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Dall’Unificazione alla vigilia della guerra di Libia (1861-1911)

01/03/2021

Premessa
La prima parte delle lezioni riguarda un’introduzione di carattere metodologico per poi avviare
un’analisi precisa; prima di tutto facciamo una breve premessa: il corso ha un titolo, “Storia della
politica estera italiana” sulla base dell’esperienza del professore che è rimasto colpito dal fatto che
gli studenti dopo aver sostenuto esami di relazioni internazionali, giunti alla magistrale avevano una
conoscenza precisa di eventi internazionali ma alle domande di politica estera italiana non si
rispondeva con altrettanta precisione. È importante quindi la conoscenza dell’Italia Repubblicana
ma anche il ruolo internazionale dell’Italia (ad oggi con un ruolo molto debole, che non sempre però
è stato così). Si tratta di un ruolo che è cambiato ed una situazione variegata che merita di essere
esaminata.
Altra premessa è che pur essendo il corso definito così, in realtà l’interesse è al ruolo internazionale
dell’Italia non solo alla sua politica estera: relazioni con gli altri Paesi, con le organizzazioni
internazionali o con organizzazioni che non sono definibili internazionali (come ad esempio l’Unione
Europea, che vuole essere un embrione di futuro stato federale). Ma è importante anche la capacità
di proiettare all’esterno una determinata immagine, fatta di tanti fattori: la propria realtà sul piano
culturale, ovvero, che immagine da l’Italia (consigliata la visione del video su YouTube della visita
ufficiale di Renzi da Barack Obama: “we love Italy for the fashion, the food, art, and Sofia Loren”;
ecco quindi una proiezione dell’immagine italiana).
La percezione che gli altri hanno dell’Italia, che nasce da fattori culturali, stereotipi, luoghi comuni,
esperienze, è un tema complesso che è importante affrontare anche nel corso delle lezioni.

Introduzione

Cenni di carattere storiografico

Chi e come si studia la storia politica estera italiana, quali sono gli argomenti affrontatati e capire se
nel corso del tempo ci sono stati dei cambiamenti in questo ambito; partiamo da una premessa che
definisce cosa sia la storia delle relazioni internazionali: ha un’origine come storia diplomatica, e sul
piano accademico come disciplina universitaria ha origine con la nascita delle facoltà di scienze
politiche. In Italia le facoltà di Scienze Politiche nascono negli anni ’20. Uno degli aspetti importanti
è che tali facoltà sono delle filiazioni delle facoltà di giurisprudenza, quindi, non avevano una sede
ed alcuni docenti di giurisprudenza insegnavano alle facoltà di scienze politiche. Questo implicava
una forte influenza delle discipline giuridiche, a cui si aggiungevano discipline economiche, filosofia
della politica, e materie di storia ma principalmente giuridiche. Si studiava quindi la Storia dei trattati
e politica internazionale: era legata all’aspetto formale delle relazioni internazionali.
Il caso di Padova ne è prova con Bettanin che negli anni ’30 insegnava Storia dei trattati fino agli
anni ’50: questa era la caratteristica di allora della Storia delle Relazioni internazionali.

Vi era un forte legame con il Ministro degli Affari Esteri: l’obiettivo era formare diplomatici,
funzionari delle colonie, e i quadri dirigenziali dei fascisti.

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Perché questo legame? Perché il concorso dei diplomatici richiedeva preparazione sul diritto
internazionale (ad oggi anche di diritto comunitario), economia, storia dei trattati e due lingue. Vi è
dunque un legame della Storia dei trattati internazionali, il Ministero degli Affari Esteri e il concorso
per diplomatici.

Talvolta nel periodo fascista i docenti erano legati al regime, nel senso che spesso non erano fascisti
ma nazionalisti, ed alcuni studiosi dei Trattati internazionali negli anni ’30 scrivevano nelle loro
pubblicazioni temi a loro contemporanei, in cui troviamo giustificazioni dell’azione italiana nel
regime, come ad esempio “l’Italia deve avere un ruolo nel continente africano”, giustificando quindi
la politica espansionista del fascismo.
Il cambiamento dal fascismo alla democrazia non ha avuto influenza: le strutture delle facoltà sono
rimaste inalterate (esempio biblioteca Ettore Alchieri a Padova).

Quando sono iniziate a cambiare le cose? Negli anni ‘50/’60 c’è stato un cambiamento portato da
studiosi francesi: la visione apportata da questi signori è abbastanza importante, vede un passaggio
dalla storia dei trattati alla storia delle relazioni internazionali. Questi signori partivano dalla
premessa che non ci si possa limitare solo alla dimensione politico-diplomatica ma anche ai fattori
economici, alle opinioni pubbliche, la cultura, i partiti politici. Forze profonde, che non sono
esattamente gli attori istituzionali come diplomatici, o ministro del consiglio e degli esteri, ma
contribuiscono fortemente a determinare le relazioni internazionali.

Questa impostazione ha avuto un impatto forte non solo in Francia ma anche negli altri Paesi, e ha
avuto impatto, anche se con ostacoli, anche in Italia: nelle riforme degli anni ’60/’70, con le riforme
sulle Facoltà di Scienze politiche, si formano più percorsi. Si ha quindi anche una riforma della
disciplina, che come affermato cambia dalla Storia dei trattati alla Storia delle relazioni
internazionali: pur tuttavia, vi erano ancora docenti che insegnavano la Storia dei Trattati.

Il problema era chi rappresentasse l’insegnamento della Storia dei trattati: gli ordinari che
contavano erano pochissimi, ed uno di questi era Mario Toscano, diventato professore giovane alla
fine degli anni ’30, nazionalista più che fascista, eliminato dalla carriera a causa delle leggi razziali,
rifugiatosi in Svizzera durante la Seconda guerra mondiale e poi ritornato in Italia come ordinario
alla Sapienza. Dagli anni ’40 diventa responsabile del servizio storico e documentazione del MAE:
uno dei più importanti consiglieri di diplomatici e ministri degli AA.EE.
Riteneva che la Storia delle Relazioni Internazionali dovesse essere la Storia dei Trattati, concernente
quindi l’aspetto diplomatico: cosa si studiava? Il risorgimento, l’Italia liberale, e talvolta il periodo
fascista ma non oltre.
Questo cosa implicava? Una questione delle fonti, le quali erano in prevalenza gli archivi dei
ministeri degli AA.EE. Non dovrebbero essere solo questi gli archivi, ritornando alla riforma francese
possono essere rilevanti, ad esempio, anche gli archivi delle banche.
Ricordiamo anche che le regole per la consultazione fino agli anni ’70 degli archivi erano strette, per
cui prevaleva la regola dei 75 anni o dei 50 anni. Questo eliminava una serie di periodi che non si
potevano studiare, riversandosi su fonti secondarie ma che non davano una visione completa.

Negli anni ’70 abbiamo un cambiamento, partito dagli Stati Uniti, un’innovazione denominata
“Freedom of Information Act” che parte con la conseguenza dello scandalo Water Gate: il pubblico
vuole sapere cosa fa l’amministrazione, con la crisi di Nixon, e quindi una volontà di voler conoscere.
La conseguenza porta all’approvazione della suddetta legge, per cui qualsiasi cittadino, ma anche

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straniero, possa declassificare qualsiasi documento: nasce la regola dei 30 anni, per cui negli anni
’70 si potevano visionare i documenti degli anni ’40.
Questo venne applicato anche da altri paesi europei: Francia, Germania, Gran Bretagna. In qualche
modo anche l’Italia; alcuni paesi lo fanno regolarmente altri meno: l’Italia ne è un esempio di questi
ultimi per scarsità di personale.
Questo ha permesso di studiare temi che prima non potevano essere affrontati, ed il professore
definisce questa fase come la scoperta dell’America italiana: Ennio di Nolfo, che allora era ordinario
della Storia delle relazioni internazionali all’Università di Padova, e l’altra era Elena Aga Rossi
dell’Università di Roma, sono stati i primi a recarsi negli USA e rimanerci per diverso tempo. Si è
cominciato a studiare la Guerra Fredda, si è scoperta la Cold War History: in Italia c’era un forte
interesse dell’Italia e Usa nella Guerra fredda, perché era un modo per studiare un periodo che in
realtà era ancora in corso. Era un periodo ancora presente, perché l’Italia è stata molto condizionata
dallo scontro Est-Ovest, infatti esisteva il più forte Partito Comunista occidentale, ma è necessario
ricordare che gli USA non avrebbero mai accettato un partito comunista al governo.
Questo spingeva a studiare queste cose, con punto di riferimento la Cold War americana, ed
attenzione agli archivi anche esteri.

Precisazioni: struttura della carriera diplomatica

I diplomatici in Italia sono pochi, un migliaio di persone, un gruppo molto ristretto. Si diventa
diplomatico in Italia con concorso: in altri Paesi possono essere di carica politica. La carriera
diplomatica allora era molto complicata: c’era la carriera consolare (di serie b, che si occupavano
solamente di questioni amministrative di cittadini italiani in paesi stranieri), ed un altro conto era la
carriera diplomatica; con una riforma le due carriere si sono fuse. Anche i gradi della carriera
diplomatica erano tanti e complessi, e con le riforme ad oggi i gradi sono pochi: si entra come
segretario di delegazione, si fanno due anni a Roma e poi si ha una prima destinazione all’estero, e
poi si fa carriera come consigliere, ministro, e solo alla fine si raggiunge il grado di ambasciatore.
C’è inoltre la figura del Segretario Generale, che è il raccordo fra i diplomatici e il potere politico: in
nessun altro ministero esiste questa figura, che evidenzia come sia importante la figura dei
diplomatici.

Gli studi sulla politica estera dell’Italia Repubblicana

Eravamo rimasti all’interesse nella scoperta dell’America, ovvero studi dell’Italia della Guerra
fredda. Nel 1980 abbiamo una riforma: Legge 382/1980 con la semplificazione della carriera
universitaria ed istituzione dei dottorati di ricerca. Vengono creati due dottorati di ricerca nella
Storia delle relazioni internazionali: uno con sede a Firenze (Di Nolfo) e uno con sede a Roma (Pietro
Pastorelli).
Le due scuole principali quindi sono quella fiorentina/padovana e dall’altra parte quella romana: la
prima studiava principalmente la Cold War History, puntava sulla ricerca degli archivi stranieri e
studiavano non solamente questioni relativi alla politica estera italiana ma anche le storiografie
straniere; la scuola romana era tradizionale e si studiavano prevalentemente i temi della politica
estera italiana per il periodo dell’Italia liberale e fascista, e si studiava principalmente sugli archivi
del MAE.

C’è un’ulteriore differenziazione con gli anni ’90 e si affermano gli Studi di integrazione europea,
che si diffonde anche in Italia (principalmente nasce dalla scuola fiorentina/padovana). Nel caso
italiano ben presto gli storici delle Relazioni internazionali si scontrano con la difficoltà della

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consultazione degli archivi: si poteva studiare ma sulla base degli archivi esteri, con la visione degli
altri. Anche se dagli anni ’80 qualche evoluzione si verifica nel senso che c’è stata una parziale
apertura e fu possibile studiare aspetti della politica estera italiana incrociando con gli archivi esteri
e quelli italiani. In questo periodo abbiamo una produzione sugli aspetti della politica estera italiana
molto importanti; a partire dalli anni ’90 abbiamo nuovamente il problema della consultazione con
uno studio solo degli archivi esteri.
Vi era anche una scarsa consultazione e dialogo fra gli storici contemporanei e gli storici dell’Italia
Repubblicana: questo aveva un’influenza sulle storie che si studiavano delle superiori, per cui si
studiavano manuali che comprendevano la storia fino al fascismo; esisteva solo politica interna o
economia.

