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GUNBOAT DIPLOMACY IN EAST ASIA

Questa, se vogliamo, è una delle lezioni non più difficili ma più intense del corso; per un
semplice motivo: quando darete un’occhiata ai manuali quali il Canavero o il Varsori, la
prospettiva che va per la maggiore è una prospettiva eurocentrica che si risolve in una
narrazione degli interessi diplomatici e di linee di politica estera degli stati occidentali e di
come tali interessi hanno trovato attuazione in Asia Orientale. Io cerco, nel limite del
possibile, di seguire una linea diversa. Pur esplorando le dinamiche a livello macro e tenendo
conto degli interessi delle grandi potenze occidentali, cerco di fornire ovviamente una
prospettiva anche sugli Stati coinvolti nei processi e nelle dinamiche che studieremo.

CONTENUTI

Parlare
della gunboat diplomacy in Asia non è difficile, però richiede uno sforzo che va oltre alla
mera definizione del fenomeno e la descrizione delle sue origini e delle sue conseguenze. Le
dinamiche che affronteremo coinvolgono la Cina, il Giappone e la Corea. Quindi, la lezione è
articolata nel seguente modo: inizierò fornendo la definizione di gunboat diplomacy, poi
procederò a fornirvi ciò che manca dalle letture assegnate per oggi, cioè il quadro generale
della gunboat diplomacy in Asia Orientale, il quadro delle sue cause e dei suoi impatti
immediati su ciascuno dei tre sistemi (Cina, Giappone, Corea), nonché delle sue conseguenze
a breve e lungo termine. Prenderemo in esame anche gli sviluppi interni a ciascuno di questi
tre sistemi, per quanto solo nella misura in cui esse sono rilevanti alla più ampia dinamica
internazionale. Nello specifico, sappiamo che in Cina hanno luogo le Guerre dell’Oppio,

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sappiamo che in Giappone e in Corea in questo periodo storico (in Giappone siamo alla fine
della dinastia Tokugawa) hanno luogo degli sviluppi determinati in politica interna. Li
richiameremo solo per quanto necessario. Pur con questo sforzo di non scendere troppo
affondo nella storia di ciascuno dei tre Paesi, dobbiamo comunque occuparci di tutti e tre per
cercare di avere un quadro ampio e soddisfacente della questione, perché la questione è in
definitiva una questione globale.

DEFINIZIONE

Di
cosa parliamo quando parliamo di gunboat diplomacy? Si tratta di una forma di diplomazia,
di interazione altamente antidemocratica se vogliamo, perché parliamo di una forma di
democrazia altamente coercitiva, per cui i rapporti diplomatici e la stessa politica estera fanno
ampio uso delle forze navali. Secondo la definizione più accettata, si tratta di un uso limitato
della forza navale che ha luogo in tempo di pace e che è diverso dall’impiego delle navi per
finalità quali il controllo del contrabbando, la difesa navale vera e propria ecc...
Il concetto di gunboat diplomacy è, in realtà, un concetto moderno. Quando, dalla metà
dell’800 in poi, la Gran Bretagna ma anche gli Stati Uniti inviano navi da guerra o navi
mercantili dotate di armi sulle coste della Cina, del Giappone e in Corea, loro non usano
questo termine. Bensì concepiscono l’attività come un modo accettabile, dal loro punto di
vista, di condurre relazioni diplomatiche con questi sistemi. L’espressione similmente a
quella del sistema del tributo è coniata ex-post negli anni ‘70, però è comunemente accettata
sia da noi che dagli storici della Cina, del Giappone e della Corea e quindi continuiamo ad
impiegarla.

