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Lezione 9 - 01.12.

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NIEBLA
Capitolo 31: incontro con Unamuno
Perso l’oggetto d’amore, Eugenia, Augusto perde la propria identità e il suo ruolo nel mondo e da qui
elabora l’idea di suicidarsi.

“Mas antes de llevar a cabo su propósito, como el náufrago que se agarra a una débil tabla,
ocurriendo consultarlo conmigo, con el autor de este relato. Por entonces habia leido Augusto en un
ensayo mio en que, aunque de pasada, hablaba de suicidio” ⇨il narratore è Miguel de Unamuno,
il quale ci spiega che prima di portare al termine questa decisione Augusto decide di recarsi da lui
perché aveva letto dei riferimenti al suicidio in un saggio suo.

"Emprendió, pues, un viaje acá, a Salamanca, donde hace más de veinte años vivo, para visitarme.”
⇨ qui già cambia qualcosa perché tra le prime indicazioni che ci fornisce il narratore è l’indicazione
geografica poiché questo è un dato di realtà e quindi aumenta l’effetto di verosimiglianza. Il luogo
che ci descrive è Salamanca, luogo in cui tutti sapevano che Unamuno viveva e svolgeva la sua
attività di rettore dell’Università di Salamanca. Cominciamo a vedere come i due si incontrano.

“Cuando me anunciaron su visita sonreí enigmáticamente y le mandé pasar a mi despacho-librería.


Entró en él como un fantasma, miró a un retrato mío al óleo que allí preside a los libros de mi
librería, y a una seña mía se sentó, frente a mi.” ⇨ comincia uno stile di narrazione che all’ironia
somma una certa ambiguità. La scena è Unamuno nel suo studio, probabilmente alla sua scrivania,
viene annunciato Augusto che entra come un fantasma.
Il termine “fantasma”
- in parte ci fa pensare alla condizione di angoscia del protagonista (il quale sta per uccidersi e
quindi possiamo immaginarlo bianco, provato, impallidito) e dunque inteso come un
fantasma in questo senso
- o inteso come qualcosa che non esiste, un'immagine, qualcosa che non è dotato di un corpo
Augusto, dopo l’ordine, si siede.

"Empezó hablándome de mis trabajos literarios y más o menos filosóficos, demostrando conocerlos
bastante bien, lo que no dejo, claro está! de halagarme, y en seguida empezó a contarme su vida y
sus desdichas. Le atajé diciéndole que se ahorrarse aquel trabajo, pues de las vicisitudes de su vida
sabía yo tanto como él, y se lo demostre citandole los más íntimos pormenores y los que el creia
mas secretos.” ⇨ esattamente come quando si incontra l’autore di qualche saggio e la prima cosa
che si comunica è la lettura dell’opera. Unamuno gli mostra poi come della sua vita conosce più di
lui, ovvero tutto, sa tutto ciò che Augusto stesso sa della sua vita, e come prova gli rivela alcune
questioni che secondo Augusto dovrebbero essere segrete.
Ci troviamo dunque in una situazione simile a quella del prologo e del post prologo: c’è qualcosa che
non capiamo

“Me miró con ojos de verdadero terror y como quien mira a un ser increíble; creí notar que se
alteraba el color y traza del semblante y que hasta temblaba. Lo tenía yo fascinado.
-Parece mentira- repetita- Parece mentira! A no verlo no lo creeia…No se si estoy despierto o
sonando” ⇨ la situazione incredibile di mancata comprensione che ha il lettore rispecchia la
situazione emotiva di Augusto il quale non riesce a comprendere, al punto che dice “non so se sono
sveglio o se sto sognando”