Fortunatamente alla fine degli anni ’90 vi fu l’avvio di un dialogo fra gli studiosi, derivante anche
dalla fine della Prima Repubblica.
La questione degli archivi si risolve con la possibilità di consultazione di archivi alternativi, che
avevano legami con la politica estera e che avevano normative diverse: ad esempio gli archivi del
Partito Comunista italiano, gli archivi della DC, gli archivi del PSI, gli archivi di De Gasperi, gli archivi
di Aldo Moro, e soprattutto l’Archivio storico della Presidenza della Repubblica ecc. Questo
consente di aggirare il problema della consultazione degli archivi.
Questo ha permesso la possibilità per la Storia delle Relazioni internazionali, e storia
contemporanea, di avere a disposizione una documentazione molto ampia; al momento, tuttavia,
manca ancora una storia complessiva della dell’Italia repubblicana (sta lavorando a questo il
professor Varsori).

02/03/2021

Dall’Unificazione all’impresa di Libia

Diciamo qualcosa in maniera sintetica sull’Unificazione, scendendo poi nel dettaglio nell’età
giolittiana e proseguendo nel corso del ventesimo secolo. Non abbiamo il tempo di soffermarci su
tutti gli aspetti relativi al processo di Unificazione, ma è importante, tenendo conto che affrontare
il tema del ruolo internazionale dell’Italia non è solo politica estera ma anche identità e caratteri
dell’identità: come l’Italia e gli italiani abbiano cercato di proiettare verso l’esterno l’immagine di
questo paese, e come gli altri abbiano percepito quest’immagine.
L’Unificazione è in realtà un processo abbastanza recente, e si sostiene che col 1870 questo processo
ha quasi termine con la liberazione di Roma. Quindi, il processo unitario è relativamente recente
con poco più di 150 anni, e questo differenzia come l’Italia sia nata e come si sia posizionata a livello
internazionale.
Quali sono le giustificazioni di tale aspirazione nella storia d’Italia? Perché distruggere i piccoli stati
italiani, che erano realtà esistenti già da secoli? Perché ritenere che il popolo italiano desiderasse
unirsi in qualcosa di unico? Esistevano delle spinte di carattere più generale: il contesto
internazionale spingeva a creare stati più grandi (contemporaneamente all’Unificazione italiana c’è
l’unificazione tedesca). Altra motivazione nasce contemporaneamente con l’idea di patria, di
nazione derivanti dall’età napoleonica, ma senza scavare troppo nelle origini e radici, le motivazioni
di fondo erano:
1. La grandezza dell’Impero Romano;
2. L’universalità di Roma, centro della cristianità;
3. La grandezza dell’Italia dell’umanesimo e del Rinascimento.

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Questo concetto è utile per spiegare alcuni aspetti fondamenti del carattere internazionale
dell’Italia, ovvero, uno degli obiettivi fondamentali degli artefici del Risorgimento, soprattutto nella
componente Garibaldina Mazziniana, era l’idea che il risorgimento fosse necessario e che l’Italia
unita dovesse imporsi come potenza e grande nazione sul piano internazionale. Perché ritenevano
che questo obiettivo di unità nazionale fosse necessario per imporsi come grande nazione e potenza
a livello internazionale (ricordando che questo è il periodo delle grandi potenze a livello europeo)?
L’idea era che l’Italia fosse sempre esistita come concetto, come una realtà non politica ma
culturale, spirituale e soprattutto le radici dell’obiettivo di far diventare l’Italia una grande potenza
risiedevano nella storia dell’Italia.

Un elemento importante è che tutti i cittadini hanno un dovere nei confronti della patria e quindi
ogni cittadino ha il dovere di difenderla: quindi, le persone si trasformano in cittadini; importante
anche l’elemento dell’educazione: uno degli scopi dei maestri era insegnare la storia del proprio
Paese.

Dunque, per gli artefici dell’Unificazione italiana elemento essenziale era la storia del paese (anche
se sottolineiamo che a volte è stata riscritta la storia e la tradizione, come nel caso della Scozia e del
kilt, elemento che in realtà è stato inventato agli inizi dell’800 ma ad oggi è identità).
Dunque, nel caso italiano la storia è particolare perché non è politica o militare, mentre, ad esempio,
l’Inghilterra dell’800 poteva dire di avere alle proprie spalle una grande tradizione militare e navale,
ma anche una grande tradizione politica da Elisabetta I.
Tutto questo per l’Italia non c’è, per cui come si può giustificare l’aspirazione a diventare potenza?
Si deve andare alle origini, e quindi uno degli elementi fondamentali è la tradizione di Roma; Roma
è uno dei punti di riferimento della storia italiana: ma la Roma repubblicana o la Roma imperiale?
Poco contava per l’Unificazione (il fascismo stesso utilizzerà la grandezza di Roma per giustificare
l’universalità dell’Italia, facendo particolare riferimento però alla Roma imperiale).
Altro elemento che viene sfruttato è quello artistico e culturale, ed anche della letteratura: in
quest’ultima si potevano trovare elementi per giustificare l’identità italiana, fra cui ad esempio la
lingua italiana.

Queste grandi ambizioni confliggevano però con la realtà dell’Unificazione italiana. L’unificazione
difatti ha ben poco di glorioso soprattutto dal punto di vista militare: ci sono una serie di grandi
sconfitte militari. Prendiamo ad esempio la conquista del Regno delle due Sicilie: crolla all’interno,
per cui c’è la vittoria di Garibaldi ma è prima di tutto una lotta fra italiani, per cui il Regno delle due
Sicilie implode da solo. Ancora, la Guerra del 1866: si vince, ma perché alleati dei Prussiani. Vi sono
poi altri esempi, come la conquista di Roma del 1870 ecc. In generale una grande azione diplomatica:
il processo risorgimentale non avviene per caso o basato sul punto di vista militare, ma avviene per
una serie di circostanze favorevoli ed una abile azione diplomatica.

Vi era anche una coscienza nazionale molto debole, e difatti inizia come precedentemente
sottolineato una lotta all’analfabetismo.
Ed inoltre, vi è anche una reazione violenta in cui evidenziamo il brigantaggio: evitiamo gli aspetti
della retorica neoborbonica per cui i briganti volevano la costituzione delle Due Sicilie, e preferiamo
definirla una guerra civile fra borghesi e briganti che rappresentavano la realtà contadina. Non
dimentichiamo allora che intere regioni del mezzogiorno sono sottoposte alle leggi marziali: sono i
militari a comandare queste zone.
Ma ancora, la chiesa cattolica afferma che i cattolici non devono partecipare alla vita politica:
partecipare significherebbe accettare che l’unificazione abbia eliminato il potere temporale papale.

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Quindi, la realtà dell’Italia post-unitaria:
1. Una nazione povera ed arretrata;
2. Una debole coscienza nazionale;
3. Reazione violenta all’Unificazione (il brigantaggio nel Sud represso con la legge marziale);
4. Le strutture di uno stato da creare (burocrazia, forze armate, comunicazioni, ecc);
5. L’ostilità dei cattolici;
6. Un processo di unificazione nato grazie alla diplomazia e a fortunate contingenze
internazionali;
7. Isolamento sul piano internazionale: ostili impero asburgico e impero zarista, freddezza
dell’impero tedesco, ostilità della Francia. Invece vi è un minore interesse della Gran
Bretagna: ciò che interessa agli inglesi è il controllo del Mediterraneo, che dalla Gran
Bretagna porta all’India, quindi, che ci sia un’Italia unita alla Gran Bretagna sta bene perché
rappresenta un elemento di stabilità, ma allo stesso tempo non è un interesse forte.

Andando avanti possiamo dire che dopo il 1870 non c’è una vera e propria politica estera italiana,
perché ci sono i problemi interni da risolvere, come ad esempio la creazione di una burocrazia con
lo spostamento a Roma di tutte le istituzioni. Infatti, prima del 1870 a Roma “pascolavano le
pecore”, ed è da questi anni che i piemontesi avviano la costruzione di edifici per lo spostamento
delle istituzioni a Roma: vi è una grande trasformazione edilizia.
Pensiamo anche alla costituzione di un esercito nazionale: mettere insieme esercito piemontese e
esercito delle due Sicilie.

In altre parole, gli uomini della sinistra storica appartenevano alla tradizione Mazziniana e
Garibaldina e mantenevano la convinzione che l’Italia dovesse divenire una grande potenza. È in
questo periodo che troviamo le origini dell’Italia ad aspirare a divenire una grande potenza: dall’800
fino alla Seconda guerra mondiale è uno dei grandi obiettivi sia dell’Italia liberale ma anche, e
soprattutto dell’Italia fascista.
È solo nel 1943/45 che finisce l’illusione dell’Italia grande potenza. Dopo il 1945 la classe dirigente
dell’Italia repubblicana si pone un altro obiettivo: una media potenza regionale, che è un obiettivo
che permane finora.

Gli episodi che noi ricordiamo sono:


1. La conferenza di Berlino del 1878: conseguenza della guerra russo-turca, vinta dai russi
contro l’impero ottomano; la pace di Santo Stefano bonifica gli equilibri dell’area balcanica:
ma questo sembra rompere equilibri nelle aree europee e vi è la volontà di ridimensionare i
vantaggi ottenuti dalla Russia. Ad esempio, la Gran Bretagna ottiene il controllo dell’isola di
Cipro; ancora, l’Austria-Ungheria ottiene l’amministrazione dell’Erzegovina, con un
rafforzamento dell’austro-Ungheria nell’area balcanica. L’Italia partecipa a questa
conferenza ma è l’unica potenza che non ottiene nulla: la considerazione di grande potenza
non c’era.
2. Vi sono poi nel 1881 le prime ambizioni coloniali dell’Italia che si rivolgono a un paese tutto
sommato debole che è la Tunisia, relativamente vicina all’Italia: questo tentativo in realtà
fallisce e la Francia si garantisce il protettorato sulla Tunisia.

