l’intervento dell’Italia in guerra, con il titolo
Guerra, sola igiene del mondo. Marinetti intende il futurismo come perenne tensione agonica e in questa raccolta
è incluso lo scritto La guerra elettrica, sottotitolato Visione-ipotesi futurista, inno alle smisurate potenzialità
dell’energia elettrica, trionfo della luce sulle tenebre, del futurismo vitale sul passatismo mortifero. La ricerca
estetica dei futuristi è caratterizzata dall’assalto all’impossibile, all’ignoto, i letterati sono in questo senso
assimilati agli scienziati che con facilità governano le “docili masse degli elettroni”. Le immagini belliche vengono
descritte tramite immagini della nuova comunicazione elettromagnetica: la guerra è scontro di due popoli rivali
tramite esplosioni elettriche nel cielo.
Nello scritto del 1915, In quest’anno futurista, i tratti distintivi del futurismo sono indicati nell’amore del nuovo,
nell’arte della velocità, nella denigrazione sistematica dell’antico, del vecchio, del lento. Il futurismo è un nuovo
modo di vedere il mondo, è celebrazione entusiastica delle scoperte scientifiche e della modernità. La fisionomia
del movimento viene precisata tramite metafore tratte dal lessico bellico.
La guerra appare da un lato come estroversione dinamica e aggressiva del movimento marinettiano ma è anche
modello inventivo, unica ispirazione dell’arte, da cui i futuristi traggono il loro armamentario espressivo e la
strategia d’urto dei loro proclami.
I nuovi ordigni bellici sono infatti del tutto incompatibili con la tradizione lirica precedente. Marinetti li inserisce
all’interno delle invenzioni verbo visive del Futurismo. Egli afferma che i bombardamenti, i treni, le trincee non
hanno nulla a che vedere con la poesia passatista classicheggiante nostalgica come quella di Baudelaire,
Mallarmè, Carducci, Pascoli, d’Annunzio. La poesia pacifista è sotterrata e oggi trionfano le Parole in libertà, senza
sintassi, senza punteggiatura, schizzi tipografici di aviatore.
Marinetti però sottolinea che il futurismo non è caratterizzato da una natura nichilistico-distruttiva ma in realtà il
suo è un pragmatismo rigeneratore: i futuristi vogliono demolire per poter successivamente ricostruire.
Il movimento futurista offre una visione dinamica dell’esistenza che chiede agli artisti una totale partecipazione
agli eventi. Marinetti afferma che occorre “introdurre brutalmente la vita nell’arte”.

2. Già nel Manifesto di fondazione del 1909 la guerra è glorificata come sola igiene del mondo: è la possibilità di
fare piazza pulita di ciò che inibisce il ritmo accelerato del mondo moderno. L’arte è concepita come conflittualità,
come bellicosa estroversione. Si pensi alla frenetica corsa automobilistica verso l’ignoto narrata nella prima parte
del manifesto che altro non è che esorcizzazione della morte. L’arte, per sfuggire alla dissoluzione, deve
periodicamente morire: il suo destino è dissolversi per riapparire sotto forme nuove per poi aspettare una nuova
catastrofe. Di base c'è anche l'idea di arte come conflittualità, l'arte deve esaltare il movimento aggressivo; non
v'è bellezza se non nella lotta; la poesia è un violento assalto contro le forze ignote, per ridurle a prostrarsi
all'uomo.
Nel manifesto Uccidiamo il Chiaro di Luna, coevo, il condottiero dei futuristi esce da Paralisi per distruggere
Podagra (città passatiste) e circondato dai suoi fedeli li chiama ad uno ad uno per nome, come in un’adunata
militare, per incitarli a conquistare la vetta del mondo. L’avanguardia futurista si getterà così nel gorgo della
morte con un gesto di titanico eroismo per affrontare la necessaria demolizione. Il futurismo è quindi
caratterizzato da conflittualità permanente promossa e propagandata con nuove modalità estetiche.

3. La pulsione distruttiva del movimento è però legata anche ai concetti di rigenerazione e metamorfosi. È sulla
polarità morte / rinascita che si dispiega la stessa forma narrativa, il manifesto, che esprime le possibilità nuove
dell’operare artistico. I manifesti futuristi sono caratterizzati dall’uso dell’enfasi e dell’iperbole quasi come ad
offrire una rappresentazione estrema ed auto dissolvente in vista della nascita di un nuovo codice espressivo.
Già Marinetti da prefuturista opera nel topos del rogo apocalittico: una delle sue prime prove è il poemetto del
1904 intitolato Destruction in cui c’è un grande uso di metafore, la scrittura utilizzata mostra l’intento di fare
esplodere i canoni comunicativi a cui Marinetti ha affidato la propria formazione. In Mafarka le futuriste (del
1909) la conclusiva catastrofe si prospetta come visione fantasmagorica portatrice di un’inedita fascinazione
estetica. Dall’apocalittico fuoco futurista scaturisce la rigenerazione integrale della vita e dell’arte scandita
dall’ascensione di Gazurmah, il superuomo meccanico alato costruito da Mafarka.
La catastrofe bellica è il luogo paradossale della festa della vita e dell’arte.
L’invenzione principale del futurismo, le parole in libertà, proclamata nel Manifesto tecnico della letteratura
futurista, nascono come mimesi dei rumori e della scenografia di guerra. In appendice al manifesto c’è il testo
Battaglia Peso + Odore ispirato alla Battaglia di Tripoli. Il soggetto narrante si affida totalmente ad un realismo
sensoriale utilizzato per registrare la realtà materica. La pagina è governata da onomatopee percepite nella
battaglia. La valenza visiva e acustica dei segni è impiegata come mimesi grafico/sonora di fenomeni e impressioni
di guerra.
Lo stile sintetico del paro liberismo raggiunge il suo massimo sviluppo durante la guerra e ne è l’ideale codice di
rappresentazione linguistica. Il tempo bellico è l’occasione per attivare una nuova creatività estetica.
Il narratore futurista dispone le parole essenziali sono disposte senza un ordine ben preciso, distruggendo al
sintassi, non curando la punteggiatura e l’aggettivazione per esprimere in fretta le proprie sensazioni visive,
auditive e olfattive.
Il primo libro di Marinetti che utilizza insieme parole in libertà e tavole parolibere viene pubblicato nel 1914 e si
intitola Zang Tumb Tuum. Oggetto della narrazione è la guerra dei Balcani (1912/13) alla quale l’autore assisté in
quanto inviato di un quotidiano. Nel libro sono esibiti svariati caratteri tipografici insieme a vari modi discorsivi. È
alta la frequenza delle onomatopee. Il titolo stesso è un’onomatopea che trascrive il rumore di un proiettile
lanciato in aria e poi esploso.
Ricorre spesso il procedimento dell’analogia disegnata: ad esempio un pallone frenato turco è disegnato con le
parole disposte circolarmente mentre i TSF bulgari che hanno teso un’imboscata al pallone gli sparano contro. Le
vibrazioni del pallone sono indicate dalle deformazioni onomatopeiche della parola vibrare che si intersecano con
il cerchio. C’è anche messo in pratica ciò che Marinetti aveva teorizzato nel manifesto del 1913 a proposito del
dare vita allo stile molecolare attraverso il quale introdurre nella poesia l’infinita vita molecolare non come
elemento scientifico ma intuitivo. Marinetti dà voce alla materia che parla in prima persona. La scrittura
parolibera riproduce in corsivo il paradossale dialogo interiore di una molecola d’aria durante una battaglia.
Un’altra pagina contiene un’esplosione di lettere a rappresentare uno scoppio. In un’altra c’è uno schema di
classificazione di un foglio di magazzino: in un riquadro sono registrate le merci caricate in un porto, accanto il
loro peso e poi le varie sensazioni, memorie, impressioni associate alle merci inventariate.
La tecnica della simultaneità spazio/temporale trova una radicale esemplificazione nella Tavola parolibera Carta
sincrona dei suoni, rumori, colori, immagini, odori, speranze, voleri, energie, nostalgie tracciate dall’aviatore Y.M.:
una freccia centrale rappresenta un aereo che si abbassa su Adrianopoli e gli elementi a destra e a sinistra della
freccia riproducono le sensazioni provate dal pilota. Il testo è messo sulla pagina non solo orizzontalmente da
sinistra a destra ma anche verticalmente dal basso verso l’alto per cui il lettore, per leggere, è costretto a girare il
volume. Il testo così fuoriesce dal libro e invade lo spazio esterno costringendo il lettore a prendere atto
dell’artificio della scrittura e della fisicità dell’oggetto/libro.

4. L’esperienza della guerra in qualche modo influenza anche il rapporto futurismo / pubblico. Le serate futuriste
sono forme aggressive di propaganda delle nuove idee di una minoranza artistica nell’ambiente ostile dei
passatisti, sono veri e propri comizi poetico/politici in cui il futurista coltiva un’idea dell’arte come prassi
provocatoria per eccitare la reattività antagonista del pubblico. L’agonismo diventa vero e proprio scontro tra
l’avanguardia e la massa passatista / pacifista.
La guerra inaugura il tempo futurista dell’aggressività, della dinamicità, della modernità in cui c’è bisogno di
abolire la storia per far trionfare la vita.
La guerra crea innovazioni tecnologiche ed espressive: nel 1914, dopo lo scoppio del conflitto, i futuristi
reclameranno l’intervento in guerra contro la barbarie teutonica in nome della civiltà latina, contro l’Austria e la
Germania, tradizionaliste, al fianco della Francia, la loro seconda patria intellettuale. Marinetti fu arrestato
assieme a Russolo, Boccioni e Carrà per aver strappato le bandiere austriache e mentre veniva portato in carcere
lanciò il volantino Sintesi futurista della Guerra dove c’è un cuneo che rappresenta gli stati antagonisti alla
barbarie teutonica come una freccia che punta contro Austria, Germania, Turchia e Bulgaria: c’è la parola vessillo
“futurismo” e invenzione, genio creatore e tutte le qualità della civiltà latina futurista vengono scagliate contro le
procedure passatiste della cultura tedesca.
L’immagine del cuneo di parole nell’atto di sfondamento era già stata usata nella firma del poeta,
FuTurisMarinetti, con le iniziali del nome e del cognome del poeta evidenziate in maiuscolo, che va contro la
parola passatismo.
Nell’azione purificatrice della guerra Marinetti individua la legge della vita che è lotta per l’esistenza. La vita è
aggressione, la pace è decrepita.
Nel 1915 viene teorizzato e praticato il Teatro sintetico che ha una funzione centrale nella battaglia politica a
favore della guerra. Politica e spettacolo si compenetrano: il manifesto Il teatro futurista sintetico firmato da
Marinetti, Corra e Settimelli propone soluzioni come l’uso accelerato e contratto dei mezzi espressivi, la
compenetrazione di spazi e tempi diversi, lo scardinamento della causalità e della verosimiglianza narrativa, la
traslazione dell’effetto scenico nella platea: il tutto dà vita ad un teatro atecnico - dinamico – simultaneo –
autonomo – irreale. Su questi presupposti verranno realizzate molte sintesi teatrali di tipo cabarettistico che
condensano in pochi gesti e battute il contenuto di un intero dramma. Alcune rappresentazioni sono
esplicitamente ispirate alla guerra come Gorizia uccide Cecco Beppe (l’imperatore Francesco Giuseppe). Ciò che
conta è la trovata eseguita in modo fulmineo attraverso particolari stratagemmi scenici.

