Sei sulla pagina 1di 9

1 MARCO POLO – MARINA MONTESANO L’EURASIA FRA NOMADI E SEDENTARI Il

rapporto tra stanziali e nomadi è uno dei grandi temi globali della storia eurasiatica. I barbari hanno
interagito con gli imperi, come quello cinese e romano, in differenti epoche e non solo militarmente.
1. I COMMERCI OLTRE I CONFINI
Già nel corso del II secolo, quando si era avviata una lunga fase di raffreddamento climatico
dell’emisfero boreale, che sarebbe terminata fra il VI e il VII secolo, interi popoli nomadi erano
costretti a spostarsi verso le aree periferiche del macrocontinente eurasiatico, favorite da un clima
marittimo più mite. Questi spostamenti furono avvertiti da due imperi che reagirono allo stesso
modo per arginare e disciplinare questi flussi migratori: l’Impero Cinese con la Grande Muraglia,
l’Impero Romano con i diversi valla (cortine murarie continue). Questi sistemi di difesa non
escludevano le comunicazioni con i popoli che si trovavano oltre tali confini: dalle necessità della
guerra emergevano i primi scambi commerciali e il bisogno di creare delle vie di collegamento,
lungo le quali viaggiavano merci, diplomazia e missionari delle varie fedi.
2. I PRIMI CONTATTI: LA VIA DELLA SETA FRA REALTÀ E LEGGENDA La seta giungeva
al Mediterraneo attraverso la via di commercio marittima che attraversava l’Oceano Indiano e
risaliva la penisola arabica o il Nilo. Ma i cinesi non dimostrarono mai per l’Occidente un
entusiasmo o curiosità pari a quelli che gli occidentali mostravano per loro: del resto, noi avevamo
molto da chiedergli, ma praticamente niente da offrire. Se gli europei sapevano poco dell’Asia,
molto più di loro conoscevano gli arabi, abituati a viaggiare e a commerciare in quel continente: fu
proprio grazie alla loro prima intermediazione, e solo dal VII secolo, che la seta si fece più diffusa,
e con essa anche la produzione della carta. Le notizie sui luoghi d’origine di tutte le merci asiatiche
erano per la maggior parte fantastiche. Addirittura i racconti medievali che prendevano spunto dalla
tradizione antica e tardo-antica parlavano del paradiso terrestre collocato nella parte più estrema
dell’Oriente, ma reso inaccessibile da una barriera di fuoco.
3. LA CINA
Il territorio della Cina è costituito da aree differenti tra loro: o A nord-ovest la regione comprende a
settentrione il bacino di Zungaria, area delimitata a nord dai monti Altai e a sud il bacino del Tarim.
o La Cina settentrionale, il Catai di Marco Polo, è delimitata a nord dalla Mongolia interna e a sud
dal bacino del Fiume Giallo. o Il nord-est comprende tutta la Manciuria a est della catena del
Grande Khingan. o La Cina meridionale, il Mangi di Marco Polo, comprende la valle del Fiume
Azzurro. o La parte sudoccidentale della Cina è occupata dall’altopiano del Tibet. Nell’epoca
precedente all’arrivo dei Polo in Cina, la dinastia dei Song aveva guidato il paese in un momento di
straordinario sviluppo. La storia di questo popolo si può dividere in due aree e in due periodi. Il
periodo dei Song del Nord, che va dal 960 al 1127, vede come capitale Kaifeng, al centro della
Cina, e si osserva un incremento dei commerci poiché i mercanti stranieri erano liberi di operare nel
continente asiatico. Tuttavia, dopo il 1127 attraversarono un periodo di crisi che li portò a perdere la
parte nord: allora i Song 2 del Sud si stabilirono nella Cina centro-meridionale, a sud del Fiume
Giallo e a nord del Fiume Azzurro, spostando la capitale a Hangzhou. I Song conosceranno ancora
tra XII e XIII secolo una grande prosperità. Come l’Europa aveva conosciuto un incremento
economico all’inizio del II millennio, anche la Cina aveva vissuto un’espansione: in entrambi i casi
l’agricoltura era la base economica. In Cina acquisì importanza la risicoltura, la cui alta resa
consentiva di liberare risorse umane da dedicare ad altre attività e i cui vantaggi della
commercializzazione offrivano nuovi sbocchi economici: tra l’VIII e il XIII secolo la popolazione
cinese è raddoppiata, passando da 50 a 100 milioni. Il riso da commercializzare viaggiava
soprattutto sul Grande Canale e, sotto la dinastia Song, si incrementò ancora di più la sua
produzione grazie alla selezione di specie più resistenti. Lo sviluppo economico e commerciale
portò anche a un incremento della produzione tessile, mentre artigianato e manifatture conducevano
a miglioramenti e sviluppi tecnici: si andava formando una manodopera urbana.
