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La narrativa cinese del Novecento

Lingua e letteratura cinese (Università degli Studi di Torino)

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1 – INQUADRAMENTO STORICO

La definizione di letteratura cinese moderna è molto legata alle definizioni politicizzate di modernità. La
visione convenzionale, portata avanti dai critici letterari del 4 maggio prima, e dagli eredi marxisti di tale
movimento poi, è che la letteratura cinese moderna sia nata nel 1918 con il racconto “Diario di un Pazzo” di
Lu Xun 鲁迅. La nascita di una letteratura socialmente e culturalmente impegnata avrebbe poi condotto
alla nascita della letteratura rivoluzionaria tra gli anni ’20 e ’30, e alla letteratura di classe di Yan’an, che a
sua volta fu il modello della letteratura della neonata RPC. A partire dagli anni ’80 la critica cinese ha
rivalutato questa visione, e ha cercato di riscrivere la storia letteraria, includendo diversi autori che erano
stati esclusi dalla visione maoista della letteratura moderna, e dando vita a un quadro della letteratura
cinese molto più eterogeneo. I critici occidentali inoltre hanno cercato “modernità alternative” al 4 maggio,
ad esempio nella tarda narrativa di epoca Qing o nel modernismo.
La seguente periodizzazione della letteratura moderna cinese si ispira alla rappresentazione convenzionale
della RPC, ma è bene notare che ciascuna periodizzazione risente di una visione politica, e può essere
dunque opinabile.

La tarda epoca Qing (1895-1911)


I due più importanti fattori che hanno modellato la storia cinese nel XVIII sec. sono l’imperialismo e la
disintegrazione interna del paese. Le prime reazioni all’imperialismo occidentale e giapponese furono il
tentativo di adottare le scienze occidentali, nella convinzione che esse non avrebbero intaccato l’essenza
della cultura cinese. Con l’umiliante sconfitta nelle guerre sino-giapponesi (1894-95) però, gli intellettuali
portarono la riflessione anche sul piano culturale e ideologico, chiedendosi se non ci fosse nella cultura
cinese un qualcosa che impedisse il rafforzamento del paese e la possibilità di competere alla pari con le
potenze dell’epoca.
Nella maggior parte dei casi, gli intellettuali di tarda epoca Qing non cercarono di demolire la tradizione, ma
piuttosto di rimuovere gli aspetti più negativi, infondendo alcuni ideali occidentali all’interno della cultura
cinese. Un esempio di questo tipo di riformatore è Kang Youwei 康有为, che reinterpretò i testi confuciani
e descrisse Confucio non più come un nostalgico che tendeva a un’età dell’oro passata, ma come un
riformatore progressista. Tan Sitong 谭 嗣 同 invece attaccò l’idea di li e pose al centro del pensiero
confuciano il ren (benevolenza). Naturalmente furono molto importanti in questo periodo le traduzioni, in
particolare quelle di Yan Fu 严复, che tradusse opere occidentali sulle varie scienze; e quelle di Lin Shu 林纾,
che invece tradusse romanzi perlopiù europei. Queste traduzioni contribuirono a portare concetti
occidentali come evoluzione, progresso e individualismo al centro del discorso cinese sulla modernità, e a
dare a tali concetti una forma narrativa.
La nascita di questo discorso sulla modernità non sarebbe stata possibile senza la diffusione di una cultura
di stampa commerciale, che fiorì soprattutto dopo il 1905 con l’abolizione degli esami imperiali e la
conseguente necessità per i letterati di trovare altri modi di sostentamento. Una figura centrale in questo
campo fu quella di Liang Qichao 梁启超, che fondò diversi giornali contribuendo anche con i suoi scritti, in
cui fornì ai lettori cinesi una prima visione dei paesi occidentali, criticando alcuni aspetti della cultura cinese
e promuovendo una riforma politica, sociale e letteraria.
Assieme al discorso sulla modernità cominciarono a svilupparsi dei cambiamenti anche in letteratura. Le
scuole dominanti dell’epoca erano la Tongcheng e la Wenxuan. La Tongcheng, di cui facevano parte anche
Yan Fu e Lin Shu, si rifaceva al guwen, lo stile di prosa antico ispirato ai maestri di epoca Tang. Nel tradurre i
suoi romanzi Lin Shu adoperava il guwen, e non lo stile vernacolare, in quanto voleva rendere i romanzi
occidentali rispettabili ai lettori cinesi, e allo stesso tempo rinvigorire la prosa antica attraverso le nuove
tematiche dei romanzi occidentali. Lo stile di Lin Shu non è d’altronde così tradizionale, dato che è ricco di
termini stranieri, e i lettori erano soprattutto interessati ai contenuti dei romanzi, più che allo stile della
prosa. La scuola Wenxuan promuoveva invece un’elegante prosa parallela come simbolo dello stile cinese,
in opposizione alla dinastia straniera dei Qing. Al di fuori di queste correnti, Liang Qichao guidava un

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movimento di nuova poesia e di nuova prosa, che avrebbe avuto un’influenza importante sulla nascita di
una lingua vernacolare moderna nel periodo del 4 maggio. Il contributo più importante di Liang Qichao alla
letteratura fu però la sua promozione del romanzo in quanto strumento di riforma nazionale: grazie alla sua
capacità di immergere il lettore in un altro mondo infatti, il romanzo sarebbe in grado di rinnovare la
moralità, l’orientamento politico, i costumi sociali e la mente stessa del lettore. A seguito della spinta da
parte di Liang per un nuovo romanzo politico, si assistette a un’esplosione del romanzo in tarda epoca Qing,
con la pubblicazione di una grande varietà di romanzi che risentivano dell’eredità dei romanzi premoderni
Qing, ma che sperimentavano anche con le nuove correnti ispirate alla narrativa occidentale. Naturalmente
non tutti i romanzi avevano carattere politico, e la maggior parte si preoccupava più che altro di divertire e
intrattenere il lettore.
In generale, la tarda epoca Qing fu il periodo di passaggio dal concetto di wen (insieme variegato di generi
in prosa e in poesia portato avanti da letterati non per profitto ma per coltivazione personale) al concetto di
wenxue (visione occidentale della letteratura in quanto campo separato dalle altre aree della società, e
limitata ai generi del romanzo, della poesia e del testo teatrale).

Il quattro maggio: il movimento iconoclasta e il discorso sulla modernità (1915-1925)


Nonostante il significato del quattro maggio e il suo legame con la nascita della moderna letteratura cinese
siano ancora discussi, questo movimento è sicuramente importante se si discute di letteratura cinese
moderna. Il termine deriva dall’incidente del 4 maggio 1919 (in cui a seguito del trattato di Versailles, con
cui si cedevano territori nello Shandong al governo giapponese, gli studenti universitari di Pechino
marciarono verso piazza Tiananmen in segno di protesta) e indica un più ampio movimento culturale,
chiamato anche movimento di nuova cultura, diverso ma fortemente legato al nazionalismo anti-
imperialista espresso dalle dimostrazioni studentesche e dal movimento patriotico che ne seguì su scala
nazionale. Centrale nel movimento del 4 maggio è l’iconoclastia, un attacco totale portato avanti da diversi
intellettuali occidentalizzati come Lu Xun e Chen Duxiu 陈 独 秀 contro la tradizione e in particolare il
confucianesimo, il quale si riteneva intrappolasse l’individuo in una rete sociale. La liberazione
dell’individuo da questa rete avrebbe portato alla nascita di una nuova forza dinamica al servizio della
società cinese.
Un elemento importante della lotta al tradizionalismo era la lingua. Si portava avanti una battaglia per la
vernacolarizzazione della letteratura, in particolare letterati del 4 maggio come Hu Shi, negando la
vernacolarizzazione già avvenuta a fine epoca Qing, supportavano l’adozione di una lingua vernacolare per
tutti i generi letterari, con la motivazione che, essendo vicina al parlato, tale lingua può meglio esprimere la
realtà sociale ed emotiva degli individui, servendo anche da nuova lingua nazionale.
I primi a rispondere a questa chiamata per la vernacolarizzazione furono i poeti, che sperimentarono nuove
forme poetiche in lingua vernacolare e verso libero. Per quanto riguarda la prosa, alcuni autori seguono il
realismo, descrivendo una realtà che l’ideologia tradizionale tendeva a nascondere; mentre altri seguivano
una modalità espressiva romantica come espressione di sé (tra tutti Yu Dafu e Guo Moruo rispettivamente
per prosa e poesia. Altri ancora non si curavano tanto dei contenuti quanto piuttosto della forma e
dell’estetica del testo. Tutti questi autori erano però accomunati dal fatto di sperimentare con la nuova
lingua letteraria nazionale, un misto di vernacolare premoderno, lo “stile nuovo” di Liang Qichao, forme
grammaticali occidentali e giapponesi, prestiti stranieri, e residui di cinese classico.
I letterati del 4 maggio erano inoltre accomunati dal disprezzo nei confronti della letteratura non impegnata
di intrattenimento, che essi definivano “letteratura delle farfalle e delle anatre mandarine”, e che era molto
popolare all’epoca. I letterati del 4 maggio si separavano chiaramente da questo tipo di letteratura, e
differivano anche nello stile: se la letteratura delle farfalle ereditava lo stile del romanzo di tarda epoca
Qing e le forme espressive tradizionali, i letterati del 4 maggio svilupparono una prosa di ispirazione
occidentale e giapponese, sperimentando con nuove modalità narrative e poetiche ispirate all’occidente.
Un importante fenomeno di questo periodo fu la nascita delle società letterarie, che fornì uno spazio in cui
gli autori poterono pubblicare i loro scritti, esponendo il proprio manifesto, portando avanti dibattiti e

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polemiche. Altrettanto importante fu inoltre l’emergere di numerose scrittrici, come mai era accaduto in
passato, le quali si dedicavano soprattutto alle storie d’amore o di vita domestica.

Diversificazione letteraria negli anni ’20 e ’30: letteratura di sinistra, modernismo e nativismo
Anche se l’importanza della letteratura di sinistra è stata esagerata dall’interpretazione maoista, è indubbio
che dopo il periodo del 4 maggio si assiste a una svolta a sinistra della letteratura e di un gran numero di
autori. Ciò è da attribuirsi agli avvenimenti socio-politici dell’epoca: dal successo della spedizione verso
nord che aveva riunito la Cina dopo molti anni di dominio dei signori della guerra, all’avvento
dell’imperialismo giapponese e del fascismo del guomindang, negligente nei confronti dei problemi sociali.
In questo periodo apparvero i primi critici del movimento del 4 maggio, tra cui Qu Qiubai 瞿 秋 白 , che
accusava i letterati del 4 maggio di essere troppo elitari nelle loro forme espressive occidentalizzate, e
proponeva una letteratura più vicina alle masse, così da poter davvero essere strumento di riforma sociale.
Si arrivò anche a criticare la stessa figura di Lu Xun, visto come padre della letteratura moderna e
incarnazione dell’illuminismo del 4 maggio, affermando che la Cina non aveva più bisogno delle atmosfere
cupe di Lu Xun, ma di una letteratura più positiva che conducesse a un glorioso futuro rivoluzionario.
Questi critici promotori di una letteratura rivoluzionaria appartenevano alla classe borghese ed erano
delegittimati dal fatto che Marx aveva scritto che gli autori borghesi non possono che scrivere nell’interesse
della propria classe. Essi cercarono di aggirare questo impedimento affermando che un letterato borghese
può trascendere i confini della propria classe qualora sperimenti la vita delle classi più basse. Gran parte dei
dibattiti negli ambienti di sinistra dell’epoca si fondava proprio sul ruolo che gli intellettuali borghesi
potevano avere nel campo della letteratura rivoluzionaria. Il PCC creò così la Lega degli Scrittori di Sinistra,
che riuniva autori di diverse correnti, e la cui produzione risultò in un’imperfetta realizzazione delle
prescrizioni marxiste, con una predominanza dei modelli letterari del realismo e della satira.
Oltre alla letteratura di sinistra in questo periodo erano attive diverse altre correnti letterarie, tra cui la
letteratura delle farfalle, ancora molto popolare (il romanzo “Famiglia” 家 di Ba Jin 巴金 fu molto popolare
proprio perché adottò alcuni elementi della letteratura delle farfalle), e la corrente dei neosensisti 新感觉
派, composta da autori affiliati alla rivista Xiandai 现代, e che proponevano opere volontariamente opposte
a quelle richieste dai sostenitori della letteratura rivoluzionaria. Tendenze moderniste erano inoltre molto
forti in poesia, con autori come Dai Wangshu e Li Jinfa che sperimentavano forme simboliste di poesia.
Gli anni ’30 videro anche l’ascesa di scrittori Sheng Congwen e Feng Wenbing, le cui opere descrivono la
vita rurale in maniera nostalgica e con un tono lirico. Queste opere mancano del carattere politico tipico
della letteratura rivoluzionaria di sinistra, ma fanno uso di un linguaggio folkloristico e di trame centrate su
tematiche primitive universali. Shen viene considerato uno scrittore nativista che racconta la sua terra
natale nello Hunan, e che riesce a resistere a quelle prescrizioni politiche che emanavano dalla sinistra. In
seguito, la pressione della guerra contro il Giappone e del realismo sociale proveniente dall’ambiente
rivoluzionario, fecero sì che verso la fine degli anni ’30 i tentativi di portare avanti una letteratura non
politica diminuissero, senza però sparire del tutto.

Il periodo della guerra: letteratura e salvezza nazionale (1937-1945)


Il periodo della guerra, in cui il paese era diviso in 3 (i giapponesi occupavano la costa a est, i comunisti
l’area attorno a Yan’an nel nord-ovest e il Guomindang il sud-ovest) è erroneamente descritto dagli storici
marxisti come un periodo di grande omogeneità in cui i vari autori abbandonarono le loro motivazioni
personali per dedicarsi alla causa politica e alla salvezza nazionale. In realtà se si prendono in
considerazione le 3 parti in cui era divisa la Cina, emerge un quadro letterario molto eterogeneo. Va detto
però che in questo periodo si assiste anche a una svolta verso una maggiore omogeneità: le varie correnti si
perdono gradualmente di fronte alla marea della letteratura rivoluzionaria e di salvezza nazionale, mentre
l’ideale del 4 maggio del letterato come “coscienza critica” viene fortemente criticato durante la guerra.

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Nei primi anni di guerra molti autori entrarono a far parte della Lega degli scrittori per la resistenza, che
includeva autori di diverso orientamento politico, uniti per fare propaganda anti-giapponese e produrre
opere sulla salvezza nazionale. Tali opere dovevano essere appetibili sia per la popolazione rurale che per
quella urbana e dovevano essere di facile fruizione per le masse, si trattava di forme letterarie come i
racconti, le ballate, l’opera, o le canzoni accompagnate da tamburo pechinesi. Furono inoltre prodotte
nuove forme espressive come gli spettacoli di strada, brevi spettacoli propagandistici rappresentati nei
villaggi. Il successo di questa produzione non significa però che non ci fossero dibattiti nel mondo letterario:
Hu Shi ad esempio vedeva questa evoluzione come regressione rispetto alle conquiste del 4 maggio con la
sua letteratura cosmopolita, inoltre verso la fine della guerra si torna nuovamente a un panorama più
eterogeneo, in particolare nell’area del Guomindang, dove il realismo e il romanticismo tornarono in auge
con opere come quelle di Sha Ting 沙汀, che descrivevano i problemi sociali sotto il Guomindang.
Nelle aree occupate, anche se gli spettacoli teatrali erano occasionalmente utilizzati allegoricamente come
mezzi di resistenza, la letteratura di intrattenimento era all’ordine del giorno, in particolare Zhang Ailing 张
爱 玲 (Eileen Chang) scrive 传 奇 (1943), una delle opere più importanti e sofisticate della moderna
letteratura cinese.
A Yan’an il PCC promosse la letteratura di difesa nazionale e l’uso di forme nazionali. Scrittori urbani di
classe borghese come Ding Ling si recarono a Yan’an inseguendo il sogno rivoluzionario, ma trovarono una
realtà ben diversa da quella promessa. Con l’appoggio del PCC essi scrissero dei vari problemi a Yan’an,
come i privilegi del partito, la disuguaglianza tra uomini e donne, la mancanza di libertà di parola. Mao
Zedong decise così di tenere i cosiddetti “discorsi di Yan’an”, in cui riassunse la politica culturale del partito:
la letteratura deve servire la politica, e gli autori devono scrivere riguardo alle masse di lavoratori, contadini
e soldati. Mao si oppose invece a tutto ciò per cui Lu Xun si era battuto: l’autonomia intellettuale e la
coscienza critica dello scrittore.

Il primo periodo post-rivoluzionario: il romanticismo rivoluzionario (1949-1966)


Dopo la rivoluzione, il PCC cominciò a imporre i dettami dei discorsi di Yan’an, promuovendo l’uniformità
letteraria soprattutto attraverso le istituzioni e le campagne culturali. L’industria dell’editoria fu
nazionalizzata e gli scrittori furono riuniti nell’Associazione degli Scrittori Cinesi, uno strumento utile al
partito per monitorare le attività culturali. La pluralità nel campo letterario, con le varie correnti e riviste, fu
distrutta con successo, e la censura entrò in funzione con il rifiuto di pubblicare opere che non rispettavano
i canoni dettati dal partito. Anche prima degli eccessi della RC e del grande balzo in avanti, gli anni ’50
videro diverse campagne contro alcuni scrittori e intellettuali, finalizzate a far capire cosa il partito avrebbe
o non avrebbe tollerato.
Anche in una situazione del genere, i prodotti culturali dei primi anni della RPC non furono solo uniforme
propaganda politica. Ci furono anche periodi di distensione dei controlli, come con la campagna dei cento
fiori (1956-57), quando Mao incoraggiò gli scrittori a parlare dei problemi della nuova società. Questi ultimi
accolsero l’invito con una tale veemenza che il partito invertì subito la rotta, e durante la campagna contro
la destra (1957-58) criticò quegli stessi autori che aveva prima incoraggiato a parlare, colpendo almeno un
migliaio di autori in quella che fu la più virulenta campagna culturale, presagio della rivoluzione culturale.
Gli scrittori dovevano seguire la formula dei “contadini, lavoratori e soldati” imposta da Mao durante i
discorsi di Yan’an, e i modelli letterari prescritti erano il realismo socialista e il “realismo rivoluzionario
combinato col romanticismo rivoluzionario”. La produzione di questi anni consiste perlopiù in piatte opere
di propaganda, che il pubblico però apprezzava sinceramente, commuovendosi per le storie e gli ideali di
amore, rivoluzione e costruzione di una nuova società descritti in romanzi come “canto di gioventù” 青春之
歌 , di Yang Mo 杨 沫 . Anche la poesia (spesso narrativa) e il teatro tradizionale furono promossi dal
governo, ma questi non raggiunsero la stessa popolarità dei romanzi.

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La Rivoluzione Culturale: lotta di classe (1966-76)


Mao lanciò al Rivoluzione Culturale anzitutto per motivi politici (aveva perso il controllo della vasta
burocrazia del PCC in favore dell’ala più pragmatica del partito), ma anche per riaccendere una cultura che
secondo lui era diventata compiacente nei confronti dei valori borghesi. Mao diede l’ordine di prendere di
mira i 4 vecchiumi (idee, cultura, costumi e abitudini), in un tentativo di distruggere completamente i
residui della società tradizionale cinese assieme agli elementi di influenza occidentale. Ciò avvenne
attraverso la distruzione da parte delle giovani guardie rosse di molti libri e dei templi e palazzi antichi. I
letterati del 4 maggio furono presi di mira, criticati e puniti, con l’eccezione di Lu Xun, che fu tra i pochi a
sfuggire alla follia dell’epoca. Durante la RC l’attività culturale cessò e le istituzioni culturali chiusero, gli
scrittori smisero di scrivere e cercarono altre attività per sostentarsi; coloro che scrissero appartenevano a
una generazione più giovane, tra cui Hao Ran 浩然, i cui romanzi rispecchiano l’estetica di eroismo e lotta di
classe di quegli anni.
La forma di produzione culturale più importante durante il periodo della RC fu però il teatro: opere di
Pechino come “La lanterna rossa” o balletti come “La ragazza dai capelli bianchi” erano studiate per
rappresentare i valori della lotta di classe della sinistra radicale. Il teatro era sotto il controllo di Jiang Qing,
la moglie di Mao, che attraverso queste opere supportava il maoismo, si esercitava nel campo politico e
culturale, e forse portava avanti anche un’agenda femminista. Le opere teatrali, con i loro costumi, i balli e
le acrobazie erano davvero apprezzate dal pubblico, e la produzione di questi anni non è anomala come
alcuni la descrivono, ma ha le sue radici almeno nella fine dell’epoca Qing.
Da segnalare inoltre che circolavano illegalmente opere in prosa e poesia straniere o romanzi popolari.

Post-Mao: il ritorno della modernità (1977-1989)


Con la morte di Mao dopo la Rivoluzione Culturale e la liberalizzazione della politica culturale del partito, si
assiste a una fioritura della letteratura cinese paragonabile al movimento del 4 maggio. Come gli scrittori
del 4 maggio volevano superare una morente tradizione confuciana, così gli scrittori post-mao
desideravano liberarsi da una ugualmente oppressiva tradizione maoista; come gli scrittori del 4 maggio
volevano istituire una nuova lingua che non fosse quella letteraria, così gli scrittori post-mao cercavano una
lingua non contaminata dal maoismo. Inoltre in questo periodo così come durante il periodo del 4 maggio
emersero numerose scrittrici, fra tutte Wang Anyi 王安忆.
La letteratura post-mao si manifesta attraverso diverse correnti: la poesia oscura (poesia fortemente
personale in contrasto con quella narrativa precedente), la letteratura delle ferite (romanzi che descrivono
le sofferenze psicologiche patite durante la rc), la letteratura delle radici (romanzi che propongono un
ritorno a una cultura cinese autoctona), e l’avanguardia (romanzi post-moderni che mettono in dubbio la
validità di concetti come il progresso). Naturalmente non tutte le opere possono essere associate con
precisione a un certo movimento, e possono essere più vicine a uno piuttosto che a un altro. In generale si
nota una sempre più radicale critica al modello del socialismo: se nella letteratura delle ferite i periodi
peggiori sono imputati perlopiù alla banda dei quattro, giunti all’avanguardia a fine anni ‘80 si arriva a
criticare i valori al centro del socialismo, in una progressiva radicalizzazione che avrebbe portato ai
movimenti di protesta del 1989. Un altro fenomeno importante degli anni ’80 è l’arrivo della cultura
commerciale di Taiwan e Hong Kong, con i romanzi delle scrittrici San Mao e Qiong Yao che conquistano il
pubblico e contribuiscono alla commercializzazione della produzione culturale negli anni ’90.

Il post-Tiananmen: l’ascesa della cultura consumistica (1989-)


Dopo la repressione di Tiananmen i conservatori riemersero a proporre un ritorno alla cultura socialista che
era stata cancellata nel corso degli anni ’80. Alcuni scrittori coinvolti nel movimento dell’89 vennero
arrestati, altri lasciarono il paese e cominciarono una produzione in esilio in particolare attorno alla rivista
Jintian, che era stata chiusa in Cina e che divenne un punto di riferimento fondamentale per la produzione
letteraria degli autori cinesi in esilio.

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Il fenomeno più importante in questo periodo è però la commercializzazione della produzione culturale,
incarnata perfettamente da Wang Shuo, considerato il fondatore della letteratura punk 痞 子 文 学 , i cui
romanzi fanno uso delle forme tipiche del romanzo popolare per inserirsi in un contesto di malcontento che
lo ha reso estremamente popolare tra i giovani lettori. Non tutti gli scrittori si sono però arresi alla
commercializzazione: alcuni poeti come Xi Chuan 西川 hanno dato vita a un culto della poesia fortemente
elitario, mentre Gao Xingjian 高行健 ha portato avanti una visione umanista della letteratura, con un credo
vagamente taoista per cui il letterato dovrebbe ritirarsi dalla vita politica. Altri scrittori come Su Tong 苏童
e Yu Hua 余华 hanno cercato un compromesso tra l’avanguardia e la letteratura popolare.
Gli anni ’90 vedono anche un ritorno del romanzo realista, in particolare romanzi di ambientazione urbana
che descrivono realisticamente i problemi della vita nella Cina capitalista post-socialista. Interessante è
inoltre l’emergere di una letteratura di internet, che vede il proliferare di poeti d’avanguardia elitari, così
come di generi popolari di romanzo. Scrittori molto famosi come Han Han 韩寒 e Guo Jingming 郭敬明
hanno raggiunto un enorme pubblico online.

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2 – LU XUN E LA NARRATIVA SOCIALE

Individuo e tradizione: la cultura cannibale


L’opera che dà inizio alla narrativa cinese moderna è Diario di un pazzo 狂人日记 di Lu Xun, un racconto
breve pubblicato nel 1918 sulla rivista progressista “Gioventù Nuova”. L’opera rappresenta una critica
feroce ai valori della tradizione cinese, in particolare a quella ripetitiva e anacronistica interpretazione del
pensiero confuciano, che intrappola l’individuo all’interno di una rete di rapporti sociali regolata dal
principio del li, all’esterno della quale egli non può sopravvivere, impedendone così l’emancipazione
(questa sarà una delle immagini più ricorrenti tra gli scrittori del ‘900, e uno dei rovelli esistenziali e
ideologici per tutto il secolo). Lu Xun porta avanti la sua critica attraverso la figura di un pazzo,
paradossalmente una figura antitetica rispetto al letterato che egli è. L’intellettuale antitradizionale e il
pazzo si fondono nella figura del letterato eccentrico, il cui ruolo è quello di delegittimare il sistema di valori
vigente decodificando la realtà circostante. Il prologo del racconto è scritto in lingua letteraria e permette a
Lu Xun di proiettare la sua narrazione sul piano del passato e del presente, coesistenti nella società e nella
cultura cinesi da lui descritte. Qui veniamo a sapere che un giovane affetto da una grave forma di mania di
persecuzione, una volta guarito, mette a disposizione un diario della sua malattia. Nel diario si rivive il
crescendo della sua follia, che si manifesta nella convinzione che la società cinese pratichi da sempre il
cannibalismo mascherato dietro ai valori del confucianesimo. Egli si sente al tempo stesso complice di
questa pratica, ma anche vittima imminente, con il dottore che viene a visitarlo identificato come il boia, e
la sua stessa famiglia coinvolta nel complotto.
Diario di un Pazzo è il primo racconto in baihua di Lu Xun, e apre la raccolta Nahan 呐喊 (grida), capolavoro
e sintesi della letteratura cinese moderna. La scrittura di Lu Xun sancisce un rinnovamento radicale delle
forme espressive della narrativa cinese, e nell’alternanza tra lingua letteraria e baihua (dal prologo al testo
principale) si rivendica la doppia origine della narrativa cinese. La lingua adoperata da Lu Xun fonde la
tradizionale concisione della lingua letteraria con la rapidità delle immagini della narrativa occidentale,
ispirate in particolare a quella russa. La capacità di evocare atmosfere e personaggi in pochi tratti sembra
invece derivare dalla poesia tradizionale cinese.
Nella narrativa di Lu Xun l’individuo irrompe all’interno delle tecniche narrative e della coscienza dell’élite
cinese del primo Novecento. Il personaggio risalta anzitutto sul piano descrittivo e lessicale, e viene
frequentemente descritto attraverso gli occhi e gli sguardi. Dal punto di vista psicologico tale
rappresentazione dell’individuo ne sancisce anche una prima affermazione sociale, sottolineando la
tensione tra io e altro intesi come soggetto-individuale e oggetto-mondo, una concezione sicuramente
ispirata alle filosofie occidentali di cui Lu Xun aveva letto in Giappone. Da questo racconto in poi il rapporto
tra il soggetto osservatore e l’oggetto osservato passa spesso attraverso gli sguardi, che in Diario di un
pazzo sono sguardi feroci e cannibali. Attraverso questi stratagemmi Lu Xun mette in discussione tutti i
valori cardine del confucianesimo, evidenziandone l’aberrazione e prendendo come bersaglio polemico ad
esempio l’educazione e la cultura tradizionale, il rapporto tra genitori e figli (relazioni codificate da
Confucio), il rapporto tra clan e individuo o il rapporto tra comunità e individuo, mostrando come essi siano
degradati all’interno di una società cinese decadente e schiacciata dal peso di una tradizione vetusta.
L’immagine data da Lu Xun è estremamente pessimista, e paragona il popolo cinese a un gruppo di persone
rinchiuse in una casa di ferro che dorme ignara del fatto che presto soffocherà. Eppure al termine del
racconto egli fa trasparire la sua componente riformista e lascia una speranza, affermando che il
cambiamento deve partire da ciascun individuo per poter creare una società migliore. Lu Xun qui riprende
l’umanesimo confuciano rivendicandone il valore contro un’interpretazione formalista e autoritaria. A
questa voce di speranza segue però l’amara scoperta che anche il protagonista e suo fratello si sono
macchiati inconsapevolmente del crimine, poiché non ci si può sottrarre al processo di trasformazione in

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mangiatori di uomini, così il diario si chiude con un disperato appello per salvare i bambini, gli unici a non
avere ancora subito il modello educativo e di rapporti tradizionale.

Se la raccolta Grida è impregnata di uno spirito di ribellione, la seconda raccolta di racconti di Lu Xun,
Esitazione 彷徨 (Panghuang, 1926) è invece più riflessiva e malinconica. Qui la critica di Lu Xun è indirizzata
a tutta la nazione e alla cultura cinesi, incapaci di trovare la forza per riformare le antiche tradizioni e così
impossibilitate a sopravvivere nel confronto impari con le nazioni occidentali. Lu Xun ritiene come altri
intellettuali del 4 maggio che il letterato debba essere una voce critica, e che debba spingere a un
cambiamento che parte dal singolo individuo, per estendersi poi a tutta la società.
In Diario di un pazzo si fa riferimento a un mantou farcito con il sangue di un condannato a morte per
curare la tubercolosi. Da questo dettaglio Lu Xun costruisce il racconto “Medicina” 药 , in cui viene
rappresentato il dramma di una nazione “malata” incapace di riformare la propria cultura e le proprie
istituzioni. In questo racconto il giovane Hua, malato ai polmoni, viene costretto a mangiare il mantou dal
padre perché guarisca, ma la medicina fallisce e il giovane muore. Anche il giovane rivoluzionario Xia viene
giustiziato per aver partecipato ai moti del 1911, ma il suo sacrificio non scuote una folla indifferente e
inconsapevole del proprio stato di schiavitù morale, che anzi condanna il suo gesto come criminale. I
cognomi dei due giovani (华 e 夏) sono sinonimi di Cina, per cui essi rappresentano la nazione che da un
lato muore a causa della superstizione, e dall’altro a causa di una rivoluzione fallimentare.
Alle masse Lu Xun dedica il racconto “La vera storia di A Q” ( 阿 Q 正 传 , 1921), in cui si narra di un
bracciante trentenne tuttofare a cui non è dato neanche il diritto di avere un nome ( 阿 è il prefisso
colloquiale per i nomi, mentre Q fa riferimento all’uso dell’epoca di usare lettere dell’alfabeto latino, ed è
utilizzata perché nessuno voleva che un tale personaggio appartenesse al proprio clan), cosicché egli non fa
parte né di un clan né di una comunità. Il carattere di A Q è ostinato e invidioso, ed egli cerca di migliorare
la propria posizione prima cercando di procurarsi una donna per soddisfare i primari bisogni sessuali, poi
cercando di guadagnare soldi vendendo in campagna oggetti rubati in città, e infine cercando di partecipare
alla rivoluzione. Egli però fallisce tutti i suoi obiettivi e finisce per essere condannato a morte per un furto
che non ha commesso ma che avrebbe voluto commettere, non capendo nemmeno i motivi per cui ha
fallito. A Q rappresenta l’intero popolo cinese in tutte le sue classi, vittima e complice allo stesso tempo dei
suoi persecutori, egli nei suoi continui fallimenti persiste nel vantarsi di vittorie morali esattamente come il
popolo cinese, che si rifugia nell’inutile orgoglio della propria cultura e della propria tradizione. Pur essendo
una figura così tragica, Lu Xun scrive il suo racconto con un forte distacco dal protagonista, così che il
lettore non riesce a immedesimarsi né ad empatizzare con AQ.
La denuncia contro il protrarsi dei modelli sociali e culturali definiti cannibali, ma anche una manifesta
inquietudine nello scoprire i limiti dell’intellettuale nell’opporvisi, sono i temi principali del racconto
“Sacrificio di Capodanno”, in cui si narra di una forte lavoratrice che rimane vedova ed è costretta dalla
suocera a risposarsi. Accettata dopo inutili resistenze la sua nuova condizione di moglie schiava, finisce per
perdere anche il secondo marito e il figlio, divorato dai lupi. Alla drammatica condizione di donna non in
grado di decidere del proprio destino, si aggiunge la superstiziosa etichetta di iettatrice che le viene
attribuita al villaggio, e che la isola da ogni legame sociale, rendendola mendicante e conducendola infine
alla morte. Lu Xun si scaglia qui contro il li, rito secolare e distruttivo che impone il sacrificio dell’individuo, a
cui si sovrappongono le convenzioni e una concezione superstiziosa di questo e dell’altro mondo.
Il rapporto di Lu Xun con la tradizione è un rapporto molto problematico, egli è grande conoscitore della
tradizione cinese, da cui peraltro è influenzato per certi versi, ad esempio nella sua preoccupazione tutta
confuciana e nell’idea di sacrificio per il bene del popolo. Tale complessità si manifesta anche nei rapporti
con l’Occidente, a cui è dedicato il racconto “Sapone” 肥皂 Feizao (1924), dove una merce di provenienza
straniera mette a nudo arretratezza e ipocrisia della mentalità del cinese medio. Il protagonista acquista del
sapone per regalarlo alla moglie, e le racconta di aver visto una giovanissima mendicante a cui dei ragazzi
facevano irriguardose osservazioni sulla sua pulizia corporale. Egli critica i giovani puntando il dito contro le

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nuove mode giovanili e la corruzione dei costumi dei giovani, lasciando trasparire un desiderio nei confronti
della ragazza che egli chiama “figlia devota”, investendola di pietà filiale. Lu Xun fa apparire tale critica in un
tono fortemente ironico, evidenziando l’ipocrisia del suo protagonista.
Il racconto “Cordoglio” (伤逝 shangshi) infine, narra dell’intellettuale Juansheng, che dopo una travagliata
relazione lascia la sua ragazza. Venuto a sapere della morte della giovane, Juansheng ripensa con amara
nostalgia al passato e si pente di aver lasciato la ragazza. Il tono del racconto è più lirico rispetto all’ironia di
“Sapone”, e il senso di colpa che attanaglia Juansheng va inscritto nella crisi di valori degli intellettuali del 4
maggio, stretti fra nuovi modelli relazionali con l’altro sesso e l’insoddisfazione per la propria condizione
sociale ed economica. Il tema del libero amore sembra essere un pretesto per la liberazione dai modelli
tradizionali, dunque ancora una volta da quella tradizione che uccide il presente, ma anche il progressismo
non è esente da critiche, dato che il vano pentimento di Juansheng appare come una forma di
autocommiserazione che nasconde un certo narcisismo dell’intellettuale, che si ritroverà in particolare in Yu
Dafu e Guo Moruo.