Aggiungiamo qualche considerazione sull’immagine e la percezione che gli altri hanno dell’Italia
nell’800. Alla fin dei conti la visione è data da un paio di elementi: il primo è la visione che il
professore definisce “il Grand Tour” poiché l’Italia è meta dei nobili ricchi, perché l’Italia ha questo
grande passato, le rovine della romanità, i grandi palazzi e le grandi chiese del Rinascimento, i grandi

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pittori e in generale elementi artistico-culturali e la conoscenza di questo passato fa parte
dell’educazione di un nobile e ricco inglese dell’800. Leggendo i diari dei viaggi in Italia di questi
signori si ha una valutazione che sinteticamente dice che “gli italiani non si meritano l’Italia: l’Italia
è un paese di belle rovine, bei musei ma gli italiani non si meritano quello che hanno perché sono
un popolo corrotto data l’influenza del papa e cattolicesimo. Si è abituato ad essere un popolo
dominato dagli altri, che accetta senza particolari reazioni. Sono un popolo emotivo ed irrazionale:
può popolo come questo essere popolo di una grande potenza?” Non stiamo a discutere se questo
sia vero, ma questa era l’immagine che veniva percepita.
La seconda immagine, che si rafforzerà fra la fine dell’800 è data dalle migrazioni italiane: l’idea degli
Americani è che sia un popolo di migranti, di persone povere, umili, analfabeti e pronti ad accettare
qualsiasi mestiere per sopravvivere, idea che si diffonde dalla fine dell’800 all’inizio del ‘900, per cui
è difficile pensare all’idea di grande nazione con questa immagine
La percezione che gli altri hanno dell’Italia non è del tutto negativa, come visto con il Grand Tour,
ma è più basata sull’Italia del passato.

Tornando agli aspetti diplomatici, dopo le esperienze del Congresso di Berlino e il protettorato della
Francia sulla Tunisia l’Italia comprende che è un paese isolato, accettando una prospettiva di
Bismarck dell’Italia, con l’ingresso e partecipazione ad alleanze del sistema bismarckiano: creazione
della Triplice alleanza. Questa è un’alleanza naturale? Dati i rapporti con la Germania si, ma con
l’Austro-Ungheria non è naturale; ma per Bismark andava bene perché sotto la sua ala protettrice
era una buona idea di unione di due paesi che non andavano pienamente d’accordo.

Veniamo ad un altro aspetto del tentativo italiano di divenire grande potenza: nella seconda metà
dell’800 le relazioni internazionali sono caratterizzate dall’aspetto coloniale, lo “scramble for
Africa”. Una competizione per accaparrarsi i territori africani ritenuti più ricchi ed
importanti/strategici:
§ i due attori più importanti sono Gran Bretagna e Francia che si spartiscono una parte
sostanziale del territorio;
§ l’Italia partecipa con una posizione di debolezza, con risorse scarse;
§ dopo gli anni ’90 anche la Germania imperiale partecipa alla corsa del controllo dei territori
africani.

Quindi, l’Italia si accontenta dei territori che agli altri non interessano perché non può entrare in
competizione con la Gran Bretagna o la Francia, o tantomeno con Germania data la Triplice Alleanza.
Si accontenta quindi dei territori più poveri, di cui gli altri Paesi non hanno neanche interesse: la
prima colonia è quella dell’Eritrea. Successivamente vi è un tentativo di ampliamento dei territori
sotto il controllo italiano, dirigendosi in due direzioni: la prima è quella nei confronti dell’interno,
Eritrea come punto di partenza e poi Massawa ecc; e poi la penetrazione verso l’Impero d’Abissinia
scontrandosi come uno dei pochi stati africani relativamente forti e il risultato non è positivo:
subiscono una sconfitta a Dogali, e successivamente si firma il Trattato di Uccialli.
Nel 1866 si conclude l’espansione con un’ulteriore sconfitta, che è quella di Adua: l’Italia cerca una
nuova direttrice di espansione coloniale sempre nel Corno d’Africa puntando alla creazione della
colonia della Somalia (tuttavia, sempre territorio povero).

Potremmo chiederci: le altre grandi potenze europee vanno incontro a sconfitte militari in Africa?
La Gran Bretagna fa una delle varie guerre coloniali, e una di queste è contro il Regno degli Zulu e
gli inglesi subiscono una sconfitta durissima comparabile a quella di Adua e peggiore di quella di
Dogali. La differenza con l’azione italiana è che una grande potenza come la Gran Bretagna rielabora

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la sconfitta: si rafforza il contingente inglese e la guerra successiva viene poi vinta, per cui una
grande potenza può perdere una battaglia ma poi la guerra si vince. Mentre, in Italia non c’è
capacità di rielaborare le sconfitte.

All’inizio del ‘900 nasce una nuova direttrice nella politica estera italiana verso l’area balcanica, che
ritroveremo anche successivamente fino all’Italia Repubblicana; vi sono poi accordi particolari con
la Triplice Alleanza con una clausola per cui se l’Austro-Ungheria avesse ottenuto controllo di alcuni
territori nei Balcani l’Italia al contempo avrebbe ottenuto dei compensi.
Vi sono anche rapporti relativamente buoni con la Gran Bretagna, tuttavia tradizionali.

03/03/2021

Il contesto internazionale agli inizi del ‘900

Spieghiamo la politica esterna italiana agli inizi del ‘900, per cui è necessario capire il contesto
internazionale di questo periodo.

L’attenzione si concentra sugli aspetti politico-diplomatici, sulle questioni di natura politica,


chiudendo questa parte con considerazioni relative al contesto internazionale agli inizi del ‘900. Per
capire la politica estera italiana, soprattutto nella fase del periodo giolittiano nel primo decennio del
‘900, è opportuno avere coordinate precise sul contesto internazionale: individuare elementi che
hanno condotto alla Prima guerra mondiale. Vedremo, sarà anche un momento di svolta per il ruolo
internazionale dell’Italia, nella fase conclusiva dello stato liberale: l’Italia ottiene un riconoscimento
formale di ruolo di grande potenza europea. Riconoscimento che avviene come conseguenza delle
politiche dell’Italia liberale (non è il fascismo ad ottenere questo riconoscimento come potenza
europea).

La situazione dell’Europa tra la fine dell’800 e inizio ‘900 la suddividiamo in:


1. Impero tedesco: quali sono le caratteristiche della posizione internazionale della Germania
imperiale? Dopo l’uscita di Bismark si ha l’avvio di una politica mondiale: la weltpolitik.
o La Germania ha la possibilità di svolgere una politica di carattere globale, che implica
un tentativo di espansione coloniale che effettivamente la Germania attua molto
velocemente: non è un’espansione irrilevante, e la Germania conquista una serie di
territori in Africa (Taganika, Togo, Camerun, Africa del Sud-Ovest) divenendo la terza
potenza coloniale dopo la Gran Bretagna e la Francia. Vi sono anche conquiste nelle
isole del Pacifico e Cina: ricordiamo che in questo periodo la Cina è costretta a cedere
concessioni importanti alle potenze europee di basi navali (l’Italia è l’unica a cui la
Cina non concede concessioni).
o Dunque, questa politica coloniale si lega a una crescita economica molto forte,
superando la Gran Bretagna: questa crescita economica preoccupa gli inglesi, anche
perché la weltpolitik significa un’espansione tedesca della flotta, per cui la flotta
inglese si sente minacciata; assistiamo a una corsa di riarmo navale.
o Va inoltre ricordata la rivalità con la Francia, per cui l’Alsazia e la Lorenza vengono
considerati territori francesi.
o Altro elemento, che si lega all’uscita dalla politica di Bismark (che voleva la Germania
al centro delle alleanze, anche alleanze contradditorie, ma escludendo la Francia) è
la crescente rivalità con la Russia a causa dell’alleanza con l’Austria-Ungheria.

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o I rapporti dell’Impero tedesco con l’Italia sono particolarmente buoni: una parte dello
sviluppo industriale italiano a inizio secolo è dovuto al capitale tedesco; esistono
quindi forti rapporti economico-finanziari tra Italia e Germania.

2. Austria-Ungheria: stretto legame con la Germania, definibile anche forte dipendenza


dell’Austria-Ungheria alla Germania. Secondo elemento è la rivalità con la Russia per
l’influenza sui Balcani. Ci interessa particolarmente la questione dei rapporti con l’Italia, che
diventano complicati pur tuttavia essendo alleate. In più occasioni il comandante delle forze
armate austro-ungariche propone di scatenare una guerra preventiva nei confronti
dell’Italia, che sottolinea come l’alleanza fosse molto fragile. Perché questa rivalità? Ci sono
più ragioni: terre irredente e questioni dei Balcani.
o Con la ripresa dell’irredentismo sia a Trieste sia nel Trentino si richiedeva
l’annessione all’Italia, considerato un pericolo dalla parte Austro-ungarica. Questo
perché era una zona con un porto di grande rilievo per il controllo dell’Adriatico:
l’irredentismo di queste zone provoca un irrigidimento delle relazioni fra Italia e
Austria-Ungheria.
o Vi è anche la questione delle comunità: nelle zone vi è una presenza di comunità slave
per cui l’Austria-Ungheria spinge per una presenza maggiore di slavi sugli italiani.
o Questione dei Balcani: con il crollo del comunismo la direttrice balcanico italiana
riprende, con strumenti diversi di carattere economico in questi territori (che in parte
esiste tuttora).
Sulla base di questi elementi di contrasto i rapporti fra Italia e Austria-Ungheria sono molto
negativi.

3. Impero russo: per ciò che riguarda questo impero ci sono alcuni elementi non trascurabili
come crescenti problemi sociali interni con le due Rivoluzioni. Sul piano internazionale nel
1905 la Rivoluzione russa è favorita anche dalla sconfitta che i russi subiscono dalla guerra
russo-giapponese:
o la Russia negli anni successivi pensa di ritornare su una direttrice tradizionale verso i
Balcani che si esplica in una stretta alleanza con la Serbia, e conseguente tensione
con Germania e Austria-Ungheria.
o Vi è poi anche l’alleanza con la Francia del 1894, che ancora preoccupa la Germania.
o Nel 1907 vi è anche l’accordo anglo-russo che non riguarda la Germania, ma riguarda
prevalentemente gli equilibri in Asia, soprattutto per la questione dell’Afghanistan
che era stata zona di scontro diretto fra russi e inglesi per imporre il controllo su
questa regione.

4. Repubblica francese: parliamo della terza repubblica. I caratteri sul piano internazionale:
o fino al 1904 c’è un contrasto coloniale con la Gran Bretagna, che viene risolto con il
1904 “Entente cordiale” franco-britannica; in Africa non esistono quasi più stati
effettivamente africani, spartiti fra le potenze europee.
o La Francia punta quindi ad un’alleanza con la Russia: i legami con la Gran Bretagna e
Russia spinge ad un atteggiamento più assertivo con la Germania.
o Vi è anche un tentativo di conciliazione con l’Italia, di distaccarsi dalla Triplice
Alleanza.

5. Impero britannico: una grande potenza navale che proprio per questo non ha un esercito di
coscritti/un esercito di leva.

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o Vi è un crescente avvicinamento alla Francia e alla Russia, e di conseguenza un
contrasto navale con la Germania.
o Vi è tuttavia un timore della decadenza economica data la crescita di altri paesi.

6. Impero Ottomano: vive una fase di crisi ormai dall’inizio del 1800.
o Nel 1908 c’è la rivolta dei giovani turchi con un tentativo di modernizzazione.
o C’è poi l’avvicinamento con la Germania: progetto di ferrovia Berlino-Baghdad;
questa è una direttrice in contrasto con l’espansione inglese che in questo periodo si
espandono economicamente nei territori della zona della Persia (attuale Iran) perché
ci sono i giacimenti del petrolio.
o Per ciò che riguarda questo impero, si trova davanti a difficoltà con stati divenuti
indipendenti che vogliono cacciare l’impero ottomano dall’Europa: Grecia, Serbia,
Montenegro, Bulgaria, con conseguenti rivolte in Albania.