4. IL RISVEGLIO DEI NOMADI
Nel corso del XII secolo si assistette al vero e proprio risveglio dei mongoli, pastori nomadi che
abitavano la Mongolia orientale (sud-ovest della Manciuria): gli arabi li chiamavano tatar, da cui i
latini derivarono la parola tartari, che ricordava l’inferno pagano, il Tartaro. L’impero cinese
iniziava a dare segni di cedimento sotto la pressione dei barbari, ma il territorio asiatico era già
popolato da tribù nomadi in continua lotta fra loro: essi erano poco pericolosi finché non trovarono
un khan in grado di unificarli. Della nascita di Temujin si sa ben poco, addirittura è collocata in un
arco di dodici anni, tra il 1155 e il 1167. Era figlio di un capotribù e la sua ascesa cominciò quando
entrò a servizio del khan dei keraiti, una tribù turco-mongola di religione cristiana. Nel 1206 l’intera
area del Gobi era sotto il suo dominio: egli fu, quindi, proclamato Gran Khan, cioè khan supremo di
tutti i mongoli che, sotto di lui, avevano trovato un’unità nazionale. Fu allora che egli ricevette il
nome di Gengis Khan, Signore Universale. Gengis Khan diede al suo impero una forma sempre più
gerarchizzata: le tribù restavano indipendenti, ma a capo di esse c’era una famiglia imperiale, il
cosiddetto “casato della stirpe aurea”, e i singoli khan, seppur continuando a mantenere una certa
autonomia, erano tenuti alla fedeltà e al rispetto per il Gran Khan. Nel 1211 Gengis Khan avviò la
campagna per la conquista della Cina e quando morì, nel 1227, il suo impero andava dalla Siberia al
Kashmir e al Tibet, dal Mar Caspio al Mar del Giappone. Alla sua morte i capitribù erano tenuti a
riunirsi nella dieta tribale presso Karakorum, per scegliere il nuovo sovrano: gli successe il figlio
Ögödei. Nel 1234 s’impossessò dell’aria settentrionale della Cina e, mentre completava
l’assoggettamento della Persia, il nipote di Gengis Khan, Batu, si spingeva verso l’Europa: nel
1240, Kiev cadeva nelle sue mani, e nel 1241 si impadronì del territorio tra il Volga e il Mar Nero,
riversandosi poi sulla Polonia, Boemia e Ungheria. Tuttavia, Batu dovette ritirarsi dalla parte di
Europa conquistata perché le vittorie gli erano costate troppe perdite e, poi, la morte di Ögödei
richiamava i capi mongoli per la dieta. Fu eletto al trono suo figlio Güyük, con e dopo il quale i
mongoli puntarono sulla Cina dei Song. Möngke, nipote di Gengis Khan, morì nel 1259 durante
l’assedio della città di Chongqing. Suo fratello Kubilai fu eletto nuovo Khan nel 1260: nel 1276 la
famiglia dei Song gli si arrese e nel 1279 la flotta mongola sconfisse quella cinese. L’intera Cina era
sotto il suo controllo e nasceva una nuova dinastia, quella Yuan. A partire dalla seconda metà del
XIII secolo, l’impero mongolo divenne un “impero federale”: il Gran Khan risiedeva a Pechino e a
lui dovevano rendere conto i khan dell’Orda d’Oro, del Chagatai e di Persia.
5 IL MILIONE: LA VITA IN UN VIAGGIO
1. LA FAMIGLIA
Le prime notizie sicure circa la genealogia della famiglia Polo non risalgono oltre suo nonno
Andrea, che ebbe tre figli: Marco, Niccolò e Matteo. Sappiamo che Marco il Vecchio si era stabilito
a Costantinopoli e aveva una casa a Soldaia, in Crimea; mentre Niccolò e Matteo partirono nel 1260
per condurre i loro affari a Costantinopoli: i tre fratelli erano legati in una partnership economica.
Niccolò e Matteo rientrarono a Venezia nel 1269 e vi trascorsero due anni, durante i quali Niccolò
si risposò con Fiordelise Trevisan ed ebbe un figlio. Nel 1271 ripartirono insieme al figlio Marco,
arrivarono ad Acri e qui incontrarono il legato Tedaldo Visconti da Piacenza; poi in estate partirono
alla volta di Lajazzo. Ma, nel frattempo, Tedaldo era stato eletto pontefice col nome di Gregorio X e
chiese ai Polo di tornare ad Acri. La seconda partenza dovrebbe essere, quindi, avvenuta
nell’autunno 1271. Alcuni ritengono che il viaggio dei Polo avesse valenza religiosa, ma non
bisogna dimenticare che lo scopo e la lunga durata del viaggio sono da ascriversi a interessi di tipo
commerciale.
2. L’ARRIVO IN CINA
I Polo arrivarono presso la residenza estiva del khan probabilmente nel 1275 e Marco aveva ormai
ventun anni. Dall’incontro con Kubilai al primo incarico passò un po’ di tempo, tanto da permettere
al veneziano di imparare le lingue: certamente il persiano, poi un dialetto turco, il mongolo e il
sistema di scrittura dell’alfabeto squadrato. La prima missione portò Marco nello Yunnan per sei
mesi.
3. LE MISSIONI
L’assenza di una qualsiasi menzione dei Polo nelle fonti cinesi ha suscitato molte perplessità: se il
ruolo di Marco è stato così importante, perché nessuno l’ha registrato? Non è improbabile che il
veneziano abbia ricoperto un ruolo per il quale potrebbe essere stato registrato con un nome
mongolo o con un soprannome. Oppure potrebbe semplicemente non essere stato registrato, così
come non lo furono tutti gli altri occidentali. Ma qual era quindi il compito di Marco? Se si rifiuta
l’ipotesi di governatore generale, si può prendere in considerazione che egli sia stato un ufficiale
nelle rendite del sale.