5. Il primo periodo di guerra viene vissuto con entusiasmo dai futuristi. Molte tavole parolibere incitano all’azione.
Pensiamo all’opera di Severini, Cannone in azione, Guerra sintesi futurista dell’idea, Cannone blindato in azione.
La guerra è qui luogo dell’evocazione simultanea. Non manca però il risvolto tragico dato che già in quei dipinti si
avverte un senso di cupa fatalità e catastrofe della storia.
Tra il ‘16 e il ‘17 scompariranno vari futuristi tra cui per esempio Sant’Elia e Boccioni. Boccioni poco prima di
morire scriveva una lettera che rappresenta un ripensamento sull’impegno in prima persona dell’artista, sul
coinvolgimento nella guerra. Testimonia sicuramente una significativa disillusione. Questa riflessione è stata
interpretata dalla critica come un richiamo all’ordine che poi diventerà tendenza in numerosi pittori e poeti
d’avanguardia dopo l’interventismo iniziale: Carlo Carrà per esempio si distaccherà dal gruppo futurista alla
ricerca di una mediazione fra novità e tradizione che lo porterà, dopo l’incontro con De Chirico, Savinio alla
rivisitazione di Giotto e di Paolo Uccello. Intanto negli anni immediatamente precedenti all’ingresso dell’Italia in
guerra Carrà aveva dato vita al collage Manifestazione interventista del 1914. Qui colori, parole, frammenti di
giornali disposti circolarmente attorno ad un asse compongono una girandola, un vortice che avvolge lo
spettatore e lo trasportano all’interno della rappresentazione di una iniziativa interventista, il tutto in linea col
manifesto della Pittura futurista del 1910 che proclamava “Noi porremmo lo spettatore al centro del quadro”.
Lo scenario bellico sollecita opere che concentrano e accelerano il tempo narrativo. Un esempio è offerto da
tavole marinettiane come Le soir, couchèè dans son lit, elle relisait la lettre de son artilleur au front: in questa
tavola parolibera le grosse onomatopee, parole d’ordine futuriste accompagnano una grossa esplosione di segni e
suoni a ulteriore conferma della contaminazione tra programma tecnico e sperimentazione inventiva. La sagoma
femminile rappresentata sul margine inferiore della pagina vive in simultanea gli eventi bellici sollecitati dalla
lettera ricevuta dal fronte mescolando nella visione che se ne ricava memoria, fantasia, desiderio.
In Apres la Marne, Joffre visita le fronte en auto, altra tavola parolibera, è raffigurato un evento che dura parecchi
giorni, condensati in un’unica simultanea raffigurazione.
La guerra diventa lo scenario in cui i nuovi modi di concepire e vivere lo spazio entrano nell’operare artistico
attraverso “la simultaneità degli stati d’animo” e la “simultaneità d’ambiente” teorizzate e messe in atto dai
pittori futuristi orientati a scomporre la realtà in movimento in modo da coglierla in un solo istante, secondo una
pluralità di punti di vista.

6. A guerra finita appare anche il “romanzo esplosivo” 8 anime in una bomba (1919) di Marinetti in cui egli rievoca
vicende autobiografiche di guerra e smembra assieme alla tradizionale unitarietà dell’io anche la struttura
romanzesca disseminandola tra diversi generi espressivi: diario, epistolario, racconto, poemetto in versi,
poemetto paro libero, tavola parolibera. Il metaromanzo che ne consegue mette in scena un io narrante che
individua in sé stesso otto stati d’animo trascritti ed evidenziati mediante un diverso carattere tipografico. Alla
fine, dopo essersi riunite in una simultaneità di un coro, le 8 anime esplosive chiuse nella bomba da 92 chili ditta
Marinetti che viene fatta esplodere contro il “trincerone austro tedesco” e si forma così sulla pagina
l’onomatopea di una grande esplosione. L’opera è manifestazione dell’incessante intreccio futurista di origine e
distruzione, apocalisse e rinascita.
Marinetti modella la nozione di arte e l’atto artistico proprio sul dinamismo bellico.
Testimonianza in questo senso è il romanzo del dopoguerra L’alcolva d’acciaio, 1921: Marinetti narra la sua
esperienza al fronte e l’alcolva a cui si allude è la “74”, una macchina da guerra blindata dotata di sensualità
femminea, teatro di un amplesso durante il quale il corpo del pilota/amante si prolunga in quello della macchina e
così la governa e orienta. È inevitabile l’analogia col cerimoniale del manifesto di fondazione in cui l’uomo
futurista inscena all’interno della macchina la sepoltura dell’uomo passatista e rinasce poi come superuomo
votato al feticcio del futuro. Marinetti muore nel grembo della divinità/macchina e in esso rinasce. La frenetica
corsa che segue ha come obiettivo una sfida con la morte. L’obiettivo è raggiungere la vita e attingere al suo
incessante dinamismo. Nel testo del 1909 la macchina si sottopone, assieme al guidatore, ad un rito di
purificazione.
Nella comunicazione postbellica è cambiata la tonalità espressiva che è modellata ora sul tipo del liberty eroico
alimentato da un festoso divertimento ottenuto mescolando la varietà al sublime al grottesco, dal burlesco,
all’epico, al lirico ecc.
Questo divertissement aveva già trovato modalità espressive nel genere erotico/sociale in cui Marinetti si era
cimentato negli anni dal 1917 al 1919 come in Come si seducono le donne l’isola dei baci, coautore B. Corra o nel
Un ventre di donna scritto con Enif Robert.
La guerra però, per quanto si voglia trasfigurare in paradigma inventivo per rilanciare le configurazioni artistiche,
non è mai una parentesi di giocosa creatività. Ben si vede nei dipinti dei pittori futuristi nei quali dietro le ragioni
interventiste si intravede già un inquietante risvolto tragico, un senso di apocalittico sgomento, come ad esempio
nel dipinto Sarabanda finale di Mario Sirioni in cui sotto gli elmi dei soldati emergono visi incavati simili a scheletri
che fanno una danza macabra reggendo picche su cui sono infilate le teste impalate dell’imperatore e dei suoi
generali. È evidente il richiamo all’Urlo di E. Munch.

2 IL MODERNO E LE NUOVE PERCEZIONI DELLO SPAZIO E DEL TEMPO. LA


CITTÀ DEI FUTURISTI.
Nel manifesto del 1914 intitolato all’Architettura futurista di Antonio Sant’Elia si afferma che l’architettura
futurista deve essere transitoria e che ogni generazione deve fabbricarsi la sua città.
Il futurismo invade tutti i settori dell’attività umana e dopo aver dettato le proprie prescrizioni alla letteratura,
pittura, scultura, teatro e musica arriva anche all’architettura. È chiaro che i futuristi ricercano un tipo di
comunicazione poliespressiva nella quale e tramite la quale far saltare le frontiere tradizionali tra le singole arti e
tra l’arte e la vita. L’attenzione per la città come fondale su cui proiettare il dinamismo futurista è in realtà
immediata. Marinetti mostra l’interesse per la città già nella sua produzione letteraria in lingua francese: nel 1904
scrive Destruction, un poemetto lirico che altro non è che esaltazione criptofutirista dell’orizzonte urbano.
Nel 1908 Marinetti pubblica una raccolta poetica in francese, La ville Charnelle (la città carnale) dove si descrive
una città carnale, emblema di una sensualità esplosiva. L’uso enorme di immagini, la proliferazione di analogie e
metafore tecnologiche inscenano un paesaggio metropolitano che è paradigma di aggressività e rapidità intuitiva
capace di liberare una volontà desiderante di tutto ciò che è impossibilità e morte.
Siamo di fronte a cartoni preparatori del manifesto fondativo del 1909 che si apre su un notturno milanese, sulla
descrizione dell’arredo orientaleggiante dell’appartamento milanese di Marinetti: dalla condizione decadente e
insonne i futuristi tentano di emanciparsi. Il gruppo d’avanguardia è fiero di essere una minoranza impegnata in
una gara titanica contro le norme imposte dall’ordine naturale. Viene espressa la sintonia con l’umanità che
lavora e vive nei grandi insediamenti urbani: i futuristi sono i soli svegli a quell’ora, assieme ai fuochisti che
lavorano nei forni delle grandi navi, i conducenti di locomotive, gli ubriachi. Nel futurismo è iscritta la cultura della
megalopoli industriale con il suo inesausto movimento di elettrificazione e meccanicizzazione. Sotto le finestre
dell’appartamento di Marinetti la Milano notturna esibisce due universi antifrastici: quello del moderno, scandito
dal rumore dei tramvai a due piani, e quello passatista rappresentato dal borbottio immutabile del Naviglio e dallo
scricchiolare d’ossa dei palazzi moribondi che vi si specchiano.
I futuristi vengono scossi dal ruggito delle automobili famelici: è la bellezza nuova, la bellezza della velocità, che
porta con sé la visione della metropoli tumultuante teatro di una novità perennemente rinnovata, di una perenne
trasformazione, di un’accelerazione sensoriale messa in atto dall’era delle grandi folle, dei cantieri e delle officine.
È’ la stessa metropoli in cui 50 anni prima il poeta baudeleriano aveva perso la propria aureola nel fango: il
futurista si abbandona all’attualità, al brutale flusso vitale e abbatte i vincoli spazio/temporali per trasfigurare la
durata in un eterno presente ogni volta inedito tramite la personificazione assoluta, percezione di un presente
spazialmente e temporalmente dilatato.
Alla figurazione della città futurista sono contrapposte le venerate città/museo passatiste: Firenze, Roma, Venezia
da demolire in quanto passatiste (sono simboleggiate nel manifesto Uccidiamo il chiaro di luna da Podagra e
Paralisi, città dell’immobilismo memoriale).
Il manifesto Contro Venezia passatista viene lanciato dai futuristi nel 1910 dall’alto del campanile di San Marco.
Venezia è “piaga magnifica del passato” e va ripudiata anche se è stata amata e posseduta come in un sogno
nostalgico. I futuristi ammettono senza difficoltà che le loro radici sono da rintracciare in quel passato che però va
guarito.
Il legame con le radici è riconosciuto come tenace e proprio per questo va sentenziata la distruzione di tale
legame.