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In questa slide vedete la ricostruzione della catena causale del fenomeno che andiamo a
discutere oggi. È una catena causale che si snoda lungo gli ultimi 60 anni del 1800 (quindi a
partire dal 1840-1898) ed è una catena causale che, in realtà, ha una portata globale. Perché:
noi oggi esaminiamo questi tre sistemi (Cina, Giappone e Corea); in realtà, la portata del
fenomeno della gunboat diplomacy è per sua definizione più ampia, globale. E questi due
imperi e lo shogunato Tokugawa diventano, in modo forse poco consapevole, parte di un
fenomeno di portata molto molto più ampia, un fenomeno che nasce dalle esigenze politiche
di nazioni quali la Gran Bretagna e degli Stati Uniti d’America. Brevemente: siamo nel
periodo del colonialismo e limitatamente all’Asia Orientale sappiamo che le potenze non
hanno una vera e propria intenzione di colonizzare questi sistemi. Il motivo per cui ha luogo
l’invio di vascelli commerciali e di navi da guerra è un motivo molto specifico:
semplicemente, in Europa, quindi sul continente europeo, in Gran Bretagna e anche negli
Stati Uniti d’America a seguito dell’indipendenza ha avuto luogo il processo della
rivoluzione industriale che come sappiamo ha coinvolto un aumento esponenziale della
capacità produttiva di questi sistemi e della produzione. Essa ha coinvolto le prime
produzioni di massa e ha richiesto due cose per essere sostenibile: in primis, le materie prime
che servivano alle nascenti industrie europee, britanniche e americane; in secondo luogo,
mercati di sbocco e di approvvigionamento di merci. Siamo nell’​era del libero commercio su
scala globale​. È in questo quadro che si colloca l’arrivo degli occidentali in Cina, Giappone e
Corea. Il fenomeno della gunboat diplomacy mostra alcune dinamiche e alcune tendenze che
sono di portata generale e che trovate elencate
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nel primo riquadro della slide. Della ​diplomazia coercitiva ​ne abbiamo già parlato (ed è
qualcosa che dovreste conoscere dai vostri esami di storia). Il secondo tratto comune è la
firma dei cosiddetti ​trattati ineguali​, ossia trattati che ponevano condizioni estremamente
svantaggiose per gli Stati, gli Imperi, le società che erano costrette a firmarli. Il terzo tratto è
la ​presenza molto solida delle potenze occidentali ​in questi sistemi. Noi parleremo soprattutto
della Gran Bretagna e degli Stati Uniti. Ricordiamo che altri attori di importanza furono la
Germania, in modo più limitato in estremo Oriente la Francia e una piccolissima parta fu
giocata anche dall’Italia. Si apre per questi tre sistemi un periodo di vera e propria crisi e la
variabile esterna, data dall’arrivo delle potenze occidentali, ha l’effetto più immediato di far
leva sulle criticità già esistenti all’interno di ciascuno dei tre sistemi e di acuirle. Di cosa
parliamo in concreto? Ecco, un paragone molto contemporaneo è quello della crisi del
COVID: così come la crisi del COVID ha messo in evidenza le carenze e i difetti di vari
sistemi politici contemporanei, in modo non diverso, l’arrivo delle potenze occidentali in
Cina, Giappone e Corea evidenzia i difetti, i malfunzionamenti, le tensioni e le criticità che
sono già presenti in questi sistemi. Il risultato è diverso. Ciascuno di questi tre sistemi cerca
di reagire alla gunboat diplomacy in maniera diversa, una maniera conforme o condizionata
dalla propria tradizione politica, ma anche dalle preferenze o dalle idiosincrasie delle figure
che erano al governo di questi sistemi. Il risultato più immediato è quello di una fortissima
destabilizzazione della regione. Ed è quindi questo anche il periodo in cui assistiamo alla fine
del sistema del tributo che abbiamo esaminato precedentemente. Questa modalità di
interazione semplicemente cessa di esistere, cessa di essere funzionale e ciò che ha luogo è un
fenomeno molto diverso, ovvero assistiamo all’integrazione, all’inizio dell’integrazione di
Cina, Giappone e Corea nel sistema della diplomazia occidentale. Questa integrazione però
ha luogo in modo particolare: contrariamente ai presupposti nati con il Trattato di Westfalia,
non abbiamo integrazione tra Stati considerati pari, uguali dal punto di vista formale; ma
abbiamo dei rapporti fondati sul presupposto di una disuguaglianza tra le parti. Aldilà di
questa dinamica a livello regionale, abbiamo tutta una serie di conseguenze che si verificano
sul breve termine, più o meno nell’immediato, in ciascuno di questi tre sistemi. Le
conseguenze ai cui assistiamo nei tre sistemi mostrano delle differenze ma anche alcune
analogie. In Cina abbiamo, ad esempio, tentativi di riforma ma anche la nascita dei primi
partiti moderni in risposta alle Guerre dell’Oppio. In Giappone oltre alle riforme Meiji
abbiamo un analogo fenomeno: nascita di organizzazioni politiche di tipo moderno,
importazione di ideologie e di tecnologie occidentali, tentativi di espansionismo. In Corea
abbiamo un risultato un po' diverso. Ovviamente anche in questo sistema prenderanno mossa
delle riforme che discuteremo più nel dettaglio

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dopodomani; però, a differenza di Cina e Giappone, la Corea si troverà più strettamente
coinvolta nel gioco di rivalità tra grandi potenze, rivalità che si giocano appunto in questa
regione e che nel caso specifico della Corea vedranno una vera e propria colonizzazione da
parte del Giappone. Si tratta di conseguenze che nessuno all’interno del sistema Cina era
riuscito a prevedere. Per comodità le slides sono strutturate in questo modo: c’è una
ricostruzione temporale degli eventi fondamentali che accadono nei tre Paesi, ma cercate di
tenere a mente le analogie, le somiglianze di percorso, i processi comuni e anche le differenze
nella risposta di ciascuno di questi tre Paesi.

1) CINA: LE GUERRE DELL’OPPIO

Partiamo dalla Cina con le Guerre dell’Oppio per un semplice motivo. La regione non è mai
stata isolata dai contatti con gli occidentali, che si sono avuti già nei secoli precedenti in
maniera sporadica. L’impatto più violento ha luogo nel 1839-1842 proprio in Cina. Ed è
qui che scocca la scintilla e dove succedono determinati eventi che metteranno in allerta il
Giappone, mentre la Corea avrà una risposta diversa. Ricordiamo brevemente la forma
politica della Cina. È un impero unitario, ultima dinastia regnante è la dinastia Qing che
crollerà nel 1912, i nomi degli imperatori non dovete necessariamente saperli. Cosa
succede? Sappiamo che la Gran Bretagna ha l’obiettivo di espandere il proprio commercio
con l’impero cinese; sappiamo che esiste il sistema del tributo ma sappiamo che questo
non è l’unico modo per avviare il commercio con la Cina. Esiste un altro sistema
introdotto nel 1760 e noto come sistema di Canton. Il sistema di Canton è un monopolio
imperiale sul commercio con l’estero. Per quale motivo la dinastia Qing cerca di
controllare strettamente

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il commercio con l’estero? Perché vedono questi agenti dei governi stranieri come una
minaccia o un fattore di disturbo; e in seguito a varie vicende interne, anche per mantenere
un più stretto controllo sull’impero, decidono semplicemente di limitare il commercio al
solo porto di Canton. E qui esistono tutta una serie di regole particolari per il commercio:
ad esempio, i commercianti britannici (e non solo) possono risiedere solo in determinate
aree della città; periodicamente sono costretti ad uscire da Canton, a risalire sulle navi e a
navigare fino all’isola di Macao ecc...

