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Un giorno, se non sarò più costretto a fuggire di popolo in popolo, mi

vedrai seduto sulla tua tomba, o fratello mio, piangendo la tua gentile
giovinezza troncata dalla morte nel suo fiorire. Solo la madre, ora,
trascinando la sua vecchiaia, parla di me con le tue spoglie: ma io vi tendo
le mani deluse. E se già saluto da lontano la mia casa, sento gli dèi nemici
che mi respingono, E i tormenti interiori che sconvolsero la tua vita, e
invoco anch'io la pace della morte. Di tanta speranza mi resta questo! O
popoli stranieri, alla mia morte restituite le mie ossa al petto della madre
addolorata.

Tra le figure retoriche troviamo la sineddoche nel v. 6 in cui “cenere” sta


per tomba e nel v. 8 in cui “i miei tetti” sta per casa. È presente una
metafora nel v. 4 in cui la giovinezza è paragonata a un fiore e
un'allitterazione della lettera t e d nel v 5, “dì tardo traendo”. Nel v. 3 è
presente una metonimia in cui la parola “pietra” sta per tomba e nel v. 6
c'è una sinestesia in cui si accosta la parola “cenere” all' aggettivo “muto”,
parole che appartengono a sfere sensoriali diverse. Infine tra il vv. 10 e 11
è presente un chiasmo, “viver tuo” - “tuo porto”.

Tra i termini aulici ci sono le parole “gemendo” e “mesta” mentre i


latinismi sono “lunge”, “secrete cure” e “speme” che rendono il lessico
del sonetto altamente letterario ed elevato.
I due motivi fondamentali del sonetto sono l’esilio e la tomba. Il primo
rappresenta la condizione di precarietà del poeta che richiama la figura di
un eroe infelice e sventurato a cui il momento storico negativo non
consente di avere una patria in cui riconoscersi e neppure un nucleo
familiare in cui trovare sicurezza. Il secondo si identifica proprio
nell'immagine della famiglia e soprattutto della madre e questo
rappresenta l'unico punto fermo, l'unica certezza confortante che può
vincere inquietudine angosciosa. Ma questo non è possibile per il
poeta perché l'esilio prende il sopravvento sugli affetti familiari. Questo
rappresenta una sconfitta, che sembra definitiva ed insuperabile. Perciò
l'unica alternativa possibile è il rifugio nella morte (“e prego anch'io nel
tuo porto quiete”).  
Il rapporto di Foscolo con il mondo classico è molto forte soprattutto per
le sue origini. Nella prima strofa del sonetto riecheggia l'inizio del carme
CI di Catullo dedicato al fratello morto, e dello stesso carme è presente
un'altra eco riguardante il “cenere muto” nella seconda strofa, “per
parlare invano con la tua cenere muta”. Altra ripresa dal mondo classico
si trova nella terza strofa, “avversi Numi”, che ricorda Odisseo costretto a
peregrinare senza poter tornare alla casa di cui ha nostalgia, perché è
perseguitato dall' ira di Poseidone. 
Odisseo come immagine per eccellenza dell'eroe esule compare anche
nel sonetto “A Zacinto”, il quale, dopo numerose peregrinazioni per mare
volute dal fato, torna alla sua isola Itaca carico di fama, ma anche
circondato dal fascino che deriva dalle sue sventure. Mentre Odisseo,
eroe classico, positivo, conclude felicemente le proprie peregrinazioni,
Foscolo, eroe romantico, negativo, non può concludere felicemente le
proprie. Questa condizione dell'eroe romantico è la proiezione simbolica
di una condizione di smarrimento, di incertezza, di mancata identificazioni
con un sistema sociale e con i suoi valori. Per questo Foscolo si
rappresenta come un esule, un estraneo nel mondo, condannato a un
perenne vagabondare, alla sconfitta, alla solitudine, all' infelicità. In
questo sonetto, Foscolo si rifà anche al “De rerum natura” di
Lucrezio, quando riprende la figura della dea Venere come forza
fecondatrice, che rende fertile la terra con il suo sorriso, e quando utilizza
il verbo “giacque” che richiama un bambino appena nato che giace sulla
terra come se fosse stato generato da essa. 
La figura di Saffo, è presente nell’ode “All'amica risanata” in cui nella
penultima strofa Foscolo parla della poetessa che, secondo una leggenda,
si gettò in mare dalla rupe di Leucade per amore di Faone, un giovane che
non ricambiava il suo amore. Nell'ode sono presenti numerosissimi
riferimenti classici come le idee Venere, Bellona e Artemide, l'immagine
classica della personificazione dell’astro Venere e le tematiche della
bellezza ristoratrice e della caducità di questa che viene superata con la
poesia. 

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