2. I primi a mostrare sensibilità artistica di fronte alla svolta impressa dai ritmi metropolitani sulla vita quotidiana
– e quindi sull’arte – sono i pittori futuristi, in particolare Umberto Boccioni, redattore, insieme a Carrà, Russolo,
Barra e Severini, de: Manifesto dei pittori futuristi e La pittura futurista (1910).
Nel primo si ritiene vitale solo quell’arte che trova i propri elementi nell’ambiente che la circonda. Gli antichi
trovarono materia d’arte nel mondo religioso, i moderni devono ispirarsi al mondo moderno meccanico.
Il secondo manifesto ha già compreso la città che ha creato una nuova percezione visiva dello spazio, in cui lo
spazio non esiste.
Poi si entra nel merito dell’inganno prospettico, della rivoluzione dello sguardo, della mobilità percettiva e della
compenetrazione spazio/temporale che i nuovi mezzi di trasporto e comunicazione modellati su velocità e
simultaneità mettono in atto.
L’intento principe dei pittori futuristi è catapultare lo spettatore al centro del quadro. Boccioni prefigura la città
come organismo dinamico la cui spazialità cresce su una linearità ascensionale. L’ambiente architettonico della
città va trasformato, la città ora si sviluppa nei sotterranei illuminati dei grandi magazzini, nei tunnel delle ferrovie
metropolitane.
Vanno ricordati i rituali di ascensione esibiti nei primi proclami futuristi come “Ritti sulla cima del mondo
scagliamo la nostra sfida alle stelle” nel primo manifesto o l’assalto al monte Gorisankar, vetta del mondo, in
Uccidiamo il chiaro di luna.
Nei manifesti tecnici c’è già la propensione futurista all’ascensione, propensione che introduce nuove soluzioni
compositive che si fondano sulla possibilità espressiva della linea retta, rapida, verticale, immediata. Lo vediamo
per esempio nel dipinto di Boccioni, La città che sale: c’è una visione violentemente simultanea di edifici,
fabbriche, tram, uomini, cavalli, tutti inghiottiti da forme concentriche. Movimento e velocità producono visioni
simultanee, proiezioni prospettiche discordanti originati dalla visione mentale.
C’è anche il quadro La strada entra nella casa in cui vengono fusi la vita pulsante della città che sale e la donna
che, affacciandosi al balcone per guardarla, viene inghiottita dalla strada.
Nel manifesto Prefazione al Catalogo delle Esposizioni di Parigi, Londra, Berlino, Bruxelles, Monaco, Amburgo,
Vienna ecc. redatto nel 1912 da Boccioni, Carrà, Russolo, Balla e Severini, i pittori futuristi affermano che
dipingendo vogliono far vivere lo spettatore al centro del quadro e per fare ciò il quadro deve essere la sintesi di
ciò che si ricorda e ciò che si vede.
Anche in Visioni simultanee lo spettatore è portato al centro del quadro dov’è raffigurato lo spettacolo della vita
cittadina visto dalle iridi azzurre di una donna raffigurate nel quadro: il quadro è confusione percettiva di ciò che
la donna vede e ciò che la donna ricorda.
La pittura futurista mira a rappresentare la simultaneità di stati d’animo percepiti in una metropoli.
Potremmo continuare con il quadro Idolo moderno di Boccioni che rappresenta una cocotte vista dal pittore a
Parigi. La cocotte diventa oggetto di rappresentazione artistica perché mostra a pieno la nuova frenetica vita delle
grandi capitali con le situazioni che la invadono. La cocotte bocconiana, fa pensare all’elogio del trucco femminile
di uno degli ideatori della modernità, il Baudelaire del Pittore della vita moderna.
Nel dipinto Bocconiano campeggia dunque uno dei volti/maschera della modernità.
Andrebbero anche ricordati quadri come Rissa in galleria di Boccioni o Quello che mi disse il tram di Carlo Carrà.
Carrà riguardo all’architettura affermò che quando si parla di architettura bisogna pensare a qualcosa di dinamico
e in movimento.

3. Nel settore musicale è impossibile non nominare Balilla Pratella. Sulla scia delle sue indicazioni Luigi Russolo
elaborò l’arte dei rumori, manifesto che risponde all’esigenza di trarre godimento estetico non dalla riproduzione
imitativa ma dalla combinazione dei più svariati rumori della realtà urbana, incaricati di smantellare le armonie
classiche.
Russolo concepì la città come macchina del rumore. La natura è silenziosa, la città è scandita dal rumore. La
modernità urbana è scandita da suoni pervasivi, è lo stesso ronzio descritto come deputato a eliminare il silenzio
dell’esperienza naturale nei Quaderni di Serafino Gubbio operatore di Pirandello. Questo frastuono della
tecnologia è la colonna sonora della vita della metropoli ed è per i futuristi lusus estetico, criterio di produzione e
fruizione artistica fino ad allora inedito.
Russolo realizzò gli intona rumori con cui tentò di eseguire, date le interruzioni del pubblico ostile, alcuni brani di
cui uno è intitolato, ad esempio, Risveglio di una città.
Nel vortice della vita cittadina oltre allo sguardo è dunque coinvolta anche la sonorità.
Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista la visione area di Milano, città della trasformazione tecnologica,
trasforma la modalità di percezione della realtà. In volo sull’aeroplano l’uomo futurista non è più guidato da una
sensibilità solamente “terrestre” ma conquista una prospettiva e una condizione sensoriale inedita la cui urgenza
svela l’insufficienza della strumentazione linguistica tradizionale e rende possibile una trascrizione espressiva
inedita, simultanea, ultrarapida ed essenziale.
Nel manifesto Distruzione della sintassi, immaginazione senza fili, parole in libertà si dichiara che le nuove forme
di comunicazione trasporto e informazione hanno completamente rinnovato la sensibilità umana permettendo ad
un uomo comune di trasportarsi velocemente da una piccola città monotona ad una grande capitale.

4. La città prefigura un nuovo modo di concepire tempo e spazio, una sorta di villaggio globale ante litteram che
dischiude ai suoi abitanti la possibilità di spostare in avanti le loro possibilità percettive. Marinetti nello scritto La
nuova religione morale della velocità descrive come abitate dal divino le metropoli, luoghi dell’intrattenimento
mediatico collettivo, dei prodigi meccanici ed elettrici, dell’informazione istantanea, del consumo effimero, del
contatto accelerato, di tutto ciò che per i futuristi alimenta la moderna creatività.
Anche la reclame, la pubblicità, diventa fondale della città. Boccioni intravide nelle insegne e nei cartelloni
pubblicitari un elemento funzionale di decoro urbano e vi lesse un canone di nuova bellezza.
Anche le novità imposte dal futurismo nel teatro richiedevano come fondale la città, universo da reinventare e
consegnare all’immaginazione. La fusione tra scena e spazio urbano, cioè il mondo quotidiano, la vita intesa come
festa, trovano le proprie formulazioni nei manifesti dedicati al Teatro di varietà, al Teatro sintetico e al Teatro
della sorpresa che sviluppa l’idea di una dilatazione spazio/temporale dell’azione scenica.

5. Proprio il teatro permette di riflettere sulla coesistenza nella progettualità futurista di due idee: quella della
metropoli produttiva, economicamente operosa, industriale con epicentro a Milano e quella di una città
meridionale in cui si dispiega un’altra tipologia di vitalismo, come quella di Napoli che viene messa in scena da
Francesco Cangiullo, poeta napoletano dall’estro pulcinellesco che secondo Marinetti è in grado di aprire nuovi
varchi alla sensibilità creativa dell’avanguardia.
Cangiullo era un canzonettista napoletano: all’epoca Napoli era una delle capitali europee del Teatro di Varietà.
Cangiullo si era orientato verso il Cafè chantant. Il suo vissuto artistico lascerà tracce nel Cangiullo parolibero e
teatrante futurista. Precoce testimonianza è la Cocotta futurista “Scherzo parlato e danzato per Cafè-Chantant”
del 1911 di cui Cangiullo scrisse versi e musica. Quel titolo segnò il suo primo libro di poesie, La cocottesche
(1912). Cangiullo aderì al futurismo dopo una serata futurista svoltasi al teatro Mercadante di Napoli del 1910.
Le serate futuriste erano eventi teatrali in tournèè: il programma prevedeva l’esecuzione di brani musicali, la
declamazione di manifesti, liriche, parole in libertà, la presentazione di quadri e anche l’esplicita provocazione
della platea che rispondeva con insulti, lanci di oggetti, frutta, verdura ecc, come racconta Cangiullo, rispetto
all’happening svoltosi al Mercadante, nel suo romanzo Le serate futuriste (1930).
Nel 1914 fu messo in scena il poema fono parolibero Piedigrotta di Cangiullo, prima a Roma e poi a Napoli. Lo
spettacolo è ispirato a una festa napoletana molto popolare, la festa di Piedigrotta, ed è incentrato
sull’assemblaggio di elementi disparati: musica, rumori, gesti, voci, colori. Si svolge davanti ad un fondale ideato e
dipinto da Balla. Il duo Marinetti / Cangiullo su un palco illuminato di rosso declama le onomatopee. Qualcuno
suona il piano. Sopraggiungono Depero, Balla, d’Alba e altri futuristi tutti provvisti di cappelli colorati e messi in
ginocchio per impersonare i detrattori del futurismo, nani dell’intelletto. Al culmine della rappresentazione agli
strumenti piedi grotteschi tipicamente napoletani vengono suonati dalla compagnia e poi subentra un coro
onomatopeico a cui prende parte tutto il pubblico presente. Sgabelloni, cronista teatrale dell’epoca scrisse che il
pubblico rideva.
Il testo di Piedigrotta fu scritto nel 1913 e pubblicato nel 1916, presentato preceduto dal Manifesto della
declamazione dinamica e sinottica in cui Marinetti indica l’opera cangiulliana come prima declamazione dinamica
e sinottica. L’opera di Cangiullo è ispirata ai principi futuristi come la necessità di elaborare i testi paroliberi in
funzione della loro esecuzione.
Marinetti ammira le prescrizioni che in Piedigrotta impongono al declamatore di collaborare con l’autore
parolibero creando nuovi orizzonti imprevisti nelle parole in libertà che interpreta o il consentire al pubblico di
interagire con il dinamismo creato dalle azioni del declamatore. Il declamatore, spostando il proprio corpo,
dissemina in varie zone della sala le parole in libertà: così il pubblico, voltandosi per seguirlo, concorrerà al
dinamismo della poesia futurista.
Piedigrotta è un’opera fondamentale anche per l’ibridazione dei mezzi espressivi in essa attuata. La fisionomia
tipografica di Piedigrotta-testo è singolare: già il montaggio della copertina è originalissimo. Da un lato ci si ispira
ai fuochi pirotecnici cari alla tematica Cangiulliana, dall’altro si può intravedere la silhouette di uno strillone che,
aprendo le braccia correndo, agita una bandiera con la parola “Piedigrotta”. Il corpo dello strillone è costituito da
4 linee oblique di lettere generate da una O centrale.
Al di là della prima pagina l’intero testo da forma a una festa per l’irrompere nel testo della folla degli scugnizzi
resa con una caotica e suggestiva baraonda di vocaboli e segni che nella pagina fuggono in direzione l’uno
dell’altro: ” FOLLA allargare portoni salire salire salire Palazzi fiumana PIEDIGROTTA andare andare andare alla
deriva sull’ALLUUUUUUUUUUUUUUVIONE POPOOOOLAZIONEEEEEEEEE”.
L’ossessivo protagonismo della folla si esprime attraverso una vera e propria orgia di sensazioni: calore, peso,
odore, rumore, colore. Cangiullo dà molto peso all’uso dell’onomatopea. Nel “lasciatemi divertire” di Cangiullo si
può vedere l’eco di Palazzeschi. L’autore rende a livello visivo e fonetico il vortice di sensazioni, il fragore di urla,
commenti e parolacce.
Il testo di Piedigrotta trabocca di parole in libertà e accoglie brandelli di canzoni, urla, allocuzioni dialettali,
addirittura nella frenesia vitalistica rientra anche il cibo con la trascrizione parolibera di alcune pietanze:
melenzane fritte, peperoni, meeeeeeeeelloooooooooooooooooni, uva nera ecc.
Tutto collabora all’intento liberatorio che la festa di Piedigrotta deriva dagli antichi riti carnevaleschi. Vengono
riprodotte graficamente le emissioni sonore di strumenti musicali. La composizione tipografica è fatta di corpi
differenti e allestimenti grafici bizzarri, quali la O di trombe della pagina g che è data con quattro cerchi
concentrici che rendono con immediatezza visiva l’intensità del suono. La stessa insegna
“PIEDIGGROOOOOTTEEEEESCO” racchiude una duplice chiave di lettura in quanto i vocaboli “piedigrotta” ed
“esco” si prestano a una lettura di tipo etimologico legata alla modalità in cui avviene la festa caratterizzata dalla
fuoriuscita della folla dalla grotta, dall’altro l’aggettivo “grottesco” rimanda a una commistione di vita e morte,
festa e malinconia tipica dell’immaginario partenopeo. Tra le pagine da segnalare anche quelle che indicano
visivamente la villa comunale di Napoli con un quadrato dove ogni lato è costituito dalle parole VILLA COMUNALE.