Abbiamo quindi la nota contrapposizione della Triplice Alleanza e la Triplice Intesa.

L’età giolittiana e la politica estera fino alla guerra di Libia

Sappiamo che alla fine del 1800 l’Italia soffre della presenza di un regime autoritario, con la
repressione forte da parte dell’esercito sulle agitazioni sociali. Non dimentichiamo che questo
spiega l’uccisione di re Umberto I, che viene considerato uno dei sostenitori della svolta in senso
autoritario.
La crisi di fine secolo viene superata, con il nuovo sovrano Emanuele III, che accetta l’ipotesi dei
riformisti. Il primo decennio è quindi caratterizzato da Giolitti, che ritiene che il paese debba
modernizzarsi, sul modello della repubblica francese o monarchia britannica, in cui il ruolo principale
è svolto dal Parlamento. La politica di Giolitti punta ai contratti sociali, e nei conflitti sociali lo stato
non deve intromettersi ma si deve risolvere con il dialogo con i sindacati.

C’è il primo sviluppo economico italiano: c’erano alcune industrie tradizionali a livello tessile, ma
all’inizio del 900 si formano le prime industrie moderne con una presenza statale importante. Le
acciaierie infatti sono protagoniste dell’industrializzazione, basate su una politica protezionista;
questo però non toglie che all’inizio del 900 c’è il primo take-off industriale italiano: nasce il triangolo
industriale di Milano-Genova-Torino. Questo implica la nascita del proletariato industriale, simbolo
di modernità che favorisce elementi anche di carattere di politico con la nascita del Partito Socialista
Italiano nel 1892, definibile primo partito moderno con la nascita, inoltre, del sindacato che
rappresenta la base operaia (questo significa al contempo che questi sono più forti al Nord, dove vi
è il maggior sviluppo industriale).

Il riformismo si ritiene la scelta giusta: con Giolitti si accetta di dialogare con lo stato borghese,
nell’interesse del proletariato per ottenere salari maggiori ecc. Dall’altro lato Giolitti tenta di
dialogare anche con i cattolici: i cattolici, da un’iniziale non partecipazione alla vita politica, passano
ad una partecipazione ma a sostegno della Chiesa cattolica.

Esistono oppositori della politica giolittiana: nazionalisti, socialisti massimalisti. Con la politica estera
ci interessa la nascita dei nazionalisti: inizialmente non nasce come un partito, e sono definibili in
maniera generica come i giovani. I giovani borghesi, gli intellettuali, che sono insoddisfatti e non si
riconoscono nell’Italietta Giolittiana, un paese guidato da Giolitti definito burocrate: un paese
interessato alle riforme, definite dai nazionalisti come banali, senza quel desiderio di trasformare

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l’Italia come grande potenza. Manca con Giolitti, per i nazionalisti, l’affermazione del ruolo del
paese, della sua superiorità, della potenza, accettando anche lo scontro e la guerra.
Ad esempio, in un periodo come questo le nuove generazioni italiane rispetto ad altri paesi non
avevano la possibilità di affermare l’identità del proprio paese: si pensi ad inglesi, francesi, tedeschi
che potevano partecipare alle guerre coloniali, prendere le armi. Questo in Italia non accade. I
nazionalisti rifiutavano quindi l’Italia giolittiana, perché non in grado di essere grande potenza, di
combattere guerre coloniali.
Figura fondamentale è anche quella degli intellettuali, in particolare di D’Annunzio, che ad oggi
probabilmente non comprendiamo nello specifico: diventa un modello per gli italiani degli inizi del
‘900; D’Annunzio diventa sostenitore della Grande Italia, sostenitore di un programma vero e
proprio per perseguire il fine della suddetta Grande Italia. D’Annunzio è il cantore di questa
generazione insoddisfatta di Giolitti: si veda l’atteggiamento di D’Annunzio nei confronti della
conquista di Libia; i borghesi si abbeveravano di questa retorica.
Vi erano anche correnti differenti come quella dei futuristi, che emergono perché vogliono
distruggere la Vecchia Italia: vorrebbero distruggere Venezia, perché vogliono un’Italia giovane e
non di camerieri, ristoratori, di musei (un’Italia di turisti, un grande museo).
Erano pur tuttavia minoranze, che però si facevano sentire, erano attivi, ed erano in grado di
militarsi imponendosi sulle maggioranze. Un insieme di componenti che vanno verso la stessa
direzione: una politica aggressiva e espansionista, con l’accettazione delle guerre, in
contrapposizione con ciò che la politica giolittiana persegue.

La politica estera: in questo periodo non è solo patrimonio del Ministro del Consiglio, ma anche
frutto dell’azione dei diplomatici che avevano margini di autonomia più ampi di oggi (spesso per
difficoltà di comunicazione, dovevano prendere decisioni cercando di individuare le direttrici del
governo).
È importante anche la monarchia: desideravano un’Italia più grande; la monarchia si sarebbe
rafforzata se maggiormente si sarebbe rafforzato il ruolo internazionale: il sovrano è più forte se la
nazione è più forte. Il sovrano ha una sua influenza nella politica estera.

I 1911 sono anni anche di celebrazioni dell’unità d’Italia: viene costruito il simbolo del
cinquantenario dell’unità d’Italia, l’Altare della Patria (a partire dagli anni ’80 la bellezza dell’Altare
della Patria viene rivalutata, con la rivalutazione del concetto di Patria: prima veniva ritenuto
brutto). Quindi, anche i concetti dei simboli cambiano nel corso dei decenni, così come è stato
rivalutato anche il simbolo dell’Altare della Patria.

Per quanto riguardava i rapporti con gli altri paesi, era necessario non contrapporsi con i paesi della
Triplice Intesa: abbiamo quindi accordi in realtà in contrasto con la Triplice Alleanza. I rapporti con
la Gran Bretagna erano sempre stati buoni, ma anche con la Francia si ritiene necessario, con accordi
segreti, mantenere dei buoni rapporti. Gli elementi di questi accordi sono costruiti su condizioni
diplomatiche per una nuova espansione coloniale: la Libia, perché non c’è nessuna potenza europea,
è sotto controllo debole dell’Impero Ottomano, per cui è la prossima direttrice coloniale italiana. È
quindi rilevante l’accordo Visconti Venosta-Barrère del 1900, e Prinetti-Barrère del 1902: non vi
saranno intromissioni della Francia negli affari italiani in Libia, e viceversa per la Francia in Marocco.
L’Italia mantiene buoni rapporti anche con l’Impero tedesco: pur essendo a conoscenza di queste
conciliazioni dell’Italia con paesi della Triplice Intesa, si riteneva che una volta iniziata una guerra
l’Italia sarebbe dovuta scendere in campo a fianco della Germania, della Triplice Alleanza.

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Quando si giunge alla seconda guerra marocchina della Francia del 1911, l’Italia trae vantaggio dai
suddetti accordi per lanciare l’avventura coloniale in Libia (identifichiamo in questo intervento in
Libia, comunque, una visione espansionista dell’Italietta da parte di Giolitti).

08/03/2021

Dalla guerra di Libia alla Prima guerra mondiale (1911-1918)


Come dicevamo, nella lezione di oggi affrontiamo la questione della posizione internazionale
dell’Italia dalla guerra di Libia alla Prima guerra mondiale. Prendiamo il 1911 come data di
riferimento, dato che rappresenta il primo cinquantenario del processo di unificazione, per cui
abbiamo sottolineato la situazione italiana sia dal punto di vista interno ed esterno: nel primo
decennio del ‘900 vi erano stati cambiamenti interni data la presenza di Giolitti a guida del paese
con le politiche di riforme; elementi sia positivi ma anche negativi di crisi. Non mancavano i progetti
per un ampiamento di natura coloniale, e l’attenzione italiana si era basata sul nord Africa, in
particolare in Libia (con conseguenti accordi, ad esempio con la Francia di disinteresse nei confronti
di eventuali espansioni francesi e viceversa).

Tutto questo avrebbe condotto a quella che sarebbe stata la guerra italo-turca dal 1911: perché
l’Italia decide di dare avvio a questo conflitto? Perché dichiarare guerra all’Impero Ottomano?
Ragioni di politica interna e ragioni di politica estera.

Ragioni di politica interna:

§ In primo luogo le spinte da alcuni settori del paese, negli ambienti nazionalisti che miravano
a che l’Italia sviluppasse una politica aggressiva e di presenza, a cui si legavano ambienti
intellettuali che ispiravano direttamente o indirettamente il movimento nazionalista;
dall’altro lato la monarchia: la guerra coloniale vinta rafforzerebbe l’Italia sul piano
internazionale ed anche la monarchia; naturalmente gli ambienti militari con la speranza di
vendicare le sconfitte subite in precedenza, e proporsi al paese come forze armate vittoriose
(negli anni lo stato italiano aveva investito grandi risorse nel rafforzamento dell’esercito,
specialmente nella marina);

§ non trascuriamo il ruolo della stampa italiana, che in questo periodo ha un ruolo importante,
dato che si diffonde anche grazie ad un grado di alfabetizzazione maggiore: è il mezzo di
comunicazione fondamentale e determina l’atteggiamento dell’opinione pubblica. Una
parte consistente della stampa è favorevole alla spedizione in Libia: è proprio la stampa con
alcuni intellettuali a diffondere un’illusione circa la possibilità di trasformare la Libia in una
colonia di popolamento. Quest’illusione è direttamente collegata alla questione della
valvola di sfogo per i flussi migratori.
Un esempio è “la Domenica del Corriere”, dove si raffiguravano gli italiani approdati in Libia,
innalzando la bandiera tricolore; ed ancora la guerra di Libia venne vissuta come un evento
popolare non solo nella borghesia, per cui era sentita positivamente, ed un modo di
trasmettere gli ideali patriottici era la musica: “Tripoli bel suol d’amore”.

§ Aspirazione a dimostrare che l’Italia è finalmente divenuta una grande potenza;

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§ Convinzione di Giolitti di accontentare i settori nazionalisti dell’opinione pubblica in modo
da far passare poi il progetto di elezioni a suffragio universale: ci si può chiedere, perché
Giolitti, uomo di politica interna, accettasse l’idea del conflitto? C’erano alcune ragioni,
poiché nel 1911 la sua posizione nella politica interna è più debole; ed inoltre, oltre la
pressione di nazionalisti c’erano le pressioni dei militari e della monarchia, per cui era
opportuno dare una sorta di soddisfazione all’opinione pubblica, in cambio di un altro
progetto di riforma, ovvero, la legge sul suffragio universale (coinvolgendo quindi maggiori
persone, per ottenere così maggiore consenso). Giolitti riteneva che fosse una sorta di
scambio, concedendo l’espansione in Libia e dell’altra puntando al suffragio universale.

Ragioni di Politica estera:


§ dimostrare la capacità dello stato italiano di fronte alle potenze;
§ necessità di far valere le assicurazioni date dalle potenze;
§ sfruttare la debolezza dell’Impero ottomano.

