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Il potere dei Zhou Occidentali si protrasse fino al 771 a.C., quando i barbari distrussero la capitale
Hao.
La nuova capitale venne spostata a Luoyang, nello Henan, un luogo più sicuro dagli attacchi delle
popolazioni barbariche.
I nuovi sovrani Zhou Orientali, tuttavia, non esercitarono più alcun potere effettivo, e la loro
funzione venne ridotta alle cerimonie e ai riti religiosi.
La nuova dinastia viene chiamata col nome di Zhou Orientali, ed è a sua volta suddivisa in due
periodi, le Primavere e Autunni, che va dal 722 al 481, e gli Stati Combattenti, dal 403 al 221.
Durante il periodo dei Zhou Orientali, i cinesi conobbero uno sviluppo tecnologico notevole,
avvenne infatti la scoperta del ferro, con cui vennero fabbricate le nuove armi, e fu inventato
l’aratro di ferro trainato dai buoi, che consentì ai contadini di velocizzare e migliorare i tempi di
coltivazione.
Vennero introdotte nuove tecniche di irrigazione dei campi, la popolazione aumentò, e il
commercio iniziò a fiorire, dando vita alla classe sociale dei mercanti.
Poiché questi ultimi rappresentavano l’attacco al vecchio ordine gerarchico, i cinesi pensarono di
dividere la società in quattro classi sociali: l’aristocrazia guerriera, i contadini, gli artigiani e i
mercanti.
Le piccole conchiglie di giada, un tempo usate come moneta, vennero sostituite dalla seta e da
metalli preziosi in lingotti.
Più tardi si cominciò a coniare il rame e nacquero le prime monete a forma di spada e coltello, ma
infine venne coniata una piccola moneta circolare, con un buco al centro che serviva per infilarla,
che rimase la moneta tipo cinese fino al tardo XIX secolo.
Nacque anche l’uso del cavallo da sella, che portò allo sviluppo della cavalleria, che sostituì i
vecchi e pesanti carri da guerra di epoca Shang e Zhou.
Nacque anche la balestra, che si sostituì all’arco, potenziando così la forza della cavalleria.
L’uso del cavallo facilitò anche le comunicazioni all’interno del territorio cinese.
Lo stato di Qi, tra il VII e il VI secolo a.C., estese i suoi domini all’intera penisola dello Shandong,
sottomettendo i barbari lì stanziati.
Nello stesso tempo iniziò a modernizzare le istituzioni politiche, le principali innovazioni sono
attribuite al duca Huan di Qi e al suo consigliere Guanzi.
Lo stato venne centralizzato, la popolazione fu divisa in unità geografiche e amministrative
controllate dal governo centrale, si istituì un sistema fiscale uniforme e si riorganizzarono le forze
armate.
Si stabilì un controllo dei prezzi, si uniformarono i pesi e le misure e venne istituito il monopolio
sul sale e sul ferro.
La centralizzazione del potere accompagnò la nascita di un nuovo ceto dominante: quello dei
funzionari burocrati.
Similmente allo stato di Qi, anche gli altri stati cinesi si espansero.
Lo stato di Jin si espanse fino a controllare tutto lo Shanxi, ma nel 453 a.C., in seguito a lotte
interne, venne diviso nei tre principati di Zhao, Wei e Han.
Questi tre stati vennero riconosciuti dal re Zhou nel 403, data che segna l’inizio degli Stati
Combattenti.
A nord sorse lo stato di Yan e a sud quelli di Chu, Wu e Yue.
Nei primi anni dei Zhou Orientali, i vari stati tennero in grande considerazione i principi della
legittimità e dell’osservanza del li, o giusta condotta, secondo le regole della convivenza civile.
Ma nel IV e III secolo, gli stati smisero di riconoscere la legittimità del re Zhou, e iniziò un periodo
di dure lotte intestine tra i vari stati, che portarono all’estinzione di famiglie principesche e allo
sterminio di eserciti.
Il problema principale dei vari stati fu però quello di difendersi dalla minaccia dello stato di Chu,
che era riuscito a espandersi notevolmente inglobando gli stati sconfitti.
Gli stati della Grande Pianura decisero quindi di allearsi contro Chu, nel tentativo di difendere la
legittimità dei Zhou contro i barbari da cui questo stato era costituito.
Nel 651 venne creata una lega in cui il duca Huan di Qi venne riconosciuto come Egemone della
confederazione cinese.