Individuo e società: la solitudine dell’intellettuale


L’opera di Lu Xun è contraddistinta da compattezza e coerenza di argomenti, con i racconti delle prime due
raccolte che sembrano costituire un grande romanzo, e che uno a uno aggiungono un tassello all’immagine
del rapporto dell’autore con la società. Nei racconti di Lu Xun, oltre alla voce narrante e al protagonista, si
insinua spesso il personaggio della folla, che entra in conflitto con il narratore o il protagonista alter-ego
dell’autore. La folla costituisce in Lu Xun uno specchio e un pungolo per l’intellettuale, diviso tra
umanesimo e individualismo anarchico. Il difficile rapporto tra la massa e l’intellettuale è espresso in diversi
racconti, come ad esempio Medicina, in cui il rivoluzionario è visto come un alieno dalla gente della
locanda.
Nei racconti dal tono più lirico e malinconico, più tipici della raccolta Esitazione, emerge anche la
condizione di solitudine dell’intellettuale, che non riesce a trasmettere alle masse quel desiderio di
cambiare la società. Nel confronto con l’altro emergono il desiderio di emancipazione delle classi umili, ma
anche il fallimento dell’integrazione tra ceti più alti e più bassi. Questo duplice sentimento è espresso nel
racconto “Paese Natale”, in cui l’autore torna al villaggio natale e incontra il suo amico d’infanzia, figlio di
contadini. Quest’ultimo è diventato un adulto apatico, vittima della realtà che vive. Il tema del ritorno
caratterizza la letteratura del filone della “narrativa della terra natia”, di cui Lu Xun è iniziatore e che sarà
approfondita dagli scrittori della corrente di Pechino.
Il divario culturale e l’incomprensione si manifestano anche nell’ambito familiare dell’autore, come è
evidenziato nel racconto “Solitario”, il cui protagonista è altro sia rispetto alla famiglia che alla società. Wei
Lianshu è un insegnante di provincia disilluso e arresosi di fronte all’impossibilità di cambiare la società
cannibale. Il racconto inizia e si conclude con la descrizione di un funerale, in cui emerge il contrasto tra
l’atteggiamento del riformista e le aspettative della famiglia e della società.
In Lu Xun emerge chiaramente la frustrazione degli autori del 4 maggio nel non poter comunicare con le
masse, a cui pure vorrebbero prestare aiuto. Forse la solitudine dell’intellettuale è il tema principale dei
racconti, ancor più che gli aspetti riformisti. I protagonisti delle storie, nonostante l’uso della prima
persona, appaiono più come oggetti del racconto che non come soggetti: in essi, tragici ma impenetrabili
per via delle tecniche di scrittura utilizzate da Lu Xun, si legge più che altro la figura del narratore che è
testimone di tali miserie, ma che vi legge solo la propria solitudine e debolezza. Va comunque riconosciuto
a Lu Xun il merito di aver introdotto i personaggi più umili della società nella narrativa cinese.

Tra mito e contemporaneità


La raccolta “Antiche storie riscritte” (故事新编) fu pubblicata nel 1936, ma elaborata nel corso di oltre un
decennio, a partire dal 1922. Si tratta di una raccolta in cui Lu Xun rispolvera antichi miti cinesi,
reinterpretandone i personaggi, ad esempio rappresentando Nuwa nel racconto “Come fu riparato il cielo”
come una sensuale progenitrice che si prende cura dei primi uomini, in un racconto dall’evidente influenza

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freudiana. Nuwa non riesce a comunicare con gli uomini e parla loro in baihua, ma questi si esprimono solo
con versi incomprensibili scritti con forme arcaiche del cinese classico, in un contrasto dato dall’uso di
registri diversi, come se Nuwa rappresentasse una civiltà alternativa a quella tradizionale, che è incapace di
parlare al presente. La reinterpretazione del mito con gli occhi del presente si vede anche nel personaggio
dell’arciere Yi, che rappresenta il rivoluzionario fallito: il mitico eroe che ha abbattuto i nove soli di troppo è
ora un patetico uomo di mezza età che caccia soltanto animali domestici. Suscitano il riso anche un
Zhuangzi borioso e distratto nel suo dialogo con il teschio, e l’incomprensibilità verbale di Laozi nel suo
leggendario incontro con Confucio. In questa raccolta Lu Xun ribadisce fortemente la lontananza della
tradizione dal presente. Il tema dell’incomunicabilità tra intellettuali e masse ritorna nel racconto Qisi
(resuscitare i morti), in cui l’intellettuale Zhuangzi incontra un contadino ed è incapace di dargli risposte,
egli finisce per abbandonarlo alla giustizia per andare a filosofeggiare a casa del re.

Narrativa dei problemi: la voce dell’individuo


Il movimento studentesco del 4 maggio e la cultura a esso legata rappresentarono una rivoluzione sia
ideologica sia emotiva. La giovane età degli scrittori coinvolti nel movimento si manifesta nell’idealismo e
nella passione, due elementi distintivi della narrativa degli anni ’20, caratterizzata dalla fondazione di
diverse società letterarie, che riunivano scrittori dagli stessi ideali e dalle stesse concezioni artistico-
letterarie. Tra queste troviamo l’Associazione per gli studi letterari ( 文 学 研 究 会 ), nata nel 1921 e
patrocinata da Lu Xun, che metteva al centro della propria attività la creazione, la traduzione e lo studio
teorico-critico della narrativa. Tra i fondatori dell’associazione ci fu Zhou Zuoren, fratello minore di Lu Xun,
che introdusse il concetto di letteratura umana, ovvero quella letteratura che parla dei problemi degli
uomini 人 的 文 学 , e che diede impulso teorico alla prima corrente della narrativa cinese moderna: la
narrativa dei problemi 问 题 小 说 . Zhou Zuoren associava i concetti di umanità e individuo, negando il
contrasto tra questi due elementi, e sostenendo che la letteratura dovesse partire dall’individuo per
estendersi agli altri. La letteratura dell’individuo veniva contrapposta alla letteratura, ingiusta perché non
riflesso dell’intera umanità. Individuo e umanità costituiscono i due cardini dell’Associazione, che risentì
dell’attività letteraria di Lu Xun e del pensiero di Zhou Zuoren, riflettendo un’assai diffusa consapevolezza
della funzione sociale della narrativa.
Pur non costituendo una vera e propria corrente letteraria, questo filone fu il primo prodotto
dall’Associazione per gli studi letterari, nonché primo della letteratura cinese moderna, perciò fu
importante non solo per gli scrittori dell’Associazione, ma anche nella formazione della nuova narrativa
cinese, tant’è che tutti gli autori di nuova narrativa scrissero racconti di questo genere, conferendogli
grande varietà di tendenze artistiche.
Gli autori dell’Associazione venivano definiti all’epoca “corrente per la vita umana” 为 人 生 派 , e si
rifacevano a una triade di principi da seguire nella composizione dei testi: l’aderenza al vero, la valenza
umanitaria e progressista della letteratura, e la sintesi dei primi due valori in una forma esteticamente
gradevole (真, 善, 美). Gli scrittori dell’Associazione fecero prevalere il principio di aderenza al vero, mentre
i precursori della narrativa del 4 maggio, il movimento del nuovo romanzo guidato da Liang Qichao,
esaltava più il principio di valenza umanitaria della letteratura. I membri della società creazione invece
enfatizzavano il principio di bellezza estetica.
Nonostante le buone intenzioni sull’interrogarsi sui drammi sociali dell’epoca, gli autori dell’Associazione
pagarono la loro scarsa esperienza e finirono per scrivere racconti limitati alla propria esperienza personale
e ai loro tormenti interiori, che rendono i racconti un’ingenua ribellione alla tradizione, senza una vera
capacità di affrontare i problemi. L’assenza di azione fa della narrativa dei problemi uno scorcio veritiero
sulla realtà dell’epoca, che riflette però una minoranza colta ancora impreparata all’azione e ad affrontare
quel divario tra élite colta e masse di cui Lu Xun ha tanto scritto.

Narrativa della terra natia: la voce del villaggio

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La narrativa della terra natia 乡 土 小 说 è da considerarsi come un proseguimento della narrativa dei
problemi. Intorno al 1923 infatti, l’angusto spettro delle tematiche fino ad allora trattate spinse gli autori, di
nuovo sotto l’impulso di Lu Xun, verso racconti più aperti all’intera società e non limitati alla sfera
strettamente personale. L’interesse si sposta dall’individuo al villaggio, inteso come immagine della Cina
tradizionale, anche se permane un aspetto autobiografico come in Paese natale di Lu Xun, in cui il mondo
rurale viene identificato nella propria infanzia e, metonimicamente, nell’infanzia dell’intera Cina.
Il testo che più esemplifica questo tipo di narrativa è un breve testo di prosa poetica scritto dal saggista Li Ni
e intitolato Notte d’autunno 秋夜. Nonostante sia stato pubblicato nei primi anni ’30, esso sembra un vero
e proprio manifesto della narrativa della terra natia, in cui si trovano tutti i temi tipici di questo filone, come
la crisi economica e le carestie che impoveriscono i terreni, la nostalgia e il mito di un’età dell’oro
irrecuperabile, l’espropriazione delle terre, il radicamento dei contadini al suolo natio, tutti trattati con tono
lirico e attraverso una struttura del testo poetica.
Come è accaduto per la narrativa dei problemi, anche in questo caso Zhou Zuoren e Lu Xun possono essere
considerati i primi fautori di questo filone, il primo sul piano teorico, il secondo su quello creativo. Zhou
Zuoren auspicava l’emergere di una letteratura moderna nazionale, che evitasse l’eccessiva importazione di
modelli occidentali attingendo dalla realtà cinese. Sarebbe un errore però considerare questo filone come
mera espressione del folclore, dal momento che l’impostazione realistica a cui si ispirano gli autori
impedisce loro di dare una rappresentazione idealizzata della vita rurale. Al contrario viene descritta la
realtà sociale delle campagne dell’epoca, con il continuo impoverimento, lo sfruttamento dei latifondi e
l’impatto coi modelli economici moderni di cui si trova un esempio in “Sul ponte” 桥上 di Wang Luyan. In
questo racconto il protagonista è un semplice venditore di riso al dettaglio che non può competere con la
macchina che brilla il riso meccanicamente consentendo vendite all’ingrosso e costi concorrenziali. Oltre
alla crisi del modello economico lo scrittore trasmette il senso del modello sociale e familiare tradizionale,
in cui il desiderio di accumulare denaro è legato alla volontà di assicurare benessere al proprio nucleo
familiare. L’arrivo della macchina sconvolge anche i legami sociali, dato che il negozio del protagonista non
è più competitivo sul mercato ed egli si sente deriso e disprezzato dai compaesani.
Un altro racconto di Wang Luyan è “Oro” 黄金, in cui si narra di una famiglia quasi benestante che scivola
improvvisamente in disgrazia, infondo alla gerarchia sociale del villaggio. Quando si sparge la voce che il
figlio ha smesso di inviare denaro ai genitori viene meno il rispetto che i compaesani hanno nei confronti
della famiglia: la figlia viene maltrattata a scuola, il cane ucciso, e la famiglia viene infine impunemente
derubata. Nel finale il padre vede finalmente arrivare una busta contenente i soldi, ma si tratta solo di un
sogno. Questo racconto mette in luce il fatto che le relazioni nel villaggio non si reggono sui valori
confuciani, che fanno da maschera all’unico vero valore del denaro; inoltre si evidenzia come la povertà
viene equiparata a una vergogna.
L’analisi della società contadina conduce questi autori a una forte denuncia delle ingiustizie e della
disumanità della società tradizionale. L’atteggiamento comune che lega questi scrittori, oltre alle tematiche
trattate, e un generale distanziamento dai fatti narrati, che è un distanziamento spaziale, temporale e
culturale. Gli autori infatti vivono tutti a Pechino, lontani dalla loro terra natia, e i loro racconti sono filtrati
dalla memoria della loro infanzia, un periodo lontano nel tempo. Giunti in città questi autori entrano negli
ambienti borghesi dei circoli letterari e si separano nettamente dal contesto culturale delle campagne, per
cui hanno la possibilità di narrare i fatti con distaccamento critico.
Tale distanziamento si esprime attraverso particolari strategie narrative, come l’uso di punti di vista mobili
o del discorso indiretto libero, che si possono ricondurre a una visione critica o ironica della realtà. Maestro
di questa ironia è Peng Jiahuang, che nel racconto “Il bue del signor Chen” narra di un uomo che viene
cacciato dalla moglie per la sua inettitudine e che viene deriso da tutti. Egli si fa assumere come bovaro e si
dedica anima e corpo al bue di cui deve prendersi cura, ma quando questo bue scappa il protagonista,
venuta meno la sua unica ragione di dignità, si toglie la vita. Il proprietario, preoccupato, organizza squadre

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di ricerca per ritrovare il bue, mentre nessuno si è reso conto della morte del bovaro. Si evidenzia qui il
primato del bene materiale sul valore umano individuale.
Al di là delle critiche contro un sistema sociale dipinto spesso come barbarico, la narrativa della terra natia
ha anche un lato nostalgico inscindibile da quello di critica. Un simile duplice e contraddittorio
atteggiamento è presente in tutti gli autori della terra natia, a partire ancora una volta da Lu Xun, anche se
in quest’ultimo l’aspetto solidaristico è più controllato. Subentra spesso nelle descrizioni dei personaggi e
della comunità contadina un tono di paternalistica ma affettuosa ironia, che gli scrittori esprimono, sul
piano stilistico, tramite inserzioni dialettali, inserzione di dialoghi o di coloriti monologhi popolareschi dal
carattere satirico.

L’era del racconto: strategie narrative e atteggiamento poetico


La narrativa degli anni 20 si distingue per l’alto livello di sperimentazione creativa e linguistica. In
particolare l’uso del baihua, strumento nuovo e duttile, diventa un campo di sperimentazione, ma anche
suscettibile di ingenuità e asprezze stilistiche. La sintassi prende ispirazione dalle lingue occidentali, e così il
cinese si trova stravolto da lunghissimi determinanti e privato del suo tradizionale ritmo a quattro caratteri;
mentre sul piano semantico e lessicale esso è invaso da prestiti fonetici, calchi, o intere frasi in lingue
alfabetiche.
Tra i concetti dibattuti in teoria letteraria, oltre al modello zhen shan mei, troviamo la narrativa lirica. Al di
là dei canoni del realismo a cui tendevano soprattutto gli autori dell’Associazione infatti, molti dei racconti
degli anni ’20 risentono di una tendenza lirico-soggettiva che trova piena rappresentazione nei membri
della Società Creazione, ma che influenza anche la narrativa dei problemi, della terra natia, e anche alcune
opere dello stesso Lu Xun. L’uso esteso della prima persona può essere in parte ricondotto a questo
atteggiamento poetico nel comporre i racconti, anche se va detto che molti autori della narrativa dei
problemi utilizzano la prima persona non per trasmettere l’enfasi autobiografica e intimista dei romantici,
ma piuttosto per rispondere al principio di veridicità della narrazione, perché funzionale alla ricerca di un
effetto realistico e di testimonianza. Si realizzano inoltre le prime sperimentazioni sul tempo e sull’ordine
narrativo, sovvertito dallo stile personale e interiore egli autori; e le prime sperimentazioni sull’enfasi posta
sulla psicologia dei personaggi a discapito della trama. Interessanti sono anche le sperimentazioni sul punto
di vista e sulla voce narrante, che si manifestano tramite l’uso di tecniche stranianti, efficaci soprattutto
nella narrativa della terra natia per rappresentare il contrasto tra la mentalità e le aspirazioni del singolo da
un lato, e le credenze e i luoghi comuni della cultura collettiva dall’altro.
Fra le tecniche di Lu Xun va sottolineata la digressione liberatoria, ovvero quel momento verso la fine del
racconto in cui la tensione accumulata con le atmosfere cupe e pessimiste si smorza improvvisamente con
una nota di speranza e positività.
Dal punto di vista formale e delle sperimentazioni linguistico-strutturali, la narrativa sociale apre la strada a
una nuova era letteraria, sulla base di una piattaforma comune di ideali e sentimenti che si ritrova, con
diverso equilibrio tra realtà e soggettività, ma talora con tematiche e ambientazioni affini, anche nella
corrente dei romantici.

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3 – IL ROMANTICISMO E LA SOCIETA’ CREAZIONE

Il romanticismo in Cina indica una categoria complessa, che penetrò assieme ad altre categorie letterarie
occidentali lasciando un’impronta sulle opere del primo 4 maggio e mescolandosi a diverse tendenze locali,
in particolare poetiche. Esso può essere definito come una tendenza alla rappresentazione di ciò che è
soggettivo e legato alla sfera dell’individuo in un tono lirico. Il lirismo cinese si basa su una serie di
simbologie, soprattutto tratte dalla natura, per cui il sentimento è trasmesso attraverso varie immagini,
raramente viene palesato. La chiave per comprendere il romanticismo cinese degli anni ’20 è dunque una
liberazione antitradizionalista dell’individuo e un’esaltazione-confessione dell’io in tutte le sue forme
tramite un linguaggio iperbolico e sentimentale. Non manca però anche un elemento cinese, che
sovrappone all’esaltazione dell’io anche ideali nazionalistici e collettivi. Si tratta del concetto di io-nazione,
elemento comune anche ad altre scuole del 4 maggio, una negoziazione continua tra identità individuale e
collettiva, che risente sicuramente della tendenza del letterato cinese a partecipare alla vita pubblica, ma
che prefigura anche la natura militante dell’intellettuale nella Cina socialista.
Nei primi anni ’20 le opere e i temi di ispirazione romantica vanno soprattutto ricondotti ai membri della
Società Creazione 创造社. Questo gruppo, considerato rivale dell’Associazione, pur attingendo allo stesso
humus culturale del 4 maggio (sperimentazione linguistica, ribellione iconoclasta, sperimentazione con
forme letterarie ispirate all’occidente), diede maggiore rilievo all’aspetto emotivo e creativo del narrare,
rifiutando il modello didascalico-sociale della corrente della vita umana, e concentrandosi sull’espressione
della propria soggettività. Se nel caso dei membri dell’Associazione l’aderenza al principio di verità porta a
una tendenza realista e a una fedele imitazione della realtà con risvolti di critica sociale, per gli autori della
Società Creazione il principio di zhen si traduce nella confessione e rappresentazione del soggetto
autobiografico senza filtri. Va sottolineato inoltre che in Cina il concetto di romanticismo va inteso in senso
lato, e include anche alcuni autori tardo-romantici europei, fino a includere la corrente dei decadenti, che
ha grande influenza sul romanticismo cinese.
Tra i temi dominanti nel romanticismo cinese troviamo l’esaltazione o l’introspezione morbosa dell’io, la
fuga o la sublimazione dell’individuo nella natura, i drammi interiori di una sessualità frustrata e per la
prima volta esposta con uno scandaloso senso di verità. A differenza degli autori della narrativa dei
problemi, che partivano dalla loro esperienza personale per descrivere i problemi della società, ma che non
erano mai scesi nei meandri del proprio subconscio, questi autori non nascondono più i loro turbamenti e le
loro pulsioni, e anzi fanno di essi la materia prima dei loro racconti.
Non va dimenticato che la tendenza romantico-soggettiva si innesta in un processo di soggettivizzazione
della letteratura cinese che parte già alla fine dell’epoca Qing, sia nei testi narrativi dei letterati, sia nella
letteratura popolare, e in particolare nella letteratura delle farfalle e delle anatre mandarine. In questo
ripiegamento su sé stessi degli autori si legge la crisi dell’impero e dei valori tradizionali, e in questo una
figura profetica fu quella di Su Manshu 苏曼殊 (1884-1918), la cui produzione presenta elementi soggettivi,
lirici, il legame biografico-letterario con il Giappone, o le aspirazioni contraddittorie tra purezza e desiderio,
tutti elementi che caratterizzeranno la scuola dei creazionisti.

La narrazione dell’io

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Con i versi de “Il cane celeste” 天狗, Guo Moruo 郭沫若, uno dei fondatori della società creazione (assieme
a Yu Dafu e altri), descrive l’irrompere non più trattenuto dell’individualità che la narrativa dei problemi
aveva solo in parte fatto emergere. La Società Creazione, fondata a Tokyo nel 1921, rappresenta il gruppo
antagonista dell’Associazione per gli studi letterari, proponendo modelli e obiettivi letterari chiaramente
opposti a essa (anche se più di schieramento che non di contenuti e stili narrativi). La Società Creazione,
nella sua prima fase, era una corrente narrativa romantica con alcune componenti di realismo, che si
notano in particolare in alcuni racconti di Yu Dafu 郁达夫, il cui romanticismo consiste in una ricerca ideale
della bellezza e dell’amore, laddove i suoi protagonisti sono costantemente schiacciati dal conflitto tra
ideale e reale.
Innegabile è tuttavia la presenza ingombrante e talvolta ossessiva dell’io in questi racconti, dai toni
superomistici di Guo Moruo a quelli più dolenti di Yu Dafu nella sua raccolta “Naufragio” (沉沦 Chenlun). La
comparsa dell’io è sicuramente un evento letterario notevole, anche se già in passato la poesia tradizionale
era stata il genere della soggettività per eccellenza, laddove l’io si manifestava attraverso immagini
poetiche. È d’altronde forte il legame di questi autori con la poesia sia occidentale che tradizionale, e in
particolare in Yu Dafu si trovano spesso citazioni riprese dalla tradizione poetica cinese, che spesso
costituiscono anche l’elemento trainante del racconto. Ad esempio, nel racconto “Fiume d’Autunno” 秋河
si narra di una donna infelice che viene costretta a sposarsi con un vecchio e crudele generale, e che scopre
la passione amorosa innamorandosi del suo figliastro, poco più giovane di lei. In questo racconto il giovane
recita (con qualche inesattezza) due poesie di epoca Tang, che vogliono alludere alla storia che sta
raccontando Yu Dafu, in una delle quali si descrive una cortigiana che sente dalla sua stanza provenire i
suoni di una festa, e lei, sola, osserva in cielo la costellazione che annuncia l’arrivo dell’autunno. Da questi
versi è tratto il titolo del racconto, che indica la Via Lattea, a cui si fa riferimento alla fine della storia. Quella
di Yu Dafu è dunque una costruzione complessa, ricca di citazioni e allusioni che si intersecano a un’audace
descrizione del desiderio femminile, anche se l’autore fa pronunciare i versi all’uomo, portatore della
cultura tradizionale, arginando dunque l’espressione della soggettività femminile, che rimbalza nella
proiezione dell’io maschile. L’uso di citazioni tratte dalla tradizione cinese si trova anche in Guo Moruo, che
si ispira perlopiù a Li Bai.
I primi racconti della Società Creazione sono ricchi di materiale autobiografico legati alla vita da studente
all’estero, sfoghi personali sinceri o talvolta deliberatamente esagerati, come ammettono gli stessi autori.
L’uso artistico-letterario dei materiali autobiografici, tipico di Yu Dafu, è inoltre marcato da una certa ironia,
dato che i personaggi, nel lamentare le proprie sventure, appaiono talvolta contraddittori. Le figure del
romanticismo spiccano per una patologica instabilità di carattere, la tendenza all’introspezione e l’uso
abbondante di diari, appunti o lettere. Il materiale autobiografico è trattato con grande padronanza, e l’io
del testo è perlopiù una proiezione dell’autore deliberatamente drammatizzata.
Capolavoro di questa letteratura dell’io, il racconto di Yu Dafu “Naufragio” fa parte della prima antologia
moderna di racconti interamente in baihua. La storia narra dei tormenti di uno studente cinese in
Giappone, schiacciato dal conflitto tra il suo intimo senso di superiorità e il disprezzo da parte dei
giapponesi, cui si aggiunge la derisione dei suoi compagni cinesi per via della sua natura debole e solitaria.
Alla frustrazione sociale ed etnica si associa la frustrazione sessuale dovuta all’incapacità di mediare tra il
desiderio carnale e la vergogna di esserne schiavo. La principale chiave interpretativa per questi testi è
quella della psicanalisi freudiana, che permette a questi autori di parlare della sessualità come un qualcosa
di scientifico e non più scandaloso. La stessa Cina viene rappresentata come una madre a cui i personaggi
anelano, ma che anche detestano per la sua arretratezza e i costumi illiberali. La crisi evidenziata da questi
scrittori dunque non è, come accade per gli autori della narrativa dei problemi, una crisi dovuta a una
frattura tra l’io e il mondo, ma piuttosto una crisi dovuta a una frattura tutta interna all’io. La teoria
psicanalitica contribuì inoltre ad arricchire la creatività artistico-letteraria di questi autori, attraverso
tecniche come l’uso di sogni e allucinazioni, lunghi monologhi interiori, o i salti all’interno del testo. Nel
racconto “Tarda Primavera” 残春 di Guo Moruo ad esempio, un vivido sogno rappresenta il senso di colpa

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del protagonista, ed esprime in modo morboso e melodrammatico il suo rapporto col mondo: Aimu (alter
ego dell’autore) lascia la moglie e i due figli in Cina per completare in Giappone i suoi studi di medicina, qui
si invaghisce di un’infermiera, e così sogna la moglie che, per vendetta, uccide i due figli e infine lui stesso.
Un altro esempio si trova nel racconto “Vuoto” 空虚 (kongxu) di Yu Dafu, in cui il protagonista Zhifu, con un
complesso di inferiorità nei confronti del Giappone, ma anche attratto dall’altro sia come donna che come
Giappone, incontra una ragazza alle terme, che si ripara da un temporale e finisce per dormire a fianco a lui,
ignara del suo desiderio nei suoi confronti. Zhifu allora, in un attacco di gelosia, immagina di pugnalarla,
punendo così in qualche modo anche la sua ossessione. Nei personaggi di Zhifu e di Aimu, il malessere
psicologico ed emotivo denunciato da queste visioni si unisce spesso a una vera e propria inadeguatezza
fisica e alla malattia, in una sorta di somatizzazione del dolore morale e spirituale che affligge l’individuo.
Il racconto Naufragio suscitò molte polemiche, ma allo stesso tempo aprì gli occhi dei giovani intellettuali,
studenti e scrittori sulla propria individualità e sessualità repressa e disconosciuta dai canoni di
comportamento ufficiali. La frustrazione sessuale dello studente cinese in Giappone è immagine della loro
frustrazione sociale e politica in quanto membri di una casta in declino, incapace di risollevare i destini della
patria. Così il racconto si conclude con il suicidio in mare del protagonista, e l’invocazione a una riscossa
della Cina.
La narrativa romantica dei primi anni ’20 appare incentrata sull’impossibilità della scrittura di rappresentare
l’io, un limite che si rivela insuperabile anche sul piano della rappresentazione sociale, dato che gli stimoli a
osservare anche i fenomeni che circondano lo scrittore (come il disagio dei ceti inferiori, la discriminazione
etnica subita dai cinesi, i primi echi dell’ideologia socialista) sono del tutto superficiali e opachi.

Il corpo come filtro tra individuo e società


Segno portatore di significati sociali e psicologici, il corpo è presentato nella narrativa romantica di questo
periodo come metafora delle dolorose trasformazioni in atto in Cina, e della crisi spirituale che investe gli
intellettuali. L’emotività e il ribellismo sociale che contraddistinguono il periodo del 4 maggio portano a una
rottura della concezione classica del corpo, che era inteso in termini olistici, fuso con l’aspetto morale ed
emotivo, e implicitamente allusivo dei rapporti tra individuo e società. Ora invece, grazie all’interpretazione
freudiana e letteraria del corpo, gli scrittori fanno emergere un io scisso, per cui il benessere fisico non
coincide necessariamente con la coltivazione morale. L’individuo comincia a perdere la propria naturale
unità con il tutto sociale, e ciò porta, come nei versi di Guo Moruo, a un conflitto tra autoaffermazione e
autodistruzione dell’io. A livello sociale, tale rottura sfocia nell’inazione cronica di questi personaggi, e
nell’ossessione per il proprio corpo, che rasenta il feticismo.
Studiato e deformato, il corpo è lo spazio fisico e morale su cui si concentrano le istanze individuali e sociali
di questa cerchia di scrittori, alcune volte descritto con pignola precisione, altre volte oggetto di allusioni e
similitudini insolite. La scissione tra anima e corpo è al centro della visione di Yu Dafu, mentre nei racconti
di Ding Ling 丁 玲 , che spinge l’attenzione del lettore sulla personalità femminile, il corpo è metonimia
dell’individuo come parte della società. Nel “Diario” di Ding Ling, la protagonista Sofia è una giovane abulica
e al tempo stesso appassionata, che oscilla tra autoesaltazione e masochismo, raccontando
minuziosamente le sue giornate, specie in relazione all’altro sesso. I temi comuni del corpo e dell’identità
sono affrontati da Ding Ling attraverso la distorsione della propria immagine, in uno stato di alienazione.
L’immagine di donna comune all’epoca era quello della modern girl, ispirata al Giappone e alla visione
occidentale della donna orientale. Una donna spigliata ma psicologicamente fragile, spesso
scandalosamente ribelle agli occhi della società benpensante. Ding Ling è tra le prime a conferire ai suoi
personaggi queste caratteristiche, spesso tramite l’enfasi sulla rappresentazione del corpo, che finisce per
diventare espressione sia del desiderio altrui che incarnazione stessa del desiderio femminile. Sofia non fa
mistero di ciò, e rivela la sua volontà di indipendenza e di pieno riconoscimento da parte dell’altro sesso,
spesso in termini fisici.
Fin dal suo primo racconto, Ding Ling propone l’immagine protofemminista e autobiografica della sua
eroina: la ragazza che proviene dalla campagna e tenta la via degli studi d’arte, poi cerca, attratta da un

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cugino, di inserirsi nella ricca casa della zia, e infine tenta la carriera di attrice nella Shanghai degli anni ’30.
La novità dei personaggi di Ding Ling sta nella decisa affermazione di genere, che si discosta dalla
rappresentazione drammatica e spesso vittimistica di altre autrici per le loro eroine. Nonostante il
coraggioso tentativo di Mengke, il suo primo personaggio, di trovare una strada dignitosa di
autosufficienza, è solo tramite lo sfruttamento del proprio corpo nel ruolo di attrice che ella trova
sostentamento. L’immagine della donna truccata e involgarita per la finzione cinematografica rimanda alla
trasformazione della figura femminile nei primi decenni del secolo, quando il prezzo da pagare in cambio
della libertà di comportamento è il rischio di divenire solo un corpo, mero oggetto di desiderio. Questa
immagine fortemente corporea della donna può essere letta come l’immagine della modernità e della
decadenza della città a inizio ‘900, e l’eroticizzazione della donna corrisponde a quella della metropoli nel
suo ambiguo rapporto con l’Occidente. La tendenza a usare la donna e in particolare la sua fisicità come
segno di evoluzione storico sociale costituisce un tema ricorrente nella letteratura del 4 maggio: il primo è
ancora una volta Lu Xun, che in “Cordoglio” smitizza la neonata figura della 新 女 士 , la donna nuova,
mentre in “Sapone” ne denuncia la reificazione.