4. IL RITORNO
I Polo volevano tornare in Italia, forse perché erano soddisfatti, o preoccupati per una rivolta, o
perché Niccolò e Matteo iniziavano ad essere anziani: questa partenza è presentata come una sorta
di ultima missione affidata dal khan a Marco e ai suoi parenti. I tre Polo sarebbero stati incaricati di
scortare la futura sposa, Kokacin, di Arghun fino all’Ilkhanato di Persia insieme ai tre ambasciatori
mongoli: dovrebbero essere partiti da Quanzhou nel febbraio 1921 e avrebbero raggiunto Giava a
maggio, fermandosi lì per cinque mesi. Nel novembre dello stesso anno avrebbero ripreso il mare
diretti in India, dove approdarono nel 1922. Di qui avrebbero proseguito fino a Hormuz, raggiunta
nella primavera 1923. Arrivati a destinazione, i Polo compresero che Arghun era morto nel 1921,
così consegnarono al fratello Gaikhatu che gli era succeduto la promessa sposa, che poi sarebbe
andata al figlio di Arghun, Ghazan, che salirà al trono nel 1295. I Polo ripartirono all’inizio o nella
primavera 1925: passando per Trebisonda, Costantinopoli, Negroponte, raggiunsero Venezia nel
tardo 1925. 6
5. GENOVA: LA NASCITA DEL MILIONE…
Pochi anni dopo il suo rientro a Venezia, Marco finì prigioniero a Genova a causa della battaglia di
Curzola dell’8 settembre 1298 e, poiché è certo il suo rilascio nel 1299 grazie a un trattato di pace
tra genovesi e veneziani, il tempo per la scrittura del Milione sarebbe limitato a meno di un anno.
Questo porta a ipotizzare che Marco potrebbe essere stato preso prigioniero prima di Curzola.
Tuttavia, la discontinuità nella scrittura fa pensare proprio a una stesura sbrigativa, che coincide
perfettamente con il breve tempo di un anno per scriverlo. Sappiamo che, proprio nelle carceri,
Marco incontrò Rustichello da Pisa, che avrebbe tradotto il racconto del Polo servendosi della
lingua franco-italiana. È senza dubbio impossibile considerare Marco il sicuro autore-dettatore e
Rustichello il passivo trascrittore: è probabile che il contributo del pisano sia stato importante, forse
più nell’abbellimento del racconto che non nella parte inventiva-narrativa.
6. …E LA SUA DIFFUSIONE
Bisogna attendere il rientro di Marco a Venezia perché il testo inizi a circolare. L’originale è
perduto, ma resta il manoscritto francese 1116 della Biblioteca Nazionale di Parigi come testimone
linguistico più antico e maggiormente vicino alla prima stesura. Marco tornò nella sua città con una
copia e iniziò a farlo ricopiare: una delle copie contiene una dedica per Carlo di Valois, fratello del
re di Francia Filippo il Bello. La spiegazione di ciò va ricercata nel fatto che Carlo era impegnato in
un progetto di conquista di quanto restava dell’impero bizantino e aveva stretto un patto con
Venezia: al dono di Marco, quindi, si può dare un significato politico e geo-strategico, visto che
l’opera era appena stata scritta e narrava di aree appetibili per le potenze europee. Di qui derivano
molte traduzioni in francese, ma anche un volgarizzamento toscano, più comprensibile e certamente
più fedele al franco-italiano. Vi è anche una versione veneta, che però non sembra dipendere dal
manoscritto 1116, ma ad un simile oggi perduto: è importante perché da questa versione deriva
anche la traduzione latina, effettuata dal frate domenicano Francesco Pipino prima del 1324, cioè
prima della morte di Marco. Importante è il codice 49 20 Zelada dell’Archivio Capitolare di Toledo,
una copia quattrocentesca di un esemplare precedente: si tratta di un testo fondamentale per la
ricchezza dei dati etno-antropologici che fornisce e aggiunge circa duecento passi assenti nel
franco-italiani, anche se ne taglia altri di grande importanza.
7. UN TITOLO SINONIMO DI RICCHEZZA
La ricchezza della materia trattata rende difficile ridurre il Milione a un unico genere narrativo.
Certo, l’opera non manca di una struttura chiara: si parte con il prologo, che riassume l’intera
vicenda; si passa al viaggio di andata, che si conclude con l’arrivo presso Kubilai; quindi si parla
della corte del khan, dei suoi costumi e delle sue buone opere; dopodiché si riprende a parlare di
viaggi in Cina fino alle regioni meridionali e poi dell’India; dopo l’India, è la volta delle coste
dell’Africa; mentre del rientro ne ha già parlato nel prologo, così il racconto si conclude con una
descrizione delle battaglie intermongoliche e con alcuni accenni all’area tra Russia e Siberia. Per
quanto riguarda il titolo, sappiamo che l’originale è Devisement dou monde, ma il parlare del
Milione è legato alla sovrabbondanza di notizie, cifre e ricchezze narrate nell’opera. Un’altra
spiegazione è quella che vuole il nome derivare da Emilione, per aferesi divenuto Milione: il nome
è associato alla famiglia Polo per distinguerla da un’omonima che abitava a Venezia.