“- Ni despierto ni soñando - le contesté


-No me lo explico…no me lo explico - añadió -; más puesto que usted parece saber sobre mi tanto
como se yo mismo, acaso advine mi propósito…” ⇨
Augusto sostiene che se Unamuno sappia
tutto, saprà anche quale decisione ha preso
“Si - le dije - tu - y recalque este tu con un tono autoritario -, tu, abrumado por tus desgracias, has
condebido la diabolica idea de suicidarte, y antes de hacerlo, movido por algo que has leido en uno
de mis ultimos ensayos, vienes a consultarmelo.
El pobre hombre temblaba como un azogado, mirandome como un poseido miraria. Intentó
levantarse, acaso para huir de mí; no podía. No disponia de sus fuerzas.” ⇨ Dalla mancata
comprensione si passa alla paura però con un briciolo di ironia tipica dell’autore. La paura è tale da
addirittura poter scappare ma non poteva scappare perché non disponeva della sue volontà:
ricordiamo che il personaggio di Augusto non è altro che una creazione dell’autore, e dunque tutto (i
suoi pensieri, le sue azioni) erano controllate da Unamuno. Augusto si siederà perché sarà
Unamuno a dirgli di sedersi.
Il rapporto che caratterizza i due è un rapporto di subalternità: Augusto è in una condizione
subalterna rispetto a Unamuno.

“No, no te muevas!- le ordené.


-Es que.., es que… - balbuceo.
-Es que tu no puedes suicidarte, aunque lo quieras” ⇨
inizia il dialogo su l’assenza di volontà di
Augusto: non può alzarsi, non può volere qualcosa, non può fare nulla se non direttamente ordinato,
detto o scritto dal suo creatore.

“-Acabe usted de explicarse de una vez, por Dios! Acabe de explicarse! - me suplico consternado -
Porque son tales las cosas que estoy viendo y oyendo esta tarde, que temo volverme loco.
-Pues bien: la verdad es querido Augusto - le dije con la más dulce de mis voces - que no puedes
matarte porque no estás vivo, ni tampoco muerto, porque no existes…” ⇨
è un colloquio nivolesco,
Unamuno gli dice che non è né vivo né morto, è solo la sua creazione.

“-Como que no existo? - exclamó


-No, no existes más que como ente de ficción; no eres, pobre Augusto, más que un producto de mi
fantasía y de las de aquellos de mis lectores que lean el relato que de tus fingidas venturas y
malandanzas he escrito yo; tú no eres más que un personaje de novela, o de nivola, o como quieras
llamarle. Ya sabes, pues, tu secreto.” ⇨ cominciano a questo punto a ritornare alcune espressioni
che Unamuno aveva utilizzato nel post prologo: vi ricordate cosa dice nel post prologo a Victor? dice
“sono a conoscenza del suo segreto”, ma qual era questo segreto?
Il segreto era il segreto dell’esistenza.

A questo punto Augusto passa dallo sconcerto iniziale dell’essere un ente di finzione, ad un
atteggiamento di ribellione nei confronti del suo creatore, e infatti gli dice:

“-Mire usted bien, don Miguel…, no sea que esté usted equivocado y que ocurra precisamente todo
lo contrario de lo que usted se cree y me dice.
-Y qué es lo contrario?- le pregunté, alarmado de verle recobrar vida propia.
-No sea, mi querido don Miguel -añadió-, que sea usted y no yo el ente de ficción, el que no existe
en realidad, ni vivo ni muerto…No sea que usted no pase de ser un pretexto para que mi historia
llegue al mundo…” ⇨ ribaltamento dei rapporti di forza: Augusto dice ma non è che forse è il
contrario, e cioè che lei in quanto autore non tanto non esista, ma non esista se non per raccontare
in questo mondo la mia storia.

In qualche modo, questa idea delle creature che creano i loro creatori, e l’idea di questo strano
rapporto tra scrittori e personaggi, è presente nella produzione letteraria di Unamuno.
Unamuno molto spesso insiste sull’idea dei personaggi letterari, soprattutto i grandi personaggi
letterari (come ad esempio Don Quijote, o Amleto), sostenendo la tesi che per noi questi ultimi siano
più veri dei loro autori: per noi è più autentico Don Quijote di Cervantes, Amleto piu di Shakespeare.

Nella “Vida de Don Quijote y Sancho” di Unamuno, la vicenda più o meno parte da una situazione
simile, cioè DQ e Sancho che chiedono ad Unamuno di raccontare la vera storia, non quella scritta
da Cervantes, un processo che dunque porta nel pieno del 900 dando centralità e autonomia ai
personaggi che pare si stacchino quasi dagli autori e dalle storie.
Nel momento in cui Don Quijote è stato creato da Cervantes ha acquisito un'identità tale da essere
DQ a prescindere da Cervantes e dalla storia costruita dall’autore. E’ una questione di autonomia.
La ribellione di Augusto passa da un piano metaletterario ad un piano spirituale: infatti di lì a poco
sposterà Augusto il rapporto personaggio-autore su un rapporto uomo-Dio. Così come i personaggi
sono il frutto della volontà di uno scrittore, allo stesso modo gli uomini non sono altro che il prodotto
della volontà divina e noi viviamo fino a che Dio continua a portare avanti il progetto che ci riguarda
e la morte arriva quando Dio si stanca di raccontare la nostra storia, così come Unamuno fara.