Questo monopolio non fa comodo alla corona britannica che nel 1793 invia una missione
diplomatica capeggiata da Lord George Macartney con degli obiettivi ben precisi:
1. ​Il primo obiettivo è quello di stabilire relazioni diplomatiche secondo le regole degli
occidentali, quindi secondo le regole westfaliane: uguaglianza formale, presunta tale,
trattati ecc...
2. ​Obiettivo più importante è quello di ottenere libertà di commercio con la Cina e di
abolire tutte le restrizioni e tutte le limitazioni esistenti al commercio.
3. ​Chiaramente per uno Stato occidentale stabilire rapporti diplomatici con l’impero
cinese significa anche la pretesa di creare un’ambasciata, una missione diplomatica
permanente nella capitale cinese.
4. ​Il permesso di utilizzare una o più isole nell’arcipelago di Zhoushan per consentire
l’attracco alle navi, la riparazione delle navi commerciali ecc...
5. ​La riduzione e l’abolizione delle tariffe.
Abbiamo ancora formalmente vigente il sistema del tributo e abbiamo un serio problema di
mancanza di conoscenza di queste società da parte degli inglesi. Tenete presente che è solo
verso la fine del ‘700 e l’inizio dell’800 che nascono gli studi asiatici moderni e tenete
presente

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anche che le prime persone ad aver prodotto lavori sulla storia e sulla cultura della Cina, del
Giappone e della Corea sono stati, oltre a missionari, soprattutto diplomatici e funzionari delle
compagnie commerciali della corona inglese ecc...
Cosa succede? Macartney arriva in Cina e si ritrova davanti l’istituzione del sistema del
tributo, quindi ha luogo il viaggio verso Pechino di questa sorta di carovana che recava con sé
ricchi doni da presentare all’imperatore, oltre che di manufatti come la lana (l'Inghilterra
voleva commerciare con la Cina anche in lana, ma in una città con clima subtropicale come
Canton era praticamente inutile). Arrivano a Pechino dove si verificano i primi problemi dati
proprio dalla mancanza di reciproca conoscenza. Macartney si rifiuta di compiere le 3
genuflessioni e le 9 prostrazioni rituali dinanzi all’imperatore e acconsente solo ad
inginocchiarsi così come avrebbe fatto davanti al suo re, Giorgio III, e presenta i doni
all’imperatore corredati da una lettera vergata da re Giorgio III di sua mano dove si chiede
semplicemente di aprire la Cina al commercio con la Gran Bretagna. La risposta
dell’imperatore Qianlong è una delle fonti più famose nello studio della storia diplomatica.
In questa slide possiamo vedere un estratto della risposta che l’imperatore Qianlong verga di suo
pugno e consegna a Lord Macartney affinché la lettera giunga in Inghilterra. Il documento è
importante perché vi fa capire dalla voce dell’imperatore quale fosse la concezione che l’impero cinese
aveva di se stesso e anche dei cosiddetti barbari occidentali.
Traduzione: “Tu​, o Re, da lontano hai desiderato le benedizioni della nostra civiltà e nella
tua voglia di giungere a contatto con la nostra influenza trasformatrice hai inviato
un’ambasciata

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attraverso il mare, un’ambasciata che ha recato a noi un memoriale. Ho già preso nota del
tuo rispettoso spirito di sottomissione (…). Finora, tutte le nazioni europee, inclusi i mercanti
barbari del tuo Paese, hanno condotto i propri commerci con il nostro Celeste Impero a
Canton. Tale è stata la procedura per molti anni, benché il nostro Celeste Impero possiede
tutte le cose in una prolifica abbondanza e benché non manchi entro le nostre frontiere nessun
prodotto. Quindi non c’è mai stata la necessità di importare i manufatti dei barbari esterni in
cambio dei nostri prodotti. Ove mai i vostri vascelli dovessero toccare le sponde del nostro
Impero, ai tuoi mercanti non sarà mai permesso di sbarcare o di risiedervi, piuttosto essi
saranno oggetto a espulsione istantanea. In tale eventualità i tuoi mercanti barbari avranno
fatto un lungo viaggio per niente. Non dire di non essere stato avvisato per tempo! Obbedisci
tremante e non mostrare alcuna negligenza! Questo è il nostro ordine speciale!
Come possiamo facilmente capire, nel momento in cui la corona inglese riceve la risposta, in
Inghilterra succede il putiferio. La risposta viene considerata un’offesa, dal momento che
l’Inghilterra vede se stessa come uno stato autonomo e indipendente; non dimentichiamo
che la Gran Bretagna è la più forte tra le potenze coloniali, almeno per il momento.
Putiferio e anche divisione politica, dibattiti politici molto intensi in Gran Bretagna, perché in
Gran Bretagna in questo periodo era scoppiata la moda della “Chinoiserie”, una fortissima
domanda di manufatti, di porcellane, di sete, ma soprattutto di te, nonché di altri oggetti
provenienti dalla Cina. E cosa succede? I Britannici pagavano l’acquisto di questi beni
mediante argento, ma ben presto le limitazioni al commercio esistenti in Cina provocano un
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forte deficit nella bilancia commerciale tra l’Impero Qing e la Gran Bretagna. Il deficit è
aggravato da due altri fattori:
1. ​La Cina non commerciava solo con la Gran Bretagna, ma anche con le altre potenze. E
commerciando in argento, la Cina era diventata il primo paese importatore di argento
al mondo e deteneva delle riserve di argento di notevole entità.
2. ​Il secondo fattore di criticità era una scarsità mondiale di questo metallo prezioso. Per
quale motivo? Perché i maggiori giacimenti mondiali di argento si trovavano in
America del Sud, Messico e Perù, paesi che erano soggetti a fenomeni di instabilità
politica. Quindi, l’approvvigionamento di argento diventava sempre più difficile. La
Gran Bretagna aveva necessariamente bisogno di trovare il suo mercato di sbocco in
Cina, anche perché con la dichiarazione d’indipendenza da parte delle colonie
americane aveva perso un mercato di notevole entità.