Il sistema egemonico assicurò però un periodo di stabilità soltanto sporadica, ancora di più quando
il re Zhuang di Chu divenne il terzo Egemone.
Successivamente Chu distrusse gli stati di Yue e Lu, mentre lo stato di Qin, sconfitti gli stati di Shu
e Ba nel Sichuan, sconfisse lo stato di Zhou nel 256, e infine sottomise gli stati rimanenti unificando
per la prima volta la Cina e aprendo una nuova fase nella sua storia.
Malgrado l’instabilità politica del periodo Zhou, questa fu la fase dell’età dell’oro del pensiero
filosofico cinese.
La speculazione filosofica dei cinesi si accentuava sull’uomo, in contrasto con l’importanza
attribuita al divino e all’ultraterreno delle filosofie indiane e mediterranee.
I cinesi, pur credendo in numerosi spiriti ed esseri soprannaturali, portarono la loro attenzione
sull’uomo e sui suoi rapporti con l’ambiente sociale circostante.
I CLASSICI CINESI
Per i cinesi i classici non indicano solo la letteratura antica in generale, ma un complesso di opere
specifiche associate alla tradizione confuciana dominante.
Tutte le opere appartenenti a tradizioni diverse furono escluse dal canone classico.
Il più importante elenco di opere sono i Cinque Classici.
Il primo dei Cinque Classici è lo Shijing (Classico delle poesie), che comprende 305 poesie che
risalgono al periodo tra il X e il VII secolo a.C.
Molte sono poesie d’amore, altre sono poesie politiche o inni rituali.
Lo Shujing (Classico dei documenti) comprende documenti e discorsi semistorici risalenti ai primi
secoli del periodo Zhou, anche se gran parte dell’opera è frutto di contraffazioni successive.
Lo Yijing (Classico dei mutamenti) è un manuale di divinazione basato sugli otto trigrammi e sui 64
esagrammi che si svilupparono come sistema divinatorio.
Il Chunqiu (Annali delle Primavere e degli Autunni) è un’opera storica che narra in ordine
cronologico i vari eventi accaduti nello stato di Lu tra il 722 e il 481 a.C.
Il Liji (Memorie sui riti) è il frutto della compilazione, operata nel II secolo, di una miscellanea di
materiali più antichi che riguardavano i riti e le cerimonie.
I TREDICI CLASSICI
Un altro sistema di classificazione è quello dei Tredici Classici, che comprende i Cinque Classici,
tra cui gli Annali delle Primavere e degli Autunni che sono considerati come tre opere diverse
poiché si tiene conto dei diversi commenti che accompagnano il testo principale.
Due di questi commenti, il Gongyang Zhuan e il Guliang Zhuan, sono semplici opere esegetiche
che risalgono all’ultimo secolo del periodo Zhou, mentre il terzo, lo Zuo Zhuan, è un resoconto
della storia politica di quegli anni, che costituisce la principale fonte storica per la ricostruzione di
quel periodo.
Oltre al Liji, sono incluse due opere che trattano lo stesso argomento, lo Yili (Cerimonie e riti) e il
Zhou li (Riti di Zhou), il quale ricostruisce la struttura amministrativa del periodo Zhou.
Le ultime quattro opere che completano i Tredici Classici sono il Lunyu (Dialoghi), che contiene
una serie di citazioni attribuite a Confucio e il Mengzi (Mencio) scritto da uno dei suoi maggiori
discepoli.
Il Xiaojing (Classico della Pietà Filiale) è una rielaborazione di alcuni elementi tratti dal Liji, infine
lo Erya, che è una raccolta di glosse e testi letterari, e segna l’inizio della tradizione lessicografica
cinese.
I QUATTRO LIBRI
Dopo un millennio dalla fine del periodo Zhou, quattro brevi testi vennero selezionati come le fonti
più autentiche degli insegnamenti confuciani e inseriti così tra i Classici.
Essi sono i Dialoghi di Confucio, il Mencio e due capitoli del Liji: il Daxue (Grande Studio) e il
Zhongyong (Il Giusto Mezzo).
ALTRE OPERE
Vi sono anche altre opere che non furono incluse tra i Classici Confuciani, come il Guoyu (Discorsi
degli Stati) che è un resoconto degli avvenimenti del periodo delle Primevere e Autunni, il Zhanguo
Ce (Intrighi degli Stati Combattenti), e il Zhou shu chi nian (Annali di bambù) che è una raccolta di
avvenimenti storici dello stato di Qin.