Questa riflessione fa perdere completamente la pazienza ad Unamuno:

“-Bueno, basta, basta, basta! Esto no se puede tolerar! Vienes a consultarme a mi, y tu empiezas
por discutirme mi propia existencia, después el derecho que tengo a hacer de ti lo que me de la real
gana, si, asi como suena, lo que me de la real gana, lo que me salga de.. (salta dei righi)
-Y luego has insinuado la idea de matarme. Matarme? A mi? Tu? Morir yo a manos de una de mis
criaturas! No tolero mas. Y para castigar tu osadía y esas doctrinas disolventes, extravagantes,
anárquicas, con que te me has venido, resuelvo y fallo que te mueras. En cuanto llegues a tu casa
te morirás. Te morirás, te lo digo, te morirás"⇨ A questo punto ci dovremmo aspettare una serenità
da parte di Augusto che infondo aveva deciso di uccidersi, e invece ciò che prova è proprio la
negazione della vita dopo aver scoperto la sua identità. Dopo aver scoperto il suo ruolo, che è un
ruolo diverso da quello di innamorato di Eugenia, questa situazione fa scaturire in lui l’attaccamento
alla vita.

“Pero, por Dios! exclamó Augusto, ya suplicante, y de miedo tembloroso y palido” ⇨ assume quindi
l’atteggiamento dell’uomo che supplica Dio.

“No hay Dios que valga. Te morirás


-Es que yo quiero vivir, don Miguel, quiero vivir, quiero vivir…
-¿No pensaba matarte?
-Oh, si es por eso, yo le juro, señor de Unamuno, que no me mataré, que no me quitaré esta vida
que Dios o usted me han dado; se lo juro…Ahora que usted quiere matarme, quiero yo vivir, vivir,
vivir…!”⇨ e insiste nelle battute successive su questa ripetzione di “vivir”

“Cayó a mis pies de hinojos, suplicante y exclamando:


-Don Miguel, por Dios, quiero vivir, quiero ser yo!
-No puede ser, pobre Augusto- le dije, cojiendole de una mano y levantándole - ¡no puede ser! Lo
tengo ya escrito y es irrevocable; no puedes vivir más. No se que hacer ya de ti. Dios, cuando no
sabe que hacer de nosotros, nos mata. Y no se me olvida que paso por tu mente la idea de
matarme…” ⇨ Unamuno non ha pietà nei confronti delle suppliche di Augusto perché la storia è
finita. Tra l’altro tutto il capitolo, come abbiamo visto, è giocato su parole-scrittura: quello che
Augusto può fare o no senza che Unamuno lo scriva o glielo dica.

Però è anche interessante capire da dove nasca quel ambiguità iniziale della domanda “si è
suicidato, lo hanno ammazzato, e se si chi?” Unamuno quindi gli dice che tornerà a casa e morirà
perché ha deciso così e ha chiuso così la storia.
Dal punto di vista degli altri personaggi che, condividono la stessa percezione di Augusto (non
sanno di essere personaggi nelle mani di Unamuno) non sono a conoscenza che è tutta finzione,
anche Victor resta al livello dei personaggi e a questo livello la realtà è che Augusto è andato a
trovare Unamuno ma poi ritornato a casa è morto, nessuno sa della conversazione tra i due.
E’ solo alla fine che il lettore comprende che era tutta finzione, e che il gioco con la realtà era parte
stessa della finzione: perché Victor è finzione, il prologo non l’ha scritto lui ma Unamuno stesso, e
quindi le obiezioni che l’autore pone nel prologo e post prologo rientrano tutte in questo soggetto.
Augusto è l’unico che alla fine scopre il suo segreto. Victor invece sostiene di sapere la storia
diversamente, e ciò perché non è venuto a conoscenza della conversazione tra Unamuno e
Augusto.