7 LA GEOGRAFIA DEI VIAGGI 1. PAESAGGI E ITINERARI
È con la seconda metà del XV secolo che si coglie l’importanza delle rappresentazioni
paesaggistiche con toni naturalistici: ciò significa che gli europei dei secoli precedenti tendevano ad
attribuire al paesaggio molta minore importanza di quanto non facciamo noi. Questo perché, da una
parte si temeva l’imprevedibilità e la potenza distruttrice della natura, mentre dall’altra la si
considerava sullo sfondo rispetto a elementi come il paesaggio umano, le merci, le risorse e i
costumi. Quindi, rispetto ai suoi contemporanei Marco Polo inserisce nel Milione annotazioni su
fiumi o montagne, sulla natura rigogliosa o arida, sulla mutevolezza del paesaggio: lo stupore
dell’autore era generato dalla novità di quanto osservato.
2. DALL’EUROPA ALLA CINA
Nel prologo si accenna all’itinerario percorso dai fratelli Polo: è probabile che il loro cammino
abbia seguito la via settentrionale, essendosi trovati a Costantinopoli ed essendo partiti da lì verso la
base commerciale di Soldaia, sul Mar Nero. Si erano poi recati alla corte di Barka Khan nel 1261,
uno dei nipoti di Gengis, che governava dalla città di Sarai. Lo scoppio della guerra tra Barka e
Hülegü nel 1262 avrebbe impedito ai fratelli di tornare indietro. Così i Polo si diressero a sud-est
verso Ukek, sulla riva destra del Volga (Tigri), che rappresentava il confine dell’Orda d’Oro. Da qui
proseguirono verso il deserto e incontrarono l’emporio commerciale di Bukhara. Alcune
informazioni inerenti questo primo viaggio sono incluse nelle descrizioni che il libro propone
successivamente e che, quindi, non si riferirebbero solo a quanto vide Marco personalmente, ma
anche alle esperienze di Niccolò e Matteo. Per quanto riguarda il ritorno, sappiamo che impiegarono
circa tre anni per giungere a Lajazzo; dopodiché raggiunsero Acri nell’aprile 1296 e si imbarcarono
verso Negroponte, per poi rientrare a Venezia.
3. VENEZIA E POI ANCORA L’ORIENTE
I fratelli Polo, insieme a Marco, volsero per mare verso Acri, si recarono a Gerusalemme e attinsero
dal Santo Sepolcro l’olio santo della lampada, come richiesto da Kubilai. Rientrati ad Acri si
imbarcarono per Lajazzo, ma il nuovo papa Gregorio X li fece richiamare ad Acri, dove gli affidò
lettere e doni per il khan. Insieme ai Polo sarebbero partiti anche due frati domenicani, Guglielmo
da Tripoli e Niccolò da Vicenza: tornarono tutti a Lajazzo alla volta dell’Oriente. La situazione
politico-militare non era ancora tranquilla ed è per questo che i due frati ebbero paura e decisero di
non proseguire il viaggio. Nel prologo del Milione l’itinerario non viene chiarito, ma si accenna
solo alla meta d’arrivo, Shangdu, residenza estiva del khan.
4. LUNGO LA VIA DELLA SETA
Il Milione descrive dettagliatamente molte località della Persia, tra cui Cherman e Hormuz: ma
perché il gruppo avrebbe dovuto spingersi così a sud? Si può ipotizzare che il racconto di queste
aree non si riferisca alla fase iniziale ma al viaggio di ritorno. A meno che non si voglia formulare
l’ipotesi che il gruppo intendesse imbarcarsi all’andata da Hormuz per la Cina, ma abbia poi
desistito a causa delle condizioni di insicurezza della navigazione. Comunque, dopo Lajazzo essi
passarono attraverso la Turchia e l’Armenia, poi dal sud del Caucaso e, infine, dalla Persia
seguendo un asse da nord-ovest a sud-est: è la strada che passa al di sotto del deserto salato del
Dasht-e Kevir. Marco ne attraversò il prolungamento sudoccidentale, chiamato Dasht-e Lut, noto
per essere uno dei luoghi più
10 LE CITTÀ E LE ACQUE
1. TRA LAJAZZO E L’AFGHANISTAN
Nel 1201 Venezia aveva concluso il primo accordo con il regno armeno di Cilicia, di cui faceva
parte Lajazzo, importante perché fungeva da sbocco per i propri prodotti e per quelli dell’entroterra
arabo-persiano. La prosperità di Lajazzo coincise con la conquista mongola e, inizialmente, gli
italiani che ne approfittarono furono i genovesi, mentre i commerci veneziani vi sono attestati per la
prima volta nel 1261. Traffici sempre più intensi collegarono Lajazzo a Venezia negli ultimi
decenni del XIII secolo. La città successiva descritta da Marco è Baghdad, che si suppone non abbia
visitato, ma della quale fornisce alcune notizie di rilievo, come le informazioni sulle merci,
l’importanza della città, il Tigri che collega il Golfo Persico. Tabriz, invece, viene menzionata come
la città più nobile e bella della regione, ricca di pietre preziose e perle, nonché di artigianato, in
particolare stoffe d’oro e di seta. La sua popolazione, dal punto di vista etnico-religioso, è mista.
