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Riassunto del Mondo del

principe splendente
Storia dell'Asia
Università degli Studi di Roma La Sapienza
30 pag.

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Storia del Giappone

Capitolo 1:

Nel 784 l’imperatore diede ordine di spostare la capitale da Nara (Heijo) a Nagaoka. Come per Nara, il
modello del nuovo centro doveva essere Chang’an, la capitale cinese. La corte e gli uffici governativi furono
trasferiti a Nagaoka. Tanetsugu della famiglia Fujiwara sovraintese i lavori, ma si guadagnò molti nemici, tra
cui il principe Sawara. Si diffusero delle voci contro Tanetsugu che fu attaccato e ucciso. Si ritenne che i
colpevoli fossero dei membri di famiglie rivali, istigate da Sawara. Così i Fujiwara sfruttarono questo
omicidio per rimuovere dalla scena queste famiglie. Perfino il principe Sawara fu mandato in esilio nell’isola
di Awaji, ma non raggiunse mai la sua destinazione perché fu ucciso durante il viaggio. Successivamente la
famiglia imperiale e i Fujiwara furono colpiti da disgrazie e malattie e attribuirono ciò allo spirito
vendicativo di Sawara. Per placarlo, nell’800 ricevette il titolo di imperatore Sudo. La morte del principe
ebbe un effetto significativo; dopo pochi anni dal trasferimento della capitale a Nagaoka, l’imperatore
ordinò di spostarla nuovamente. La ragione principale dello spostamento fu la superstizione. Nel 794, un
editto imperiale annunciò che la nuova capitale sarebbe stata a Heian Kyo, nota in seguito come Kyoto.
Kyoto rimase la capitale imperiale per più di un millennio. Nell’894 il governo decise di non mandare più
missioni ufficiali in Cina. Questo fu un evento significativo dal momento che per tre secoli inviati erano stati
mandati presso i Sui e i Tang e avevano portato indietro conoscenze governative, economiche, sociali e
culturali. Nell’894 Sugawara no Michizane fu incaricato di recarsi presso i Tang, ma la missione fu
cancellata. Ci sono varie ragioni dietro questa decisione. Michizane era coinvolto in una lotta per il potere
con il clan Fujiwara e temeva di trovare al suo ritorno il suo potere ridotto. C’era poi una ragione più
importante, ossia che il governo sapeva che la dinastia Tang stava per finire e che le missioni sarebbero
state, a questo punto, inutili.
Il primo secolo del periodo Heian è caratterizzato da un prestigio delle istituzioni cinesi, la cultura cinese
rimase importante e la classe dominante mantenne un sistema che si rifaceva a quello straniero. All’inizio
del secondo secolo del periodo Heian le cose cambiarono: da allora in poi il Paese sviluppò delle
caratteristiche indipendenti.
La cultura Heian raggiunse il suo massimo splendore circa 100 anni dopo la fine ufficiale dei rapporti con la
Cina. Questo apogeo corrisponde alla guida di Fujiwara no Michinaga. La figlia e la nipote di Michinaga
furono entrambi consorti imperiali e tra le loro dame c’erano due scrittrici: Murasaki Shikibu e Sei
Shonagon.
Questo periodo d’oro fu seguito da un’era di declino che, secondo alcuni storici, iniziò all’inizio del 10
secolo. Verso la fine dell’11 secolo venne creato un sistema di imperatori in ritiro, chiamato Insei, in cui il
potere era detenuto da un imperatore in ritiro, piuttosto che da un governatore Fujiwara. Era ormai troppo
tardi perché il potere era passato dalle mani della vecchia aristocrazia ad una nuova classe con nuovi valori.
Sotto questa classe di governatori provinciali militari, il Giappone passò dallo splendore di Heian a un
periodo più oscuro. Sono state individuate varie ragioni per il crollo della civiltà Heian: fattori morali come
l’intemperanza della classe dirigente, la mancata osservanza dei principi confuciani, fattori economici come
la crescita di un sistema feudale e l’aumento dell’indipendenza delle province. Comunque la caduta della
civiltà Heian fu provocata da un intersecarsi di fattori.
Il 7 e l’8 secolo furono periodi di “prestiti” per il Giappone. Una missione ufficiale in Cina nel 607 coinvolse
studenti che rimasero nel continente per molti anni e tornati in Giappone aiutarono a modellare il Paese,
per creare uno Stato forte e avanzato. La Grande Riforma del 7 sec fu un tentativo per cambiare un Paese
tribale in uno in cui l’imperatore sarebbe stato l’unico sovrano al di sopra di tutti. All’inizio dell’VIII sec la
prima capitale permanente fu fissata a Nara e qui furono adottati aspetti della cultura cinese. Immigrati e
rifugiati cinesi e coreani aiutarono a costruire una nuova civilizzazione urbana. Infine, il Buddhismo aiutò a

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diffondere questa cultura straniera. Nelle province questo impatto fu meno radicale, ma nella capitale quasi
ogni aspetto era stato preso in prestito dall’estero. La città era una piccola copia di Chang’an,
l’amministrazione era modellata sulla burocrazia Tang, la lingua degli studiosi e degli affari ufficiali era il
cinese, il Buddhismo influenzò l’architettura, la pittura e la scultura. Questo processo continuò anche dopo
il trasferimento a Heian Kyo. Anche se le missioni ufficiali furono interrotte, preti e scolari continuarono a
visitare la Cina. Nel periodo Heian la corte era modellata su quella cinese: il protocollo, la musica, la danza
ecc. Le attività di stato del periodo Heian erano modellate su quelle dei Tang, i documenti ufficiali erano
scritti in cinese o in una forma ibrida sino-giapponese. Però dal IX sec le relazioni con il continente
divennero meno intime e il rapporto con la cultura cinese iniziò a cambiare. Il Giappone decise di adottare
delle forme e di adattarle a elementi indigeni, scartando quelle non congeniali. La Cina rimase un mentore
per il Giappone,ma quest’ultimo stava adattando la cultura cinese ai suoi bisogni, con un approccio
selettivo. La letteratura giapponese del X secolo suggerisce un’influenza cinese meno diretta e al tempo di
Sei Shonagon e Murasaki Shikibu l’emancipazione culturale era andata ancora più avanti. Entrano in uso
termini come Yamato- e (pittura giapponese) e Yamato-damashii (spirito del Giappone), che riflettono un
nuovo spirito di autoconsapevolezza nazionale. Sappiamo che viaggiatori cinesi apprezzavano alcune abilità
giapponesi, come la lavorazione della carta colorata, i materiali per la tintura. Tuttavia erano molto meno
entusiasmati dalla pittura e della poesia giapponese.
Nel campo della politica, dell’economia e della società, la prevalenza di una forte aristocrazia e di una
tradizione di clan avevano aiutato il Giappone ad alienarsi dai sistemi che aveva preso dalla Cina. Erano
nate nuove istituzioni politiche indigene che avevano rimpiazzato la burocrazia in stile cinese. I sistemi di
distribuzione della terra e di tassazione cinesi erano stati abbandonati in favore di un’economia basata su
possedimenti feudali. Anche il Buddhismo aveva preso delle forme diverse dalle sette di tipo cinese del
periodo Nara e si era sviluppato un sincretismo tra il Buddhismo e lo Shinto. Nella pittura, i rotoli emaki
divennero una forma d’arte indigena. Nella letteratura, il kanabungaku, il nuovo tipo di scrittura fonetica,
venne utilizzato per creare dei capolavori. Tra i vari generi, i racconti in prosa raggiunsero il loro massimo
splendore nella Heian Kyo del X sec. é curioso osservare come la letteratura in scrittura fonetica sia a volte
considerata una “scrittura femminile”. Anche se entrambi i sessi utilizzavano il kanabun, la maggior parte
degli uomini rimaneva tanto affascinata dal prestigio della scrittura cinese che preferiva utilizzare un idioma
straniero. Questo rese le donne, escluse dagli studi cinesi, in vantaggio ed è per questo che i più importanti
scrittori dell’epoca furono donne.
Il periodo Heian ha due aspetti contrastanti. Uno l’amore per il colore e lo splendore, racchiuso nella parola
eiga- c’è un’ammirazione per le cerimonie di corte, per le grandi processioni religiose. D’altra parte c’è
anche un aspetto negativo del periodo che viene rappresentato nella letteratura contemporanea. Genji
viene travolto da un aspetto sinistro della realtà, dalla vanità dei piaceri umani. La dottrina buddhista, che
riteneva il mondo un posto di sofferenze universali, era un elemento importante. Specialmente nella
seconda metà del periodo si diffonde l’idea che il mondo stesse per entrare nell’epoca della fine della legge,
nel mappo. Cambiamenti politici e sociali ebbero un ruolo nella diffusione di questa malinconia e
pessimismo. Nella letteratura dell’epoca si può trovare un senso di fine incombente. Questo era legato
all’indebolimento della corte imperiale e il passaggio del potere ai clan militari delle province. Rivolte
sporadiche, pirateria, furti nella capitale erano sintomi di un eventuale rottura. C’era anche la superstizione
con la credenza di spiriti vendicativi, divinità minori adirate. Questo combinato con epidemie, incendi,
tempeste, carestie creò un senso di ansia e pessimismo.

Capitolo 2:
Quando Murasaki nacque negli anni 70 del X sec, le relazioni tra il Giappone e la Cina erano sospese da
quasi 100 anni. Mercanti e preti continuavano a recarsi in Cina, ma non gli ambasciatori. Il regno di Koryo

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mandò delle missioni in Giappone e i mercanti fecero affari, ma gli inviati non venivano ricevuti a corte. A
questo punto il mondo del principe splendente era isolato dal resto del mondo. L’isolamento del Giappone
del X sec è riflesso nella scarsità di stranieri. Heian Kyo ospitava pochi stranieri e il resto del Paese nessuno.
I mercanti e gli scolari che arrivavano dalla Cina erano l’unica finestra verso il mondo esterno. Gli uomini
Heian preferivano considerare il cinese una lingua morta che incontrare persone che la parlavano. Il Genji
Monogatari nomina solo i visitatori coreani nel capitolo iniziale. Anche Sei Shonagon nel suo Note del
guanciale descrive stranieri nella capitale. Genji e i suoi amici non avevano contatto diretto con gli stranieri
ma non avevano neanche interesse a viaggiare all’estero. Avevano a disposizione libri stranieri, ma
mostravano poco interesse per ciò che accadeva al di là del mare. Questo isolamento ebbe però anche un
risultato positivo, in quanto si sviluppò una cultura uniforme e specializzata.
Il Giappone di Murasaki era identico a quello dell’arcipelago di oggi, ad esclusione dell’Hokkaido, che era
abitato dagli aborigeni Ezo. Questi aborigeni abitavano originariamente tutte le isole, ma poi furono spinti a
nord. Alla fine vennero sconfitti dalle forze imperiali e si resero coltivabili nuove terre nelle regioni orientali
e settentrionali dell’isola principale. Queste terre ufficialmente facevano parte dei domini dell’imperatore,
ma solo poche delle potenziali ricchezze andarono alle casse imperiali.
Il Giappone era diviso in 62 province e due isole. Murasaki e il suo circolo erano interessate poco alle terre
distanti da Heian Kyo. Per i colti abitanti di Heian Kyo le province distanti offrivano un solo aspetto
interessante: la bellezza delle campagne giapponesi. La giovane che scrisse Il diario di Sarashina descrive il
Monte Fuji e le meraviglie naturali che vede nel suo viaggio verso la capitale. Tuttavia Murasaki e i suoi
contemporanei preferiscono l’ambiente familiare delle province vicine. La capitale era situata in una bella
zona, circondata in tre parti da colline boscose e montagne. Il paesaggio e il clima giapponese avevano
un’influenza determinante nella letteratura. In Estremo Oriente si è sviluppata l’idea di un’unità della vita,
in opposizione all’idea di dualità tra l’uomo e la natura. La religione indigena giapponese, insieme al
Buddhismo e al Taoismo, diffonde l’idea che l’uomo non debba combattere la natura, ma entrare in
armonia con essa e addirittura subirne gli inconvenienti. Nel periodo Heian, l’idea che l’uomo e il mondo
fossero in opposizione era aliena.
La poesia giapponese fin da tempi antichi era ricca di evocazioni liriche della natura nelle sue varie forme. Il
cuore della poesia era quasi sempre un’immagine naturale che rappresentava l’emozione umana o
l’esperienza. Questa tradizione giunse nella prosa di epoca Heian, specialmente quella scritta da donne.
Non abbiamo mai dubbio sul periodo dell’anno nel Genji Monogatari, poiché Murasaki era affascinata dal
calendario. Sei Shonagon nelle Note del guanciale evoca il fascino delle 4 stagioni.
Questo interesse nelle fasi della natura si riflette anche nelle “battaglie delle stagioni”, competizioni in cui i
partecipanti componevano poesie e usavano riferimenti storici e letterari per celebrare le loro stagioni
preferite. La stagione per eccellenza del Genji Monogatari è l’autunno e non è un caso che le scene più
memorabili siano ambientate proprio nei mesi autunnali.
Il Genji Monogatari ed altre opere contemporanee si interessano quasi esclusivamente alla vita della
capitale e dei suoi dintorni. Per Murasaki solo gli abitanti urbani erano da considerare civilizzati. Heian Kyo
era modellata su Chang’an e fu la capitale per quasi undici secoli. Era un rettangolo di 3 miglia e mezzo da
nord a sud e due miglia e mezzo da est a ovest. Era circondata da un muro di pietra e 18 cancelli
permettevano l’ingresso alle strade principali. La capitale era divisa a intervalli regolari da strade parallele e
da viali che si incrociavano. I viali principali che andavano da est a ovest erano chiamati jo ed erano
numerati dall’1 al 9. Le strade erano molto ampie rispetto alle successive città feudali. Il viale più
impressionante era quello di Suzaku Oji che si estendeva per due miglia e mezzo dal palazzo imperiale,
attraversando il centro della città, fino al Rasho Mon. Le strade principali erano fiancheggiate da alberi e la
letteratura dell’epoca riporta la meravigliosa vista delle processioni imperiali che passavano nel centro della
città. Solo le famiglie più nobili potevano vivere in delle residenze che si affacciavano sui grandi viali. La

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maggior parte viveva in strade strette e le case, eccetto quelle dei nobili, erano vicine, permettendo una
popolazione di quasi 100000 abitanti al tempo di Murasaki. Gli abitanti avevano la responsabilità di tenere
le strade pulite e vi erano delle ispezioni periodiche. Tutte le sezioni della città erano numerate. Il Grande
palazzo imperiale era una piccola città a sé, contenente sia gli edifici del palazzo che gli uffici governativi.
Alcuni edifici, come il Palazzo dell’Amministrazione, si basavano sull’architettura cinese, altri erano in puro
stile giapponese, come la residenza dell’imperatore, il Seiryo Den. Tutto il palazzo era circondato da un
basso muro e c’erano alcuni giardini piuttosto semplici con ghiaia bianca e alberi. Gli appartamenti del
palazzo e i loro abitanti erano a volte chiamati come questi alberi. Il principale giardino imperiale era lo
Shinsen En, che si estendeva per 30 acri e conteneva un grande lago, una fonte, una collina e un padiglione.
L’imperatore e la sua corte, di frequente, visitavano lo Shinsen En per fare banchetti e dedicarsi alla poesia.
La maggior parte delle grandi famiglie aristocratiche possedeva delle residenze principali vicine al grande
palazzo, elemento che costituiva un simbolo di potere. Nel settimo viale si trovava l’area commerciale, con
un totale di otto banchi che vendevano cibo, vestiario e semplici vettovaglie. Ogni mercato aveva un grande
albero di ciliegio presso cui i prigionieri condannati alla fustigazione erano puniti. Sembra però che queste
dimostrazioni fossero piuttosto rare.
La simmetria di Heian Kyo non sopravvisse a lungo a causa di terremoti e incendi che regolarmente
devastavano parti della città. Il piano originale era di creare una città con edifici che si estendevano per
1215 cho, ma sembra che ai tempi di Murasaki meno della metà di quell’area fosse sviluppata. La città si
sviluppò in maniera irregolare fin dall’inizio: la metà a est si estese lungo il suo confine naturale, il fiume
Kamo, mentre la metà a ovest cominciò a decadere. Nonostante Heian Kyo non si sia sviluppata come
previsto,la sua posizione era ideale dal punto di vista della tradizione. Le colline si estendevano a nord,
ovest ed est. A nord-est, la direzione sfortunata, si trovava la montagna di Hiei, dove erano presenti templi
buddhisti e monasteri che difendevano la città da cattive influenze. L’acqua dei fiumi era deviata nei canali
che scorrevano nel centro di molte strade principali e veniva anche utilizzata per i corsi d’acqua artificiali
che si trovavano nei giardini dei nobili.
Il tipo di dimore in cui vivevano Genji e i membri della sua classe era chiamato shinden. Questo stile ai
tempi di Murasaki aveva un carattere giapponese, con tetti di tegole di corteccia spioventi, pilastri tondi in
legno. Poche case avevano più di un piano e il loro insieme era grazioso. La misura standard di una casa
nobiliare e del giardino era di un cho e alcune case erano ancora più ampie. A causa di guerre, incendi e
terremoti siamo stati privati di esempi autentici di case shinden, ma ci sono numerose ricostruzioni.
Tipicamente c’erano degli edifici rettangolari collegati da diversi corridoi, un muro di pietra bianca
circondava il tutto e su tre lati c’erano dei cancelli. Gli eleganti giardini tipicamente possedevano un lago
artificiale con rocce accuratamente ordinate, un’isoletta punteggiata di pini e un paio di colline in
miniatura. Sul terreno era sparpagliata della sabbia bianca sottile che rifletteva la bellezza della luce lunare.
I giardini rappresentavano il fulcro dell’architettura domestica Heian. Le condizioni della capitale erano
perfette per un giardino in stile giapponese: terreno fertile, abbondante rifornimento di rocce, pietre e
ciottoli e i fiumi vicini fornivano riserve d’acqua.
L’edificio principale, alloggio del signore, si affacciava sul giardino Heian. Era affiancato da padiglioni
orientali e occidentali, occupati da amici, consorti secondarie, familiari e bambini. Ogni padiglione nel
complesso shinden era costituito da una grande stanza singola che poteva essere divisa in sezioni. Per i
banchetti, le divisioni nell’edificio principale erano rimosse e si creava così una spaziosa sala. L’edificio a
nord era abitato dalla moglie principale. Dietro l’ala nord si trovavano gli alloggi della servitù, la cucina e i
depositi.
L’arredamento della tipica casa giapponese nel periodo Heain era scarso, i pavimenti di legno erano spogli,
ad eccezione delle stuoie di paglia e dei cuscini su cui le persone sedevano; l’usanza di coprire il pavimento
con il tatami è successiva. Le sedie (goishi) vennero introdotte dalla corte cinese, ma entrarono in uso