Tra le fonti di questo testo ci sono sicuramente lo stile istintivo primigenio italico, la fescennina iocatio, la
fabula atellana e la commedia dell’arte.
Insomma, la festa linguistica di Cangiullo mima la festa piedigrottesca del mondo napoletano pizzaiolo. La pagina
realizza così la collusione tra vita e teatro, tra scena e spazio urbano teorizzata nel manifesto del Teatro di Varietà.
Cangiullo radicalizza la tendenza futurista alla reinvenzione del mondo quotidiano, cioè alla spettacolarizzazione
della vita intesa come festa, disponibilità alla comunicazione collettiva, attivazione ludica dell’immaginazione al
fine di scompaginare i ritmi dell’abitudine.

6. Piedigrotta esce nel 1914, anno di composizione del Manifesto dell’Architettura di Sant’Elia. Sant’Elia affronta la
questione dell’ideazione e dell’allestimento di una utopica città futurista. Sant’Elia vede un’architettura non
definibile come “moderna”: in essa la bellezza nuova del cemento armato e del ferro viene profanata con la
sovrapposizione di carnevalesche incrostazioni decorative. Per Sant’Elia l’architettura futurista dev’essere
effimera e quindi bisogna affidarsi ad elementi che garantiscono l’elasticità e la leggerezza dei tempi moderni
(cemento armato, ferro, vetro, cartone) rifiutando materiali voluminosi, duraturi e antiquati. Bisogna sviluppare il
gusto del leggero, del pratico, dell’effimero e del veloce. La città di massa futurista dev’essere
“straordinariamente brutta nella sua meccanica semplicità”. Il concetto di provvisorietà applicato all’architettura
fa sì che la città futurista rimanga un sogno utopico, un luogo dell’immaginazione più che dell’effettiva realtà.
Rispondono a quel sogno anche gli schizzi per la Città nuova caratterizzata sulla bellezza della linea retta e sulla
spunta verso l’alto. Ne scaturisce la figurazione ossimorica di un’architettura non permanente.
È l’ambivalenza dell’intera vicenda futurista che vive l’esperienza del moderno identificandola con l’arte moderna
ma che poi trasforma l’esperienza in spettacolarizzazione e rappresentazione: si preannunciano, in sostanza,
alcuni aspetti del post-moderno.
Consapevolezza di tale ambivalenza futurista avrà Massimo Bontempelli che, considerando superata la stagione
delle avanguardie, nella seconda metà degli anni Venti sottolineerà l’urgenza di inventare miti e favole necessarie
ai tempi nuovi. Il futurismo ha realizzato il suo compito fungendo da trincea avanzata della moderna civiltà di
massa che però non è uno spazio abitabile a tutti. L’immagine della trincea avanzata esprime bene la separatezza
attiva in cui i futuristi proclamandosi avanguardia, cioè gruppo militante isolato dalla massa, si erano collocati.
Dietro tali trincee è ormai tempo di edificare “l’edificio abitabile” in cui tutti possano andare ad abitare: si deve
costruire l’arte nuova sua del secolo nuovo suo.
3 SIMULTANEITÀ E FUSIONE TRA LE ARTI. MARINETTI E IL CINEMA.
Nel Manifesto tecnico della letteratura futurista del 1912 si trova il primo riferimento di Marinetti al linguaggio
cinematografico, in particolare al montaggio. Si registra lo slancio vitale dell’azione e si inscena la possibilità di
manipolarlo e reinventarlo, accelerando, rallentando e rimontando lo svolgimento temporale, legittimando così la
realtà virtuale come inedita dimensione espressiva. Queste possibilità sono consegnate ad un mezzo non umano
che rappresenta la vita autonoma degli oggetti, il loro dinamismo e l’ubiquità del corpo umano che si espande e si
dilata nel tempo e nello spazio. Questo mezzo non umano può anche incrementare i meccanismi percettivi dello
spettatore attivando una rivoluzione dello sguardo: l’obiettivo è decomporre la realtà, offrirne una ricostruzione
irreale per sprigionare la libertà immaginativa dello spettatore sollecitato a identificare il proprio occhio con
quello della cinepresa.
Le due novità tecnologiche, pianoforte automatico e cinema, configurano un passo decisivo per la
sperimentazione futurista. Ne troviamo tracce anche nella produzione pirandelliana quando l’autore descrive
l’alienazione di un vecchio tipografo/musicista che, nella prima delle due professioni con l’avvento della
monotype, aveva vissuto lo smarrimento della propria creatività artigianale; ora per lui l’offerta di lavoro consiste
nel suonare ai piedi di uno schermo cinematografico il suo violino accompagnando con la sua musica autentica
quella artificiale di un pianoforte meccanico. Per Pirandello quest’alienazione produce l’inibizione di ogni volontà
interiore d’espressione. La perdita dell’aureola, l’emarginazione del soggetto, vengono invece lette dal futurismo
come inedite chance di tecnocratica liricità. In Pirandello invece appaiono come angosciante reificazione. Anche
nei Quaderni di Serafino Gubbio Operatore l’io narrante registra, al pari di Marinetti, l’identificazione della propria
testa con la cinepresa. L’uomo è ridotto a mano che accompagna un occhio artificiale: Serafino sente sé stesso
ridotto alla funzione di quest’occhio artificiale. Il romanzo è un romanzo di anamorfosi, la realtà naturale viene
sostituita dalla realtà artificiale. Il mondo pirandelliano delle macchine sostituisce ogni elemento di vita in “cosa”.
Alla cinepresa, minaccioso ordigno della modernità, vengono dati in pasto i corpi degli attori che appaiono
alienati, in esilio da sé stessi, trasformati in immagini.
Anche i futuristi, ritenendo decisivi il corpo e la presenza potrebbero sentire così il cinema. In realtà nella loro
prospettiva l’immagine che si sostituisce al corpo proprio in quanto effimera e istantanea è figurazione di una
nuova cifra estetica connessa alla vita della materia, all’artificio meccanico, ai nuovi oggetti del progresso
tecnologico.

2. Per completare il quadro della sintonia Pirandello/Futurismo possiamo citare l’incipit del film futurista Velocità
e quello dei Quaderni di Serafino Gubbio operatore. Nel film del 1930, da Tina Cordero, Guido Martina e Pippo
Oriani, in primo piano sullo schermo c’è la macchina da presa per cui lo spettatore prende coscienza che lo
sguardo dell’obiettivo non è uno sguardo umano; nel romanzo pirandelliano il protagonista dichiara di guardare la
gente con “questi miei occhi intenti e silenziosi” (sinestesia, gli occhi non sono “silenziosi”) che sono gli occhi della
cinepresa che non sono costretti a battere le palpebre ma sono fissi. Le persone osservate si adombrano di fronte
a questo sguardo inquietante che non distoglie mai la propria attenzione ma resta impassibile. Mentre Pirandello
percepisce il montaggio come una costruzione di assenza, Marinetti riconosce l’arte del montaggio che permette
la compenetrazione spazio-temporale.
La destrutturazione del corpo viene esaltata nel manifesto del 1912 e approderà poi all’identità bionica dell’uomo
meccanico dalle parti cambiabili che è allegoria di una realtà in continuo divenire, di una convergenza tra organico
e inorganico, di un assemblaggio di sensazioni ed esperienze allo stesso tempo naturali ed artificiali.
Il futurismo vuole neutralizzare la morte e per questo trova interesse ulteriore nel cinema che dà rilievo agli
oggetti con il loro valore estetico. Marinetti vuole far parlare gli oggetti e vuole mostrare che essi vivono di vita
propria. A differenza del soggetto gli oggetti trionfano sulla morte e Marinetti è attento alla possibilità messa in
atto dalla macchina tecnologica di intervenire sull’uomo e sul suo corpo, di trasformarlo in un oggetto da
scomporre e ricomporre all’infinito.
Tutto ciò spiega anche il richiamo che ebbe su Marinetti il cinema comico con i suoi giochi di infinite e grottesche
dilatazioni e contrazioni del corpo (si ricordino i film della serie Cretinetti). Il cinema muto del tempo (che proprio
in quanto tale permette che gli oggetti parlino) lascia tracce in alcune pieces del teatro sintetico e sulla
programmatica abolizione di ogni indugio psicologico/razionale segnalato dall’occultamento del viso degli attori
come in Le basi (1915) di Marinetti dove il sipario resta alzato solo fino alle gambe degli attori ricalcando un film di
Marcel Fabre. Il cinema sollecita anche la scrittura parolibera alimentata dalla percezione per analogia: come nel
paroliberismo anche nel cinema è possibile fondere direttamente l’oggetto con l’immagine che esso evoca senza
mediazioni.