2. LA CULLA DELL’URBANESIMO
Le descrizioni più belle di città appartengono alla Cina, come la residenza d’inverno del Khan,
Khanbaliq (Pechino): la città ha dodici porte e ognuna di queste conduce a un borgo, ciascuno ricco
di palazzi e case. Dettagliato è il racconto della vita di Chengdu, di cui Marco fa riferimento al
passato glorioso: fu, infatti, governata da molti re ricchi e potenti. La città alla fine dell’epoca Song
era stata teatro di una ribellione che aveva portato, seppur brevemente, al potere una dinastia locale:
fu il Gran Khan a porre fine a questo regno. Comunque, Marco ne descrive il lungo perimetro di
mura e dice che la città è percorsa da fiumi e canali navigabili che provengono dalle montagne
circostanti. Di grande importanza è la città di Zaitun, oggi Quanzhou: si tratta di un porto dove
fanno scalo tutte le navi provenienti dall’India con molte merci pregiate, ovvero pietre preziose e
grosse perle. Da questo porto le merci si diffondono, poi, per tutta la provincia del Mangi.
3. LE ACQUE
L’esaltazione della ricchezza fluviale della Cina si raggiunge con la descrizione del suo fiume
principale, lo Yangtze Kiang, culla della civiltà cinese: la merce che vi si trasporta maggiormente è
il sale. I numerosi affluenti del fiume, che oggi sappiamo averne oltre 700, permettono la
distribuzione capillare di questo prodotto. Solo il fiume in sé e per sé bagna duecento città e
attraversa sedici province.
4. IL CIELO E LA TERRA
Le due città più affascinanti per Marco Polo sono alla foce dello Yangtze: l’immagine di queste due
città adagiate sulle acque che si chiamano “terra” e “cielo” trasmette l’impressione di completezza
cosmica. Suzhou è ricca di mercanti, medici, filosofi, maghi e indovini. Sui suoi monti si producono
rabarbaro e zenzero. La compresenza di acque, ponti e terraferma le vale oggi il nome fra gli
occidentali di “Venezia dell’est”. 11 Molto più si Suzhou è Quinsai, che si merita la descrizione più
estesa di tutto Il Milione: Hangzhou, questo era il suo nome, era stata l’ultima capitale dei Song,
presa da Kubilai nel 1276. È una città con 35 km di lunghezza della cerchia di mura, ma che ormai
serviva a poco: Kubilai aveva ordinato la rimozione di tutte le porte e ignorava le mura. La
posizione di Hangzhou è quella di una città d’acqua per eccellenza, tra un lago e la foce del fiume.
Sono presenti molti ponti e strade lastricate, percorse persino da carrozze, cosa del tutto inedita per
gli europei del tempo. Marco esprime grande meraviglia per il palazzo dei sovrani Song: diviso in
tre parti e serrato da mura altissime, vi si accedeva attraverso un immenso portale che da una parte e
dall’altra era adornato da logge colonnate, dipinte e lavorate d’oro e d’azzurro. Nella loggia
principale erano dipinte le storie dei re passati. Qui i sovrani ospitavano i ricchi signori della città e,
oltre questo spazio pubblico, si apriva quello privato dei reali.
L’ECONOMIA ALCHEMICA
1. LA CARTAMONETA
Il Milione offre una descrizione piuttosto lunga della produzione e dell’uso della
cartamoneta. La capitale Khanbaliq era il centro della produzione: il materiale utilizzato è la
fibra bianca che si trova tra il legno e la corteccia dell’albero di gelso. La carta che si ottiene
è molto scura; i fogli vengono tagliati con tagli differenti a seconda del valore (Marco ne
ricorda fino a tredici). La cartamoneta ha necessità di legittimazione: per questo ogni
banconota reca la firma e il sigillo degli ufficiali preposti alla zecca, oltre a quello del khan
(la falsificazione è punita con la pena di morte). I mercanti che arrivano dall’India o da altre
regioni dell’impero e che portano con sé gemme, perle, oro e argento devono venderle al
khan: in altre parole, cambiarle con le banconote. L’argento, le pietre, le gemme, i tessuti
preziosi non venivano commerciati in base a un prezzo fisso stabilito una volta per tutte, ma
erano estremamente variabili quanto a valore e quindi restava una moneta producibile a
volontà, senza una reale possibilità di conversione.
2. LE “PORCELLANE”
Nonostante l’importanza assunta dalla cartamoneta, Marco descrive l’utilizzo in Cina di
altre forme di pagamento: le “porcellane”, ovvero le conchiglie di Venere. Le porcellane
sono simbolo di fertilità, legate a un elemento simbolicamente creatore com’è l’acqua, ed
erano rivestite di un valore di prestigio che le rendeva preziose. L’utilizzo di conchiglie
come monete è attestato in Cina da tempi antichissimi: le fonti cinesi, così come Il Milione,
ne dimostrano la particolare rilevanza per lo Yunnan, dove ne faceva uso anche
l’amministrazione. Nel 1276 le conchiglie erano divenute un mezzo di scambio
ufficializzato dalle autorità per quella regione e nel 1282 furono stabiliti tassi di cambio
conchiglie finalizzati al pagamento delle tasse sulla proprietà. Una delle ragioni della loro
diffusione sta nella facilità di reperirle, portarle con sé, il che le qualificava nelle aree in cui
serviva una moneta per piccoli commerci.