PRIMA GUERRA DELL’OPPIO (1839-1842)


La soluzione al riequilibrio della bilancia commerciale fu escogitata dai mercanti britannici
(ricordiamo compagnie quali la Compagnia delle Indie Orientali, che fino ad un certo punto fu
monopolista del commercio di oppio). Fu una soluzione molto semplice: fu quella di esportare
oppio in Cina. Ricordiamo che la Gran Bretagna aveva dei domini coloniali in India, quindi
coltivava o favoriva la coltivazione del papavero d’oppio in varie zone del subcontinente
indiano dove si coltivavano varie varietà di questa pianta. L’oppio trova un mercato di sbocco
in Cina sostanzialmente per due motivi: l’uso della sostanza non era sconosciuto alla medicina
cinese; l’oppio era usato quindi per scopi medici ma anche per usi ricreativi (come droga)
soprattutto dalle classi più elevate. La Gran Bretagna fa di tutto per invogliare la popolazione
al consumo di oppio e con la complicità dei monopolisti cinesi di Canton in breve tempo
riesce letteralmente ad inondare il mercato cinese di oppio, che come sappiamo è una droga
che dà una fortissima dipendenza e che in breve tempo si diffonde a tutti gli strati della
società cinese fino a ribaltare l’equilibrio della bilancia commerciale. Nel giro di pochi anni è
il deficit che viene dalla Cina che vede un drenaggio continuo delle proprie riserve d’argento
oltre ovviamente a subire tutte le conseguenze sociali, e non solo, di un vasto consumo di
oppio da parte della popolazione. Non è necessario scendere in maniera dettagliata nella
storia dei tentativi cinesi di proibire il consumo di oppio. È sufficiente sapere che l’Impero
Qing tenta più volte di proibire il consumo della sostanza; giunge al punto da dare fuoco a
ingenti quantità del narcotico e chiaramente, malgrado i dibattiti che hanno luogo in Gran
Bretagna sull’ammissibilità etica e morale dell’export del traffico di stupefacenti in Cina, la
risposta da

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parte della Gran Bretagna non si fa attendere e prende forma con la ​Prima Guerra dell’Oppio​,
ove la flotta britannica (ricordiamo il vascello più importante la ​NEMESIS ​che trovate nella
slide) nel giro di pochissimo tempo riesce ad avere ragione delle forze di difesa dell’Impero
Qing e costringe l’Impero a firmare il ​Trattato di Nanchino.
Questo è il primo dei trattati ineguali che saranno firmati in Cina, nonché imposti al Giappone
e alla Corea (potete trovare il testo integrale del trattato nelle letture consigliate per oggi). È
un documento molto breve ma che pone delle condizioni molto precise alla Cina:
1. ​In primis, l’abolizione del monopolio sul commercio interno, e quindi, l’apertura di tutti
i porti situati lungo la costa meridionale del Paese;
2. ​Il pagamento di pesanti riparazioni alla corona britannica, nonché alle compagnie
coinvolte nel traffico dello stupefacente
3. ​Cosa importante è quella che con questo trattato ha luogo la cessione dell’isola di Hong
Kong in perpetuo alla regina Vittoria. Anche se voi non doveste ricordare i nomi dei
porti che vengono aperti al commercio o le varie clausole, l’elemento essenziale da
tenere a mente è che in questa occasione l’Impero Qing perde l’isola di Hong Kong,
che all’epoca era poco più di un villaggio di pescatori e che verrà usata come base
navale da parte della Gran Bretagna fino ad un certo punto, perché l’isola in seguito
finirà sotto il controllo giapponese.

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SECONDA GUERRA DELL’OPPIO (1856-1860)
La storia delle Guerre dell’Oppio è una storia intricata, perché di fatto l’Impero Qing non si dà
per vinto, ma continua la campagna di proibizione dell’oppio e cerca di ostacolare i commerci
britannici; e come possiamo aspettarci, il risultato è un secondo attacco questa volta sia da parte
delle navi della corona britannica ma anche dei francesi e la firma di un secondo trattato
ineguale, il ​Trattato di Tianjin ​e la ​Convenzione di Pechino​. Anche qui il meccanismo e le
norme del trattato sono sempre le stesse (prestate attenzione alla slide):
1. ​L’apertura di ulteriori porti che trovate elencati nella slide; si tratta di porti strategici
situati lungo la zona meridionale del Paese.
2. ​Libertà di commercio.
3. ​Possibilità di stabilire missioni diplomatiche a Pechino.
4. ​Divieto dell’uso del carattere “YI” di barbaro in riferimento agli stranieri. Con la
Convenzione di Pechino nel 1860 abbiamo delle ulteriori novità nella zona di Hong Kong.
L’isola di Hong Kong, come potete vedere, è quella situata nella parte inferiore della cartina.
Si tratta di un’isola separata dal continente da uno strettissimo braccio di mare sotto cui
adesso passa la metropolitana. Immediatamente di fronte all’isola di Hong Kong abbiamo
questa penisola (praticamente la zona di Kowloon), mentre più a nord abbiamo la zona di
Nuovi Territori. Cosa succede? Con la Convenzione di Pechino la penisola di Kowloon viene
ceduta in perpetuo alla corona britannica; e in seguito il resto della penisola, quindi la zona di
Sheung Shui, Tuen Mun e Nuovi Territori, verrà ceduta in affitto per 99 anni. Questo è lo
scenario che

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abbiamo in Cina. I trattati ineguali che sono lo strumento chiave della gunboat diplomacy
(insieme alla forza delle armi) e della diplomazia europea in questo periodo mostrano varie
somiglianze: hanno tutti quanti la stessa struttura, le stesse clausole perché sono strumenti
attraverso i quali si cerca di conseguire libertà di commercio e libertà religiose.

