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L’epoca Heian – la cultura di corte

Come accennato nella precedente unità, la cultura di corte del periodo Heian si
caratterizzò per una maggiore autonomia dai condizionamenti cinesi. In ambito
artistico, si fece strada un nuovo stile pittorico, denominato yamatoe (ovvero
pittura in stile Yamato) in diretta contrapposizione con lo stile karae (o pittura in
stile cinese). In ambito architettonico, templi e ville nobiliari si allontanarono
dall’imponenza di ispirazione cinese e assunsero forme più leggere e integrate nel
contesto naturale.

In ambito linguistico e letterario, vennero inventati i kana, che permisero di


scrivere più efficacemente in lingua giapponese, rimpiazzando il sistema basato
sull’uso fonetico dei kanji. Questa innovazione si sviluppò probabilmente nel
contesto di monasteri buddhisti agli inizi del nono secolo, e aprì la strada a stili di
scrittura che limitavano o addirittura escludevano l’uso dei kanji.

L’epoca Heian fu così teatro della produzione delle prime antologie


imperiali di poesia in giapponese e con prevalenza di kana, le cosiddette chokusen
wakashū. Le antologie, composte da poesie con brevi introduzioni in prosa,
nascevano con l’idea di raccogliere il meglio della produzione delle principali
poetesse e poeti del passato e del presente. Esse crearono canoni tematici e
metrici che divennero un riferimento per chiunque volesse comporre waka, ovvero
poesia giapponese.

La prosa in kana rimase appannaggio soprattutto delle dame di corte. Il


cinese rimase la lingua di principale uso in ambito politico e burocratico, e per gli
uomini di corte la sua conoscenza era un requisito fondamentale. Alle dame non
era invece richiesto conoscere il cinese, e poteva essere persino considerato
sconveniente che lo praticassero, anche se ciò non impediva ad alcune di loro di
studiarlo.

L’associazione fra scrittura in kana e onnade, ovvero la “mano femminile”


divenne, per questo, radicata. Lo era al punto che Ki no Tsurayuki, poeta e
funzionario presunto autore di un diario in kana intitolato Tosa Nikki, scrisse la sua
opera fingendosi un’autrice donna.

Fra i principali generi della prosa in kana di periodo Heian, si annoverano


nikki e monogatari.

I nikki si svilupparono dalla prima metà del decimo secolo e fiorirono


soprattutto nell’undicesimo. Sono stati definiti “diari lirici”. Si tratta infatti di
narrazioni, veritiere o presunte tali, di vicende legate alla vita dell’autrice,
intervallate da poesia. Pur trattandosi di diari, i nikki non erano opere pensate per
un consumo privato: erano scritte per essere lette da un pubblico interno alla
corte, con un chiaro intento estetico. Talvolta, servivano persino per giustificare
agli occhi della corte, spesso pettegola e claustrofobica, aspetti della vita
dell’autrice.

Un’opera che ha alcuni aspetti del nikki, ma non rientra esattamente nella
categoria, è quella intitolata Makura no sōshi (Note del Guanciale), attribuita alla
dama di corte Sei Shōnagon. È una raccolta di pensieri, note, ricordi, riflessioni,
citazioni e giudizi. L’opera, sperimentale spesso anche a livello linguistico, è uno
specchio della vita di corte, nella sua più minuta quotidianità.

Se i nikki si presentavano come narrazioni veritiere, i monogatari erano


invece opere fittizie. Il nome stesso del genere deriva dall’espressione mono o
kataru, letteralmente “raccontare qualcosa”. Avevano probabilmente origine orale,
e anche una volta messi per iscritto, di solito come rotoli dipinti (o emakimono),
erano pensati per essere letti pubblicamente a corte. Ne vennero prodotti circa
200 a partire dal decimo secolo, ma di molti ci restano solo i titoli e spesso si
trattava di opere anonime. Il genere non godeva infatti della stessa aperta
considerazione della poesia e dei nikki. I monogatari erano normalmente narrati
come se ambientati in un passato vago, anche quando facevano riferimento a
vicende contemporanee. Potevano includere elementi fantastici, anche se essi
andarono progressivamente scomparendo con l’avanzare del periodo. Si
strutturavano normalmente come una successione di episodi, che potevano essere
letti e goduti anche singolarmente, e come i nikki includevano anche parti poetiche.

L’opera più celebre del genere è probabilmente il Genji Monogatari,


composto agli inizi dell’undicesimo secolo e attribuito alla dama di corte Murasaki
Shikibu. L’opera, che segue le vicende, soprattutto amorose, del principe imperiale
Genji, è un quadro monumentale del mondo e dell’etichetta della corte, ed è una
delle più amate, citate e rivisitate opere della letteratura giapponese.

Un ultimo aspetto della cultura della corte Heian che è necessario


menzionare è il ruolo, nel suo contesto, del Buddhismo. Pur avendo visto
ridimensionata la sua influenza politica, e pur rimanendo poco praticato a livello
popolare, il Buddhismo rimase infatti una componente importante della vita di
corte. I kuge cominciarono ad avvicinarsi a una visione del Buddhismo che
abbracciava i suoi contenuti filosofici. Questo influenzò anche la produzione
letteraria, in cui fecero la loro comparsa i temi dell’impermanenza e transitorietà
delle vicende umane.

La dottrina buddhista fu per molti un rifugio e un conforto soprattutto nella


fase finale del periodo Heian, di cui parleremo nella prossima unità. I rivolgimenti
militari e politici che scossero la corte convinsero infatti molti nobili che fosse
giunta l’epoca del mappō: un periodo di degenerazione e decadenza, in cui l’unico
possibile strumento di salvezza era l’invocazione del potere salvifico di Buddha.
Per approfondire

Luisa Bienati, Adriana Boscaro, La narrativa giapponese classica, Marsilio,


2010

Pierantonio Zanotti, Introduzione alla storia della poesia giapponese vol. 1


- Dalle origini all'Ottocento, Marsilio, 2012

Murasaki Shikibu, Maria Teresa Orsi (traduttrice e curatrice), La storia di


Genji, Einaudi, 2015.

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