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MEMORIE DI UNA GEISHA

Sito: http://www.eaglepictures.com/extra/minisiti/memorie_di_una_geisha/
Anno: 2005
Titolo originale: MEMOIRS OF A GEISHA
Data di uscita: 16/12/2005
Durata: 140
Origine: USA
Genere: DRAMMATICO - SENTIMENTALE
Tratto da: ROMANZO OMONIMO DI ARTHUR GOLDEN
Produzione: COLUMBIA PICTURES CORPORATION, DREAMWORKS SKG, RED WAGON PRODUCTIONS,
SPYGLASS ENTERTAINMENT, AMBLIN ENTERTAINMENT
Distribuzione: EAGLE PICTURES

Regia: ROB MARSHALL


Attori:
ZHANG ZIYI SAYURI NITTA
GONG LI HATSUMOMO
MICHELLE YEOH MAMEHA
KEN WATANABE IL PRESIDENTE
TSAI CHIN ZIA
TOGO IGAWA TANAKA
YOUKI KUDOH O-KABO
CARY-HIROYUKI TAGAWA IL BARONE
KENNETH TSANG GENERALE
KOJI YAKUSHO NOBU
KARL YUNE KOICHI
KAORI MOMOI O-KAMI
MAKO SAKAMOTO
PAUL ADELSTEIN TENENTE HUTCHINS
BRANNON BATES POLIZIOTTO MILITARE
MICHAEL CHEN CONDUCENTE RICKSHAW
CHAD CLEVEN SOLDATO AMERICANO UBRIACO
CARRIE 'CECE' CLINE LIZ
CRAIG H. DAVIDSON PESCATORE GIAPPONESE
CAMERON DUNCAN UFFICIALE UBRIACO
TAKAYO FISCHER TANIZATO, PROPRIETARIO CASA DEL TE'
SAMANTHA FUTERMAN SATSU
ALEX HING PASSEGGERO RICKSHAW
THOMAS IKEDA BEKKU
YURIKA IZUMI DONNA COL KIMONO
RANDALL DUK KIM DOTTOR CRAB
MICHAEL KUROIWA UOMO D'AFFARI
ALISON ZOE LEUNG GIOVANE GEISHA
JIM LEUNG IL GIOVANE
TED LEVINE COLONNELLO DERRICKS
JULIA LING MAIKO
DANTON MEW SERVITORE DI TAKAMAYA
LAURA MIRO
DIANE MIZOTA GEISHA ALLA CASA DEL TE'
RYAN MORIARTY
KEN NG UOMO COL KIMONO
NAVIA NGUYEN GEISHA
MINAE NOJI MAIKO
SUZUKA OHGO SAYURI BAMBINA
FAITH SHIN PICCOLA KIKO
TON SUCKHASEM GIUDICE DI SUMO
ELIZABETH SUNG SIG.RA SAKAMOTO
1
NIKKI TUAZON BALLERINA
REN URANO ANNUNCIATORE DI SUMO
ZOE WEIZENBAUM GIOVANE O-KABO
JAMES D. WESTON II
TAKEO LEE WONG DOTTOR MIURA
ACE YONAMINE
EUGENIA YUAN KORIN

Soggetto: ARTHUR GOLDEN


Sceneggiatura: AKIVA GOLDSMAN - ROBIN SWICORD - DOUG WRIGHT
Fotografia: DION BEEBE
Musiche: JOHN WILLIAMS
Montaggio: PIETRO SCALIA
Scenografia: JOHN MYHRE
Effetti: SCOTT FISHER - ROBERT STROMBERG
Costumi: COLLEEN ATWOOD

Trama:
Giappone, 1929. L'era dorata delle geishe inizia a volgere al termine. La piccola Chiyo, a soli 9 anni è costretta a lasciare la
famiglia e il povero villaggio di pescatori dove è nata. Venduta ad una scuola per geishe di Kyoto, viene istruita sui riti, le
danze, la musica, la cerimonia del tè e l'abbigliamento adatto. Costretta a subire vessazioni e umiliazioni dalle colleghe e
soprattutto dalla geisha più importante, Hatsumomo, gelosa della sua bellezza, dopo un tentativo di fuga viene retrocessa a
serva. A salvarla provvederà Mameha, geisha esperta e generosa, rivale di Hatsumomo, che la prende sotto la sua protezione.
Grazie a lei, la ragazza diverrà una geisha molto famosa e col nome di Sayuri, sarà la preferita degli uomini più facoltosi della
città...

Critica:
La triste infanzia e il progressivo sbocciare della bellissima Sayuri (Zhang Ziyi), dapprima serva maltrattata in un'Okiya
(edificio in cui vivono le geishe) poi incantevole e leggendaria geisha nel Giappone a cavallo della seconda Guerra Mondiale.
Le violenze subite per mano di un'accanita rivale (Gong Li), le amorevoli cure di un'insegnante devota (Michelle Yeoh) e
l'amore segreto per un pezzo grosso dell’industria nazionale (Ken Watanabe) contraddistingueranno le fasi salienti della sua
esistenza di donna, costretta dagli eventi ad una vita di sacrificio e privazioni. Trasposizione del bestseller omonimo di Arthur
Golden, successo letterario a livello mondiale, Memorie di una geisha rappresenta l'ennesimo tentativo da parte di Hollywood
di confrontarsi con tradizioni altre: progetto ambizioso e a tratti affascinante (produce Spielberg che, in un primo momento,
avrebbe anche dovuto dirigere), il film realizzato da Rob Marshall (alla seconda regia dopo la buona prova di Chicago) non
svilisce poi troppo l'essenza dello stesso mondo che vorrebbe rappresentare - quello parimenti doloroso e suggestivo delle
geishe (né mogli né prostitute, ma fini intrattenitrici nonché abili artiste) - ma soffre particolarmente per una resa
eccessivamente patinata e per alcuni snodi terribilmente forzati dal punto di vista emozionale. Lunghezza spropositata (140'
sono comunque nulla rispetto alla mole del libro da cui trae origine) e calcolata mancanza di gusto nella scelta delle tre attrici
protagoniste: seppur bravissime e bellissime, Zhang Ziyi, Gong Li e Michelle Yeoh rappresentano a livello internazionale il
sicuro "Oriente da esporto" ma, particolare di non poco conto, sono cinesi e non giapponesi. E per un film che punta tutto su
una secolare caratteristica di una nazione, è quanto meno disturbante. (www.cinematografo.it)