Un meccanismo che dobbiamo tenere a mente è quello della ​clausola della nazione più favorita​, che
obbliga la Cina (ma anche Giappone e Corea) ad estendere a tutti gli stati occidentali con cui hanno
stipulato dei trattati qualsiasi vantaggio che abbiano concesso anche a solo uno di essi. Facciamo
un esempio concreto. Spesso i trattati ineguali contenevano clausole che concedevano ai missionari
cattolici, cristiani o protestanti di fare proselitismo nelle società
dell’Estremo Oriente. Se la Cina firmava un trattato ineguale in cui concedeva libertà di
proselitismo ai missionari americani ad esempio, in maniera automatica tale privilegio era
esteso anche ai missionari cattolici italiani, ai missionari protestanti inglesi, ai missionari
tedeschi ecc...
E la clausola della nazione più favorita si applicava a tutte le condizioni più favorevoli
contenute in una convenzione; si applicava anche alle tariffe doganali. Libertà di commercio
significa commercio a tariffe molto molto basse. La concessione di una tariffa più vantaggiosa
a qualsiasi nazione conduceva automaticamente all’applicazione della stessa tariffa a tutte le
altre nazioni che avevano firmato convenzioni e trattati con la Cina. Nel periodo del 1840 e il
1900 questo meccanismo è tale da indurre l’apertura di tantissimi porti costieri ma anche di
città interne al commercio con vari attori: abbiamo la Gran Bretagna, la Russia, la Germania,

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il Giappone, la Franca e in piccola misura l’Italia. Quindi, è un meccanismo che funziona in
questo modo e che estende automaticamente tutte le condizioni vantaggiose a tutte le potenze
occidentali. Come possiamo facilmente capire abbiamo una vera e propria perdita di sovranità
dell’Impero. Non possiamo parlare di una forma di colonialismo in quanto tale perché le
potenze europee non creano delle colonie, non creano di governi coloniali; però, parliamo di
una notevole perdita di sovranità perché non solo abbiamo avuto una liberalizzazione
selvaggia del commercio e l’imposizione di tariffe minime che si aggiravano in alcuni casi
anche al 5%, ma anche perché i trattati ineguali introducono un altro meccanismo che è
quello dell’​extraterritorialità. ​Questo meccanismo lo ritroveremo anche in Giappone e in
Corea. Le clausole di extraterritorialità sottraevano i soggetti occidentali all’autorità degli
ordinamenti giuridici che esistevano in Cina, in Giappone e in Corea. Parliamo di società che
avevano una storia millenaria e che avevano creato dei propri ordinamenti giuridici interni,
chiaramente diversi da quelli occidentali; ordinamenti giuridici che gli occidentali
consideravano come arretrati, come barbari per tutta una serie di motivi e che da essi
venivano rifiutati. L’istituto dell’extraterritorialità sottrae gli occidentali all’autorità giuridica
dell’impero e induce l’applicazione in Cina, in Corea e in Giappone delle norme giuridiche
della nazione di provenienza dei missionari, dei mercanti e dei diplomatici. Esempio: un
mercante britannico di istanza in Cina non poteva essere giudicato dai funzionari Qing per i
reati commessi nella zona, bensì veniva giudicato dalle proprie autorità consolari sulla base
del diritto inglese. Stesso discorso vale per le persone di qualsiasi altra nazionalità: tedeschi,
olandesi, francesi, italiani ecc...
Quindi abbiamo una notevole perdita di sovranità, pur nell’assenza di una perdita di territori
consistente (almeno per quanto riguarda la Cina).

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2) IL GIAPPONE: LA SPEDIZIONE PERRY

Le
date e gli episodi essenziali da ricordare sono proposti lungo la linea del tempo. Possiamo
notare similitudini che sono il classico dipanarsi degli eventi in questo periodo storico e in
questa regione del globo: limitazione delle interazioni con l’estero, limitazione dei rapporti
commerciali (nel 1825 ci fu un editto di espulsione delle navi straniere), risposta diplomatica
di tipo coercitivo (questa volta da parte degli Stati Uniti) e firma dei trattati. Nel caso del
Giappone la storia è una storia diversa. Qui siamo in quella che successivamente diventerà
una delle principali fasi di transizione storica e politica del Giappone. Abbiamo un diverso
sistema interno rispetto alla Cina. Abbiamo lo shogunato Tokugawa che cesserà di esistere
nel 1868 per dare via alla Restaurazione e alle Riforme Meiji e che è strutturato in modo
diverso dall’Impero cinese. Anche qui non è strettamente necessario per chi non è
specializzato in storia giapponese ricordare tutta la successione degli shogun.
Le figure che abbiamo
coivolte in politica estera
sono ​Tokugawa Iemochi
e Tokugawa Yoshinobu​,
che alla fine sarà l’ultimo
shogun prima della
restaurazione imperiale.
In Cina abbiamo un
impero unitario. Di
seguito riportiamo la cartina che riporta la struttura interna dello shogunato nell’ultima fase
dell’era Tokugawa, quella convenzionalmente chiamata dalla letteratura il Bakumatsu.