Altro aspetto interessante di questo capitolo è la presenza di Unamuno nel testo perché in qualche
modo l’autore si fa personaggio del suo romanzo per poter discutere con le sue creature. Deve
scendere al livello dei suoi personaggi per poter dialogare con loro, altrimenti ciò non sarebbe mai
stato possibile.

Quasi tutto il romanzo si svolge nella testa di Augusto, tutto il fluire dei suoi pensieri rende
complicato il rappresentare l’opera (attraverso film), che come sappiamo è una delle opere maggiori
del 900 spagnolo.

LA FAMILIA DE PASCUAL DUARTE (primo testo della dispensa)


Con questo testo chiudiamo il discorso sul romanzo, e cio puo avere senso se pensate all’inizio
(ovvero fa riferimento all’esame di letteratura spagnola 1 quando tra le prime opere abbiamo iniziato
a parlare di romanzo con il Lazarillo de Tormes e con il discorso sulla picaresca) andando in qualche
modo a chiudere il cerchio.

Con “La familia de Pascual Duarte” ritorniamo a parlare di tradizione picaresca con una serie di
trasformazioni e differenze.
Ci troviamo con questo autore, Camilo José Cela, nella seconda metà del 900, tra gli anni 40 e 50 in
cui escono le opere che lo hanno reso più famoso:
- La familia de Pascual Duarte 1942
- La Colmena1 (l’alveare) 1951

Cela è stato un grande scrittore spagnolo, tra l’altro ha vinto il premio nobel per la letteratura nel
1989, ci soffermeremo su alcune parti dell’opera facendo un po 'più di attenzione al rapporto con la
picaresca.

Alcune cose possiamo notarle subito: aprendo la dispensa troviamo


- una nota introduttiva, che è un testo di Cela aggiunto successivamente (e dunque non ci
interessa)
- una nota del trascriptor
- carta anunciando el envío del original
- clausola del testamento olografo
- capitolo 1

Abbiamo dunque una serie di paratesti che fanno parte della narrazione in quanto mentre per il
transcriptor non abbiamo una firma, la carta è firmata da Pascual Duarte.
Introduciamo così una caratteristica di quest’opera, ovvero un testo scritto in prima persona dal
protagonista, una sorta di autobiografia, e sappiamo anche ancor prima di leggere che oltre ad un
originale (il manoscritto allestito da Doarte), prima della pubblicazione c’è un passaggio intermedio
di trascrizione. C’è quindi una mediazione tra la scrittura di Pascual Duarte e il lettore.
Questa è una figura che dichiara la sua presenza al punto tale da scrivere una nota introduttiva ma
non abbastanza da rivelarsi con una firma.

La presenza di una figura di mediazione pone a priori qualche problema per quanto riguarda
l’autobiografia e la veridicità di quest’ultima.

1
l'opera più importante di Cela, inaugura il realismo sociale degli anni cinquanta. Verrà pubblicato nel 1951 a
Buenos Aires, dato che la censura aveva proibito la sua pubblicazione in Spagna a causa di alcuni passaggi
erotici
Se già sappiamo che con l’autobiografia dobbiamo fare attenzione, nel momento in cui c’è qualcuno
che trascrive quella che è la tua vita questo patto di fiducia viene alterato. A maggior ragione se il
trascrittore fa ciò che dichiara in questa nota.

NOTA DEL TRASCRIPTOR


“Me parece que ha llegado la ocasión de dar a la imprenta las memorias de Pascual Duarte.
Haberlas dado antes hubiera sido quizás un poco precipitado; no quise acelerarme en su
preparación, porque todas las cosas quieren su tiempo, incluso la corrección de la errada ortografía
de un manuscrito” ⇨ errata ortografia di un manoscritto, ciò significa che questo trascrittore ha fatto
degli interventi nel testo di tipo ortografico. Ci dice però qualcosa anche del suo autore: il suo autore
non è una persona colta ma una persona che commette errori di ortografia.