Come capita sempre quando un libro è stato un grande successo, molto amato e molto fortunato e molto miliardario (il che,
nel nostro caso, vuol dire che oltre quattro milioni di lettori si sono precipitati a comprarlo, che ci sono state traduzioni in
ventisei lingue, che legioni di appassionati hanno delle aspettative ben coltivate e che la storia è stata immaginata e
fantasticata in molti modi diversi), anche Memorie di una geisha, che arriva il 16 dicembre in forma di film, susciterà le
necessarie perplessità.
La prima coincide con un problema che era stato sollevato anche per il libro: Il punto di vista occidentale. Come Arthur
Golden, l’autore del fortunato e appassionato bestseller pubblicato nel 1997 (edito in Italia da Tea e ora ripubblicato da
Longanesi), anche il regista che ha preso il posto di Steven Spielberg — il quale, all’uscita del libro, si era precipitato ad
annunciare la sua intenzione di trarne un film, e che in effetti, del film in questione, è ora il produttore — anche il regista,
dicevamo, è un occidentale. Molto occidentale. Colui che due anni fa fece un pieno di Oscar con Chicago, Rob Marshall, e
che prima si era dato lustro per una versione televisiva di Annie.
Eppure, miracolo della mimesi, nel solco di una lunga tradizione di viaggi culturali nel mondo altrui — quella che, tanto per
dire, è stata raccontata anni fa da una retrospettiva del Festival di Locarno, dedicata proprio ai rapporti tra gli orientali e il
cinema occidentale — Rob Marshall ce l’ha fatta. Soprattutto dal punto di vista delle immagini, che ricreano in maniera
fascinosa, grazie alle luci di Dion Beebe e alla scenografie di John Myhre (che aveva firmato anche Elizabeth) il mondo del
Giappone degli anni Trenta e Quaranta. E in Italia, dove siamo abituati alle gioie e ai dolori del doppiaggio, la curiosa
impressione di questi giapponesi che parlano tutti inglese non dovrebbe ferire la sensibilità filologica di nessuno.
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Per il resto, il film conta su un cast stellare, almeno per chi abbia anche solo poco frequentato il cinema orientale, che ha
conquistato in questi anni le sale occidentali. Ecco quindi che la protagonista ha il bel volto pallido di Ziyi Zhang, già vista in
La foresta dei pugnali volanti di Zhang Yimou e in 2046 di Wong Kar-wai. L’uomo che lei ama per tutta la vita è il bel Ken
Watanabe, interprete di L’ultimo samurai e di Batman Begins. La sua amica e protettrice è Michelle Yeoh, già ragazza 007 e
donna di spada in La tigre e il dragone. La bellissima Gong Li è una cattivona che per gelosia le fa la guerra. Qualcuno oserà
obiettare che in questa storia giapponese troppe signore sono cinesi e non nipponiche? Sottigliezze, obietteranno altri: si sa
che, ahinoi, per gli occidentali gli orientali non sono facilmente distinguibili gli uni dagli altri...
A suo tempo, Arthur Golden - lui stesso un personaggio romanzesco, miliardario di Chattanooga, Tennessee, della famiglia
dei proprietari del New York Times, una laurea a Harvard e un master in storia giapponese, una vita da eterno studente-
studioso, un romanzo d’esordio folgorante su cui ha impiegato, tra i lazzi e i frizzi della sua potente famiglia, dieci anni di
lavoro — Arthur Golden diceva: «Ci sono due miti a proposito delle geishe. Uno è che sono delle prostitute. Questo mito è
sbagliato. L’altro è che non sono delle prostitute. Anche questo è sbagliato».
Un bel pasticcio tra essere e non essere, che il suo romanzo illustra molto bene, nonostante la geisha a cui il libro si è da
lontano ispirato, Mineko Iwasaki, abbia a suo tempo accusato lo scrittore di tradimento nei suoi confronti e nei confronti di
Gion, uno dei quartieri delle geishe in cui si svolge la storia raccontata da Golden, perché nel libro ci sarebbe troppo sesso, e
lei, ovviamente, appartiene alla scuola di pensiero del mito numero due.
Il libro, e quindi anche il film, racconta la storia di Chiyo, una ragazzina di nove anni dagli straordinari occhi blu-grigi che
viene venduta dal padre, un poveraccio, a una okiya, una casa di geishe, all’interno della quale, tra rigida disciplina, gelosie,
risse, amicizie e inimicizie, crescerà come Sayuri, la geisha più raffinata e ricercata del suo tempo. Una geisha che coltiva un
suo segreto sogno d’amore per l’uomo gentile che l’ha incontrata per strada, bambina sola e triste, e l’ha riempita di
gentilezze. Una geisha che dovrà affrontare la realtà della guerra, la volgarità del dopoguerra, i cambiamenti del suo mondo,
in un crescendo romantico.
Ma, appunto, cosa sono le geishe? Siamo nel terreno minato dell’ignoranza occidentale, e quindi ci limiteremo a riferire
quello che dice Arthur Golden in un’intervista dove si attiene al mito numero due: «Le geishe non sono prostitute, non sono
istruite per fare sesso. Il loro lavoro consiste nell’intrattenere un gruppo di uomini bevendo e con una conversazione spiritosa.
Ridono alle cose che dici, ti fanno sentire affascinante. . .».
Abilità, se così le si vuole vedere, che nascono dopo un lungo e spesso duro tirocinio, durante il quale la geisha deve imparare
a suonare, a cantare, a danzare, a parlare con grazia. Non senza dovere sostenere l’orribile rituale della svendita della sua
verginità.
L’idea di scrivere un romanzo sul mondo delle geishe nacque quando Golden lavorava a Tokyo per una rivista di lingua
inglese accanto a un collega figlio di un industriale e, appunto, di una geisha. Affascinato da questa situazione, prima Golden
ha tentato la strada della non-fiction. Poi il romanzo in terza persona. Poi, con quella che il Critico del New York Times
Michiko Kakutani ha chiamato un’operazione da ventriloquo, è passato alla prima persona. Un punto di vista narrativo che il
film rispetta, con una voce off che racconta e raccorda i vari momenti della vita di Sayuri. E la stessa precisione (tuttavia
contestata da taluni) che Golden ha messo nel descrivere i riti di vita delle geishe — il kimono, il trucco, le pettinature, la vita
in comunità — la ritroviamo nel film e nella ricostruzione di un mondo che sta sparendo sotto la spinta della globalizzazione.
Ai tempi d’oro c’erano almeno ottocento geishe nel quartiere di Gion, a Tokyo. Oggi ce ne sono al massimo ottanta. E ora le
aspiranti geishe non vestono il kimono, ma Prada. (Irene Bignardi, La Repubblica - 09/12/2005)