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A differenza dell’Impero cinese, abbiamo una struttura che prevede sì la presenza
dell’Imperatore, ​天皇 ​tennō , però essa è una figura prettamente formale. È importante per il
riconoscimento di un determinato potere che noi chiameremo spirituale. L’imperatore
giapponese svolge, analogamente al Figlio del Cielo cinese, il ruolo di mediatore tra cielo e
terra. Qui siamo in un contesto shintoista. Il territorio è suddiviso e controllato in domini
feudali che trovate sulla cartina. Per in nostri fini il dominio importante da ricordare è quello
controllato dal clan C​ hōshū ​, che subito dopo il 1863 iniziò ad agire in maniera autonoma
contro gli stranieri e attuerà una serie di azioni (aprirà il fuoco senza preavviso sulle navi
straniere che attraversavano lo stretto si Shimonoseki, precipitando gli eventi). In ogni caso,
abbiamo una nazione che è internamente divisa in domini controllati dai signori feudali, ​i
daimyō​, ​che sono sottoposti all’autorità feudale. Come vedremo tra poco questa dinamica
particolare avrà le sue conseguenze, perché con la gunboat diplomacy avremo l’acuirsi delle
tensioni interne, anche politiche. La storia della gunboat diplomacy in Giappone inizia già nel
1825. Il sistema del Giappone non è estraneo a rapporti con le potenze occidentali. Tra la fine
del ’700 e i primi decenni dell’800 abbiamo avuto i Russi, che ormai acquisito il controllo
della Siberia, cercano di instaurare rapporti commerciali con il Giappone. Abbiamo la prima
potenza nave del mondo, la Gran Bretagna che cerca di instaurare rapporti commerciali, così
come gli Stati Uniti, ma ricevono un netto rifiuto da parte del bakufu. Abbiamo sì scambi
commerciali con l’estero che sono però limitati a Nagasaki, dove ritroviamo un sistema di
monopolio. Lo shogunato Tokugawa si distingue in politica estera poiché attua soprattutto
verso gli occidentali

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una politica isolazionista. Nel 1825 abbiamo un ordine di espulsione di qualsiasi nave
straniera che approdasse nelle acque del Giappone e gli effetti dell’ordine non si fanno
attendere: navi commerciali americane nel 1837 approdano sulle coste del Giappone. La
risposta dei giapponesi è netta: fuoco. Ma essa è una risposta che non dura a lungo. Abbiamo
visto cosa accade in Cina e durante la seconda Guerra dell’Oppio: abbiamo le potenze
straniere che risalgono dal sud Paese fino a Pechino e distruggono la residenza estiva
dell’imperatore. E la notizia che la Cina ha perso contro i barbari straniere e del saccheggio
del palazzo imperiale fa il giro dell’Asia. Notizie che sono trasmesse mediante le reti
diplomatiche più o meno formali, ma anche dai pochi mercanti occidentali che avevano
accesso al Giappone; in particolare gli olandesi che intrattenevano commerci proprio a
Nagasaki. In questo periodo gli olandesi cercano di persuadere il bakufu di qualcosa che ai
loro occhi pare scontato, ovvero che ormai le reti diplomatiche ricoprono l’intero globo e che
è impensabile per il Giappone continuare a rimanere isolato. A sostegno delle tesi avanzate
dagli olandesi vi è la recentissima esperienza delle Guerre dell’Oppio che vengono
interpretate in Giappone come un segnale di allarme. I Tokugawa inizialmente rifiutano di
dare credito alle tesi dell’Olanda, però scelgono una linea di comportamento diversa dalla
Cina e gradualmente allentano le politiche che avevano adottato nel 1825 e consentono alle
navi occidentali di attraccare e di fare rifornimento presso i porti giapponesi. Ciò non
significa che i giapponesi vedessero di buon occhio gli occidentali, ma tutt’altro. L’effetto più
immediato delle Guerre dell’Oppio era stato quello di indurre una percezione degli
occidentali come dei barbari, dei predatori insaziabili che non esitavano a fare ricorso alla
violenza pur di garantire la riuscita dei propri scopi. Ed è così che giungiamo alla spedizione
Perry. Due spedizioni, in realtà. La prima nel 1853 e la seconda nel 1854.

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Il Commodoro Perry insieme alla sua flotta sono inviati dal presidente Fillmore (1850-53)
degli USA perché hanno un obiettivo di policy ben preciso: gli Usa non solo vogliono
commerciare con il Giappone, ma soprattutto impiegare il Giappone come una base per il
commercio con la Cina. Siamo in un periodo in cui la navigazione ha luogo su navi a vapore
e il motore delle navi è alimentato da carbone; e in Giappone, stando agli americani, ci sono
delle vere e proprie riserve energetiche. Quindi, gli americani intendono stabilire lungo le
coste giapponesi delle stazioni dove le loro navi (navi diretti verso la Cina, o pescherecci
impiegati per la caccia alle balene) possano fare rifornimento. Quindi, lo scopo dei
giapponesi non è in primis quello di aprirsi al commercio perché avevano altre priorità anche
se l'intenzione c'era ma sul più lungo periodo. Primo approdo dell’ammiraglio Perry a Edo,
dove invia tre lettere all’imperatore direttamente offendendo lo shogunato. Perry si rivolge ai
giapponesi con fare minaccioso e promette di tornare. Vi ritorna l’anno dopo nel 1854 e in
questa occasione i giapponesi, con spirito fiero, danno luogo ad una dimostrazione di forza:
organizzano un incontro di lotta libera a cui fanno assistere Perry. Perry disprezza questa
forma di lotta e per tutta risposta mostra ai giapponesi il motore di una locomotiva e dei
binari nel tentativo di convincerli della propria superiorità tecnologica. A questo punto il
bakufu si rende conto che, malgrado le forti spinte di chiusura e considerato ciò che è
accaduto in Cina, una risposta credibile da parte dei giapponesi richiede una forma di
interazione con gli americani; si consulta e chiede ai daimyō di presentare le loro opinioni sul
modo più opportuno di fronteggiare gli americani. Alla fine, senza che abbia luogo una
guerra come in Cina, nel 1854 ha luogo la firma del ​Trattato di Kanagawa​.
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Anche
qui, siamo dinanzi ad un trattato ineguale. Non parliamo di un trattato commerciale per il
momento, ma di un trattato che in primis apre i due porti di Shimoda e Hakodate alle navi
americane e consente agli americani di aprire un consolato. L'effetto concreto del trattato
in futuro è di aprire la via ai commerci poiché, come gli altri trattati ineguali, anche
questo contiene la clausola della nazione più favorita. Quindi, nel momento in cui
vengono stipulati trattati commerciali con le altre potenze i benefici del libero commercio
automaticamente si estendono agli americani. E allo stesso modo, le concessioni che
vengono concesse agli americani, quelle di aprire un consolato, sono estese anche alle atre
potenze: nello specifico Francia, Gran Bretagna, Russia e Olanda che possono aprire
consolati e servirsi dei porti.