3. Nel secondo manifesto tecnico, Distruzione della sintassi, immaginazione senza fili, parole in libertà si trova
l’esigenza della visualizzazione simultanea e sintetica del mondo. Si mette in relazione tale esigenza con il
rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle grandi scoperte scientifiche con la
consapevolezza che nuove e diverse forme di comunicazione, trasporto e informazione esercitano sulla psiche
umana una notevole influenza. Marinetti tra questi mezzi include il cinema, il telegrafo, l’automobile, l’areoplano,
il telefono tutto ciò che annulla ogni lontananza spaziale e ogni barriera temporale.
Queste nuove opportunità comunicative hanno accelerato la vita e hanno rimpicciolito la terra rendendo tutti i
suoi luoghi accessibili e cooperando allo sviluppo di coscienze molteplici e simultanee nello stesso individuo e alla
creazione dell’immenso presente della simultaneità. Queste trasformazioni investono sia la vita quotidiana che la
creazione artistica. La narrazione parolibera di Zang Tuumb Tuum (Marinetti 1914) è strutturata in modo da
trasmettere la compresenza degli eventi, il romanzo il Ventre di donna (Marinetti 1919) è strutturato su
montaggio di capitoli e parole, anche Sam Dunn è morto di Corra (1917) lega la vicenda a sequenze che ricordano
il montaggio cinematografico. l’Ellissi e la spirale di Paolo Buzzi ha come fortunato titolo Film + Parole in libertà.
Il discorso filmico influisce cioè sulla dinamica narrativa svolta inizialmente alla maniera di un film a struttura
seriale a più episodi, montati a sequenze staccate con accelerazioni e paesaggi improvvisi. Un testo marinettiano
degli anni Trenta, Il club dei simpatici, è presentato come romanzo sintetico/simultaneo lirico teatrale e
cinematografico. Negli stessi anni Depero progettava il non realizzato libro/disco New York, Film vissuto che
avrebbe assemblato testi e fotomontaggi. Nel manifesto La nuova religione morale della velocità del 1916
Marinetti individua tra i “luoghi abitati dal divino” anche i film cinematografici. Nello stesso anno appare il primo
film futurista, Vita futurista, assieme al manifesto La cinematografia futurista. Del film è rimasta documentazione
e pochi fotogrammi ma inscenava scene di vita futurista. Fu proiettato tra schiamazzi del pubblico e lancio di
oggetti contro lo schermo.
Produttore e regista fu Arnaldo Ginna e i vari futuristi da attori interpretavano sé stessi come in una sorta di
candid-camera, assieme a futuristi del secondo futurismo fiorentino (raccolti attorno alla rivista “L’Italia
futurista”). Ginna esordì cimentandosi in ricerche pittoriche astratte. Fu ideatore della cinepittura che consisteva
nel dipingere a colori direttamente sulla pellicola di celluloide con nitrato d’argento. Queste ricerche (confluite
nello scritto Arte dell’avvenire) assieme alla pittura del movimento di Balla e alla cronofotografia e agli
esperimenti fotodinamici di Bragaglia costituirono un insieme di idee che influì sul manifesto La cinematografia
futurista apparso nel 1916 sulla rivista l’Italia futurista.
Ai futuristi il cinema interessa per quello che potrebbe potenzialmente diventare: è il mezzo d’espressione più
adatto alla plurisensibilità dell’arte futurista. Il cinema è una forma d’arte giovane, apparentemente priva di
passato e libera dalla tradizione. Il cinema rinnoverà tutto sostituendo la rivista, il libro, il dramma e decretando
così la fine delle forme di comunicazione legate alla tradizione.
In realtà il cinema non è ancora futurista in quanto nel cinema sono confluite “le più tradizionali spazzature del
teatro letterario”. Il cinema che ha le peculiarità celebrate della modernità, velocità, dinamismo, sintesi e
simultaneità, ha bisogno di essere rinnovato. La comunicazione filmica deve salvaguardare la sua autonomia
artistica (la cinematografia è un’arte a sé). Il cinema dev’essere strumento di una nuova arte poliespressiva. I
futuristi vogliono valorizzare il cinema in quanto novità che può portare a una fusione tra le arti e a una sinfonia
poli-espressiva.
Ecco perché i futuristi rifiutano il cinema narrativo e vogliono un cinema che non miri a raccontare ma a far
vedere, in sintonia con il lirismo rapidissimo delle parole in libertà, immediato, telegrafico.
Il cinema è mezzo tecnologico idoneo a raccogliere le specificità di altre forme d’arte. Come la pittura: Balla
chiama il cinema “pittura in moto”. Il cinema realizza infatti a pieno la volontà dei futuristi di porre lo spettatore al
centro del quadro attraverso l’equiparazione del suo occhio con l’occhio artificiale della cinepresa. Il cinema non
deve quindi mirare a una riproduzione realistica.
I meccanismi della struttura del film sono gli stessi della scrittura parolibera: è un modo di vedere l’universo
fondato sulla supremazia della modernità che mette in moto nuove forme di percezione e comunicazione basate
sulla novità eternamente rinnovata sperimentabile all’infinito in grado di garantire il futuro del futurismo e quindi
dell’arte.
Il montaggio del film, come quello delle parole slegate, rimuove tutto ciò che è ostacolo alla fuoriuscita dell’arte
da sé stessa, al suo prolungamento nell’infinito dello spazio e del tempo, al suo contatto immediato con la vita e
al suo sperimentalismo.
Il linguaggio del cinema permette al futurista di fare dell’universo il proprio vocabolario e di dar vita ad analogie
cinematografate utilizzando la realtà come uno dei due elementi dell’analogia. Il cinema non fa solo vedere cose e
persone ma le fa parlare, da loro voce.
I futuristi vogliono impossessarsi della realtà esterna con un atto di possesso analogico e simultaneo. Il cinema è
un giocoso esercizio di montaggio e rimontaggio dell’universo in linea con quello che diceva Boccioni. Gli elementi
di realtà vanno assorbiti, sintetizzati e deformati nell’astrazione dinamica. Per convincersene basta scorrere gli
esiti che la sinfonia poliespressiva del linguaggio cinematografico punta a realizzare: oltre alle analogie
cinematografate si prefigurano poemi, discorsi e poesie di cinematografati per cui anche la versificazione di un
autore tradizionale come Carducci può rinnovarsi traducendosi in immagini per lo schermo. Il cinema futurista
mira a mettere in scena avvenimenti di ogni tipo sempre con esiti di antinaturalistica decostruzione del corpo e di
un suo ludico rimaneggiamento. Anche le parole in libertà possono essere trasferite sullo schermo intensificando
la possibilità di percepire tutta la realtà in movimento simultaneamente, in uno solo istante, con un solo sguardo
con una totalizzante essenzialità verbo/visiva dando spazio a una prospettiva artistica unificata:
“Pittura+scultura+dinamismo plastico+parole in libertà+ itonarumori+ architettura + teatro sintetico =
cinematografia futurista” (dal Manifesto La cinematografia (1938).

4. Marinetti e Ginna firmarono il Manifesto La cinematografia nel 1938. Essi riconobbero qualche merito a una
certa produzione americana o francese orientata ad arricchire le situazioni drammatiche con molti particolari
ossessionanti per tipicità e perfezione di fotografia e inquadratura. Tuttavia, riproponendo il modus operandi
futurista di rilanciare la ricerca artistica sempre verso nuovi obiettivi di sperimentazione, ci tengono anche a
ribadire che “bisogna strappare la cinematografia dalla sua attuale crisi” dato che il cinema è per loro agonizzante
di sentimentalismo; realismo; infinite complicazioni tecniche; fatale collaborazionismo analizzatore; luminosità
riflessa inferiore alla luminosità auto emessa dalla radiotelevisiva.
Marinetti e Ginna cercano così soluzioni che ridiano una fisionomia sperimentale d’avanguardia al cinema.
Propongono nel film sonoro musica e voci indipendenti cioè non soltanto musica e voci provenienti dallo schermo
e questo per musicare liberamente gli stati d’animo e nel film policromo propongono colori indipendenti oltre a
quelli legati alla realtà dei corpi per animare liberamente gli stati d’animo.
Come il cinema la coeva aereo poesia sembra avere la possibilità di configurarsi come realtà virtuale, acrobatica
macchina del tempo regolata da una prospettiva in grado di fluidificare ogni distanza crono geografica.
Il cinema futurista, trasmettendo simultaneità e ubiquità allo spettatore, deve dare la percezione di vivere in un
eterno presente dando vita ad un sistema di compresenze e compenetrazioni di luoghi e tempi diversi.
L’interesse per il cinema si sviluppò all’interno del contesto del secondo futurismo fiorentino che era incline
all’occulto, all’esoterico ed era quindi distonico con le problematiche più ortodosse del futurismo. Tale interesse
però occupò anche l’attività poliedrica di Marinetti.
È comunque da evidenziare l’impressionante divario tra l’attenzione per il cinema e la mole di scritti teorici e
realizzazioni realizzate in ambito teatrale. La teatralità è infatti parte essenziale del codice futurista ed è l’esito
obbligato dell’idea di un’arte concepita come prassi provocatoria, estroversione, occasione spettacolare
interessata ad eccitare la reattività antagonistica del pubblico (esibita già nel manifesto La voluttà di
esserefischiati).
La stessa desiderata fusione tra le arti si realizzerà nella spettacolarizzazione di un’arte poliespressiva, nella
disintegrazione del testo scritto come elemento precostituito in modo rigido da non modificare, nell’idea di una
scena che demistificando il teatro tradizionale conceda spazio e rivalutazione a forme della teatralità ritenute
prima minori: cabaret, circo, varietà.
Puntare ad un teatro come spettacolo significa, per il futurista, esibire sulla scena l’hic et nunc costituito dal
proprio corpo, dalla propria voce, dal proprio gesto.
Il teatro sintetico e il teatro della sorpresa futuristi puntano infatti ad essere teatro come esaltazione del contatto
immediato e negazione della distanza. L’ossessione per il tema della presenza porta sicuramente i futuristi più
verso il teatro che verso la smaterializzazione su cui è costituita la fisionomia comunicativa del cinema.
L’immagine filmica è infatti dissolvimento del corpo (inghiottito, come dice Pirandello, dalla macchina da presa)
proiezione di un simulacro e ha per questo meno forza attrattiva rispetto a quella del teatro. Tuttavia per
Marinetti la natura transitoria delle immagini sullo schermo mostra il destino dell’arte nel tempo della modernità.
Inoltre Marinetti percepisce l’offerta di quelle immagini allo sguardo del pubblico anonimo e massificato delle
grandi metropoli (motivo di sgomento e trauma per Pirandello) come segnale di una trasformazione epocale della
sensibilità umana in cui la componente visiva acquista una rilevante dominanza.