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successivamente. La vacuità della stanza era alleggerita da qualche cassa, tavola da go, braciere o altri
oggetti mobili. Al centro degli appartamenti più larghi c’era il chodai, una piattaforma nera coperta da
stuoie di paglia e cuscini e circondata da tende, che fungeva da camera da letto. Il posto per dormire era
tipicamente al centro del chodai, ma ogni parte della stanza poteva essere ripartita da divisori o tende. Il
“letto”(yuka) non era certo comodo: gli aristocratici si stendevano vestiti su una stuoia di paglia e si
coprivano con un copriletto in seta o cotone. Un pezzo d’arredamento spesso descritto nella letteratura
Heian era il kicho, un divisorio portatile con dei pensili decorati. La parte in basso non veniva cucita in modo
che ci si potesse passare gli oggetti da lì. Lo scopo principale di questi divisori era di proteggere le donne
della casa da sguardi indiscreti. Quando le donne ricevevano un visitatore, normalmente si nascondevano
dietro queste tende.
Un aspetto interessante delle abitazioni shinden è il modo in cui gli interni della casa si univano al mondo
esterno. La divisione non era così forte e gli appartamenti erano separati dalle verande aperte da una serie
di imposte che potevano essere rimosse quando faceva caldo. Tuttavia le dimore Heian non era attrezzate
per proteggersi dalle fredde temperature. I bracieri fornivano un po’ di calore, ma avevano poco effetto
nelle larghe stanze e nei lunghi corridoi. Questo ebbe un effetto sul vestiario e le donne si proteggevano
con numerosi strati di vestiti. L’assenza di finestre rendeva le stanze semioscure e le donne in particolare
vivevano nell’oscurità essendo le loro stanze coperte da spessi divisori. Però le case shinden fornivano poca
protezione dal mondo esterno, ma anche all’interno. La parola kaimamiru (l’atto di spiare dalle fessure dei
pannelli) ricorre spesso nella letteratura contemporanea e molte trame si basano su conversazioni
orecchiate o su giovani donne che vengono spiate da gentiluomini.
I trasporti erano difficili all’epoca Heian poiché persino le strade vicino capitale erano poche e durante la
stagione delle piogge si trasformavano in fiumi di fango; in molte province erano praticamente inesistenti.
Viaggiare per mare era scomodo e pericoloso a causa dei frequenti naufragi e della pirateria. Il metodo più
veloce per spostarsi era a cavallo, montati da messaggeri, membri della Guardia Imperiale, gentiluomini che
dovevano sbrigare affari urgenti. Per i decorosi personaggi del mondo di Genji questo non era certo un
mezzo di trasporto appropriato; i membri dell’aristocrazia viaggiavano in delle carrozze trainate da buoi.
C’erano diversi tipi di queste carrozze e ciascuno era appropriato per un certo rango. Nel 999 fu decretato
che nessuno sotto il quinto rango potesse usare una carrozza. Nel periodo Heian queste erano simbolo di
status e le persone sfoggiavano le loro carrozze. La carrozza di tipo cinese era riservata ai membri della
famiglia imperiale e ai maggiori ufficiali come il reggente e il cancelliere.
Un’altra forma di trasporto era il teguruma, una carrozza più piccola trainata da circa 6 uomini,
specialmente nei dintorni del Grande Palazzo Imperiale. Durante le incoronazioni e altre cerimonie
l’imperatore si muoveva sul suo horen, un palanchino decorato, trasportato da 32 uomini e con in cima una
grande fenice dorata.
La difficoltà dei viaggi faceva sì che le persone evitassero di allontanarsi dalla capitale a meno che non
ricevessero ordini o dovessero svolgere altre importanti attività. La vita scorreva lentamente e ciò è riflesso
anche nel Genji Monogatari. La lentezza e la difficoltà dei trasporti ebbe un effetto anche sulla grandezza
del Paese. L’Hokkaido che faceva parte dei domini dell’imperatore non era incluso tra i Sette Circuiti per la
sua distanza. Come risultato della scarsa comunicazione, la cultura continentale che fiorì nella capitale si
diffuse poco nelle province. Gli abitanti della capitale avevano poco interesse per le altre parti del Paese,
ma fu proprio questa mancanza di comunicazione interna che causò la caduta del mondo di Murasaki.
Heian Kyo è scomparsa dalla faccia della terra a causa di incendi, terremoti, ma anche di secoli di guerre. La
guerra Onin nel XV sec distrusse praticamente tutto quello che era rimasto della vecchia capitale. Oggi non
rimane quasi niente delle strutture del periodo Heian a Kyoto. Il più grande edificio dell’epoca è la Sala della
Fenice nel tempio di Byodo, costruito dai Fujiwara nel 1053 e situato a Uji, a sud della città. Tutti gli altri
famosi edifici sono delle ricostruzioni del periodo Tokugawa o Meiji. L’antico palazzo imperiale che oggi le

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persone visitano fu costruito nel 1855 in un sito differente rispetto a quello del palazzo dei tempi di
Murasaki.

Capitolo 3:
A.
Secondo la leggenda la dea del sole avrebbe ordinato al suo erede di fondare la Casa Imperiale del
Giappone. Il principale scopo di questa leggenda è quello di legittimare l’autorità, poiché all’inizio la
famiglia imperiale era solo uno dei tanti potenti gruppi che esercitava un’influenza in diverse parti
dell’arcipelago. Il movimento verso la centralizzazione, che terminò con la Grande Riforma del VII sec,
aveva lo scopo di mettere fine alle rivalità tra clan e di creare una burocrazia centralizzata basata sul
modello cinese. L’imperatore doveva avere potere assoluto sopra la terra e le persone, inclusi i vecchi capi
dei clan. L’apice del potere imperiale corrisponde al regno dell’imperatore Kanmu. La capitale in questo
periodo fu spostata a Heian Kyo. Però anche ai tempi dell’imperatore Kanmu, la sua autorità era ancora ben
lontana dall’essere totale. Durante i regni dei suoi successori ci si allontanò sempre di più dai modelli cinesi.
Questo fu dovuto soprattutto alla debolezza dell’ideazione della Riforma; in altre parole, molte parti della
Riforma non erano adatte al Giappone perché erano state ideate per un Paese molto più sviluppato e
andavano contro le tradizioni dei clan. Con la Riforma le grandi famiglie furono in grado di rafforzare la loro
posizione, sfruttando il nuovo prestigio dell’imperatore e della sua corte. Ai tempi di Murasaki il processo
era avanzato: la Riforma continuava ad essere la legge della terra, la burocrazia era rimasta più o meno
intatta, l’imperatore era ancora visto come la fonte del potere secolare e religioso. Però parte del sistema
era diventata una facciata e il reale processo di amministrazione si svolgeva altrove. Dalla metà del X sec al
sovrano rimasero solo due funzioni: quella sacerdotale e quella culturale. Il sovrano era discendente della
dea del sole e doveva dedicarsi a varie cerimonie religiose. Quando gli imperatori partecipavano agli affari
di stato, il loro ruolo era di dare l’approvazione formale e religiosa agli atti che venivano realizzati in loro
nome. Gli imperatori quindi delegavano i loro poteri ai loro subordinati. La seconda funzione che rimase
alla corte imperiale era quella di fungere da centro della cultura aristocratica. Molti eredi di Kanmu furono
artisti e durante gli anni di guerra civile la corte imperiale svolse un ruolo vitale nel mantenere viva la
cultura tradizionale. Nel periodo Heian la ricca corte promosse non solo le arti tradizionali, come la musica
e la danza,ma incoraggiò anche lo sviluppo di nuove forme che culminarono con il Genji Monogatari e i
grandi rotoli di immagini. Quasi tutte le grandi scrittrici del X e XI secolo erano dame di corte delle
imperatrici. Comunque gli imperatori mancavano di potere politico e abdicavano presto.
B.
L’ascesa dei Fujiwara fu un processo lento e arduo. Il loro fondatore fu una figura principale nella Grande
Riforma e insieme a uno dei principi imperiali fu uno dei capi della cospirazione contro la famiglia Soga. I
suoi discendenti erano determinati a mantenere la loro posizione e nel corso dei 3 secoli successivi si
scontrarono prima contro clan rivali e con il clero buddhista,nel periodo Nara. Fu solo nel X sec che la
famiglia finalmente prevalse su tutti i contendenti. L’anno 967 può essere considerata la data in cui pieno
potere fu trasferito ai Fujiwara. L’oligarchia Fujiwara a questo punto si era stabilita e per circa un secolo
predominarono su tutti. I Fujiwara certamente non ottennero questo potere con la forza fisica, ma
principalmente attraverso la politica. Uno dei metodi utilizzati era quello noto agli storici giapponesi come
“politica matrimoniale”. I leader Fujiwara si assicuravano che le consorti imperiali fossero esclusivamente
scelte tra le donne Fujiwara. Come risultato il capo della loro famiglia era quasi sempre il suocero o il nonno
del sovrano regnante. Ai tempi di Murasaki questo processo di endogamia aveva creato uno stretto legame
tra la famiglia imperiale e i Fujiwara. Il ramo dominante della famiglia Fujiwara si doveva assicurare dunque
di fornire giovani donne, ma nell’XI sec molte donne Fujiwara morirono, si dimostrarono sterili o ebbero

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solo figlie femmine. Salì quindi al trono un imperatore che non era figlio di una Fujiwara che fece i primi
passi verso il superamento dell’egemonia Fujiwara.
Oltre che con la politica matrimoniale, i Fujiwara tenevano gli imperatori in pugno costringendoli ad
abdicare in giovane età, prima che potessero dimostrarsi indipendenti. Come risultato di queste abdicazioni
precoci e della poligamia c’erano numerosi corti imperiali allo stesso tempo: dell’imperatore regnante, degli
imperatori che avevano abdicato, delle varie imperatrici. I Fujiwara inoltre faceva salire al trono gli
imperatori da bambini, in modo che fossero malleabili. In questo modo si poteva nominare un reggente che
aveva mezzi diretti di controllo politico. Il primo imperatore bambino fu Seiwa, che salì al trono nell’858 a
otto anni. Un reggente Fujiwara riuscì a mantenere molti poteri anche dopo il raggiungimento della sua
maggiore età. A 26 anni Seiwa fu costretto ad abdicare dopo aver avuto un figlio con una consorte Fujiwara
e questo figlio divenne un imperatore bambino come il padre. Durante il regno dell’imperatore Koko i
Fujiwara riuscirono a ottenere che i poteri imperiali fossero delegati al capo della loro famiglia anche
quando il sovrano era maggiorenne. L’istituzione della carica di Kanpaku fu un’ulteriore distacco dalla
Grande Riforma e fissò definitivamente l’egemonia politica dei Fujiwara. Per la maggior parte dei due secoli
successivi il Paese fu governato dal suocero o dal nonno del sovrano. Le istituzioni di reggente e di
cancelliere eclissarono altri organi del governo, come il Gran Consiglio di Stato. Ai tempi di Murasaki il
Consiglio Amministrativo dei Fujiwara aveva le reali redini del Paese. Gli ordini del Consiglio Fujiwara
presero addirittura il posto dei Decreti Imperiali. Tuttavia i Fujiwara non tentarono mai di soppiantare la
famiglia regnante e di mettere un loro membro maschio al trono.
Nonostante le loro fragili risorse militari, i Fujiwara a lungo riuscirono a neutralizzare potenziali minacce alla
loro posizione. Attraverso la politica matrimoniale e le abdicazioni i Fujiwara impedivano che imperatori
forti riuscissero a prevalere. Un’altra minaccia era costituita dalle altre famiglie ambiziose e i Fujiwara sin
dall’inizio furono impegnati a rimuovere questi rivali dalla scena. Il più famoso rivale dei Fujiwara fu
Sugawara no Michizane, che alla fine del IX sec era diventato una figura rilevante nel mondo politico ed era
supportato dall’imperatore in ritiro Uda. I Fujiwara, però, riuscirono a convincere l’imperatore che
Michizane stesse complottando contro di lui e un editto imperiale gli affidò la carica di governatore
generale provvisorio nel Kyushu. L’ex imperatore tentò inutilmente di salvarlo, ma nel 901 Michizane si
recò in esilio nell’isola occidentale dove morì due anni dopo. Oltre a rimuovere il dotto dalla scena, i
Fujiwara si assicurarono di sbarazzarsi della sua prole, imprigionando le sue figlie e allontanando i suoi figli.
Dopo la morte di Michizane si verificarono delle catastrofi nella capitale come incendi, siccità e alluvioni e il
capo Fujiwara avversario e il principe ereditario morirono prematuramente. Tutto ciò fu attribuito alla
maledizione dello spirito adirato di Michizane e per placarlo furono bruciati i documenti relativi al suo esilio
e il Ministro stesso, ormai morto da 20 anni, fu promosso. Tutto ciò non bastò e 70 anni dopo Michizane fu
elevato alla carica di Primo Ministro. Venne anche costruito un santuario scintoista nella capitale dove il
suo spirito era venerato come una divinità e si tenevano festival in suo onore.
Un’altra minaccia per i Fujiwara fu l’emergere di clan militari nelle province, ma per 2 secoli li tennero a
bada usando astutamente la forza dei Minamoto. Infine, un pericolo assai grande per i Fujiwara erano le
lotte tra fazioni rivali all’interno del loro enorme clan. Ogni contendente tipicamente voleva rendere sua
figlia consorte imperiale in modo da diventare egli stesso reggente. Un esempio è costituito da Kanemichi e
da suo fratello minore Kaneie che volevano ottenere la carica di cancelliere. Loro sorella, che era
imperatrice madre, decise che l’incarico sarebbe dovuto andare a Kanemichi, in virtù di essere il fratello
maggiore. Nel 973 Kanemichi divenne cancelliere e a questo punto Kaneie si concentrò sulle politiche
matrimoniali, dando in sposa le sue figlie. Kanemichi si ammalò e nominò suo cugino Yoritada come suo
successore alla carica di cancelliere e ridusse suo fratello alla carica di Ministro dell’Amministrazione civile.
La più nota delle faide dei Fujiwara fu quella tra il figlio di Kaneie, Michinaga, e suo nipote Korechika, alla
fine del X sec. Michinaga, con il supporto di sua sorella che era Imperatrice Madre, riuscì a colpire la