3. IL SALE: UN MONOPOLIO VENEZIANO
Agli inizi del Duecento la produzione del sale aveva raggiunto il suo culmine, dando alla
città di Venezia il primato nel Mediterraneo: era grazie al sale che Venezia pareggiava i
conti con le importazioni dei prodotti alimentari acquistati in terraferma. L’importanza del
sale aveva spinto le autorità cittadine ad aumentare le imposte sul prodotto, rendendolo
monopolio di Stato: il dazio sul sale veniva, quindi, devoluto al rimborso dei crediti
contratti. Per gestire l’amministrazione delle imposte venne istituito un ufficio del sale a 12
Rialto e nel 1271 cinque salinari a Chioggia. Nel corso del Duecento tutto il Mediterraneo
era coinvolto con il commercio del sale: nel 1281 le autorità escogitarono un sistema con il
quale le navi dei veneziani che avevano lasciato la città con un carico di merci e che
sarebbero dovute tornare vuote, avevano l’obbligo di tornare con carichi di sale. L’”ordine
del sale” garantiva gli approvvigionamenti e consentiva ai mercanti di incrementare i
profitti, poiché ricevevano un compenso stabilito in base al valore delle merci esportate.
4. IL SALE: UNA MONETA E UNA MERCE IN CINA
Il distretto di Yandu prendeva il nome proprio dalla centralità del sale nella sua vita
economica, ma già per il Catai si parla di località in cui producono una grandissima quantità
di sale. A guadagnare non sono solo i mercanti, ma anche Kubilai. Al confine con lo
Yunnan, Marco descrive un ulteriore tipo di moneta: si tratta di una moneta di sale e, allo
stesso tempo, di una merce, utilizzata soprattutto in Tibet dove il sale non si trovava IL
MERAVIGLIOSO MONDO DEGLI ANIMALI
2. TOPOI O REALTÀ? IL COCCODRILLO
È indubbio che, per la rappresentazione del mondo animale, Marco Polo si serva di topoi
tratti dai bestiari, soprattutto lì dove non ha un’esperienza diretta del fatto. Altrove, però,
egli si limita a riferire dati reali e attestati. Per quanto riguarda il coccodrillo, ad esempio,
che era un animale ben noto perché descritto già dagli antichi, Marco Polo ne parla come un
grande serpente con la testa enorme e, vicino ad essa, due zampe con tre unghie, che dorme
nelle grotte e cerca sollievo nell’acqua. L’incertezza sulla forma dell’animale che dominava
il Medioevo occidentale si estende, in realtà, al nome stesso: cockatrice in inglese indica
“basilisco”, cioè un animale metà rettile e metà gallo, che però i bestiari annoveravano al
pari del coccodrillo tra i rettili.
3. GATTI-PAULI E PAPIONI
Prendiamo l’esempio del gat-paul del quale Il Milione parla in riferimento all’Asia
meridionale: la versione latina, gatus paulus, è attestata dal dizionario persiano-latino-
cumano (1330), dove compare fra gli animali da pelliccia, ma senza ulteriori precisazioni.
Non sappiamo cosa Marco abbia visto davvero, poiché era davvero facile fare confusione
con i nomi di questi animali. Stessa cosa per altri animali: i papiones, che nelle
classificazioni moderne corrispondono a una specie di babbuino, ma in passato non era così.
Giacomo da Vitry ne parla come di cani selvatici che popolano i dintorni di Gerusalemme;
Guglielmo di Rubruck li nomina per i territori a nord del Mar Nero, quando parla delle pelli
di lupi, di volpi o di “papioni”; Marco Polo ne scrive come delle volpi nelle province del
sud-est della Cina. È chiaro che questi tre non possono parlare dello stesso animale: può
darsi che l’elemento che li accomuna sia l’esser dotato di una pelliccia e avere un aspetto
volpino o canino. In ogni caso, possiamo dire che tanto il coccodrillo quanto il gat-paul e il
papione presentano lo stesso tipo di problema: la mancanza di univocità, gli slittamenti della
lingua nel tempo, e sotto quella delle classificazioni in uso.
5. GLI UNICORNI, “BESTIE MOLTO BRUTTE”
Marco Polo crede di aver visto degli unicorni a Sumatra e dalla sua rappresentazione si
capisce che sta descrivendo un rinoceronte. Con le sue parole, sembra quasi che il mito
dell’unicorno torni alla sua origine, che è persiana: in persiano la parola karkadann indica,
15 così: secondo le loro credenze, quando un uomo muore per la prima volta diventa un bue,
poi muore una seconda volta e diventa un cavallo, e così muore per ottantaquattro volte e
diventa ogni volta un animale. All’ottantaquattresima volta il figlio del re divenne un dio: gli
idolatri lo considerano il migliore e il più importante dei loro dèi. Finita la vicenda del
Siddharta, Il Milione dice che nel tempio sulla cima del monte si conservano i capelli, i denti
e una scodella: i buddhisti li attribuiscono al patrimonio di reliquie della loro fede, mentre
musulmani e cristiani dicono essere appartenuti a Adamo (Marco si schiera contro questa
seconda ipotesi perché la tomba di Adamo si trova altrove). Tuttavia, Marco racconta che
nel 1289, per conto di Kubilai, era stata inviata un’ambasceria per recuperare quelle reliquie,
che il khan credeva fossero di Adamo.