5. La valorizzazione futurista del cinema è comunque sicuramente funzionale a certificare l’urgenza di un’arte
polespressiva e in qualche modo il primato del teatro.
Il cinema (arte vasta e agile) alimenta idee per la ricerca nelle altre arti, in particolare per la scena.
Il manifesto del ’16 infatti definisce il cinema come “un’altra zona del teatro” e il manifesto dedicato al Teatro
futurista sintetico identifica nella “brevità essenziale e sintetica” lo strumento per “vincere la concorrenza col
cinematografo”.
Il teatro di varietà, nel Manifesto del ’13, è magnificato in quanto forma di spettacolo disposta ad impiegare nei
suoi fondali inserti cinematografici (si possono così creare spettacoli altrimenti irrealizzabili come battaglie,
tumulti, corse di automobili e areoplani, profondità del mare, campagne, cieli..)
Il Teatro di Varietà è una forma di spettacolo con attitudine a desacralizzare i capolavori immortali plagiandoli e
parodiandoli a cominciare da Shakespeare per la cui opera omnia è proclamata la riduzione ad un solo atto. Nel
film Vita futurista c’è una sequenza Caricatura dell’Amleto simbolo del passatismo pessimista in cui Remo Chiti è
camuffato parodicamente da Amleto e il classico teschio è poggiato su un mobile come un soprammobile
qualsiasi. La scena è filmata attraverso l’effetto deformante di specchi concavi e convessi.
Le sequenze che costituiscono le scene del film Vita futurista mettono in atto le modalità accelerate e contratte, la
compenetrazione di tempo e spazio proclamata nei manifesti, lo scardinamento della causalità e verosimiglianza
narrativa che caratterizzano anche il Teatro sintetico che ha come proposito di “stringere in pochi minuti e in
poche parole e in pochi gesti innumerevoli intuizioni, sensibilità, idee, sensazioni, fatti e simboli”. Possiamo
cogliere analogie anche tra l’episodio finale di Vita futurista (Perché l’imperatore Cecco Beppe non moriva in cui
Remo Chiti era in scena morto con un abito nero) e l’happening di Cangiullo I funerali del critico passatista in cui il
poeta Radiante e il pittore Depero con la testa nascosta in tubi neri portavano in spalla la testa del Critico creata
modellata a schiaffi dal paro libero Cangiullo puntellata da un volume tarlato e completata da due braccia di corda
con mani di carta. Il corteo funebre veniva accompagnato da preghiere dei futuristi e da una marcia funebre
ritmata da Cangiullo mentre Balla batteva con un pennello da pittore un campanaccio da una mucca. Marinetti
proclamava poi l’orazione funebre del critico (Benedetto Croce) affermando che egli aveva meritato gli schiaffi del
poeta/scultore per poi accendersi una sigaretta e invitare il pubblico a fare lo stesso per vincere il tanfo di
putrefazione. In un’altra messinscena Cangiulliana, Piedigrotta, i futuristi provvisti di cappelli colorati
camminavano in ginocchio per impersonare i loro detrattori, nani dell’intelletto. C’è un eco anche di questa
messinscena nel film Vita futurista nella sequenza Come dorme il futurista e come dorme il passatista. La
simultaneità contrastiva è qui realizzata dividendo lo schermo in due parti: a sinistra il futurista dorme in modo
veloce e dinamico, a destra il passatista è inerte e pigro: ecco come viene data simultaneità e compenetrazione di
luoghi e spazi diversi.
Un'altra attestazione del primato del teatro si trova nella sceneggiatura per il film Velocità: il testo è composto di
11 sequenze autonome che richiamano la dinamicità e l’immediatezza dell’azione scenica esibita nel teatro di
varietà e nel teatro sintetico. La consecutività narrativa viene annullata e il film si affida a scene giustappose per
montaggio seriale e quantitativo. La sceneggiatura marinettiana è inoltre caratterizzata dalla visualizzazione delle
principali parole d’ordine del messaggio futurista già nel titolo degli undici “quadri”.
Si rifletta a conferma dell’ausilio richiesto alle nuove forme di comunicazione audiovisiva ai fini dell’operatività
scenica futurista su quello che scrisse Arnaldo Ginna. Il teatro totale prescrive uno spettatore che liberato dalla
sua immobilità sia provocato a valorizzare le sue possibilità di percezione simultanea seguendo “azioni diverse”.
La teatralizzazione totalizzante che si prospetta è esercitata dalla compresenza di proiezioni cinematografiche,
aereopittura, immagini televisive ecc.

4 “INGIGANTIRE SEMPRE DI PIÙ’ L’IGNOTO: I FUTURISTI E LA SCIENZA”.


Il 15 giugno del 1916 appare sulla rivista “l’Italia futurista” (rivista del futurismo fiorentino) il manifesto La scienza
futurista. Qui si proclama la necessità di mettere in discussione gli schemi mentali che governano il sapere
scientifico abolendo il pregiudizio della Scienza con la S maiuscola. In antitesi ai paradigmi della scienza ufficiale
che è passatista e interessata ad allargare i confini del conosciuto e assottigliare quelli dell’ignoto il futurismo
teorizza una nuova dimensione conoscitiva attratta dalla zona meno scandagliata della realtà per ingigantire
l’ignoto, la zona di realtà che ci è meno conosciuta. L’avanguardia è tutta orientata ad esplorare illimitatamente
ciò che non è ancora stato sperimentato per cui la scienza futurista deve percorre i sentieri dell’inconoscibile. Si
rifiuta l’obiettività della scienza trionfalmente sicura di sé. Si insegue un modello di operare scientifico che sia
futurista cioè che segua una novità continuamente rinnovata e che sia perciò felice di scoprire oggi una verità che
distrugga la verità di ieri, una scienza protesa verso il vuoto che le sta davanti. Il valore dei fenomeni da conoscere
è dato da una precognizione fantastica, magica e liberatoria degli eventi futuri. Per questo si cercano nuovi
strumenti di indagine ed espressione più moderni e più liberi, intonati alle pluricomprensibilità dei fenomeni
propria delle nostre sensibilità velocizzate.
La ricerca e la trasmissione scientifica, sottratte all’ordine della metodicità e all’ossessione dell’esattezza,
dovranno acquisire le tonalità dell’arte d’avanguardia e divenire piene di nuove intuizioni. La critica ha messo in
rilievo che il manifesto elabora argomentazioni con le teorie del futurismo milanese. In calce al documento si
leggono infatti firme degli esponenti della “pattuglia azzurra” (animatori della rivista “L’Italia futurista”) Corra,
Ginna, Chiti, Settimnelli e non quella di Marinetti.
Eppure un’analisi più approfondita ci consente di dire che in realtà non è difficile individuare nell’idea di scienza
perseguita dall’Italia futurista effetti di radicalizzazione di alcuni principi già del discorso marinettiano che non è
del tutto estraneo all’esoterico. Già nel Manifesto fondativo infatti Marinetti esprime la volontà di sconfinare
nell’ignoto (ipotesi propria della scienza futurista).
I futuristi sono una minoranza fiera di essere impegnata in una titanica gara contro i vincoli imposti dall’ordine
naturale. La sfida ha come premio l’irruzione in territori inaccessibili, in universo sconosciuto da ampliare,
invadere e conquistare e sull’aprire gli occhi dell’immaginazione.
Già dal primo manifesto futurista il proclama marinettiano è strutturato secondo le modalità di un racconto mitico
in cui si adoperano elementi magico/mitologici. La volontà di elaborare una compiuta mitologia tecnologica, una
ritualità misterica esoterica rifatta su misura per la civiltà industriale, pone al centro la sacralizzazione della
macchina e lo stesso racconto viene consegnato ad una forma che produce epifanie di miti: il linguaggio artistico
insomma viene adeguato a quello dei cerimoniali iniziatici. L’iniziato futurista è steso sotto il volante della
macchina come un cadavere nella bara, seppellisce l’uomo passatista che è in sé per rinascere come superuomo
votato al feticcio del futuro. Anche l’ordigno tecnologico viene precipitato nel fossato di officina per essere
sottoposto a procedure di un’iniziazione mistica. Dal fossato, dal grembo della madre/industria, la macchina
riemerge con le sembianze mitiche di un grande pescecane. Secondo i miti arcaici i grandi animali delle profondità
dell’oceano hanno infusa la forza sacra dell’abisso e sono esseri mitici che trasmettono agli eroi la forza
magico/religiosa del fondo dell’oceano. La riemersione della macchina/pescecane si configura quindi con i tratti
del miracoloso, del “prodigio”.
Tra le ritualità ricorrenti del messaggio futurista ci sono anche quelle legate al simbolismo dell’ascensione.
Pensiamo ad esempio all’explicit del manifesto fondativo o all’assalto al monte Gorinsankar, vetta del mondo, nel
manifesto Uccidiamo il chiaro di Luna. L’alto, come ha mostrato lo studioso Eliade, è rivelazione del sacro. Non è
un caso allora che Marinetti abbia ideato il paroliberismo sfrecciando in aereo sui fumaiuoli di Milano.
L’aeroplano ha desacralizzato lo spazio celeste per assurgere esso stesso a epifania moderna del magico.

2. Il manifesto futurista mostra quindi da sempre interesse per i nuovi ordigni creati dalla modalità tecnologica e
per le acquisizioni concettuali e percettive indotte dallo sviluppo delle scienze, per i loro effetti sull’esperienza
dell’uomo, sul sentire il mondo, sullo stile di comunicazione interpersonale e sulle tecniche di produzione e
fruizione dell’arte.
Nel dissolvimento delle nozioni di spazio e tempo insomma si può avvertire l’eco della prima formulazione del
principio della relatività di Einstein del 1095. Più avanti, in accordo con la teoria della relatività generale fondata
sul nesso tra accelerazione e forza di gravità, Marinetti consapevole delle implicazioni culturali di questo trapasso
epocale, in un manifesto consacrato al culto della velocità del 1916.
L’urgenza di demolire l’oggettività scientista e di certificare, in accordo con le teorie di Einstein, il carattere
relativo delle leggi spaziotemporali si trova già in Monoplan du Pape (1912) di Marinetti.
Il futurismo, sull’acquisizione della qualità relativa del tempo, allestirà con le parole in libertà e le tavole
parolibere una creatività artistica affidata alla tecnica della simultaneità nella quale i modi espressivi,
accelerandosi e contraendosi, perdono ogni possibilità di svolgimento lineare e progressivo. Nel manifesto tecnico
della letteratura futurista si prescrive la nuova tecnica di comunicazione letteraria delle parole in libertà viene
considerata l’unico strumento comunicativo adatto alla realtà moderna fondata su velocità e simultaneità e
richiedente l’impiego dei segni matematici per accentuare certi movimenti della scrittura.
Quel manifesto dimostra che ’interesse futurista per la materia è un interesse artistico, non rientra in una
prospettiva scientista. L’essenza della materia dev’essere colta “a colpi di intuizione” cosa che possono fare solo i
poeti paroliberi non i fisici né i chimici. La psicologia dell’uomo dev’essere sostituita e cambiata senza prestare
alla materia sentimenti umani ma tentando invece di indovinare i differenti impulsi direttivi della materia, le sue
forze di compressione.
L’obiettivo è dare la parola al soggetto inumano che è la materia adottare il suo punto di vista e inscenare con
rapidità la sua psicologia intuitiva. La vecchia scienza non riesce a percepire la sostanza ultima della realtà delle
cose.
Puntando a registrare la realtà nella sua materialità, percepita attraverso il filtro dei sensi, il paroliberismo mette
in atto una scrittura effettuata con l’ottica gli strumenti espressivi e le leggi comunicative della materia colta per
via intuitiva e cioè lirica. Marinetti arriva a definire anche l’avvento dell’immaginazione senza fili, svincolata dalle
leggi imposte dalla razionalità. È questa la strada affinché la letteratura senza intermediazioni fuoriesca da sé
stessa ed entri direttamente nell’universo e faccia corpo con esso. Il manifesto si chiude sulla figurazione
dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili, rappresentazione allegorica del nuovo uomo massmediatico dotato di
immaginazione senza fili e di una sensibilità molteplice e ubiqua. Nello scritto La guerra elettrica celebrando
l’espansione dell’energia elettromagnetica, la facilità sorprendente con cui gli scienziati governano le masse di
elettroni, Marinetti indica la metamorfosi subita dagli occhi dell’uomo che non sono più solo ricevitori sensibili ma
veri e propri accumulatori di energia elettrica proiettati verso l’ignoto e l’impossibile.
Nel 1914 Marinetti pubblica Zang Tuumb Tuum libro che mette insieme parole in libertà e tavole parolibere. In un
capitolo viene applicato quello che era stato teorizzato nel Manifesto tecnico del 1912 e ribadito altrove a
proposito della necessità di introdurre nella poesia l’infinita vita molecolare.
Nel capitolo viene riprodotto in corsivo un paradossale monologo interiore di una molecola d’aria durante la
battaglia. L’intento è riprodurre la vita della materia nella sua totalità e senza mediazioni per darle autonomia
espressiva.
3. Un manifesto coevo a Zang Tuum Tumb può essere considerato l’antefatto della Scienza futurista. Mi riferisco a
Pesi, misure, prezzi del genio artistico redatto da Corra e Settimelli. I due firmatari partono dall’idea dell’atto
creativo come prodotto dell’energia nervosa. Non c’è differenza tra il cervello e la macchina ( se non che il primo
ha meccanismi più complicati): l’energia nervosa, nel momento in cui è impegnata in un lavoro intellettuale, trova
davanti a se un insieme di elementi organizzati in un certo ordine agendo sui quali scopre relazioni e combinazioni
inedite. Ovviamente quanto più numerosi e complessi sono i rapporti rinvenuti e quanto più distanti ed estranei
sono gli elementi combinati tra loro più grande è la quantità di energia azionata.

