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Burocrazia- Indifferenza sociale- Irrazionalità dello stato.

Introduzione.

L’articolo di Fassin ruota attorno ad alcuni temi fondamentali (di cosa?). Parte dalla questione
migratoria e affrontandola inevitabilmente va ad esaminare lo stato come attore politico, in
particolare lo stato-nazione, e il modo in cui esso si rapporta a tale tematica Potresti non
spezzare la frase, collegarla e scrivere che ….ruota attorno ad alcuni temi fondamentali (o
centrali) della questione migratoria, esaminando come lo stato-nazione, in quanto attore
politico, si rapporta a tale tematica (o a tale fenomeno, come preferisci).. È infatti noto che in
tutte le società contemporanee è, quella migratoria, una questione estremamente sensibile
(forse la cambierei con: In tutte le società contemporanee infatti, il fenomeno migratorio
diviene una questione estremamente sensibile.) La ragione di ciò, ci dice l’autore, risiede nel
fatto che essa mette in dubbio le basi su cui si fondano le istituzioni contemporanee stesse, nel
momento in cui si percepiscono e si dicono democratiche. La questione migratoria si situa
dunque nello spazio limite di tollerabilità e intollerabilità dello stato moderno il quale,
nell’affrontarla, mette in atto processi di inclusione ed esclusione che circoscrivono, di volta in
volta, uno spazio di norma legale, nel quale vige il sacro principio dell’universalità dei diritti
umani. Il restante è tagliato fuori.

Dall’universalità dei diritti all’intollerabile universale.

La comprensione delle dinamiche di potere che regolano i flussi migratori oggi giorno (refuso,
almeno credo, oggigiorno) deve essere introdotta a partire dalle forme e dai significati che le
caratterizzano e che le producono. Questo richiede pertanto una più attenta analisi di cosa
sono le società contemporanee.

Molti studi sull'argomento hanno messo in risalto alcune peculiarità'. Esse (forse qui si perde il
soggetto, o forse no, valuta tu, forse si può riscrivere “società contemporanee”) sono infatti il
risultato della comparsa e della successiva interazione di alcuni fattori: l'industrializzazione
avvenuta nell'Occidente e in America a partire dalla fine del XVII secolo ha dato il via allo
sviluppo di una società di massa; parallelamente il continente ha visto lo svilupparsi di processi
di democratizzazione che si sono serviti, con l'intento di mettere in pratica i nuovi principi di
uguaglianza sui quali si basavano, di un apparato burocratico sempre più pervasivo nella vita
di tutti i giorni; (mettiamo un punto qui?) quest'ultimo, per riprodursi nel tempo, veniva poi
alimentato dalla nascente economia monetaria capitalista la quale, a sua volta, fu resa
possibile da un'implementazione degli apparati militari e di sorveglianza; il tutto
accompagnato da un generalizzato fenomeno di nazionalizzazione che diede unità ideologica
all’unità amministrativa creata. (incredibile come un tempo così lungo possa funzionare, ma se
riesci a metter un punto al centro forse non sarebbe male. Tipo prima di “quest’ultimo”)

L’interrelazione di questi fenomeni mette in gioco una serie di attori sociali e interessi
variegati. È dunque il complesso di queste dinamiche a dare luogo alle pratiche politiche
quotidiane, le quali non sono, come invece si tende a credere, la manifestazione concreta di un
principio astratto, (qui forse ci starebbe bene un bel “ovvero”) quello dell’uguaglianza.
Tale approccio è rischioso perché’ tende ad attribuire alla questione migratoria stessa,
rappresentata come enormemente complessa- di fatto è articolata, ma non è questo il punto
ora-, la responsabilità del fallimento delle pratiche politiche ad essa relative.

Tale approccio è rischioso perché tende ad attribuire alla complessa e articolata questione
migratoria la responsabilità del fallimento delle pratiche politiche ad essa relative.

Weber a dimostrazione di ciò, nel suo studio sulla burocrazia, ne svela la stretta dipendenza
dall’economia monetaria. La necessità di autoriprodursi nel tempo, altresì detta “ragion di
stato”, indirizza l’operato concreto del sistema burocratico facendo sì che prediliga gli interessi
di quegli attori sociali che meglio si adattano al sistema economico che lo finanzia. Tuttavia,
difficilmente avviene che tali interessi si trovino a coincidere con quelli volti alla creazione di
un’uguaglianza indiscriminata.