Fenomenologia dell’amore: articolazioni letterarie


Tipicamente romantico in questi autori, è l’indugiare dei testi sull’analisi introspettiva delle emozioni
amorose, tuttavia il tema dell’amore non è certo appannaggio esclusivo dei romantici, ed è anzi stato usato
moltissimo dagli autori del 4 maggio, per i quali era un simbolo di libertà, tanto che Mao Dun ha criticato
aspramente il fatto che così tanti racconti siano appiattiti sul mondo amoroso e sentimentale dei loro
giovani autori. Tuttavia, non è solo al romanticismo tout court che si rifanno gli autori della società
Creazione: Guo Moruo ad esempio, citando Freud, spiega che è nelle pulsioni sessuali che si fondano le
premesse per la creazione artistica, per cui l’abbondanza di scene erotiche e amorose descritte
minuziosamente contribuisce alla rappresentazione realistica, seppur in chiave emotiva e sensuale,
dell’individuo preso tra contrastanti passioni e conflitti.
I vari tipi di amore rappresentato nella letteratura dei romantici sono l’amore coniugale, interpretato in
termini di purezza e devozione quasi religiosa; l’amore sensuale, declinato nelle sue varie iconografie
tradizionali e occidentali; e infine anche l’amore omosessuale, visto come vera corrispondenza emotivo-
intellettuale, laddove l’amore eterosessuale era invece spesso legato all’economia di matrimonio.
Il topos dell’amore è peraltro immagine della nuova percezione dell’io, visto nella sua sfera più intima e
personale. In un certo senso l’amore viene assunto da questi autori come paradigma di tutti i rapporti che
intercorrono tra l’io e l’altro. Nel racconto “Donna Carmela”, Guo Moruo ad esempio utilizza una serie di
strategie narrative e descrittive per costruire il ritratto della passione di un uomo sposato per una
giovanissima e attraente venditrice di dolci giapponese. Nel racconto, vero e proprio diario di
un’ossessione, il sogno/incubo si fa ancora una volta interprete del contrastato rapporto tra amore
coniugale e amore sensuale.

Il viaggio: metafora spazio-temporale dell’instabilità individuale


La dislocazione culturale e geografica in cui si muovono i personaggi di Zhifu e Aimu è indice di un senso di
incertezza e di inquietudine sociale e personale che vivono gli intellettuali del 4 maggio. Il tema del viaggio
si trova già negli antieroi buddisti filtrati dall’esperienza personale di Su Manshu, in costante movimento in
diversi paesi, ma se questo tipo di viaggio risente parzialmente del mito del cavaliere errante della
tradizione, negli autori romantici il viaggio è riletto in chiave più moderna. Appartiene a un retaggio
tradizionale anche il topos del viaggio come processo di formazione dell’individuo, si pensi ai racconti in cui
un giovane talentuoso parte per sostenere gli esami imperiali e durante il viaggio si innamora di una
fanciulla, per poi vivere diverse peripezie che condurranno a un miglioramento e a una maturazione del
protagonista. Nella letteratura romantica invece i protagonisti non subiscono alcun cambiamento né
positivo né negativo, e la loro mobilità fisica è parallela a una continua mobilità interiore che però non
conduce da nessuna parte: nel racconto di Ding Ling “Mengke” ad esempio, la protagonista parte dal suo

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villaggio per costruirsi una vita moderna e di successo in città, per poi realizzare però che anche
nell’allettante mondo del cinema il suo destino resta ancorato a un modello femminile di sfruttamento.
Solo con il primo romanticismo rivoluzionario, tra la fine degli anni ’20 e i primi anni ’30 la metafora del
viaggio assume il significato di trasformazione interiore, e si sovrappone la figura tradizionale del giovane
studente con l’icona moderna dell’eroe rivoluzionario. Tale evoluzione della metafora del viaggio è
esemplificata da due opere: “Trilogia dell’errante” (1924) di Guo Moruo, un collage di piccoli eventi
familiari, lettere, monologhi interiori e divagazioni filosofiche scritte da un protagonista in perenne
spostamento all’interno della Cina o tra Cina e Giappone; e “Il giovane vagabondo” (1926) di Jiang Guangci,
in cui ogni tappa del viaggio del protagonista costituisce un tassello di formazione umana e politica. Con
quest’ultima opera il romanticismo degli anni ’20 trova un suo compimento e allo stesso tempo presenta
punti di contatto con il realismo degli anni 30, definito “critica sociale”, in un curioso fenomeno, non raro
nella letteratura cinese, per cui si trovano fasi di transizione in cui due tendenze opposte sembrano
fondersi.

Romanticismo e rivoluzione
La cosiddetta “svolta rivoluzionaria” all’interno della Società Creazione si realizza a partire dall’introduzione
alla raccolta “Pagoda” 塔 (1925) di Guo Moruo, si tratta di un passaggio “dal piccolo io al grande io”, cioè
da una narrativa concentrata sull’individuo e sulle sue singole pulsioni a un coinvolgimento totale negli
eventi storici che stavano cambiando la società cinese. Tale svolta fu dovuta all’influenza delle teorie
marxiste che penetrarono in Cina e riscossero grande successo tra gli intellettuali, ma c’è da dire che già fin
dai suoi esordi la Società Creazione aveva una propensione alla ribellione sociale, all’attivismo e
all’intransigenza politica. Ora, sorretti dall’analisi storica marxista, gli scrittori assumono una più nitida
coscienza della situazione sociale e politica del loro paese, che si era in precedenza manifestata solo tramite
la simpatia per le classi più umili e l’insofferenza nei confronti dell’imperialismo. Al di là della presa di
posizione di Guo Moruo, la produzione di Ding Ling descrive meglio di quella di altri autori l’evoluzione da
una romantica aspirazione di libertà individuale, spesso identificata con la libertà sul piano sentimentale e
sessuale, a un più consapevole impegno sul piano politico e sociale, a una ribellione più ampia e collettiva in
cui sublimare le pulsioni individuali.
Naturalmente si nota in questi scrittori di estrazione piccolo-borghese una certa difficoltà ed esitazione
nell’identificarsi completamente nella figura dello scrittore militante. Il periodo tra gli anni 20 e 30 è un
periodo di grande dibattito tra gli intellettuali, che culmina con la fondazione della Lega degli scrittori di
sinistra, e che vede come parola d’ordine il termine “rivoluzione”. Tra tutti, il più grande autore della
letteratura rivoluzionaria fu Jiang Guangci 蒋光慈, sostenitore di un radicale coinvolgimento dell’individuo
nella politica fino al suo annullamento, e fondatore della Società Sole 太阳社, che ebbe diversi scontri con
la Società Creazione. I suoi romanzi si fondano sul conflitto tra amore e rivoluzione, e sul patriottismo, e gli
garantirono grande popolarità tra gli anni 20 e 30.
Questa formula “amore+rivoluzione” è al centro della narrativa di Ba Jin 巴金, uno dei pochi scrittori che ha
goduto per tutta la sua lunghissima carriera di grande fama. Autore di romanzi sui difficili rapporti tra i
giovani e la struttura onnipresente e oppressiva del clan, deve la sua fortuna al linguaggio semplice ed
espressivo, e alla facile identificazione dei lettori coi suoi eroi. In realtà la coscienza politica di questi
personaggi è secondaria rispetto al loro desiderio di ribellione individuale, e nel conflitto tra individuo e
società prevale in lui un’ispirazione anarchica, che si esplicita nell’impossibilità di aderire pienamente alla
rivoluzione come sistema organizzato di sovversione del potere tradizionale. I personaggi di “Famiglia”, il
suo romanzo più celebre, trovano infatti realizzazione personale più nello scontro con l’autoritarismo del
clan e della società, che non nell’adesione alla lotta rivoluzionaria.

Stili e tecniche narrative

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La definizione che per un certo periodo venne collegata agli scrittori romantici di “corrente dell’arte per
l’arte” 为 艺术 派 lascia ben intendere il valore che essi attribuivano all’aspetto formale e all’estetica del
testo. In questo gli scrittori romantici furono più audaci e sperimentarono di più rispetto agli autori del
primo realismo dell’Associazione. Tuttavia si possono identificare delle differenze all’interno della corrente
dei romantici.

4 – IL SENSO MODERNO DEGLI ANTICHI SENSI NELLA CORRENTE DI PECHINO

Storia della corrente


Pur non essendo una scuola letteraria organica, la Corrente di Pechino 京派 presenta nella sua produzione
letteraria alcune caratteristiche omogenee: l’elogio dei concetti di bellezza della natura umana e bellezza
delle emozioni umane, la ricerca di continuità con il passato per auspicare un futuro non ideologicamente
colonizzato dall’Occidente, una letteratura non vincolata a temi politici e sociali come quella della narrativa
dei problemi, la commistione tra genere narrativo e poetico, l’atteggiamento critico nei confronti degli
intellettuali socialmente impegnati, e infine l’umanesimo nella letteratura.
Fondatori di questa corrente si possono considerare Zhou Zuoren e Shen Congwen. Il primo comincia a
delineare la strada della corrente di Pechino quando la sua carriera prende una via diversa rispetto a quella
di Lu Xun: nel saggio “La Pagoda al Crocevia” Zhou Zuoren critica la scelta di Lu Xun di tradurre il saggio di
un intellettuale giapponese che simpatizzava con la causa del partito comunista e a spostare i suoi interessi
dall’arte alla politica. Zhou Zuoren è dunque sostenitore di una letteratura non impegnata socialmente, e
sostiene i valori dell’umanesimo confuciano, non necessariamente in contrasto con l’umanesimo
occidentale. Shen Congwen appoggia Zhou Zuoren scrivendo un racconto intitolato “La gente onesta”, in
cui si narra dello scrittore Zikuan Jun che si reca a Qingdao per trovare ispirazione per il suo secondo
romanzo. Qui, in una biblioteca, incontra due bellissime ragazze che leggono il suo primo romanzo, e così
chiede loro una recensione senza però rivelare la sua identità. Le ragazze non sembrano entusiaste del
romanzo, ma si spendono in elogi per Lu Xun, Zhou Zuoren, e il suo discepolo Fei Ming. Il protagonista
allora sprofonda nella depressione e finisce per perseguitare le due ragazze. Accusato di molestie sessuali,
finisce in prigione, dove viene scambiato, per il suo giovane aspetto, per un patriottico rivoluzionario. Il
racconto si conclude con la sua umiliazione al momento della scarcerazione. Questa novella è da leggersi
come una presa di posizione a favore di Zhou Zuoren (il nome del protagonista riprende un saggio di Zhou
Zuoren sulla tolleranza) e di Fei Ming di creare un percorso alternativo all’interno della produzione
letteraria cinese, e allo stesso tempo il riconoscimento di una genealogia ufficiale della Corrente di Pechino,
di cui si propone come erede postumo. Come Zhou Zuoren, anche Shen Congwen ridicolizza il narcisismo di
quegli intellettuali che si proponevano come guide politiche e morali della Cina, egli è conscio che il
riconoscimento di un artista impone anche il confronto con gli altri intellettuali dell’epoca: tutta “gente
onesta” che vuole difendere i propri valori. Shen Congwen diventa così il fondatore della seconda fase della
Corrente di Pechino, ispirando autori che volevano articolare un concetto d’arte che tenesse conto sia della
letteratura occidentale che della letteratura tradizionale cinese. Gli scrittori della corrente di Pechino
furono dunque coloro che proposero il recupero dell’estetica della poesia classica cinese e l’inserimento di
questa in ambito narrativo. Shen volle promuovere una corrente letteraria che, per ovvie ragioni politiche,
venne dimenticata fino alla fine degli anni ’80.

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La capitale e la città di confine: la retorica del centro e del margine nella corrente di Pechino
Pechino aveva perso il suo status di capitale quando nel 1928 il Guomindang spostò la capitale a Nanchino.
Essa non era più nemmeno capitale culturale, dato che nel 1927, un massacro ordinato dal signore della
guerra di Pechino contro dei dimostranti spinse molti intellettuali a fuggire a Shanghai. A questo periodo
risale anche la frattura tra Zhou Zuoren e Shen Congwei: il primo si abbandonò a una scrittura puramente
lirica e disimpegnata, mentre per il secondo esisteva una relazione precisa tra l’arte e il mondo.
La scelta di eleggere Pechino come riferimento geografico e culturale per la nuova corrente è dunque una
scelta di dissenso: in un paese in cui la letteratura era considerata strumentale e subordinata
all’emancipazione sociale e nazionale, l’elogio della marginalità (sia in senso spaziale che temporale)
diventa una strategia di emancipazione da una comunità intellettuale sempre più coesa nell’imporre vincoli
etici e politici alla letteratura.
In questo clima si comprende bene la genesi dell’opera più famosa di Shen Congwen, “La città di confine”
(边城, 1935), in cui si sottolinea che la città di confine non è isolata dal mondo, ma che essendo collocata
vicino a un’antica strada che permette il transito a chi vi voglia entrare e chi vi voglia uscire, questa
marginalità è frutto di una scelta, che è comunque non priva di dolore. La città dell’opera di Shen Congwen
è Chadong, e vede svolgersi la vicenda di Cuicui, i cui genitori si sono suicidati poco dopo la sua nascita,
lasciando la bambina alle cure del nonno. La prima visita di Cuicui a Chadong, visita che ricorrerà poi ogni
anno, è l’inizio della formazione della ragazza: qui inizia infatti una storia d’amore tra la ragazza e il figlio
minore del proprietario del mulino. Tuttavia, anche il fratello maggiore si innamora di lei, e il nonno,
intuendo la simpatia di Cuicui per il minore, decide di offrirgli la mano della ragazza. Il fratello maggiore
lascia così la città e naufraga lungo la via, ma anche il fratello minore parte, deciso a ubbidire l’ordine del
padre di non sposare Cuicui. Il nonno infine, muore nel momento esatto in cui crolla la pagoda.
Il racconto concilia la dimensione urbana con una dimensione etica che affonda le radici nell’umanesimo
confuciano. Inoltre esso è perfettamente in linea con la letteratura umana di Zhou Zuoren: l’accettazione di
tutte le manifestazioni legate alle esigenze emotive, affettive e biologiche degli uomini si riscontra infatti
nella simpatia di Shen Congwen per le prostitute che affollano il porto di Chadong, ma tale accettazione non
è svincolata da una concezione del fato di ispirazione taoista e buddista. La morte del nonno infatti non è
descritta come un avvenimento tragico, ma come parte dell’ordine naturale degli eventi dato dal
meccanismo di retribuzione delle azioni: il suicidio dei genitori ha infatti causato nel nonno grande
preoccupazione per Cuicui, e il suo tentare di intromettersi nel destino della ragazza ha causato la morte di
un amante e la fuga dell’altro.
Un’altra particolarità dell’opera è la conciliazione di una trama tragica con un’atmosfera idilliaca, che è
possibile grazie alla magnificazione dei sentimenti d’amore e al rifiuto dei sentimenti d’odio come possibile
soluzione: il fratello maggiore infatti non prova rancore nei confronti del minore, né il padre dei due ragazzi
nei confronti del nonno di Cuicui. Alla fine la solitudine della protagonista si spiega nel tentativo del nonno
di manipolare il destino della ragazza, e nella caparbietà del padre dei ragazzi nel non acconsentire al
matrimonio come forma di rispetto nei confronti del fratello minore. Cuicui accetta la solitudine come
forma di espiazione per le colpe commesse dai suoi antenati.
Sono molti i racconti di Shen Congwei in cui si ritrova un elogio della marginalità nella sua dimensione
diacronica (il marito). Questi autori tuttavia non accettano l’eredità classica in modo acritico, ma cercano di
cogliere solo quelle espressioni che meglio si possano conciliare con la modernità. L’accettazione della
sessualità e il rifiuto del li che disciplinava l’attività sessuale devono ad esempio essere considerati come
espressione della necessità di adeguare le norme sociali del passato alle necessità del presente.
Il movimento del 4 maggio aveva enfatizzato la questione dell’amore libero, ma tale questione veniva
affrontata in termini di rivoluzione sociale. Nel caso degli scrittori della corrente di Pechino, l’attività
sessuale diventa, al pari di tutte le altre manifestazioni emotive e affettive, un leitmotiv esibito in termini
estetici, perché a essere esaltata è proprio la bellezza di una natura che cerca di emanciparsi dal sonno
della ragione.

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Il senso dei sensi: l’estetica neotradizionalista della corrente di Pechino


L’opera di Fei Ming “Ponte” ( 桥, 1932), da alcuni considerata un romanzo, da altri una sequenza di saggi
estetici, divenne uno dei punti di riferimento per la Corrente di Pechino grazie alla sua estetica raffinata e
alla capacità dell’autore di seguire le regole metriche della poesia tradizionale. Infatti, pur essendo
un’opera in prosa che segue le nuove regole della moderna grammatica cinese, presenta molte affinità con
il testo poetico, perché le frasi sono perlopiù composte da 5 o 7 caratteri, metro tipico della poesia Tang. È
inoltre evidente il tentativo di collegare neologismi e caratteri connotati da valenze filosofiche classiche.
Il tentativo di Fei Ming, così come del suo mentore Zhou Zuoren, è quello di conciliare il concetto di
inconscio con le radici filosofiche cinesi, ma in generale il collegamento tra teorie della psicanalisi e istanze
estetiche autoctone è una caratteristica di quasi tutti gli autori della corrente. Un esempio è il racconto
“Dopo l’ebbrezza” ( 酒 后 , 1929) della scrittrice Ling Shuhua, in cui si descrive il dialogo tra una coppia
sposata dopo una festa in cui si è bevuto: la moglie chiede al marito di poter baciare un suo amico che è
disteso addormentato in un’altra stanza, il marito oppone resistenza e alla fine accetta, ma quando la
donna si trova davanti all’altro uomo il suo desiderio di baciarlo svanisce ed ella torna dal marito. In questo
racconto si allude al rapporto tra conscio e inconscio, in cui l’inconscio viene evocato attraverso le reazioni
corporee della donna nell’avvicinarsi all’oggetto del suo desiderio, e lo iato tra la donna e l’oggetto del suo
desiderio viene colmato dall’inserimento nel testo del termine inglese “kiss”. Quello che contraddistingue
l’estetica di Ling Shihua è una commistione tra un’evocazione sensoriale tipica del modernismo occidentale
e una concezione dei sensi tipica della poesia tradizionale cinese.
Il mondo interiore della protagonista viene espresso attraverso una sequenza di metafore corporee
radicate nel mondo fenomenico, come il bruciore al volto o il mutamento del battito cardiaco, una tecnica
molto più affine al romanzo premoderno cinese che non alla narrativa modernista. La differenza con il
romanzo premoderno sta nel fatto che Ling Shuhua non si concentra sull’oggetto del desiderio, ma sulle
reazioni della donna, e così il racconto diventa un’arma estetica utilizzata dall’autrice per discutere del
senso moderno cinese dei sensi dal punto di vista femminile.
In “Dopo l’ebbrezza” la donna vorrebbe tradire, anche se solo per un attimo, il marito, ma cerca di farlo con
il suo consenso. La trasgressione viene prima asserita e poi negata, dato che, pur volendosi mostrare forte e
determinata, alla fine la donna si rende conto che il suo movimento verso l’oggetto del desiderio è un falso
movimento. L’epilogo del racconto mostra la distanza tra Ling Shuhua e gli scrittori del 4 maggio, che
predicavano un concetto di amore come frutto di libera scelta dell’individuo, condannando la visione
confuciana che imponeva alle donne una castità rigorosa prima del matrimonio e dopo la morte del marito.
All’interno della corrente di Pechino stessa, esiste una radicale differenza tra scrittrici e scrittori in tema di
amore e sessualità: se le prime tendono a tracciare una linea di continuità tra tradizione cinese e
modernità, i secondi vogliono ricordare al lettore che l’importazione di concetti come l’idea d’amore
occidentale avrebbe comportato l’introduzione di convenzioni sociali ed estetiche inesistenti nel “senso
cinese dei sensi”.

La scrittura al femminile nella corrente di Pechino


Le scrittrici più importanti della corrente di Pechino sono Ling Shuhua e Lin Huiyin, entrambe residenti per
lungo tempo in paesi anglosassoni, e la cui scrittura riflette dunque le problematiche legate all’introduzione
e alla negoziazione della cultura occidentale in Cina. Entrambe hanno concretamente dimostrato la
possibilità di coniugare le istanze del modernismo con l’estetica e l’etica cinese, con racconti ambientati nel
XX secolo ma che rappresentano uno stile di vita ormai svanito e un mondo antico e remoto. Ling Shuhua
ad esempio colloca le sue eroine nell’ambiente domestico, che pur condividendo molte caratteristiche
dell’habitus borghese, è anche evocativo dello spazio in cui era relegata la donna nella Cina tradizionale.
Un esempio di questi racconti è “I cuscini ricamati” (绣枕, 1925), in cui si descrive con meticolosa precisione
una donna fragile in procinto di sposarsi che ricama dei cuscini come pegno per la famiglia del futuro sposo,
per dimostrare le sue capacità in ambito domestico. L’opera, confezionata con grande cura, fa risaltare la
condizione triste della donna, che anziché produrre oggetti che la aiutino a emanciparsi, non può che

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produrre opere che la legano ancora di più alla sua prigione. Durante la festa poi gli amici dello sposo
sporcano di vomito e calpestano i cuscini ricamati. L’alienazione e l’ignoranza dell’uomo, incapace di
riconoscere un’opera d’arte, contrastano con la sensibilità della donna nei confronti del valore estetico a
prescindere dalla sua classe sociale. La donna però non è vista sotto una luce positiva, dato che l’autrice
sembra accusare i suoi personaggi di creare le basi, per ignoranza o cecità, per la propria autodistruzione.
Ling Shuhua diventa una delle voci critiche più audaci di una società che impone alle donne un grande
sacrificio senza però garantire alcuna gratificazione in termini economici o affettivi. Ad esempio ne “Il
Fratellino” una giovane fidanzata innamorata non riesce a trovare il modo e il tempo per raggiungere
l’intimità con il proprio fidanzato perché è sempre scortata dal fratello minore, mentre in “Malattia” una
moglie viene accusata di tradimento dal marito malato quando in realtà lavora segretamente tutti i giorni
per guadagnare il denaro necessario ad acquistare le sue medicine. Tutti questi racconti vanno considerati,
oltre che per il loro valore estetico, anche in quanto critica al modello confuciano che subordina la donna a
qualunque componente maschile della famiglia. Il pessimismo dell’autrice nei confronti di un possibile
riscatto della donna si palesa decisamente in Qi Xia, in cui una donna decide di usufruire di una borsa di
studio per studiare musica in Italia con un famoso violinista, ed ella viene abbandonata dal marito che le
preferisce una moglie tradizionale e fedele.
Quanto a Lin Huiyin, ella giunge a conclusioni simili a quelle di Ling Shuhua, sottolineando le aberrazioni
della società patriarcale e facendo satira sull’intellighenzia cinese. Nel racconto “Imbarazzo” ad esempio, si
raccontano i goffi tentativi di un professore in vacanza di sedurre la figlia di un amico e collega.
L’adescamento della ragazza mette a nudo l’ipocrisia del finto intellettuale progressista apparentemente
dedito al progresso e alla civilizzazione di una Cina descritta dallo stesso protagonista come retrograda e
conservatrice.

La corrente di Pechino e il romanzo di formazione


L’elogio della marginalità spinse gli autori della corrente di Pechino a trattare personaggi fino ad allora
ignorati dalla letteratura tradizionale, e tra questi i bambini. Zhou Zuoren, nel saggio “Breve discussione
sulla letteratura per l’infanzia”, attinge da alcune tesi antropologiche che collegano il bambino all’uomo
primitivo per creare un nesso tra pedagogia e teorie evoluzionistiche. Fei Ming traduce poi le tesi del
maestro in narrativa nel suo capolavoro “Ponte”, che si concentra sul mondo affettivo, emotivo ed
epistemologico di un gruppo di bambini che crescono nelle campagne cinesi. L’ottimismo per la
maturazione individuale e la crescita sociale di quest’opera vengono sostituiti in “Youzi” da un senso di
rassegnazione per la vita e la sopravvivenza nella Cina rurale. Quest’ultimo racconto descrive il rapporto
instaurato dal protagonista con la cugina della sua futura sposa come spunto di riflessione sulle dolorose
tappe della crescita e sull’ineluttabilità del fato individuale. La totale condivisione di piaceri e dolori durante
la loro infanzia viene infatti bruscamente interrotta dai vincoli imposti dalla famiglia e dalla società.
Il processo formativo nel romanzo cinese non è legato alle esperienze del protagonista nel mondo urbano,
tipico dei romanzi occidentali dell’epoca industriale, ma piuttosto a scelte identitarie e di vita. Un esempio è
“Storia della foresta di bambù”, che, pur narrando del rapporto di un giovane studente con Asan, la figlia di
una giovane vedova che vende verdure, è in realtà un’analisi del personaggio della ragazza, a cui il lettore
ha accesso totale tramite un narratore onnisciente. Ciò che emerge è l’imperturbabilità della ragazza
nonostante la morte del padre e i continui dissapori con la madre, un’accettazione del fato che si trova
anche nei racconti pastorali di Shen Congwen, e che è motivata dalla totale immersione della ragazza nel
contesto naturale in cui vive, che la spinge a tagliare ogni legame sociale.
L’uso dei bambini come personaggi principali negli autori della corrente di Pechino non deve stupire, dal
momento che questi personaggi permettono agli scrittori di applicare principi poetici nei loro romanzi. Le
trame di questi racconti, che possono apparire banali, sono in realtà agli occhi del lettore colto cinese
mirabili riproposizioni in forma narrativa della poetica del passato o di concetti filosofici. Ad esempio il
fallimento del protagonista nell’adescare Asan che gira per il villaggio con il suo cesto di verdure diventa
l’esempio di un personaggio moderno che altro non è se non la personificazione dell’immagine poetica del

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dao. Asan diventa il simbolo di un sublime comprensibile a tutti, una bellezza trascendente e ordinaria, una
bambina il cui cuore ancora non si è assuefatto ai vizi di città.
L’autore della corrente di Pechino più impegnato politicamente è Xiao Qian, che nel suo racconto più
famoso “Sotto la staccionata” (篱下, 1934) usa la figura del bambino come metafora della situazione della
Cina negli anni ’30. La storia è quella di un bambino e sua madre che vengono abbandonati dal padre
alcolizzato, e che vanno a stare a casa della zia in città. Il bambino non riesce ad instaurare un buon
rapporto con il cugino benestante e urbanizzato, e involontariamente causa disagi e situazioni imbarazzanti
per la madre e per la famiglia ospitante. Alla fine i due vengono costretti ad abbandonare la casa, e anche
se il finale è incerto si intravede un destino di miseria per loro. Nel racconto le convenzioni e lo stile di vita
borghese vengono ridicolizzati, e si evidenzia come l’etichetta della classe urbana sia in realtà comparabile
al li, un inutile insieme di regole che non garantisce reale benessere, una patina superficiale senza alcun
significato.

Conclusione
La corrente di Pechino si afferma sia come alternativa alle correnti che si stavano sviluppando negli anni 30,
sia come erede della tradizione classica. Ciò non significa che i racconti di questi autori siano anacronistici:
l’ambientazione nel presente anziché nel passato indica che non si voleva recuperare ciò che non c’era più,
ma conservare ciò che sembrava irrimediabilmente compromesso. Per questi autori la Cina rurale del
passato non è né bella né brutta, semplicemente era complessa. La problematicità della storia era
aumentata con l’arrivo dei “diavoli occidentali” che avevano semicolonizzato la Cina. Per gli autori della
corrente di Pechino, a differenza degli altri scrittori a loro contemporanei, preservare la bellezza insita nella
propria cultura, con tutte le sue contraddizioni, era l’unica arma per poter cancellare la presenza latente di
un “diavolo occidentale” che continuava ancora a minacciare la loro identità culturale. L’arte per la
corrente di Pechino era diventata lo strumento prescelto per la loro personale rivoluzione anticolonialista e
antimperialista.

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5 – IL SENSO DELLA METROPOLI: LA PRODUZIONE NARRATIVA DELLA CORRENTE DI SHANGHAI

La Shanghai cosmopolita e semicoloniale degli anni ‘30


Sviluppatasi in seguito alla sconfitta cinese nella guerra dell’oppio del 1842, che costrinse la città
all’apertura forzata di concessioni occidentali sul suo territorio, Shanghai divenne da allora la città più
moderna e multiculturale della Cina, con tutti i benefici della tecnologia e dell’economia moderna, ricca di
locali di intrattenimento e di circoli letterari. Era il luogo ideale per gli scrittori attratti dalla folla, dalle
vetrine, dai bordelli e da tutto ciò che il mercato poteva offrire. In questo contesto culturale nasce negli
anni ’30 la 海派, la corrente di Shanghai, rappresentata soprattutto dagli scrittori Liu Na’ou 刘呐殴, Mu
Shiying 穆时英 , e Shi Zhecun 施蛰存 . Questa corrente letteraria nasce da un’esigenza opposta, seppur
complementare, a quella della corrente di Pechino. La corrente di Shanghai si distingue infatti per la
comune ricerca del “senso dello spazio del presente”, e dunque dei sensi nella metropoli cinese degli anni
’30, tema così rilevante che indusse questi autori a riconoscersi nell’appellativo di “neosensazionisti” 新感
觉派. Se negli autori della corrente di Pechino lo spazio è inteso come luogo in cui l’uomo può migliorare sé
stesso dal punto di vista etico, e in cui può crescere in armonia col mondo che lo circonda, nei racconti della
corrente di Shanghai lo spazio è un qualcosa di seducente ma nocivo per la creazione di una dimensione
etica, qualcosa che porta a una graduale degenerazione.
Liu Na’ou nacque a Taiwan e studiò in Giappone, condusse una vita attiva come direttore di riviste
specializzate in cinematografia e di un giornale sponsorizzato dal regime collaborazionista. Fu ucciso in
circostanze misteriose, probabilmente dai servizi segreti del Guomindang. La stessa sorte toccò
probabilmente Mu Shiying, il più prolifico dei tre, inizialmente scrittore impegnato di sinistra, divenne
presto un protetto di Shi Zhecun, allora direttore della rivista Xiandai e meno politicamente orientato. Shi
Zhecun fu dei tre il più longevo, ma la sua produzione si concentra in una decina d’anni, dato che dopo la
nascita della RPC si dedicò all’insegnamento e allo studio della poesia classica.
La corrente di Pechino e quella di Shanghai si proposero come alternativa ideologica e stilistica alla visione
di letteratura di Lu Xun. La rivoluzione della corrente di Shanghai consiste nell’analisi accurata e impietosa
dei piaceri mondani della nuova borghesia cittadina, una rivoluzione che avvenne sul piano dei contenuti,
ma soprattutto su quello stilistico.
L’etica confuciana, sempre pronta a criticare la classe commerciante per la sua apologia dei valori
economici a scapito di quelli etici, si rifiutava di attribuire grande importanza alla città. Fu solo con Liang

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Qichao e la rivista Gioventù Nuova che la città, assieme ad altri concetti occidentali, iniziò a divenire
sinonimo di progresso e sviluppo. Il PCC d’altra parte, continuava a vedere maggiori risorse etiche e
rivoluzionarie nelle campagne, e non vedeva di buon occhio l’ambiente urbano. La corrente di Shanghai
demistifica questo rapporto di opposizione tra città della luce e città delle tenebre. Mu Shiying ad esempio,
nell’incipit del suo racconto “Foxtrot a Shanghai. Un frammento” (1931), parla di Shanghai come di “un
paradiso costruito sull’inferno”: la città è un paradiso per i ricchi e per gli occidentali, ma si trasforma in un
inferno per coloro che non posseggono adeguate risorse economiche. In questo testo l’autore osserva la
città e invita il lettore a partecipare a questa esperienza con tutti i suoi sensi, in una descrizione di suoni,
colori, immagini e conversazioni in cui l’unico senso che manca è quello etico. Si nota anche un ampio uso
della sinestesia, comune in tutti gli autori della corrente di Shanghai, ma che raggiunge la sua massima
espressione con Mu Shiying. È significativa nel testo la presenza del treno, che se da un lato rappresenta il
mostro della modernità, dall’altro indica quello spostamento da un passato fatto di plumbei campi a un
futuro di luci, suoni e colori. L’immagine delle gambe inoltre, comune sia a esseri animati che inanimati,
trasforma l’intera città in un seducente corpo femminile. Il corpo umano non è più, come nel caso della
Società Creazione, la metafora dello stato nazione: l’evocazione del Lincoln Boulevard, cuore della Shanghai
coloniale, è segno dell’irreversibile contaminazione culturale e politica con i paesi coloniali. Il
rovesciamento etico diventa perciò ineluttabile in una città che ha perso il contatto con le proprie radici e
che è stata catapultata in un presente pieno di diversi modelli culturali, tecnologici ed economici proposti, e
spesso imposti, dalle potenze coloniali.
Per gli scrittori della corrente di Shanghai il paradiso costruito sull’inferno è un luogo che offre tutto ciò che
i sensi possono desiderare, ma da cui poi è impossibile fuggire. Verso la fine del racconto si torna al punto
di partenza della narrazione, dove l’autore descrive un omicidio, per poi concludere il racconto con la sua
notte lussuriosa e il rapporto con la metropoli. Si manifesta così il rapporto ambiguo dello scrittore con la
città, una città descritta tramite l’esperienza dei sensi, ma anche tramite personaggi privi di alcuno spessore
psicologico o morale, come il giovane nullafacente invischiato nel gioco d’azzardo e in una relazione con la
matrigna grazie ai soldi del padre, o i mafiosi che uccidono un uomo in mezzo alla strada, sul cui cadavere
vengono poi costruite le piste da ballo. L’impressione è quella di un luogo in cui vengono meno tutti i
legami di solidarietà.
“Foxtrot a Shanghai. Un frammento” si può considerare un manifesto della corrente di Shanghai, ma
l’ambivalenza del paradiso-inferno viene approfondita anche in altri racconti, come ad esempio “Cinque
persone in un nightclub” ( 夜总会里的五个人 , 1932), che racconta delle peripezie di cinque personaggi
radicalmente diversi: un giocatore di borsa fallito che si suicida, uno studente universitario abbandonato
dalla ragazza, una donna che capisce di aver raggiunto la mezza età, un intellettuale che si interroga
sull’ontologia dell’essere, e un impiegato di governo appena licenziato. La storia si conclude con la
partecipazione dei rimanenti quattro al funerale del giocatore di borsa. Questo racconto si basa su uno
schema narrativo fisso proposto dalla letteratura di sinistra in cui si elabora il concetto di lotta di classe
come strumento di propaganda rivoluzionaria. Anche se in questo caso non si può parlare di classi, i cinque
personaggi sono sineddoche di gruppi rappresentativi del tessuto antropologico della metropoli: lo
speculatore, lo studente, la donna emancipata, l’intellettuale e l’impiegato amministrativo comunale. A
differenza dei racconti a sfondo politico, non c’è tra questi gruppi alcun conflitto, né la vittoria di un gruppo
sull’altro, al contrario, tutti questi personaggi subiscono, dopo varie peripezie, un’umiliante sconfitta.

