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Letteratura giapponese lezione 2 (30/09)

Le prime poesie prodotte in giapponese sono quelle che compaiono nelle opere
parastoriografiche (Kojiki e Nihongi, ad es.), sono dette kiki kayo e sono circa 190 in
totale. Vengono attribuite a personaggi mitici, dell’epoca degli dei come espressione
diretta dei loro pensieri e dei loro stati d’animo. Le poesie del Fudoki sono circa 20.
Nel Nihongi sono riportate in giapponese con caratteri cinesi dal valore fonetico.
Provengono da una tradizione ben più antica e sono probabilmente state rielaborate
per essere inserite in queste raccolte, per il fatto che la metrica è diversa per cui sono
forse di derivazione orale. Tra i kiki kayo più famosi, quello di Yamato Takeru. Non
venivano ancora usati come espressione lirica di sentimenti individuali (anche le
poesie d’amore sono legate agli utagaki) ed era ancora assente il tema della natura. Il
primo waka, secondo tradizione, è sempre un kiki kayo. Il concetto antropologico di
kotodama è molto importante nella letteratura giapponese, caratteristico della
produzione poetica più antica; riporta all’idea del potere performativo della parola.
Il Man’yoshu (raccolta delle 10.000 foglie/parole) è considerato il primo grande
monumento poetico di lingua giapponese. È una grandissima antologia di 4500
poesie divisa in 20 volumi estremamente eterogenei per data di composizione,
estrazione sociale degli autori… Viene completata dopo il 759, anno in cui viene
fatto risalire il più recente testo datato, attribuito a Otomo no Yakamochi, ma ci sono
oltre 500 autori verificati e altri autonomi. Non esistevano ancora i kana, per cui
veniva usata una tecnica di trascrizione chiamata man’yogana, in sino-giapponese,
secondo uno schema di regolarità, ma che di fatto ha molte eccezioni. C’è la
commistione di sinogrammi usati per il loro significato e di sinogrammi usati per il
loro significante fonetico, con la prevalenza di questi ultimi. C’è eterogeneità
metrica, con tanka o waka (dominante), choka, sedoka e poesie con metri irregolari.
Vi è anche un’eterogeneità tematica, che, senza ordine preciso, si compone di zoka
(poesie varie), somonka (poesie di mutua comunicazione – tra amanti) e banka
(elegie). L’eterogeneità si ritrova anche tra gli autori, ne esistono di vario genere, non
solo persone altolocate, ma perfino contadini.
Le poesie del Man’yoshu di possono dividere in quattro periodi (dispense):
- Primo periodo  Autori: membri della famiglia imperiale; Passaggio dalla
poetica impersonale a quella collettiva;
- Secondo periodo (673-710)  Spostamento della capitale a Nara; Periodo di
Kakinomoto no Hitomaro (molto famoso); poesie di carattere privato e di
viaggio
- Terzo periodo (710-733)  Consolidamento della figura del poeta
professionista; tanka a tema naturalistico; poesie su modello cinese; poesie
buddhiste e confuciane; temi realistici banditi dalla poesia; Akahito
- Quarto periodo (733-759)  Otomo no Yakamochi (scrive 450 componimenti,
tra cui quello di chiusura); grande varietà di temi e metri; waka come
strumento di corteggiamento tra uomo e donna
Il Man’yoshu è una delle grandi raccolte di poesia giapponese e la varietà linguistica
aiuta la comprensione della poesia di quell’epoca. Tanti sono gli studi fatti e occupa
un posto stabile all’interno del canone della poesia stabile. I concetti di makoto
(femminilità) e masuraoburi (mascolinità) sono emergenti nella raccolta.
I Monogatari sono un vero e proprio genere letterario; non sono romanzi o libri. È
una storia raccontata in prosa e il nome suggerisce un’origine orale del genere. Era
appannaggio delle dame di corte, poi la fruizione era prevalentemente orale. Il genere
raggiunge il suo massimo splendore nei X e XI secoli. Ha una commistione tra poesia
e prosa. I monogatari hanno origine prevalentemente da mano femminile, ma non
solo (il primo è di un uomo). In epoca Heian con il termine monogatari, venivano
indicate le cose di tutti i giorni, quindi aneddoti, pettegolezzi. Nasce quindi dalla
tradizione orale e si sviluppa in realismo della vita quotidiana. In Taketori
monogatari ci sono anche componenti fantastiche, come anche in altri monogatari. Si
narra anche di cose fittizie o di cose di poco conto. È un genere molto eterogeneo.
Vengono scritti anche in lingua colloquiale. Sono opere di fiction, si usa la fantasia e
mancanza di veridicità, manca il makoto. Per questo motivo, all’epoca sono stati
molto criticati da coloro che difendevano la cultura originale, soprattutto
l’establishment religioso dell’epoca. Vi è la presenza di un narratore che interviene
frequentemente, indirizzandosi al lettore in forma quasi orale. Il tempo in un passato
indefinito permette un distanziamento dalla realtà. L’andamento rapsodico
contribuisce a creare una polifonia narrativa.
C’è differenza tra tsukuri monogatari, di inventiva con intreccio e uta monogatari, in
cui le poesie hanno più importanza.
Il taketori monogatari è anonimo (relegato forse alla corte), viene definito come
l’antenato di tutti i monogatari ed è uno tsukuri monogatari. La struttura del racconto
richiama alla struttura della fiaba (si apre con “C’era una volta”) e c’è un nesso di
casualità della struttura episodica che dà coerenza al racconto; alla fine prevale nel
lettore una visione unitaria, d’insieme, sebbene la narrazione sia composta
principalmente da brani indipendenti. Al suo interno, vi è una prevalenza di elementi
fantastici inseriti in una dimensione realista del contesto in cui essi avvengono, con
realismo nei particolari e uso dell’ironia. Vi è approfondimento psicologico dei
personaggi e dei loro sentimenti, oltre all’espressione di valori estetici e morali,
tramite diversi punti di vista. C’è anche l’anticipazione di valori estetici dominanti
nei monogatari, come l’ideale del mono no aware. Il mono no aware è l’elaborazione
estetica alla radice della pratica creativa nel periodo Heian, commozione e
partecipazione per qualcosa di estetico che convive con tristezza per la caducità delle
cose belle.

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