Ci sono film che nascono con la stampigliatura “Oscar” addosso, e forse solo per quella ragione. Almeno sulla carta, che
oltretutto era quella di un best seller globale tradotto in 32 lingue. L’epopea di Chiyo, la Cenerentola giapponese che viene
venduta infante dalla famiglia che non può mantenerla e si trasforma nella splendida Sayuri, la più corteggiata geisha di
Kyoto, avrebbe dovuto far battere anche il cuore più cinico. Invece solo gli occhi sembrano coinvolti nel film diretto dall’ex
coreografo Rob Marshall, che l’Oscar lo vinse addirittura al suo esordio con Chicago. Il Giappone ricostruito in studio e nei
pochi giardinetti zen disponibili in California (ma la bellezza dei ciliegi in fiore è talmente da cartolina che fa pensare
piuttosto a Disneyland), con un cast di superdive di altri Orienti (Zhang Ziyi, la protagonista e Gong Li la terribile rivale, sono
cinesi; Michelle Yeoh, la maestra nell’arte e nei misteri del mestiere di geisha, è malese) è abbagliante ma leggero come la
seta degli splendidi kimono indossati dalle protagoniste. Sotto il kimono niente, si potrebbe sintetizzare.
La strada imboccata da Marshall è infatti quella della festa di colori, ma anche di una semplicità e di un qualunquismo
narrativo (non manca nessun clichè esotico, neppure il sumo) che forse gli deriva proprio dalla sua lunga frequentazione dei
musical. Resta ovviamente il rimpianto di come lo avrebbe girato Spielberg che aveva preso i diritti dieci anni fa, e alla fine si
è accontentato del ruolo di produttore esecutivo. Per certo sarebbe stato più attento ai risvolti della storia - che precipita spesso
alla maniera delle soap opera - e più rispettoso per i misteri d’Oriente (come lo fu con L’impero del sole). C’ è anche Ken
Watanabe, protagonista de L’ultimo samurai, ma chi esce meglio da questo melò (per non dire polpettone) in salsa teriyaki
che si potrebbe intitolare L’ultima geisha, è Gong Li, impagabile cattiva che sembra vivere per davvero (insulti e schiaffoni
compresi) la furiosa rivalità che la divide anche nella vita dalla sua giovane erede Zhang Ziyi. (Marco Giovannini, Ciak -
13/01/2006)

Il punto di partenza è il romanzo di Arthur Golden, Memorie di una geisha, best seller nel 97, quattro milioni di copie e
traduzioni in 32 lingue. Che divenisse un film era persino scontato e che il film dovesse rientrare nel «pacchetto» colossale del
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libro pure. Dunque: produzione firmata con la Dreamworks di Spielberg, e un cast di star. Memorie di una geisha (il film)
infatti, diretto da Rob Marshall (Chicago) mette insieme le dive asiatiche più «esportate»: Gong Li, Michelle Yeoh e nel ruolo
di Sayuri, la voce narrante che ci porta nel mondo degli hanamachi, i quartieri delle geishe, Ziyi Zhang. La storia comincia
quando Sayuri è una bimbetta venduta come serva e presa di mira dalla crudele Hatsumoto (Gong Li). Finché la ragazzina non
incrocia un uomo che le offre un gelato e, poi sapremo, fa sì che venga presa sotto protezione da un'altra potentissima geisha,
Mameha (Yeoh). La quale la insegnerà l'arte sapiente di gesti, sorrisi, accoglienza del maschio. Pare che in Giappone non
abbiano gradito che sole attrici cinesi incarnino il mito nazionale tra i più antichi. A dire il vero un certa confusione c'è, spesso
sembra di essere in Cina, (il set è tutto in studio in California), e non solo per le attrici (il caso italiano è aggravato da un
doppiaggio insopportabile). Ma. Nell'era della globalizzazione è pure divertente che ponti, giardini e fiori di pesco siano più
simili al The World di Jiang Zhan Ke che alle immagini di Ozu. Il punto infatti non è questo. Il film di Marshall nulla ci dice
di questo mondo, pur penetrando nella cortina invisibile che sta dietro alla seduzione, kimoni mozzafiato, piedi costretti a
sanguinare, una maschera quasi già butoh di sofferenza piegata al piacere altrui e rinuncia all'amore obbligata. Così la nostra
eroina che ama il «direttore generale» da quel giorno sul ponte intrecciando il melò di questo amore impossibile ai fatti del
Giappone, la guerra, l'occupazione americana, la scomparsa di quelle strane «creature» che diventeranno altro, prostitute per
soldati con troppo rossetto e parole di inglese imparate in fretta. Pure se la geisha Sayuri farà impazzire il colonnello Usa,
incarnazione di un occidente incapace, come la Storia anche oggi insegna, di cercare un confronto con la diversità da sé che
non sia solo sopraffazione e uso. Ma questa è, appunto, altra cosa. Che scivola quasi casualmente in un film mai capace
anch'esso di uscire dalla propria spettacolarità. (Cristina Piccino, Il Manifesto - 19/12/2005)

Una ragazza studia, si applica, ruba i segreti alla maestra, e alla fine sostiene l’esame. “Prova a farlo voltare con una sola
occhiata” dice la geisha esperta alla geisha apprendista. Naturalmente, l’uomo a cui far girare la testa è scelto a caso tra i
passanti, niente trucco e niente inganno. Prima tocca a Michelle Yeoh (Bond-girl in Il domani non muore mai, spadaccina in
La Tigre e il Dragone), poi a Ziyi Zhang (guerriera in Hero e La foresta dei pugnali volanti, icona neoromantica 2046 di Wong
Kar-Wai). Due attrici cinesi in ruoli da giapponesi. Abbastanza per scatenare un’altra guerra. I giapponesi sono arrabbiatissimi
con Hollywood, che ha preteso attrici con un potenziale di cassetta, tanto il pubblico non avrebbe notato la differenza. I cinesi
sono arrabbiati con le loro dive che hanno indossato kimono e obi, dipingendosi la faccia di bianco (lasciando nude due strisce
sul collo, tre nelle occasioni speciali). A portar sullo schermo il bellissimo libro di Arthur Golden (appena ristampato nei
tascabili Tea), è il regista di Chicago. I ritmi naturalmente sono un po’ più lenti, la cerimonia del tè risulta più tranquilla del
tip tap, e non si perde occasione per ribadire che le geishe non erano prostitute ma artiste in un mondo fluttuante. Sapevano
cantare, sapevano ballare, sapevano conversare, sapevano inginocchiarsi, sapevano sorridere alle battute dei maschi poco
spiritosi, e dopo una lunga giornata dormivano con la testa su uno strapuntino, perché la complicata pettinatura non si
sciupasse. Lo loro verginità era messa all’asta, offrendo l’occasione di un discorsetto tra femmine che comincia così: “Ti ha
mai detto niente la mamma, dell’anguilla e della caverna?”. Per una ragazza povera e orfana come Chiyo, alla fine degli anni
20, nata in una capanna di pescatori, era comunque una bella carriera (anche se al cuor non si comanda, Lanterne rosse è
sempre dietro l’angolo, e pure il dramma). La rivale si chiama Sayuri, e per un prezioso kimono rovinato (sette metri di
tessuto, ricami a mano, un anno di lavoro) gliene farà passare di tutti i colori. La trama ricorda Eva contro Eva, i balletti hanno
coreografie moderne, la fotografia gronda lusso, calma e voluttà. La battuta più bella, detta nel film dal cinico di turno (anche
sfregiato): “Tutta questa fatica per vedere un ciliegio in fiore?”. (Mariarosa Mancuso, Il Foglio - 19/12/2005)