Il nonsenso dell’amore nel senso del presente


La maggior parte della produzione della corrente di Shanghai verte sull’incontro, o più propriamente
scontro sessuale tra uomini e donne. Ricorrono spesso il tema della femme fatale che trionfa sull’uomo e
della demascolinizzazione del protagonista, ma il tema più importante è quello della relazione tra tema
erotico e progetto di costruzione dello spazio del presente, ovvero la differenza tra gli “occhi” degli uomini
e quelli di tutti i luoghi di intrattenimento di Shanghai.

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Nel contesto di Shanghai, in cui troviamo nuovi soggetti sociali, le gerarchie confuciane basate sui concetti
di padre, figlio, moglie, fratello, suddito e sovrano hanno perso la loro funzione. A differenza delle classi
confuciane, i nuovi gruppi sociali coesistono, ma non sono tenuti a interagire, come ben mostrato in
“Cinque persone in un nightclub”, in cui i cinque personaggi che simboleggiano i nuovi gruppi portano
avanti monologhi paralleli privi di interazione, sottolineando un senso di alienazione e solitudine. I racconti
erotici della corrente di Shanghai mostrano dunque come l’incontro sessuale sia l’unico ammissibile in una
società che esclude ogni altra forma di comunicazione.
Un racconto esemplificativo del nuovo tipo di rapporti sociali è “Etichetta e igiene” ( 礼仪和卫生, 1939) di
Liu Na’ou, che racconta dell’avvocato Yao Qiming, divenuto famoso per le sue cause in favore delle donne
maltrattate o abbandonate da mariti fedifraghi e violenti. Dopo una giornata di lavoro egli decide di far
visita a una prostituta, e al suo ritorno a casa la moglie gli comunica la sua nuova passione per la pittura.
Egli cerca di capire da dove viene questa passione e scopre di non conoscere affatto la moglie: viene infatti
a sapere che conduce una vita parallela con una sorella muta di cui non conosceva l’esistenza, e con un
gruppo di artisti che vivono grazie alle donazioni di un mercante d’arte francese innamorato della signora
Yao. Dopo un vano tentativo di farsi restituire la moglie dal francese, il protagonista torna a casa e trova un
biglietto lasciato dalla moglie, che afferma di essersene andata assieme al francese, e che gli consiglia di
interrompere le sue visite al bordello per motivi di etichetta e igiene, iniziando invece una salutare
relazione con la sorella muta. La trama allude all’incomunicabilità e alla solitudine dei cittadini
metropolitani come diretta conseguenza della reificazione dei rapporti umani, mentre la sorella muta
rappresenta la donna tradizionale remissiva e compiacente. È inoltre evidente l’ironia nel rappresentare
Qiming come avvocato per i diritti delle donne, violatore di quegli stessi diritti per cui combatte.
A differenza degli autori della corrente di Pechino, che di fronte alla crisi di valori dell’età moderna
propongono un recupero della riflessione sui precetti confuciani, quelli della corrente di Shanghai
semplicemente prendono atto dell’ineluttabilità della reificazione e della mercificazione nel mercato
globalizzato di Shanghai. I neosensazionisti inaugurano l’entrata in un’epoca in cui tutto, valori inclusi, è
soggetto alle regole del mercato, e così il capitale simbolico per eccellenza, l’amore, diventa un nonsenso.
L’unica cosa accessibile all’essere umano è il piacere, unico ed effimero obiettivo della vita metropolitana.
I racconti della corrente di Shanghai, in cui si nota come siano gli occhi della città e dei singoli locali a
plasmare l’identità dell’individuo, servono a rappresentare l’atmosfera della città piuttosto che le vicende
umane dei singoli personaggi. Le storie narrate sono infatti solo piccoli frammenti di vita, momenti fugaci
delle esistenze di esseri che vagano nella metropoli in cerca di qualcosa.

Tra storia personale e memoria collettiva nella narrativa di Shi Zhecun, Ye Lingfeng e Xu Xu
Negli autori della corrente di Shanghai non si trovano solo racconti sulla metropoli, ma anche racconti
grotteschi ambientati nel passato, sulla questione delle radici della metropoli cinese. Gli autori si
chiedevano se si potesse rappresentare un passato, seppur fittizio, su cui poggiare la costruzione di un
ipotetico moderno e cosmopolita presente. Il tentativo di traslare la tecnica di defamiliarizzazione tipico
della letteratura modernista sul piano psicanalitico è tipico dei neosensazionisti. In particolare il concetto
freudiano di perturbante rappresenta un’importante chiave di lettura per sollevare le problematiche
inerenti alla questione storica di una neonata metropoli in grado di conciliare la memoria collettiva con
quella individuale.
Un esempio di racconto demoniaco in cui il perturbante crea uno spazio ambivalente tra l’io e l’altro è “La
testa del generale”, ispirato alla storia di un generale di epoca Tang metà Han e metà tibetano che conduce
il suo esercito verso una spedizione in Tibet. Durante la spedizione uno dei soldati tenta di violentare una
ragazza han e il generale deve punirlo con la pena di morte. Il generale stesso è però invaghito della
ragazza, e quando le confessa il suo amore, lei risponde che la pena di morte aspetta anche i soldati che
hanno relazioni con ragazze locali. Il generale resta scosso dal fatto che parole così crudeli possano essere
pronunciate da una ragazza così graziosa a tal punto che in battaglia si distrae e viene decapitato da un
generale tibetano. La notte dopo la battaglia va a fare visita alla ragazza con la sua testa fra le mani, ma

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questa lo caccia via. La decapitazione può essere letta come una castrazione al contrario: il generale non
possiede più la ragione ed è solo il desiderio a guidarlo dalla ragazza, mentre quest’ultima, ancora
raziocinante, non può che cacciarlo via. Le biografie storiche diventano una straordinaria fonte di
ispirazione per gli scrittori in cerca di una mediazione tra identità nazionale e identità singola, tra passato
collettivo e passato individuale.
Il tema dell’io rimosso e del desiderio come motore della storia individuale si trova anche in Kumarajiva,
racconto ispirato alla storia dell’omonimo monaco che giunse alla corte dei Tang per tradurre importanti
sutra buddisti, e che, secondo la tradizione, ricevette in dono dieci ragazze per assicurarsi che la sua
intelligenza fosse trasmessa ai posteri. Il racconto si incentra dunque sull’evoluzione del monaco che si
lascia andare alle passioni dell’amore e dell’eros. Importante è l’episodio in cui Kumarajiva perde la moglie
durante la traversata del deserto per giungere in Cina, momento in cui, durante un ultimo bacio, lei
trattiene la sua lingua. La lingua che rimane priva di un corpo e il torso del generale decapitato sono
immagini di uno sgretolamento dell’integrità ontologica che, dopo la nascita della psicanalisi, non ha più
senso di esistere; e rappresentano eroi che hanno avuto l’ardire di oltrepassare i confini spinti da
un’irrefrenabile desiderio. Queste storie ci ricordano che la Cina è sempre stata cosmopolita, e che il
contatto con culture straniere non è appannaggio esclusivo di una metropoli come Shanghai.
La commistione tra opere di argomento fantastico della tradizione cinese come i Chuanqi di epoca Tang o il
“Liaozhai Zhiyi” di Pu Songling con le opere di autori europei come Edgar Allan Poe danno vita a interessanti
racconti sulla trasgressione dei confini dell’io. In Shi Zhecun possiamo trovare “Percorsi diabolici”, che tratta
dell’incontro tra un moderno uomo e un presunto spettro femminile, per cui la labile psiche del
protagonista finisce per confondere il reale e il fantastico.
In Ye Lingfeng troviamo invece “Luoyan”, la storia di un uomo che conosce a teatro una donna di nome
Luoyan, dalle sembianze strane, e si reca a casa sua. Qui conosce il padre, e dopo una conversazione sullo
scarso valore estetico della letteratura e della cultura moderna, lui cerca di lasciare la casa, ma il padre
glielo impedisce. Ne segue una colluttazione e un tentativo di stupro del padre di Luoyan sul giovane, ma
alla fine egli riesce a scappare grazie all’aiuto di Luoyan che gli indica l’uscita e gli regala anche una somma
di denaro. Il protagonista cerca di utilizzare il denaro per prendere un mezzo di trasporto, ma scopre che si
tratta di banconote votive per il culto dei morti.
Xu Xu scrive invece “Amore di un fantasma”, in cui il protagonista intrattiene rapporti notturni e misteriosi
con una donna vestita di nero. Un giorno, essendosi dimenticato la pipa a casa della donna, torna a
riprenderla, ma scopre che la casa è inesistente e la famiglia che vi abitava è sparita.
La necessità da parte di questi scrittori della corrente di Shanghai di inventarsi una tradizione è
complementare a quella della corrente di Pechino, solo che a differenza di quest’ultima, essa non fa
affidamento sulla tradizione canonica della poesia, ma su quella dei mirabilia. Tale scelta aiuta questi autori
a delineare una sorta di genealogia della loro produzione in grado di dare un senso storico ai sensi della
metropoli.

Il fascino del giogo d’oro: economia, materia e scrittura in Zhang Ailing


Zhang Ailing 张爱玲 (1920-1995) è stata una delle scrittrici più famose del suo tempo, ed è ancora una
delle più importanti icone culturali della nostra epoca. Ricevette un’educazione di tipo occidentale
impartitale da religiosi, e la sua permanenza in metropoli come Shanghai, Hong Kong e Los Angeles rende la
sua scrittura per certi versi affine a quella della corrente di Shanghai, pur non facendo ella parte di questa
cerchia di scrittori.
Le metropoli di Shanghai e Hong Kong hanno reso possibile la fascinazione per un tipo di letteratura che fa
appello alla sensualità e alla materialità dei corpi. In particolare, nel racconto “Amore in una città caduta”
倾 城 之 恋 (1943), queste due metropoli sono rappresentate secondo un punto di vista chiaramente
femminile: spazi chiusi tipici dei generi tradizionali e spazi aperti che danno l’illusione di una partecipazione
diretta della donna nella vita della metropoli. La novella racconta il rapporto tra Bai Liusu, donna divorziata
nata in una famiglia ricca ma ora in disgrazia, e il dongiovanni Fan Liuyan. Il personaggio di Bai Liusu è

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costruito secondo il prototipo della femme fatale cinese: abile seduttrice, ella segue Fan Liuyan prima a
Shanghai, e poi a Hong Kong, dove i due si sposano. La differenza tra Bai Liusu e le grandi ammaliatrici del
passato sta nel suo pragmatismo. A lei infatti Fan Liuyan non piace davvero, egli non è nemmeno un
oggetto di desiderio sessuale, ma semplicemente un sostegno economico. Tale pragmatismo è rimarcato
dalla ripresa da parte dell’autrice di elementi tipici della poesia ci di epoca Tang, tradizionalmente collegati
alle immagini dell’amore: l’incenso, che tradizionalmente indica l’inebriarsi del desiderio della donna chiusa
nei propri appartamenti in attesa dell’uomo, serve a Bai Liusu solo per scacciare gli insetti; mentre le
lacrime, anch’esse legate ai sentimenti d’amore nel ci, sono causate in Bai Liusu dai fumi dell’incenso. I
sentimenti e le paure sono chiaramente tutti rivolti ai bisogni pratici dell’esistenza.
Zhang Ailing è molto abile nel rappresentare la tensione tra finalità, tempi e modi diversi. Al desiderio di
appagamento sessuale di lui si contrappone il desiderio di stabilità economica della donna. Bai Liusu decide
di utilizzare il proprio corpo come un dono, rischiando il tutto per tutto, e alla fine sarà un importante
evento storico a sancire la vittoria di lei: avendo soddisfatto i propri desideri infatti, Fan Liuyan vuole
tornare in Inghilterra, ma la caduta di Hong Kong lo costringe a restare, e ad accettare i desideri di lei.
Il titolo della prima raccolta di racconti di Zhang Ailing, Chuanqi 传 奇 , non è d’altronde casuale, e fa
riferimento al chuanqi “Canto dell’eterno rimpianto”, a sua volta ispirato all’omonima ballata del poeta Bai
Zhuyi. Entrambi i testi raccontano delle manovre della concubina Yang Guifei per sedurre l’imperatore
Xuanzong, il quale secondo la tradizione sarebbe stato così distratto dall’amore per la sua concubina da
trascurare gli affari di stato e causare la disfatta della prima dinastia Tang. Nel caso di Bai Liusu però la
storia viene in aiuto della moderna eroina, e alla fine la rimozione dell’incensiere segna la vittoria della
protagonista, che non dovrà più piangere e si avvia verso un futuro economico migliore.
Apparentemente antitetico per temi e contenuti è l’altro capolavoro di Zhang Ailing, “Storia del giogo
d’oro” 金 锁 记 (1943), la cui protagonista Cao Qiqiao, viene venduta in sposa dal fratello maggiore al
rampollo invalido di una ricchissima famiglia. Dal matrimonio nascono due figli, ma la protagonista, priva di
risorse e spazi alternativi, si concentra così tanto sulla gestione delle risorse patrimoniali di famiglia da
dimenticare ogni forma di umanità nei confronti di coloro che la circondano. L’amore inizialmente non
contraccambiato nei confronti del cognato finisce per distruggere ogni potenziale affettivo rimasto in lei, e
così, ossessionata dal suo piccolo mondo fatto solo di odio, finirà per vendicarsi del cognato e distruggere la
vita dei suoi stessi figli, portando la nuora al suicidio e sabotando ogni loro possibilità di costruirsi un futuro
normale. In questa storia l’autrice sembra negare anche il concetto di amore antiromantico, e descrive le
conseguenze della privazione di ogni forma di spazio fisico e mentale per la donna.
In questa storia è fondamentale il contrasto tra spazio esterno e spazio interno. Il primo è il luogo del
fratello di Qiqiao, mentre il secondo è lo spazio in cui è relegata la protagonista. Le atmosfere sono
claustrofobiche, e l’opulenza, rappresentata dalla dettagliata descrizione degli oggetti che occupano lo
spazio di Qiqiao, non è vista qui come un qualcosa di positivo, ma come l’indice di un ambiente malsano
che si manifesta nei pesanti abiti di broccato in cui sono avvolti i figli di Qiqiao, che finiscono così per
crescere come figure di cartapesta. Qiqiao cerca un rapporto con la sua famiglia originaria attraverso l’invio
di beni materiali, ma ciò non è abbastanza, e non potendo rivolgersi verso l’esterno, alla fine tutto l’odio e
la frustrazione della protagonista si rivolgono verso l’interno, come in un’implosione.
Amore in una città caduta e Il giogo d’oro si possono collegare in quanto entrambe le protagoniste non
sono realmente libere: Bai Liusu può vagare da un luogo all’altro, ma lega comunque la sua vita alla ricerca
di quel giogo d’oro che le permetta di sopravvivere; mentre Qiqiao ha trovato la sua fonte di
sostentamento ma ne è intrappolata, e così, chiusa nella sua gabbia dorata e non riuscendo a liberarsi del
giogo, finisce per imporlo anche ai suoi figli, in un morboso desiderio di possederli, più che di amarli.
L’umanità di Zhang Ailing, così come quella della corrente di Shanghai, è un’umanità viziata: Qiqiao è una
colonizzatrice del mondo domestico che abita, che vuole dominare, ma che non sa amare né apprezzare;
mentre Liusu si lega a un uomo che non ama, ma di cui ama la ricchezza. L’attualità della scrittura di Zhang
Ailing sta nel ricordarci l’umanità che era, è, e sarà sempre attratta dal fascino seducente del giogo d’oro.

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6 – REALISMO E REALISMI

Il magistero del realismo


Secondo Lu Xun, i saggi cinesi avevano da sempre invitato i letterati a non osservare ciò che è difforme dal
li, ma era ora giunto il momento di guardare in faccia la realtà e descriverla per quello che è. Il suo pensiero
e la sua narrativa sono rimaste sempre fondamentalmente le stesse, nonostante una moderata adesione al
marxismo tra gli anni 20 e 30. Non è da sottovalutare inoltre l’importanza del pensiero del fratello Zhou
Zuoren, soprattutto riguardo alla sua idea di “letteratura della gente comune” 平民文学. Riprendendo il
termine pingmin, Lu Xun ricordava in un celebre saggio che a più di dieci anni dal movimento del 4 maggio
non esisteva ancora una letteratura rivolta al popolo, e che se contadini e operai non si fossero emancipati
il loro pensiero sarebbe stato sempre quello delle persone colte. Solo un’emancipazione di contadini e
operai avrebbe portato a una vera letteratura della gente comune. Tale visione popolare della letteratura si
sarebbe poi irrigidita con la letteratura di classe imposta da Mao Zedong a partire dal 1942.
Nonostante la definizione di realismo non sia del tutto appropriata nel caso cinese, sicuramente si assiste,
soprattutto dagli anni ’30, a una crescente attenzione per la descrizione dei problemi sociali, e a una
progressiva erosione dello spazio dedicato alla soggettività dell’autore almeno fino agli anni ’80. Numerosi
autori di questo periodo sono iscritti nella corrente chiamata “corrente dell’analisi sociale” 社会剖析派 ,
che fu ispirata dal romanzo di Mao Dun 茅盾 “Mezzanotte” 子夜 (1933). Anche se i racconti continuarono
comunque a essere scritti infatti, a partire dagli anni 30 la scelta di rappresentare nella sua complessità
l’analisi cinese richiese forme narrative di maggior respiro che garantissero la possibilità di inserire materiali
ampi e compositi, come il romanzo.
Gli autori che contribuirono a questo filone narrativo furono classificati in base alla provenienza geografica
o a una comune visione, ad esempio nella corrente del Sichuan, la corrente del Nord Est, o la corrente
Luglio. Ciascuno di essi reinterpretò il realismo partendo dal comune denominatore fornito da Lu Xun e
Mao Dun.
L’evoluzione principale che occorre in questi testi si riconosce principalmente nel concetto di
defamiliarizzazione, sia nelle descrizioni che nella realizzazione dei personaggi. La tecnica straniante si
riscontra in tutti gli autori, e permetto loro di sviluppare una distanza ironica dal racconto, una coscienza
dell’assurdo che costringe i lettori a una presa di coscienza morale. Naturalmente, l’elemento estetico mei,
prevalente nei romantici e nella corrente di Shanghai, viene qui superato dai principi di zhen e shan, e si

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passa così da una rappresentazione oggettiva della realtà a una scrittura più espressionista, in cui gli autori
descrivono i contesti sociali di più grande degrado e disumanizzazione.
Questa fase letteraria è dominata dalla disillusione e dal confronto col fallimento degli ideali del 4 maggio di
cambiare la società attraverso la letteratura. Il problema resta quello dell’incomunicabilità tra il letterato e
le masse che attanagliava Lu Xun. Mao Dun sosteneva che il pubblico della nuova letteratura dovesse
allargarsi ai giovani, gli studenti e i membri della piccola borghesia, ma tale posizione fu presto superata
dall’esigenza di creare una letteratura delle masse e per le masse.
Al di là dei contenuti, sono soprattutto le tecniche narrative e lo stile ad accomunare le opere di questa
corrente, sempre più indirizzata a una rappresentazione scientifica e distaccata della realtà, ma anche ricca
di diversità e interpretazioni varie. Nel contesto storico di una complessa e dolorosa trasformazione della
Cina, gli scrittori realisti sottopongono al loro sguardo critico i destini degli individui e dei gruppi sociali, non
necessariamente sposando l’attitudine militante che la Lega degli scrittori di sinistra imponeva. Lao She ad
esempio propone una lettura del suo tempo e della sua terra lontana da modelli teorici marxisti e più vicini
a modelli narrativi di universale umanità ispirati al realismo europeo (soprattutto Dickens); mentre Zhang
Tianyi e Qian Zhongshu utilizzano la satira per la loro strategia realista.

I grandi romanzi: i realismi di Mao Dun e Lao She


Lu Xun denuncia la società cinese senza tuttavia proporre soluzioni salvifiche. Nella sua visione pessimistica
in cui si sottolinea il divario tra le masse e gli intellettuali, anche questi ultimi sono ben lungi dall’essere
modelli di valore: in Sacrificio di capodanno ad esempio, l’intellettuale non fa nulla per salvare la povera
vedova, ed è anzi causa indiretta della sua morte; mentre in Cordoglio il giovane letterato ispirato ai principi
del 4 maggio decide di violare i vincoli di matrimonio imposti dalla famiglia e di stare con la donna che ama,
salvo poi abbandonarla al primo accenno di difficoltà. Mao Dun riprende la visione di Lu Xun
abbracciandone l’aspetto più pessimista, e rifiutando al lettore anche quel piccolo barlume di speranza che
nemmeno Lu Xun aveva mai osato sottrarre. Diverso è invece Lao She, che tra le righe delle sue storie cerca
di comporre ricette salvifiche per la Cina, attraverso una scrittura che è una perfetta fusione tra principio e
forma, etica ed estetica.
Altra diversità tra i due autori riguarda l’affiliazione politica e culturale: Mao Dun fu un padre fondatore
dell’Associazione per gli studi letterari e grande frequentatore dei circoli letterari, la sua adesione al PCC gli
garantì inoltre il titolo di ministro dell’educazione dopo la nascita della RPC. Lao She invece fa riferimento
alla cultura e alla società di Pechino, figlio di una guardia del palazzo imperiale, si trasferì tra il 1924 al 1929
a Londra dove lavorò come lettore alla School of Oriental Studies, un’esperienza che gli conferì una visione
multiculturale.
Nonostante questa radicale diversità, i due scrittori sono accomunati dal fatto di essere i più importanti
filosofi della bancarotta cinese: osservatori di una modernità economica, valoriale e identitaria che va in
crisi ancora prima di essere giunta a piena maturazione. Sono due bancarotte diverse quelle della visione di
Mao Dun e Lao She, la prima analizzata nell’opera “Mezzanotte”, ancorata alla realtà cosmopolita e
coloniale di una Shanghai dominata dall’alta finanza; la seconda analizzata in “Cammello Xiangzi” (o “Il
ragazzo del risciò) 骆驼祥子 (luotuoxiangzi, 1937), è invece una bancarotta economica indotta da una crisi
identitaria e valoriale.

Bancarotte economiche: Mezzanotte di Mao Dun e Cammello Xiangzi di Lao She


Mezzanotte di Mao Dun è per il PCC uno dei principali esempi di realismo politico. Nonostante i vari limiti
estetici e strutturali, è importante in quanto affresco della Cina degli anni ’30. Si tratta di un romanzo corale
che ha come soggetto il mercato con tutte le sue leggi finanziarie astratte, e che conta centinaia di
personaggi. Il collante del romanzo è rappresentato dalla figura di Wu Sunfu, che inizia il suo percorso nel
mondo finanziario come capitalista onesto e nazionalista, dedito alla formazione di un’industria serica
nazionale in competizione con quella giapponese, ma che subisce le lusinghe del mercato azionario e dei
facili guadagni, finendo per perdere tutto a seguito di manovre speculative. Il suo nemico e alter ego è Zhao

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Botao, stereotipo dello speculatore senza alcun principio morale, che fagocita gli imprenditori che, come
Wu Sunfu, erano animati da un progetto politico.
Fedele all’ideologia marxista, Mao Dun critica l’appropriazione del modello macroeconomico occidentale
che avvantaggia solo chi ha connivenze con i rappresentanti delle potenze occidentali. Nella parte dedicata
al ritratto di Wu Sunfu, l’autore elabora le differenze tra capitalismo speculativo puro e capitalismo
associato a un progetto nazionalista, e afferma che la rivoluzione industriale implica la fine di quelle
dinamiche che regolavano i rapporti interpersonali a tutti i livelli. A differenza degli autori della corrente di
Shanghai, Mao Dun non si preoccupa della deteriorazione dei rapporti interpersonali, ma piuttosto della
spersonalizzazione dei rapporti tra le parti sociali. Nella corrente di Shanghai infatti il tema della lotta di
classe non esiste, mentre qui è molto presente. La contraddizione tra il concetto di fedeltà alla lotta di
classe e quello di lealtà confuciana al superiore sarà il catalizzatore della bancarotta di Wu Sunfu.
In apparenza, la bancarotta come causa e al contempo epilogo di un desiderio smodato è il tema centrale
anche in Cammello Xiangzi, ma qui le dinamiche e gli scenari non potrebbero essere più diversi. L’opera è
ambientata in una Pechino tradizionale e conservatrice, in cui hanno luogo le vicissitudini di Xiangzi, un
tiratore di risciò che ambisce ad acquistare il proprio mezzo di trasporto. Questo romanzo è stato
interpretato in vari modi, da una svolta verso sinistra dell’autore alla descrizione di una degenerazione
morale e personale. Forse Cammello Xiangzi si può intendere in generale come una parabola del desiderio.
Il dramma di Xiangzi è quello dell’individuo che aspira ad essere un homo economicus, ma che non ha le
competenze economiche e morali per farlo. Lao She decide di sdoppiare il suo personaggio in Xiangzi e
Cammello Xiangzi: il primo è una persona serena che possiede un risciò e gode di relativa stabilità
economica, mentre il secondo è il personaggio che nasce nel momento in cui Xiangzi ruba dei cammelli al
plotone dell’esercito che gli aveva illegalmente confiscato il risciò. La scelta di soprannominare Xiangzi
“cammello” piuttosto che “risciò” è data dal valore metaforico del nome, perché Xiangzi e il cammello
condividono caratteristiche come la resistenza alla fatica, la parsimonia e la capacità di compiere lunghi
tragitti. La questione delle competenze di Xiangzi è cruciale per comprendere non solo il personaggio, ma
anche le ragioni che lo portano alla deriva: pur sapendo eseguire operazioni matematiche, Xiangzi si rifiuta
di apprendere la logica dello scambio che può condurlo al successo. Inoltre, il suo rifiuto di ascoltare i
consigli di Gao Ma, abile serva della famiglia Cao, presso cui Xiangzi presta servizio, è la vera causa della
disfatta del protagonista, dal momento che poco dopo egli viene nuovamente derubato.
Il rapporto con Hu Niu, la bruttissima moglie di Xiangzi, permette inoltre a Lao She di distinguere tra
desiderio amoroso e desiderio per il bene di consumo. La relazione tra i due non è una relazione d’amore:
Xiangzi sposa Hu Niu perché questa simula una gravidanza; inoltre dopo il matrimonio la moglie dona il
proprio denaro al marito perché si compri un risciò, ma il suo non è un gesto di generosità, bensì atto ad
aumentare il suo dominio sul marito, che diventa un uomo oggetto. L’intera relazione è basata su principi
alternativi a quelli etici, e alla fine del romanzo Xiangzi è costretto a rinunciare a tutti i suoi averi per
un’inutile assistenza a una moglie ora davvero incinta ma morente, e quindi incapace di dargli un figlio. A
questo punto il protagonista si arrende.
L’ironia di Lao She è evidente: dopo la morte della moglie e del bambino l’atteggiamento di Xiangzi nei
confronti della vita cambia, per cui se quando possedeva un desiderio egli non era in grado di scambiare o
condividere denaro, parole o sentimenti, ora comincia invece a parlare e spende il denaro in fumo e liquori,
diventando perfino generoso coi suoi pari. Anche in questo caso però lo scambio è vuoto e privo di finalità.
In altre parole, se il desiderio isolato da qualsiasi forma di scambio è sterile, anche uno scambio privo di
finalità è inutile. Ormai senza alcuno scopo, Xiangzi rinuncia anche alla possibilità di scoprire l’amore, e
manca di salvare la bella e amabile figlia del suo vicino dal destino della prostituzione. Mancando
all’appuntamento, la ragazza precipita nella disperazione e si suicida. Il messaggio di Lao She è forse che
l’amore fine a sé stesso è impossibile, così come l’amore unicamente guidato dal desiderio di possesso.
La società ideale di Lao She è una via di mezzo tra il primo Xiangzi e quello che viene dopo la morte della
moglie. L’autore non condanna il desiderio individuale di arricchirsi, ma piuttosto la mancanza di un

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equilibrio tra l’ambizione e la totale abnegazione, tra la sublimazione dell’io e la perdita completa dell’io
nella folla.