4. Bruno Corra, firmatario del manifesto dedicato alla scienza, è autore del romanzo Sam Duun è morto (1915)
costruito con la tecnica del montaggio cinematografico e che narra le vicende di uno strano personaggio dotato di
energie paranormali capace di suscitare episodi di follia collettiva.
Egli è interessato ai fatti della realtà solo in quanto sinonimi del sommovimento vitale ancora inesplorato e cerca
in essi l’ultrarealtà. In sintonia con l’idea marinettiana della superiorità del poeta futurista sullo scienziato
tradizionale la nuova realtà spazza via le eterne conquiste scientifiche matematiche fisiche e chimiche che erano
orgoglio dei padri.
Le energie occulte scatenate da Sam Duun determinano, assieme al crollo delle vecchie apparenze materiali,
l’apertura di crateri di imprevedibilità e l’irrompere di torrenti di nuove leggi e nuove logiche.
La morte di Sam Duun è motivo di consolazione per i “quietisti”.

5. Il romanzo di Corra fa parte di opere allestite su trame esoteriche come Montagne trasparenti di Maria Ginanni
o Notti filtrate di Mario Carli entrambe uscite dal laboratorio editoriale dell’Italia futurista. Del 1919 è il romanzo
Le locomotive con le calze di Arnaldo Ginna, futurista, astrattista, protosurrealista, predadaista. Ginna nel 1917
aveva dato alle stampe il libretto Pittura dell’avvenire introdotto da Bruno Corra convinto assertore di una pittura
“interessata ad offrire ricostruzioni irreali di realtà”. Ginna esplicita così il suo interesse per la scienza non
ufficiale, quella dell’occultismo.
L’arte, orientata a captare gli effetti di quei fenomeni sulla sensibilità umana. L’artista e lo scienziato devono
entrambi sviluppare il subcosciente da intendere come coscienza e conoscenza di un vero più nascosto ed
occulto. I pittori di quella che Ginna definisce pittura occulta saranno capaci di penetrare questo immenso mondo
occulto ed è proprio Ginna che riprende la definizione coniata dai Teosofi dei futuristi come “mistici dell’azione”.
I racconti raccolti in Locomotive con le calze si avvalgono di una prefazione di Corra che sottolinea la fusione di
generi.
Anche nel manifesto La pittura futurista sono espresse argomentazioni che anticipano le tematiche occultistiche.
A confermare le analogie basta fermare l’attenzione sul disegno apposto alla sigla del manifesto sulla scienza: un
cuneo che lancia le qualità della scienza futurista contro i demeriti della scienza passatista.
Sulla linea di sviluppo tracciata dal futurismo esoterico si possono inserire le tavole tattili con cui il futurismo
“raddoppia il suo sforzo creatore” (come si dice nel manifesto Il tattilismo). Le tavole sono da toccare per
ricavarne armonie tattili e perfezionare le comunicazioni tra esseri umani attraverso l’epidermide. La scienza
futurista antiaccademia, magica teorizzata dai giovani dell’Italia futurista si ritrova anche nella parabola cosmica
Infinito di Bruno Zanzin che consegna a una scrittura parolibera il racconto della nascita dell’universo, dello spazio
e del tempo. Marinetti, presentando questo libro, identifica la grandezza del “poeta futurista” nella capacità di
“affascinare l’inconcepibile, l’indefinibile, la pura astrazione, il nulla”. Un’ulteriore traccia è rinvenibile nello scritto
La matematica futurista immaginativa qualitativa del 1941. Il futurismo si dedica alla scienza matematica
ribadendo le capacità anticipatrici dell’arte futurista rispetto alla scienza (gli scienziati sono precorsi dai poeti)
come già si vede in scritti precedenti di Marinetti.
La matematica promossa dai futuristi e spogliata di ogni certezza si esibisce come fuoco d’artificio nelle tenebre
della scienza. Viene immaginata anche una geometrica poetica in grado di misurare le forze potenziali, i
dinamismi contenuti in un’immagine collocata fuori di tempo e spazio. Entra così in gioco una matematica
qualitativa opposta alla matematica quantitativa, interessata a misurare le originalità emergenti delle eccezioni il
non mai visto che non si rivedrà mai più.
L’urgenza di approfondire la visione del mondo per arricchirla di sbocchi verso l’ignoto ha punti di contatto con la
valorizzazione dell’invisibile invocati nel manifesto La ricostruzione futurista dell’universo firmato da Balla e
Depero. Nel proclama si sottolinea l’ideazione dell’animale meccanico, figurazione della fusione arte + scienza.

5 “LIFE IS NOW”. L’INFINITA DILATAZIONE DEL PRESENTE.


Il futurismo ha raffigurato i valori del nuovo, della velocità, della sintesi e della simultaneità ed ha anche
preannunciato alcuni segni dell’ordinaria comunicazione globale in particolare l’infinito espandersi dei
messaggi, la dimensione omologante del consumo, la caduta di ogni distinzione tra cultura d’élite e cultura
di massa, arte pura e arte applicata. Fenomeni declinati ora senza lo scandalo e la rottura con il pubblico
tipici della parabola futurista. È opinione di Marshal McLuhan, profeta della rivoluzione mediatica, che
l’accelerata trasformazione che ha investito nell’era elettronica gli strumenti del comunicare rende il futuro
cosa del passato e anche la stagione culturale che sul finire del primo decennio del secolo scorso si intitolò
al futuro è ormai tradizione sia pur tradizione del moderno. La locuzione “tradizione del moderno” è
indubbiamente ossimorica trattandosi di una tradizione scandita su poetiche e versificazioni governati dal
ripudio della tradizione: insomma è una tradizione che rinnega se stessa e che si rivolta contro se stessa.
Questo paradosso è il codice genetico del futurismo che desacralizza e insieme riafferma l’arte, ne
scandisce allo stesso tempo la morte e la rigenerazione. Nell’annullare del tutto la distinzione tra oggetto
estetico e oggetto comune, nell’estendere a dismisura la nozione stessa di prodotto artistico, la prima
manifestazione dell’avanguardia storica connette all’idea secondo la quale l’arte è defunta, cioè ha perso
ogni funzione, all’idea secondo la quale tutto può essere designato come arte. La catena paradossale che
lega tradizione e modernità viene spezzata dai futuristi elaborando il mito di un presente perennemente
rigenerato attraverso il quale Marinetti mette a punto una teoria del fare artistico come atto incessante di
procreazione da incenerire e ricostruire di continuo perché si neghi alla ripetizione. Il futurismo è
caratterizzato dunque da uno sperimentalismo.

2. Lo slogan life is now con il quale qualche anno fa in Italia si pubblicizzava una marca di telefonini esprime
bene l’identificazione dell’esistenza piena e vitale con l’hic et nunc, con l’idea di un’infinita dilatazione del
presente. Presentificare è il verbo che meglio connota il futurismo. Nel manifesto del 1915 Ricostruzione
futurista dell’universo Balla e Depero rigettano l’arte come ricordo, nostalgia, lontananza, memoria,
rievocazione angosciosa di un oggetto perduto e esaltano l’arte come vita, come presenza, nuovo oggetto e
nuova realtà. Vivere nel presente della presenza serve per esorcizzare l’ossessione della distanza spaziale e
temporale e per dissolvere l’incubo della morte attraverso la creatività di un presente continuo e ogni volta
inedito, per abolire l’ida di un passato come presente che è stato o di un futuro come presente che sarà per
abbandonarsi all’esperienza dell’immediato, del flusso vitale come attualità, unici valori in grado di
rivitalizzare la vita e l’arte. Nel manifesto dedicato alla consacrazione della velocità come religione e come
morale, Marinetti era convinto (concetto che McLuhan approfondirà anni dopo) che l’intensificazione della
velocità attivasse “nuove estensioni di noi stessi” creando i presupposti di una nuova condizione
antropologica ed estetica. La velocità è il paradigma fondante della modernità e tramite la velocità la
geometria delle relazioni umane conquista come sua figura egemone la linea retta che permette di captare
la realtà in modo rapido e diretto, contraendo e accelerando i tempi della comunicazione (anche letteraria)
ed evitando divagazioni legate alle figure della circolarità e dell’ellissi digressiva. Ai percorsi obliqui la
velocità oppone una rappresentazione rettilinea e dinamica che è intollerante verso ogni rielaborazione
interiore della realtà e perciò capace di riconsegnare a una dimensione mitico/sacrale l’esperienza umana e
artistica modificata dalla tecnica.
Marinetti rilancia l’idea di velocità parlando di “velocità portante diverse velocità” come quella dei
transatlantici o degli aerei che addizionano alla loro azione quella degli uomini che agiscono al loro interno.
La velocità interessa ai futuristi in quanto avvicina le cose distanti permettendo, usando le parole di Mc
Luhan, l’abbraccio globale che abolisce il tempo e lo spazio.
Marinetti incita i produttori d’arte a dedicarsi alla scomposizione dell’ordine visivo, alla rivoluzione dello
sguardo e ai meccanismi percettivi che i mezzi di trasporto e comunicazione modellati sulla velocità
realizzano. Tale assunto fa pensare al coevo Si gira o precisamente alla scena in cui un’automobile,
superando una carrozzella, sembra sospingerla all’indietro. (Quando l’auto supera la carrozza sembra che la
carrozza cammini all’indietro dalla prospettiva dell’auto che va in avanti)
Nel testo di Pirandello ci sono in gioco due contrapposte visioni (velocità sprigionata dalla macchina e
lentezza sinonimo del paesaggio naturale) la prima delle quali “travolge rapporti di spazio e tempo, logiche
consecutive in una rivoluzione dello sguardo che ha molte affinità con le nuove forme della
rappresentazione d’avanguardia” (cit. Mazzacurati, Il doppio mondo di Serafino Gubbio).