Zhang O Haru donna galante, se ci sei batti un colpo. Se Mizoguchi era spoglio, essenziale e lirico, Rob Marshall, dopo il
magnifico Chicago (citato in una danza) racconta l' epopea di una piccola grande geisha nel Giappone dagli anni 30 al
dopoguerra protetto dal budget spielberghiano, da una magica fotografia di Dion Beebe, dal romanticismo del melò esotico, in
una cornice drammatica degna di Lillian Gish o di Lindsay Kemp. Battaglia di bocche e di bocchini, gara di voci off, pallide
maitresse, cuori sottochiave, una scatolina che contiene la verginità, toni da acquarello, collezioni di kimono ricamati per
assatanati e discreti machi giapponesi e match di sumo. Dopo la nuttata, arrivano gli yankees e cambia film: Sayonara. Fra le
geishe, la migliore e più perfida è Gong Li, ma la rivelazione si chiama Ziyi Zhang. Difficile palpitare ma abbandonatevi all'
estenuante racconto di 140 minuti. (Maurizio Porro, Il Corriere della Sera - 19/12/2005)

Prima di diventare un film, Memorie di una geisha è stato, dal ’97 in poi, un romanzo di Arthur Golden andato incontro a una
fortuna eccezionale, tanto da essere tradotto in trentadue lingue, trovando in Italia, in tempi diversi, addirittura due editori. Tra
i motivi di tanto successo è certamente da considerare il fatto che il suo autore, dopo essersi ampiamente documentato, ha
fatto un po’ di luce sul mondo abbastanza misterioso delle geishe, ritenute, da molti, delle prostitute mentre invece sono delle
bellissime donne che, anziché vendere sesso, vendono musiche, danze e canzoni per intrattenere ospiti facoltosi riuniti in
genere per trattare degli affari. Il film, diretto da Rob Marshall dopo i trionfi di Chicago e scritto da Robin Swincond, un
drammaturgo molto apprezzato off-Broadway, segue in modo piuttosto stringato il romanzo affidandolo alla voce narrante
della protagonista, una geisha conosciuta con il nome d’arte di Sayuri, che ripercorre il suo difficile cammino in
quell’ambiente da quando a nove anni, un po’ prima dell’ultima guerra, era stata venduta dai genitori molto poveri per servire
in casa di una geisha, fino all’occupazione americana del Giappone, quando, nonostante alle donne della sua categoria fosse
rigorosamente vietato innamorarsi, riesce a coronare il suo sogno d’amore con l’unico uomo che, da bambina, era stato gentile
con lei. In mezzo la sua irresistibile ascesa fra le altre geishe, le durissime lezioni nei quartieri loro riservati per imparare bene
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a cantare e a suonare maneggiando con meticolosa perizia i ventagli: qua con la gioia di potersi fare delle amiche, là con
l’angoscia di dover far fronte a delle perfidi rivali. Senza dimenticare, a un certo momento, l’impietoso rituale della perdita
della verginità espresso con le stesse ieratiche cadenze delle cerimonie del tè. Forse, in alcune pagine, il racconto è un po’
statico e la voce narrante non arriva a chiarire fino in fondo i pensieri e le reazioni della protagonista, spesso segnata dalle
avversità e dalle contraddizioni sentimentali, ma lo spettacolo, attorno, c’è e con accenti vividi. Sia nella rievocazione (rifatta
in studio) della Tokio anni Quaranta, sia negli eventi in cui quelle donne sono spesso coinvolte, dal teatro Kabuki, ai
combattimenti dei Sumo, all’arrivo delle truppe americane. Con scenografie splendide, delle immagini spesso buie ma
pittoresche, delle musiche orientaleggianti di effetto. Curiosamente tra le geishe in primo piano anziché delle giapponesi, sono
note dive cinesi, dalla principale, Ziyi Zhang, già vista con Zhang Yimou nella Foresta dei pugnali volanti e in Hero, alla
rivale Gong Li, all’amica Michelle Yeoh («La tigre e il dragone»). L’uomo amato invece è il giapponese Ken Watanabe, che
era con Tom Cruise nell’Ultimo samurai. (Gian Luigi Rondi, Il Tempo - 15/12/2005)