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posizione di Korechika a corte e nel 995 ottenne il titolo di Esaminatore Imperiale. Quando l’imperatrice
madre si ammalò, Michinaga accusò Korechika di averle lanciato una maledizione e che egli officiasse dei
riti esoterici che potevano essere svolti solamente dall’imperatore. Korechika si era innamorato di una sua
lontana cugina e venne a sapere di avere come rivale il sovrano in ritiro Kazan, che aveva preso i voti. In
realtà Kazan era innamorato della sorella minore dell’amata di Korechika, ma questi lo venne a sapere
troppo tardi. Quando l’imperatore in ritiro tornò dal suo appuntamento segreto, gli vennero scoccate
contro delle frecce per spaventarlo. Korechika fu quello che subì le conseguenze poiché gli venne assegnata
la temuta carica di Governatore Generale Provvisorio nel Kyushu, il peggior fato per un aristocratico Heian.
A questo punto Michinaga si rese conto che il supporto a Korechika veniva dalla corte di sua sorella,
l’imperatrice Sadako ed egli tentò di indebolirla. Michinaga tentò quindi di far ottenere a sua figlia Akiko il
favore dell’imperatore. Nel 999 Sadako diede alla luce un figlio e l’imperatore la visitò, ma al momento
della sua gravidanza successiva, le trame di Michinaga ebbero effetto. Morì l’anno dopo.
Queste lotte all’interno della famiglia Fujiwara sono lotte per il potere, non lotte di ideologia. I 30 anni in cui
Michinaga ebbe il controllo rappresentano il punto più alto del potere dei Fujiwara. Egli non fu mai
cancelliere e reggente solo per 2 anni, ma grazie alle sue figlie strinse un legame fortissimo con la famiglia
imperiale. Michinaga prese in seguito i voti, ma ciò non segnò la fine della sua carriera politica. Infatti suo
figlio divenne reggente e Michinaga si dedicò ancora di più all’esercizio del potere.
C.
La società Heian era una società basata su una gerarchia e la Grande Riforma non fece niente per cambiare
la sua rigidità. I codici di Riforma e i loro emendamenti introdussero 10 ranghi di corte, a loro volta suddivisi
in più alti e più bassi, così da formare un totale di circa 30 gradi. La principale linea divisoria era tra il Terzo
e il Quarto Rango, poiché i membri dei primi 3 ranghi erano chiamati Kugyo e ricevevano i più importanti
privilegi. C’era un’ulteriore suddivisione tra i membri dal 5 Rango in su e quelli più in basso: i primi
ricevevano le cariche dall’imperatore, i secondi dal Gran Consiglio di Stato e non avevano alcuni privilegi. Il
rango di corte determinava sia il posto al governo sia la ricchezza. Inoltre l’accesso ai ranghi di corte era
deciso esclusivamente dalle proprie connessioni familiari. I membri dell’alta nobiltà era scelti tra i rami
cadetti della famiglia imperiale e dalle grandi famiglie che avevano titoli di clan (kabane) prima della
Riforma. I membri dei primi cinque ranghi potevano mandare i propri figli all’università, ricevevano seta e
tessuto ecc. L’alta nobiltà di corte aveva a disposizione gruppi di famiglie contadine da cui riceveva tutte le
tasse e i debiti che normalmente sarebbero stati pagati al governo centrale. Potevano anche assumere dei
servitori e degli ufficiali alle spese del governo. I membri di tutti i ranghi erano privilegiati nella legge: le loro
sentenze erano più leggere e venivano risparmiati da punizioni umilianti. Erano esentati dal lavoro forzato,
dalla coscrizione, dal tributo in natura. I codici e gli editti imperiali definivano gli standard di vita appropriati
per ogni rango nei minimi dettagli. Il possesso di un rango era necessario affinché una persona venisse
definita yoki hito, letteralmente “brava persona” e praticamente tutti i personaggi del Genji Monogatari e
della letteratura contemporanea erano yoki hito.
Le promozioni dipendevano quasi esclusivamente dalle proprie connessioni familiari e specialmente dopo il
IX sec dai legami con la fazione dominante dei Fujiwara. Il merito non permetteva di entrare nella gerarchia
e migliaia di uomini abili non poterono servire il governo. Gli aristocratici erano quasi tutti imparentati tra di
loro e non erano interessati a nessuno al di fuori della loro cerchia. Il criterio essenziale con cui le persone
venivano giudicate era la nascita.
D.
Il sistema dei ranghi era strettamente connesso agli uffici governativi. Nonostante i giapponesi avessero
preso la struttura amministrativa dalla Cina, si dimenticarono di adottare un sistema di esami che
permettesse di entrare nel governo sulla base del merito intellettuale e non solo della nascita. Come
risultato, all’inizio del periodo Heian molti organi del governo smisero di avere una funzione reale e

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divennero decorazioni. Tutti i possessori di un rango potevano ottenere la corrispondente carica al governo,
ma ciò porto gli uffici ad esseri sovraffollati e molte persone in carica avevano davvero poco da fare.
L’amministrazione spesso si dimostrava inefficiente e in ritardo. L’amministrazione centrale sembrava
concentrarsi più su aspetti sociali e formali che sul senso pratico. Un esempio è costituito dai Funsei
(Junsei?), originariamente incontri tra l’imperatore e i funzionari dal 3 rango in su. Si tenevano nel palazzo
imperiale ed erano devoti a riportare l’attività governativa; dopo aver parlato di affari, gli ufficiali erano
invitati ad un banchetto a corte. Ai tempi di Murasaki questi incontri si erano trasformati in eventi elaborati
che consistevano esclusivamente in banchetti due volte l’anno.
Anche le ore in cui le funzioni governative venivano svolte cambiarono molto nel corso del periodo Heian.
La Grande Riforma fissò l’ora della tigre (circa 4 del mattino) come il periodo in cui gli ufficiali sarebbero
dovuti arrivare in ufficio e l’ora del cavallo (mezzogiorno) come il tempo di congedo. Sappiamo però che dal
X sec buona parte dei lavori governativi veniva svolta di notte e che consisteva soprattutto in cerimonie.
Aumentò anche la corruzione e sempre più cariche governative potevano essere acquistate per ottenere
prestigio, non per lavorare. Questi eventi avrebbero inevitabilmente portato al crollo del governo centrale e
la ragione per cui questo sistema corrotto sopravvisse così a lungo è perché il vero potere amministrativo
era passato nelle mani dei capi Fujiwara, che svolgevano i compiti governativi nei loro organi privati.
E.
La vera base del potere dei Fujiwara era quella economica. Il controllo delle risaie e delle loro entrate era
un fattore primario nel determinare la condizione politica e sociale. Ai tempi di Murasaki il commercio
occupava solo una piccola parte dell’economia, il denaro circolava poco (per poi sparire completamente) e
quasi tutti i pagamenti erano in natura. Erano usati materiali, abiti, strumenti musicali, medicine per
pagare, ma il mezzo di scambio fondamentale rimase comunque il riso. La Grande Riforma si occupò di
ridistribuire il potere economico sia per ridurre l’ineguaglianza sia per sottrarre le ricchezze dello Stato ai
capi dei clan. Tutte le terre divennero di pubblico dominio e venne creato un ingegnoso sistema, su modello
cinese, che assegnava ad ogni cittadino dai 6 anni in su della terra che sarebbe tornata allo Stato al
momento della sua morte. Questo sistema non era destinato a funzionare in un Paese con un’aristocrazia
che aveva una forte tradizione di proprietà privata. Fin dall’inizio molti terreni furono esclusi, vennero
concesse terre in base al rango, i templi ricevettero terre ampie e esenti dalle tasse a tempo indeterminato.
Le nuove terre potevano anche essere reclamate con il permesso del governo e diventarono private,
ereditabili e esenti dalle tasse. Ottenendo queste terre, i membri della classe dominante poterono
accumulare tantissime ricchezze e i Fujiwara possedevano buona parte degli alti ranghi e degli uffici. Ai
tempi di Murasaki la maggiore fonte di ricchezza dei Fujiwara erano le tenute private e Michinaga ne
controllava il maggior numero. Questo fenomeno aveva la sua origine nella concessione di possedimenti
esenti dalle tasse alle istituzioni religiose che provocò un precedente per la proprietà privata e per
l’alienazione della terra dal controllo governativo. Nel periodo Nara ci fu una grande espansione di queste
proprietà private esenti da imposte. Questi possedimenti erano chiamati sho e dal X sec divennero la
principale fonte di guadagno della classe dominante. Il proprietario era di solito un nobile che viveva nella
capitale e che riceveva una parte del raccolto da numerose proprietà. Alla fine del periodo Heian circa l’80%
delle risaie nel Paese erano incluse in questi possedimenti. All’interno di essi c’era un sistema di diritti
(shiki) che dipendeva dalle varie cariche ufficiali nella proprietà. I diritti riguardavano le divisioni del
raccolto, l’utilizzo della terra, l’imposizione di contributi in natura ecc. I diritti potevano anche essere
trasferiti nella gerarchia e un trasferimento verso il basso (onkyu) era il diritto(beneficio) che il proprietario
principale dava a coloro che gestivano e coltivavano la terra. Questo beneficio poteva essere revocato o
aumentato. Kishin si riferisce, invece, a un trasferimento di diritti verso l’alto, in cui il proprietario cede
formalmente i suoi diritti ad una persona o istituzione più forte in cambio di un’immunità fiscale o altre
forme di protezione.

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La maggiore percentuale del raccolto normalmente doveva spettare al Ryoshu, il signore della proprietà in
senso occidentale, e all’Honke, il guardiano legale. Queste posizioni spettavano alle figure politiche più
potenti, ossia i leader della famiglia Fujiwara; fu proprio la ricchezza che accumularono come Ryoshu e
Honke che, investita in altre nuove proprietà, fornì loro la base economica della loro egemonia.
Questo sistema di proprietà andava contro i principi fissati dai loro antenati nella Riforma. Ci furono dei
tentativi sporadici di controllo della diffusione degli shoen che indebolirono solo i proprietari più piccoli.
Nell’XI sec un imperatore non Fujiwara chiese ai Fujiwara di far ispezionare i loro titoli di proprietà, ma ciò
fu respinto dal figlio di Michinaga che affermò che per più di 50 anni avevano fatto gli interessi
dell’imperatore senza occuparsi di documenti simili.
Le donne di classe elevata godevano di una posizione favorevole nel periodo Heian, potendo ereditare o
ricevere diritti nelle proprietà, fornendo loro indipendenza.
La nobiltà di corte sottraendo molte terre al fisco nazionale impoverì il governo centrale così tanto che
questo non era più in grado di affrontare le sfide militari delle province. La povertà dell’erario fece
aumentare la corruzione, che abbassò la qualità dell’amministrazione provinciale. Inoltre la nascita di
queste unità semi-autonome promosse il separatismo locale e infine portò alla caduta del governo centrale
in molte parti del Paese.
F.
Ai tempi di Murasaki circa 5 milioni di persone vivevano in Giappone e circa 1 per cento viveva nella
capitale e di questo un percento un decimo apparteneva alla gerarchia dei ranghi. Questo piccolo gruppo
costituisce la popolazione del mondo del principe splendente. Le scrittrici dell’epoca scrivevano quasi
esclusivamente delle persone d’alto rango della capitale. Queste donne, Murasaki Shikibu, Sei Shonagon
ecc., erano figlie di ufficiali delle province e teoricamente appartenevano alla classe media. Sebbene
potessero ottenere ricchezza e potere locale non potevano invece ottenere alti ranghi. Questi ufficiali
provinciali espansero le loro proprietà grazie all’aiuto delle forze armate e furono fonti d’autorità
nell’ascesa della classe militare.
Taira no Tadatsune apparteneva a un ramo cadetto della famiglia imperiale che si era stabilito nella
penisola di Chiba. Aveva consolidato la sua forza nella sua provincia e nel 1028 decise di espandersi nei
territori vicini. La corte ordinò a due commissari della Polizia Imperiale di agire contro di lui, ma non
riuscirono a sconfiggerlo. La situazione divenne critica e il governo chiamò un membro della famiglia
Minamoto. Colpito dal prestigio dei Minamoto e dalla determinazione del governo, Tadatsune si arrese
senza combattere. Mentre veniva condotto alla capitale morì di una malattia e la sua testa venne tagliata e
mandata a Heian Kyo. Nonostante le province fossero fonte di potere economico, per gli abitanti della
capitale erano posti desolati di cui era preferibile non parlare. Essere nominato governatore di una
provincia lontana era visto come una forma d’esilio. A volte i governatori nominati mandavano dei deputati
al loro posto, mentre loro rimanevano nella capitale e ciò portò ad un declino della qualità
dell’amministrazione provinciale. I provinciali nel Genji Monogatari vengono descritti come dei rozzi arrivisti
che mancano di buon gusto. Le “brave persone” guardavano con disprezzo i militari in parte perché erano
connessi alle province e in parte per un riflesso del disprezzo cinese per i militari. Diventare ministro di
guerra era una disgrazia. I militari appaiono raramente nella letteratura Heian.
I contadini, pescatori e altri tipi di lavoratori costituivano la maggior parte della popolazione ed erano
l’unica classe economicamente produttiva, ma sappiamo davvero poco della loro vita. Dall’inizio del X sec la
distinzione tra uomini liberi e schiavi perse di significato e lo strato più basso delle persone libere aveva
assorbito gli schiavi per formare una classe plebea uniforme. Perlopiù erano contadini che lavoravano i
campi, erano molto tassati e probabilmente per la maggior parte del periodo produssero poco più di quello
che gli bastava per vivere. Erano analfabeti, ignoranti, pieni di paure e superstizioni, lavoravano senza
profitto ed la monotonia era alleviata solo dai festival, dai matrimoni, dalle nascite e dalle morti. Durante le

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cattive annate i contadini a volte fuggivano in altre parti del Paese per trovare condizioni migliori. Queste
fughe avevano un effetto sull’economia e gli ufficiali si impegnavano per impedirle. Dai pochi riferimenti
che fa Murasaki, sappiamo che li vedeva come figure strane e incomprensibili. I membri di gruppi inferiori
erano considerati incapaci di comprendere il cuore delle cose, ossia incapaci di afferrare il vero significato
del pathos. In tutta la letteratura contemporanea vengono visti come membri di una specie diversa. Uno dei
pochi riferimenti alle difficoltà delle classi più povere si trova nelle poesie cinesi di Fujiwara no Tadamichi
che descrive la sofferenza di vecchi venditori di carbone e altri sfortunati. Questo tema non viene da una
onesta compassione, ma dalla lettura delle poesie “sociali” di Po Chu-i, che avendo parlato dei poveri, lo
aveva reso un argomento “rispettabile”.
Leggendo Note del Guanciale o altre opere dell’epoca sembra che il mondo di Genji fosse statico. Tuttavia
c’erano dei cambiamenti anche nell’apparente mondo immobile del Giappone Heian. Dal punto di vista di
Murasaki e del suo gruppo questi cambiamenti di solito erano in peggio. Nel corso della sua vita numerosi
fattori andarono a colpire la struttura dell’aristocrazia, come la debolezza fiscale e militare del governo
centrale, o la fossilizzazione della gerarchia sociale, che alla fine portarono al collasso. Il più grande
fallimento fu l’incapacità del governo di mantenere l’ordine nelle province e anche nella capitale. La Polizia
Imperiale venne creata nel IX sec per via dell’inefficienza dei reggimenti di Guardia, ma ai tempi di Murasaki
anche la polizia era diventata incapace. C’erano poi gli attacchi dei monaci delle montagne che si recavano
in città per ottenere quello che volevano causando incendi e razzie.

Capitolo 4:
Nel Genji Monogatari possiamo scorgere come diverse religioni e superstizioni si siano intrecciate tra di loro
nella mente dei personaggi. Questa unione di credi è una caratteristica giapponese, in quanto per Murasaki
e gli altri abitanti non c’era l’idea che un credo (Buddhismo) precludesse l’aderenza ad un altro
(Shintoismo), o che entrambi fossero incompatibili con l’insieme delle superstizioni che derivavano dalla
tradizione o dal folklore cinese. Il Buddhismo può essere visto per certi aspetti come l’antitesi dello
Shintoismo, ma per la maggior parte della storia del Giappone la relazione tra queste religioni è stata
pacifica. Questo risultato si deve alla natura di entrambe le religioni. Da una parte c’è una forte tendenza
verso il sincretismo nel Buddhismo Mahayana che raggiunse il Giappone. Il Buddhismo non voleva
sopprimere le credenze native del Giappone e trovò il suo posto dichiarando che gli dei nativi erano
personificazioni di divinità buddhiste. La semplicità dello Shintoismo è un’altra ragione dell’assenza di
conflitti. Non aveva fondatori, santi, martiri,gerarchie, rituali elaborati. Era così vaga e amorfa che fu solo
dopo la comparsa del Buddhismo in Giappone che acquisì il nome Shinto (la via delle divinità). Ai tempi di
Murasaki si stava diffondendo un Buddhismo popolare, ma lo Shinto rimaneva la maggiore influenza
religiosa tra i ceti più bassi e i festival shintoisti erano soprattutto legati al raccolto. Il Buddhismo era molto
più importante per l’aristocrazia, ma questa accettava anche le principali nozioni scintoiste. Per esempio la
morte, il parto, le mestruazioni, le ferite erano viste come fonti di impurità. Questo aveva degli effetti sulla
vita quotidiana. L’impurità non riguardava solo la singola persona, ma tutti i membri della famiglia che
venivano considerati “infetti”. La casa quindi non riceveva visitatori e se gli abitanti infetti della casa si
dovevano allontanare indossavano una marca per tenere lontane le persone e proteggerle dall’infezione.
Il confucianesimo aveva raggiunto l’arcipelago più di un secolo prima dei primi sutra buddhisti e lo studio
dei classici confuciani era centrale nell’educazione. L’atteggiamento confuciano verso i morti era molto
diverso rispetto a quello dello shintoismo, ma i due modi di pensare non venivano visti come incompatibili.
L’introduzione del Buddhismo non venne vista come una minaccia dal confucianesimo. Al tempo di
Murasaki l’influenza del Confucianesimo nella vita dell’aristocrazia riguardava principalmente le relazioni
familiari. La solidarietà familiare e l’orgoglio erano importanti fin dai tempi dei clan, ma furono rinforzati
dalle dottrine cinesi che davano importanza al culto degli antenati, alla pietà filiale ecc. Il culto della famiglia