3. Il dinamismo futurista poggia sull’intuizione precoce che gli esiti dei nuovi modelli di concepire e vivere lo
spazio e il tempo devono entrare nel merito dell’operare artistico attraverso la simultaneità degli stati
d’animo e la simultaneità d’ambiente teorizzate in primo luogo dai pittori futuristi che hanno una nuova
sensibilità completamente rinnovata. In base alla convinzione che il tempo è convenzionale, relativo e
manipolabile il futurismo può allestire invenzioni entro le quali il tempo della comunicazione accelerandosi
e contraendosi smarrisce il carattere di svolgimento lineare e progressivo.
I pittori futuristi non sono interessati ad una mimesi fotografica della velocità ma vogliono invece offrirne
una rappresentazione attraverso il meccanismo di compenetrazioni spaziotemporali da essa attivato. Per
rappresentare lo “stile del movimento” il quadro dev’essere “sintesi di quello che si ricorda e quello che si
vede”.
Si impone così una nuova forma di comunicazione espressiva. Proprio tale riflessione sulla simultaneità
degli stati d’animo offre sollecitazioni alla pratica del paroliberismo. Pensiamo allo sperimentalismo dei
pittori futuristi e a quadri come La città che sale di Boccioni che raffigura la simultaneità temporale come
convergenza di memoria, visione desiderio o pensiamo agli interessi per la cronofotografia e la scrittura del
movimento di Giacomo Balla (i suoi esperimenti puntano a ottenere la raffigurazione dinamica di corpi in
moto nello spazio) o anche alle ricerche fotografiche di Anton Giulio Bragaglia.
L’invenzione delle parole in libertà nasce dall’esigenza di sintonizzare l’arte con le grandi trasformazioni
culturali e antropologiche che accadevano all’individuo-massa.
In questo senso vanno lette anche le esperienze del teatro futurista sintetico. L’urgenza di una
rappresentazione sintetica del mondo è collegata nel Manifesto Distruzione della sintassi, immaginazione
senza fili, parole in libertà al completo rinnovamento della sensibilità umana avvenuto per effetto delle
grandi coperte scientifiche
La nuova sensibilità è trasformata dalle scoperte tecnologiche, la terra è resa più piccola dalla rapidità delle
comunicazioni, l’universo è trasformato dalla velocità. Il paesaggio naturale e mentale muta in modo
accelerato, le nuove forme di relazione, l’azzeramento di ogni distanza spaziale e temporale prefigurano il
villaggio globale ante litteram, aperto al tempo reale, alla virtualità, imponendo la sostituzione della
memoria storica con l’immediatezza del presente.
Il progresso tecnologico ha rimpicciolito la terra e ha reso tutti i suoi luoghi accessibili, si è creato un
immenso presente simultaneo.
Le nuove tecnologie hanno sconvolto la prospettiva della temporalità storica recidendo il rapporto col
passato e la possibilità di proiezione nel futuro.
È necessaria quindi un’arte della presentificazione assoluta che salti in orizzontale da una parte dall’altra
polverizzando la lineare consecutività del tempo rappresentando tutti gli aspetti del dinamismo
contemporaneo, condensandoli simultaneamente.
In tal senso il futurismo ha avuto il carattere di una profezia di enorme portata. Già nella prospettiva
futurista l’accelerazione dei meccanismi comunicativi si determina non solo in chi produce l’opera d’arte
ma anche in chi ne fruisce, nel pubblico/massa chiamato a spostare le proprie capacità percettive.
Bene ha fatto Marinetti nel 1925 con il Manifesto I nuovi poeti futuristi, quando ha indicato nella
rivoluzione parolibera lo spartiacque della civiltà poetica, la svolta decisiva che ha segnato il passaggio al
tempo della modernità cioè il tempo della molteplicità e della simultaneità.
Marinetti annota con soddisfazione che i mezzi di informazione di massa iniziato a far uso dei dispositivi
paroliberi.
Le parole in libertà sono un modo di vedere l’universo che dà alla simultaneità il ruolo di pilota dell’attività
sperimentale artistica. Il futurismo è punto d’arrivo di un’ossimorica tradizione del nuovo secondo la quale
ogni nuova esperienza è già obsoleta, ogni nuovo gesto estetico ha già il principio dell’invecchiamento.
Rispetto all’arte tradizionale le tavole parolibere, velocizzando i tempi d’espressione, puntano a comunicare
nella stessa frazione di tempo più cose o una cosa più rapidamente. Il nuovo codice estetico acquista così
un’inedita prospettiva capace di conquistare simultaneamente in un solo istante, con un’unica visione, tutta
la realtà in movimento.
Il nuovo soggetto moltiplicato dalla macchina ha una condizione sensoriale inedita per cui le tradizionali
tecnica di scrittura sono insufficienti. Serve una nuova comunicazione simultanea, ultrarapida ed essenziale.
Serve l’immaginazione senza fili affinché “la letteratura entri direttamente nell’universo e faccia corpo con
esso” per aderire cioè alla realtà veloce e simultanea. Per questo è necessario rimuovere la sintassi, ciò che
l’io ricorda e analizza, e con essi tutto quello che si pone come ostacolo alla fuoriuscita della letteratura da
sé stessa, al suo contatto adesivo e immediato con il dinamismo della vita. Il narratore asintattico, a
differenze dell’arcaico narratore contemplativo che narra una cosa per volta con ritmo pausato.
Marinetti sembra anticipare l’atteggiamento di chi oggi naviga su Internet tramite rimandi simultanei e
rapidi all’insegna della velocità, dell’istantaneità e del multitasking. La stessa norma guida del
paroliberismo, il verbo all’infinito, ha lo scopo di realizzare la temporalità dell’infinito presente che è l’unica
idonea a mettere in scena molteplici espressioni della realtà contemporanea virtualmente illimitate nelle
loro connessioni. L’obiettivo è un presente senza presenza al di fuori di ogni flessione e retaggio memoriale
e perciò dischiuso a tutte le occorrenze.

4. Cosa resta delle risorse espressive futuriste e dei mutamenti percettivi da essere presupposti nell’attuale
universo della comunicazione? Molto per chi tiene a mente le strategie connettive messe in opera dei
media digitali e l’imperiosità delle nuove parole d’ordine (simulazione e virtualità) filtrare nel senso
comune. Certo le iniziative futuriste si muovono nell’orizzonte della galassia Gutemberg quando la galassia
digitale non è ancora nemmeno lontanamente prevedibile eppure esse sospingono la scrittura oltre il
perimetro tradizionale dell’oggetto libro. L’esito è il sovvertimento del ruolo tradizionale della tipografia
ribaltata da sistema riproduttivo a luogo di riproduzione cioè luogo di invenzione e immaginazione nella
costruzione dell’opera. La pagina non è più intesa come schermo passivo sottoposto a leggi di armonia ma è
vissuta come campo dinamico da utilizzare per esprimersi con la fusione delle arti e anticipazione di alcune
modalità espressive e comunicative attorno alle quali ruotano oggi i media elettronici. Le innovazioni della
scrittura tipografica futurista puntano ad una comunicazione poliespressiva: partendo dalla rivoluzione
sintattica si procede tramite l’ortografia libera espressiva, le analogie disegnate, le auto illustrazioni, le
tavole parolibere, i complessi plastici liberi e sintattici, i libri macchina, i fotomontaggi ecc. Tali invenzioni
sono accompagnate dalla prefigurazione di modalità diverse di vita sollecitate dai sistemi di comunicazione
tra i quali spicca il messaggio pubblicitario. Marinetti constata che, influenzando la moderna pubblicità, le
parole in libertà hanno conquistato l’ambiente urbano. Nel 1938 scriveva in un articolo sull’Artecrazia
(testata futurista impegnata a sostenere le forme artistiche avanzate della modernità) che le parole in
libertà hanno condizionato la nuova arte tipografica e anche un settore come la pubblicità e l’intero sistema
di comunicazione. Dalla pubblicità dell’arte all’arte della pubblicità: ecco che il futurismo si interessa anche
della reclame: il futurismo ha inoltre pubblicizzato il proprio movimento tramite sistemi pubblicitari propri
del mondo commerciale (volantini, annunci su giornali, affissione di manifesti) e non ha esitato a
considerare la pubblicità come un settore in cui impegnare le proprie energie artistiche. Boccioni indicherà
nei cartelloni e nelle insegne elementi di nuova bellezza. Il linguaggio pubblicitario viene considerato arte a
tutti gli effetti e viene considerato una forma espressiva particolare adatta alla civiltà di massa e al
futurismo. Il messaggio promozionale viene esaltato perché può raggiungere il pubblico in ogni momento
della giornata e anche contro la sua volontà: fa parte del moderno flusso costante dei media. Tutti questi
elementi avvicinano le parole in libertà al lessico della pubblicità e alle procedure che ancora oggi regolano
l’informazione intesa come rappresentazione e messinscena auto promozionale della notizia. Su questa
linea si incontra la preconizzazione della Mail Art, anticipata dalla capacità futurista di trasformare il
contenitore postale in oggetto estetico. Il mezzo postale (cartoline, lettere inviate da Marinetti e dai suoi
sodali) diventano messaggio verbo/visivo, occasione per spettacolari esercizi di libertà creativa precursori
delle odierne forme di scrittura diffuse dalla telefonia mobile.

5. In un dibattito sulla presenza del discorso teorico futurista all’interno del contesto definito postmoderno
(etichetta fortunata ma ormai logora e fuorviante ritenuta non più produttiva anche dal suo creatore,
Lyotard, che ritiene vada sostituita con l’idea di una diversa attitudine del moderno, con una sua diversa
modulazione. ) qualcuno potrebbe osservare che l’ossessione per il tema della presenza si colloca agli
antipodi dell’immaterialità “virtuale” ovvero della rete di connessioni possibili, la “rete globale” intorno alla
quale argomentò già McLuhan intorno alla quale la nostra postmodernità, tardo modernità o modernità
liquida ha fondato il proprio epicentro.
Gli stessi futuristi erano ossessionati dalla presenza fisica (come dimostra il manifesto La voluttà di essere
fischiati dove si preferisce, tra tutte le forme d’arte, proprio l’opera teatrale).
L’immaginazione senza fili, insieme all’identità bionica dell’uomo meccanico dalle parti cambiabili, si
prospettano come figurazione allegorica di un’antropologia massmediatica dotata di una sensibilità
molteplice e onnipresente.
Le due grandi ambizioni perseguite dal pensiero futurista, simultaneità e ubiquità, vengono messe in atto
dalla vocazione delle più recenti forme di comunicazione a contrarre il presente e promuovere la
multitemporalità del vivere quotidiano. Il verbo all’infinito è già prefigurazione della sottrazione a ogni
vincolo di gravità indotta dall’attuale immaterialità digitale. Per ritornare in campo teatrale si pensi al teatro
sintetico o al teatro totale futurista dove all’insegna della simultaneità lo spettatore viene chiamato a
seguire interattivamente spettacoli molteplici su diversi palcoscenici e proiezioni cinematografiche su
differenti schermi. Per finire si ponga mente alle riflessioni sull’arte radiofonica e sul teatro aereo
radiotelevisivo volti a realizzare un infinito inscenamento della contemporaneità tale da includere anche
tutto ciò che non implica la presenza materiale del corpo. Tuttavia la modernità futurista è lontana
dall’orizzonte culturale postmoderno per diversi elementi.
Le narrazioni futuriste si proponevano di inglobare in modo unitario e totalizzante il reale con il
conseguente svuotamento dell’esperienza tramite la sostituzione integrale delle parole alle cose, il trionfo
della virtualità del linguaggio, delle tecnologie multimediali, della rappresentazione sulla materialità del
vissuto.
Su quest’aspetto il discorso è tuttavia problematico: è vero che il futurismo ha puntato ad una
rivitalizzazione dell’esperienza attraverso un’incessante apertura dei confini della sfera estetica ma è
altrettanto indiscutibile che non ha manco di elaborare una poetica del simulacro, figurazione di una
società dello spettacolo prossima a quella che oggi ci troviamo a vivere, a sentire e a operare.
Il futurismo è una cosa del passato, una delle nostre più prossime tradizioni ma è senza alcun dubbio anche
il nostro presente.

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