Le mani giunte, gli occhi al cielo e una lunga litania dai toni profondi interrotta da urla improvvise: la tradizionale preghiera
per tenere lontani gli spiriti maligni che segna l’inizio lavorazione di ogni film giapponese era perfetta (la voce era quella di
Ken Watanabe, già protagonista insieme con Tom Cruise di L’ultimo samurai). Ma il luogo era decisamente atipico. Non la
città di Kyoto, come si pretendeva nel film, ma un modernissimo studio cinematografico di Culver City, quartiere di Los
Angeles, in cui era stato ricostruito nei minimi termini il Giappone degli anni Trenta. «Di solito la preghiera la recita un
professionista, un monaco giapponese» dice Watanabe, «Ma non ne avevamo uno a disposizione e allora mi sono offerto io».
Sono passati Otto anni e molte polemiche da quando il romanzo di Arthur Golden Memorie di una geisha è diventato un best-
seller globale (32 traduzioni e una causa di diffamazione da parte di Mineko Iwasaki, la geisha su cui si basa la storia). E ora
si è trasformato in un film da 80 milioni di dollari che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe essere uno dei più seri contendenti
all’Oscar 2006. L’anteprima italiana, mondanissima, sarà presentata da Giorgio Armani.
La storia comincia come un’odissea: Chiyo, una bambina di 9 anni di Yoroido, povero villaggio di pescatori, viene venduta
dai genitori grazie alla sua unica dote: occhi del colore del mare, grigio-blu. E prosegue come un’epopea: Chiyo diventa
Sayuri, una delle più affascinanti e celebrate geishe di Kyoto. Ci aveva messo il cappello Steven Spielberg: solo quando la sua
agenda è diventata ingestibile perfino per uno stakanovista come lui (solo quest’anno ha realizzato due film: La guerra dei
mondi e Munich) si è deciso a passare la mano, pur conservando il ruolo di produttore esecutivo.
Il regista che l’ha sostituito è l’ex coreografo Rob Marshall, che con il suo film d’esordio, il musical Chicago, ha vinto l’Oscar
nel 2002. «Spielberg è stato un vero signore: non mi ha costretto a seguire la sua versione della sceneggiatura, ma mi ha
permesso di ripartire da zero» dice Marshall. Una conferma della sua autonomia? Non ha fatto nemmeno un provino all’attrice
che Spielberg aveva scelto come protagonista, la ballerina giapponese Rika Okamoto, quando il regista (su consiglio del suo
idolo Akira Kurosawa) pensava di girare il film in giapponese con sotto-titoli in inglese.
Marshall ha fatto di testa sua e le sue scelte hanno scatenato una specie di guerra santa (cinematografica) d’Oriente. A
indossare i raffinati kimono delle tre protagoniste ha chiamato le due più popolari attrici cinesi (Zhang Ziyi e Gong Li) e la
diva del cinema d’azione di Hong Kong, Michelle Yeoh, nata in Malaysia. «Sono abituato a scegliere l’attore migliore per la
parte, senza occuparmi di dettagli quali il colore della pelle o il passaporto» dice, E cita l’esempio di Chicago, dove diede la
parte del capo delle secondine a Queen Latifah, incurante del fatto che a quell’epoca, gli anni Venti, sarebbe stato impossibile
per una donna nera ottenere un simile lavoro.
Se in Giappone contestano lo scippo etnico, in Cina hanno dato a Zhang Ziyi della «traditrice». E Marshall, da bravo avvocato
difensore, spiega che la sua protagonista non solo ha già girato un film in quel paese, Princess Raccoon, ma il commercial di
uno shampoo Asianense, in grado di dare alle ragazze giapponesi un look «panasiatico».
Per ognuna delle sue tre geishe, che sul set lui chiamava le sue tre grazie, Marshall ha coniato un aggettivo: «incandescente»
(Zhang Ziyi, cioè Sayuri), «mozzafiato» (Gong Li, cioè Hatsumomo), «squisita» (Michelle Yeoh, cioè Mameha). La stona le
lega a filo doppio: mal-trattata dalla gelosa Hatsumomo, geisha di successo, l’apprendista Sayuri viene protetta e istruita dalla
potente Mameha, che ne fa la sua erede. Con pazienza e tenacia, quella ragazzina di campagna che sembra uno scricciolo si
trasforma in una sofisticatissima farfalla. «Per un apprendistato che di solito dura tutta la vita noi abbiamo avuto solo sei
settimane» sospira Zhang Ziyi, che insieme alle colleghe ha partecipato a un corso intensivo definito «geisha campà».
«Le geishe erano una sorta di top model della loro epoca. Abbiamo dovuto riparare tutto: dalla calligrafia all’arte di versare il
sakè, dall’uso del ventaglio al linguaggio delle dita» dice invece Michelle Yeoh, che ricorda quel periodo come quello delle
sette camere di tortura. I suoi incubi erano nella prima camera (dedicata allo shamisen, lo strumento a tre corde) e nella terza,
dove per camminare con il kimono a passettini si cominciava con le ginocchia legate e poi separate soltanto da un sottile
foglio di carta che non doveva mai cadere.
Il tutto complicato dal fatto che per Zhang Ziyi e per Gong Li si è trattato del primo film recitato in lingua inglese, con
inevitabili e severi corsi di dizione («È stato come tornare a scuola»).
La grande novità è che Gong Li perla prima volta fa una parte da cattiva: «In realtà Hatsumomo è sfaccettata, come un
diamante». Dice di essersi molto divertita e lo si vede dagli insulti e dagli schiaffoni che rifila a Zhang Ziyi. Sono state
lanciate dallo stesso regista (Zhang Yimou) e considerate così rivali che Ziyi, che è più giovane di 13 anni, è stata definita la
«piccola Gong Li».
Per scrivere le musiche di Memorie di una geisha il celebre John Williams ha rinunciato all’ultimo episodio di Harry Potter.
Mentre la costumista Coleen Atwood (Oscar per Chicago) si è sbizzarrita con i kimono: ammette di aver semplificata i disegni
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e di averli modernizzati, prendendosi molte licenze artistiche. Stesso concetto del creativo merchandising: una linea di
profumi e cosmetici per la minicatena Fresh e di abbigliamento per Banana Republic. Business is business. Specie nel cinema.
(Marco Giovannini, Panorama - 14/12/2005)

Pare che l’anteprima di Tokyo sia stata un successo. Se è vero, cade il problema che più deve aver preoccupato i produttori
(Steven Spielberg in testa) di Memorie di una geisha. Ovvero: come reagirà il pubblico giapponese (ricca fetta del botteghino
internazionale) di fronte a un film le cui geishe, emblema da secoli della più raffinata feniminilità nipponica, sono impersonate
dalle note attrici cinesi Ziyi Zhang (la protagonista Sayuri) e Gong Li (la sua crudele rivale Hatsumono), nonché
dall’altrettanto bella e famosa malese Michelle Yeoh (maestra di seduzione di Sayuri)? E del resto il bestseller di Arthur
Golden (quattro milioni di copie vendute nel mondo) ispiratore della pellicola, ha provocato analoghe riserve. Anche se
l’autore proclama di aver modellato il personaggio su quello reale di tale Mineko Iwasaki, il racconto autobiografico
dell’immaginaria Sayuri, che sull’ arco di una ventina danni (dal 1930 al dopoguerra) si riscatta da un’infanzia misera
diventando una geisha di prima fila e poi coronando il suo sogno di amore, suona fasullo dal principio alla fine. Così dicono
gli antipatizzanti, ai quali ci associamo. Rob Marshall, l’acclamato regista di Chicago in linea di massima rispecchia il testo,
accentuando l’impianto di melò e arricchendone lo smalto con la suggestione visiva: scenografie (la Kyoto d’epoca ricostruita
negli Studi di Los Angeles), fotografia e costumi sono impeccabili. Quanto alla natura, si intona: tempeste a sottolineare il
dramma (vedi la dickensiana scena iniziale quando, fra lampi e tuoni, Sayuri bambina viene strappata alla famiglia); ciliegi in
fiore quando si giunge al lieto fine. In fondo Memorie di una geisha è una variazione in stile finto orientale della fiaba dì
Cenerentola: chi ha amato il libro, dovrebbe amare il film, prodotto di confezione comunque migliore. Il punto debole è
l’interpretazione in chiave vittimistico/passiva di Ziyi Zhang, attrice modesta qui sovrastata per fascino, autorevolezza e
capacità emozionale dalla «rivale» Gong Li. (Alessandra Levantesi, La Stampa - 19/12/2005)