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Secondo trattato, concluso ancora una volta senza uno scontro militare, tra il console
americano Townsend Harris e il Giappone presenta il classico contenuto dei trattati: 1.
Clausola della nazione più favorita
2. ​Diritti di residenza, diritti di acquistare immobili o di prendere in affitto terreni
3. ​Extraterritorialità
4. ​Apertura di porti
5. ​Libertà religiosa e permesso per i missionari di condurre attività di proselitismo Con il
Trattato di Amicizia e Commercio ​del 1858 il Giappone non solo apre 8 porti al commercio,
ma rinuncia alla sua prerogativa di decidere il livello delle tariffe sull’export; accetta le
clausole di extraterritorialità e quindi perde una parte della propria sovranità sul proprio
territorio. Pur nella vergogna che la conclusione di questi due trattati con gli Usa provoca, il
Giappone riesce ad ottenere una condizione: gli inglesi e gli americani accettano di non
commerciare in oppio. Però, i britannici scoprono un qualcosa che possono usare a proprio
vantaggio, cioè si rendono conto che in Giappone è possibile procurarsi oro pagando circa 1/3
del prezzo che il metallo prezioso ha sul mercato globale. Iniziano a comprare massicci
quantitativi di oro con il risultato di provocare una spina inflattiva (prezzi che aumentano, il
mercato giapponese inondato di manufatti esteri con ingenti danni alle manifatture
giapponesi). La reazione dell’imperatore non si fa attendere.

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L’imperatore Komei ordina l’espulsione dei barbari. Cosa succede? Abbiamo uno scenario
interno dove le proteste interne (in seguito all’aumento del prezzo del riso) si fanno sentire in
città come Edo e Osaka; abbiamo insoddisfazione verso la risposta del bakufu che è
considerata
debole; abbiamo odio verso gli stranieri. Fin quando non giunge l’ordine di espulsione dei
barbari che provoca un fenomeno particolare. Uno dei clan, il clan ​Chōshū​, inizia ad aprire il
fuoco senza alcun preavviso su tutte le navi straniere che attraversano lo stretto di
Shimonoseki. Lo stretto resta chiuso dal 1863 fino all’estate del 1864. La risposta delle
potenze occidentali non si fa attendere e questa volta la risposta è violenta. Il feudo
controllato dal clan ​Chōshū ​viene attaccato da Francia, Gran Bretagna, Olanda e Usa e ha
luogo un ulteriore diminuzione delle tariffe sull’export, l’apertura di nuovi porti e una
notevole diminuzione del potere di questo clan, che diverrà oggetto di una spedizione
punitiva da parte dell’imperatore. Anche qui l’effetto immediato è la perdita di sovranità,
l’accendersi di sentimenti antioccidentali e tutta una serie di criticità di eventi che riguardano
la politica interna. Non abbiamo l’immediato rovesciamento dei Tokugawa ma un fortissimo
indebolimento in primo luogo dovuto al malcontento interno, alla spina inflattiva, ma anche
alla perdita di potere del bakufu. Nel momento in cui vengono sollecitate le opinioni dei
daimyō, abbiamo dei clan, tra cui il clan ​Chōshū e Satsuma​, che comprendono che hanno un
margine di manovra per cercare di realizzare le proprie ambizioni politiche ai danni del clan
Tokugawa. Quindi, si riaccende la rivalità tra i clan fin quando non hanno luogo rivolte e
sommosse indotte anche da samurai con assassini di nemici interni e di stranieri; tutto ciò in
un complicato gioco di politica interna che nel dicembre 1867 vede le forze di ​Chōshū ​e
Satsuma marciare su Kyoto e prendere il controllo
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del palazzo imperiale. Nel gennaio del 1868 Tokugawa Yoshinobu riceve la richiesta di
attuare una restaurazione imperiale. Yoshinobu non può fare altro che ritirarsi ad Edo fino a
quando nel 1868 viene annunciato il regno dell’imperatore Meiji. Il resto lo approfondiremo
nella prossima lezione (riforme Meiji e prima guerra sino-giapponese).

3) LA COREA: DISTURBI PROVENIENTI DAL MARE NELL’ANNO SINMI (1871)

Siamo sotto la dinastia Joseon. Il fenomeno è diverso, che in coreano è pronunciato ​Shinmiyangyo
(​신미양요​), ovvero disturbi e disordini provenienti dal mare nell’anno sinmi (1871). Abbiamo un
impero governato dalla dinastia Joseon in carica dal XIV sec, ma sta per giungere alla sua fine.