Bancarotte identitarie: la storia e la geografia nei romanzi di Mao Dun e Lao She
I romanzi giovanili di Mao Dun e Lao She sono altrettanto importanti per capire il tragitto della narrativa
realista verso la sua piena maturità. La trilogia “Eclisse” 蚀 (shi, 1930) di Mao Dun, e il romanzo “I due Ma”
二 马 (1929) di Lao She descrivono l’identità frammentata di una Cina disorientata in cui gli intellettuali
marxisti imborghesiti vagheggiano di rivoluzione nei loro salotti a Shanghai, e gli intellettuali conservatori
sono costretti a trovare nuovi spazi per descrivere un mondo il cui destino pareva ancora incerto.
La trilogia di Mao Dun è composta dai romanzi “Disillusione”, “Esitazione” e “Ricerca”, in cui l’io narrante
veste panni molteplici: il primo romanzo descrive il passaggio dall’afflato amoroso a quello rivoluzionario
della donna emancipata, il secondo descrive la stessa evoluzione dal punto di vista maschile, mentre il terzo
analizza i motivi del fallimento collettivo di questi passaggi.
“Disillusione” racconta la storia della giovane Jing, donna virtuosa che si affaccia al mondo piena di dubbi ed
esitazioni, in netto contrasto con la figura della femme fatale. Ella è innamorata di Baosu, ma deve
contendersi l’oggetto del desiderio con un’altra donna navigata che ha vissuto in Francia. Per conquistare il
ragazzo, Jing gli offre la sua verginità, ma solo dopo l’irrevocabile decisione scopre che lui è un traditore
collaborazionista. Il dolore è tale da provocarle una terribile febbre che richiede un ricovero in ospedale, e
proprio qui scopre la vocazione politica rivoluzionaria. Recatasi a Wuhan, sede dei militanti del PCC, si
innamora del rivoluzionario in convalescenza Qiang Meng, ma la sua chiamata alle armi le fa capire che
anche l’ossessione rivoluzionaria non è meno deleteria e dolorosa del tradimento politico. La protagonista
si rassegna così alla solitudine e alla disperazione.
“Esitazione” si colloca nel contesto della collaborazione tra PCC e partito nazionalista nel secondo fronte
unito contro il Giappone, e ruota attorno alla contrapposizione tra l’impegno politico e patriottico di Fang
Luolan e l’opportunismo politico di Hu Guoguang. Quest’ultimo rappresenta il latifondista privo di scrupoli
che, tramite rapporti interpersonali e l’appoggio dei notabili locali, riesce a prevalere sul rivale. Fang Luolan
è invece un rivoluzionario moderato che vorrebbe migliorare il destino della sua patria, e la cui continua
esitazione nell’operare una scelta politica drastica ha ripercussioni serie sullo scenario storico e politico
locale. Così come in “Disillusione”, anche in “Esitazione” si ripropone un triangolo amoroso: Fang Luolan è
diviso tra la figura della moglie Meili, immagine della donna tradizionale, e la rivoluzionaria Sun Wuyang.
Nonostante la gelosia ossessiva di Meili, Sun Wuyang non vuole disturbare l’ordine familiare di Fang Luolan,
e antepone la causa politica alla sua causa personale. L’epilogo, che vede i tre protagonisti rifugiarsi in un
monastero decrepito all’indomani dello scioglimento del fronte unito, sembra un invito lanciato da Mao
Dun a non cedere né a eccessivi personalismi né a insensate vocazioni al martirio. Fatta eccezione per la
lega delle donne, le varie associazioni non riescono a raggiungere i compromessi necessari per far fronte al
comune nemico, e gli unici vincitori alla fine sono gli sfruttatori come Hu Guoguang, che, facendo leva sulla
disgregazione sociale, riescono a imporre i propri interessi personali al resto della società.
“Ricerca” si concentra invece sulla questione degli intellettuali cinesi, e descrive lo stato d’animo di quegli
ex studenti che, avendo vissuto il fallimento del movimento del 4 maggio e del loro tentativo di trasformare
gli ideali in azione, si ritrovano a feste dal sapore decadente. Tentativi di suicidi, tradimenti, fallimenti
amorosi e malattie veneree sono alcuni degli episodi che si susseguono caoticamente e che travolgono i
personaggi trascinandoli verso la disfatta.
Si nota in questi romanzi un’ossessione per la Cina, ovvero la preoccupazione eccessiva per lo status di
inferiorità cinese che si può definire “bancarotta morale”, e che non risparmia nemmeno i pensatori più
conservatori come Lao She. Quest’ultimo tuttavia è anche in questo caso più vitale di Mao Dun, e il suo
messaggio è meno omologato rispetto alla produzione dominante: il romanzo “I due Ma” descrive infatti la
bancarotta morale con maggiore originalità, ed è un’importante riflessione sulla geografia antropologica del
presente. Ambientato in una Londra più razzista che multiculturale, è un’occasione importante per
riflettere sulle mancate opportunità di un proficuo dialogo tra razze ed etnie diverse.

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Il titolo dell’opera rimanda ai due protagonisti, il vedovo Ma Zeren e suo figlio Ma Wei, che sono costretti a
trasferirsi a Londra per rilevare il negozio di oggettistica etnica lasciato in eredità dal fratello di Zeren. I due
riescono a malapena a trovare un alloggio grazie all’intercessione del reverendo Evans, ex missionario in
Cina, presso la signora Wendell. Padre e figlio si espongono inconsapevolmente a ogni forma di ridicolo, e la
loro emarginazione peggiora ancor di più quando Zeren si innamora della signora Wendell e Wei della sua
superficiale figlia Mary, rendendo i due Ma personaggi caricaturali e grotteschi. Non sono però solo i due
cinesi a essere rappresentati così: anche la signora Wendell e sua figlia, così come la famiglia del reverendo
Evans incarnano ideali patriottici, nazionalisti e razzisti, tramite cui l’autore sottolinea come il colonialismo
non sia solo l’imposizione del forte sul debole, ma presupponga la connivenza di entrambe le parti. Gli unici
personaggi che cercano davvero di mediare tra le due culture sono Li Zirong, l’onesto e pragmatico
commesso che era al servizio del fratello di Zeren, e Catherine, figlia del reverendo Evans.
Lao She evidenzia i problemi che insorgono dall’incontro tra culture diverse tramite la descrizione dei pasti,
ad esempio quando la signora Wendell offre agli ospiti pietanze a base di latte o zucchero, poco amati dai
cinesi, incurante del fatto che per i cinesi il rifiuto è segno di grande mancanza di rispetto; oppure nella
scena in cui Alexander, cugino di Catherine, costringe il vecchio Ma a bere molto più del dovuto, per cui egli
viene ritrovato da Mary ubriaco in un parco, e riportato a casa con una vettura della polizia, causando lo
sdegno generale.
L’autore affronta anche la questione dell’amore misto: Mary mostra il suo anello di fidanzamento incurante
dei sentimenti del giovane Ma, mentre la relazione tra quest’ultimo e Catherine, che invece è da lui sempre
più attratta, viene proibita dai clienti cinesi, che apostrofano il giovane sconsigliandogli di frequentare
donne occidentali.
Nel finale del romanzo Alexander propone al vecchio Ma una parte in un film, promettendogli di
trasformarlo in una stella del cinema, ma mancando di dirgli che il film rappresenta i cinesi come “musi
gialli” che fanno a pezzi le persone e nascondono i cadaveri sotto al loro letto. Scioccata nel vedere la
partecipazione di Zeren a una tale rappresentazione dei cinesi, la comunità cinese sciama verso il negozio
del vecchio Ma per darlo alle fiamme. A quest’ultimo non resta che vendere il negozio, mentre Ma Wen
lascia l’Inghilterra per aderire al movimento patriottico cinese in Francia. Lao She trasmette così un valido
messaggio a tutti coloro che hanno pregiudizi sui cinesi; inoltre, evitando di contrapporre nettamente cinesi
buoni/vittime e inglesi cattivi, riesce a rappresentare con efficacia i meccanismi di produzione di giudizi
aprioristici che determinano non solo l’ignoranza dei molti Ma Zeren o Wendell, o il disprezzo xenofobo di
Ma Wei e Alexander, ma anche la protervia del colonizzatore culturale, religioso o economico.

La bancarotta del genere: il campo della vita e della morte di Xiao Hong
La scrittrice Xiao Hong si distingue nel panorama della scrittura di genere non solo per un realismo
psicologico del tutto nuovo nella letteratura femminile, ma anche per aver sollevato in maniera quasi
ossessiva il tema dell’emancipazione economica femminile in una Cina ancora esitante ad accettare la
donna in qualità di soggetto economico.
Xiao Hong fuggì dalla casa del padre per evitare il matrimonio combinato, subì angherie dai due compagni
di vita e d’arte Xiao Jun e Duanmu Hongliang, probabilmente gelosi della sua superiorità artistica, e perse
due figli dopo il parto per impossibilità di occuparsi materialmente del bambino dopo la nascita. Militò
inoltre nel PCC, cosa che la spinse ad adottare lo pseudonimo 红.
La sua narrativa, e in particolare “Il campo della vita e della morte”, è ben lontana dai temi degli intellettuali
borghesi di Shanghai. Essa infatti è ambientata nella sua terra natale, la Manciuria, e include racconti di
grande povertà e sofferenza. Più che narrare una vicenda specifica, “Il campo della vita e della morte” si
sposta come una telecamera attraverso le vite delle donne di un villaggio svuotato degli uomini sani, che
sono andati a combattere l’invasore giapponese al fronte. Attraverso la figura di Mamma Wang, la donna
più anziana del villaggio che funge da collegamento tra le varie protagoniste, si tenta di dare un senso alla
vita e alla morte di queste donne. L’opera è il percorso umano ed etico di tante donne oppresse che, grazie
alla narrazione di Mamma Wang si svegliano dal torpore per cercare il senso della loro condizione. In

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questo modo Xiao Hong offre alla protagonista di “Sacrificio di Capodanno” la risposta che Lu Xun non
aveva saputo dare: ella non fa appello ad autorità intellettuali superiori, ma cerca e trova la risposta ai suoi
dubbi dentro di sé, trasformando la piccola comunità del suo romanzo in un regno solidale in cui le donne
sopravvivono grazie all’aiuto reciproco.
Quando gli uomini cinesi e giapponesi irrompono in quella zona già contaminata dal dolore cercando di
portare la guerra, le donne decidono di combattere per difendere la loro terra, e nel commento finale della
protagonista comprendiamo anche che a motivare il romanzo non è il patriottismo, ma il desiderio di un
nuovo mondo: il messaggio di Mamma Wang è che la solidarietà femminile non ha bisogno di alcuna
autorità maschile, ma può sconfiggere qualsiasi esercito e regalare una nuova visione del mondo.
Sostituendo le atroci immagini di guerra con immagini di solidarietà femminile, Xiao Hong ha lanciato un
messaggio politico alternativo che i militanti comunisti cinesi non hanno saputo o forse voluto cogliere.

I racconti del realismo critico: il corpo, i diseredati e le masse


A Mao Dun e al suo sguardo scientifico va riconosciuto il merito di aver introdotto il metodo naturalista
nella rappresentazione della Cina rurale e urbana, con un progetto narrativo che spazia dalla campagna
degli allevatori di bachi, ai piccoli commercianti di provincia, fino alla nuova borghesia d’impresa di
Shanghai. Nei tre racconti inseriti in “Trilogia del villaggio” 农 村 三 部 曲 (1933) – “Bachi di primavera”,
“Raccolta d’autunno” e “Fine dell’inverno”, Mao Dun racconta la storia del contadino Lao Tongbao e la sua
vana lotta contro i moderni sistemi di produzione agricola. Le immagini della campagna contrastano con
quelle della modernità, e l’occidente, visto come “altro” viene ora demonizzato ora invocato come
salvatore. L’ambiguità del rapporto con l’occidente e la modernità viene espresso in termini di conflitto
generazionale di valori, per cui gli anziani sono tradizionalisti, scettici e conservatori; mentre i giovani non
vedono l’ora di attuare il cambiamento e sono pronti alla rivoluzione. Si avverte che lo scopo dello scrittore
negli anni 30 non è più solo quello di raccontare una storia, ma piuttosto analizzare e capire le ragioni dei
fenomeni sociali ed economici. La dilagante crisi economica segna la fine degli ideali umanistici centrati
sull’individuo, e l’irreversibilità di un processo sociopolitico ormai teso alla rivoluzione marxista: unica
proprietà rimasta è il corpo feticcio dei lavoratori, che diviene spazio narrativo e metafora ricorrente nel
realismo critico della disintegrazione di quegli stesi ideali.
Nel racconto “La madre-schiava” di Rou Shi (1930) si evidenzia il doppio sfruttamento delle componenti
sociali più deboli: sfruttamento di classe e sfruttamento di genere. La protagonista è infatti un’umile
contadina che, già madre di due figli, viene “affittata” dallo stesso marito a un ricco letterato perché gli dia
un figlio e lo cresca fino all’età di tre anni. Il corpo della donna non è più immagine di una ricerca identitaria
o specchio di ambizioni e frustrazioni individuali, ma diviene oggetto di uno scientifico processo di
sopraffazione che garantisce la sopravvivenza della classe dominante. Il racconto è tra i migliori di questa
produzione, ma, nonostante la ricerca di una rappresentazione realistica dei personaggi, si percepisce
ancora un tono lirico e una marcata soggettività, anche nella differenziazione tra il letterato e il popolo,
visto come entità astratta.
Sul corpo dell’individuo come metonimia della devastazione praticata sul corpo sociale verte anche il
racconto “Un tonico per il signorino” (1932) di Wu Zuxiang, in cui si narra di un giovane benestante che ha
un incidente automobilistico e che si salva grazie alla trasfusione di sangue venduto da un contadino per
necessità di sopravvivere. La madre del giovane inoltre, per rimettere in forze il giovane, acquista il latte
della moglie dello stesso contadino. Il racconto è un’efficace metafora del vampiresco sfruttamento delle
classi subalterne da parte di quelle dominanti, che consuma per la propria sussistenza le energie vitali del
popolo. La donna di classe inferiore non è più neanche oggetto di soddisfacimento del primario bisogno
sessuale, ma ridotta a mero strumento nutritivo in un sistema parassitario. I fluidi umani sono ormai l’unico
patrimonio rimasto alle classi subalterne, ma anche il loro valore è destinato a scendere se così decreta chi
ne detiene il controllo. Nel finale del racconto il povero contadino viene condannato a morte, accusato di
essersi unito ai briganti che infestano le campagne, e la famiglia del signorino assiste all’esecuzione. Il suo

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sangue non ha più alcun valore, ma diventa il simbolo di un sacrificio umano, mentre alla moglie che piange
disperata il marito viene intimato di tacere e di continuare a spremersi il seno per il signorino.
Il distacco dalla terra natia, che ancora nella produzione del decennio precedente conservava toni romantici
e nostalgici, si manifesta ora tramite una narrazione più oggettiva con qualche accento espressionistico, e
tramite una più lucida analisi delle ragioni sociali ed economiche alla base della depressione che affligge le
campagne negli anni 30. Questo nuovo realismo si ispira al modello collaudato da Mao Dun, e si rivolge al
mondo che Mao Zedong stava ormai individuando quale strumento e obiettivo della rivoluzione: le masse
rurali. Oggetto dello sguardo narrativo è dunque il popolo di derelitti e vittime degli abusi sociali e delle
tradizioni autoritarie.
Il rovesciamento dei valori tradizionali, della gerarchia sociale, la messa alla berlina dei vizi e dei crimini
della classe dirigente, e la solidarietà per i diseredati, gli ultimi della società, sono elementi rintracciabili
nella narrativa degli scrittori del Sichuan. In particolare, Sha Ting 沙 汀 si specializza in quadri della vita
piccolo borghese, dipingendo le miserie, le corruzioni di funzionari e commercianti, l’inettitudine di taluni
letterati di campagna, alternando l’analisi psicologica dei personaggi alla critica sociopolitica, come ne “Il
sostituto capodistretto” (1936), racconto ambientato in uno scenario di carestia e violenza nelle campagne,
che ha come protagonista un prepotente funzionario locale, capace di estorcere denaro perfino agli sfollati.
La sua tecnica narrativa consiste nel far emergere la critica dal contrasto stridente tra un tono narrativo
piatto e imperturbabile e la mostruosità dei fatti narrati.
Ai Wu 艾芜 si rifà invece al genere tradizionale dei taccuini di viaggio, e produce una narrativa simile alla
ricerca etnografica, in cui si fondono il realismo del metodo scientifico a un’inclinazione soggettiva e
umanitaria. Nella raccolta di racconti “Viaggio al sud” (1935) è lo stesso scrittore che descrive in prima
persona ambienti e personaggi conosciuti negli anni 20 durante il suo vagabondare al confine tra Yunnan e
Birmania. Se Sha Ting attiva la funzione morale proprio nella descrizione minuziosa del reale, che viene
sfrondato di ogni abbellimento e di cui viene anzi messa in risalto la bruttezza, per Ai Wu la ricerca del bello
nel reale è al contrario la possibile contromisura al degrado sociale e politico del tempo: l’osservazione
partecipe della purezza morale dei contadini e persino dei briganti riscatta la miseria e la violenza di cui è
fatta la loro vita. Ancora una volta però si evidenzia l’impossibilità di un’adesione incondizionata e acritica
alla rappresentazione del reale.

L’arte del narrare tra umorismo e satira: Lao She e Zhang Tianyi. Il romanzo satirico di Qian Zhongshu
Nel dibattito che animò i circoli letterari degli anni 30, lo scontro tra sostenitori dell’umorismo e sostenitori
della satira segna una demarcazione quasi filosofico-politica tra gli scrittori. Secondo Lao She, se l’umorismo
presuppone un’ilarità empatica, la satira ha come scopo quello di suscitare odio o antipatia nei confronti
dei personaggi rappresentati. Lu Xun riteneva invece che, mentre la satira aveva un importante ruolo critico
e politico, l’umorismo fosse avulso dalla natura e dal contesto storico cinesi.
Tra gli scrittori realisti di sinistra, spicca per il taglio satirico dei ritratti Zhang Tianyi, autore di numerosi
racconti il cui bersaglio sono l’ipocrisia e la corruzione a livello individuale come indice di un male sociale
diffuso. Nell’opera “I due Bao. Padre e figlio” (1934), emerge il contrasto tra due realtà nettamente
separate, rappresentate da due diverse generazioni. Il vecchio Bao è un cameriere di modeste condizioni
che fa enormi sacrifici per mantenere il figlio presso una scuola straniera, e rappresenta la Cina che, per
raggiungere il sogno del riscatto nazionale, si sottopone a sforzi enormi; mentre il giovane Bao è un
damerino poco incline allo studio, che si vergogna della goffaggine e della povertà del padre e che vorrebbe
rivaleggiare coi compagni nel seguire le mode del tempo o nel corteggiare le ragazze, e rappresenta una
società poco dinamica e afflitta da congenita debolezza e ipocrisia. Nelle opere di Zhang, i personaggi che
popolano la Cina urbana sono il bersaglio di una sfrenata derisione e di una satira che non risparmia alcuna
classe o generazione. La principale differenza con il realismo di ispirazione europea che segue Mao Dun, è
che i personaggi vengono presentati tramite le loro azioni piuttosto che con lunghe descrizioni psicologiche:
gli autori della critica sociale adottano preferibilmente una tecnica descrittiva mimetica, fondata sui
dialoghi teatrali (come in Wu Zuxiang) o sull’azione diretta (come in Lao She e Zhang Tianyi).

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Merita un discorso a parte la figura di Qian Zhongshu, scrittore atipico e anticonformista in una Cina votata
all’omologazione all’allineamento degli intellettuali a modelli univoci di pensiero e di pratica letteraria. Nel
suo capolavoro “La città assediata” (1947) scrive di un paese nella morsa della guerra e traccia un irridente
affresco del ceto intellettuale afflitto da velleitarismo nei confronti di una situazione politica che precipita. Il
protagonista è Fang Hongjian, giovane di buona famiglia ma squattrinato che torna dall’Europa con un falso
diploma di dottorato, e che cerca di sbarcare il lunario prima come impiegato e poi come docente
universitario, fallendo però in entrambi gli incarichi. Risulterà un fallimento anche il corteggiamento della
signorina Bao, e il frettoloso matrimonio con una sua collega, più scaltra e determinata di lui. L’autore
ridicolizza le abitudini del ceto medio, e dipinge una sorta di Ah Q della classe colta, solo che a differenza di
Lu Xun, l’autore ha verso il suo personaggio un atteggiamento complesso che va dalla più sarcastica ironia a
una sorta di solidarietà umana.
La città è in questo romanzo emblema della Cina assediata dalla guerra e dal confronto ambiguo con
l’Occidente. L’assedio tuttavia sta anche a significare lo scacco permanente dell’essere umano, e
l’impossibile allineamento tra ideale e reale che lo caratterizza.

Il realismo psicologico: Lu Ling


Dopo la morte di Lu Xun, una nuova teoria della narrativa rielabora la sua interpretazione del realismo
basata sulla rappresentazione della realtà partendo dall’interiorità dei personaggi. Questa nuova forma
soggettivizzata di realismo si allontana dal modello del realismo del Quattro maggio, ma dello stile di Lu Xun
trattiene e sviluppa la focalizzazione sulla psicologia del personaggio e la forza espressionistica delle
descrizioni. Lu Ling 路翎 (1921-1994) è l’autore che meglio ha interpretato questa lettura anticonformista
del realismo, in cui si nota una compenetrazione tra oggettivo e soggettivo.
I protagonisti della sua novella “Fame” 饥饿 的郭 素娥 (ji’e de Guosu’e, 1943) incarnano perfettamente
questa visione dilatata dell’io che giunge a inglobare la realtà e dunque a rappresentarla. La storia si svolge
in un piccolo agglomerato urbano sorto vicino a una miniera, dove si consuma un triangolo amoroso la cui
figura centrale è Guo Su’e, una giovane cresciuta in misere condizioni e animata da una tremenda voglia di
riscatto, che si manifesta nella ricerca del soddisfacimento del desiderio sessuale. La giovane è sposata, ma
ha una relazione con un capo operaio impegnato nella lotta comunista, e cerca di sfuggire alla povertà, al
marito oppiomane, e alla morale ristretta e persecutoria del villaggio. La devastazione finale inflitta al corpo
di Guo Su’e sembra complementare all’atto di rivolta che l’amante compie per vendicarla, e alla sua scelta
di dedicarsi alla lotta rivoluzionaria. In questo modo le contraddizioni morali dell’individuo si compenetrano
con quelle sociali del mondo oggettivo.
Nel romanzo “Figli di ricchi” 财主的儿女们 (1945-48) invece, Lu Ling racconta la decadenza di una potente
famiglia di Nanchino e la diaspora dei suoi discendenti durante il governo del Guomindang e la guerra sino-
giapponese, soffermandosi in particolare sulla figura di Jiang Chunzu, ultimo campione dell’individualismo
romantico emblema di molta narrativa del 4 maggio, dilaniato fra liberazione individuale e slancio
rivoluzionario. Immediato viene il confronto con “Il sogno della camera rossa” e “Famiglia” di Ba Jin: con il
primo “Figli di ricchi” condivide il tema della decadenza di una grande struttura patriarcale e dei suoi
conflitti interni, con il secondo lo schema del conflitto generazionale e l’inconciliabilità di sentimenti
personali e rivoluzione. A differenza della letteratura di propaganda degli anni 50 inoltre, gli eventi bellici
qui rappresentati non sono una decantazione patriottica della resistenza antigiapponese, ma uno sfondo
oscuro di distruzione, caos e orrore.
La scrittura di Lu Ling si ispira alle lingue occidentali, ed è un labirinto di strutture ipotattiche mirato a
creare un effetto di straniamento e a riprodurre il pensiero contraddittorio dell’individuo. Tipico di Lu Ling è
inoltre un particolare tipo di dialogo-monologo, in cui pensieri e parole dei personaggi si mescolano e si
contraddicono, come a evidenziare l’impossibilità del ridurre i mondi soggettivi sul piano comunicativo, e
l’impossibilità di una vera comprensione in una realtà fatta di individui-monadi che la percepiscono e si
percepiscono in modo frammentario.

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La sperimentazione narrativa di Lu Ling segna la fine della fase “moderna” della letteratura cinese, ossia
prima dell’avvento della RPC. La sua opera testimonia infatti la definitiva scissione dell’io, ormai troppo
distante sia da un’ideale identità individuale, sia dalla “moltitudine” verso cui lo spingono la storia e
l’ideologia.

7 – RIVOLUZIONE: TRA ADESIONE E DISSENSO

I discorsi di Yan’an
Se il 1949, con la fondazione della RPC, fu la data spartiacque per la storia cinese dal punto di vista politico;
dal punto di vista letterario lo spartiacque è il 1942, quando Mao Zedong, coi discorsi di Yan’an, prospettò
la nuova agenda degli scrittori. La narrativa avrebbe dovuto gradualmente piegarsi alle direttive ideologiche
diventando canto epico delle masse liberate, denuncia del passato oscuro, strumento educativo e
propagandistico. Il compito degli intellettuali di colmare lo storico divario tra élite colta e masse, appare di
difficile realizzazione, se non a scapito del valore estetico-letterario delle opere e dell’individualità creativa
dello scrittore.
Il primo punto dei discorsi di Yan’an è la distruzione dell’immagine alta dell’intellettuale. Spinti a “fare
violenza” sulla propria naturale inclinazione e sulla propria essenza intellettuale, gli scrittori devono aver
ben chiaro l’obiettivo della creazione letteraria nella nuova società. Le indicazioni di Mao sono precise in
termini di formazione, tecnica letteraria e scelte linguistiche: l’intellettuale deve calarsi tra le masse,
condividerne l’esperienza, e solo poi immergersi nel processo creativo; era necessario che egli riformasse il
proprio io, e che i suoi pensieri coincidessero con quelli delle masse.
Tra i dettami più importanti c’è poi il concetto di “tipicità” 典 型 , da cui si svilupperanno negli anni il
realismo socialista 社会主义现实主义 e il romanticismo rivoluzionario 革命浪漫主义. Appare chiaro un
deciso allontanamento dal realismo inteso come testimonianza e analisi oggettiva della realtà finalizzate al
progresso e alla risoluzione di problemi sociali, e una promozione invece di una rappresentazione
“romantica” più intensa, tipica e ideale della vita reale. Questo fraintendimento sul compito della
letteratura, che prelude alla totale astrazione ideologica di personaggi, fatti e ambienti tipica del
romanticismo rivoluzionario, sarà alla base del fallimento di molti scrittori, colpiti in numerose campagne di
rettificazione, come Zhao Shuli, Ding Ling e Wang Meng.
La risposta ai dettami dei discorsi di Yan’an da parte degli intellettuali non fu univoca, e diede vita a una
letteratura ben più problematica e ricca di quanto si possa pensare. In base ai diversi atteggiamenti con cui

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adesione e dissenso ai dettami di Mao si articolarono, si possono dividere gli scrittori di questo periodo in
tre categorie: i convinti, gli individualisti, e i conflittuali. L’elemento comune della narrativa di questo
periodo è però il legame tra la creazione letteraria e le vicissitudini socio-politiche del paese. Va detto
inoltre che adesione e dissenso ai principi di Yan’an e allo stile maoista hanno subito variazioni notevoli
anche all’interno di una stessa figura.

I cantastorie della rivoluzione: tra ironia e lirismo


La vita e l’opera di Zhao Shuli 赵 树 理 sono paradigmatiche dell’esperimento che i discorsi di Yan’an
tentarono di attuare sulla creatività e la coscienza degli intellettuali. La sua produzione testimonia la
possibilità di adeguarsi al modello politico senza rinunciare all’individualità dello scrittore, ma anche
l’inevitabile ambiguità di fondo e la difficile sopravvivenza di un’autonomia letteraria in quelle circostanze.
La carriera di Zhao Shuli si può dividere in due fasi: una prima fase più creativa all’inizio degli anni 40, che
porta con sé il carattere rivoluzionario del primo discorso maoista ma che si collega ancora all’esperienza
del 4 maggio; e una seconda fase negli anni 50, in cui si nota un’involuzione creativa, dovuta al disperato
tentativo di conciliare rappresentazione fedele del reale e richieste del regime. Alla prima fase
appartengono i racconti più apprezzati come “Il matrimonio di Xiao Erhei” e “Le rime di Li Youcai”. Il primo
è ispirato a fatti di cronaca reali, ma è una reinterpretazione nella quale l’applicazione delle riforme
comuniste sul matrimonio consente un lieto fine (laddove nella realtà il finale era stato tragico). La storia è
quella del contrastato amore tra Xiao Erhei e una compaesana, che alla fine riescono a sposarsi nonostante
l’opposizione dei genitori, di un indovino e una sciamana: il loro amore trionfa sulla superstizione e
sull’oscurantismo. Nonostante il benestare della politica, i testi di Zhao e dei suoi seguaci rappresentano le
contraddizioni presenti nel mondo rurale del tempo, compresi i personaggi “arretrati” ideologicamente e i
personaggi medi. La caratteristica saliente è però forse la lingua, semplice e ironica, ispirata alla parlata
popolare, e ricca di espressioni idiomatiche e regionali. Mao inizialmente sostenne questo tipo di lingua,
opposto al baihua europeizzato , ma successivamente i suoi dettami si orientarono verso una
normalizzazione della lingua che limitava l’uso di espressioni regionali.
In “Le rime di Youcai” troviamo invece conferma del fatto che in quegli anni esistevano forme di azione
politica dal basso, che lottavano contro il potere e i suoi abusi, e considerabili come interne alla lotta
rivoluzionaria del PCC. Il protagonista della novella, e personaggio che porta alla caduta del prepotente
signore locale, è infatti un cantore che, al ritmo delle sue nacchere, compone rime satiriche contro il
potere. Quest’opera è ancora in perfetta linea con la proposta di Mao di rivitalizzare le forme artistiche
nazional-popolari, ma presto la carriera di Zhao Shuli subirà una svolta negativa che culmina nel 1958. In
questa fase infatti Mao propone il romanticismo rivoluzionario, in cui i personaggi devono essere idealizzati
e le contraddizioni smussate, causando un cortocircuito rispetto all’impostazione realista della narrativa.
Nonostante ciò, Zhao nel 1955 scrive “Il villaggio Sanliwan” 三 里 湾 , in cui racconta l’esperienza della
riforma agraria e delle comuni, continuando però a descrivere le contraddizioni e l’evoluzione delle vecchie
generazioni con difetti e lati oscuri, con personaggi dunque ben lontani da quelli pienamente positivi
richiesti da Mao.
La produzione di Sun Li 孙梨 appare invece come una commistione tra il concetto di terra natia tipico della
corrente di Pechino e la linea maoista. Tra le sue opere più importanti ci sono “Il lago dei fiori di loto”
(1946), da cui deriva anche la corrente dei fiori di loto, da lui capeggiata, e “Esortazione” (1945). Lo stile
delle sue opere è lirico e destrutturato, teso a evidenziare gesti e simboli tipici del coraggio e della
laboriosità contadina. La sua narrativa di guerra presenta invece una netta distinzione tra “noi” e “il
nemico”, ed elimina il punto di vista dell’autore, privilegiando quello dei soldati contadini. La sua
descrizione della guerra è però selettiva, dal momento che elimina le descrizioni degli atti più crudeli e
sanguinosi dei soldati contadini, e ne elogia invece lo spirito patriottico e la solidarietà umile e paziente.

Certezze ed esitazioni degli intellettuali

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Tra i romanzi cult degli anni 60, “Canto di Gioventù” 青春之歌 (1958) può essere considerato paradigma
della nuova letteratura di propaganda e di adesione al modello maoista: è la storia di una giovinetta degli
anni 30 di estrazione piccolo borghese che imbocca la via della rivoluzione, fino a diventare una
combattente proletaria. Composto dalla scrittrice Yang Mo 杨沫, è il classico romanzo di formazione della
Cina di Mao: mentre nella letteratura del 4 maggio troviamo eroi negativi, personaggi medi e vittime della
loro incapacità di superare la propria inadeguatezza, la narrativa del romanticismo rivoluzionario propone
percorsi formativi positivi, dall’oscurità alla luce. I due aspetti del modello narrativo della maturazione degli
intellettuali e dell’epica socialista coincidono: la narrazione di una vittoria politica e la narrazione
individuale di una perfetta adesione. Il testo contiene anche una risposta al problema dell’emancipazione
femminile, che è una risposta ben lontana dai fallimenti descritti nella prima narrativa femminile, ma che
mette in secondo piano la rivendicazione di tali diritti rispetto all’ideale del socialismo: prima di essere una
donna libera infatti, la protagonista deve essere una rivoluzionaria.
È interessante notare come, nonostante tutto, il romanzo fu criticato dopo la sua pubblicazione per via
degli atteggiamenti troppo borghesi della protagonista, tanto che Yang Mo fu costretta a pubblicare
un’edizione rivista nel 1960 in cui l’eroina passa attraverso un battesimo del fuoco per diventare
rivoluzionaria, guidando gli studenti di Beida e lavorando nelle campagne a contatto coi contadini, veri
protagonisti della rivoluzione maoista. Il vero tema dell’opera è dunque quella riforma del sé di cui parlava
Mao nei suoi Discorsi.
La protagonista Lin segue un percorso di graduale identificazione tra sentimenti e ideologia, sublimando le
proprie passioni nella politica, e superando così quelle incertezze dei personaggi femminili della prima Ding
Ling o di Mao Dun, lacerate tra sentimenti personali e ideale politico. Le varie tappe dell’esperienza
amorosa di Lin rappresentano il percorso di emancipazione della Cina: il matrimonio forzato a cui Lin si
sottrae rappresenta la società tradizionale; il giovane che la salva dal suicidio, romantico ma egoista,
rappresenta l’intellettuale del 4 maggio; infine i giovani che la iniziano al marxismo e alla rivoluzione
rappresentano l’ultimo felice passo di emancipazione del paese nel sogno socialista. L’emancipazione della
donna non è più quindi quella morale ed economica, ma piuttosto quella politica, ottenuta tramite
l’adesione incondizionata al partito.
Il linguaggio binario tra oscurità e luce, teso a rappresentare il vecchio e il nuovo nella dialettica delle
contraddizioni cara a Mao contraddistingue molte di queste opere, ma la maggiore o minore ambiguità nel
gestire questa dialettica dà anche la misura del grado di adesione degli scrittori al progetto socialista. Molti
critici d’altronde concordano sulla presenza di un discorso autonomo e parallelo a quello maoista, una sorta
di resistenza interna giocata su una calibrazione di toni e sull’uso di un linguaggio simbolico, quasi un codice
decifrabile solo all’élite intellettuale a cui, a dispetto dell’appello maoista, era rivolta questa letteratura.
Se la protagonista di Canto di gioventù coniuga irrealisticamente amore e politica nella figura dell’amante
rivoluzionario (senza dover scegliere tra i due), il tema del racconto di Zong Pu 宗璞 “Fagioli rossi” 红豆
(1957) è opposto: la necessità di fare delle scelte e l’impossibilità di conciliare l’ideale personale con quello
collettivo. La storia è infatti quella della giovane Jiang Mei, che decide di rinunciare all’amore e a una futura
carriera negli Stati Uniti per partecipare alla guerra civile. L’io così rappresentato non è eroico, è un
personaggio medio, comune, che rivela i tormenti interiori della scelta cui infine aderisce. L’autrice, in
modo audace, non applica i principi dei Discorsi di Mao, e per questo l’opera, che era uscita nell’anno della
campagna dei cento fiori, fu poi criticata per oltre un anno dalla critica in quanto giudicata ideologicamente
inappropriata per la sua trattazione dell’amore.
Vittime dell’aspra campagna tesa a ricondurre alla fedeltà al partito e a punire gli intellettuali ribelli furono
anche Lu Wenfu e Wang Meng. Il primo, nella sua opera “In fondo al vicolo”, racconta di una giovane
operaia a cui la rivoluzione ha concesso di rifarsi una vita dopo un triste passato di prostituzione. Il suo
passato ritorna però con la figura di un ex cliente che la ricatta minacciando il suo nuovo status. In
quest’opera l’autore esamina gli esiti della rivoluzione, osando suscitare una sottile ombra di dubbio sulla
nuova società maoista.