«Tre cose contano nella vita: sumo, affari e guerra. Se capisci uno, capisci gli altri»,dice l'affarista, interpretato da Koji
Yakusho, alla geisha,interpretata da Zhang Ziyi. Nell'elenco non c'è il sesso, ma in Memorie di una geisha di RobMarshall -
tratto dal romanzo di Arhur Golden - il sesso aleggia sterilmente, perché questo non è un film eroico-erotico come L'impero
dei sensi di Oshima. È un prolisso aneddoto sulla lotta per il potere che la donna conduce amando chi il potere l'ha già: regola
vecchia più di Machiavelli, nelle pagine verbose di Golden e nelle immagini laccate di Marshall raggiunge estenuante
estensione. Nel film si scontrano - si noti la perfidia di opporle nella finzione, oltre che nella realtà - Zhang Ziyi, attuale
compagna di Zhang Yimou, e la ex di quest'ultimo, Gong Li. Fra odi a prima vista più intensi degli amori, tutto scorre freddo,
levigato come già in Chicago dello stesso Marshall. Mettere le stelle del cinema cinese, più Michelle Yeoh (cinese, ma malese
di passaporto), a impersonare geishe ha un effetto straniante, che si somma allo pseudo giapponismo di Golden, che non è
Thomas Raucat, né Richard Sorge, né Fosco Maraini, e guarda i giapponesi da entomologo. (Maurizio Cabona, Il Giornale -
16/12/2005)

Un’innocente strappato (strappata) agli affetti più cari cresce nella brutalità e nella privazione fino a quando, superati
tradimenti e disgrazie, conosce finalmente il conforto dell’amore. Non è Oliver Twist, è Le memorie di una geisha, dal best-
seller di Arthur Golden, ovvero tutto ciò che avete sempre saputo sul Giappone (o quasi), in elegante e un po’ tediosa
confezione export. C’è il rapimento in tenera età, in realtà una vendita: non potendo più allevare la piccola Sayuri, il padre
pescatore la cede a una casa di geishe. C’è l’apprendistato fatto di arti sottili e di scontri con le compagne, in testa l’odiosa e
corrotta Hatsumomo (Gong Li). C’è l’amore impossibile per il cortese alto funzionario che offrì a Sayuri bambina un gelato
dischiudendo improvvisamente la sua vocazione di geisha.
E poi la verginità messa all’incanto, la guerra, la ricostruzione, le geishe degradate a “signorine”, l’amore che alfine trionfa.
Intendiamoci: Rob Marshall (già regista dello zelante Chicago) ha studiato e si vede. Se una volta tutti imitavano il cinema
americano, oggi perfino gli americani imitano il cinema asiatico. Ultimo samurai o ultima geisha, siamo sempre lì. Ma non
basta imitare le forme e moltiplicare i cliché da esotismo anni ’30 (come diceva Eco su Casablanca, «un cliché è volgare, 100
cliché sono sublimi»). Il nuovo millennio guarda ad Oriente, Hollywood si adegua. Ma per quanto si sforzi, le sue laboriose
imitazioni restano lussuose, magari eleganti, ma senz’anima. Ne fa le spese la protagonista Zhang Ziyi, meravigliosa con
Zhang Yimou o Wong Kar-wai, ma qui abbastanza opaca. Va meglio per Gong Li e per la regale Michelle Yeoh. Peraltro tutte
cinesi, anche se siamo a Kyoto. (Fabio Ferzetti, Il Messaggero - 15/12/2005)

Da sempre, in Giappone, gli incontri sociali sono una parte integrante della conduzione degli affari tra business men e la
presenza della geisha, ancora oggi e in molti casi, esalta l'importanza di chi può permettersi una compagnia tanto ambita.
L'importanza della geisha è però legata soprattutto alla tradizione giapponese, quando una ragazza sceglieva (o le veniva
imposto) di vivere intrattenendo uomini importanti, senza prostituirsi, ma danzando, cantando, suonando e dialogando
amabilmente. Questo mondo esotico ed affascinante emerge nel film Memorie di una Geisha, tratto dall’omonimo libro di
Arthur Golden, diretto dal premio Oscar Rob Marshall e da domani distribuito dalla Eagle in 150 copie. Il cast è composto da
superbi attori asiatici, a cominciare da Ziyi Zhang, Gong Li e Ken Watanabe, premio Oscar per aver partecipato a fianco di
Tom Cruise ne L'ultimo Samurai. «Racconto di una geisha che non si é arresa ad una vita dove non c'é spazio per l' amore —
ha detto ieri a Roma Rob Marshall, accanto al coreografo John De Luca —. Il film racconta la storia della geisha Sayuri, dalla
sua infanzia negli anni Venti, lungo le rive del Mar del Giappone, fino al dopoguerra con l'arrivo degli americani e la difficile
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situazione di convivenza tra il mito delle geishe e la prostituzione dilagante. Il periodo della occupazione americana ha
coinciso con la perdita dell'innocenza della cultura giapponese. Ho realizzato un film impressionista perché, come il romanzo,
narra il Giappone attraverso lo sguardo di un occidentale. Abbiamo girato il mondo, ma la migliore per questo ruolo è stata
Ziyi Zhang, anche se è cinese. D'altronde pure Anthony Queen ha fatto Zorba il greco e l'egiziano Omar Sharif il Dottor
Divago. La mia geisha è una sorta di Cenerentola in salsa orientale, ma c’è di più del matrimonio con un principe e
dell’andare a vivere in un castello: c’è il trionfo dello spirito e della libertà di scelta. La protagonista Sayuri decide di ribellarsi
al proprio destino. Le geishe erano le top model di oggi, erano ammirate per come si vestivano, per quello che dicevano.
Abbiamo parlato con delle geishe anziane e con noi sul set c'era sempre un'esperta, Liza Dalby, che ci ha aiutato a ricreare le
atmosfere dell’epoca e i quartieri hanamachi, dove vivevano le geishe. Ai Giapponesi è piaciuto molto: alla proiezione di
Tokio c'erano tremila spettatori, mai così tanti per un’anteprima. Realizzato quasi interamente negli Studios californiani, il
film si avvale del montaggio del premio Oscar italiano Pietro Scalia, che incontrerò oggi a Milano con Giorgio Armani. Sono
felice che sia stata scelta Roma per l’anteprima europea, è una città meravigliosa: ricca di persone eleganti e piene di stile, di
cibi prelibati e di bellezze storiche, tutto è molto più bello che in America». (Dina D'Isa, Il Tempo - 15/12/2005)