6. GLI AMMINISTRATORI DEL CULTO
Per quanto riguarda le pratiche rituali del buddhismo, le prime notizie arrivano a proposito
della regione settentrionale del Tangut: qui Marco nota la presenza di monasteri e abbazie,
pieni di multiformi idoli. Quando nasce un figlio si alleva un montone e, nel giorno della
festa degli idoli, questo viene sacrificato come offerta per la protezione del bambino. Alla
corte del khan Kubilai, oltre ai monaci buddhisti, Marco nota anche la presenza di un altro
genere di religiosi, presumibilmente appartenenti al taoismo. Comunque, l’atteggiamento
aperto di Kubilai non li escludeva e i mongoli li chiamavano sensin, con il significato di
“precettore”.
7. CRISTIANI E MUSULMANI
La presenza di cristiani e musulmani in Asia lascia Marco indifferente: i cristiani che
incontra sono nestoriani ma, al contrario dei religiosi occidentali che viaggiavano sperando
di convertire i mongoli, non ne fa un bersaglio polemico. Quasi tutti i primi missionari
europei osservavano scandalizzati come i nestoriani fossero soliti partecipare ai riti dei
mongoli, mentre Marco parla della loro convivenza con tutta tranquillità. I musulmani,
invece, chiamati in genere saraceni o maomettani, non sono troppo ben visti. Se nel
Mediterraneo ci si poteva scontrare, gli arabi avevano comunque un ruolo importante
nell’ambito dell’amministrazione del potere mongolo. Solo per le aree più vicine all’Europa,
ossia Aden e Baghdad, Marco riferisce di un particolare odio fra cristiani e musulmani. Un
episodio interessante si ha quando i Polo si trovano al porto di Fugiu, dove un saraceno gli
dice che in quel luogo vi è un gruppo di gente, la cui religione è sconosciuta: non si tratta di
idolatria, né di buddhisti, né sembrano cristiani. Marco afferma di averli trovati molto restii
a parlare, ma riesce comunque a familiarizzare con loro e la conclusione è che si tratti di
cristiani. In realtà, si trattava di una setta di manichei che seguivano la propria fede in
segretezza perché mal visti dai buddhisti ormai da secoli. Il manicheismo è una dottrina
dualista, nata nel III secolo in Persia in seguito alla predicazione di Mani, che fondeva
elementi cristiani, zoroastriani, non senza un’influenza del buddhismo. L’avvento al potere
dei mongoli portò una ventata di libertà per i manichei, dopo anni di persecuzione: è
probabile che l’abitudine alla segretezza fosse ormai parte della pratica del culto.
16 INDOVINI E SCIAMANI 1. LA MAGIA IN OCCIDENTE
Tra XII e XIII secolo la reintroduzione in Occidente di ambiti della cultura scientifico-
filosofica di matrice classica o tardo-antica, veicolati da elaborazioni e traduzioni arabe ed
ebraiche, portava con sé numerosi testi di magia naturale e cerimoniale. Nella conoscenza di
questi testi, l’Italia svolse un ruolo importante: tra i secoli XI e XII erano fioriti vari centri di
traduzione dal greco e dall’arabo. In certi ambienti, l’interesse per la filosofia, soprattutto
neoplatonica, si accompagnava all’indagine nel campo delle discipline “magiche”, intese
come più profondi metodi di ricerca delle cause nascoste che producono i fenomeni naturali.
Fra XII e XV secolo, nei confronti della magia in tutte le sue forme, interesse e inquietudine
crescevano di pari passo. Era vista in modo negativo l’arte negromantica, mentre l’astrologia
non presentava apparentemente le stesse minacciose incognite. Tuttavia essa divenne, in
modo crescente a partire dal Duecento, un fenomeno preoccupante. Contro di essa si era
espresso soprattutto già Tommaso d’Aquino, sottolineandone l’incompatibilità con il libero
arbitrio. Ciò che colpiva particolarmente era l’ampio consenso che le tecniche degli
astrologi raccoglievano presso le élites di potere: l’uso della magia e dell’astrologia per
scopi politici era diffuso in molti fra i comuni, le signorie, le corti dell’epoca.