Viene così messa in crisi tutta la tradizione di studi sul potere e sullo stato che a lungo ha
strutturato il discorso in base a principi di organicità e coerenza interna. La manifestazione
concreta dell’azione statale è ben più complessa di così. (di così forse non è così bello, forse lo
toglierei)

Cos’è lo stato? In che modo viene legittimato il suo potere? Attraverso quali dispositivi lo
esercita? Su chi lo esercita?

L’antropologia politica nell’analisi delle varie forme di potere sviluppa il discorso sul binomio
tradizionale-moderno, ricalcando dunque sulla totale peculiarità di alcuni fenomeni e
dispositivi negli stati-nazione.

Foucault in La volontà di sapere racconta il passaggio dal tradizionale al moderno come la


sostituzione del “diritto sovrano” di “far morire e lasciar vivere” con il “bio-potere” di “far
vivere e lasciar morire” (Foucault, 2013).

Con bio-potere intende quello esercitato sulla condotta umana. Riassunto nei suoi pilastri esso
consiste nel monopolio della violenza legittima e della produzione di legalità. Chi lo esercita è
lo stato, legittimato dai cittadini.

Weber ci tiene a sottolineare in (a) tal proposito che in una democrazia non è il popolo a
governare, come potrebbe lasciar fraintendere una traduzione letterale (di quale termine?)(poi
metterei un punto, per poi ricominciare con “Il potere del popolo”…), “il potere del popolo”;
come nelle società tradizionali è anch’esso governato, ma a dispetto delle prime esso sceglie
da chi, sceglie quale forma dare alle proprie istituzioni. Tuttavia, questo processo avviene
anche a senso inverso. Il popolo sceglie le istituzioni, le istituzioni scelgono il popolo.

Fassin ricalca (cosa? Le stesse prospettive? Le analisi di qualcun altro?) affermando che il
paradosso della democrazia consiste nell’essere “il sistema politico dell’uscita dal politico”
(Fassin, 2014). Questo avviene tramite la creazione di determinati dispositivi. Giddens, per
esempio, dice che la creazione di “borders” e “boundaries” è specifica degli stati-nazione,
società tradizionali creano “confini”. La differenza tra i primi ed i secondi è che dove questi
ultimi agiscono in termini esclusivamente di spazialità, i primi plasmano identità e producono
soggettività -differenziate in base agli interessi prevalenti di ciascun contesto storico-
producono il modo in cui gli individui sono percepiti e si percepiscono.
Foucault parla di un generale spostamento “dall’uso manifesto della violenza” ad “un
pervasivo uso del potere amministrativo” (Gledhill, jksdjhkdf, p 17).

(non cambierei capoverso altrimenti sembra che il discorso cominci ad affrontare altre
tematiche, invece mi sembra tutto (ben) collegato) Tale potere, che si manifesta
nell’istituzione di un vasto apparato burocratico, rivela una “differenziata amministrazione
delle illegalità”. Un esempio ne è la cosiddetta doppia sentenza in Francia, in base alla quale
sono previste due pene (la detenzione e la deportazione) per lo stesso reato.

(anche qui, assolutamente, non lasciare questo spazio perché spezza il ragionamento (buono)
che stai facendo) È da superarsi dunque la teoria weberiana che vede lo stato e i suoi
dispositivi come giusti e neutrali. Quello che mettono in atto sono processi di inclusione-
esclusione delle persone. Se il principio su cui si basano proclama l’eguaglianza di fronte la
legge, lo stato, avendo come detto il monopolio della capacità legislativa, crea l’illegalità, lo
spazio altro rispetto la legge.

In materia migratoria tali dispositivi- si tratta di nuove tecnologie di sorveglianza- si dispiegano


su diversi livelli.

Su un piano internazionale si collocano dunque i “borders”, i quali, tramite la categoria del


cittadino attuano un primo processo di selezione.

Un secondo momento di diversificazione avviene poi all’interno del territorio statale stesso,
tramite il dispositivo dei “boundaries”: essi creano infatti confini etnici e identitari.

Questo avviene tramite la creazione di quelle che Talal Asad chiama “categorie legali” (p. 18-
19). In nome dell’aiuto umanitario, della preservazione di tipicità culturali o di procedure
individualizzanti, tali categorie si manifestano nella creazione di uffici specializzati -si pensi alla
gestione di rom e sinti in Italia per esempio- che di fatto danno luogo a fenomeni di
marginalizzazione sociale.