Ha nove anni Sayuri quando la sua vita cambia. Fino a quel momento si è chiamata Chiyo ed è vissuta in un paesino di
pescatori sulle rive del mar del Giappone, in una casa “ubriaca” e perennemente a rischio di crolli. La sua famiglia è povera, il
padre è anziano, la madre malata. È fin troppo facile risolvere i problemi familiari accettando di “affidare” la ragazzina, e la
sorella maggiore, a un vicino premuroso. Che però, a dispetto delle promesse, ha in realtà solo l’intenzione di vendere
entrambe a Kyoto, centro vitale di un Giappone che negli anni ‘20 non nasconde le sue mire espansionistiche su tutta l’Asia.
Una capitale raffinata dove confluiscono ogni anno torme di ragazze e ragazzine destinate - a seconda della loro bellezza - ai
bordelli o alle scuole per geishe. Si apre così il bestseller di Arthur Golden, scrittore e studioso di cultura giapponese, che nel
1997 ha pubblicato Memorie di una geisha, la storia della vita (personale e professionale) della piccola Chiyo destinata a
diventare - dopo una lunga formazione condita di fatiche, umiliazioni e rigida autodisciplina - la leggendaria geisha Sayun.
Quasi cinque milioni di copie vendute in tutto il mondo (in oltre 30 traduzioni), Memorie di una geisha è diventato ora un
film, firmato da Steven Spielberg (che, innamoratosi del soggetto, ha voluto curarne la produzione) e Rob Marshall (regista e
coreografo “esploso” con Chicago). Il libro di Golden - che ha utilizzato, romanzandole, le memorie di una vera geisha,
Iwasaki Mineko (attualmente in causa con il romanziere perché insoddisfatta dello svilente trattamento letterario della sua
storia) - ha suscitato più di una critica, sostanzialmente accusato di travisare - per colpa di un superficiale pragmatismo
tipicamente occidentale - la natura delle geishe, trasformandole in prostitute di lusso. In realtà, invece, nella millenaria cultura
giapponese le geishe erano “artiste” specializzate nell’intrattenere gli uomini con canti, danze, musica e conversazioni, nonché
maestre nella fondamentale cerimonia del tè e solo del tutto marginalmente disposte a concedere favori sessuali.
Il destino provocatorio del libro sembra ora essersi trasferito anche al film di Marshall, già oggetto di furiose polemiche.
Fondamentalmente perché le tre figure principali (Sayuri, Hatsumomo e Mameha) sono state (incautamente) affidate a tre star
del cinema cinese, nell’ordine Zhang Ziyi, Gong Li e Michelle Yeoh, suscitando reazioni sia in Giappone (dove non hanno
digerito che un regista hollywoodiano non sia riuscito a trovare neanche un’attrice nipponica per il suo film) sia in Cina (dove,
memori delle tensioni storiche e razziali che da sempre dividono i due paesi, le tre interpreti sono state tacciate di
“tradimento”). Adesso Memorie di una geisha sbarca in Italia (dal i6 dicembre) dove, c’è da giurano, replicherà invece il
successo del libro. Marshall (che ha dichiarato: «Volevo raccontare la storia di Sayuri come un’impressione di tempo e di
luogo»), ha infatti applicato la cura che aveva già caratterizzato Chicago per ricostruire minuziosamente il fascinoso mondo
delle geishe, lasciando in sottofondo la cornice storica e politica per privilegiare usi & costumi, riti & consuetudini di un
ambiente totalmente “alieno” per gli occidentali e, anche per questo, tanto più attraente.
Sfruttando il suo passato di danzatrice classica, la ventiseienne Zhang Ziyi (dopo La tigre e il dragone e La foresta dei pugnali
volanti considerata ben più di una promessa del cinema asiatico) ha conquistato Marshall, che da tempo era alla ricerca di
un’attrice e ballerina in grado di dare vita alla sua Sayuri. Smesso l’atteggiamento combattivo caratteristico dei film
wuxiapian, Zhang Ziyi si è adattata al duro tirocinio indispensabile per diventare una geisha perfetta. Ha imparato a ballare e a
cantare, a servire il tè, a indossare il kimono e a truccarsi come avrebbe potuto fare la vera Sayuri, invecchiando insieme al
suo personaggio (che nel corso della pellicola passa dai 5 ai 40 anni). Al suo fianco, due dive riconosciute del cinema
mandarino: Michele Yeoh e Cong Li. Se in La tigre e il dragone Yeoh e Zhang erano antagoniste, in Memorie di una geisha
alla più matura, esperta e riflessiva Michele spetta il ruolo della sensibile Mameha, che prende sotto la sua ala protettrice la
giovane Sayuri cercando di trasmetterle la sua esperienza, compresa l’amara consapevolezza che il destino di notorietà
riservato alle geishe migliori è inevitabilmente accompagnato dal tarlo della solitudine. All’altera Gong Li, non nuova ai
kolossal hollywoodiani, è invece toccato il personaggio di Hatsumomo, la rivale che cerca in tutti i modi di screditare e
rimpiazzare Sayuri e che l’interprete di Lanterne rosse riesce a rendere con sfaccettata perfidia. Infine, se per le protagoniste
femminili Marshall ha attinto dal serbatoio del cinema cinese, giapponese è la star maschile del film, Ken Watanabe, che
trasferisce l’elegante dignità con cui aveva già caratterizzato il personaggio di Katsumoto in L’ultimo samurai alla figura del
Presidente, l’uomo cui la giovane Sayun dona (vanamente e dolorosamente) il proprio cuore. (Daniela Zacconi, Film TV -
16/12/2005)