Oltre al Classico delle Poesie, un’altra opera poetica importante è il Chuci (Elegie di Chu),
costituito in gran parte da poesie di Qu Yuan, un aristocratico vissuto a Chu nel III secolo, il quale,
dopo aver perso il favore del re ed essere caduto in disgrazia, finì per annegarsi in un fiume per la
disperazione.
Durante le sue peregrinazioni in esilio, Qu Yuan compose il Lisao, un poema che racconta i suoi
viaggi alla ricerca di un sovrano illuminato, che contiene molte narrazioni di luoghi fantastici che
lui avrebbe visitato.
IL CONFUCIANESIMO
Il più grande di tutti i filosofi della storia della Cina è senza dubbio Confucio, forma latinizzata di
Kongfuzi (Maestro Kong).
Sarebbe nato nel 551 a.C. e morto nel 479 a.C., e quel poco che sappiamo della sua vita si ricava dai
Dialoghi, composti da risposte date da egli stesso alle domande dei suoi allievi.
Originario dello stato di Lu, Confucio apparteneva probabilmente ad una famiglia della piccola
nobiltà.
Per tutta la vita cercò di raggiungere un’alta carica governativa, ma non ci riuscì mai.
Da giovane ricoprì piccole cariche e successivamente ottenne una sinecura, ma, insoddisfatto della
sua posizione, lasciò la sua patria e iniziò a viaggiare da uno stato all’altro nella speranza di trovare
un sovrano illuminato che lo accogliesse come suo consigliere, senza successo.
Infine tornò a Lu e ripiegò sull’insegnamento, fino alla sua morte.
La sua dottrina tiene poco conto del divino e dell’ultraterreno, ma pose le sue attenzioni sul’uomo.
Secondo Confucio, per tornare all’età dell’oro, rappresentata dal periodo dei Zhou Occidentali, era
necessario che ognuno ricoprisse esattamente l’incarico che gli era stato assegnato dalla società.
Tale concezione venne chiamata “Rettifica dei nomi”.
Ma la sua grande innovazione è rappresentata dalla concezione che identificava le questioni
politiche con i problemi etici.
Il sovrano, per poter governare, doveva dare l’esempio di condotta ispirato a profondi motivi etici.
Il suo ideale di condotta morale era rappresentato dal junzi, ovvero dell’uomo di valore o
gentiluomo.
1. Rettitudine (zhi)
2. Giustizia (yi)
3. Lealtà (zhong)
4. Altruismo (shu)
5. Umanità (ren)
6. Cultura (wen)
7. Spirito Rituale (li)
8. Pietà Filiale (xiao)
IL TAOISMO
IL TAO E IL WU WEI
Il Tao è un “non essere”, senza nome e senza forma, che non può essere nominato né spiegato con
le parole, ma è la totalità dei processi naturali a cui l’uomo deve uniformarsi.
Dall’unione con il Tao deriva il de individuale, ovvero la virtù.
Il mezzo per stabilire l’unione con il Tao è il wuwei, cioè il “non agire”.
Se l’universo viene lasciato a sé stesso, esso procederà con regolarità secondo il suo ordine naturale.
Gli sforzi dell’uomo per migliorare la natura non fanno altro che distruggerla e provocare il caos.
LE CENTO SCUOLE
Oltre al confucianesimo e al taoismo, altre filosofie sorsero in Cina durante il periodo Zhou.
L’insieme di queste dottrine venne chiamato “Cento Scuole”.
I NATURALISTI
Una di queste scuole, chiamata naturalistica, comprendeva filosofi che cercarono di spiegare i
fenomeni naturali sulla base di principi cosmici.
Il più grande di questi filosofi fu Zou Yan, vissuto nello stato di Qi intorno al 300 a.C.
Una delle principali concezioni naturaliste è rappresentata dal fondamentale dualismo della natura:
lo yin, principio femminile negativo, di oscurità e freddo, e lo yang, principio maschile positivo, di
luce e calore.
I due principi non sono mai in conflitto, ma sono complementari e si equilibrano in modo reciproco.
L’alternarsi dei due principi è simboleggiata dalla celebre figura bianca e nera.
I DIALETTICI
Un'altra scuola filosofica è la Mingjia, ovvero la scuola dei dialettici, che ricordano molto da vicino
i sofisti greci.
I maggiori dialettici sono Hui Shi, famoso per i suoi Dieci Paradossi, e Gongsun Long, famoso per
la massima: “Un cavallo bianco non è un cavallo”.