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tradizionale e delle relazioni formalizzate all’interno di essa non si sviluppò del tutto fino al XVII sec. Il
primato dell’unità familiare ha una storia ben più antica. Nel periodo Heian il contesto dell’attività sociale
era sempre la famiglia o la casa (ke) sotto il controllo del patriarca (kacho). È difficile stabilire quanto questo
accento sull’unità familiare derivi dall’influenza confuciana e quanto dall’antica tradizione autoctona. La
continuità familiare era sicuramente un aspetto della dottrina confuciana in quanto la mancanza di
discendenza era vista come un crimine e anche la venerazione degli antenati era di origine cinese. Sembra
che le idee confuciane fossero familiari al circolo di Murasaki e che facessero parte del loro bagaglio
culturale, ma forse non gli davano troppo peso nel modo in cui realmente si comportavano. L’influenza
confuciana era molto forte nel campo dell’istruzione. Imparare si riferiva allo studio dei classici confuciani,
la materia principale dell’Università di Corte, delle scuole provinciali e della maggior parte delle istituzioni
private. All’Università si svolgevano anche cerimonie in onore di Confucio. Però ai tempi di Murasaki gli
studi confuciani erano diventati sterili e per l’aristocrazia Heian erano più importanti le teorie sullo yin e lo
yang e sui cinque elementi.
Ai tempi di Murasaki le istituzioni buddhiste arrivarono ad occupare un ruolo nella vita religiosa,
intellettuale, politica e artistica di Heian. La setta più importante dell’epoca era quella Tendai che aveva un
complesso di templi sul monte Hiei. Diffondeva la dottrina Mahayana della salvezza universale, ossia che la
natura di Buddha risiede in ciascuno di noi e lo scopo della nostra vita deve essere di sviluppare questa
natura finché non ci liberiamo dal ciclo di rinascite grazie allo stato di Buddhità. La scrittura principale della
setta era il Sutra del Loto. La scuola Tendai non rigettava le dottrine di altre scuole o religioni, ma aveva una
natura sincretica. I conflitti che la scuola Tendai aveva con altre istituzioni o all’interno della stessa
dipendevano dalla proprietà e dall’organizzazione, raramente da dispute dottrinali.
L’altra grande setta dei tempi di Murasaki era quella Shingon, altrettanto sincretica. Era una dottrina con
caratteristiche fondamentalmente indiane, come la realizzazione di mandala. I suoi aspetti più importanti
sono segreti e vengono insegnati da maestro ad allievo. Questa natura ermetica degli insegnamenti shingon
ricorda lo Zen, che dà importanza alla comunicazione diretta tra maestro e allievo. Però nel buddhismo zen
il maestro può solo guidare l’allievo verso la comprensione della verità, ma il vero risveglio deve avvenire
all’interno dell’individuo. Lo Shingon è meno rigido e il maestro può comunicare degli insegnamenti che
permettono di raggiungere l’illuminazione. La setta Shingon era anche amante di magnificenti cerimonie e
rituali ed era vicina all’arte e all’apprendimento.
Sebbene la scuola Tendai possa essere considerata come la religione di stato Heian, la sua posizione non
era esclusiva. Anche la scuola Shingon aveva un grande appoggio e c’erano molti membri della famiglia
imperiale e dei Fujiwara al suo interno.
Ai tempi di Murasaki c’era anche altre due sette buddhiste che avevano una certa influenza, ma non
crebbero fino al periodo Kamakura. L’amidismo stava diventando la base del Buddhismo popolare. La base
dell’Amidismo era che gli uomini di quell’epoca decadente non potevano più raggiungere lo stato del
nirvana con una buona condotta. Però c’era ancora speranza grazie alla misericordia di Amida, che da
bodhisattva aveva giurato che non sarebbe entrato nel nirvana prima di salvare ogni essere senziente al
mondo. Per essere salvati bastava chiamare Amida con la formula: Namu Amida Butsu. Dopo la morte si
sarebbe rinati automaticamente nel Paradiso Occidentale. L’Amidismo si rivolgeva soprattutto ai più poveri,
ma anche le “brave persone” ne rimasero affascinate.
Per quanto riguarda il ruolo dello Zen nel periodo Heian, non ne siamo molto sicuri. Si dice che sia stato
introdotto dalla Cina poco dopo la Grande Riforma, ma si svilupperà come una setta separata molti secoli
dopo. Lo Zen era forse poco popolare tra gli aristocratici e per niente tra i popolani. Nel Genji Monogatari
non viene menzionato, ma non dobbiamo pensare che non abbia avuto importanza a Heian. Il fondatore
della setta Tendai aveva studiato lo Zen in Cina e accettato molte delle sue dottrine.

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Il Buddhismo ebbe un successo secolare che rese le sue istituzioni ricche e ben consolidate, specialmente
quelle delle sette Shingon, Tendai e alcune sette Nara. Il Buddhismo aveva il supporto del governo e dei
Fujiwara, gli affari buddhisti erano gestiti dal Ministero dell’Amministrazione Civile e l’imperatore poteva
affidare cariche nella gerarchia ecclesiastica. Solitamente i superiori dei grandi complessi templari erano
principi imperiali e al tempo di Murasaki quasi tutte le alte cariche ecclesiastiche erano affidate ai nobili di
corte. Dalla fine del X sec molte istituzioni Buddhiste divennero abbastanza potenti da guadagnarsi
un’indipendenza. I grandi templi buddhisti erano importanti proprietari terrieri a cui i proprietari minori
affidavano le proprie tenute in cambio di esenzione dalle tasse o altre forme di protezione. Volendo
espandere i propri possedimenti, i templi diventavano spietati e se non riuscivano a realizzare i loro scopi
con la forza politica, mandavano gruppi di monaci guerrieri che attaccavano e distruggevano monasteri
rivali e addirittura occupavano le case dei ministri finché le loro richieste non venivano esaudite.
I templi buddhisti finanziavano la scultura, la pittura, l’architettura e le arti decorative e l’arte ornamentale
di questo periodo era sontuosa e colorata. Le sacre scritture dei sutra venivano realizzate su carta blu con
caratteri oro e argento e le arti plastiche facevano uso di avorio, madre perla, oro, argento e metalli
preziosi.
Per Genji e il suo circolo i templi buddhisti intorno alla capitale offrivano l’opportunità di fare escursioni e
pellegrinaggi per distrarsi. I pellegrinaggi permettevano di ammirare i fiori di ciliegio alle pendici del monte
Hiei o di incontrarsi segretamente. La letteratura contemporanea spiega come i templi fossero pieni di
visitatori, ma che i motivi che li portavano là erano ben lontani dalla fede. Non dobbiamo però pensare che
tutte le “brave persone” fossero insensibili ai suoi aspetti intellettuali e spirituali. Conoscere i contenuti del
sutra del loto e di altri famosi testi sacri era fondamentale per ogni gentiluomo istruito e questa conoscenza
era condivisa anche dalle donne di corte più acculturate. Durante le loro conversazioni a volte
introducevano storie e idee dalle scritture. Studiare e recitare i sutra era il modo migliore per ottenere
meriti spirituali. La maggior parte delle persone era familiare con un aspetto comune a tutte le sette
buddhiste: il senso di transitorietà delle cose mondane (mujokan). L’enfasi sull’impermanenza conduce
all’idea che tutto sia vano e che finché siamo attaccati alle cose di questo mondo, siamo destinati a soffrire.
La prima delle quattro nobili verità del Buddha è che tutta l’esistenza comprende la sofferenza. L’accento
del Buddhismo sull’evanescenza ebbe un impatto sulla letteratura del periodo Heian. I Giapponesi tendono
ad adottare un atteggiamento più rassegnato alla sentenza universale di morte. Nelle prime poesie
giapponesi troviamo delle lamentele per le malattie e la morte, ma ai tempi di Murasaki troviamo già un
atteggiamento tipico, influenzato dal Buddhismo, verso l’evanescenza e l’incertezza della vita. La
preoccupazione per la morte e l’evanescenza è presente anche nel Genji Monogatari. Alcuni critici
sostengono che la morte del marito di Murasaki l’abbia portata a soffermarsi sul tema dell’impermanenza.
Questa preoccupazione non è insolita, in quanto i suoi scritti riflettono il senso buddhista di transitorietà
che era comune per le persone del suo mondo. Genji e i suoi compagni sono stanchi dell’impermanenza del
mondo, vedendo fin dalla giovane età la morte dei loro amici e parenti e coscienti della loro breve
aspettativa di vita. I fiori che spariscono, le foglie che cadono e altre immagini naturali danno loro l’idea
della caducità.
Il Buddhismo Mahayana insiste anche sul carattere illusorio di tutti i fenomeni e la gente del mondo di
Murasaki parla spesso della qualità nebulosa e non reale della loro vita. L’idea che il mondo fisico sia
un’illusione è spesso evocata dall’immagine dei sogni.
Il buddhismo giapponese considerava la condizione umana come triste, ma considerava anche una sfortuna
essere nati a quei tempi. Questa idea si basava sulla credenza Mahayana delle 3 ere successive all’entrata
del Buddha nel Nirvana: quelle della Vera Legge, della Legge Riflessa e della Fine della Legge. Nel terzo
periodo gli insegnamenti del Buddha avrebbero perso il loro potere e il genere umano sarebbe entrato in
un periodo di decadenza. I giapponesi pensavano che la fine della legge sarebbe iniziata nell’XI sec.

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Un’altra idea Buddhista che influenzava le persone del mondo di Murasaki era che il destino dell’individuo
era determinato dalle azioni di questa e delle precedenti incarnazioni. Murasaki credeva che le nostre vite
fossero predeterminate dal karma e ciò si riflette nel suo romanzo. Secondo l’idea del karma, un individuo è
libero di determinare il suo futuro comportandosi moralmente nel presente, però queste azioni sono state
già determinate da quello che ha fatto in passato (anche in incarnazioni passate di cui non ha più il
controllo). Il risultato è quasi sempre un senso di rassegnazione e di impotenza.
Il Buddhismo offre una soluzione: se l’origine della sofferenza universale è il desiderio, e questo è
inseparabile dalla vita normale,allora bisogna abbandonare il mondo transitorio della sofferenza (shaba) e
eliminare il desiderio. Ritirandosi a vita monastica, dedicandosi alla preghiera, alla meditazione e a pratiche
mistiche si perde gradualmente l’abitudine di desiderare, la sofferenza del mondo transitorio non ci
tormenta più e ci si può liberare dalla catena di causalità. Molti personaggi di Murasaki sono sinceri quando
parlano di abbandonare il mondo del desiderio e ritirarsi a vita monastica.
Anche se era normale esprimere invidia per coloro che erano riusciti a abbandonare il mondo, pochi
membri dell’aristocrazia Heian si facevano illusioni sulla dura vita che li attendeva nei monasteri. È anche
vero che spesso la linea che separava il mondo dal convento era confusionaria. C’erano molti vantaggi
pratici nel ritirarsi in monastero e poche restrizioni.
La rinuncia buddhista era molto di più di rinunciare ai piaceri dei sensi: riguardava distaccarsi
completamente dalle persone amate.
Uno degli aspetti del Buddhismo che influenzava il pensiero del periodo Heian era il suo atteggiamento nei
confronti delle donne. I sutra danno loro uno status spirituale inferiore. Il Sutra del Loto dice che nel
Paradiso Occidentale le donne che si affidano ad Amida rinasceranno come uomini. Gli uomini e le donne
del mondo di Murasaki erano consci dell’innata differenza spirituale tra i sessi e l’accettavano.
Anche il divieto buddhista della violenza ebbe un effetto sui costumi Heian. Le punizioni erano piuttosto
miti e si preferiva l’esilio all’esecuzione. L’aristocrazia disprezzava la guerra e scoraggiava le persone a
cacciare e mangiare carne. La violenza era comunque frequente.

Capitolo 5:
Per occuparsi dei dettagli pratici della vita, le persone di epoca Heian si affidavano di più alla superstizione
che alla religione. In Giappone la linea divisoria è sottile, specialmente perché molte superstizioni erano in
origine associate allo Shinto, al Confucianesimo, al Taoismo e al Buddhismo. C’era un’ampia gamma di credi
popolari che avevano proliferato per molti anni e si erano anche intrecciati tra di loro. Alcuni presentavano
il carattere sciamanico della religione nativa, ma la maggior parte non erano legati ad un credo in
particolare. Un altro corpo di credenze aveva origine in Cina. Il Giappone aveva importato con il
confucianesimo anche la tradizione che si basava sul dualismo yin-yang e i cinque elementi. Uno degli uffici
più importanti del Ministero degli Affari Centrali era l’Ufficio dei Presagi (della Divinazione), che si occupava
dei calcoli astronomici, del calendario, della distinzione tra buoni e cattivi presagi e attività simili. I maestri
di Yin-Yang aiutavano con la geomanzia (feng-shui), l’astrologia e la divinazione.
Un caso interessante di fusione culturale si trova nell’idea di tabù direzionali (kataimi), dove l’enfasi Shinto
sull’astinenza (imi) riappare nel concetto yin-yang di direzioni fortunate e sfortunate. Questi tabù possono
essere divisi in 3 gruppi. In primis abbiamo la direzione universalmente sfortunata del nord-est, dove venne
costruito il monastero Tendai sul monte Hiei per proteggere la capitale. Il secondo tipo era sempre
sfortunato durante specifici periodi della vita. Ad esempio a 16 anni si deve evitare il nord-ovest. Il tipo
finale era universalmente, ma temporaneamente, sfortunato per la posizione di certe divinità in
movimento. Quando una divinità si fermava in una certa direzione, quel settore era considerato “chiuso”. Si
poteva aggirare un tabù direzionale cambiando direzione (katatagae). I tabù direzionali non furono

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osservati dalla gente comune fino al XV sec, ma la letteratura Heian ci fa capire quanto fossero importanti
per la nobiltà.
I tabù derivavano anche dal ciclo sessagesimale/sessantennale, che era la base della divinazione nel sistema
yin-yang. La divinazione del calendario era una delle principali funzioni dei maestri di Yin-Yang ed era presa
sul serio dal governo e anche dagli aristocratici. I maestri di Yin-Yang usavano il ciclo sessagesimale per
fissare dei giorni tabù in cui era necessario stare a casa e astenersi da tutte le attività. Ogni 60 giorni si
consigliava alle persone di rimanere svegli tutta la notte per non essere uccisi nel sonno da poteri malefici.
Tutte le scelte quotidiane venivano fatte in base al ciclo sessagesimale e persino gli affari di stato erano
rimandati per superstizione.
C’erano poi altri tabù legati a varie fonti, come il potersi lavare solo ogni 5 giorni e solo se il giorno era di
buon auspicio. Gli indovini basavano le loro asserzioni sul moto dei pianeti, sui presagi e sui sogni. Ogni
strano fenomeno nel cielo era riportato all’Ufficio della Divinazione. I sogni erano considerati come serie
guide per il futuro, specialmente quando chi li faceva era importante.
Tra le varie credenze: la vicinanza ai crisantemi aiuta ad allungare la vita, si può vedere un “fuoco umano”
che esce dal corpo di qualcuno che sta per morire, per fare bei sogni bisogna andare a dormire con i vestiti
al contrario. Per maledire un nemico, bisognava seppellire un’immagine di carta (katashiro) di esso e
recitare formule segrete e preghiere. Questo poteva portare a malattie o alla morte della vittima. Per
liberarsi da questa maledizione bisognava chiamare un maestro di Yin-Yang. Questo portava la vittima in un
fiume e la strofinava con un’immagine di carta purificata con il misogi. Trasferito il male sulla carta,
l’immagine veniva gettata in acqua.
Il mondo di Heian era popolato da demoni, spiriti e altre creature soprannaturali. Tra i tipi visibili c’erano i
tengu, orribili abitanti delle foreste e delle colline dalla faccia rossa con nasi di lunghezza spropositata e ali.
Le volpi erano associate al soprannaturale e potevano stregare le persone, lanciargli malefici o prendere le
fattezze umane. Una delle più famose storie di fantasmi, il demone di Rashomon, risale al X secolo. Nel 974
molte persone nella capitale scomparvero misteriosamente e questo fu attribuito al potere di un fantasma
che infestava la zona del Rashomon a sud della città. I tentativi di sconfiggere la creatura fallirono, ma un
giovane di nome Watanabe no Tsuna decise di compiere il lavoro. Passò delle notti presso il cancello di
Rasho, ma non c’era traccia del demone. Una notte incontrò una bella ragazza che camminava da sola sotto
la pioggia. Lei gli parla e lo invita a casa sua. Tsuna si lascia travolgere dal suo fascino, ma lungo il tragitto
Tsuna coglie la ragazza nell’atto di trasformarsi nel demone. Tsuna tira fuori la sua spada, Higekiri, e le
taglia un braccio. La creatura si lancia in cielo e Tsuna torna a casa con il braccio e lo nasconde. Un giorno
un’anziana visita Tsuna e gli dice di essere stata la sua nutrice. Tsuna rivela alla donna del suo incontro con
il demone e le fa vedere il braccio. L’anziana si trasforma nel demone e si riprende il braccio e sparisce nel
cielo per sempre.
Oltre alle creature visibili c’erano una miriade di spiriti e demoni invisibili che portavano sfortuna. Le
persone cercavano di tenerle lontane dalle loro case con incantesimi. Gli spiriti dei morti insoddisfatti
tormentavano la gente causando malattie, morte e disastri. Anche i vivi potevano assumere una esistenza
secondaria sottoforma di spiriti invisibili per attaccare i nemici. In questi casi la persona stessa non era
conscia di quello che il proprio spirito stava facendo.
In tutte le società pre-scientifiche le malattie e la morte erano legate alla superstizione. La medicina ai
tempi di Murasaki seguiva due approcci che, anche se diversi, non erano considerati incompatibili. Il primo
approccio derivava dalla Cina e si basava sul sistema dualistico yin-yang interpretato dal Taoismo. Lo studio
della medicina cinese iniziò nel VII sec e venne creata una facoltà di medicina nell’Università con la Grande
Riforma. Venne anche creato un Ufficio di Medicina che si occupava di malattie e epidemie. I dottori legati
all’ufficio curavano solo dal 5 rango in su. La base della salute fisica era considerata l’armonia tra lo yin e lo
yang. Il processo di invecchiamento era associato allo yin e per guarire le malattie legate all’età si doveva