Chi ha amato Chicago, apprezzerà anche Memorie di una geisha. Non vuole essere una provocazione né tanto meno
un’ovvietà: anche qui Marshall dispiega tutta la sua indiscutibile abilità di metteur en scène per illustrare, raccontare,
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ammaliare. Commuovere però gli riesce molto meno. In altre parole: il film è spielberghiano nella fattura ma non nello spirito.
Gli elementi melodrammatici della vicenda, universalmente nota - separazione delle sorelle, rivalità muliebre - avrebbero
potuto essere sfruttati con esiti più intriganti. lI rito di passaggio, la tras/formazione di Sayuri (Ziyi Zhang) da figlia di poveri
pescatori in raffinatissima geisha, ostacolata dall’odio della maggiore Hatsumomo (Gong Li) e favorita dalla protettrice
Mameha (Michelle Yeoh) è perennemente accompagnato da una voce over che non lascia spazio a dubbio alcuno. Per quanto
riguarda tutti i segreti e i divieti del mondo delle geishe, al bestseller di Arthur Golden di cui il film riprende il didascalismo,
preferiamo Il paese delle nevi, ma ancora di più La casa delle belle addormentate di Yasunari Kawabata. L’ostentata eleganza
e l’estetismo di un film così postmoderno - una per tutte: la scena del debutto danzante di Sayuri - non vanno però scambiate
per puro formalismo, né compromettono la godibilità di quello che onestamente si presenta come un colossale, esotico
affresco d’antan. (Raffaella Giancristofaro, Film Tv - 28/12/2005)

"Esteso su un lungo arco temporale, il film è illustrato con grazia, commovente a comando, lieve come la seta di un kimono,
ma altrettanto inconsistente." (Roberto Nepoti, 'la Repubblica', 16 dicembre 2005)

Fascino, esotismo, mistero per un film americano che rischia, portando sul grande schermo una realtà lontana, un mondo
appartato e circoscritto, una cultura estranea come quella delle geishe.
Chiyo è una bambina di nove anni quando viene venduta dalla sua famiglia ad una okiya, una casa di geishe. La sua vita
cambia radicalmente, e la piccola si trova a contatto con un mondo chiuso e affascinante, a volte insopportabile, a volte
attraente. Il film descrive il suo sviluppo fisico e interiore, da apprendista a serva, poi di nuovo apprendista, fino al debutto,
descrivendo rituali tradizionali e sentimenti personali, intrecciando elementi storici e passioni individuali. La piccola Chiyo
infatti non deve solo affrontare una realtà dura e a lei estranea, ma subire anche le prepotenze di Hatsumomo (Gong Li),
geisha bellissima e infelice, in guerra contro di lei e ancor di più contro quel mondo che l'ha rinchiusa e costretta alla totale
assenza di sentimenti. Sotto le cure e la severa guida della leggendaria geisha Mameha (Michelle Yeoh), e nella speranza di
rivedere un uomo che le ha lasciato un segno nel cuore, Chiyo (Ziyi Zhang) si trasformerà in Sayuri, una vera geisha.
Appassionante e intenso, Memorie di una Geisha è un film curato e delicato, in grado di creare un'atmosfera magica grazie
alla fotografia, ai dolci paesaggi, all'uso delle luci e dei colori e alla musica orientale, talvolta leggera e avvolgente, talaltra
impetuosa e scrosciante, altre ancora destabilizzante e misteriosa. All'interno di quest'ambientazione quasi surreale si
svolgono le vicende narrative e quelle interiori, si alternano momenti sereni a condizioni drammatiche, riflessioni dentro e
fuori campo. Il dettaglio con cui sono descritti alcuni rituali, come quello del trucco, come la scelta del kimono sembrano
aprire un piccolo varco verso un mondo misterioso e impenetrabile, con le sue imposizioni e il suo potere protettivo, che
tuttavia si modifica e viene turbato dalla guerra, dai cambiamenti di costume, dall'entrata prepotente della cultura occidentale.
Si è naturalmente trascinati da questa atmosfera, da questi richiami, dallo scrosciare delle onde, dal movimento della corrente,
dall'acqua che permea tutto il film sia come elemento visivo che attraverso suoni e rumori. Contribuisce un cast famoso al
pubblico occidentale, fatto di presenze femminili passionali ed espressive, raffinate e fragili (anche se, potrebbero obiettare i
più critici, cinesi e non nipponiche).
É un film che rischia però, non solo perché porta sulla scena attrici cinesi che recitano in inglese perfetto ed interpretano
personaggi giapponesi, ma anche in quanto prodotto made in USA, diretto da Rob Marshall e prodotto – tra gli altri – da
Steven Spielberg, e tratto da un romanzo anch'esso americano (la firma è di un uomo, Arthur Golden). La cultura occidentale
vi entra necessariamente e il mondo, la realtà e la cultura giapponesi ne perdono qualcosa. Più attenzione alla storia
sentimentale ed eroica della protagonista, al suo carattere, alla sua personalità, cercando quello stile melodrammatico caro
all'occidente piuttosto che una profonda e più intensa introiezione della cultura orientale. Criticabile per questo? Forse, ma
certamente non meno coinvolgente. (www.cineclick.it)

Note:
-ACADEMY AWARDS, USA 2006
Won Oscar Best Achievement in Art Direction: John Myhre (art director), Gretchen Rau (set decorator)
Won Best Achievement in Cinematography: Dion Beebe
Won Best Achievement in Costume Design: Colleen Atwood
Nominated Oscar Best Achievement in Music Written for Motion Pictures, Original Score: John Williams
Nominated Best Achievement in Sound: Kevin O'Connel, Greg P. Russell, Rick Kline, John Pritchett
Nominated Best Achievement in Sound Editing: Wylie Stateman

-GOLDEN GLOBES, USA 2006


Won Golden Globe Best Original Score - Motion Picture: John Williams
Nominated Best Performance by an Actress in a Motion Picture - Drama: Ziyi Zhang

-BAFTA AWARDS 2006


Won Anthony Asquith Award for Film Music: John Williams
Won Best Cinematography: Dion Beebe
Won Best Costume Design: Colleen Atwood
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Nominated Best Make Up/Hair: Noriko Watanabe, Kate Biscoe, Lyndell Quiyou, Kelvin R. Trahan
Nominated Best Performance by an Actress in a Leading Role: Ziyi Zhang
Nominated Best Production Design: John Myhre

- LE SCENE DEL TEATRO DI KYOTO SONO STATE GIRATE AL BELASCO THEATRE DI LOS ANGELES E
QUELLE DELLA CASA DA TE' DI KYOTO AL YAMASHIRO RESTAURANT DI HOLLYWOOD DOVE ERANO
GIA STATE GIRATE SCENE DI 'LA CASA DA TE' ALLA LUNA D'AGOSTO' (1956) E I 'SAYONARA' (1957).
- COREOGRAFIE: JOHN DE LUCA.

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