“Encontradas, las páginas que a continuación transcribo, por mi a mediados del año 39, en una
farmacia en Almendralejo - donde Dios sabe que ignoradas manos las depositaron - me he ido
entreteniendo, desde entonces acá, en irlas traduciendo y ordenando, ya que el manuscrito - en
parte debido a la mala letra y en parte también a que las cuartillas me las encontré sin numerar y no
muy ordenadas - era punto menos que ilegible” ⇨ troviamo quindi l’espediente del manoscritto
ritrovato. Il lavoro che fa il trascrittore sul testo non è solo di correzione ortografica, ma dice che le
ha tradotte, ordinato i fogli sciolti del manoscritto, il quale era quasi illeggibile.
La probabilità di intervento in questo testo è sempre più alta.

Ancora, in riferimento all’autore di questo manoscritto, a rafforzare l’idea della sua ignoranza
abbiamo anche il riferimento alla sua brutta grafia: non sa scrivere, è poco più di un analfabeta.

“Quiero dejar bien patente desde el primer momento, que en la obra que hoy presento al curioso
lector no me pertenece sino la transcripción. No he corregido ni añadido ni una tilde, porque he
querido respetar el relato hasta en su estilo. He preferido, en algunos pasajes demasiados crudos
de la obra, usar de la tijera y cortar por lo sano; el procedimiento priva, evidentemente, al lector de
conocer algunos pequeños detalles - que nada pierde con ignorar -; pero presenta, en cambio, la
ventaja de evitar el que recaiga la vista en intimidades incluso repugnantes, sobre las que - repito -
me pareció más conveniente la poda que el pulido.” ⇨ non è vero che non ha corretto perche l’ha
ammesso prima che l’ha corretto e che ha omesso delle scene.
Questo atteggiamento da un lato di implementare esclusivamente il ruolo di trascrittore, dall’altro
dopo aver rivelato le operazioni di correzione, revisione, riordino del manoscritto, ci dice che ha
operato dei tagli della narrazione.

Il racconto autobiografico che si fonda sulla selezione di elementi, episodi, molto spesso con una
finalità, ed eliminare alcune parti non è una scelta da poco, nonostante si cerca di tranquillizzare il
lettore che questi tagli non abbiano eliminato le cose principali della narrazione.

Che tipo di taglio opera? Elimina le parti che sono troppo crude e violente. Nell’opera “La familia de
Pascual Duarte” crea molta discussione su questo termine che porterebbe molti critici a considerarla
prevenismo. Questo è un movimento che ha a che fare con il realismo ma in particolare fa
riferimento a dei testi che hanno una visione estremamente violenta e pessimista della realtà.
Qualcuno ha anche parlato di una sanguinaria caricatura della realtà.

L’universo in cui si entra leggendo “La familia di Pascual Duarte” è un universo effettivamente fatto
di violenza contro tutte le creature e una violenza di diversi tipi. Evidentemente fisica, in quanto
Pascual Duarte è in carcere, giustamente condannato per un omicidio, e dal carcere scrive questo
testo, anche se poi scopriamo che in realta si è macchiato di qualche altro omicidio prima.

Però qual è la grandezza di Cela e della sua opera? Che nonostante si tratti di una storia di un
assassino violento, il lettore in qualche modo riesce ad assumere un atteggiamento solidale con
questo personaggio, pur comprendendo esattamente la violenza che ha commesso. Non lo si
giustifica, ma si comprendono le ragioni.
“El personaje, a mi modo de ver, y quizá por lo unico que lo sacó a la luz, es un modelo de
conductas; un modelo no para imitarlo, sino para huirlo; un modelo ante el cual toda actitud de duda
sobra; un modelo ante el que no cabe sino decir: - Ves lo que hace? Pues hace lo contrario de lo
que debiera. Pero dejamos que hable Pascual Duarte, que es quien tiene cosas interesantes de
contarnos” ⇨ Il trascrittore ci spiega le ragioni per cui, secondo lui, vale la pena leggere questo testo
che ha trovato, nonostante sia stato scritto male, è pieno di violenza (che il trascrittore ha dovuto
eliminare), è in disordine, ma per comprenderne l'esemplarità della storia.

L'esemplarità della storia funziona al contrario: Pascual Duarte con la sua vita, le sue scelte sono un
modello al contrario, ciò che non bisogna seguire.
Il lettore come può imparare qualcosa da questa storia? Agendo al contrario rispetto a ciò che fa il
protagonista.
Leggendo l’intera vicenda, a partire dall’infanzia di Pascual Duarte, il lettore comprende le sue
violenze e comportamenti.