Tuttavia, entrambi questi momenti sono preceduti e resi possibili da un terzo dispositivo che
consiste nell’esternalizzazione delle frontiere. Tramite la stipulazione di trattati con paesi terzi -
come nel caso Italia-Libia- le società contemporanee delegano a paesi in via di sviluppo la
gestione di una grande fetta dei flussi migratori (di queste cose credo che hai gli appunti di
(non ricordo il nome, l’avvocata) che ha fatto lezione in barca, ma solo per dire non è un invito
ad aggiungere. Tale gestione si esplica nella creazione di campi profughi nei quali risiedono
all’incirca i due terzi della totalità dei migranti.

(qui probabilmente lo spazio tra i versi ci sta bene)

La forma e l’estensione di tali dispositivi ci mostrano dunque come, benché’ il potere statale
sia legittimato da un numero determinato di individui, i cittadini, esso si eserciti su una ben più
vasta gamma di realtà.

Torpey, in uno studio sulla storia del passaporto, afferma come gli stati moderni detengano il
monopolio del legittimo significato di movimento (Torpey, 2000).

Un’analisi dell’evoluzione delle pratiche politiche in materia migratoria nella storia francese dal
secondo dopoguerra agli anni Novanta del secolo scorso aiuta a comprendere tale assunto.

Dove inizialmente con la Convenzione di Ginevra del 1951 si riconosce il diritto alla richiesta
d’asilo a chiunque avesse anche solo il timore di essere perseguitato (per ragioni politiche,
etniche o religiose che siano), i dati mostrano come il numero di permessi effettivamente
accettati, (da che consisteva nel = dal) 95% delle richieste accettate nei primi anni Cinquanta,
scende al 5% negli anni Settanta. Questo perché dove inizialmente la situazione geo-politica
interna legittimava la figura del migrante come forza lavoro, il successivo mutamento di
interessi alla base delle politiche francesi muta conseguentemente il valore attribuito a tale
categoria legale. Successivamente, con l’introduzione negli anni Novanta della clausola
umanitaria (in base alla quale era possibile ottenere il permesso di soggiorno nel caso in cui si
fosse affetti da una malattia terminale che non potesse essere curata nel paese di origine), la
categoria del migrante cambia nuovamente.

In tal proposito Fassin parla di uno slittamento dal “bio-potere” di Foucault alla “bio-
legittimità’”. È infatti solo il carattere biologico dell’individuo migrante ad essere valorizzato dal
potere. Potere che conseguentemente produce non più cittadinanza ma “bio-cittadinanza”
(Fassin, 2014).

L’autore si richiama ancora una volta alle contraddittorietà alla base del sistema democratico.
In termini di valutazione delle vite vi è infatti una forte discrepanza tra l’idea di vita e la
concretezza delle vite al plurale. La prima è sacralizzata, le seconde si manifestano sottoforma
di disuguaglianze. Porta ad esempio la guerra del Golfo dove la proporzione di deceduti tra
soldati delle forze occidentali e civili iracheni e di 1:100. Questi ultimi per giunta vengono
narrati come “danni collaterali”.

Il principio di universalità dei diritti umani viene in tal modo storicizzato e contestualizzato,
dimostrandosi poi non così tanto universale.

Al contrario, continua Fassin, è riscontrabile universalmente il principio di intollerabilità. Ogni


società ha infatti un limite di tollerabilità superato il quale è necessario mettere in atto una
serie di dispositivi per ripristinare lo status quo.

Come tra i Diola della Casamance esiste il kanaalen, rito praticato quando le leggi della
riproduzione biologica vengono messi in discussione, così nelle società contemporanea
esistono questi dispositivi di inclusione-esclusione degli individui.

Una mancata gravidanza come anche la figura del migrante rischiano, con la loro stessa
presenza- o assenza, nel caso della gravidanza-, di minare le fondamenta delle società in cui si
inseriscono.

Il ruolo dei rituali di afflizione nel primo caso, come delle tecnologie di sorveglianza nel
secondo, consiste dunque nella creazione di uno spazio liminale, altro, nel quale l’ordine
normale viene sovvertito. Spazio nel quale la questione spinosa, forzata in questi termini, torna
ad essere pensabile, e questo senza che il sistema crolli.

(eliminerei gli spazi tra i versi (o i paragrafi non so esattamente come si chiamano) cercando,
dove necessario, dei punti di congiunzione)

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