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ripristinare l’equilibrio. Ogni organo era associato a uno dei 5 elementi, ad una stagione, a un colore, a un
sapore. Gli squilibri pericolosi di yin e yang erano il risultato della mancanza di concordanza tra elementi,
stagioni e azioni umane. Dopo aver determinato la natura della malattia, il medico faceva riferimento alla
tavola sessagesimale e sceglieva il giorno adatto per iniziare la cura. Si trattava soprattutto di agopuntura e
di moxibustione. L’agopuntura consisteva in inserire aghi in punti strategici del corpo dove i dodici canali
emergevano in superficie. Questi canali era posizionati a destra e a sinistra, 6 per lo yin e 6 per lo yang ed
erano legati ad un organo principale. La moxibustione consisteva nell’applicare foglie in polvere sulla parte
del corpo corrispondente all’organo affetto e bruciarle fino a quando non si sarebbe raggiunta la pelle. Le
erbe medicinali derivavano dalla tradizione taoista o dalla tabella yin-yang delle corrispondenze.
Il secondo approccio alla malattia si basava sulla credenza in spiriti malvagi e possessioni. Questo ha un
carattere piuttosto moderno in quanto si riconosceva che fattori mentali o spirituali potevano avere un
effetto sulla salute fisica. Le persone soccombevano più facilmente alle cattive influenze quando la loro
resistenza spirituale era bassa. I metodi di cura si basavano su superstizioni sciamaniche primitive. Quando
un esorcista individuava una possessione, recitava delle formule per trasferire lo spirito malvagio nel
medium sciamanico, solitamente una giovane donna. Se il trasferimento aveva avuto successo, lo spirito si
palesava e l’esorcista lo tirava fuori dal medium. Le possessioni e gli esorcismi erano eventi drammatici. Era
normale che gli esorcisti fossero membri del clero buddhista, anche se la possessione non fa parte della
dottrina buddhista. Ci si aspetterebbe quindi l’intervento di preti shintoisti, ma le dottrine non erano viste
come in contrasto e anzi si mischiavano.

Capitolo 6:
La letteratura ci fornisce molte immagini di vita quotidiana degli aristocratici giapponesi del X e dell’XI sec.
Leggendo il Genji Monogatari o le Note del guanciale, difficilmente indovineremmo che gli uomini descritti
sono spesso dei leader politici che dedicano gran parte del loro tempo agli intrighi politici tanto quanto a
quelli amorosi. Una delle ragioni è che molti degli scrittori di queste opere popolari erano donne che
avevano poca conoscenza della politica, essendone escluse. Scrittrici come Murasaki minimizzano la vita
pubblica dei loro personaggi maschili, ma da altre fonti sappiamo anche che molti di coloro che facevano
parte della gerarchia amministrativa Heian erano disinteressati alle loro responsabilità ufficiali e passavano
il tempo a comporre poesie in cinese o partecipando a cerimonie. Erano ancora meno preparati per
amministrare le loro proprietà nelle province e quando i gentiluomini si allontanavano dalla capitale alla
volta delle campagne, non era per ispezionare le loro tenute, ma per comporre poesie o per incontrarsi
segretamente al tempio. Nei dipartimenti governativi l’eccedenza di personale, le formalità ecc. fecero sì
che tutti gli ufficiali prima o poi si annoiassero e si dedicassero a interessi futili. Gli uomini del Genji
Monogatari rimpiangono le ore che devono passare in ufficio, lontani dalle attività che gli interessano.
L’ideale di bellezza maschile dell’epoca era un viso bianco e paffuto, bocca piccola, occhi stretti e un ciuffo
di barba sulla punta del mento. Questo, tranne la barba, era lo stesso ideale di bellezza per le donne. Gli
aristocratici Heian si incipriavano il volto e usavano profumi per i capelli e i vestiti. La tecnica di mescolare
profumi era molto sviluppata in un’epoca in cui poche persone si lavavano attentamente e i vestiti erano
difficili da pulire. I personaggi di Murasaki mostrano anche le loro emozioni più tenere e le lacrime
mostravano che un uomo fosse sensibile alla bellezza e al pathos della vita. Gli aristocratici Heian piangono
per la separazione dalla loro amata, per la vista di una bella alba, per il pensiero della solitudine di qualcun
altro. Il ritratto dei gentiluomini Heian nel Genji Monogatari è ovviamente idealizzato e rappresenta l’uomo
ideale, piuttosto che gli uomini che Murasaki incontrava a corte. C’erano anche uomini che lavoravano sodo
nei loro uffici e che usavano profumi e ciprie sbrigativamente.
Si parla poco del cibo nella letteratura popolare e per niente nelle scritture in stile cinese. Era considerato
un argomento volgare. Come in Cina, il riso era la pietanza principale e la varietà era riservata

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all’aristocrazia. C’erano vari piatti di riso tra cui alcuni (come i mochi) sono ancora attuali. Tra i cibi che
accompagnavano il riso c’erano le alghe e i tuberi. I frutti e le noci venivano utilizzati per preparare le torte,
ma non si usava lo zucchero. Il ghiaccio veniva conservato in stanze speciali e nei mesi caldi i ricchi si
godevano sorbetti fatti di ghiaccio tritato e sciroppo di liana. Il pesce era bollito, cotto o sottaceto, ma nella
capitale all’inizio non si mangiava crudo e i frutti di mare erano popolari. La carne era normalmente esclusa
per l’influenza buddhista. La cucina Heian era poco influenzata da quella cinese e si dava molta attenzione
alla presentazione dei piatti. I piatti non erano vari e mancavano di valori nutrizionali. Le bevande non
alcoliche erano limitate all’acqua e poco altro. Il latte non veniva consumato e il tè venne introdotto nel IX
secolo dal fondatore della setta Tendai, ma ai tempi di Murasaki veniva usato per scopi medicinali. Nel X sec
la principale bevanda giapponese era il vino di riso. Le feste alcoliche erano popolari e gli aristocratici si
divertivano a bere. C’erano anche numerosi giochi alcolici dove i perdenti dovevano bere il “bicchiere della
sconfitta” (basshu). Una forma di intrattenimento tra gli ufficiali erano festini alcolici in cui coloro che erano
stati promossi dovevano bere tanto sakè quanto potevano. Anche le donne si dedicavano ai piaceri
dell’alcol.
Le “brave persone” avevano due pasti principali, uno alle dieci del mattino e uno alle 4 del pomeriggio.
C’era anche l’abitudine di fare qualche spuntino. Gli orari dei pasti e del sonno non erano rigidi ad Heian e
tenere traccia del tempo era dura. Poche persone conoscevano l’esatta ora del giorno.
Le classi agiate avevano una ricca varietà di giochi in cui le persone potevano mostrare le loro abilità e che
offriva alle donne un’occasione per passare il tempo. Il Go era stato introdotto dalla Cina nel periodo Nara
ed era molto popolare tra gli aristocratici. Il vero gioco d’azzardo dell’epoca era il sugoroku che veniva
periodicamente bandito. Un semplice gioco coi dadi era chiamato chobami. Tra le donne era popolare il
gioco del rango che consisteva nel tenere in equilibrio più pietre da go possibile su un dito.
Una grande categoria di giochi riguardava i paragoni (awase). Ai tempi di Murasaki le comparazioni erano
spesso dedite alla produzione, ad esempio di ventagli, dipinti e poesie. Le gare di poesia erano vere e
proprie battaglie in cui un poeta poteva farsi o rovinarsi la reputazione. Gli argomenti erano rivelati
settimane prima e addirittura prima dell’annuncio i giocatori preparavano versi su argomenti plausibili.
Durante la gara i versi delle due parti erano recitate in coppia da lettori ufficiali e riportati per i posteri.
Anche il verdetto del giudice era registrato. Un altro tipo di gara poetica era l’ensho-awase in cui c’erano
due squadre, una di uomini e una di donne e ogni giocatore doveva recitare una poesia d’amore per un
membro della squadra avversaria che doveva poi produrre una risposta usando lo stesso sentimento.
Il passatempo all’aperto più popolare per gli aristocratici Heian era una forma di calcio nota come kemari. I
giocatori si disponevano in cerchio e calciavano una palla in pelle tra di loro evitando di farle toccare il
terreno. Il kemari divenne un’arte.
La letteratura del tempo descrive anche gare di tiro con l’arco. Erano popolari soprattutto tra i membri delle
Guardie. Anche il tiro con l’arco divenne una forma di gioco d’azzardo. Le corse di cavalli e un tipo di polo
noto come dakyu era altri passatempi delle Guardie. La caccia era osteggiata dal Buddhismo, ma alcuni
imperatori apprezzavano lo sport.
Gli aristocratici amavano guardare le lotte di sumo, le corse di cavalli e il tiro con l’arco. Uno sport crudele
era il combattimento tra galli, una popolare forma di gioco d’azzardo.
Le donne uscivano più raramente e avevano meno passatempi all’aperto. Sappiamo che amavano guardare
le gare di barca chiamate funakurabe e in inverno si divertivano a far rotolare le palle di neve
(yukikorogashi).
L’anno era ricco di festival e cerimonie che coinvolgevano l’aristocrazia. Senza questi eventi la vita per loro,
e soprattutto per le donne, sarebbe stata monotona. Queste osservanze soddisfacevano il gusto dell’epoca
per i colori e lo splendore. Tra le varie cerimonie ve ne erano per la scelta di una nuova concubina
imperiale, per la nascita, per il raggiungimento della maggiore età dei ragazzi (Gempuku) e delle ragazze

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(Mogi) e per i funerali. Queste Osservanze Annuali avevano varie origini. Alcune vennero prese dalla corte
cinese, altre derivavano dai festival popolari o da celebrazioni locali, altre erano religiose.
Alcuni esempi: tra i festival c’è il festival di Kamo, durante il quale i templi, gli edifici del Palazzo, le case e le
carrozze erano decorati con la malva rosa e anche i partecipanti indossavano ghirlande di malvarosa e vi ci
decoravano i vestiti. In mattinata venivano eseguite delle danze a Palazzo e nel pomeriggio si teneva una
processione di Guardie, che fungevano da inviati imperiali. La processione giungeva fino al santuario di
Kamo inferiore. Gli inviati quindi offrivano i doni del sovrano agli dei e si tenevano delle cerimonie di
purificazione e di ringraziamento scintoiste. La processione poi scortava la Grande Vestale lungo le sponde
del fiume Kamo. Raggiunto il santuario di Kamo superiore i celebranti svolgevano altri rituali in sua
presenza tra cui delle danze sacre.
La vita familiare era estremamente formale, non solo nel Palazzo Imperiale, ma anche nelle abitazioni
private. L’unità familiare era importante a Heian, ma non c’era piacere conviviale. I membri della famiglia di
Genji vivono separati tra di loro e si incontrano duranti i festival o per prendere parte ad attività formali.
Comunicano tra di loro con note o poesie o con messaggi che Genji riferisce durante i suoi giri per gli
appartamenti.
Un altro aspetto della vita della classe dominante Heian è la sua natura circoscritta e opprimente. Si tratta
di una vita al chiuso, soprattutto per le donne, che raramente si allontanano dalla penombra dei loro
divisori. Ma anche gli uomini tendono a passare la maggior parte del tempo nei palazzi e nelle case della
città. I loro interessi sono piuttosto limitati e Genji e la sua cerchia non si preoccupano del mondo fuori dal
Giappone. Sono interessati alla cultura cinese, ma non al continente. Questa indifferenza riguarda il loro
stesso Paese, se non per la piccola parte occupata dalle province vicine. Sono disinteressati ai problemi
astratti e pur aderendo al buddhismo raramente si fanno domande sull’esistenza umana o l’origine del
male. Guardano al passato come antico e non si interessano al futuro. Si preoccupano principalmente di
godersi il presente.
Note del guanciale dipinge un mondo in cui tutti si interessano degli affari degli altri, specialmente quelli
amorosi. Le conversazioni e le lettere dell’aristocrazia sono piene di allusioni, di riferimenti a incidenti
passati, di nomignoli incomprensibili per gli esterni alla loro cerchia. L’assenza di una reale privacy e
l’eccessivo tempo libero stimolava il gossip soprattutto tra le donne.

Capitolo 7:
Quello che rende interessante questo mondo è il ruolo centrale dello stile e dell’arte nelle vite dei suoi
abitanti. Heian Kyo ai tempi di Murasaki aveva raggiunto un alto livello culturale, considerando che 4 secoli
prima il Paese era in uno stato primitivo. Questa elevata cultura era ovviamente disponibile per un piccolo
gruppo di persone. Genji e i suoi amici sono critici e si dedicano spesso ai giudizi (sadame). A volte
scambiano delle osservazioni critiche sui diversi tipi di donne, ma più spesso gli oggetti delle loro discussioni
sono dipinti, libri, stili di musica. Anche le donne si dedicavano al giudizio di libri o di rotoli di immagini.
Sebbene siano sopravvissuti pochi edifici della capitale dei tempi di Murasaki, abbiamo vari esempi di arte
decorativa usata nella loro vita quotidiana. Sappiamo che l’aristocrazia Heian aveva degli alti standard nella
scelta delle decorazioni e dell’arredamento. Solitamente gli oggetti più impressionanti nelle stanze poco
ammobiliate erano i paraventi dipinti, ma anche altri oggetti come specchi, pennelli da scrittura, strumenti
musicali ecc. erano opere d’arte a sé. L’estetica di una carrozza o di una barca era tanto importante quanto
la sua abilità di fungere da mezzo di trasporto.
Probabilmente quest’arte non avrebbe impressionato un colto viaggiatore dalla Cina, ma egli sarebbe
rimasto affascinato dal livello di apprendimento e istruzione. I classici cinesi avevano un ruolo
importantissimo nell’istruzione Heian. Però il X sec vide un crollo drastico del prestigio dell’istruzione
ufficiale e anche un declino nel livello accademico. Questo declino nello status degli studi universitari fu uno

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dei modi più significativi in cui il Giappone di Murasaki si distaccò dal modello cinese. Una delle ragioni di
questo declino era politica: quando buona parte delle cariche era riservata a un singolo ramo di una
famiglia particolare, buona parte degli incentivi per il successo accademico spariva. Un secondo fattore era
la specializzazione in certe materie di alcune famiglie. Per mantenere le loro tradizioni, molte famiglie
prominenti crearono accademie private per istruire i propri figli e queste istituzioni andarono a soppiantare
la pubblica istruzione per buona parte dell’aristocrazia. A causa della rigida specializzazione e il piccolo
numero di studenti, l’istruzione nelle scuole private era meno spontanea e creativa rispetto a quella fornita
dal governo. C’erano tante altre ragioni per il declino dell’erudizione al tempo di Murasaki. La mancanza di
stimoli dal continente fin dalla rottura dei rapporti ufficiali con la Cina era sicuramente un fattore. La lingua
cinese per molti giovani studenti Heian era statica e morta.
Ai tempi di Murasaki l’apprendimento era perlopiù di classici cinesi e questo era riservato ad un’esigua
parte della popolazione. L’ammissione alle università e alle accademie era quasi sempre determinata dalla
nascita più che dal talento e le donne erano escluse indipendentemente dalle loro qualifiche.
Sebbene molte persone di classe elevata avessero poco interesse nell’apprendimento, erano invece
interessate a forme di cultura non accademiche. Ogni aristocratico era un esecutore amatoriale di una o più
arti. Tra le arti la poesia era fondamentale e la composizione, gli scambi e le citazioni di poesie erano
centrali nella vita quotidiana degli aristocratici Heian. Il Genji Monogatari stesso contiene circa 800 poesie
originali e innumerevoli citazioni. La maggior parte dei versi che è giunta fino a noi era di natura formale o
pubblica, come quelli scritti per le gare poetiche. C’è anche una categoria di versi più privati e effimeri
scambiati in lettere o conversazioni.
Era una poesia di tipo sociale. Se si falliva nel comporre una poesia appropriata in molti casi diventava un
grave problema sociale. Quando si riceveva una poesia, era necessario mandare una risposta,
preferibilmente usando la stessa simbologia. La vita degli aristocratici Heian era costellata da poesie e
nessun evento importante era completo senza di esse. Alla nascita venivano composti versi di
congratulazioni, gli scambi poetici erano una parte centrale delle cerimonie di corteggiamento formali e
quando la morte si avvicinava il gentiluomo Heian componeva una poesia d’addio. Ovviamente la poesia
non era limitata a queste occasioni formali. L’abilità nella poesia spesso era il modo migliore per
guadagnarsi il favore di una donna o ottenere una promozione. Buona parte di questa poesia “sociale” era
banale. Il vocabolario poetico era limitato e le produzioni erano talmente tante che non dobbiamo
aspettarci una grande quantità di lavori originali. Ovviamente le poesie che sono giunte a noi sono quelle di
qualità al di sopra del normale.
Tanto importante quanto comporre poesie era l’abilità di fare e riconoscere citazioni da poesie cinesi e
giapponesi. Il linguaggio dell’aristocrazia era pieno di accenni e allusioni e si preferiva rimanere più oscuri
che espliciti. Più sottilmente si poteva fare un’allusione, più il prestigio cresceva.
Un’altra arte importante era la calligrafia. Una buona mano era un grande contrassegno di una “brava
persona” e veniva quasi considerata come una virtù morale. Si credeva che il modo in cui una persona
maneggiava il suo pennello fosse un miglior modo per comprendere la sua sensibilità e il suo carattere
rispetto a quello che diceva o scriveva. Avere una cattiva mano era tanto grave quanto non saper scrivere
poesie. La calligrafia era considerata lo specchio dell’anima e aspettavano con trepidazione la prima lettera
di un potenziale amante.
Una forma popolare di dipinti consisteva in disegni di donne (onnae) e di uomini (otokoe). Tra gli altri tipi di
disegni amatoriali ai tempi di Murasaki c’erano le illustrazioni di libri, di diari, di soshi (come Note del
Guanciale) e di storie d’amore. Quest’arte raggiunse il suo apice nel XII sec e culminò con i grandi rotoli
colorati, in particolare i rotoli dipinti del Genji Monogatari. Gli artisti decoravano anche i paraventi e le
porte scorrevoli con illustrazioni delle poesie, accompagnate da testi scritti con una bellissima calligrafia.