2. UNA SOCIETÀ “SUPERSTIZIOSA”
È con questo bagaglio di conoscenze nei confronti della magia e della superstizione che i
viaggiatori europei si presentavano nel mondo asiatico: la società mongola doveva apparire
loro come intessuta degli stessi elementi. Molti riti e superstizioni erano collegati al fuoco,
considerato elemento di purificazione per le persone in lutto, per allontanare malefici e
sortilegi di ogni genere: ai viaggiatori che arrivavano con degli oggetti veniva chiesto di
passare tra due fuochi, in caso portasse cattive intenzioni o veleno. I mongoli ritenevano che
il fuoco fosse stato creato nell’atto della separazione tra cielo e terra: era il fulcro
dell’incontro tra questi due elementi. Inoltre, era diffuso il timore per le manifestazioni del
Tӓngri: se era forte la paura per le tempeste, è chiaro che la magia tempestaria doveva essere
tenuta in grande considerazione. Almeno in un paio di occasioni Marco fa esplicita
menzione della magia tempestaria: la prima in riferimento al Tibet e la seconda a proposito
degli abitanti di Socotra. Infine, si potrebbero ascrivere all’ambito delle credenze
superstiziose anche le notizie riguardanti gli spiriti del deserto: Marco descrive molto bene
“il canto delle dune”, fenomeno naturale che viene attribuito agli spiriti. Il fenomeno è oggi
noto e studiato: si pensa che l’accumulo di vento sulla cima delle dune possa provocare
valanghe in grado di produrre suoni che somigliano, in effetti, al rullo dei tamburi o a grida
di estremo potenza. Si tratta di un evento che si verifica solo in alcuni tratti del deserto, non
ovunque.
3. SPIRITI E DEMONI
Un problema di interpretazione si apre anche davanti a due testimonianze di estasi
sciamanica. La prima è narrata da Guglielmo di Rubruck, che scrive: alcuni indovini sanno
evocare i demoni, li chiamano nella notte perché vogliono avere oracoli da loro. Il qam,
ovvero lo sciamano, inizia a recitare le sue formule magiche, poi comincia ad agitarsi e si fa
legare: allora arriva il demone, al quale viene dato da mangiare, ed egli pronuncia i suoi
oracoli. La seconda testimonianza è raccontata nel Milione ed è ambientata nello Yunnan,
dove Marco narra di un rituale di guarigione che riprende molti degli elementi dell’estasi: i
17 partecipanti suonano e ballano, uno cade in trance (con la schiuma alla bocca) e rivela ciò
che deve. I parenti del malato seguono tutti i passaggi del rituale medico e, alla fine, il
malato guarisce.
4. LA DIVINAZIONE
L’ambito più importante nel quale agiscono gli “operatori del sacro” è quello della
divinazione: Guglielmo di Rubruck scrive che erano così importanti fra i tartari che, quando
muovevano il campo, gli indovini si spostavano sempre prima degli altri, per studiare il
luogo e sistemare le loro abitazioni. Una tecnica divinatoria molto diffusa tra i mongoli era
la scapulomanzia, che consentiva di predire il futuro attraverso l’osservazione di ossa
bruciate ritualmente. Le ossa degli animali, ad esempio, cacciati o sacrificati non andavano
disperse nella terra, ma venivano raccolte in un sacco: questo a testimoniare la possibilità di
una rinascita dell’animale che assicurasse il ciclo della vita e della fertilità.
5. L’ASTROLOGIA
In Cina l’astrologia era una disciplina antichissima, essendosi originata in contemporanea
con quella babilonese fra il III e il II millennio a.C.: veniva utilizzata per determinare molti
settori del comportamento umano. Nel Milione si dice che i matrimoni si celebravano solo
se gli astrologi stabilivano che gli sposi erano nati sotto pianeti concordi. Ma è alla corte di
Kubilai a Khanbaliq che l’astrologia aveva raggiunto i suoi massimi livelli: nella città vi
sono circa cinquemila astrologi e indovini, tra cristiani, saraceni e buddhisti, che praticano la
loro arte. I diversi gruppi esercitano separatamente, ma vige la libertà di recarsi gli uni dagli
altri: essi predicono avvenimenti atmosferici, malattie, morti, guerre e discordie.
MARCO POLO ANTROPOLOGO 1. I CORPI, I MOSTRI E IL MERAVIGLIOSO
Il Milione non parla di popoli meravigliosi, bensì il suo meraviglioso emerge attraverso
l’osservazione dei costumi della Cina e dell’India. A cominciare dalla ricca annotazione
sulla tecnica dei tatuaggi, dei quali descrive la loro realizzazione, i disegni, gli aghi. Oppure,
Marco riferisce che gli etiopi si marchiano il volto con il ferro rovente sulle guance e in
fronte, a rappresentare il battesimo.
2. SELVAGGI E CIVILIZZATI
In altri passi del Milione si trovano giudizi sui caratteri fisici, ovvero se le genti incontrate
sono da considerarsi belle o brutte: così, gli abitanti del Catai erano considerati superiori per
bellezza e ricchezza dei costumi; mentre molte delle popolazioni tribali dei territori più
meridionali erano viste con orrore. A Sumatra sappiamo che Marco Polo trascorse cinque
meso, impossibilitato a riprendere il mare a causa del maltempo. Egli dice di essere stato in
un gruppo di uomini a servizio del khan e di essere stato costretto all’interno di un campo
difensivo circondato da un ampio fossato: la minaccia è data dalle genti bestiali che
catturano volentieri gli uomini per cibarsene. Marco descrive, quindi, il costume del popolo
dei batak di mangiare gli anziani e anche i prigionieri che non possono riscattarsi.
L’associazione dei mongoli con il cannibalismo traeva la sua origine prima dal legame con
Gog e Magog, popoli considerati antropofagi dalla tradizione. Marco Polo non parla del
cannibalismo dei mongoli, ma si limita a dire che i sacerdoti che si trovavano alla corte del
khan mangiavano la carne dei condannati a morte ma non dei defunti per morte naturale.

Potrebbero piacerti anche