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Wang Meng invece trasfonde la propria passione e gli ideali politici delusi dal confronto con la realtà nella
figura di Lin Zhen, protagonista del suo romanzo “Un giovane appena arrivato alla sezione organizzativa di
partito”, che scopre casi di corruzione e comportamenti oltraggiosi all’interno della sezione, e viene
sollecitato da un dirigente a esprimere le proprie idee.
In entrambi i casi, la descrizione dei tormenti interiori e dei dubbi di giovani intellettuali nei confronti della
nuova realtà fu interpretata come una mancanza di fiducia nel PCC e un pericoloso discostarsi dai canoni
letterari maoisti, dato che la loro prospettiva scettica cozza con le direttive di abbellimento del reale
imposte dal regime.

Resistenze: sesso, identità e rivoluzione


La letteratura del secondo 900 cinese si può riassumere come una continua negoziazione tra le influenze
del potere e l’identità individuale degli autori. In particolare, l’esperienza rieducativa nelle campagne, che
ebbe inizio già negli anni 50 e toccò il culmine con la ruralizzazione forzata di giovani studenti durante la
rivoluzione culturale, ha indubbiamente plasmato la personalità e indirizzato lo stile, le angosce e le
ricerche presenti nelle loro opere. Tali giovani erano definiti 知青, i “giovani istruiti”, e la loro letteratura è
un fenomeno vasto e complesso, i cui punti di riferimento (vitalismo, eroismo, narcisismo e una riflessione
sullo scorrere del tempo) sono altrettanti aspetti della vicenda formativa vissuta e poi narrata, nei quali il
contatto forzato con l’ambiente rurale rappresenta assieme un ritorno e una perdita di innocenza. Non si
tratta solo di un dilemma morale rispetto ai misfatti politici di cui sono vittime o complici i giovani istruiti,
ma di un tema di portata ben più vasta: l’impossibilità di innocenza dell’essere umano di fronte ai crimini
della storia e alla generale presenza del male in ciascuna persona. La metafora che più comunemente
rappresenta questa degenerazione dell’individuo è quella dello sforzo fisico e della sessualità.
Nel racconto di Zhang Xianliang “La donna è l’altra metà dell’uomo” ad esempio, la condizione di illibertà e
coercizione mirante all’annichilimento dell’io in cui vive il protagonista diviene paradossalmente spazio di
riconquista e di autoconsapevolezza a partire dal proprio corpo e dalla sua dimensione fisica. Egli infatti
dichiara di provare piacere nei confronti di questa regressione ancestrale e del lavoro fisico, un ritorno alla
terra e all’origine dell’uomo in cui si può ritrovare sé stessi, laddove invece fuori dai campi di rieducazione
domina il caos. Per quanto riguarda la metafora della sessualità invece, l’impotenza sessuale del
protagonista simboleggia la debolezza dell’intellettuale rispetto al potere e, in termini di genere, di un
confronto irrisolto con l’altro sesso, tant’è che nel romanzo l’uomo riacquista la sua potenza sessuale solo
dopo il tradimento da parte della moglie.
In Wang Xiaobo invece, scrittore atipico sia rispetto agli intellettuali impegnati della precedente
generazione sia rispetto ai suoi coetanei, il sesso è usato come espressione nitida della propria identità, in
quanto viene rappresentato sia con maggiore tenerezza, come affermazione di autonomia e libertà di
azione, sia come rappresentazione delle tensioni di potere che attraverso il sesso si manifestano. La
sessualità, a volte comica, raccontata da Wang Xiaobo sembra un catalizzatore di energie vitali e una
manifestazione di indipendenza sia dalla politica che dal mercato, come ad esempio nella sua prima trilogia
“Gli anni d’oro” in cui si racconta della relazione proibita tra un zhiqing e una dottoressa costretti alla
rieducazione in un’area remota della Cina sudoccidentale. Qui il vero riscatto dell’individuo contro
l’assurdità della repressione ideologica e sessuale è l’aperta assunzione di “colpa”.

Il romanzo cinese e il grottesco: tra la satira sociopolitica e la tragedia


Negli ultimi 30 anni la narrativa cinese ha subito grandissimi cambiamenti, dovuti in primis alla decisa virata
politica impressa a partire dal 1978 da Deng Xiaoping. Un primo periodo di disconoscimento dei canoni dei
Discorsi di Yan’an è il decennio degli anni 80, caratterizzati dal risveglio di arte e cultura, e da un nuovo
concetto di rivoluzione, non più politica ma letteraria e filosofica. Dopo i fatti di Tian’anmen invece, una
forte disillusione politica spinge l’arte e la letteratura a un brusco ripiegamento sull’individuo e la sua
privata sensibilità, sul quotidiano e su una versione ormai matura di letteratura commerciale.

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Spogliata del suo originario significato di valore fondante e motore politico della nazione cinese, la
rivoluzione diviene strumento di espressione e redenzione del trauma costituito dal maoismo: la felicità
promessa e poi negata, le ferite inflitte e subite emergono attraverso forme di rappresentazione simbolica
del reale sempre più grottesche e paradossali. Ne sono esempi tipici alcuni romanzi degli ultimi vent’anni di
Yu Hua, Mo Yan, Ma Jian e Yan Lianke. Tale tendenza può essere vista come una forma articolata di
dissenso che si manifesta in sofisticate strategie narrative sia sfruttando le potenzialità delle pratiche
letterarie postmoderne, sia recuperando espressioni e stili tradizionali.

8 – LA RICERCA DELLE RADICI E L’AVANGUARDIA NARRATIVA

La narrativa del decennio perduto


Molti elementi di carattere storico-culturale, teorico e linguistico dimostrano che le due correnti più
importanti degli anni 80, la letteratura della ricerca delle radici 寻根文学 e la narrativa d’avanguardia 先锋
小说 , costituiscono in realtà fenomeni speculari e complementari, una duplice risposta a un’unica crisi e
proposta identitaria dopo gli anni del maoismo.
Il periodo che va dalla morte di Mao (1976) alla repressione di Tiananmen (1989) è caratterizzato, specie
nei primi anni 80, da una rinascita in tutti i campi della cultura, tanto che questo periodo viene definito
“nuova era” o “decennio perduto”. La fine del maoismo e le riforme di Deng Xiaopin indussero la
letteratura a una sorta di esame di coscienza collettivo, nel tentativo di capire e rimuovere le “ferite” inflitte
all’intera popolazione. Proprio il termine 伤 痕 “ ferita” fu centrale nel definire una prima produzione
letteraria di questo periodo, necessaria e terapeutica, per raccontare la follia che si scatenò dalla lotta
politica del 1966 contro chiunque fosse accusato di avere scarsa fiducia nel socialismo o di avere simpatie
borghesi.
Si assiste così in questo periodo a un nuovo umanesimo e a un ritorno agli ideali del 4 maggio (intesi come
centralità dell’individuo, maggiore democrazia, e fede nella scienza e nel progresso) i quali diedero vita a
una nuova narrativa dei problemi, con tematiche come il problema dei zhiqing al loro ritorno in città, la
ricerca dell’amore in età avanzata, o il reinserimento dei dissidenti nella società dopo il boom economico.
Le opere di questo periodo si affrancano dal giogo del realismo socialista, indirizzandosi da una
riproduzione esteriore di figure modello, verso un’indagine soggettiva; mentre sul piano linguistico torna
l’uso di tecniche stranianti come il monologo interiore o il discorso indiretto libero. Nonostante ciò

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permane in queste opere una sorta di convenzione e idealismo, e un’adesione al realismo derivata dalla
tendenza degli autori a percepirsi ancora come voce ammaestratrice del popolo.
L’iniziale ottimismo viene però posto di fronte al paradosso di una Cina che si apre, ma che continua a
mantenere un governo totalitario che sopprime le istanze individuali, cui si aggiunge ora anche
l’economicismo introdotto da Deng Xiaoping in quell’ambiguo senso di ammirazione per lo stile di vita
occidentale. Questa contraddizione colpì anzitutto gli intellettuali, e in particolar modo i zhiqing, che si
ritrovarono in una giungla moderna dopo essere tornati da un periodo di lavoro nelle campagne per
educarsi e adattarsi al modello delle masse.
La poesia e il teatro prima, e quindi la narrativa cercarono di dare risposta a questi interrogativi. I poeti
oscuri, così chiamati per indicare l’ermetismo dei loro versi e la loro incertezza esistenziale, anticipano il
forte interesse dedicato al linguaggio negli anni 80; mentre gli esperimenti teatrali di Gao Xingjian e Sha
Yexin portano sul palco un io scisso, un linguaggio frammentario e incapace di comunicare. La ricerca
linguistica di questo periodo non è solo intesa come superamento del linguaggio maoista, ma anche come
nuova concezione della realtà da parte dell’individuo: nella letteratura delle radici essa assume un ruolo di
riscoperta e al contempo decostruzione del retaggio culturale, mentre nell’avanguardia il linguaggio è unico
significato che cancella la trama, l’ordine sociale, e anche la Storia in quanto forma egemone sulle coscienze
e sul passato collettivo.
Il movimento delle radici è anche un movimento di reazione all’esterofilia del periodo, un sussulto di
orgoglio alla luce dei primi accenni di una globalizzazione che sarebbe definitivamente esplosa negli anni
90. Se tutti i simboli della cultura tradizionale erano stati negli anni precedenti oggetto di oblio e
persecuzione, il movimento si lancia in una riscoperta del lascito antico, un processo complesso e non
indolore, dal momento che le radici dissotterrate si rivelano spesso amare. Non si tratta inoltre di una
chiusura, ma piuttosto di una presa di coscienza delle proprie origini, che comunque non si esime da un
proficuo confronto con l’”altro”.
La frequente negazione dei valori umani e l’applicazione sistematica della violenza nei rapporti personali
nei primi decenni della RPC sono spesso oggetto dei racconti della letteratura delle radici, così come
dell’avanguardia. Gli esponenti di questa corrente rispondono chiaramente alla necessità di un profondo
ripensamento della Cina, e si riallacciano alla riflessione sui rapporti della Cina con l’Occidente e la
modernità. Tale riflessione spinge gli autori di entrambe le correnti a un ribaltamento dei principi maoisti
sul collettivismo e sulla priorità della società sull’individuo, e al tentativo di liberare il potenziale umano e
creativo del singolo. Questa spinta soggettiva e introspettiva non porta però a un’esaltazione romantica
dell’io o a una nostalgica rivalutazione delle tradizioni antiche: la ricerca letteraria porta entrambe le
correnti a un’unica conclusione. Gli autori non scrivono più dell’uomo con la U maiuscola, ma la scoperta
dell’individuo è contestuale alla forte percezione della sua crisi. L’individuo è dunque fonte comune per
entrambe le correnti, che anticipano la futura svolta degli anni 90, quando il privato e l’anonimato del
singolo diventano essenziali nella produzione letteraria.

L’esplosione del linguaggio: la ribellione al Mao wenti


La rivoluzione linguistica che sovvertì il Mao wenti, il sistema linguistico e culturale ereditato da 30 anni di
regime maoista e 10 di rivoluzione culturale, parte dalla poesia, e in particolare dai poeti oscuri, le cui
costruzioni linguistiche si fondano su metafore e incubi, distorsione della sintassi, uso di pronomi variabili,
accostamento di immagini e aggettivi inusuali, forme di soggettività esasperata. Ancor prima, la
liberalizzazione era cominciata nei testi clandestini dei poeti zhiqing, i quali si esprimevano sulla rivista non
ufficiale 今天, e tra cui nasce una nuova estetica fatta di simboli e un linguaggio ermetico.
L’avanguardia aggredì il Mao wenti fino a liberare il linguaggio da ogni vincolo, mentre la letteratura delle
radici avvia la propria indagine etnografica e culturale proprio a partire dalla poesia oscura. Consapevolezza
della tradizione e ribellione all’ideologia sono punti che gli autori delle radici condividono con i poeti oscuri.
Il processo di riappropriazione linguistica innescato dalla poesia oscura è un processo da una verità
oggettiva a una verità soggettiva, da un riflesso passivo della realtà alla creazione attiva. Una rivoluzione

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spirituale e soggettiva che parte dal linguaggio propagandistico per rovesciarlo e interpretarlo in chiave
personale antimaoista, come fanno Duo Duo e Mang Ke nei loro versi sulle metafore del sole per Mao e del
girasole per il popolo che lo segue. Il nuovo linguaggio ribelle non manca di un certo tono lirico e romantico,
e lo scetticismo nei confronti della realtà è bilanciato in Bei Dao, uno dei fondatori della poesia oscura, dalla
fiducia nelle proprie potenzialità individuali.
A differenza della poesia, la narrativa degli anni 80 tende a una disintegrazione dell’emotività e a una messa
in discussione dell’io espanso che la poesia aveva delineato. Pur ereditando la libertà espressiva dei poeti
oscuri, i narratori dell’avanguardia spingono il linguaggio a un estremo di incomprensibilità, sfruttandone il
potenziale espressivo al di là della logica razionale, e sfidando il concetto di rappresentabilità del reale che
era stato uno dei cardini della narrativa e del realismo.
Una prima forma di manipolazione del linguaggio, che mette a nudo la manipolazione linguistica del regime,
è quella ludica e metanarrativa di Ma Yuan 马原, uno dei fondatori dell’avanguardia, che in opere come
“L’errore” o “Finzione” fa ricorso alla tecnica del narratore intrusivo. In “Finzione”, sovrapponendo le figure
di autore e narratore, Ma Yuan definisce la propria identità nel potere del e sul linguaggio. La narrazione in
prima persona rivela la storia di un giornalista penetrato in un lebbrosario in Tibet, e la sua relazione con
una giovane malata. Lo straniamento del luogo, dove tempo e spazio si confondono nella labile memoria
del visitatore, è rafforzato dall’assenza del linguaggio, dato che nel villaggio quasi nessuno parla cinese e i
dialoghi sono ridotti al minimo, con gran parte della vicenda che si consuma nel silenzio. I vuoti della
rinuncia alla funzione del linguaggio sono così riempiti dalle riflessioni sul linguaggio.
In particolare proprio Ma Yuan e Mo Yan, ai loro esordi, concentrano nella loro produzione la doppia
identità culturale di avanguardia e ricerca delle radici, anche se in Mo Yan la trama non è mai fine a sé
stessa; il linguaggio non prevale mai sulla storia, e anzi se ne serve per offrire un’occasione di critica
culturale.
Ge Fei in “Uno stormo di uccelli bruni” e Yu Hua in “Dedicato a Salice” esordiscono invece creando
un’atmosfera di straniamento legato alla misteriosa apparizione di una donna nell’esistenza del narratore. Il
racconto che ne segue, pieno di lacune, è una manifestazione del dominio del linguaggio, della narrazione
sul narrato. Nel primo testo il narratore riceve l’inaspettata visita di Qi, una donna che sostiene di
conoscerlo ma di cui egli non sembra avere memoria; nel secondo invece il protagonista sente vivere
un’altra persona dentro di sé, una fanciulla che si scopre poi essere la donatrice di cornee che gli ha
ridonato la vista.
Han Shaogong sintetizza e chiude l’esperienza della ricerca delle radici a dieci anni dalla nascita della
corrente, con “Dizionario di Maqiao” (1995), un’enciclopedia etnografica sotto forma di indagine linguistica
mirata al recupero delle usanze e della cultura locale e marginale, ma viva nelle campagne, che non sono
più luogo di lotta di classe, ma un altrove rispetto alla politica e alla cultura di fine 900; una dislocazione
linguistica e culturale che porta a un nuovo discorso sui contadini. Il narratore dell’opera è un zhiqing che
scopre e raccoglie a Maqiao una serie di informazioni storico-geografico-culturali il cui carattere
strettamente locale apre, per contrasto, a una visione più ampia e universale dell’esistenza. Il libro
suggerisce che tra le parole descritte nel dizionario, la loro diretta appartenenza alle cose, e le suggestioni
culturali da esse evocate si crea e dipana l’esistenza degli esseri umani.

Antiche ascendenze e il mito delle origini


Un fattore comune all’impianto filosofico delle due correnti è la ricerca di un ideale mito delle origini della
civiltà, non solo per rivalutarlo, ma spesso per contestarlo radicalmente: gli autori della ricerca delle radici e
dell’avanguardia rielaborano il concetto di natura e delle pulsioni istintive dell’uomo e della tradizione
cinese. Entrambi i movimenti infatti affondano la propria ricerca nel legame tra natura e cultura che da
sempre caratterizza la cultura cinese: il confucianesimo ricerca l’armonia tra uomo e natura, ma riserva un
ruolo dominante alla cultura come elemento formativo e dunque superiore; mentre il taoismo è associato
all’idea di caos primordiale come base della natura, in cui l’uomo saggio si riconosce adeguandovisi. Questi

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concetti sembrano aver influenzato molti autori nella rappresentazione di comunità rurali in cui la cultura
deriva direttamente dalle tradizioni locali, rifiutando di farsi permeare da influenze della “civiltà esterna”.
È il caso ad esempio della trilogia dei re di A Cheng, che deriva da un confronto con l’Occidente che aveva
già stimolato negli anni 20 una riflessione sugli ambigui rapporti tra cultura locale e nazionale e cultura
occidentale. Nel primo romanzo della trilogia, “Il re degli scacchi” (1984), A Cheng identifica nel cibo e negli
scacchi una forma di ritorno nella natura (una materiale l’altra spirituale): nella Cina della rc, il protagonista,
poverissimo, non possiede niente ed eccelle solo nel gioco degli scacchi, che più che un gioco diventa una
forma d’arte e di sopravvivenza. L’opera consiste nel ritratto del protagonista attraverso la descrizione di
partite a scacchi epiche e basate su principi taoisti, e dei pasti consumati coi suoi amici zhiqing, che
diventano veri e propri riti per la meticolosa maniera di consumarli.
La letteratura della ricerca delle radici può essere accostata alla narrativa della terra natia degli anni 20 e
alla corrente di Pechino: con queste correnti condivide infatti il desiderio di individuare una continuità col
passato, in avversione al troppo occidentalismo, e di rivalutare la cultura locale, spesso legata al pensiero
taoista e buddista, intesi come radici filosofiche da contrapporre a maoismo e capitalismo. Le analogie però
si fermano qui, dal momento che la ricerca delle radici si differenzia dalla narrativa della terra natia per la
repulsione nei confronti del realismo; e dalla corrente di Pechino perché i testi assumono toni postmoderni
e distopici ben lontani dalla pacatezza e dal lirismo di quelli degli anni 30, e il cui sperimentalismo anzi
sfocerà poi nella corrente dell’avanguardia.
Ricerca delle radici e avanguardia sono accomunati inoltre da una preoccupazione per le sorti della civiltà
cinese, identificata soprattutto con la tradizione e la cultura rurale, che si riflette soprattutto nelle opere di
autori come Wang Anyi e Zhang Wei. Ne “Il villaggio dei Bao” (1985), la scrittrice Wang Anyi immagine che il
seme di una civiltà incorrotta e primigenia si possa ancora trovare in piccole comunità locali, sopravvissuto
all’azzeramento culturale e all’omogeneizzazione del periodo maoista. Le abitudini e i legami familiari del
villaggio sono legati a un passato mitologico che l’autrice costruisce mescolando il proprio immaginario alla
sua esperienza da zhiqing nelle campagne dell’Anhui.
Anche in “L’antica nave” (1986) di Zhang Wei viene messo in risalto il rapporto tra comunità locale e
passato storico, nella rappresentazione di un villaggio che perde il relitto di una nave che era l’ultimo segno
della grandezza del passato. L’inaridirsi del fiume inoltre, uno dei simboli più importanti della civiltà cinese,
segna l’irraggiungibilità di uno spazio rurale epitome della Cina culturale, anche se la scoperta di una
corrente sotterranea che potrebbe farlo rivivere è indice dell’idealismo della rappresentazione storica della
letteratura delle radici.
L’autore che meglio incarna la duplice identità della nuova era cinese è Gao Xingjian, culturalista nel
ripresentare in senso critico le tradizioni più antiche non intaccate dall’ideologia di Stato, è anche autore di
forte sperimentalismo, aperto alle contaminazioni con la cultura occidentale. La sua opera “La montagna
dell’anima” è uno spazio in cui le due correnti trovano una ricomposizione artistica. Il romanzo narra un
viaggio sia spirituale sia fisico nel sud-ovest del paese, alternando capitoli narrativi, spesso basati su
aneddoti e racconti locali, a capitoli introspettivi e metanarrativi, giocati sul confronto tra più personaggi
che sono in realtà espansioni dello stesso soggetto narrante. L’opera è dunque una commistione tra ricerca
etnografica della cultura cinese non Han e ricerca interiore nell’anima e nei rapporti interpersonali
dell’uomo moderno, oltre che ricerca di un elemento primigenio della cultura cinese, il che rende l’opera
uno degli esperimenti più complessi e interessanti della ricerca delle radici.

L’estetica della violenza e della follia


Le due correnti sono accomunate da un uso strumentale della violenza e della follia come forme di
linguaggio. Tale violenza è spesso legata all’esperienza della Rivoluzione Culturale, come nel racconto
“1986” di Yu Hua, in cui il titolo è un indizio falsamente preciso di un non tempo che allude al 1966, anno
dell’inizio della RC, una data che azzera ogni evento e ogni coscienza: nel racconto un professore di storia
appassionato di antichi supplizi sparisce e ricompare come una sorta di fantasma che sottopone sé stesso e
i malcapitati passanti alle torture storicamente perpetrate sul popolo cinese. La dimensione politica è

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tuttavia rarefatta, la sensazione è quella di un incubo che lascia al centro la violenza nella sua assurda
ritualità, fonte solo di sorpresa e non di orrore in un pubblico assuefatto e insensibile. Anche nell’opera “Un
tipo di realtà” (1989), sempre di Yu Hua, la descrizione di una faida familiare che sfocia in vendette di
indicibile violenza, si nota un’assuefazione apatica di fronte all’orrore esibito, una discontinuità tra ciò che
viene descritto e il modo in cui viene presentato. Si può dire che Yu Hua de-psicologizza la violenza, e non a
caso è l’autore più accostato a Lu Xun, da cui eredita la capacità di attualizzare antiche storie evidenziando
il disagio moderno dell’assenza di umanità nei rapporti attraverso la visualizzazione del male fisico e
psicologico. Basti pensare all’insistenza dello sguardo, tipica di Lu Xun, come atto di violenza sulla vittima,
solo che a differenza di Lu Xun, nella narrativa di avanguardia la distanza che separa l’osservatore
dall’osservato è azzerata, perché entrambi soffrono di un passato traumatico.
La stessa violenza dei racconti di Yu Hua si trova anche in Wang Xiaobo, nel quale però si percepisce una
denuncia del sadismo; e in Ge Fei, che esplora l’aspetto interiore e psicanalitico della violenza, annullando
ogni motivazione razionale dell’atto violento.
Nella narrativa delle radici l’estetica della violenza si presenta spesso come forma fatalistica e punitiva di
colpe pregresse, ed è sovente connessa a relazioni familiari inadeguate. Nel romanzo “Ba ba ba” 爸爸爸
(1985) di Han Shaogong, Bingzai, il piccolo menomato balbettante, è l’individuo regredito a livello animale,
frutto del rapporto di un uomo del villaggio con una forestiera. Oggetto di violenza fisica e verbale da parte
dei compaesani, rappresenta l’incapacità della tradizione nell’affrancarsi dalla barbarie della tradizione di
una cultura antiumanistica. Nel finale, la rinascita della comunità avviene al prezzo della strage di vecchi e
deboli.
Si trovano inoltre in Su Tong e Ge Fei rappresentazioni della sessualità legate alla violenza, meccanismo
innescato dal desiderio; mentre i racconti di Can Xue sono paradossali e grotteschi, caratterizzati da
un’atmosfera allucinata e inquietante, ma esplicitamente violenta, come nel racconto “Dialoghi in cielo” in
cui il protagonista, vessato dalla madre perché accetti un deludente matrimonio combinato, ne causa la
scomparsa facendola sciogliere in una vasca da bagno.

La dialettica con la tradizione


A prima vista i racconti della letteratura delle radici sembrano il tentativo di recuperare e salvaguardare la
tradizione, ormai liberata dalla persecuzione ideologica, in un’epoca avviata allo sviluppo economico e
tecnologico. In effetti i vari racconti sembrano riportare al centro del discorso quella marginalità che aveva
caratterizzato anche la ricerca della corrente di Pechino: l’elogio della marginalità rappresenta una
denuncia contro la monocultura centrale e nazionalista, mentre la diversità delle radici e la loro
contraddittorietà è alla base del discorso anti-idealista di questi autori. Gli scrittori delle radici
intrattengono un rapporto contraddittorio con la tradizione, di cui si presentano come difensori, ma che
finiscono per sottoporre a un severo riesame; mentre l’avanguardia vie attinge ampiamente
reinterpretandola in chiave postmoderna. Entrambe le correnti comunque, attuano una decostruzione della
cultura tradizionale segnalando gli esiti di un collasso totale delle preoccupazioni umanistiche che avevano
animato la letteratura dei primi anni 80 e tutta la contraddittorietà della nuova era.
Nell’assenza di una trama razionale, o nell’uso di trame convenzionali mantenute come gusci vuoti senza
più i contenuti tradizionali, troviamo paradossalmente un gusto “tradizionalista” anche nei testi
dell’avanguardia: il ritorno al fantastico e all’irrazionale che caratterizzano ad es. le narrazioni
pseudostoriche di Ge Fei o le allucinazioni di Can Xue e Yu Hua, sebbene appaiano di ispirazione
occidentale, rimandano in realtà alla lunga tradizione cinese dei zhiguai. In “Un amore classico” Yu Hua
riprende il tropo letterario del giovane letterato e della bella fanciulla imitandone gli schemi narrativi, ma
sconvolgendone i significati tramite l’inserimento di improvvise scene violente dell’orrore. L’autore sembra
però voler anestetizzare il lettore, dal momento che nessuna delle tragedie e delle morti narrate genera
orrore o ansia.
Anche in Can Xue il confine tra reale e irreale è cancellato. Quest’uso del fantastico sembra rimandare a
una visione post-moderna del mondo, in quanto la dimensione simbolica e metaforica, tipica del

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modernismo, come forma di contestazione della supremazia positivista borghese, viene ora superata
tramite un’appropriazione del soprannaturale nella realtà.

9 – STORIA E MEMORIA

Mo Yan
Mo Yan 莫 言 è l’autore più importante dell’ultimo ventennio del 900. Il suo esordio letterario avviene
durante il periodo della febbre culturale, quando diventa il principale esponente della corrente delle radici,
e scrive il romanzo “Sorgo Rosso” 红高粱家族 (hong gaoliang jiazu, 1985). La sua prima opera divenne
celebre grazie all’intervento del traduttore americano Goldblatt, che intuì il potenziale di Mo Yan e gli
consigliò di apportare alcune modifiche al testo per renderlo appetibile al pubblico occidentale. Da notare
inoltre i rimaneggiamenti presenti nel testo cinese, in cui scompaiono le menzioni ai conflitti intercorsi tra
le milizie del PCC e del Partito Nazionalista.
“Sorgo rosso” è ambientato a Gaomi, nello Shandong, che è sia luogo natale di Mo Yan sia luogo magico da
leggersi come spazio ambivalente, come un luogo che permette all’autore di cercare radici diverse da quelle
offerte dalla storiografia ufficiale. Si trovano però nel testo anche riferimenti ad avvenimenti realmente
accaduti nei pressi di Gaomi, come la battaglia che i banditi combattono nel primo capitolo sconfiggendo i
giapponesi.
Il romanzo, diviso in cinque libri, ha come unica voce narrante quella del figlio del bandito Yu Zhan’ao, che
racconta le complesse vicende delle persone che ruotano attorno a una distilleria di sorgo. Yu Zhan’ao è

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spinto da una vitalità primitiva e selvaggia che lo spinge a salvare la sua amata Dai Fenglian dal matrimonio
a cui era stata destinata, con il ricco e facoltoso (ma lebbroso) proprietario della distilleria di sorgo. Dopo
aver conquistato la ragazza, Zhan’ao uccide il promesso sposo, e decide poi di salvare l’intero villaggio con
un’imboscata da lui diretta ai danni dell’esercito giapponese, in cui però perdono la vita Fenglian e lo zio
Liu, quest’ultimo spellato vivo e torturato a morte dai giapponesi durante le rappresaglie. In questo
episodio la realtà storica si mescola a quella creata dall’immaginazione dell’autore, che non risparmia alcun
espediente per trasmettere la pulsione vitale, lo slancio emotivo e il desiderio di sperimentare attraverso il
proprio corpo varie modalità esistenziali. La centralità dell’esperienza percettiva come fonte primaria di
conoscenza emerge infatti in tutti gli accadimenti principali del romanzo.
In Mo Yan è importante il concetto di zoe, ovvero la vita biologica, che accomuna uomini e animali, e che
viene collegata dall’autore al concetto di bios, ovvero la vita nella dimensione sociale e politica. Questo
collegamento è importante perché dimostra il valore universale delle opere di Mo Yan: nella visione
fenomenologica della realtà infatti, la storia non è una successione di eventi discreti e culturalmente
specifici, ma è il prodotto di una sinergia tra l’essere umano e il mondo esperienziale, un mondo che muta
costantemente con il mutare delle contingenze storiche, e dunque delle esperienze e percezioni del
soggetto. Per diventare universale, l’autore crea necessari sdoppiamenti, per indurre chi si avvicina alle sue
opere a comprendere il culturalmente specifico bios attraverso un universale zoe.
Nel secondo libro si raccontano le vicende amorose di Zhan’ao e Fenglian, e la rivincita del bandito sul
capodistretto Cao. L’autore esplora qui il deterioramento di bios, con una critica al potere che segue logiche
viziate e personalistiche. Nel terzo libro invece emerge il concetto di zoe in tutta la sua forza, quando gli
abitanti del villaggio vengono assediati di un branco di cani randagi, e vengono esautorati della propria
umanità. Si nota qui l’idea di una lotta per la sopravvivenza non più antropocentrica, ma che coinvolge tutte
le specie animali. Nel libro successivo Zhan’ao esce vittorioso da tutte le battaglie politiche e belliche, e
celebra il sontuoso funerale di Dai Fenglian, eroina sessualmente emancipata e caparbiamente
insubordinata nei confronti della società quasi esclusivamente maschile in cui vive. Così Mo Yan celebra la
vittoria dei banditi, relegando le istituzioni tradizionali a mera comparsa, e la vita e vitalità di un’eroina che,
con la sua esistenza impavida, dimostra l’insensatezza della tradizionale e istituzionalizzata società
patriarcale.
L’opera “Il paese dell’alcol” (1992) è invece divisa in varie sezioni. Nelle sezioni principali si narra la storia
del detective Ding Gou’er, che deve far luce su una vicenda di cannibalismo, per cui i quadri di partito
terrebbero grandi banchetti in cui si consuma la carne dei bambini (chiaro riferimento ai fatti di
Tiananmen). La vicenda vede opporsi il detective e il nano Yu Yichi, che in quanto proprietario della taverna
del paese diventa sineddoche dell’emergente figura dell’imprenditore. Mo Yan riprende quindi il tema della
società cannibale di Lu Xun, ma lo ripropone nell’ambito della Cina delle riforme, in cui il soggetto etico (il
detective) si oppone al soggetto economico (l’imprenditore).
Alle sezioni narrative dell’opera si alternano sezioni in cui è riportata una corrispondenza epistolare tra un
diegetico Mo Yan e il diegetico ammiratore Li Yidou (probabilmente rappresentazione di Wang Shuo,
fervido sostenitore della commercializzazione della letteratura) circa il ruolo della letteratura. Li Yidou
sostiene che la commercializzazione della letteratura sia l’unica strada possibile, mentre Mo Yan, che era
cresciuto nel contesto dell’esercito popolare di liberazione, è animato da una forte ambivalenza nei
confronti di questa grande svolta per la letteratura cinese.
Nella parte narrativa dell’opera il detective Ding incontra un’avvenente autista di pullman e se ne
innamora. Viene da lei invitata a un banchetto da Jin Guanzan, responsabile della propaganda del partito,
su cui ricadono tutti i sospetti. La pietanza portata al tavolo ricorda la forma di un bambino, ma i presenti
spiegano che si tratta di maiale e verdure. Ding consuma il pasto rapito dalla sua prelibatezza e finisce per
ubriacarsi. Si reca poi a casa della donna, dove ha un rapporto sessuale e viene colto dal marito di lei, che si
scopre essere Jin Guanzan. Ding e l’amante scappano alla taverna del nano Yu Yichi, che viene interrogato
dal detective per capire se nel paese si pratichi davvero il cannibalismo, ma riesce a scoprire solo che anche

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il nano è amante della donna. Furioso, Ding lascia la taverna, ma viene convinto a tornare da un passante, e
qui finisce per uccidere, in un eccesso di collera, sia il nano che la donna.
La storia è la rappresentazione della nuova Cina con tutti i suoi vizi. Il detective che cerca prove del
cannibalismo in Cina è una metafora, perché cannibalismo significa consumo, ed è proprio il consumo,
piuttosto che lo scambio o la produzione, la pratica che meglio rappresenta la contemporaneità e il
neoliberalismo. L’omicidio finale è il tentativo fallimentare di annullare una realtà che non può più essere
ignorata. La letteratura diventa l’ultimo baluardo a cui aggrapparsi.