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In una società che dava grande valore alla calligrafia e alla poesia, una forma di comunicazione quotidiana
che le combinava era destinata ad essere importante. Questa era la scrittura di lettere che veniva
considerata come una forma d’arte a sé. La vita quotidiana dell’aristocrazia offriva moltissime occasioni per
scrivere note e lettere e l’arte della corrispondenza poteva accrescere o rovinare la reputazione di
qualcuno. C’erano diverse convenzioni artistiche che accompagnavano la preparazione e la spedizione della
lettera. In primis bisogna scegliere la carta del giusto spessore, misura e colore che meglio si adattasse al
sentimento che si voleva trasmettere e anche alla stagione dell’anno. La calligrafia ovviamente era
importante tanto quanto il messaggio stesso. Il nucleo del testo era solitamente una poesia di 31 sillabe la
cui immagine centrale era un’immagine naturale che simboleggiava delicatamente l’occasione. La lettera
poi veniva piegata in uno stile accettabile. Bisognava poi scegliere il ramo a cui attaccare la lettera, scelta
che dipendeva dallo stato d’animo dominate nella lettera e dal colore della carta. Lo scrittore poi chiamava
un messaggero e gli da le istruzioni per consegnare la lettera.
La musica giocava un ruolo molto importante nella vita di tutti e quasi tutti i nobili sapevano suonare il
flauto o uno dei numerosi tipi di cetra che erano stati introdotti dalla Cina. A parte gli eventi musicali
formali, sappiamo anche di concerti improvvisati nelle case private della capitale e a volte anche all’aria
aperta. Sembra che Murasaki ne sapesse molto della storia della musica e degli stili di performance. I suoi
personaggi discutono degli stili musicali. C’era anche una ricca varietà di danze, spesso di origine straniera
(cinese, coreana o anche indiana). C’erano poi le danze popolari e provinciali che erano state adattate per
esibizioni in una società raffinata. Altre danze erano associate allo Shinto, come la danza kagura eseguita
durante il festival di Kamo. C’erano le danze Gosechi che venivano eseguite da giovani ragazze di buona
famiglia specialmente selezionate. Queste danze dovevano commemorare l’occasione in cui l’imperatore
Temmu, mentre suonava la cetra, venne raggiunto da un gruppo di fanciulle celesti che danzarono davanti
a lui. Quasi tutte le occasioni cerimoniali e molti incontri informali prevedevano esibizioni di danza.
Nel mondo di Heian Kyo l’arte dei profumi aveva un’importanza straordinaria e la miscelazione delle
fragranze aveva le sue scuole e i suoi appassionati. L’esatto metodo per preparare una fragranza era
protetto come un segreto e le gare di profumi erano popolari.
Il periodo di Murasaki è ricordato per l’importanza del culto della bellezza. La “regola del gusto” non
riguardava solo le arti formali, ma quasi ogni aspetto della vita delle classi superiori. Questo estetismo
riguardava anche le attività del governo, dove ci si aspettava che i funzionari realizzassero delle danze come
parte dei loro doveri e dove l’Intendente della Polizia Imperiale era scelto per il suo bell’aspetto. L’immenso
tempo libero dei membri dell’aristocrazia dava loro la possibilità di coltivare un gusto minuzioso. L’arte del
combinare i colori era molto importante nel vestiario maschile e femminile e quando Murasaki parla nel
dettaglio dei vestiti dei suoi personaggi ne rivela la sensibilità artistica. La sensibilità artistica era apprezzata
di più della bontà etica e nonostante l’influenza del Buddhismo, la società Heian era governata dallo stile
più che dai principi morali. La parola “yoki” (buono) si riferisce alla nascita, ma anche alla bellezza della
persona e alla sua sensibilità estetica. La sensibilità emotiva era un segno distintivo degli aristocratici, ma
veniva mantenuta entro i limiti del codice estetico e raramente si sviluppava in passione sfrenata. Il
modello accettato della sensibilità viene rappresentato dall’aware, una parola intraducibile che definisce
l’estetica giapponese. Si può considerare come un’interiezione o un aggettivo che si riferisce alla qualità
emotiva insita negli oggetti, nelle persone, nella natura, nell’arte e per estensione riguardava anche la
risposta interna di una persona a aspetti emotivi del mondo esterno. La parola viene usata più di mille volte
nel Genji Monogatari e il suo uso più caratteristico è quello di suggerire il pathos insito nella bellezza del
mondo esterno, una bellezza che è inesorabilmente destinata a sparire insieme al suo osservatore. Il
buddhismo ovviamente ha influenzato questa connotazione particolare della parola. Spesso la parola
appare nell’espressione mono no aware, che corrisponde circa al pathos delle cose. È quando le persone
percepiscono la connessione tra la bellezza e la tristezza del mondo che sentono il mono no aware.

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L’osservatore sensibile è portato alle lacrime dalla bellezza della natura, non solo perché è impressionante,
ma anche perché diventa più conscio della natura effimera di tutte le vite del nostro mondo. L’abilità di
provare questa esperienza emotiva estetica era limitata alle “brave persone”, ma non tutti coloro che
avevano una buona nascita potevano conoscere il mono no aware.
Il culto della bellezza ha aiutato a creare una società di grande eleganza e fascino, nonostante la sua
debolezza.

Capitolo 8:
Durante il periodo di circa 100 anni in cui è ambientato il Genji Monogatari, quasi tutti gli scrittori degni di
nota erano donne. C’erano diverse ragioni per questo fenomeno. Per alcuni, l’esclusione delle donne dagli
affari pubblici, insieme al sistema di poligamia, dava loro molto tempo libero che dedicavano a scopi
letterari. Invece gli uomini erano troppo impegnati dai loro incarichi ufficiali e dalle loro numerose mogli e
amanti. Il problema di questa spiegazione è che anche gli uomini Heian scrivevano molto e, secondo, che
nei 500 anni successivi circa gli uomini vissero in condizioni più dure rispetto ad Heian e nessuna scrittrice
donna fece davvero la differenza anche se le donne avevano tanto tempo libero.
La ragione principale per la prevalenza delle donne nella letteratura ai tempi di Murasaki è il ruolo della
lingua e della letteratura cinese. La lingua cinese era la lingua degli eruditi, dei funzionari, dei sacerdoti ed
era l’unico mezzo per ogni seria forma di scrittura tra gli uomini. Le donne invece potevano utilizzare la
scrittura fonetica kana che dava loro la possibilità di scrivere la loro lingua nativa, in modo semplice e
diretto, cosa impossibile in cinese puro o nella forma ibrida sino-giapponese chiamata kanbun. La grande
crescita della letteratura popolare ad Heian si deve proprio all’uso della scrittura fonetica. Il sillabario nativo
veniva chiamato onnade (la mano della donna) e gli otokomoji (le lettere degli uomini) erano invece i
caratteri cinesi. Quando gli uomini decidevano di scrivere un diario con la scrittura fonetica fingevano di
essere donne. Il successo culturale delle donne di Murasaki naturalmente dipende da altri fattori oltre che
dal linguaggio.
Non abbiamo ritratti contemporanei che ci possano aiutare a visualizzare le donne Heian. I rotoli
emakimono sono successivi e le donne qui vengono rappresentate come bellezze tipiche con sembianze
simili: visi bianchi e paffuti, occhi allungati, naso piccolo e bocca a cerchio. Questo è come i pittori del XII
sec immaginavano le donne del periodo di Murasaki. Anche le scrittrici erano restie a descrivere nel
dettaglio l’aspetto dei membri del loro sesso. Il diario di Murasaki fa degli accenni alle sue compagne dame
di corte; ma la descrizione fisica è stereotipata. Una ragione per cui non si parlava di questo argomento era
un generale disinteresse per il corpo. Il corpo nudo era alieno alla tradizione giapponese e addirittura
creava repulsione. Murasaki descrive più lo stile poetico delle donne o il loro modo di piegare una lettera
che il loro aspetto fisico. C’è un’eccezione a questa elusione dei tratti fisici, ossia la descrizione dei capelli
delle donne. I capelli nell’ideale di bellezza Heian erano lisci, lucenti e estremamente lunghi. Erano divisi nel
mezzo e cadevano liberamente sulle spalle. Idealmente quando una donna si alzava, raggiungevano il
pavimento. Anche la pelle bianca era segno di bellezza e di nascita aristocratica. Nei dipinti degli
aristocratici di corte, le persone di più alto rango avevano i volti più chiari. Spesso veniva utilizzata della
cipria per riprodurre questo pallore e le donne sposate applicavano anche del rosso alle loro guance; si
dipingevano anche le labbra.
Le donne Heian seguivano due costumi: si toglievano le sopracciglia e poi le ridisegnavano nello stesso
punto o un po’ più sopra e si annerivano i denti. Quest’ultimo costume successivamente si diffuse nel Paese
e andò ad indicare lo status di donna sposata.
L’abilità di una donna di scegliere i suoi vestiti e di abbinare i colori era considerata come una guida al suo
carattere e al suo fascino. I vestiti femminili erano molto elaborati, essendo costituiti da un pesante abito

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esterno e un insieme di vesti di seta (il numero standard era di 12). Per mostrare tutti i pattern e i colori, le
donne indossavano i loro abiti facendo in modo che ogni manica fosse più lunga più si avvicinava alla pelle.
Nel Buddhismo e nel Confucianesimo la posizione della donna era infelice e la dottrina Heian le dava una
posizione inferiore. Sebbene le donne Heian fossero emancipate in vari modi, non resta dubbio che ci fosse
una supremazia maschile nella gerarchia familiare. Nonostante le loro cattive condizioni nella religione, le
donne Heian godevano di una buona posizione nella legge. Potevano ereditare e mantenere la proprietà. Le
figlie dei governatori provinciali ricevevano di solito una parte di eredità nella forma di proprietà o diritti
sulle tenute e potevano tenere le loro case. Questa indipendenza economica può essere una delle ragioni
per cui molte talentuose scrittrici appartenevano a questa classe.
Le mogli dell’alta società Heian vivevano nella casa dei loro genitori durante la prima parte del matrimonio
e in questo modo sfuggivano alla prepotenza dei mariti e delle suocere, dando loro più indipendenza. Le
donne erano anche protette dalla violenza fisica e i codici punivano i mariti che picchiavano le mogli e gli
uomini non potevano uccidere le mogli a meno che non le cogliessero in flagranza di reato.
Una ragione per questa posizione relativamente favorevole delle donne era il sistema delle politiche
matrimoniali, che si era diffuso dai Fujiwara all’aristocrazia in generale. Queste politiche matrimoniali
rafforzavano soprattutto la posizione della moglie principale, ma indirettamente accrebbero il prestigio
delle donne in generale. Gli aristocratici organizzavano matrimoni vantaggiosi per le loro figlie e sfruttando
le connessioni matrimoniali delle loro figlie riuscivano anche a rafforzare la loro posizione politica. La
posizione gerarchica delle donne era più fluida di quella degli uomini e anche una ragazza di umili origini
provinciali poteva sposare un uomo di alto rango. Un tema ricorrente nella letteratura Heian è lo tsuma-
arasoi (lotta per la moglie) in cui numerosi uomini competono per una ragazza in particolare.
Le donne erano generalmente escluse dagli affari di stato, ma alcune avevano potere. Alcune imperatrici
madri avevano potere specialmente in materia di promozioni, matrimoni e successioni. Questi erano casi
eccezionali, ma le donne Heian non erano in totale soggezione dei loro uomini. La poligamia rendeva la loro
posizione insicura, specialmente se non erano mogli ufficiali, ma il periodo Heian non è un’eccezione
essendo questo sistema esistito in molte forme nella storia del Giappone. Tutto sommato la posizione delle
donne era buona e fu solo dopo la Seconda Guerra Mondiale che la posizione femminile divenne migliore di
quella delle loro antenate di 1000 anni prima.
Le donne raggiunsero un grande prestigio anche perché erano istruite ed immerse in un mondo di musica,
scrittura, profumi e altre attività culturali. Molte donne si interessarono anche ai monogatari. La maggior
parte di essi era forse scritta da uomini, ma erano particolarmente apprezzati dalle donne. L’istruzione era
comunque limitata.
Nonostante questi privilegi le donne tendenzialmente vivevano una vita chiusa e immobile. Partecipavano
poco alle attività all’aperto e quando uscivano da casa erano protette dalle carrozze. In casa vivevano in
semioscurità e non si mostravano mai agli uomini, se non ai padri e ai mariti. Questo isolamento era
ravvivato dalle conversazioni con intermediari o lettere. Le donne comunicavano direttamente, oltre che
con il marito e i genitori, solo con le donne della casa e le inservienti donne. Le loro vite erano monotone,
ma ciò non appare dalle scritture femminili dell’epoca dato che le autrici erano solitamente donne di corte
dalla vita impegnata e poco ristretta. Le donne, circondate dai loro servitori, erano libere dalle faccende
domestiche e dal doversi prendere cura dei figli. Vivevano una vita sedentaria anche in casa e sedevano per
ore guardando lo spazio, aspettando qualche poesia o visita. Le donne comunque si distraevano con giochi,
con i festival annuali, con le visite ai templi vicini la capitale, con poesie, calligrafia e musica. Però per la
maggior parte delle giovani donne aristocratiche il più grande interesse erano le relazioni con gli uomini. A
causa della loro vita reclusa era possibile per una donna Heian passare tutta la vita senza vedere un uomo
che non fosse suo padre. Generalmente però le donne delle famiglie per bene si sposavano tutte. Una
rapida occhiata di un’opera come Note del guanciale potrebbe far pensare che gli abitanti di Heian