CARTA ANUNCIANDO EL ENVÍO DEL ORIGINAL


Questo è il paratesto successivo che in qualche modo ci ricollega in maniera più evidente alla
tradizione picaresca.
E’ una lettera di pentimento e di supplica scritta da Duarte e che invia ad un amico dell’uomo che ha
ucciso per raccontare la sua storia e per chiedere perdono.
Dopo la parte iniziale in cui spiega a don Joaquin Barrera Lopez, amico dell’uomo ucciso (don Jesus
Gonzalez de la Riva), cosa ha in mente.

“Como desgraciadamente no se me oculta que mi recuerdo más ha de tener de maldito que de cosa
alguna, y como quiero descargar, en lo que pueda, mi conciencia con esta pública confesión, que no
es poca penitencia, es por lo que me he inclinado a relatar algo de lo que me acuerdo de mi vida.”
⇨ per mettere apposto la sua coscienza concepisce un testo come una confessione pubblica e ci
dice cosa racconta “algo de lo que me acuerdo de mi vida” quindi siamo contemporaneamente vicini
e lontani dalla tradizione del Lazarillo: perché mentre il Lazarillo racconta non “algo” de su vida, ma
racconta episodi precisi, episodi che ricordiamo sono tutti assolutamente necessari, mentre invece
qui questo “algo” sembra rimandare ad una selezione quasi casuale. Probabilmente se lo mettiamo
in relazione al discorso sulla coscienza, sono quegli eventi che ricorda e che più pesano sulla sua
coscienza.

“Nunca fue la memoria mi punto fuerte, y se que es muy probable que me haya olvidado de muchas
cosas incluso interesantes, pero a pesar de ello me he metido a contar aquella parte que no quiso
borrarseme de la cabeza y que la mano no se resistió a trazar sobre el papel, porque otra parte
hubo que al intentar contarla sentía tan grandes arcadas en el alma que preferí callarmela y ahora

olvidarla.” Scrive le cose che ricorda ma non scrive tutte le cose che ricorda, perché alcune cose
nel scriverle risultavano a lui troppo forti e violente. Neanche lui riusciva a scriverle.

Se sommiamo questa affermazione e conferma di questa censura iniziale operata dall’autore, a


quella che abbiamo scoperto poco fa del trascrittore, ci rendiamo conto che tutta la violenza che
troveremo nel testo è quella violenza che ha passato “i controlli”, e dunque in realtà il testo è molto
meno violento di quello che sarebbe dovuto essere.

Nella conclusione poi c’è un riferimento al prologo del Lazarillo con:


“Reciba, señor don Joaquin, con este paquete de papel escrito, mi disculpa por haberme dirigido a
usted, y acoja este ruego de perdón que le envia, como si fuera al mismo don Jesusm su humilde
servidor.”
CLAUSULA DEL TESTAMENTO OLÓGRAFO OTORGADO POR DON JOAQUÍN BARRERA
LÓPEZ, QUIEN POR MORIR SIN DESCENDENCIA LEGÓ SUS BIENES A LA MONJAS DEL
SERVICIO DOMÉSTICO
Questo terzo ed ultimo paratesto è una clausola del testamento di Don Joaquin Barrera, amico
dell’uomo ucciso e soprattutto persona alla quale Pascual Duarte manda il manoscritto.

“Cuarta2: Ordeno que el paquete de papeòes que hay en el cajón de mi mesa de escribir, atado con
bramante, y rotulado en lápiz rojo diciendo: Pascual Duarte, sea dado a las llamas sin leerlo, y sin
demora alguna, por disolvente y contrario a las buenas costumbres. No obstante, y si la Providencia
dispone que, sin mediar malas artes de nadie, el citado paquete se libre durante dieciocho meses
de la pena que deseo, ordeno al que lo encontrare lo libre de la destrucción, lo tome para su
propiedad y disponga de él según su voluntad, si no está en desacuerdo con la mía” ⇨
ci sono un
paio di elementi interessanti:

In primo luogo, la comprensione e il perdono che Pascual Duarte sperava di avere non arrivano
perché don Joaquin legge il testo ma quest’ultimo resta chiuso nel cassetto della scrivania e viene lì
dimenticato. Viene inoltre giudicato come immorale e contrario e viene condannato alla
distruzione.
Il vincolo è però che se per 18 mesi il testo rimane salvo e nessuno lo distrugge, chi lo trova, a
partire da quel momento, diventa il proprietario e farne cio che vuole, anche distruggerlo.