Veniamo al conflitto vero e proprio, vediamo alcuni aspetti delle vicende militari perché poi
quest’ultime avrebbero avuto dei riflessi di natura politica.

1. Va detto che in una fase inziale la speranza italiana era quella di ritenere che la guerra con
l’Impero ottomano sarebbe stata facile: questo perché il dominio ottomano nella Libia era
molto debole, poiché controllava alcune città nella costa e la presenza di truppe ottomane
era scarsissima; vi era inoltre la convinzione che la popolazione locale avrebbe accolto gli
italiani come liberatori, perché il dominio ottomano era retrivo ed inefficiente per cui le
popolazioni locali avrebbero accettato la presenza italiana. Questo rafforzava le autorità
italiane nel ritenere i soldati italiani come liberatori che avrebbero portato modernizzazione.

2. La resistenza delle truppe ottomane fu molto debole, e vi fu la convinzione degli italiani che
le cose sarebbero andate come immaginato. In realtà, le cose non andarono in questi
termini: la popolazione locale pensava, dato il debole potere dell’Impero ottomano, che
avessero una sorta di autonomia. Vi fu un’immediata azione di resistenza locale nei confronti
degli italiani, per cui questi si ritrovano a combattere guerriglie: la reazione italiana fu
durissima, di repressione indiscriminata. Questo fece si che nel giro di pochi mesi la
conquista di Libia fosse più complicata di quello immaginato: infatti, gli italiani
controlleranno per lo più la parte costiera, e non penetrano nell’interno se non con grandi
difficoltà.

3. Va detto però che le forze armate italiane si presentarono alla guerra di Libia all’altezza di
questo compito, sfruttando la superiorità tecnica rispetto alla guerriglia libica: gli italiani
sono i primi a sfruttare un nuovo strumento, l’aereo, per ricognizione in una prima fase e poi
in una seconda fase per terrorizzare la guerriglia.

4. Allo stesso tempo ci si trova davanti a una situazione di stallo per cui non riuscivano ad
imporre la propria presenza all’interno: per l’impero ottomano il conflitto non era
particolarmente costoso, anche se non vincendo, avrebbe costretto l’Italia ad una guerra di
logoramento. Per cui qual era il nemico più importante? La Turchia o la popolazione locale?
L’Italia decide di portare la guerra all’Impero ottomano, e poi, una volta fatta pace, contro la
guerriglia libica.

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5. Questo spinge l’Italia ad utilizzare uno strumento per lei forte, ovvero, la flotta navale: si
hanno azioni navali contro Beirut e gli stretti; ed ancora, procede all’occupazione di una
parte delle isole dell’Egeo che erano sotto controllo ottomano (definite poi del Dodecaneso,
la cui più importante sarà Rodi).

6. Di fronte all’allargamento del conflitto, che l’Italia è in grado di intraprendere rispetto


all’Impero Ottomano, circa dopo un anno si giunge alla pace: questo perché alcuni paesi
dell’area balcanica ritengono sia il momento opportuno per espellere la Turchia dal
continente europeo (che condurrà alle guerre balcaniche del 1912/1913); ed allora la Turchia
cede sulla Libia all’Italia per concentrarsi nei conflitti nei Balcani.
Questo conduce al Trattato di Losanna nell’ottobre del 1912: l’Italia controlla il territorio di
Libia. Ma la guerriglia prosegue anche negli anni successivi: il controllo effettivo dell’Italia
non va oltre la costa e i centri urbani (il vero controllo della Libia l’Italia lo ottiene solo nel
periodo fascista con una durissima campagna coloniale).

Veniamo allo scoppio della “Grande guerra”: le conseguenze delle guerre balcaniche, la
posizione internazionale e la situazione interna

1. Le due guerre balcaniche, nel 1912 e 1913, si concludono con l’espulsione della Turchia dal
continente europeo, tranne una piccola parte di Turchia europea che esiste tutt’ora. Questo
conduce ad un allargamento territoriale dei paesi balcanici, che però favorisce ulteriormente
la spinta nazionalista di questi paesi: se pensiamo al caso della Serbia, dopo aver vinto contro
l’Impero ottomano, sposta l’attenzione all’Impero Asburgico: Slovenia, Croazia, Bosnia-
Erzegovina.
o Altro aspetto che va ricordato è la ribellione in Albania, contro la presenza del
dominio ottomano: alla fine delle guerre balcaniche, c’è la costituzione dello stato
albanese, ma pur tuttavia controllato da altre potenze, che decidono il futuro dello
stato albanese indipendente. Questo implica che tra il 1913/14 abbiamo una
conferenza internazionale, tra cui l’Italia ma anche l’Austria-Ungheria: in questo
ambito, per quanto si giunga a un compromesso fra Italia e Austria-Ungheria, si
manifesta la forte contrapposizione di questi due stati nei loro interessi di controllo
del territorio albanese.

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2. Nel 1923 la Triplice alleanza viene rinnovata: i rapporti fra Roma e Berlino sono buoni (nuovi
accordi navali di collaborazione militare anche nel caso di conflitto Germania-Francia,
ovvero, nel caso in cui la Francia avesse aggredito la Germania). Ma rimangono i contrasti
fra Roma e Vienna, non solo per le questioni balcaniche ma anche per l’irredentismo: se fino
alla fine dell’800, la volontà dei triestini e trentini di essere parte dell’Italia rappresentava
l’opinione di una piccola parte, nel ‘900 emergono di più i conflitti di nazionalità;
l’irredentismo agli inizi del ‘900 diventa più forte, non per forza come desiderio di entrare a
far parte dell’Italia, ma una minoranza richiede il riconoscimento di un’autonomia dal punto
di vista culturale e linguistico.
o Non dimentichiamo che in questo periodo emerge la figura di Alcide de Gasperi,
cittadino dell’impero asburgico, attivo nel movimento cattolico, che viene eletto al
Parlamento di Vienna fino al 1918.
o A Trieste la situazione è più complessa: multietnica, con componente italiana,
austriaca, tedesca, ebraica; gli italiani sono una maggioranza relativa. La tendenza del
governo di Vienna è di favorire gli slavi: questo fa si che la componente italiana si
radicalizzi e si concentri nella prospettiva dell’irredentismo con l’annessione italiana.
o Dunque, l’irredentismo italiano si lega alla crisi e alle difficoltà dell’Impero
multinazionale asburgico, che rende i rapporti fra Vienna e Roma particolarmente
difficili, per quanto alleati.

3. Dal punto di vista interno, Giolitti ottiene ciò che aveva desiderato, perché in qualche modo
c’è stata un’espansione coloniale da parte italiana. Questo permette a Giolitti di conseguire
l’altra parte della sua politica: nel 1913 le elezioni sono a suffragio universale maschile, che
comportano un allargamento dell’elettorato. Abbiamo la vittoria dei liberali, che però
vincono anche grazie al condizionamento dei cattolici: grazie al Patto di Gentiloni, accordo
di desistenza fra cattolici e liberali; abbiamo quindi un Parlamento in cui i liberali hanno
vinto, ma grazie ai voti dei cattolici, che iniziano a condizionare i liberali.
Dunque, i liberali si dividono, con maggioranze fluttuanti, in due gruppi (non è un partito
moderno):
o riformisti favorevoli a Giolitti,
o e la destra liberale, ostile e timorosa dell’influenza cattolica sui liberali, per una
tradizione anticlericale che vede il mondo cattolico come un nemico. La destra
liberale è legata alla tradizione risorgimentale, ed i cattolici appunto si erano posti
contro questa tradizione.
Ed ancora, i liberali di destra non condividono l’avvicinamento dei liberali di Giolitti
ai socialisti.

4. Giolitti esce in realtà indebolito da queste elezioni: negli anni precedenti quando Giolitti
aveva una posizione debole si dimetteva, perché riteneva che si sarebbero susseguiti governi
transitori e deboli, per cui successivamente l’avrebbero richiamato al governo.
o Quindi, Giolitti si dimette e nel 1914 si forma un governo con Salandra, per quanto
Giolitti non fosse positivo nei confronti di Salandra (ma pensava che appunto sarebbe
ritornato). Vi è comunque una continuità nella politica estera: San Giuliano, che
aveva gestito tutta la questione della guerra di Libia sul piano diplomatico (non
militare). Nel 1914 San Giuliano è restio a far parte del governo Salandra, perché più
vicino a Giolitti, ma anche grazie alle parole di quest’ultimo, accetta l’incarico.

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5. Un elemento di politica interna che va ricordato, per capire anche l’ingresso in guerra
dell’Italia, è la cosiddetta Settimana Rossa nelle Marche e in Romagna: nella giornata del 7
giugno si celebrava in tutta Italia la “Festa dello Statuto” (in occasione dell'anniversario della
concessione dello Statuto Albertino da parte del monarca sabaudo Carlo Alberto). In queste
aree era molto forte il movimento repubblicano e socialista, e quindi le forze
antimonarchiche decisero di indire manifestazioni di protesta contro i borghesi e militari. Le
manifestazioni vennero represse fortemente: una vera e propria insurrezione. La settimana
rossa si conclude come un fallimento, ma viene vista comunque dalla borghesia come una
minaccia di rivoluzione: una parte della borghesia si convince che alla base di questo vi sia la
colpa delle politiche di Giolitti che ha dato troppo spazio ai socialisti.
o Vedremo come questa situazione conflittuale e tesa, anche del partito liberale, allo
scoppio della Prima guerra mondiale, avrà ripercussioni sul dibattito politico interno
per l’entrata in guerra dell’Italia.

L’Italia dalla neutralità all’intervento (1914-1915)

Questo è un elemento importante per capire l’atteggiamento italiano durante la guerra e anche al
termine dei conflitti.

Non abbiamo il tempo di dilungarci sullo scoppio della Prima guerra mondiale: abbiamo la presenza
della Triplice Alleanza e la Triplice Intesa, che da anni si stanno preparando ad una guerra fra di loro.
Questi piani di guerra sono piani che una volta messi in moto difficilmente possono essere fermati:
sono eserciti di circoscrizione obbligatoria, che si basavano anche su militari di riserva che potevano
essere chiamati rapidamente; una volta che questo meccanismo veniva messo in moto, l’idea era
che non ci si potesse fermare: il primo che mobilitava più rapidamente era colui che avrebbe potuto
vincere. La mobilitazione più rapida era quella tedesca e quella francese.

Sappiamo che il tutto nasce dall’attentato a Sarajevo: un gruppo di giovani attentatori serbo-
bosniaci, vogliono la fine del controllo asburgico sulla Bosnia-Erzegovina, e sono finanziati e in
qualche modo controllati dai servizi segreti serbi. La responsabilità della Serbia, ed indirettamente
della Russia, è molto forte.
Questi giovani attentatori dunque giungono a Sarajevo, Francesco Ferdinando è lì con sua moglie:
c’è un primo tentativo che fallisce, ma il secondo tentativo va a buon fine. Naturalmente questo
crea una situazione di tensione fra Austria-Ungheria e Serbia: Vienna chiede a Berlino se è pronta a
sostenere la guerra contro la Serbia, a cui si sussegue il meccanismo di alleanze e di mobilitazione,
perché la Russia si sarebbe mossa al fianco della Serbia, e al fianco della Russia la Francia.