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vivessero una vita promiscua, ma questo è vero per Heian quanto per ogni altra società umana nella storia.
Le relazioni tra i sessi erano regolate da un sistema, basato soprattutto sulla distinzione di classe. Il
corteggiamento e il matrimonio cambiavano a seconda del grado di relazione (moglie principale, concubina
ecc.), ma si può individuare un pattern generale. In primis l’uomo o la sua famiglia veniva informato della
presenza di una ragazza appropriata da un paraninfo (nakadachi). Se l’uomo era interessato, scriveva una
poesia di 31 sillabe alla donna esprimendo i suoi sentimenti romantici. A questo punto si attendeva una
risposta che veniva realizzata dalla ragazza o da un membro della sua famiglia o da un inserviente. Il
gentiluomo esaminava la risposta per comprendere il carattere della ragazza dalla sua calligrafia e dalle sue
abilità poetiche. Se era considerata soddisfacente, organizzava una visita segreta a casa sua la prima notte
conveniente. La segretezza era ovviante convenzionale poiché la famiglia della ragazza ne era a conoscenza.
Il visitatore teneva la donna sveglia tutta la notte e se ne andava al primo segno dell’alba. Appena tornato a
casa scriveva subito un’altra lettera dove si lamentava delle lunghe ore che lo tenevano lontano dall’amata
e aggiungeva anche una poesia d’amore. L’arrivo di questa lettera era segno che era tutto andato per il
verso giusto. La ragazza quindi mandava una risposta usando la stessa simbologia e lo stesso messaggero.
La notte seguente l’uomo visitava di nuovo la giovane in segreto e se ne andava all’alba. La terza notte era
la più importante. La famiglia della donna o i servitori preparavano delle piccole torte di riso (mikayomochi)
e le posizionavano nella sua stanza. Queste erano in onore dei progenitori shintoisti Izanagi e Izanami e
l’accettazione delle tortine era considerata come un rito fondamentale del matrimonio; a questo punto la
connessione tra i due aveva sanzione religiosa. Come ulteriore segno di aperta accettazione, il padre o il
tutore della ragazza spediva alla coppia una lettera formale di impegno in cui approvava ufficialmente il
matrimonio. La mattina successiva l’uomo non era più costretto a tornare a casa prima dell’alba, ma poteva
rimanere con la ragazza.
Un aspetto universale del matrimonio è il banchetto. Mangiando e bevendo in compagnia di amici e
famiglia la coppia manifestava direttamente la sua unione. Il banchetto si teneva tipicamente la sera dopo
le torte di riso o pochi giorni dopo. Si preparava il cibo e il vino nella casa della sposa e lo sposo veniva
invitato insieme a dei compagni e, eventualmente, ai suoi genitori. In questa occasione incontrava i genitori
della sposa ufficialmente per la prima volta. All’inizio delle celebrazioni c’era una semplice funzione, dove
un sacerdote recitava rituali norito e sventolava un ramo del sacro albero sakaki per purificare. La coppia
poi beveva da tre calici, in una cerimonia chiamata sansan-kudo. Era considerata una forma di purificazione
shinto, essendo il sake apprezzato per le sue virtù pulitrici. Adesso la coppia era veramente sposata e
l’uomo poteva visitare la casa della donna quando voleva e rimanere con le fino al mattino. Se la donna si
trasferiva o meno nella casa del marito dipendeva dal tipo di matrimonio. C’erano infatti tre tipi principali di
relazione. Il primo era il matrimonio come moglie principale. Nei sistemi poligamici, una moglie,
solitamente la prima, ha uno status sociale più alto del resto e deve essere rispettata dal marito e dalle
concubine. La moglie principale era normalmente scelta dalla famiglia dello sposo dopo varie discussioni. Il
matrimonio era combinato il prima possibile e spesso l’opinione degli sposi era irrilevante. L’età minima per
i matrimoni era 14 anni per i maschi e 12 per le femmine, ma i ragazzi dell’aristocrazia erano spesso
promessi poco dopo il raggiungimento della maggiore età, circa a 12 anni. La moglie era spesso vari anni più
grande di suo marito. La moglie principale sembrava più una tutrice che una moglie al giovane marito.
Queste unioni erano organizzate per motivi politici e diventavano spesso di facciata, senza alcun affetto o
amicizia. Nei matrimoni di questo tipo la cosa fondamentale era la classe e in questi casi marito e moglie
erano più o meno dello stesso rango. Come risultato di questa stretta endogamia, il numero di candidati
adatti, specialmente negli alti ranghi dell’aristocrazia, era limitato. Il risultato era un’estrema permissività
sui gradi di parentela permessi nel matrimonio. Non solo i matrimoni tra cugini di primo grado erano
accettabili, ma anche quelli tra zia e nipote e zio e nipote. Anche se normalmente la moglie principale
veniva scelta dai genitori di lui, in alcuni casi l’uomo poteva scegliersi da solo la moglie. Di regola la moglie

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principale continuava a vivere con i suoi genitori dopo il matrimonio e il marito la visitava di notte o si
trasferiva completamente. Quando il padre dell’uomo moriva o si dimetteva dai suoi incarichi, egli
diventava il capo della famiglia o di un ramo di essa e la moglie principale lasciava la casa dei suoi genitori e
andava a vivere nell’ala nord della casa del marito. La moglie doveva essere obbediente e fedele e dare al
marito un figlio che potesse portare avanti la famiglia e il culto ancestrale. Il tasso di mortalità infantile era
alto e doveva avere quanti più figli possibile. Più figli aveva più la sua posizione nella famiglia era solida.
Doveva in particolare educare le figlie nelle arti in modo che potessero sposarsi in buone famiglie come
mogli principali o addirittura diventare concubine o mogli dell’imperatore.
Bisognava poi evitare di essere soppiantate dalle rivali, ossia dalle consorti secondarie. Infatti il secondo
tipo di relazione era il matrimonio come moglie secondaria o concubina. La maggior parte delle persone ai
tempi di Murasaki erano monogame, ma nelle classi più affluenti un uomo poteva avere una moglie
principale e delle consorti secondarie. Queste relazioni erano ufficialmente riconosciute e precedute dal
corteggiamento e dal matrimonio. Nei matrimoni secondari c’erano diversi gradi di relazione, a seconda di
quanto l’uomo volesse che la connessione fosse pubblica e permanente. La relazione con una concubina
spesso nasceva da una relazione occasionale. Poi diventava ufficiale, ma non otteneva l’irrevocabilità del
matrimonio principale. L’uomo a questo punto poteva agire in vari modi. Poteva far trasferire la moglie
nella sua casa, dando prova che considerava formale la relazione, ma mettendola in competizione con la
moglie principale e le altri consorti secondarie. Oppure il marito poteva mandare la concubina e i suoi
servitori in un’altra casa, pubblicamente o segretamente. Alternativamente la concubina poteva continuare
a vivere a casa sua e suo marito l’avrebbe poi visitata regolarmente.
La concubina ufficiale veniva scelta in vari modi. A volte era una donna con cui l’uomo aveva iniziato una
relazione casuale e a cui si era affezionato, in altri casi era una donna della stessa classe o di una classe
superiore all’uomo di cui si era innamorato. In contrasto con le rigide regole per la scelta della moglie
principale, quelle per la scelta di una concubina erano permissive. Ovviamente c’era una cerchia esterna in
cui il matrimonio era proibito ed era inconcepibile che un nobile Heian prendesse una contadina come
concubina ufficiale. A parte questo, c’erano poche restrizioni sulla classe.
Non c’era un numero massimo di mogli che un uomo poteva avere, ma in pratica tranne l’imperatore e
pochi ricchi potenti, i nobili Heian raramente ne sposavano in gran numero. C’era però una pratica che era
proibita: lasciare che una consorte secondaria prendesse il posto della moglie principale. Quando la moglie
principale non aveva figli maschi, il marito normalmente le faceva adottare uno dei figli delle concubine.
Il terzo tipo di relazione era di natura promiscua. La donna era solitamente qualcuno di una classe più bassa
o una dama di corte di uno dei palazzi. Un uomo poteva avere anche una relazione clandestina con la
moglie o la concubina di un altro uomo. Che l’uomo fosse sposato o meno, cresceva il suo prestigio se
aveva quante più relazioni possibili. Queste relazioni non richiedevano alcun impegno da entrambe le parti
e in pratica non ci si aspettava che i partner rimanessero fedeli. Le donne non sposate erano molto
promiscue e potevano avere quante relazioni volevano, avendo le loro case ed essendo indipendenti
economicamente. La fama di avere più relazioni non accresceva il prestigio della donna come faceva con
l’uomo e le donne tendevano ad evitare di esporsi. Le donne di corte non erano criticate per la loro
promiscuità.
In una società come questa si creavano complicazioni e imbrogli. Spesso la paternità era confusa e alcuni
imperatori temevano che i loro padri ufficiali non fossero i loro veri padri.
Una delle impressioni che potremmo avere è che, nonostante gli eleganti sentimenti espressi nelle poesie,
le relazioni amorose dell’epoca fossero raramente pervase da veri sentimenti. C’è un fattore che salva
queste relazioni dall’essere volgari e sordide: la parte occupata dalla regola del gusto. Le relazioni amorose
dell’epoca erano condotte seguendo eleganti rituali.; le poesie, le lettere al mattino, la scelta della corretta
tonalità dei fiori e delle foglie, l’uso dei profumi corretti. Possiamo farci un’idea di questa condotta grazie

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alla letteratura che ne parla abbondantemente. Per comprendere l’etichetta e i piaceri estetici di una
relazione ben condotta, le Note del guanciale di Sei Shonagon è la fonte più eloquente.
L’allontanamento dell’amato al mattino è un tema ricorrente nella letteratura Heian. È un momento in cui si
esprime l’aware e le scrittrici indugiano su di esso.
Avere diverse mogli e frequentare altre donne era considerato normale e rispettabile per un gentiluomo
Heian. In un’aristocrazia dove una grande famiglia era un vantaggio e dove le donne morivano giovani, un
uomo che aveva più mogli stava svolgendo una funzione sociale. Un uomo con una o due mogli veniva
considerato anormale e antisociale. Ci sono prove che le donne di quell’epoca accettassero questo sistema
e non c’erano mai proteste. Una moglie principale non voleva che il marito non avesse concubine, ma che il
marito non si affezionasse eccessivamente a una di loro. Peggio ancora che il marito riconoscesse i figli della
concubina e che desse loro la precedenza sulla sua legittima prole. Una concubina poteva aspirare di
occupare il primo posto nel cuore dell’uomo, ma non a diventare la moglie principale.
Quello che può sorprendere è come le donne e gli uomini soffrissero per le conseguenze della poligamia
sebbene questo sistema fosse accettato. Il Genji Monogatari e i diari rendono chiaro che l’infedeltà
istituzionalizzata produceva la stessa amarezza nelle donne dell’infedeltà condannata nelle società
monogame.
Un aspetto della psicologia delle donne Heian era l’ansia per il futuro. Le donne del Genji Monogatari sono
accomunate da un senso di insicurezza e una tendenza a preoccuparsi di ogni linea di condotta. L’ansia
prende diverse forme: la paura delle voci e del gossip, la paura di essere abbandonata dal proprio amato, la
paura per i propri figli, la paura di diventare una concubina e poi essere respinta, la paura di essere
perseguitata dalla moglie principale. Molte di queste paure sono il risultato della poligamia. Nonostante le
loro condizioni sociali ed economiche favorevoli, le donne Heian erano in una situazione precaria per via
della poligamia. Ad Heian Kyo le donne erano rispettate e corteggiate per il loro potenziale potere come
favorite dell’imperatore o madri di principi imperiali o per il supporto della loro forte famiglia. Una volta
persi il potenziale e il sostegno le donne dovevano cavarsela da sole. La posizione della moglie principale
era sicura perché era supportata dai suoi parenti, ma una concubina poteva temere per il suo futuro. Le
donne Heian potevano ereditare e detenere delle proprietà, ma avevano bisogno del supporto della loro
famiglia o di un uomo influente per mantenere e gestire queste proprietà in maniera efficiente.
Uno dei risultati più drammatici della poligamia era la gelosia, sia per gli uomini che per le donne. Sebbene
le tradizioni abbiamo solitamente inibito le donne giapponesi dall’esprimere la loro gelosia, tranne in
particolari tipi di letteratura personale, non c’è motivo di credere che non lo fossero. Nel Genji Monogatari
la gelosia accompagna quasi tutte le relazioni tra uomini e donne. Anche la moglie principale, sebbene fosse
in una posizione più stabile, soffriva di gelosia.

Capitolo 9:
Da una delle poche pagine del suo diario in cui Murasaki si descrive, sappiamo che era introversa e che non
le piacevano molto le relazioni sociali superficiali, il gossip. Sei Shonagon invece non era timida o gentile, le
piacevano le conversazioni ricche di spirito, in cui poteva mostrare la sua erudizione o mettere in imbarazzo
qualche corteggiatore sfortunato. Entrambe le donne era ipercritiche, ma mentre Sei dava libero sfogo ai
suoi gusti, sentimenti e curiosità, Murasaki era più silenziosa e teneva da parte questi elementi per usarli in
seguito. Non ci sorprende che Murasaki disapprovasse questa donna disinibita che si era fatta un nome
nella corte rivale.
Murasaki nacque negli anni 70 del X sec in un ramo minore, seppur colto, della famiglia Fujiwara. Fin dalla
giovane età visse in un’atmosfera erudita tra persone che passavano il tempo libero a comporre eleganti
versi in cinese. Suo padre Tametoki era un ambizioso funzionario che aveva iniziato la sua carriera come
studente di letteratura. Aveva poi scalato la gerarchia governativa, soprattutto grazie al suo parente

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Michinaga. Tametoki aveva molte ambizioni per suo figlio maggiore e si assicurò che godesse del beneficio
di un’istruzione classica. La conoscenza della storia e della letteratura cinese era necessaria per la carriera
politica, ma per le donne questi studi non erano affatto necessari. Murasaki però approfittò degli studi del
fratello per imparare quello che poteva. Tametoki non impedì alla figlia di seguire i suoi scopi e addirittura
durante una lezione si accorse che era più brava del fratello a memorizzare i caratteri cinesi. Sappiamo poco
della gioventù di Murasaki, ma probabilmente dedicò il suo tempo alla lettura e allo studio. Era familiare
con il cinese standard e i classici buddhisti ed era anche esperta della letteratura del suo Paese. A 20 anni
venne data in sposa in un matrimonio di convenienza. Il matrimonio non durò a lungo perché nel 1001 suo
marito morì probabilmente a causa di un’epidemia. Alcuni sostengono che questa separazione ebbe un
effetto traumatico su Murasaki e influenzò la sua visione generale della vita, in particolare sul senso di
impermanenza (mujokan). Non abbiamo però ragione di credere che Murasaki fosse devota a suo marito in
quanto il suo diario, scritto pochi anni dopo la sua morte, non parla di lui. Sappiamo che ebbe una figlia, ma
non viene menzionata nel suo diario. Per 5 anni dopo la morte del marito, Murasaki visse in ritiro a casa e
probabilmente iniziò a lavorare sul suo romanzo. Nel 1004 suo padre divenne governatore della provincia di
Echizen e fece entrare sua figlia a corte come dama di compagna della figlia di Michinaga, la consorte
dell’imperatore Ichijo. Murasaki iniziò a scrivere il suo diario nel 1008, fornendoci un’immagine vivida della
vita a corte, ma senza un’accurata cronologia. Ichijo morì nel 1011 e l’imperatrice e il suo seguito si
trasferirono in uno dei palazzi separati. Sappiamo poco della vita di Murasaki. Secondo la visione
tradizionale sarebbe diventata una monaca nel 1015 e sarebbe morta nel 1031. D’altra parte ci sono indizi
che ci fanno credere che abbia continuato a servire l’imperatrice vedova. È probabile comunque che
Murasaki sia morta o si sia ritirata in convento tra il 1025 e il 1031.
Il diario e il Genji Monogatari ci danno prova della conoscenza di Shikibu e della sua esperienza del mondo.
Ella aveva osservato scrupolosamente come vari uomini e donne parlavano e si comportavano ed era
interessata all’amore tra di loro e tutte le emozioni contrastanti che ne conseguivano. Sappiamo dal diario
di Murasaki che il suo interesse alla letteratura cinese non era un capriccio giovanile. Suo marito era un
esperto in materia e alla sua morte sembra che abbia lasciato una raccolta di libri cinesi sostanziosa.
Murasaki occasionalmente leggeva questi libri quando stava a casa del padre. A corte Murasaki faceva
difficoltà a nascondere le sue conoscenze dei classici stranieri e temeva di essere scoperta dalle altre
donne. La giovane imperatrice era desiderosa di imparare e Murasaki racconta che per alcuni anni le aveva
insegnato segretamente parti dei lavori di Po Chu-i quando erano da sole. Murasaki conosceva la
letteratura cinese, ma conosceva anche le principali opere giapponesi. Il diario di Shikibu ci mostra anche il
suo atteggiamento verso il buddhismo; conosceva bene la sua gerarchia, le cerimonie, gli ordini monastici.
Mostra di essere pervasa dallo spirito buddhista soggiacente in tutte le sette: il senso dell’impermanenza
universale.
Ci sono state varie discussioni su quando, perché e se Murasaki Shikibu scrisse il Genji Monogatari. Tra le
prime critiche del Genji c’era la teoria che il padre di Murasaki avesse scritto lo schema della storia e che
sua figlia si fosse dedicata ai dettagli e infine Michinaga abbia revisionato il risultato finale. Una variante di
questa teoria stabilisce Murasaki come autrice principale dell’opera, ma attribuisce gli ultimi 10 libri ad un
altro autore. Queste teorie vengono più da un pregiudizio sessista che da uno studio sistematico del testo.
Negli ultimi 2 secoli, gli studiosi hanno ripristinato la posizione di Murasaki come autrice dell’intera opera.
Lo stile dei libri finali è più attento e delicato rispetto alle parti precedenti, ma questo si deve ad un
progressivo miglioramento dello stile di Murasaki.
Molti studiosi giapponesi si sono chiesti perché Murasaki abbia scritto quest’opera. I primi commentatori
spingevano su ragioni religiose o morali. Una teoria dice che Murasaki scrisse il romanzo come penitenza
per aver scritto una poesia che offendeva il Buddha. Nel periodo Kamakura leggere il Genji Monogatari
veniva considerato una penitenza. Nel periodo Muromachi gli studiosi misero l’accento sui temi buddhisti