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Si tratta di un impero unitario retto dal Daewongun (reggente della dinastia). che regge le sorti
del regno in luogo del suo secondo figlio maschio, che in seguito governerà come re Gojong,
l’ultimo re dell’impero della dinastia tradizionale e primo re dell’Impero di Corea.
Problema: notiamo la posizione geografica. A nord abbiamo la Cina e una possibile influenza
russa; a sud-est il Giappone; a nord-est abbiamo delle popolazioni nomadiche. Inizialmente, la
valutazione dell’Impero coreano individua le principali minacce soprattutto da parte delle
popolazioni nomadiche. La Corea ha sporadici contatti con gli occidentali; contatti che hanno
luogo grazie alla mediazione della Cina. Quando l’Impero coreano invia il tributo a Pechino, i
funzionari coreani hanno l’opportunità di fermarsi nella capitale cinese e qui entrano a
contatto (a partire del XVI sec) con diverse figure, soprattutto missionari gesuiti presenti in
Cina. I coreani considerano gli occidentali una curiosità: ne ammirano la tecnologia, ma alla
fine li considerano comunque inferiori. Periodicamente lungo le coste abbiamo navi olandesi
(e non) che fanno naufragio e navi il cui equipaggio è spesso detenuto ed è costretto a
lavorare per l’Impero (es. fabbricare armi da fuoco). Per i coreani la minaccia sembra arrivare
in primis dai russi che nel 1860 giungono al confine nord dell’Impero e cercano di istaurare
rapporti commerciali, ricevendo risposta negativa. Seconda minaccia che viene individuata è
il cattolicesimo: religione che viene introdotta in modo indiretto durante le missioni gesuite a
Pechino, ma che in Corea verrà diffuso dal ceto intellettuale. Hanno luogo persecuzioni
(proibizione del cattolicesimo ecc. nel 1801) fin quando nel 1836 tre sacerdoti di nazionalità
francese riescono a varcare il confine sino-coreano, entrano in segreto nella lezione e iniziano

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a convertire un numero notevole di persone (circa 6000 convertiti). I sacerdoti vengono
giustiziati e nel 1866 ha luogo una persecuzione contro i missionari francesi che erano visti
come agenti di Parigi con il mandato di rovesciare la dinastia. Anche la Corea avvia un
programma di riforme volto a rafforzare la monarchia e volto ad ampliare la sua base fiscale.
Come accade in Cina e in Giappone, vediamo l’approdare di navi commerciali, in particolare
la Compagnia delle Indie Orientali e navi da guerra francesi e russe, che ricevono un secco no
dall‘impero. Fino all’incidente con la ​General Sherman​. È questa una nave commerciale
statunitense con un mandato di avviare rapporti commerciali con l’Impero e che approda
lungo la costa occidentale della Corea, risale lungo il fiume Taedong e riesce ad arrivare nelle
vicinanze di Pyongyang approfittando della piena del fiume. Non appena viene avvistata dalle
truppe coreane, il Daewongun emana l’ordine di ripartire immediatamente. I due capitani
statunitensi si rifiutano di eseguire l’ordine e, trascorso qualche giorno dalla piena del fiume,
il livello del fiume si abbassa e la General Sherman si incaglia. Notando che la nave non può
più muoversi, le truppe coreane la danno alle fiamme e uccidono tutto il suo equipaggio.
Notizie dell’incidente arrivano negli Usa con un certo ritardo: notando che la nave non faceva
ritorno al porto di partenza, gli Usa inviano due missioni navali nel 1867 e nel 1868. I coreani
fedeli ad una politica di chiusura verso l’esterno rifiutano di dare informazioni, fin quando gli
americani non scoprono che la nave è stata distrutta. Ha luogo una spedizione punitiva: gli
americani attaccano le truppe coreane sull’isola di Ganghwa, ma sorprendentemente i coreani
hanno la meglio sulle cinque navi da guerra inviate a seguito dell’ammiraglio Rodgers. Il vero
pericolo per i coreani sono i giapponesi.

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Facciamo un salto in avanti. Siamo nel 1875, sette anni dopo l’avvio delle riforme Meiji. Non
appena viene instaurato il periodo Meiji, il Giappone invia un emissario nella città di Busan
per annunciare l’inaugurazione del governo Meiji. L’emissario arriva a Busan indossando
un’uniforme di stampo occidentale; ciò crea un vero e proprio scandalo. I coreani rifiutano di
ricevere la delegazione giapponese e per tutta risposta i giapponesi adottano lo stesso stile di
diplomazia adottato dalle altre potenze occidentali. Inviano una nave da guerra, la ​UNYO, ​a
Busan. Invitano a bordo i coreani, cercano di convincerli della legittimità del governo Meiji e
mostrano ai coreani le nuove tecnologie (soprattutto le armi da fuoco, le batterie che hanno
installate sulla nave). Poi ripartono, riprendono l’esplorazione delle coste coreane fin quando
non giungono all’isola di Ganghwa, dove i coreani aprono il fuoco. I giapponesi rispondono e
hanno ragione sui coreani; sbarcano e, riproducendo la modalità di comportamento che
avevano appreso a proprie spese dagli americani, impongono ai coreani il ​Trattato di
Ganghwa​.
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Anche qui abbiamo il modello tipico dei trattati ineguali. Busan viene aperta ai commerci con
il Giappone, la Corea viene sconnessa dal sistema del tributo e viene riconosciuta come uno
stato indipendente. La firma di questo trattato segna l’inizio del coinvolgimento della Corea in
un complesso tessuto di giochi diplomatici e interessi strategici che coinvolgeranno il
Giappone, la Cina (che dall’esterno cercava di dirigere la politica coreana), ma anche le
potenze straniere.

CONCLUSIONE
Notiamo che nei circa trent’anni che vanno dal 1839-1871 (il Shinmiyangyo) ha luogo
l’integrazione dell’Asia Orientale (Cina, Giappone, Corea) nel tessuto di commercio e
rapporti diplomatici globali che ruota intorno però intorno alle potenze occidentali. Questa
integrazione ha luogo non come eguali ma in forma subordinata e il sistema di relazioni
precedente, il
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sistema de tributo, cessa di esistere sotto la spinta di questo fattore esterno.
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