Scattano le alleanze, e a seguito della mobilitazione russa e francese, la Germania decide di


combattere prima contro il fronte russo, che ritiene abbia una mobilitazione più lenta, e poi
muoversi contro la Francia. Per combattere la Francia, la Germania ritiene di dover passare nel
Belgio, stato neutrale.

Dunque, qual è la posizione dell’Italia? È inizialmente marginale, infatti, non sono coinvolti nel
processo politico diplomatico dell’attentato di Sarajevo. Questo evidenzia come la posizione italiana
non fosse di grande potenza, ma fosse considerata marginale.
La preoccupazione dell’Italia nasce nelle settimane successive: la decisione è inizialmente quella di
neutralità sul presupposto del testo di carattere difensivo della Triplice Alleanza, per cui l’Italia
sarebbe intervenuta solo se la Germania o l’Austria-Ungheria fossero state attaccate. L’Italia

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dichiara la neutralità, che viene inizialmente accettata da tutti, anche dalla parte tedesca ed
asburgica.

San Giuliano inizia a preoccuparsi della posizione dell’Italia nei confronti del conflitto mondiale, che
al principio si riteneva sarebbe stato rapido ma non si stava sviluppando in questa direzione:
nell’autunno del 1914 San Giuliano inizia a ipotizzare il passaggio alla Triplice Intesa.
Abbiamo tuttavia la morte in ottobre di San Giuliano e la conseguente nomina di Sidney Sonnino,
esponente della destra liberale, alla guida del Ministero degli AA.EE fino al 1919. Con l’arrivo di
Sonnino la questione degli affari esteri va vista con particolare attenzione.

09/03/2021

L’Italia dalla neutralità all’intervento (1914-1915)

Oggi concludiamo l’analisi della posizione italiana fino a Caporetto, non sono l’ingresso in guerra ma
anche i primi due anni nel primo conflitto mondiale.

Come dicevamo l’Italia non svolge un ruolo importante/significativo nei mesi da giugno 1914 fino
all’agosto dello stesso anno, e questo sembra sottolineare che sebbene l’Italia fosse stata accettata
come minore fra le grandi potenze, va detto che nessuno dei contendenti mostrarono particolare
attenzione nei confronti dell’Italia. Sottolineando quindi come non venisse considerata un attore
essenziale.

Al momento dello scoppio delle ostilità l’Italia decide di dichiarare la posizione di neutralità, che dal
punto di vista formale sembrava essere giustificata, come detto in precedenza, dal testo di carattere
difensivo della Triplice Alleanza.
Abbiamo anche evidenziato come dal punto di vista dei contendenti questo andava bene a tutti: dai
rapporti con l’Austria-Ungheria, alla Germania che comprendeva la difficoltà nei rapporti esistenti
con l’Austria Ungheria; e per la Triplice Intesa rappresentava un vantaggio.

Ultimo elemento che abbiamo ricordato è che nell’autunno del 1914 San Giuliano aveva già
cominciato a prendere in considerazione quale potesse essere una futura presa di posizione italiana
o con gli Imperi Centrali o le potenze dell’Intesa.

Il conflitto si pensava sarebbe stato rapido, con una guerra di movimento, ma sappiamo che le cose
non andarono in questo modo: diviene una guerra di logoramento, di lungo periodo.
Per questo San Giuliano iniziò a riflettere sul ruolo dell’Italia nel conflitto: trasformare di nuovo la
guerra in una guerra di movimento; questo però significava che la posizione italiana diventava di un
certo rilievo come fattore decisivo che avrebbe fatto vincere un’alleanza o un’altra. San Giuliano
elabora ciò che definiamo il “telegrammone” in cui intendeva elencare quali fossero le richieste che
l’Italia avrebbe avanzato nei confronti dell’Intesa: questo perché comprendevano che l’Alleanza che
avrebbe dato maggiori concessioni sarebbe stata l’Intesa. Buona parte delle indicazioni presenti nel
progetto di San Giuliano sarebbe stato ripreso dal suo successore.

Come detto San Giuliano muore, e Salandra nomina alla guida degli AA.EE Sonnino: era un uomo
politico di lungo corso, che già aveva svolto incarichi ministeriali. Era una personalità singolare,
perché era italiano ma nato ad Alessandria d’Egitto, la madre era scozzese, quindi aveva origini in

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parte straniere; era protestante e non cattolico. Un uomo di grande rettitudine ma anche molto
rigido, scarsamente adattabile che avrebbe trovato riflesso anche nell’azione internazionale.
Quando Sonnino viene nominato, Salandra tenne un discorso al personale degli AA.EE per cui la
politica estera italiana si sarebbe dovuta ispirare al sacro egoismo: l’Italia avrebbe dovuto badare
solo a difendere gli interessi nazionali; questo implicava però anche un altro elemento, che l’Italia
avrebbe dovuto prescindere dalle alleanze precedenti.
Non dimentichiamo che la Triplice Alleanza rimaneva valida, aveva siglato un trattato con Germania
e Austria-Ungheria: non era belligerante, ma la Triplice Alleanza non era decaduta; elemento che va
sottolineato per capire l’atteggiamento di queste vedendo l’Italia entrare in guerra al fianco della
Triplice Intesa.

Sonnino, sulla base dell’Alleanza, sonda sia Berlino sia Vienna per comprendere se queste due
potenze fossero pronte a concessioni a favore dell’Italia se fosse entrata in guerra: a livello
territoriale, ritornava la questione delle terre irredente, Trentino e Trieste. Qual era la posizione
della due potenze? Berlino aveva un atteggiamento possibilista, per cui l’interesse di Berlino era
evitare che l’Italia si schierasse contro la Germania, con una conseguente positività nell’accettare le
richieste italiane. Da parte austriaca vi è una presa di posizione immediatamente negativa, di non
rinuncia a questi territori: non poteva rinunciare a questi territori perché guardava alla realtà
dell’Impero, voleva continuare ad essere un Impero multinazionale; ma soprattutto per Trieste non
poteva rinunciarci, per motivi che abbiamo ricordato precedentemente, perché era il porto più
importante dell’Impero, di scambio commerciale, base di flotta asburgica ecc.

Naturalmente, di fronte a questo atteggiamento da parte austro-ungarico, nel febbraio 1915


Salandra e Sonnino decisero di aprire un negoziato con le potenze dell’Intesa: parliamo ovviamente
di contatti segreti. Salandra e Sonnino prendono una decisione con l’assenso di Emanuele III, senza
coinvolgimento del Parlamento o del Governo; Sonnino inoltre decise che il punto di riferimento
con il negoziato delle potenze dell’Intesa fosse quello britannico, e vennero tenuti relativamente
informati gli ambasciatori in Russia e a Parigi; mentre vennero quasi tenuti all’oscuro gli
ambasciatori italiani a Vienna e Berlino.
Come dicevamo, si avviano i negoziati e gli inglesi si assunsero il compito di portavoce anche della
Francia e della Russia (vi era anche la Serbia, ma questa non essendo grande potenza, viene tenuta
all’oscuro).

L’Italia aspirava
o al confine orientale, all’area di Trieste, ad avere il controllo sull’Istria, una parte
sostanziale della Dalmazia, e
o ottenere il controllo sul Trentino ma anche il Sud-Tirolo: queste richieste andavano
oltre la realtà linguistica e le cosiddette terre irredente. Come si giustificava questa
richiesta? Sulla base di considerazioni di carattere politico militare: se l’Italia avesse
avuto le concessioni sarebbe diventata la potenza egemone dell’adriatico; per ciò che
riguarda il confine settentrionale, la richiesta del Sud-Tirolo, nasceva da ragioni di
carattere militare con un confine facilmente difendibile. L’Italia applica una politica
che possiamo dire imperialista.
o Vi erano anche richieste di tipo coloniale;
o concessioni anche di tipo economico, di finanziamenti per entrare in guerra
(principalmente dalla Gran Bretagna, che poi chiederà lei stessa aiuti agli Stati Uniti).
o Ulteriore richiesta italiana è il protettorato in Albania.

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Altro elemento di ambiguità era che continuavano le trattative con gli imperi centrali, negozia con
Berlino e con Vienna, però parallelamente prosegue i negoziati con i nemici di Berlino e Vienna:
questo si “giustificava” con il sacro egoismo.
Berlino non si aspettava che l’Italia sarebbe entrata in guerra al fianco dell’Austria-Ungheria, ma ci
si aspettava che sarebbe rimasta neutrale: viene inviato a Roma l’ambasciatore tedesco Von
Buelow, sperando che l’Italia mantenesse una posizione di neutralità.
La stampa sapeva dei negoziati, e scriveva del fatto che von Buelow fosse arrivato per negoziare la
posizione di neutralità; nulla, tuttavia, si sapeva delle trattative di Salandra e Sonnino a Londra:
durano poco più di due mesi, si concludono nell’aprile 1915 con il Trattato di Londra, che stabilisce
le condizioni per l’entrata in guerra dell’Italia contro le potenze centrali.

È necessario sottolineare che nel 1914 noi abbiamo che nelle nazioni democratiche come Gran
Bretagna e Francia vi è una sostanziale unione di intenti da parte di tutti i partiti politici a sostegno
delle posizioni dei governi; questo anche in Germania, Austria-Ungheria. Tutti i partiti socialisti
condividono e si adeguano alla partecipazione al conflitto (con alcune piccole eccezioni, che sono
però gruppi e realtà esigui): cosiddetto voto favorevole ai crediti di guerra. Un forte consenso
generalizzato dell’opinione pubblica e dei partiti politici.
Questo non accade nel caso italiano: si avvia un dibattito politico molto forte e molto violento fra i
sostenitori del fatto che l’Italia dovesse entrare in guerra e chi sosteneva la neutralità; si creano i
due schieramenti degli interventisti da una parte e pacifisti da una parte:
o i pacifisti hanno uno schieramento molto ampio con il partito socialista, il mondo cattolico,
e una parte consistente dei liberali specialmente Giolitti; Giolitti rilascia una dichiarazione a
un giornale a lui vicino nella quale dichiarò che dal suo punto di vista l’Italia sarebbe dovuta
rimanere neutrale, mantenendo i negoziati con gli Imperi centrali avrebbe ottenuto una serie
di vantaggi; quindi, i neutralisti rappresentavano la maggioranza del paese;
o gli interventisti erano un insieme di personalità movimenti, non di partiti, e diversi fra loro: i
nazionalisti sono i primi a schierarsi a favore della guerra; vi erano i cosiddetti democratici,
repubblicani, socialisti riformisti, che vedevano nella guerra una guerra di liberazione
specialmente dei popoli oppressi, per cui una guerra contro l’Austria-Ungheria. Il loro
interesse era la liberazione delle terre irredente, non avevano ambizioni imperialiste. Vi
erano anche altre personalità, sindacalismo rivoluzionario che ritenevano la guerra un
grande momento di cambiamento.
L’elemento più importante fu la presa di posizione di Benito Mussolini: personalità singolare,
rivoluzionario, vicino al partito socialista fino al punto di diventare una figura di spicco del
massimalismo. Sostenitore dell’espulsione dei socialisti riformisti che avevano dato
consenso per la guerra italo-turca, aveva scalato le posizioni del partito socialista fino a
diventare direttore dell’Avanti. Allo scoppio della guerra mondiale ha una conversione:
scrive articoli critici contro la neutralità, esce dal partito socialista, e sposa la posizione degli
interventisti per cui alla guerra sarebbe susseguito un momento di cambiamento. Non si
confonde tuttavia con i nazionalisti o democratici e fonda un nuovo giornale “Il Popolo
d’Italia”.