Storie di altri passati: Alai e Zhang Chengzhi


Nel contesto della febbre culturale vanno analizzati due autori che portano sulla scena letteraria storie
relative a etnie alternative rispetto a quella maggioritaria Han: Alai 阿来 per il Tibet e Zhang Chengzhi 张承
志 per il Xinjiang e la Mongolia Interna.
Nella sua opera più famosa “Rossi fiori del Tibet” 尘 埃 落 定 (chen’ai luoding, 1998), Alai vuole
rappresentare il Tibet come un mondo pieno di umanità e amore, in contrasto con la narrazione ufficiale
del governo cinese, che ha sempre giustificato l’occupazione del Tibet in quanto necessaria per la
liberazione e l’emancipazione di un popolo rappresentato come bellicoso e inumano. La storia è
ambientata nel XIX secolo e si concentra sulla vicenda della tribù dei Maichi. Il narratore è il figlio di un
capotribù, inizialmente affetto da una forma di demenza, da cui guarirà diventando il salvatore del suo
popolo. La storia affronta inoltre i temi dell’identità e dell’alienazione in chiave sociale, politica ed
economica. I fiori rossi infatti altro non sono che fiori di oppio, che anziché condurre i tibetani
all’emancipazione economica, producono tensioni e scontri sia all’interno che all’esterno delle tribù locali. Il
Tibet diventa dunque teatro di guerre non per il carattere bellicoso dei suoi abitanti, ma per reazione a
eventi storici che li condannano a essere uno stato subalterno. Questo spiega anche perché Alai sceglie di
concentrarsi su tematiche economiche e geopolitiche piuttosto che sull’aspetto mistico ed esotico del Tibet.
Significativo è il fatto che il protagonista sia un ibrido, figlio del capotribù e di una donna Han, ex prostituta.
Nonostante i tentativi della madre di fare imparare i caratteri cinesi al figlio, per renderlo un ponte tra la
cultura periferica tibetana e quella centrale cinese, la sua convinzione di appartenere a una cultura
specifica piuttosto che a un’identità ibrida rende questo romanzo un elogio alle culture prive di
riconoscimento formale. Per Alai questo è un modo di umanizzare il Tibet, e di presentarlo come un luogo
in cui, nonostante imperversino guerre, ci sono legami di grande affetto nelle famiglie e nei clan, in cui a
ognuno è concessa libertà nelle proprie relazioni e il riconoscimento dell’importanza del legame affettivo.
Significativo da questo punto di vista è la commovente relazione tra il protagonista e la serva Dolma, un
rapporto consensuale al di fuori di ogni vincolo istituzionale.
Ciò che comunica Alai è che la cultura tibetana è dotata di codici sociali e morali propri, e che è marginale
solo perché la storiografia ufficiale l’ha resa tale. L’orgogliosa soggettività dei tibetani, il loro senso del
perdono e della compassione, rendono però questa cultura unica e indimenticabile, pur nella sua
marginalità.
Anche Chang Chengzhi esplora le culture marginali come forma di ribellione al concetto di cultura
dominante: convinto che la letteratura dovesse essere foriera di valori morali, egli ricerca nell’alterità
culturale quei valori che stavano scomparendo nel panorama culturale dell’epoca.
Nel suo racconto più famoso “Storia dell’anima” 心灵是 (1991), l’autore si concentra sulla storia della setta
sufi dei Jahriyya, una delle 40 in cui si divide il gruppo etnico Hui. La simpatia nei confronti di questa setta è
sicuramente dovuta al fatto che l’autore stesso ne fece parte, e intende nella sua opera ricostruirne la
storia a partire dalla repressione di un’insurrezione Hui, che culminerà nel massacro di Jinjipu, nel 1871.
Nell’inutile tentativo di trovare riscatto, si susseguono una serie di massacri, ma come in Alai la violenza è
motivata dalla repressione degli Han, senso del sacro e necessità di sopravvivenza sembrano essere
interdipendenti in queste storie marginali ove le minoranze etniche devono rispondere sempre e
comunque alla logica dominante del governo centrale e dell’etnia Han.

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Il nuovo romanzo storico: tra storiografia e memoria discorsiva


Molti scrittori dell’avanguardia esordirono con una narrativa in cui i fatti narrati sono collocati in un tempo
e in uno spazio non definiti, tra questi Yu Hua e Ge Fei. Gradualmente però i riferimenti temporali e spaziali
si fanno più nitidi, come ad esempio il villaggio Gaomi di Mo Yan, o la Puji di Ge Fei, che rappresentano
spazi reali ma anche simbolici, in cui viene narrata la storia e riprodotta una rappresentazione della realtà.
Il nuovo romanzo storico 新历史小说 coincide con una presa di posizione nei confronti del passato che non
riguarda solo la riscrittura della Storia da un punto di vista personale, ma anche la scoperta della possibilità
di elaborare una visione libera e spesso fantastica degli eventi storici. In sintesi, le caratteristiche essenziali
di questo filone letterario comprendono, oltre a distorsioni temporali e visioni cicliche del tempo, l’uso di
narratori intrusivi o inattendibili, la preferenza per il genere della saga familiare, l’inserzione di sogni o
elementi surreali a scardinare la linearità della trama, e il ricorso alla violenza, alla morte e alla follia sia
come temi sia come schemi narrativi.
Nel trattare il materiale storico, molti autori del nuovo romanzo storico adottano una visuale limitata e
ambigua, con il preciso obiettivo di smascherare gli abusi della storiografia ufficiale. La manipolazione del
tempo e degli eventi vuole essere un atto di rivincita della memoria individuale nei confronti della storia: si
afferma che il passato non esiste più, che tutto ciò che resta è il ricordo nel presente, e che dunque la
ricostruzione storica non può che essere filtrata dai ricordi soggettivi di chi la racconta.
In “Dedicato a salice” Yu Hua inserisce deliberatamente date sbagliate per mettere in discussione la Storia,
mentre in Ge Fei addirittura il contesto storico è del tutto cancellato, e si riesce a malapena a intuire che
l’opera è ambientata in epoca moderna. Anche laddove gli autori non annullano la cornice storica, il
recupero della Storia non è finalizzato alla ricostruzione storica, ma alla creazione di una “atmosfera”, un
pretesto per trattare temi universali relativi alla psiche e al comportamento umani.

Ye Zhaoyan e Wang Anyi: la memoria e la città


Autore di testi sperimentali negli anni 80, Ye Zhaoyan 叶 兆 言 , sviluppa un interesse meticoloso e
documentaristico per la storia, in particolare di Nanchino, sua città natale, soffermandosi specialmente sugli
aspetti della cultura locale. Dopo aver scritto una serie di romanzi storici, compone un romanzo di
dettagliata storicità, unico nel panorama letterario cinese contemporaneo: “Nanchino 1937. Una storia
d’amore” 一 九 三 七 年 的 爱 情 (1966). Si tratta della sua opera più rappresentativa, una ricostruzione
enciclopedica e cronaca degli ultimi giorni della capitale della repubblica.
La narrazione di eventi personali nella cornice della Storia tipica di molti scrittori dell’avanguardia viene qui
rovesciata. L’amore del protagonista Ding Wenyu per la soldatessa Yuyuan è infatti rappresentazione
dell’amore di Ye Zhaoyan nei confronti della sua città, e l’evoluzione della storia d’amore tra i due è una
metafora della vicenda storica della città. La cornice storica non è dunque un pretesto per narrare la
vicenda d’amore dei protagonisti, ma è vero e proprio soggetto del romanzo, con la rappresentazione
fedele dei fasti della capitale, una nuova metropoli degli anni ’30, e la minaccia della guerra che incombe
costantemente come un’ombra. Nel tentativo di permettere all’individuo di riappropriarsi del passato,
l’autore lo sottrae alla retorica della storiografia ufficiale, e costruisce la propria opera non tramite
reinterpretazioni personali, ma tramite la memoria documentata nei testi o stratificata nelle menti, frutto
dell’esperienza di migliaia di persone, e non della personalità di un singolo.
La memoria nostalgica della città è anche il tema portante de “La canzone dell’eterno rimpianto” 长恨歌
(1995), di Wang Anyi. A differenza del romanzo su Nanchino però, in questo caso agli avvenimenti storici
non si fa quasi mai riferimento, la storia è una storia di atmosfere, con una descrizione maniacale delle
sensazioni e degli stati d’animo dei personaggi. Non si può inoltre ricondurre quest’opera a un semplice
esempio autorevole di quella corrente nostalgica che negli anni 90 era così comune nella letteratura su
Shanghai. Il soggetto de “La canzone dell’eterno rimpianto” infatti non è infatti la Shanghai dei caffè, delle

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concessioni straniere, dei divertimenti sfrenati cantata dalla corrente di Shanghai, ma piuttosto è il lato più
intimo della metropoli, quello più nascosto e silenzioso, la Shanghai dei vicoli.
Se i luoghi sono definiti con estrema precisione, gli avvenimenti storici restano in penombra, e il tempo del
romanzo inoltre non è un tempo lineare e oggettivo, ma è un tempo psicologico che segue le emozioni della
protagonista. Quest’ultima è Wang Qiyao, una giovane piccolo-borghese che negli anni 40 tenta di
costruirsi una carriera nel cinema e si innamora di un generale dell’esercito nazionalista, ma che poi con
l’avvento dei comunisti vive un’esistenza dimessa, quasi estranea alla città, che attraversa le trasformazioni
della cupa era maoista fino ai sussulti economici della nuova era. Anche in questo caso dunque, la parabola
della protagonista è una metafora dell’evoluzione storica che segue il corpo architettonico della città.
La nostalgia ha funzione di elemento portante dell’operazione culturale che Wang Anyi conduce in questo
romanzo: essa si manifesta attraverso i beni materiali, abiti e oggetti di un’epoca lontana che la
protagonista custodisce con cura dalla nemesi anti-borghese. La vera memoria storica del romanzo è
costituita però dalla lingua, stratificata e densa di elementi tradizionali: strutture sintattiche tortuose,
lessico un po’ retrò, numerosi chengyu, e metafore tratte dalla pittura antica sono tutti elementi
caratteristici della lingua di questo romanzo, che hanno attratto anche qualche critica per eccessiva
verbosità.
Il romanzo di Wang Anyi, a differenza di altri lavori del periodo, che sembrano dare una rappresentazione
succube della donna cinese, offre una visione matura e non vittimistica della condizione della donna. Come
in Zhang Ailing si percepisce una resistenza al senso della Storia come grande narrazione, e un’idea di storia
invece come vicenda privata, vista attraverso la figura femminile. Si supera anche l’idea dell’emancipazione
attraverso la politica tipica dell’era maoista, in cui la donna viene defemminilizzata: la femminilità di Wang
Qiyao sembra invece alludere a una tipicità individuale.

Storia e utopia in Ge Fei


Nei primi anni duemila Ge Fei scrive la “Trilogia del Jiangnan”, una revisione della storia cinese moderna
come costruzione di successive utopie (il ribellismo di primo 900, la grande narrazione maoista della Nuova
Cina, e il progressismo economico delle riforme) puntualmente fallite, in cui l’ideale individuale si è sempre
scontrato con l’ideale sociale, soccombendo in un naufragio che coinvolge però, oltre al singolo, l’intera
struttura sociale con i suoi valori.
Nel primo romanzo la rappresentazione degli ideali di rinnovamento sociale di inizio 900 è una ragazzina
che viene rapita dai briganti, Xiumi, e che diventa successivamente la fautrice di riforme rivoluzionarie nel
paesino di Puji. Xiumi viene poi arrestata per avere istituito una comunità egualitaria e una scuola moderna,
e viene rilasciata nel 1911, ironicamente alla vigilia della prima rivoluzione cinese novecentesca. Si chiude in
un muto isolamento, e sarà il figlio Tan Gongda a proseguire i suoi ideali nella Cina comunista, nel secondo
romanzo della trilogia.
Nel secondo romanzo Tan Gongda sfida le trame dei funzionari locali e le asperità del territorio per
costruire una diga che porti benessere e modernità a Puji, ma le meschinità umane e politiche, e il suo
stesso abbandonarsi ai propri impulsi erotici rendono vana la sua battaglia. Coprotagonista è Yao Peipei,
che rappresenta invece la sfiducia in ogni progresso e il tradizionale atteggiamento di ritiro dalla società
tipico degli antichi letterari eremiti. Vittima di una violenza sessuale da parte di un quadro del partito,
finisce per uccidere il suo aggressore e viene giustiziata.
L’ultimo romanzo è ambientato nella contemporaneità cinese, illustrata attraverso scene e immagini del
presente boom economico. L’utopia fallita qui è il sogno liberale della febbre culturale, sostituito da un’era
di consumo narcisista e di distruttiva competitività. Il poeta Tan Duanwu, figlio di Tan Gongda, che in realtà
non nutre grandi utopie sociali, e, simbolo dei tempi attuali, si limita a scavarsi una propria nicchia al di
fuori della storia e del mondo.

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10 – IL NEOREALISMO

Introduzione
Nel 1989, con il massacro di Tiananmen, il clima di fervore della febbre culturale fu sostituito da un senso
collettivo di sconforto e impotenza, soprattutto tra gli intellettuali. I grandi cambiamenti sociali portarono
inoltre alla perdita di quell’identità dell’intellettuale in quanto portavoce del popolo, mentre l’emergere
della figura del “cittadino comune” mise in crisi la concezione di nazione di Mao, facendo sì che venisse
meno non solo l’interesse per la letteratura nazionale, ma anche per il destino della nazione stessa. Di
conseguenza le forme letterarie della corrente delle radici e dell’avanguardia andarono presto
dissolvendosi, non più adatte alla nuova realtà.
È in questo contesto che bisogna interpretare il tentativo da parte di istituzioni culturali, negli anni 90, di
inventare strategie per evitare una completa rottura con il passato. Oggetto principale di disamina del

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neorealismo era il concetto di un reale e di una realtà che aiutasse lettori e intellettuali sia a superare i
traumi di un passato definitivamente scomparso (quello della RC), sia ad affrontare un presente instabile e
incerto.
Le definizioni di neorealismo sono molte, e in effetti il dibattito attorno a questo tema fu così acceso che
anziché produrre coesione tra gli autori ebbe l’effetto opposto, e generò un panorama frammentario in cui
in molti non si riconoscevano nelle argomentazioni dei critici, alcuni autori ritenevano che la nuova
corrente letteraria fosse frutto di manipolazione, altri ancora non erano desiderosi di accettare la
continuazione di modalità tradizionali di relazionarsi con il mondo letterario.
Certamente il realismo non era mai scomparso dalla scena letteraria, ma il neorealismo è il tentativo di
rappresentare un cambiamento radicale nei modi di percepire e rappresentare la realtà. Autori come Yu
Hua e Su Tong, che sicuramente appresero molto dall’esperienza dell’avanguardia e della ricerca delle
radici, preferirono comunque produrre una narrativa svincolata dalle ansie e dai traumi prodotti dalla RC,
per affrontare le complessità di un presente che appariva sempre più inintelligibile e alienante.
Una caratteristica importante del neorealismo è che gli autori sospendono qualsiasi propensione invasiva e
intrusiva nelle loro opere e nelle vite dei loro personaggi, viene meno la riflessione ontologica sulla vita, che
ora non ha nessun senso e nessun obiettivo particolare: il senso della vita è la vita stessa. Gli autori
neorealisti sono accomunati dal desiderio di descrivere una realtà individuale che non si basa più su
un’ideologia o su un credo politico, ma su modalità esperienziali individuali della vita quotidiana.

La realtà manifesta e l’alienazione individuale nel mondo neorealista di Liu Heng e Liu Zhengyun
Liu Heng è l’autore neorealista maggiormente conosciuto, e che maggiormente cerca di mediare tra la
letteratura realista degli anni 80 e la letteratura successiva alla febbre culturale. Egli ha avuto la capacità di
creare un affresco della dimensione psichica e del rapporto tra conscio e inconscio dell’individuo nell’epoca
delle riforme, ed è stato inoltre uno dei primi a ricorrere al tema dell’erotismo e della sessualità in chiave
freudiana per affrontare la questione dell’alienazione individuale nella Cina postmaoista, pur senza
ambientare tutte le sue opere in tale periodo. La centralità delle tematiche sessuali è dunque da intendersi
come un pretesto per ripercorrere la storia dell’erotismo nella cultura cinese. Attraverso la critica delle
pratiche di desessualizzazione messe in atto dal PCC, le opere di Liu Heng finiscono per sollevare la
questione della rinascita del soggetto individuale nella società cinese.
È in quest’ottica che bisogna leggere la novella “Fuxi Fuxi” 伏羲伏羲 (1987), titolo ispirato dal nome di un
mitico personaggio a cui è attribuita la creazione del mondo. La storia narra le vicende della famiglia Yang,
capitanata dal piccolo proprietario terriero Jiang Jingshan, il quale prende in sposa la giovane e bella Wang
Judou. Di lei è follemente innamorato anche Yang Tianqing, nipote di Jingshan e tuttofare della famiglia.
Judou si trova a metà tra le violenze e gli abusi del marito, che si sfoga violentemente su di lei in quanto
incapace di accettare la propria impotenza, e il passionale amore del timido Tianqing. È Judou a convincere
quest’ultimo a iniziare la loro relazione sensuale, e a cercare vanamente di spingerlo a uccidere lo zio,
rimasto paralizzato in seguito a un incidente.
I personaggi di Liu Heng non riescono mai a vivere la propria vita in modo pieno e significativo. Fulcro della
narrazione è qui la questione del mancato riconoscimento identitario da parte dei membri di questa atipica
famiglia. Dopo la nascita di Yang Tianbai, figlio della relazione illecita tra Tianqing e Judou, il bambino viene
esposto da Jingshan come simbolo della propria virilità e fertilità. Da una parte c’è il rifiuto di Jingshan di
adottare Tianqing come proprio figlio, dall’altra l’impossibilità di Tianqing di svolgere il ruolo di padre nei
confronti del figlio, che sembra aver intuito la verità ma si rifiuta di accettarla. I due padri non possono
convivere nello stesso spazio angusto, ma Tianqing non trova il coraggio di sopprimere lo zio.
Questi meccanismi sono analizzabili tramite il pensiero freudiano: Yang Jingshan è padre formale e dunque
rappresenta la “legge”, che nasconde la propria impotenza tramite l’esibizione di Tianbai. Tianqing invece,
padre biologico del bambino, finisce per consumarsi nel nascondere la relazione con Judou, la propria
paternità e la propria virilità per preservare quel “Nome del Padre” che da una parte finisce per annullare
lui, ma dall’altra è necessaria per mantenere l’ordine costituito.

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Un altro racconto interpretabile tramite la psicanalisi è “Neve nera” 黑 的 雪 (1988). Ambientato nella
Pechino del 1985, racconta di Li Huiqian, un ragazzo che torna da un campo di lavoro cui era stato destinato
in seguito a una rissa, e che deve affrontare il suo reinserimento in società. A seguirlo ci sono la vicina, la zia
che si è presa cura di lui dopo la morte della madre, e un poliziotto. L’alienazione di Li Huiqian ha origini
lontane: abbandonato dalla madre naturale, sente infatti di non avere un’origine o un punto di partenza,
come ben si capisce dalla descrizione dei suoi incubi. Per ritrovare una strada, il protagonista tenta prima la
strada del piccolo commercio, ma questa via non solo è infruttuosa, ma anche frustrante. Egli cerca dunque
di inserirsi nella vita mondana di Pechino, partecipando a feste e concerti, ma finisce solo per sentirsi ancor
più alienato dal resto della società, e anche l’innamoramento con una cantante di karaoke è fin dall’inizio
destinato a un epilogo negativo. Rifiutato dall’amata e consapevole di non poter ottenere nulla dalla vita,
finisce vittima di una gang di criminali e muore accoltellato. In quest’opera, il trauma dell’individuo è un
trauma primordiale a cui il soggetto non può che ritornare costantemente.
Il secondo autore che meglio riflette sul tema dell’alienazione individuale in un contesto sociale sempre più
complesso è Liu Zhenyun. Le sue opere sono quelle che più rappresentano le caratteristiche del
neorealismo, ovvero le tensioni nel rapporto tra centro e periferia, città e campagne, società e individuo.
Nelle sue novelle prende sistematicamente in esame lo svuotamento di significato di tutte quelle realtà
sociali che erano state il fulcro della società maoista, come l’esercito, la scuola o l’unità di lavoro. Una delle
novelle più commoventi è Tapu (1987), che racconta le vicende di un gruppo di ragazzi che torna alla scuola
del villaggio di Tapu per prepararsi all’esame di ammissione all’università, il gaokao. L’attenzione è sui
dettagli come la mancanza di spazio nei dormitori, la scarsità di cibo, le piccole meschinità della vita
quotidiana. Il protagonista trova conforto nell’amicizia e nell’amore di una ragazza molto povera, la quale
sarà però costretta a sacrificare i propri sogni acconsentendo a un matrimonio combinato, necessario a
trovare i soldi per curare il padre gravemente malato.
Più cinico e disincantato è il racconto “Il nuovo battaglione” (1982), che narra dei tentativi maldestri dei
soldati di un piccolo battaglione di diventare quadri del partito. In questo modo l’autore mette a fianco le
due più importanti istituzioni della Cina maoista, mostrando come nella nuova era queste si fossero
gradualmente svuotate di valore. Le opere di Liu Zhengyun non mancano di sottolineare come la nascita del
cittadino medio in una Cina ancora dominata dalle istituzioni maoiste non sia un evento glorioso, perché il
piccolo cittadino deve continuare la propria esistenza cercando di superare i piccoli contrattempi quotidiani
senza ideali di riferimento. La narrativa di Liu Zhengyun consiste spesso in un insieme di frustranti
frammenti di vita quotidiana, che nell’insieme danno un quadro assai grigio dell’esistenza del nuovo
cittadino urbano alle prese con un “libero mercato” cui il loro misero stipendio non dà alcun accesso.

Due autrici neorealiste di Wuhan: Chi Li e Fang Fang a confronto


La città di Wuhan, con la sua posizione liminale né abbastanza a est da rientrare nell’area orientale più
sviluppata, né sufficientemente a ovest per beneficiare dei nuovi programmi d sviluppo dell’occidente
cinese, ha dato origine a due delle più importanti voci del neorealismo. Il senso di impotenza e abbandono
che caratterizza Wuhan diventa in queste due autrici quasi ossessivo. Chi Li 池 莉 crea personaggi
costantemente frustrati, come ad esempio nelle opere “Vite vessanti” (1987) e “Andirivieni” (1998), in cui il
protagonista è un uomo demascolinizzato attorno a cui ruotano tre donne che ne hanno definito il
carattere. Il tema della demascolinizzazione non è però qui affrontato in chiave psicanalitica come in Liu
Heng: se Liu Heng vuole, attraverso la demascolinizzazione, analizzare la differenza tra storia (vicenda
umana) e Storia, Chi Li intende invece affrontare la questione di genere. Il protagonista maschile diventa
punto di vista e piattaforma attraverso cui introdurre e analizzare una molteplicità di personaggi femminili.
In “Vite Vessanti” ad esempio, il protagonista è un operaio di fabbrica che ha con la moglie un rapporto
ambiguo, egli è attratto dalla bella stagista innamorata di lui e dall’insegnante d’asilo del figlio, oltre a
essere assorto nel ricordo della sua prima fidanzata, eppure cerca di comportarsi da marito fedele a una
moglie nei confronti del quale sembra non avere più alcuno slancio. Cercando di rifiutare le sue spasimanti,

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finisce con il perdere il premio di produzione che gli spettava, e anche il suo ritorno a casa, lungi dall’essere
descritto come trionfale, è la conclusione mediocre di una giornata mediocre.
Il romanzo “Andirivieni” riprende gli stessi temi, ma 20 anni più tardi. Il protagonista è Kang Weiye, addetto
alla refrigerazione in una macelleria, che riesce però a emanciparsi grazie alla giovane Duan Lina, figlia di
quadri di partito, grazie a cui diventa un quadro egli stesso. Duan Lina rappresenta l’ideale socialista, in
quanto confessa il proprio amore al Weiye tramite una poesia di Mao. La giovane trascina il protagonista in
una goffa relazione sessuale, che diventa poi strumento di ricatto: per non perdere il posto a causa della
condotta licenziosa, Weiye è così costretto a sposare Lina. Dalla coppia nasce una figlia, che diventa unico
punto di unione tra i due, mentre Weiye è perso nel ricordo di un utopico amore adolescenziale. La
frustrazione del protagonista è momentaneamente interrotta dall’incontro con Lin Zhu, che rappresenta
l’amore nell’età delle riforme: dopo un primo momento di appagamento dei sensi Lin Zhu accetta di vivere
nell’appartamento da lui comprato per condividere ore di rapporto extraconiugale. Compreso il fatto che
Weiye non avrebbe divorziato per vivere con lei, decide di andarsene vendendo l’appartamento e tenendo
il ricavato. Se nella prima parte il romanzo era pervaso dalla retorica socialista, in questa seconda parte è il
denaro a dominare, tutti coloro che si avvicinano al protagonista infatti hanno delle pretese economiche. La
situazione migliora con l’incontro con la giovanissima Shi Yunpeng, con cui il protagonista instaura una
relazione superficiale ma sessualmente appagante. A differenza di Lin Zhu, ella non teme di essere reificata,
e anzi fa capire a Weiye che la mercificazione dei corpi e dei rapporti è l’unica logica predominante nella
Cina delle riforme. Quando comprende la distanza che lo separa da Shi Yunpeng però, Weiye taglia il
rapporto anche con lei, e comprende sia di essere inesorabilmente solo, sia che non si può tornare al
passato.
Ciò che accomuna le due opere è l’interdipendenza tra corpo e mondo esterno, la materialità della vita
quotidiana, nelle opere di Chi Li, rimane l’ultimo appiglio per ricongiungere un io senziente a un mondo
svuotato di ogni ideologia.
Simile per temi ma diversa nello stile è l’autrice Fang Fang, le cui opere si dividono in autobiografiche e
opere che descrivono i cittadini di Wuhan. La più importante è “Scenari” (1987), appartenente alla seconda
categoria, che narra gli eventi di una famiglia poverissima, che vive in una baraccopoli vicino alla stazione. Il
narratore della storia è l’ottavo e ultimo figlio della famiglia, morto prematuramente. Egli è l’unico ad
essere amato, mentre tra tutti gli altri membri della famiglia i rapporti sono tesi e violenti. Ciascuno dei
familiari non ha un nome proprio, ma viene chiamato in base al grado di parentela con gli altri, Secondo
fratello ad esempio è l’unico in famiglia ad avere grandi ideali e a seguire una rigida morale, egli è costretto
a raccogliere carbone non sapendo di rubare, e un giorno salva un ragazzino che stava annegando nel
fiume. Costui si chiama Yang Meng, ed è molto facoltoso, così porta secondo fratello a casa sua per
ringraziarlo. Qui egli conosce Yang Lamg, sorella di Yang Meng, e se ne innamora. Il suo amore è però
disperato, perché Yang Lang non solo non lo considera, ma lo deride davanti a tutti quando viene a sapere
che egli rubava carbone. Dopo aver saputo che Yang Lang si è impegnata con un altro, secondo fratello
finisce per suicidarsi.
Importante è anche il personaggio di settimo fratello, che finisce in campagna come zhiqing e sprofonda in
uno stato di depressione che gli causa un sonnambulismo cronico. Visto come un fantasma, viene cacciato
dal villaggio ed egli finisce per approdare a Pechino, dove grazie alle sue doti viene ammesso all’università e
ha una relazione con la figlia di un professore. Egli capisce però che le sue ambizioni si possono realizzare
solo puntando alla figlia di una persona facoltosa: incurante del fatto che la sua compagna sia sterile,
affronta il padre furente apparentemente incurante delle conseguenze. Il romanzo si conclude con l’ultima
riunione di famiglia, in cui si decide di abbattere la baraccopoli in cui i fratelli erano cresciuti. L’ottavo figlio
viene dissotterrato e sepolto in un altro luogo.
Come nei romanzi di Chi Li, anche qui gli unici personaggi che riescono ad avere successo sono quelli più
pragmatici e cinici, che si dimenticano dei sentimenti e degli ideali. Il crollo dei valori collettivi, la mancanza
della tutela individuale del settore privato e il predominio del piccolo interesse individuale a scapito di
quello collettivo sono tutti mali che affliggono la Cina postmaoista. Da questo genere di opere si può

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comprendere che, se il realismo torna in auge, è perché il confronto con una simile realtà diventa
inevitabile.