Le loro argomentazioni furono in seguito condannate perché ritenute frivole e inutili, e la loro
dottrina finì per estinguersi.
MOZI
Un altro pensatore del periodo a cavallo tra le Primavere e Autunni e gli Stati Combattenti fu
Mo Di, detto anche Mozi.
Nacque nel 479 a.C., dopo la morte di Confucio, e morì nel 381 a.C., prima della nascita di
Mencio.
Sarebbe stato un discepolo della scuola confuciana, anche se la sua dottrina fu in netto contrasto con
essa.
Mentre Confucio sosteneva che il sovrano deve farsi assistere da saggi consiglieri, Mozi afferma
che essi devono cedere il trono a chi è il più capace tra di loro.
La dottrina confuciana si basava su una società stratificata a cui seguiva una gerarchia degli affetti,
quella moista proclama che bisogna seguire il Jian’ai, l’Amore Universale, ovvero equiparare gli
altri a sé stessi e trattare tutti allo stesso modo, così come il Cielo manifesta il suo amore
indistintamente per tutte le creature.
Infatti il Cielo, che per Confucio era marginale, per Mozi acquisisce una notevole importanza, a cui
si aggiunge la fede negli spiriti e la possibilità di influire, tramite le buone azioni, sui voleri del
Cielo.
Sul piano politico, l’amministrazione dello Stato ha un senso esclusivamente utilitario: i sovrani
devono soddisfare le necessità immediate del popolo e abbandonare tutti gli aspetti superflui, tra
cui il complesso sistema ritualistico, considerato da Mozi uno spreco di tempo e ricchezza.
MENCIO
Il maggiore discepolo di Confucio fu senz’altro Mengzi, latinizzato in Mencio, che visse tra il 372 e
il 289.
Una delle sue maggiori concezioni afferma che la natura umana è buona, e che in ogni uomo è
presente un sentimento morale innato che può essere sviluppato attraverso le virtù confuciane.
Egli fa l’esempio che se un bambino cadesse in un pozzo, chiunque lo veda sentirebbe l’impulso di
andare ad aiutarlo.
Per Mencio diventiamo cattivi solo perché ci allontaniamo temporaneamente dalla retta via, ma
possiamo in qualsiasi momento riprenderla e ritornare buoni.
Egli credeva che se un sovrano si fosse dimostrato un uomo perfettamente morale, l’intero paese si
sarebbe inevitabilmente posto sotto la sua guida.
Il “mandato del cielo”, quindi, si manifestava attraverso l’accettazione del sovrano da parte del
popolo, e se quest’ultimo lo uccideva o si ribellava contro di lui, vuol dire che aveva perso
l’appoggio del Cielo.
XUNZI
Un altro discepolo della scuola confuciana è Xunzi, vissuto tra il 300 e il 237.
Egli è noto soprattutto per la sua opposizione al pensiero di Mencio, sostenendo che la natura
umana è cattiva, e tutto ciò che in essa vi è di buono è acquisito artificialmente.
L’unico modo per correggere la natura malvagia e bestiale è l’educazione, e solo lo studio è capace
di migliorare l’individuo e renderlo buono.
I LEGISTI
Le dottrine pessimiste di Xunzi furono in seguito sviluppate dai pensatori della Scuola Legista
(fajia).
I maggiori esponenti di questa scuola sono il filosofo Hanfeizi, e lo statista Li Si, ministro dello
stato di Qin.
L’opera chiamata Hanfeizi contiene una serie di saggi scritti dall’omonimo filosofo ed è il
principale documento per capire le posizioni di questa dottrina.
Altre due importanti opere legiste sono lo Shangjunshu (Il libro del signore di Shang), e il Guanzi.
Secondo i legisti la natura umana è egoista e fonte di conflitti, e può essere ostacolata solo con una
severa legislazione e un duro sistema di pene, volte ad assicurare la sicurezza allo stato.
Poiché il popolo è egoista e i ministri pensano solo ai loro interessi, il sovrano non può fare
affidamento su di loro, e deve quindi imporsi su tutti allo stesso modo, con un rigido sistema di
pene e ricompense.
Chi non svolgeva il compito assegnato doveva essere punito, e ogni individuo era responsabile
anche del comportamento degli altri, e tenuto a denunciarne i reati, per non essere punito assieme al
trasgressore.
Le dottrine dei legisti furono protagoniste di un periodo di transizione dagli stati Zhou verso
l’impero, quando lo stato di Qin unificò tutto il territorio cinese.