Si sviluppa quindi un dibattito molto forte nel paese, con manifestazioni sia da parte di interventisti
e pacifisti; generalmente gli interventisti sono più organizzati e movimentano certi settori della
piccola e media borghesia, ed anche delle nuove generazioni. L’Italia sarebbe stata una grande
potenza solo se avrebbe partecipato alla guerra. Per certi settori della borghesia, si vedeva la guerra
come una possibilità per allontanare Giolitti (ricordiamo le accuse della borghesia a seguito della
Settimana Rossa).

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Tornando alle questioni politico-diplomatiche: le potenze dell’Intesa erano favorevoli alle
concessioni nei confronti dell’Italia; l’unica restia era la Russia, entrata in guerra anche per sostenere
la Serbia che a sua volta voleva ottenere uno sbocco al mare. La Russia non era quindi favorevole
alle richieste italiane nel controllo della Dalmazia ecc., ottenendo alcune limitazioni a tali richieste.
Vi era comunque l’illusione che l’ingresso dell’Italia avrebbe favorito il cambiamento degli equilibri
con una conseguente vittoria dell’Intesa.
Nel Patto di Londra troviamo tutta una serie di concessioni di carattere territoriale all’Italia, ed entro
un mese l’Italia sarebbe dovuta entrare in guerra contro gli Imperi Centrali: le concessioni
riguardavano il Trentino, il Sud-Tirolo, Trieste, Istria, costa dalmata e isole con Zara, Dodecaneso,
Valona, possibili compensi coloniali, zona di influenza nell’Impero Ottomano).
Nell’aprile del 1915 abbiamo la firma del Patto di Londra e sono solo tre le persone coinvolte:
Salandra, Sonnino e Emanuele III viene informato. Viene tenuta all’oscuro l’opinione pubblica, e
soprattutto Parlamento e Governo, creando delle conseguenti problematiche.

Quando si arriva alla fine del Patto di Londra Salandra si rende conto che c’è la mancanza della
maggioranza parlamentare favorevole alla guerra. Salandra quando si rende conto che non c’è
questa maggioranza disposta ad accettare l’ingresso in guerra italiano decide di dimettersi; questo
è il periodo in cui Giolitti ritorna, e si inizia a capire che c’erano state trattative con l’Intesa, per
evitare che l’Italia entrasse in guerra. Questo differenzia in maniera significativa l’ingresso in guerra
italiano rispetto alle altre potenze: scatta il cosiddetto maggio radioso del 1915.
Gli interventisti forzano la mano per spingere il paese ad entrare in guerra: rilevante è il ruolo di
D’Annunzio, perché già nel 1914 si dichiara a favore della guerra con l’Intesa. Tiene un discorso a
Quarto, in cui lancia una serie di ingiurie nei confronti degli imperi centrali e chiede a gran voce che
l’Italia entri in guerra. Contemporaneamente c’è la crisi di governo, non si sanno i termini del Patto
di Londra, e si ritiene che Giolitti formi un governo per non entrare in guerra: tuttavia, Salandra fa
presente a Giolitti dei termini del Patto di Londra e del fatto che anche il re abbia dato il suo
consenso. Quindi, andare contro il Patto di Londra avrebbe significato andare contro il re Emanuele
III, mettendo in discussione la figura del monarca.

In questo caso la differenza la fecero D’Annunzio e gli interventisti: D’Annunzio si reca a Roma
accolto da 100.000 mila persone, e fa un discorso incitando alla ribellione contro il Parlamento. Nel
giro di 24 ore a Roma e altre città italiane si hanno manifestazioni controllate dagli interventisti e i
neutralisti si presentano ma vengono malmenati, si tenta un assalto alla casa di Giolitti, e si tenta
l’assalto al Parlamento. Gli interventisti, quindi, riescono a controllare la piazza: questo
probabilmente spaventa anche i neutralisti, sostenendo che questo fosse il prodromo del 1922.

Giolitti decide di non accettare l’ipotesi di diventare Ministro del Consiglio, e la decisione passa ad
Emanuele III: viene richiamato Salandra al Parlamento, che ottiene la fiducia per far entrare l’Italia
nel conflitto mondiale. Perché questo accade?
o I neutralisti sono divisi;
o i socialisti non controllano le piazze mentre è la minoranza, organizzata, a sovrastare la
maggioranza;
o Tutto sommato i deputati giolittiani comprendono che c’è in gioco il futuro della monarchia,
che era favorevole all’entrata in guerra; non erano contrari alla guerra per principio ma si
aveva il timore per il futuro della monarchia.

Salandra avverte il governo, si denuncia il Trattato della Triplice Alleanza, e tra il 23 e 24 maggio del
1915 l’Italia dichiara guerra all’Austria-Ungheria, entrando nel conflitto mondiale.

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Già qui l’Italia non rispetta uno degli accordi del Patto di Londra: entra in guerra inizialmente solo
contro l’Austria-Ungheria, e solo successivamente contro la Germania.
L’immagine dell’Italia sarà definita quindi come inaffidabile.

L’Italia in guerra fino a Caporetto

Non dedichiamo troppo tempo all’Italia nel conflitto dal punto di vista militare.

La guerra d’Italia diventa ben presto di posizione, una guerra fra Italia e Austria-Ungheria (come
detto solo nel 1916 si dichiara guerra alla Germania).
Nel 1916 inoltre abbiamo un cambiamento nel governo, dal governo Salandra al governo Boselli.

C’è uno scarso coordinamento militare fra gli alleati, fra italiani e gli anglo-francesi che vedono la
guerra italiana come una sorta di guerra autonoma contro l’impero asburgico. Alla fin dei conti si
ritiene che l’Italia non si impegni e che il nemico austro-ungarico sia meno forte, e quello
fondamentale sia quello tedesco.
La visione e percezione che inglesi e francesi hanno che la guerra italiana sia una guerra minore, che
non stanno facendo grandi sforzi: questo avrà un peso successivamente.

Altro elemento che non va trascurato è la capacità del governo Salandra e poi Boselli di
propagandare lo sforzo militare.

Inoltre, l’Italia viene esclusa da accordi segreti tra le potenze circa l’Impero ottomano (Siria e Libano
alla Francia, Iraq e Palestina alla Gran Bretagna). Solo nel 1917 con gli accordi di San Giovanni di
Moriana l’Italia ottiene la promessa di una zona di influenza nella penisola anatolica; ma l’accordo
non viene firmato dalla Russia, motivazione che verrà utilizzata per affermare che gli accordi non
fossero pienamente validi.

Dopo lo sfondamento di Caporetto l’Italia subisce una serie di perdite (ci torneremo più avanti con
maggiore attenzione).

La svolta del 1917: l’intervento in guerra degli Stati Uniti e la Rivoluzione russa

Il 1917 è un momento di svolta non solo nella guerra mondiale ma anche nelle relazioni
internazionali; ci sono due ragioni fondamentali:

§ Ingresso in guerra degli Stati Uniti nell’aprile del 1917; entrano in guerra, sinteticamente,
per:
o la guerra sottomarina a cui la Germania punta, che affonda sottomarini neutrali fa cui
quelli americani e uccisione di civili americani; inoltre, si affondano sottomarini
americani che si presume portino rinforzi alla Gran Bretagna
o Secondariamente per il telegramma Zimmermann, con le proposte della Germania al
governo messicano per spingerlo ad entrare in guerra contro gli Stati Uniti;
o Sia la guerra sottomarina sia il telegramma spinge il Presidente Wilson a dichiarare
guerra alla Germania e nell’aprile 1917 gli Stati Uniti entrano in guerra come potenza
associata e non alleati, con obiettivi propri. Abbiamo i 14 punti di Wilson, in cui si
evidenzia che gli USA entrano in guerra per creare un nuovo ordine internazionale

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(principio di autodeterminazione dei popoli, principio di nazionalità, libertà dei mari, fine
della diplomazia segreta, ecc.).

§ Due rivoluzioni russe, febbraio-marzo e ottobre-novembre:


o Si ha il crollo della Russia: dal governo democratico alla rivoluzione bolscevica;
o Nel 1918 abbiamo la pace di Brest Litovsk fra il governo bolscevico e gli imperi
centrali.

Dunque, nel 1917 ci troviamo davanti a una nuova concezione del mondo e delle relazioni
internazionali alla fine del conflitto: l’Italia non comprenderà pienamente questi cambiamenti.

10/03/2021

La posizione italiana da Caporetto alla vigilia della vittoria

Chiudiamo con il tema che abbiamo affrontato ieri: la posizione italiana da Caporetto fino alla fine
del conflitto. Caporetto rappresenta un momento difficile quanto improntante nelle vicende
belliche italiane. Non c’è molto da dire sugli aspetti militari, di cui tutti siamo a conoscenza: le unità
tedesche lanciano un attacco e la difesa non è molto forte. Il fronte in qualche modo verrà
stabilizzato, ma una parte della pianura veneta verrà occupata (giungono quasi a Venezia e alle porte
di Treviso).

Ciò che ci interessa è valutare le conseguenze politiche sia sul piano interno che internazionale:

§ La crisi militare, dal punto di vista interno, spinge ad un ulteriore cambio nel governo da
Boselli a Vittorio Emanuele Orlando: mantiene al ministero degli AA.EE Sidney Sonnino.
L’Italia chiede il sostegno degli alleati, anglo-francesi, di inviare unità a sostegno del fronte
italiano: gli inglesi e francesi si dimostrano disponibili ad alcune condizioni. Abbiamo
un’importante conferenza che vede riuniti Orlando e Sonnino e dall’altra il primo ministro
britannico e francese, affiancati dai responsabili militari: prima di incontrarsi con gli italiani i
francesi e gli inglesi si incontrano, e questa Conferenza sarà molto complicata e difficile per
gli italiani. Gli alleati infatti sostengono che sono pronti a far giungere dei rinforzi ma a una
condizione: che venga esautorato il generale a capo delle forze militari Cadorna, ed anche
Porro. Gli italiani sono costretti ad accettare; successivamente a questo incontro ci si
incontra con Vittorio Emanuele III: Cadorna viene sostituito con Armando Diaz, il cui primo
obiettivo è ristabilire il morale delle forze armate e ristrutturare la difesa.

§ Chi ha fatto qualche lettura avrà presente come Caporetto sia stata rappresentata nella
letteratura e nel cinema con un’immagine negativa; ciò che resta nella storiografia inglese e
francese del fronte italiano è la disfatta di Caporetto. Il singolo militare italiano sarebbe
anche un buon combattente se fosse ben guidato: critica molto forte per gli alti gradi, che
hanno scarsa capacità di guidare le truppe e di motivarle. Tuttavia, la visione della posizione
internazionale, secondo il professore, è molto diversa: dal punto di vista politico è diversa,
un po’ più complessa: Caporetto è contemporanea di altri eventi, come ad esempio il crollo
della Russia.