Neorealismo d’autore: Yu Hua e Su Tong


Tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90 si avverte la necessità di un confronto con la realtà e con il
mutato senso della vita. Non è un caso che Yu Hua si cimenti in questi anni con il romanzo “Vivere!” 活着
(1992). Come sempre, l’attenzione dell’autore si concentra sulla famiglia, ma il suo sguardo è molto più
ampio rispetto ai romanzi precedenti. La storia è quella di Fugui, figlio di un proprietario terriero, che perde
tutti i possedimenti del padre al gioco d’azzardo. Il padre attribuisce l’impoverimento improvviso al volere
del fato, e costringe il figlio a ripagare il debito in monete d’argento. Fugui chiede del denaro a Long’er, che
occupa la sua casa, questi rifiuta ma gli offre un piccolo appezzamento di terra da coltivare. Fugui si
ricongiunge con la moglie Jiazhen, che lo aveva abbandonato dopo il tracolo finanziario, e diventa un
contadino. A causa di una malattia della madre, si reca in città per cercare un medico, ma viene reclutato a
forza nell’esercito nazionalista. A questo punto si susseguono gli avvenimenti storici descritti dal punto di
vista del protagonista: la guerra è rappresentata tramite un realismo sinonimo di brutalità, in cui non c’è
alcun patriottismo o eroismo, ma solo la lotta terribile per la sopravvivenza; dopo il ritorno a casa la
collettivizzazione è descritta come la concessione a Fugui di un piccolo terreno, mentre il grande balzo in
avanti è ricordato tramite la creazione di mense comuni e la raccolta del pentolame per produrre acciaio.
Seguono una serie di disgrazie: il figlio di Fugui è costretto a vendere il sangue alla moglie del governatore e
finisce per morire dissanguato, la figlia viene data in sposa ma muore di parto, poco dopo muoiono anche il
suo sposo e la moglie di Fugui. Il protagonista rimane così da solo con il nipotino, che lo aiuta nel lavoro nei
campi. Nel tentativo di alleviarne la fame, Fugui gli dà una grande porzione di piselli, ma il bambino muore
per indigestione. Avendo perso tutti i suoi cari, per lenire la solitudine Fugui acquista un bue destinato al
macello, e lo salva così da morte certa. Attraverso quest’atto, Fugui finisce per riacquisire, a livello
simbolico, tutto quanto aveva perduto.
“Vivere” deve essere letto come una riflessione sull’ineluttabilità del fato, in cui l’abilità di Yu Hua sta nel
sottolineare l’ambivalenza del concetto di ming 命, che in cinese significa sia vita che fato. Fugui continua a
portare avanti la sua lotta per la sopravvivenza mentre tutti i suoi cari muoiono vittime di un fato crudele e
beffardo.
Queste riflessioni sulla vita sono presenti anche nel romanzo “Cronache di un venditore di sangue” 许三观
卖血记 (1995), in cui però il protagonista non è in balia del destino crudele, dal momento che la donazione
di sangue è una scelta e non una coercizione. Il romanzo narra della vita che Xu Sanguan si costruisce
tramite la vendita del suo sangue. È grazie al ricavato che egli riesce a trovare una moglie e a risolvere i
problemi dei figli. Il contrasto tra volontà individuale e ostacoli posti dal destino emerge quando si scopre
che il primogenito della coppia non è figlio di Sanguan, ma il risultato di una violenza sessuale perpetrata
dal primo fidanzato della moglie. Sanguan cerca dunque di disconoscere il primo figlio tagliandolo fuori da
tutti i benefici economici dati dalla vendita del sangue, mentre sommerge di doni la sua collega di lavoro, di
cui si approfitta per vendicarsi del “tradimento” della moglie. Alla fine però, il primogenito riconosce
Sanguan come proprio vero padre, e rifiuta invece di riconoscere il proprio padre biologico, cosicché i due si
riconciliano. Viene dunque asserito il concetto di agentività nella costituzione del nucleo familiare, che
dimostra che i protagonisti di questo romanzo non subiscono il fato, ma al contrario si costruiscono il
proprio destino. A ribadire quest’idea, nella seconda parte del romanzo, il figlio primogenito si ammala, e
Sanguan inizia a vendere il sangue in maniera seriale, per salvare quella vita che fino a poco tempo prima
considerava estranea.
L’importanza della ridefinizione dei rapporti familiari come metafora della rivisitazione dei valori fondanti
del passato viene ribadita nei romanzi di Su Tong, in particolare “Mogli e concubine” 妻 妾 成 群 (qiqie
chengqun, 1989), e “Riso” 米 (1991). Il primo testo narra la storia della giovane Songlian, che per salvarsi da
un destino di povertà si vede costretta a diventare la quarta moglie del ricco Chen Zuoqian. Non si tratta

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tanto di un romanzo sulla figura femminile in Cina, quanto piuttosto di una metafora sulle dinamiche di
lotta per il raggiungimento del potere. Tutto il romanzo infatti si concentra sulla lotta tra le quattro mogli
per ottenere il primato nella casa, e ciascuna moglie rappresenta un determinato tipo di persona: la prima
si rifugia nei rituali buddisti, la seconda incarna i valori tradizionali e patriarcali, mentre la terza rappresenta
la trasgressione estetica. C’è infine Yan’er, serva altezzosa di Songlian, che si rifiuta di stare ai suoi ordini. La
protagonista, unica ad avere ricevuto un’educazione moderna, è disorientata dalle personalità prepotenti
delle altre e finisce per far implodere il già precario rapporto tra le donne. Ignorata dalle altre tre e odiata
da Yan’er, Songlian tenta di restare incinta per ottenere un ruolo in famiglia, ma senza successo. La morte
per tifo di Yan’er, per cui Songlian si sente in colpa, sarà il catalizzatore di una serie di disgrazie. Songlian
tenta di consolarsi con il figlio del marito, ma scopre amareggiata le sue tendenze omosessuali, mentre la
terza moglie si getta nel pozzo dopo essere stata sorpresa a tradire il marito. Consapevole di non avere via
di fuga, Songlian finisce con l’impazzire.
Altrettanto crudele è il romanzo “Riso”, che narra la storia del protagonista Cinque Draghi, in una struttura
circolare per cui all’inizio si vede Cinque Draghi che si imbatte in un cadavere, e alla fine si vede il cadavere
di Cinque Draghi stesso. Il protagonista scappa dalla carestia e da un’alluvione del suo villaggio natale per
rifugiarsi in città, dove, presso un emporio di riso, il giovane Abao, servo tuttofare del padrone Feng, gli
porge una ciotola di riso per dargli qualcosa da mangiare. Da questo momento in poi il riso diventa vero e
proprio feticcio per il protagonista, e l’ossessione per esso accompagnerà quella sessuale per le donne.
Impietosite dallo stato di Cinque Draghi, le figlie del padrone Nuvola Ricamata e Nuvola di Seta invitano
Cinque Draghi a tornare all’emporio, dove Feng lo assume come aiutante in cambio di un po’ di riso e di un
tetto. Cinque Draghi ha sentimenti ambivalenti nei confronti della licenziosa Nuvola Ricamata, che si
incontra di nascosto sia con Abao, sia con Sesto Padrone, potente capo di un gruppo di criminali. Quando
Cinque Draghi sorprende Nuvola Ricamata assieme ad Abao, decide di far fuori il suo nemico con l’aiuto di
Sesto Padrone. Quest’ultimo, come previsto, manda i suoi uomini a uccidere Abao, ma poiché Nuvola
Ricamata è incinta, Feng si vede costretto a organizzare un matrimonio riparatorio con Cinque Draghi. Da
questo momento in poi la degenerazione fisica e morale del protagonista accelera: Feng tenta di uccidere
Cinque Draghi ma riesce solo ad accecarlo da un occhio e a ferirlo. Maggiori sono le menomazioni del corpo
di Cinque Draghi, più virulenta è la sua smania per il riso. Stanco di Nuvola Ricamata, il protagonista si
interessa alla sorella Nuvola di Seta, e può prenderla in moglie quando Sesto Padrone viene a reclamare
Baoyu, il figlio di Nuvola Ricamata e quest’ultima decide di seguirlo per una vita migliore. La relazione del
protagonista con Nuvola di Seta non è d’amore, ma di violenta sessualità, tanto che egli violenta
costantemente la moglie su un cumulo di riso. La situazione precipita quando Baoyu irrompe in casa
assieme all’esercito giapponese e si vendica accusando il protagonista di detenzione di armi illegali. Cinque
Draghi viene così orribilmente torturato, e l’unica parte del suo corpo a restare intatta saranno i denti d’oro
che si era fatto mettere per mostrare la sua ricchezza. Alla fine il protagonista lascia la città assieme al figlio
avuto da Nuvola di Seta per tornare al suo villaggio natale, ma muore lungo la strada. Senza alcuna pietà, il
figlio strappa i denti d’oro del padre e prende una scatoletta che portava sempre con sé. Con sua grande
delusione però, scopre che all’interno ci sono solo dei chicchi di riso.

Conclusioni
Il neorealismo nasce dall’urgenza di recuperare una visione del reale, per quanto decadente, e di restituire
all’individuo una centralità che si era persa durante l’epoca maoista. Molti critici si riferiscono al
neorealismo come a una sorta di “ritorno alle origini”, ma si tratta di un ritorno molto diverso da quello
della ricerca delle radici: è infatti un ritorno ai bisogni essenziali e concreti dell’esistenza.
Molte opere neorealiste ben si prestano a una lettura freudiana. Il tentativo di dipingere la condizione
umana individuale nel suo stato più primordiale è dovuto all’urgenza, dopo anni di collettivizzazione, di
riattivare nel lettore sogni e desideri individuali sopiti ormai da tempo, e di fare i conti con la prosaicità
della vita quotidiana. Il tono tragico e le descrizioni scabrose e dirette sono entrambi componenti
fondamentali di questa corrente.

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Il neorealismo si spegne gradualmente all’inizio del nuovo millennio, quando la nuova generazione tenta di
rimuovere una letteratura in cui il trauma primordiale viene continuamente riesumato. Il neorealismo è in
fondo l’ultimo tentativo di riallacciare i ponti con la travagliata storia del ‘900 cinese.

11 – ROTTURE

Una controrivoluzione? La letteratura dei teppisti di Wang Shuo


Nessuno più di Wang Shuo 王 朔 è riuscito a lasciare un’impronta così profonda negli ultimi decenni del
900. Grazie all’associazione di cui è promotore infatti, sono stati riconosciuti e introdotti i diritti d’autore, e
la letteratura, che fino ad allora era stata considerata solo per il suo valore simbolico e politico, è diventata

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capitale culturale e prodotto commerciale. La sua totale indipendenza da associazioni politiche e letterarie,
in particolare l’Associazione degli scrittori, ha inoltre sancito la separazione tra scrittori e intellettuali. La sua
produzione narrativa, ormai comunemente definita “letteratura dei teppisti” per la sua celebrazione di
personaggi ribelli e anticonformisti, è chiara espressione del radicale cambiamento sociale avvenuto in Cina
dopo la RC.
Se per gli intellettuali Wang Shuo ha rappresentato, almeno all’inizio, un nemico da combattere, per il
neonato ceto medio e per quella massa di cinesi che vedeva con favore le nuove opportunità che le riforme
economiche erano in grado di offrire egli è stato un vero e proprio idolo. Seguire l’evoluzione narrativa di
questo autore aiuta infatti a capire come i cinesi abbiano percepito le tappe essenziali del percorso di
modernizzazione e urbanizzazione della Cina.
Wang Shuo non nasce come scrittore “teppista”, ma come scrittore di racconti romantici, tra cui spicca “La
hostess” (1984), che racconta la storia dell’attrazione fatale di una giovane ragazza per la divisa da marinaio
del protagonista. Il rapporto tra i due deteriora quando egli lascia la marina, e dunque anche la sua divisa, e
si trasforma in un nullafacente incapace di trovare collocazione in città. La ragazza allora, ossessionata dal
fascino della divisa, trova impiego come hostess di una compagnia aerea, ma la sua morte in un incidente
aereo fa precipitare il ragazzo nello sconforto. La divisa, prima indossata da lui e poi da lei, è in questo caso
il punto di raccordo tra individuo e istituzioni, ormai solo un feticcio, elemento residuo dell’ideale estetico
del periodo rivoluzionario. È proprio dal processo di demistificazione del feticcio che parte il percorso di
Wang Shuo, che vuole non solo decostruire i valori del passato, ma anche rappresentare in maniera diversa
le nuove pulsioni dell’individuo nella nuova società dei costumi.
Le opere giovanili di Wang Shuo narrano storie d’amore che accettano le logiche del nuovo consumismo e
rifuggono dall’aspetto romantico descritto invece all’inizio degli anni 80. L’opera più rappresentativa in
questo senso è “Metà acqua, metà fuoco” (1986), in cui desiderio erotico e sentimento romantico sono
nettamente separati. La storia è quella del teppista Zhang Ming, che seduce la giovane e bella studentessa
Wu Di. Quest’ultima, consapevole di non poter ottenere l’amore di lui, si trasforma pian piano in una
volgare prostituta. Nel loro ultimo incontro, Zhang Ming viene colto dal rimorso ma ormai non può più
riparare al male fatto, viene invece arrestato per estorsione di denaro, e durante la sua detenzione Wu Di si
suicida. Nella seconda parte del romanzo Zhang Ming, intenzionato a riscattarsi, cerca di redimere una
giovane prostituta, ma invano.
Questo è anche il romanzo che dà origine alla cosiddetta letteratura dei teppisti, e che sancisce
formalmente la nascita di una letteratura commerciale e urbana. I teppisti sono secondo Wang Shuo gli
unici soggetti in grado di rappresentare e narrare il presente, perché la società dei consumi e delle riforme
appartiene a loro. Wang Shuo anticipa una tendenza della cultura di massa del ventennio successivo: il
predominio dell’immagine e del ruolo esteriore sull’esistenza. Questa visione del mondo contemporaneo
spinge l’individuo a recitare un ruolo per intrattenere sé stesso e il pubblico.
Il capolavoro di Wang Shuo è però “Scherzando col fuoco” 玩的就是心跳 (1989), in cui il protagonista Fang
Yan scopre di essere indiziato per un delitto commesso dieci anni prima, ma, essendo da troppo tempo
immerso negli svaghi con la sua banda di tempisti, non riesce a ricordare il passato. A venirle in aiuto è Li
Jiangyun, che seduce il protagonista e gli mostra la foto di un passato amore che potrebbe fornirgli un alibi.
La ragazza nella foto si rivelerà essere la stessa Li Jiangyun, che però Fang Yan non riesce a riconoscere. Solo
dopo, una volta scoperto che in realtà non c’è stato nessun delitto e che è stata tutta una messinscena degli
amici, la memoria di Fang Yan si riattiva e lui inizia un viaggio nel passato tornando, tappa dopo tappa, alle
sue origini.
Nell’opera successiva, “Ferocia bestiale” (1992), un ormai affermato Fang Yan torna ai propri ricordi
adolescenziali nell’epoca della RC. La narrazione della “corrente delle ferite” è qui del tutto ribaltata, dato
che nella descrizione di Wang Shuo, il clima di caos è ciò che permette ai giovani di sperimentare la libertà
dalle proprie famiglie. La violenza che permea la società finisce però per contaminare i giovani, il cui
desiderio di libertà sfocia in atti violenti, che culminano nel finale, con la violenza carnale da parte del
protagonista sulla ragazza che era oggetto delle sue brame.

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Nell’ultima opera della trilogia, “Bello a vedersi” (1999), la meno riuscita delle tre, Fang Yan continua la
propria ricerca delle origini descrivendo le tappe della sua infanzia. È questo il suo romanzo più struggente
e nostalgico, che tenta di recuperare quell’innocenza che non può più aver posto in un presente fatto solo
di esteriorità. Con quest’opera si conclude un complesso percorso di indagine sulla nuova umanità, e sul
percorso che essa instaura coi nuovi spazi urbani e la propria irraggiungibile storia.

Rotture: la corrente letteraria della generazione nata tardi


Tra la fine degli anni 90 e l’inizio del nuovo millennio nasce un fenomeno letterario detto della “generazione
nata tardi” 晚 生 代 . Dal momento che tale fenomeno include autori molto diversi per tematiche, stili e
contenuti, non si tratta di una vera e propria corrente, ma in generale si può dire che essi si pongono in
discontinuità sia con la letteratura del passato sia con il sistema letterario, motivo per cui questo fenomeno
letterario è anche chiamato “rottura” 断 裂 . Il loro manifesto anti-intellettuale e anti-intellettualista non
deve comunque essere frainteso, perché tali scrittori non sono e non si propongono come continuatori
dell’anti-intellettualismo di Wang Shuo. Hanno tutti ricevuto un’educazione rigorosa, e nel caso di Han
Dong e Zhu Wen sono anche poeti famosi.
La differenza tra gli autori di rottura e Wang Shuo sta nella loro determinazione a modificare
consapevolmente il mondo letterario. Essi non si pongono come icone culturali, ma come creatori di nuovi
spazi e modi letterari. Ciò è particolarmente evidente nella novella “Io amo i dollari” 我 爱 美 元 (1995),
diventata una sorta di modello e manifesto del gruppo. Narra le vicende di un giovane scrittore che viene
interrotto durante un rapporto sessuale con l’amante dall’irruzione del padre, che gli chiede di convincere il
fratello a non abbandonare gli studi. Di quest’ultimo tuttavia non c’è traccia. Lo scrittore allora cerca di
consolare il genitore mostrandogli i piaceri della città, e vorrebbe trovargli una donna per soddisfare i suoi
bisogni carnali. Non avendo soldi per pagare una prostituta, chiede all’amante di avere un rapporto col
padre, ma riceve un secco rifiuto. Alla fine non riesce a soddisfare la richiesta del padre, perché, pur avendo
trovato il fratello, questi si rifiuta sia di ubbidire al padre, sia di trascorrere un po’ di tempo con lui.
Questa novella presenta alcuni temi che diventeranno centrali in tutta la produzione della generazione nata
tardi: il rapporto tra scrittore e scrittura, il soddisfacimento dei desideri erotici, e soprattutto la
demistificazione del ruolo della figura paterna. A differenza delle opere di Wang Shuo, i protagonisti qui
non sono teppisti, ma condividono lo stile di vita del ceto medio della Cina delle riforme, e, seppur pervasi
da un senso di alienazione, si lasciano guidare dal ritmo della città. La scrittura e l’erotismo fungono da
raccordo tra lo scrittore alienato e la società, e il sesso non viene mai banalizzato: esso è lo strumento
utilizzato per trasmettere al lettore che la tanto agognata emancipazione dalle istituzioni e dal Partito
consiste in una riappropriazione del proprio io e del proprio corpo.
Il desiderio nei confronti di un io svincolato dalle istituzioni è anche quello per un io libero dai principi della
tradizione cinese, in particolar modo la pietà filiale. La questione del rispetto nei confronti della figura
paterna si trova già nel racconto di Wang Shuo “Io sono tuo padre”, in cui lo scrittore ben rappresenta la
crisi sia nei confronti delle istituzioni sia nei confronti della generazione precedente. In “Io amo i dollari” il
padre diventa metafora di un passato da rimuovere, l’urlo di Lu Xun “salvate i bambini” si trasforma qui in
“sbarazziamoci dei nostri genitori e di tutta la loro generazione”. Non è un caso che in un episodio del
racconto, il figlio narratore nota una cicatrice sulla fronte del padre, ma ciò non causa in lui alcun
turbamento né alcun desiderio di conoscerne la storia, una metafora dell’avvenuto distacco dal “trauma
primario” del popolo cinese.
Questi scrittori, a differenza di Wang Shuo, non sono alla ricerca del passato, e il loro modo di cancellare le
ferite della storia è negarle, ignorarle o rimuoverle completamente. È il desiderio di oblio dei traumi passati,
pur conservando lo spirito violento dell’epoca, a spingere Han Dong a rivisitare il periodo della RC, nel
romanzo “Mettere radici” 扎根 (zhagen, 2003). Ciò che viene celebrato in quest’opera è la vita quotidiana,
descritta con minuziosa precisione, della famiglia Tao, espulsa dalla città durante la RC e costretta a riparare
nelle campagne più remote. Tutte le energie della famiglia sono esercitate nella costruzione di una casa e di

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uno stile di vita diversi e superiori rispetto a quelli degli altri abitanti del villaggio. Tale diversità porta a
un’alienazione dal contesto sociale che sfocia in atti di terribile violenza. L’autore ricerca le radici del
fallimento della RC, e demistifica il concetto di parità e uguaglianza tra contadini e intellettuali, dato che la
famiglia di città tiene molto al diversificarsi dal resto della popolazione. Il padre insegna al figlio tutto ciò
che serve per diventare l’intellettuale che lui non è potuto essere, e alla fine il figlio riesce ad essere
ammesso all’università, ma proprio quando deve prendere commiato per iniziare i suoi studi, non dimostra
alcuna gratitudine nei confronti del padre, e ostenta la più totale mancanza di pietà filiale. Nel capitolo
successivo, il giovane Tao non risponde neanche più alle lettere del padre, e non riesce nemmeno a essere
presente nel momento della sua morte. Addirittura, quando il giovane visita la tomba del padre con un
amico, egli si siede sulla sua tomba a fumare una sigaretta, discorrendo di amenità. L’autore rimuove e
ridicolizza così due pilastri della società tradizionale confuciana: la pietà filiale e il culto dei morti.
Il gruppo rottura, oltre a rinnegare la pietà filiale, nega anche il rapporto amoroso, tanto celebrato alla fine
degli anni 80, ma che sembra ora aver perso ogni senso ed essere ridotto solo a una pulsione fisica e
sensoriale. Una delle prime antologie di Han Dong, significativamente intitolata “Il nostro corpo”, si può
intendere come una disamina della morte del sentimento e della nascita di una nuova concezione del corpo
come sede di percezioni anziché emozioni. Tale tendenza viene estremizzata negli ultimi romanzi
dell’autore, che sono veri e propri romanzi erotici.
I due racconti che meglio rappresentano il rapporto tra corpo e desiderio sono “L’intoppo” (1996) di Han
Dong, e “Merce” (1994) di Dongxi. Il primo è la storia di un uomo che riceve dall’amico poeta l’incarico di
accogliere la sua amante. Egli si fa inizialmente scrupoli etici nei confronti dell’amico, ma finisce poi per
avere una relazione erotica con la sua amante. La storia, dalla trama banale, è resa suggestiva dalla
ricchezza di dettagli e dalle atmosfere create.
Più complesso e articolato è invece “Merce”, che offre una potente riflessione sull’amore e sulla sua
rappresentazione letteraria nell’epoca del mercato e della mercificazione. Il racconto descrive infatti le
surreali sensazioni, emozioni e vicissitudini di un giovane scrittore, seguendo come filo logico il legame tra
materia prima, merce e pubblicità. La storia inizia ancora con la presentazione della figura paterna, e la
madre del protagonista che chiede al figlio di andare a recuperare il cadavere del padre, presumibilmente
ucciso dal cugino per rubargli i pochi soldi che aveva nascosto durante la RC. Il giovane dunque si mette in
viaggio, ma anziché ritrovare il corpo del padre, incontra una donna di cui si innamora e da cui ha un figlio.
Queste opere si allontanano dal passato per immergersi in un presente costantemente mutevole, quello
che interessa è il flusso del presente, l’immergersi nella vita così com’è. Tuttavia, questi scrittori non sono
esenti da riflessioni etiche sulla nuova Cina, che si è occupata solo di urbanizzare il paese, senza fornire
nuovi valori. Come i teppisti di Wang Shuo, i nuovi giovani cercano continuamente nuovi spazi da
fotografare ed esperienze estreme che possano mantenere viva la loro eccitazione, ma alla fine devono
prendere atto della propria alienazione da ciò che li circonda, dovuta all’incapacità di formarsi un’identità in
uno spazio sempre più instabile.

Da “Il re dei bambini” di A Cheng a “Ying-ge-li-shi” di Wang Gang e “Le tre porte” di Han Han
Il genere del romanzo di formazione è stato importante in quanto ha rappresentato i processi di
costruzione e ricostruzione di una nuova identità cinese. Uno dei più importanti romanzi di formazione
composti durante il periodo della febbre culturale è “Il re dei bambini” di A Cheng, che narra la storia di un
insegnante mandato nelle campagne dello Yunnan, che si deve confrontare con una classe di bambini privi
di alcuno strumento ma pieni di voglia di imparare. Gli viene consegnato un grosso manuale pieno di
retorica politica, e gli viene ordinato di copiarlo pedissequamente sulla lavagna e trasmetterlo in maniera
acritica agli studenti. L’insegnante però trova un dizionario, all’epoca rarissimo, e decide di utilizzarlo come
unico strumento di insegnamento, insegnando ai bambini a esprimere sé stessi e il proprio mondo
attraverso libere composizioni di temi.
L’importanza di questo romanzo breve consiste nel ridefinire la costruzione della soggettività come
processo di apprendimento e come riposizionamento etico nei confronti di una società che aveva da troppo

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tempo represso il soggetto condannandolo a una retorica conforme ai dettami del Partito. Il dizionario è la
base per una nuova formazione non imposta dall’esterno ma scaturita dal soggetto, che, servendosi di un
linguaggio condiviso, riesce a esprimere e comunicare sé stesso al mondo.
Wang Gang, uno scrittore affine, anche se non propriamente appartenente alla generazione nata tardi,
affronta le stesse tematiche nel romanzo “Ying-ge-li-shi”, trascrizione di “english”. Anche in questo caso
l’autore si sofferma sulla relazione degli studenti e delle proprie famiglie con l’insegnante, e il dizionario
funge da strumento di mediazione tra maestro e allievo. In Ying-ge-li-shi però si trova un dizionario di
inglese, e non è più il processo, cognitivo, bensì quello percettivo a collegare il mondo interiore del
narratore al mondo esterno. Il fatto che ying-ge-li-shi sia una trascrizione, e dunque un significante privo di
significato, implica che in questo romanzo il linguaggio viene affrontato come percezione, e collegato al
linguaggio del corpo.
L’istruzione e la scuola diventano una sorta di ossessione per gli scrittori della fine degli anni Novanta. Tra
questi si cita Han Han, con il suo romanzo “Le tre porte” 三 重门 , che ha definitivamente trasformato il
genere del romanzo di formazione in un prodotto commerciale. Han Han è idolo della Cina del nuovo
secolo, e, come Wang Shuo, si può considerare un’icona del mercato culturale, anche se a differenza di
quest’ultimo la cultura e la letteratura non rappresentano il suo campo di interesse principale. Pur essendo
un blogger molto seguito infatti, Han Han è principalmente un pilota di auto da corsa, e la sua posizione nei
confronti dell’establishment letterario e delle istituzioni è di conflitto assoluto. Le Tre Porte narra di un
giovane alle prese con la scuola, i genitori e i professori, in un mondo in cui la formazione è vista come
degenerata, con professori che non incoraggiano i giovani a maturare e dimostrano essi stessi scarsa
cultura, e i genitori che si interessano solo del successo scolastico dei figli: quelli del protagonista finiscono
per pagare una tangente al direttore di un’università di Shanghai per fare ammettere il figlio, ma ciò si
rivela non sufficiente e il protagonista viene alla fine espulso dall’università. Nonostante la pretesa di
virtuosismo, come l’inserzione di poesie o citazioni dei classici, l’opera si dimostra piuttosto superficiale, ad
esempio nella narrazione dell’innamoramento del protagonista non c’è alcuna introspezione, ma il tutto
appare più come una forma di erudizione fine a sé stessa. La principale differenza tra gli autori della
generazione nata tardi e quelli degli anni Ottanta è che i primi aspirano ancora a costruire, attraverso la
letteratura, una riflessione critica e un processo di significazione che, pur svincolato dalle istituzioni
letterarie e accademiche, ribadisce il principio dell’autonomia della sfera letteraria: mentre Ying-ge-li-shi è
la descrizione del processo di maturazione di un adolescente, il protagonista de Le tre porte passa da un
episodio all’altro della sua vita senza alcuna riflessione. Nonostante la critica ai professori e
all’insegnamento dunque, il romanzo di Han Han non pone domande, ma regala svago, e incontra dunque il
favore di quell’enorme pubblico di ragazzi terrorizzati dal gaokao e desiderosi di essere intrattenuti da
letture che non richiedono alcuno sforzo intellettuale né impegno sociale e politico.
Da segnalare infine il tema dell’omosessualità, diventato popolare nella letteratura dell’ultimo trentennio
come metafora per sottolineare la mancanza di libertà individuale. La rappresentazione del rapporto tra io
e altro da sé attraverso le percezioni non si ritrova solo negli scrittori della generazione nata tardi, ma anche
nei capolavori “Un io in guerra” (1994) di Lin Bai, e “Vita privata” (1996) di Chen Ran. Queste opere sono da
intendere come romanzi di formazione in quanto, attraverso uno sguardo sull’interiorità del proprio
personaggio, riescono a rappresentare un soggetto che è in grado di raffigurare un altro da sé. Come per gli
autori della generazione nata tardi, le autrici si soffermano sul rapporto coi genitori, ma in questo caso la
figura principale è quella della madre, che si contrappone in “Un io in guerra” a un padre assente fin dalla
nascita della figlia, e in “Vita privata” a un padre antagonista e violento. È la mancanza di amore genitoriale
che spinge la protagonista nelle braccia della vedova He.
La capacità di queste autrici di sviluppare un tema considerato tabù dimostra come il percorso di recupero
di un io individuale si sia definitivamente affermato non più come metafora della nazione o come segno
politico, ma come entità autonoma.

La rivoluzione del senso e della sfera spirituale: “mitorealismo” in Bi Feiyu e Yan Lianke

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Il concetto di “mitorealismo” coniato da Yan Lianke come riflessione sulla propria produzione, indica un
confronto con la realtà e una presa di coscienza di essa, e il recupero di una realtà spirituale. I concetti di 神
(divinità, anima, spirito, mente) e 实 (reale, vero, sostanziale) sono le due principali chiavi interpretative
delle opere di Yan Lianke e Bi Feiyu: da una parte si concentrano sull’interiorità dell’individuo, dall’altra
vogliono rappresentare la realtà.
Bi Feiyu, inizialmente membro della generazione nata tardi, può essere affiancato alle tematiche del
mitorealismo per vari motivi: centrali nei suoi romanzi sono un’attenta analisi del rapporto tra corpo e
mente, la rappresentazione di un mondo in cui la vita individuale è governata dalla biopolitica, e una
relazione con il mondo attraverso i sensi. In questo senso il romanzo più rappresentativo è “I maestri di
tuina” 推拿 (2008), in cui vengono descritte le vicissitudini di un gruppo di ciechi esperti di massaggio tuina.
Le figure più positive dell’opera sono il dottor Wang e la dottoressa Xiao Kong, follemente innamoratisi
l’uno dell’altra, che riescono così a superare il trauma della cecità e raggiungere una sorta di beatitudine. Al
contrario, il direttore del centro di massaggi, Sha Fuming, è tanto servile nei confronti dei vedenti e
ossessionato dal denaro che somatizza la sua ansia finendo per diventare dipendente dagli antidolorifici.
Mentre alla fine del romanzo gli altri dottori raggiungono una certa indipendenza economica e trovano
conforto nella solidarietà e nell’affetto reciproco, il dott. Sha Fuming collassa in un lago di sangue. Questo
personaggio è la rappresentazione del vuoto di valori della Cina contemporanea: a differenza degli altri
protagonisti, che antepongono l’amore ai valori portati avanti dalla società dominante, l’ossessione di
Fuming per la sua condizione di cieco gli impedisce di vivere una vita affettivamente gratificante e lo
conduce all’autodistruzione.
Se Bi Feiyu usa la cecità per invitare il lettore ad affrontare la vita con occhi diversi, Yan Lianke ricorre alla
malattia e alla disabilità per riflettere sul rapporto tra individuo e istituzioni, un rapporto assente o
marginale in Bi Feiyu. È così che Yan Lianke introduce il lettore a un tema che diventerà centrale in tutta la
sua produzione: la biopolitica. I due principali romanzi di Yan Lianke sono “Vissuto” 受活 (2004) e “Il sogno
del villaggio dei Ding” 丁庄梦 (2006); il primo narra le vicende di un villaggio di disabili che per sopravvivere
si trasforma in un circo itinerante di fenomeni da baraccone, mentre il secondo si ispira a una vicenda vera
in la donazione di sangue in massa da parte di un intero villaggio è risultata in un’epidemia di AIDS. In
entrambe le opere il rapporto tra struttura di potere e soggetto dominato diventa la base su cui poggiano le
dinamiche di lotta tra diverse forme di potere (economico, religioso, politico) che lottano per il controllo del
corpo malato.
Vissuto si concentra sulla relazione tra Liu, il sindaco del villaggio di disabili Shouhuo, e Mao Zhi, referente
spirituale dei cittadini disabili. Il sindaco Liu è estremamente ambizioso e intende trasferire a Shouhuo la
salma di Lenin, da collocare in un grande mausoleo. Egli decide quindi di sfruttare i disabili e renderli
oggetto di una farsa carnevalesca trasformando il villaggio in un circo itinerante, e riesce così raccogliere
una grande quantità di denaro. Il suo piano va però in fumo quando le “persone piene”, ovvero i sani,
rubano tutto il ricavato delle esibizioni dei disabili, lasciando Shouhuo nella povertà più totale. Al contrario,
Mao Zhi vorrebbe proteggere i cittadini dal mondo esterno, e renderli autosufficienti in una dimensione
locale, ma la sua vittoria arriva troppo tardi: la decisione di rendere Shouhuo autonoma, e non sottoposta
alla giurisdizione della contea giunge infatti il giorno della sua morte. È significativa la scelta da parte
dell’autore di contrapporre alla compagnia di disabili di Liu un’altra compagnia capitanata da Mao Zhi, a
indicare la divisione tra il “potere economico-politico” e il “potere pastorale”, e l’incompatibilità tra la
nuova Cina neoliberista e il suo passato ideologico e retorico.
Il villaggio dei Ding rappresenta il continuo di Vissuto, e si concentra, come il romanzo precedente, sugli
agenti di forme di potere diverse: il nonno Ding, maestro di scuola informale; il padre Ding Hui,
imprenditore dell’ultima generazione; lo zio Ding Liang. Lo scontro tra potere politico-economico e potere
pastorale viene articolato dal conflitto tra il nonno, capo informale della piccola comunità, e il padre Ding
Hui, responsabile del traffico locale di sangue. Entrambe le figure sono autorità informali, prive di qualsiasi
investitura. Tuttavia, proprio come il sindaco Liu in Vissuto, Ding Hui riesce a convincere tutti i cittadini a

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donare il sangue. A causa della sua sete di denaro, tutto il villaggio viene investito da un’epidemia di AIDS,
senza che ci siano medicine né ospedali adeguati. La scuola diventa così un rifugio che in poco tempo si
trasforma in un luogo di lotte in cui alcuni personaggi sottraggono il potere al nonno e si impossessano degli
stanziamenti del governo e delle donazioni di cibo.
A differenza di Vissuto però, questo romanzo non è del tutto disperato, e Yan Lianke utilizza l’amore e il
desiderio come armi contro la disumanizzazione e la morte: lo zio del narratore infatti incontra una certa
Ding Liang, anch’essa affetta da AIDS, e i due si innamorano, divorziando dai rispettivi matrimoni e
sposandosi, dimostrando come l’amore possa opporsi a forme di potere assoluto. Alla fine del romanzo
inoltre, quando il nonno scopre che Ding Hui ha preparato per il figlio defunto un matrimonio postumo con
una donna zoppa e più anziana di lui, decide di uccidere il mercante di sangue. Questo è il modo in cui Yan
Lianke alla fine sconfigge i poteri forti. Amore e desiderio sono armi contro la disumanizzazione e la morte,
perché possono appartenere soltanto alla vita.

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