Il testo non si sa come ma finisce in questa farmacia dove il trascrittore lo trova e da lì nasce l’opera.

L’altra questione che ci interessa è il titolo: sul testo è solo “Pascual Duarte”, e non “La familia de
Pascual Duarte”, questo vuol dire che ipoteticamente è stato il trascrittore ad aggiungere al titolo “La
familia de”. Sicuramente il passaggio sposta l’attenzione da un individuo ad un gruppo di persone
che sono la sua famiglia, che avrà un ruolo fondamentale nella crescita e formazione del
protagonista.

L’infanzia di Pascual Duarte è un’infanzia caratterizzata da


- estrema povertà
- ignoranza (smetterà presto di andare a scuola)
- violenza familiare (rapporto difficile tra il padre e la madre)
E tutto questo peserà terribilmente appunto sulla formazione della coscienza dell’individuo e anche
nella comprensione dei rapporti. Per lui, i rapporti fin da piccolo, si fondano sulla sopraffazione.
Infatti passando al testo comprendiamo meglio.

CAP 1
“Yo señor, no soy malo, aunque no me faltarían motivos para serlo.” ⇨ questo incipit “yo senor, no
soy malo” ricorda in particolare l’incipit del Buscon (il quale inizia con “yo señor, soy de Segovia”).
Inizia però con un'affermazione curiosa dopo tutto ciò che abbiamo letto.

“Los mismos cueros tenemos todos los mortales al nacer y sin embargo, cuando vamos creciendo,
el destino no se complace en variarnos como si fuésemos de cera y en destinarnos por sendas
diferentes al mismo fin: la muerte.
Hay hombres a quienes se les ordena marchar por el camino de las flores, y hombres a quienes se
les manda tirar por el camino de los cardos y de las chumberas. Aquellos gozan de un mirar sereno
y al aroma de su felicidad sonríen con la cara del inocente; estos otros sufren del sol violento de la
llanura y arrugan el ceño como las alimañas por defenderse.
Hay mucha diferencia entre adornarse las carnes con arrebol y colonia, y hacerlo con tatuajes que
después de nadie ha de borrar ya” ⇨
inizia con questa riflessione sul destino, e ci ricorda la
“fortuna” che fa nel prologo Lazaro: vuole dimostrare quanto poco merito abbiano gli uomini che

2
“Cuarta” perché si riferisce alla quarta clausola del testamento
nascono con una buona fortuna e quanto più merito abbiano coloro che non nascendo in questa
fortuna debbano faticare.

Qui, nell’opera di Pascual Duarte, il discorso è simile perché fa riferimento a queste due tipologie di
individui:
- quelli a cui il destino ha riservato una vita piacevole
- quelli che sono condannati alle difficoltà
Però mentre Lazaro inizia questo discorso per dire che anche quelli che sono destinati alla
sofferenza se si sforzano possono non finire così male, Pascual Duarte da questo punto di vista è
molto più sereno: per lui i cammini sono due inconciliabili ed entrambi arrivano allo stesso punto che
è la morte.

La morte è una livella sociale. Per cui nasciamo tutti allo stesso modo, tutti uguali, però il destino ci
mette su due cammini diversi, inconciliabili, ma che si riconciliano solo al momento della morte.

Il capitolo porta avanti questa idea di questa differenza tra i due destini, caricandola dal punto di
vista della rappresentanza della realtà perché ci descrive che nel paese dove vive Pascual Duarte
due case: da una parte la casa di don Jesus (l’uomo che ucciderà) e subito dopo la sua casa.
Una in centro, ricca, bella e la sua in periferia, povera e dunque sviluppa questa sua riflessione
iniziale sui destini umani attraverso la concretezza dell’esistenza. Come si concretizza questa idea?
Nello stile di vita, di come effettivamente i due individui vivano in maniera diversa.

In questi due capitoli ci saranno riferimenti al resto della famiglia, la sorella, il padre, la madre, alla
scelta di togliere Pascual da scuola ma cogliamo anche come fin da piccolo il protagonista
concepisca il rapporto con l’altro come rapporto di violenza. All’infanzia risale il primo crimine in cui
uccide la sua cagnolina.