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dell’opera. Nell’XVIII sec Motoori Norinaga respinse l’idea di un motivo religioso in quanto i personaggi
“buoni” erano lontani dall’essere buoni in senso convenzionale. Per lui lo scopo di Murasaki non era di
predicare la moralità ma di evocare sensibilità emotiva. Studiosi più recenti adducono ragioni personali o
psicologiche. C’è probabilmente del vero in tutte queste teorie, ma è Murasaki stessa che spiega perché
venne scritta l’opera in una scena in cui Genji discute dell’arte della narrativa con la giovane Tamakazura.
Genji afferma che la ragione per cui un autore scrive è perché viene impressionato così tanto dalle cose,
belle o brutte che siano, che non può tenersele per sé, ma deve scriverle e farle conoscerle agli altri e ai
posteri.
Adesso ci chiediamo in quali circostanze Murasaki scrisse il suo romanzo. Un antico commento al Genji
afferma che la grande Vestale di Kamo chiese all’imperatrice Akiko di consigliarle qualche libro interessante
in scrittura fonetica. L’imperatrice si rese conto che i monogatari noti erano ormai vecchi. Quindi chiese ad
una donna letterata di cimentarsi in qualcosa di nuovo. La donna (ossia Murasaki) si recò presso un tempio
nei pressi delle spiagge del lago Biwa e rimase lì fino all’alba pregando per l’ispirazione. Murasaki venne
colta da un’idea e per non dimenticarsela rimosse i rotoli del Sutra della Grande Saggezza dall’altare e
scrisse due capitoli. Poi, per penitenza, copiò i sedici rotoli del sutra in questione e lì dedicò al tempio.
Scrisse poi gli altri capitoli fino a raggiungere un numero di 54 e venne realizzata una copia da un abile
calligrafo di corte. L’opera fu quindi presentata alla Vestale.
Questa storia per secoli è stata considerata valida e divenne parte della leggenda di Murasaki. Tuttavia si
tratta di una storia falsa e gli studiosi sono ancora in disaccordo su quando il libro venne scritto. La
tendenza generale è quella di scartare l’idea che l’opera fosse stata già completata prima che Murasaki
entrasse a corte. Sappiamo grazie al diario che almeno una parte del libro circolava a corte nel 1008. Alcuni
eventi del romanzo sembrano essere stati presi da cose realmente accadute a corte tra il 1013 e il 1017, ma
non se ne è del tutto certi. L’unica data affidabile proviene dal Sarashina Nikki. In un passaggio del diario si
fa riferimento alla data 1022, che ci dà la prova che la maggior parte del Genji Monogatari, se non tutta, era
stata scritta entro il 1022. È plausibile che Murasaki abbia iniziato a scrivere poco dopo la morte del marito,
circa nel 1002, e che abbia continuato con delle interruzioni durante il suo servizio a corte fino al 1020 circa.

Capitolo 10:
Il primo romanzo psicologico della letteratura mondiale è anche uno dei più lunghi. Nella sua forma
originale il Genj Monogatari aveva 54 libri o capitoli rilegati separatamente e che spesso circolavano
indipendentemente. La storia si svolge per oltre ¾ di secolo e coinvolge 4 generazioni. Ci sono circa 430
personaggi, non contando i messaggeri, gli inservienti e i membri anonimi della classe lavoratrice. La
maggior parte di questi personaggi è imparentata tra di loro e molti studiosi si sono dedicati a tracciare una
genealogia. Murasaki apparteneva ad una società stratificata dove i legami familiari erano importantissimi.
L’approccio metodologico di Murasaki si può vedere nello schema temporale, in quanto difficilmente ci
sono parti del romanzo in cui non possiamo identificare l’anno, il mese o l’età dei personaggi importanti.
Occasionalmente Murasaki utilizza un ordine cronologico non lineare. Queste deviazioni sono intenzionali e
non creano confusione. Il Genji Monogatari non consiste in una sequenza disordinata di episodi vagamente
connessi. È vero che i libri tendono ad essere più indipendenti rispetto ai capitoli dei romanzi moderni,
specialmente perché c’è spesso un lasso di tempo di vari anni tra di essi, ma non si tratta di brevi storie
vagamente connesse. L’opera è costruita attentamente e si può dividere in parti: l’inizio (libri 1-12), la parte
centrale (libri 13-41) e la fine (libri 42-54). Fondamentalmente il Genji Monogatari è costruito su un insieme
di idee o temi centrali, per esempio il tema del potere dei Fujiwara o l’impermanenza. Questo aspetto ci
permette di chiamare l’opera di Murasaki un “romanzo”.
Uno strumento che Shikibu usa efficacemente è l’anticipazione. Di frequente accenna all’esistenza di alcuni
personaggi ben prima che essi entrino in scena nel romanzo o ad eventi che accadranno solo molti anni

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dopo. A volte Murasaki parla di un personaggio mai menzionato prima come se il lettore già lo conoscesse.
Nelle mani di uno scrittore esperto questo crea un effetto curiosamente realistico. Il modo tipico in cui
Murasaki fa un’anticipazione è di far parlare diversi personaggi di qualcuno dal loro punto di vista prima che
la persona in questione entri effettivamente in scena. Il caso è più noto di anticipazione si trova nel secondo
libro quando Genji e i suoi amici in una notte di pioggia discutono dei diversi tipi di donna. Tra i vari tipi di
ragazza descritti dai giovani, una può essere identificata con il personaggio di Yugao, una giovane donna che
appare nei due libri successivi. Uno degli amici di Genji afferma di aver avuto una figlia illegittima con
Yugao, ma madre e figlia sono scomparse. Questa è un’altra anticipazione in quanto la figlia in questione si
rivela essere Tamakazura, che entra in scena 17 anni dopo.
Un altro aspetto stilistico è la ripetizione di situazioni, ambientazioni e relazioni tra i personaggi. Ci sono dei
pattern con delle variazioni che si dipanano nella storia. Inoltre Murasaki mette diversi personaggi, o lo
stesso personaggio, in situazioni consecutive che “corrispondono” una con l’altra. Per esempio quando
Genji si rende conto che sua moglie Nyosan è stata sedotta da Kashiwagi e suo figlio in realtà è il frutto di
un tradimento, capisce che la storia si è ripetuta. 30 anni prima Genji aveva sedotto la nuova consorte di
suo padre ed avevano avuto un figlio che l’imperatore aveva accettato come suo.
Le ripetizioni volontarie di Murasaki non sono mai così ovvie o esatte. Il realismo psicologico richiede infatti
che diverse persone reagiscano diversamente nella stessa situazione.
L’uso di una “immagine prolungata” (la ripetizione di una singola immagine centrale sia nei passaggi
narrativi sia nelle poesie) può anche servire a connettere diverse parti del romanzo che sono lontane nel
tempo o a rafforzare la struttura di una serie di libri. Nel corso del romanzo Murasaki cambia approccio nei
confronti dei sogni e richiama uno dei suoi temi principali: la qualità irreale e nebulosa del mondo che ci
circonda e l’idea che la nostra vita sia un “ponte di sogni” sul quale camminiamo da uno stato di esistenza
all’altro. Un altro esempio di immagine prolungata è il fiume di Uji, che ha un ruolo prominente negli ultimi
10 libri, tanto che la sezione viene chiamata i “Dieci libri di Uji”. L’ambientazione principale è una casa in
una piccola frazione di Uji dove il principe Hachi vive con le sue due figlie. La residenza del principe è così
isolata e deprimente che diventa la cristallizzazione dell’umore di malinconia che domina il romanzo e i suoi
personaggi. Il tema della morte è sempre in primo piano e i libri di Uji si concentrano sulle morti, o presunte
tali, della moglie del principe di Uji, del principe, della figlia maggiore e della figliastra. I sopravvissuti sono
sempre più afflitti dalla malinconia del posto. Lo stesso nome Uji (desolato) rappresenta la tristezza che
pervade la casa. Lo spirito di Uji si riflette nelle immagini. Il tempo atmosferico – vento e pioggia, neve e
tormente – riflette le emozioni dei personaggi ed è contrastato dalle condizioni benigne della capitale.
Murasaki richiama l’atmosfera del luogo con dei suoni simbolici che sono associati al dolore: il lamento del
cervo, il verso delle oche selvatiche, l’ululato del vento tra le querce. Tra tutte le immagini usate per
rappresentare l’atmosfera di Uji, nessuna viene usata tanto quanto il fiume che scorre fuori dalla casa del
principe Hachi. Questa immagine centrale evoca il dolore e la tragedia che dominano la casa e i suoi
abitanti.
Secondo il professor Ikeda sono stati scritti più di 10000 libri sul Genji Monogatari, per non contare gli
innumerevoli saggi, tesi ecc. Ci sono poi numerose opere in cui il romanzo di Murasaki è stato usato come
materiale di studio sulle cerimonie di corte e la musica Heian. Questo numero incredibile di esegesi iniziò
all’incirca un secolo dopo la morte di Murasaki, quando le persone cominciarono a trovare difficoltà nel
capire la sua opera. Buona parte dei primi lavori voleva indicare l’unità dei 54 libri. Vennero realizzate delle
genealogie per spiegare le connessioni degli innumerevoli personaggi. In seguito, l’obiettivo principale
divenne quello di fare una lista delle migliaia di citazioni e riferimenti alla letteratura e alla storia presenti
nel romanzo. Il ruolo delle poesie citate venne riconosciuto come particolarmente importante nella
simbologia di Murasaki. Più passava il tempo più si faceva difficoltà a comprendere il linguaggio del
romanzo e quindi vennero scritti dei dizionari. Il primo dizionario del Genji risale al XIV sec. Anche lo studio

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dei manoscritti e il confronto delle diverse versioni divennero importanti. Uno dei più grandi centri di studi
sul Genji era la corte del sud, a Yoshino, dove durante una parte del XIV sec una linea di imperatori rivali si
insediò in opposizione alla corte del Nord a Kyoto. Molti imperatori del sud erano eruditi nel campo degli
studi del Genji. Gli studiosi di Yoshino erano soprattutto interessati al Genji Monogatari come opera d’arte,
mentre a Kyoto veniva usato più come base di studi linguistici e storici. Questi due approcci diversi
continuavano gli studi del Genji. Il lettore, davanti a questa infinità di materiali di ricerca, invece di sentirsi
aiutato ad immergersi nell’opera, sentiva un blocco tra sé e l’opera originale. Dobbiamo ricordare che
Murasaki era un’artista, non una scrittrice di cronache e che il Genji Monogatari deve essere letto come
un’opera letteraria, non come una fonte d’informazione.
Uno degli aspetti più notevoli di questo romanzo di mille anni fa è come si possa entrare facilmente nei
pensieri e nei sentimenti dei personaggi e reagire alla visione della vita che l’autrice propone. Più si conosce
del periodo Heian e più capiamo. Ma anche con una piccola conoscenza del mondo di quell’epoca si può
cogliere la psicologia dei personaggi e apprezzare la connessione tra la bellezza e il dolore, che è il tema di
fondo di tutta l’opera.
Ci si chiede poi se il testo attuale del Genji Monogatari sia quello che scrisse Murasaki. Il più antico
manoscritto esistente risale alla metà del XII sec, oltre 100 anni dopo il lavoro di Murasaki, ma è
incompleto. Il primo testo completo dei 54 libri risale al XIV sec ed cambia in vari aspetti dai manoscritti su
cui molti testi moderni si basano. Le scuole rivali degli studiosi medievali del Genji avevano i loro testi e solo
recentemente i vari manoscritti sono stati confrontati. Uno studio di Ikeda sulle correlazioni testuali
suggerisce che le versioni sono vicine e che la maggior parte delle differenze sono nei dettagli, che hanno
poco impatto sul contenuto generale o sul significato del romanzo. Ovviamente queste correlazioni non ci
dicono quanto i testi siano fedeli all’originale. C’è un generale consenso tra gli studiosi giapponesi che le
copie del Genji Monogatari siano abbastanza vicine all’originale.
La vera difficoltà per un moderno lettore è la lingua in cui il romanzo è stato scritto. La lingua è puro
giapponese, ma negli ultimi 7 secoli la lingua scritta e parlata del Giappone è stata influenzata dal
vocabolario e dalle costruzioni cinesi (oltre all’influenza occidentale). Il vero problema è la mancanza di
specificità nella scrittura Heian. In generale in giapponese non c’è la precisione di cui sono capaci il cinese e
le lingue indo-europee. Nella letteratura kanabun del periodo Heian , si evitano i nomi propri, il discorso
diretto è comune, ma raramente si indica il parlante. Spesso dobbiamo indovinare il soggetto di una frase e
a volge il soggetto cambia senza preavviso. Le categorie come presente e passato, maschile e femminile,
singolare e plurale, sono poco rilevanti nel giapponese Heian. A volte non sappiamo nemmeno se la frase è
affermativa o negativa. Questa riluttanza nell’essere specifici deriva in parte dalla stretta connessione tra la
letteratura e la poesia classica giapponese – una poesia caratterizzata da frasi laconiche e dal ricorso a
immagini. È anche il risultato della natura “chiusa” delle classi elevate della società Heian. I membri della
società di Murasaki preferivano le allusioni alle dichiarazioni, i suggerimenti alle spiegazioni. Per persone
che vivevano in un mondo così piccolo come la corte Heian, tutto era così familiare che il più piccolo
accenno bastava a comunicare il significato. Un altro aspetto della scrittura Heian che ci sorprende è la
povertà del linguaggio di cui Murasaki e i suoi colleghi disponevano. Il giapponese del X sec aveva una ricca
grammatica, ma una scelta di parole limitata. Il risultato è che molte parole vengono usate troppo e
perdono il significato specifico. Lo stile Heian pone dei problemi ai traduttori. Dovrebbero cercare di
rimanere vicini all’originale e trasmettere alcune delle sue imprecisioni? O dovrebbero rendere tutto chiaro
e specifico, interpretare i pensieri dell’autore e tradurre le parole? Nel Genji Monogatari bisogna trovare un
equilibrio tra questi due estremi, come del resto si deve fare in tutte le traduzioni. Però sembra impossibile
fare una traduzione “accurata”. Uno degli aspetti più grandi del Genji è la bellezza del suo linguaggio e se il
traduttore non riesce a suggerire questo fatto, non può fare un bel lavoro. Paradossalmente quindi si deve
allontanare dall’originale e riformulare il testo in uno stile proprio, ma così va ad oscurare la natura

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dell’originale. La versione di Arthur Waley è il tipo di traduzione più libera possibile. Egli afferma che
inevitabilmente si perde molto nel tradurre dalla letteratura orientale classica e il traduttore, quindi, deve
dare molto in cambio. Questo è esattamente quello che ha fatto Waley nella sua traduzione del Genji
Monogatari, anche se i puristi l’hanno accusato di aver cambiato lo spirito dell’originale. Waley ha prodotto
uno stile differente da quello di Murasaki, ma non si può dire che uno sia migliore dell’altro. Waley fornisce
un linguaggio preciso e chiaro.
Una domanda che ci possiamo porre è quanto materiale Murasaki abbia preso dalla vita vera. Alcuni
studiosi hanno fatto delle ipotesi sui modelli su cui Genji e gli altri personaggi si sarebbero basati. Il
candidato principale è il nipote di Michinaga, Korechika. Per quanto riguarda l’eroina della storia, Murasaki,
l’ovvia identificazione è con la scrittrice stessa. Il problema con questa teoria è che il nome “Murasaki”
venne quasi certamente dato all’autrice per il personaggio e non viceversa. Inoltre la Murasaki che vediamo
nel diario è una persona molto diversa dall’eroina del romanzo. Quello che sembra più probabile è che nel
descrivere il personaggio, Murasaki proietti l’ideale di donna che vorrebbe essere e il tipo di vita che
vorrebbe condurre. Gli studiosi moderni non credono più che ogni personaggio corrisponda ad una singola
figura storica. Il personaggio e la vita del principe Genji sembrano essere basati su vari esuli del periodo
Heian: la bellezza e il carattere lo legano a Korechika, le sue abilità artistiche a Michizane, il cognome a
Minamoto no Takaaki. Nei libri suggestivi il modello potrebbe essere stato anche Fujiwara no Michinaga
stesso. È probabile comunque che i personaggi principali siano basati su una serie di persone che Murasaki
conosceva o di cui aveva sentito parlare.
Gli studiosi hanno trovato degli eventi nel Genji che sembrano essere stati presi da fatti realmente accaduti
a corte. L’esilio di Genji è un esempio, ma siccome era una punizione comune, è difficile farlo
corrispondere ad uno in particolare.
Una domanda importante è se il Genji Monogatari dia un’immagine fedele della società Heian. Innanzitutto
i personaggi dell’opera rappresentato un numero esiguo degli abitanti del Giappone del X sec. Sono
aristocratici, con vite ben diverse dalla gente comune. Quello che Murasaki descrive nel romanzo non è
applicabile alla maggior parte della popolazione. D’altra parte non è descritto tutto il mondo
dell’aristocrazia. Non si parla degli affari di stato e della politica, dell’economia. Murasaki si interessa quasi
esclusivamente alle vite private di un gruppo scelto di aristocratici. Murasaki non si interessa dei contadini,
né parla di cose a cui lei, come donna di quell’epoca, non aveva accesso. Possiamo dire però che quello che
il Genji Monogatari descrive, lo descrive realisticamente.

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