Pag 23
"Tenía una perrilla perdiguera - la Chispa -, medio ruin, medio bravia, pero que se entendía muy
bien conmigo” ⇨ teneva una cagnolina con la quale andava molto d’accordo e lo accompagnava
spesso nella sua quotidianità.

Pag 24
“La perrilla se sentaba enfrente de mí, sobre sus dos patas de atrás, y me miraba, con la cabeza
ladeada, con sus ojillos castaños muy despiertos;” ⇨
viene descritta quasi con affetto, con
tenerezza, è la cagnolina che lo accompagna sempre e che con i suoi occhietti lo guarda sempre.

“yo le hablaba y ella, como si quisiese entenderme mejor, levantaba un poco las orejas; cuando me
callaba aprovechaba para dar unas carreras detrás de los saltamontes, o simplemente para cambiar
de postura. Cuando me marchaba, siempre, sin saber por que, había de volver la cabeza hacia la
piedra, como para despedirme, ” ⇨ questa è la consuetudine, quello che hanno sempre fatto.

“y hubo un dia que debió parecerme tan triste por mi marcha, que no tuve más suerte que volver
sobre mis pasos a sentarme de nuevo” ⇨ il cane era triste del suo andare via e lui colpito da questa
tristezza torna indietro per sedersi di nuovo vicino a lei

“La perra volvió a echarse frente a mí y volvió a mirarme; ahora me doy cuenta de que tenía la
mirada de los confesores, escrutadora y fría, como dicen que es la de los linces… Un temblor
recorrió todo mi cuerpo; parecia como una corriente que forzaba por salirme por los brazos.” ⇨
L’unica manifestazione della cagnolina è la tristezza per l’abbandono, eppure gli occhietti descritti
teneramente prima diventano occhi freddi e scrutatori. Lui si sente in qualche modo giudicato,
osservato con un atteggiamento giudicante.

“El pitillo se me había apagado, la escopeta, de un solo caño, se dejaba acariciar, lentamente, entre
mis piernas. La perra seguía mirándome fija, como si no me hubiera visto nunca, como si fuese a
culparme de algo de un momento a otro” ⇨ lui sente che c’è un atteggiamento giudicante dall’altra
parte, in questo caso dall’altra parte c’è solo una cagnolina triste, ma in altri casi dall’altra parte ci
saranno delle persone.

“y su mirada me calentaba la sangre de las venas de tal manera que se veía llegar el momento en
que tuviese que entregarme; hacía calor, un calor espantoso, y mis ojos se entornaban dominados
por el mirar, como un clavo, del animal.
Cogí la escopeta y disparé, volví a cargar y volví a disparar. La perra tenía una sangre oscura y
pegajosa que se extendía poco a poco por la tierra” ⇨
non ci offre di sé l'immagine del povero
bambino vittima di violenze e che poi arrivera a fare quello che ha fatto. Lui è parte di questo
sistema di violenza che si manifesta in una forma quasi brutale fin dall’infanzia.

Una delle ragioni per le quali, forse, questa scena risulta più crudele rispetto alle altre uccisioni, è
perché è completamente immotivata. Questa povera creatura, in questo caso l’animale, che fine un
attimo prima è descritta come una compagna con cui ha un rapporto, eppure basta un attimo: l’idea
di essere giudicato lo porta a perdere completamente la lucidità.
La rabbia lo porta a sparare con una freddezza assoluta, freddezza che riconosce negli occhi
dell’animale, non una ma due volte spara, e ne descrive poi il corpo morto con una freddezza rara.

L’idea del giudizio ritorna nelle scene in cui uccide delle persone, infatti questo episodio risulta quasi
come una sorta di anticipazione di ciò che accadrà a seguire nel testo.

Quando studiamo l’opera di Cela dobbiamo tenere sempre a mente da un lato il rapporto con la
tradizione picaresca e paratesti, mentre dall’altra parte della violenza e della rappresentazione
estremamente violenta della realtà.

Dietro questo universo c’è la guerra civile spagnola, e rientra in un filone di romanzi che insistono
sulla guerra non come oggetto principale della narrazione ma come secondario e che insistono sulla
possibilità della violenza umana soprattutto in questa fase storica.

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