Non dimentichiamo che questo significa l’uscita della Russia dal conflitto: Lenin e Trotsky partono
con l’obiettivo fondamentale della pace, e viene firmato un accordo di pace con l’Austria-Ungheria

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e Germania, con l’uscita dalla guerra della Russia. I tedeschi, di conseguenza, sposteranno le loro
truppe al fronte anglo-francese.
L’Italia alla fine dei conti quindi resiste, non chiede una pace separata, rimane al fianco degli alleati,
e il fronte interno resiste più di quanto ci si attendesse: vi è una volontà di ripresa, anche dopo
Caporetto; si respinge un’offensiva austro-ungarica nel 1918. Qual è il contributo degli anglo-
francesi? Spostano alcune divisioni lungo il fronte, ma non è ciò che cambia gli equilibri delle forze.

Altro elemento importante è il tentativo degli alleati di organizzare meglio la strategia, dopo
Caporetto: l’Italia viene coinvolta nella pianificazione strategica, che ha implicazioni di tipo politico.
Si affrontano anche questioni politiche, come ad esempio, quale atteggiamento avere nei confronti
della Russia: sostengono anche posizioni differenti, fra cui Sonnino afferma di non sostenere il
governo bolscevico.
Sebbene vi siano tentativi dell’Austria-Ungheria di paci separate, senza la Germania, questi tentativi
falliscono, e l’intervento degli Stati Uniti gioca in qualche modo a favore degli italiani nei 14 punti di
Wilson: vengono meno le ipotesi di pace separata con Vienna.
Si comprende l’importanza della propaganda: da un lato di riuscire a imporre la guerra italiana alle
opinioni pubbliche italiane e degli alleati, e dall’altro lato di sfruttare l’elemento propagandistico
contro l’impero asburgico.

Il Patto di Londra diventa pubblico, con il governo bolscevico che rende pubblici tutti i trattati segreti
elaborati dall’Intesa (dal punto di vista bolscevico per dimostrare come fosse una guerra fra
imperialisti): il Patto di Londra mostra quindi anche gli interessi imperialistici dell’Italia. Questo crea
una reazione negativa sia dal governo serbo, sia dai gruppi sloveni e croati i quali puntano alla
creazione di uno stato jugoslavo: se Trieste interessa all’Italia, Trieste interessa anche agli sloveni e
croati, per cui c’è un ovvio conflitto sulla base di quello che l’Italia ottiene con il Patto di Londra e il
diritto all’autodeterminazione dei popoli degli sloveni e croati.

Sonnino in un primo momento ignora questo aspetto: i Trattati si rispettano, per cui gli inglesi e
francesi sono tenuti a tener conto di questo accordo, e gli italiani devono ottenere le concessioni.
Ma questo si trova in contraddizione in realtà con i 14 punti di Wilson: gli Stati Uniti non hanno
firmato il Patto di Londra, e sarebbe inoltre in contrasto con alcuni punti, come ad esempio
l’autodeterminazione dei popoli. Inizialmente i rapporti degli Stati Uniti con l’Italia sono buoni, e gli
stessi Stati Uniti riconoscono che l’Italia sia una delle potenze maggiori, per cui la questione sarà
rinviata alla conferenza di pace.

È necessario ricordare che fra il 1917 e 1918 il governo di Wilson mette su una commissione il cui
compito è prendere in considerazione tutti i problemi europei, per risolvere anche nel pieno dei
principi di autodeterminazione dei popoli: i lavori di questa commissione sono in realtà molto a
sfavore dell’Italia.

Dalla pace di Versailles al regime fascista


I primi aspetti della politica estera fascista: procediamo rapidamente su questo periodo per
concentrarci sugli anni dell’Italia Repubblicana.

Venendo alla questione di ciò che accade alla fine del primo conflitto mondiale, si conclude
nell’autunno del 1918: abbiamo la vittoria alleata contro l’impero ottomano, e il primo paese a
chiedere la pace è la Turchia. Da questo consegue lo sgretolamento dell’Impero asburgico, e delle

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forze armate dell’Impero, quindi il crollo dell’Austria-Ungheria: l’Italia coglie l’occasione per
occupare più territorio possibile, anche se appunto erano forze armate in sgretolamento. Quindi,
l’Austria-Ungheria non sarà più il nemico, ma lo sarà un nuovo stato Jugoslavo, per cui è necessario
occupare più territorio possibile: le truppe italiane penetrano molto velocemente, penetrano in
Trentino, raggiungono il Tirolo meridionale, e prendono il controllo dell’Istria e di una parte
sostanziale della Costa Dalmata.

Quali sono gli obiettivi di politica estera, di Orlando e Sonnino: la questione di Fiume: l’Italia chiede
il rispetto del Patto di Londra, ma in quest’ultimo non era stata inserita Fiume, perché quando il
Patto viene siglato l’idea di Sonnino è che ci sarà ancora alla fine della guerra l’Impero asburgico.
Cosa accade a Fiume alla fine delle ostilità? È una città in cui vi è una maggioranza a lingua italiana,
mentre tutto il territorio vicino è a maggioranza slava: la comunità italiana di Fiume rappresentava
la comunità più ricca, la borghesia commerciale, particolarmente influente, per cui richiedono
l’annessione all’Italia. Vi è ovviamente una situazione di tensione con la minoranza slava e con gli
slavi che abitano subito fuori di Fiume: ci sono pressioni sia da chi abita a Fiume sia dall’opinione
pubblica italiana, che sostengono che Fiume debba essere parte dell’Italia.

Gli alleati però sono preoccupati dalle richieste italiane, gli Stati Uniti pensano siano richieste
esagerate, mentre gli anglo-francesi sono pronti ad accettare il rispetto del Patto di Londra: questo
spinge gli alleati a far arrivare truppe a Fiume.
L’Italia arriva alla Conferenza di Pace con aspirazioni sufficientemente contradditorie: vogliono ciò
che era stato accordato con il Patto di Londra, ma allo stesso tempo richiede Fiume sulla base del
principio di nazionalità e di autodeterminazione dei popoli, quindi due richieste contradditorie.
L’Italia formalmente gode di un grande vantaggio: essere considerata una grande potenza.

Si arriva alla Conferenza di Pace di Parigi: il problema italiano viene considerato un problema minore
e secondario, poiché vi sono problemi più seri come un trattato di pace con la Germania o evitare
che il bolscevismo di propaghi in Europa.
La prima struttura che viene creata è il Council of Ten: capi di stato di governo e ministri degli esteri
di USA, Gran Bretagna, Francia, Italia e Giappone. Ma da Council of Ten si passa al Council of Four,
che decidono il futuro, delle vicende internazionali: Wilson, Lloyd George, Clemenceau, Vittorio
Emanuele Orlando.

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La politica estera italiana e la questione adriatica dalla conferenza della pace, 1919, al Trattato
di Rapallo, 1920

§ Gli obiettivi degli Stati Uniti sono: il trattato di pace con la Germania, l’applicazione dei 14
punti e soprattutto, il più importante, la creazione della Società delle Nazioni.

§ Per quanto riguarda la Gran Bretagna: il trattato di pace con la Germania, ed il rafforzamento
dell’Impero (controllo colonie tedesche e spartizione del Medio Oriente).

§ Per ciò che riguarda la Francia: il trattato di pace con la Germania attraverso anche punizioni
e riparazioni di tipo economico; ed ancora la questione dell’influenza nell’area danubiano
balcanica in funzione tedesca.

§ Guardando agli obiettivi italiani sembrano minori, e strettamente legati all’Italia e al passato:
vantaggi del Patto di Londra e Fiume.
o Questo porterà a uno scontro molto presto con le altre delegazioni, perché chi è
fortemente ostile alle posizioni italiane è Wilson che vede positivamente il nuovo
stato Jugoslavo ai sensi del principio di autodeterminazione. Quindi no ad una
Fiume italiana.
Sappiamo che lo stesso Wilson in realtà non sempre applicherà il principio di
autodeterminazione: accetta senza battere ciglio la richiesta italiana del confine
del Brennero, che implicava il passaggio del Sud Tirolo meridionale alla sovranità
italiana, che non è appunto a maggioranza italiana.
o Inglesi e francesi, come abbiamo sottolineato, accettano formalmente di dover
rispettare il Patto di Londra, ma non accettano la richiesta di Fiume.

L’esito di questo è la crisi della primavera del 1919, con uno scontro fra la delegazione italiana e la
delegazione americana: Wilson fa un errore, convinto di godere del consenso degli italiani,
appellandosi in maniera diretta al popolo italiano. L’atteggiamento dell’opinione pubblica italiana è
negativo così come quello di Sonnino: si diffonde un mito, sfruttato dai nazionalisti e poi
successivamente dal fascismo, della vittoria mutilata.
Ma anche la delegazione italiana commette un errore: abbandona la Conferenza di Pace di Parigi:
questo perché gli altri tre continuano i lavori e proseguono con la versione finale del trattato con la
Germania. Quindi, a maggio Orlando e Sonnino ritornano a Parigi, ma si trovano davanti ad una
situazione di freddezza con una conseguenza posizione italiana più debole.
Gli ambienti nazionalisti decidono di agire, rivolgendosi a D’Annunzio, e marciano verso Fiume:
Fiume viene occupata, con il sostegno anche della popolazione italiana locale. Qual è la valutazione
dei danni? Il governo italiano è talmente debole che non controlla neanche le proprie forze armate,
oppure, è un gioco delle parti, nel senso che il governo ha lasciato fare perché intanto ha il controllo
di Fiume (un accordo implicito non scritto).
Questo confermerà l’opinione e l’immagine italiana a livello internazionale: l’Italia è inaffidabile.

Orlando e Sonnino sono costretti a dare le dimissioni: nasce un governo guidato da F.S. Nitti. Un
uomo di politica interna, attento alla questione di fiume e del confine ma partendo dal fatto che si
debba negoziare, andando quindi contro le opinioni degli interventisti che avrebbe favorito un
rafforzamento delle tensioni e del mito della vittoria mutilata.

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15/03/2021

La politica estera italiana e la questione adriatica dalla conferenza della pace (1919) al
Trattato di Rapallo (1920)

Ci eravamo interrotti all’inizio del 1919, alla Conferenza di Versailles: come affermato, la
delegazione italiana di Sonnino e Orlando si è trovata a dover affrontare l’atteggiamento negativo
della delegazione americana di Wilson circa la questione adriatica (in particolare della richiesta
italiana circa il confine che avrebbe consentito all’Italia di acquisire la penisola istriana, parte della
Dalmazia compresa Fiume e parte della costa dalmata). Le richieste italiane si ponevano così in
contraddizione secondo Wilson con i suoi 14 punti, basati sul principio di nazionalità e
autodeterminazione dei popoli.

La delegazione italiana avanzava da un lato la richiesta del Patto di Londra su una logica di politica
di potenza, di rispetto del trattato che tuttavia non era stato siglato dagli USA, e dall’altro lato
richiede Fiume sulla base del principio di autodeterminazione dei popoli.

Gli inglesi e francesi da un lato sostenevano che erano legati al rispetto del trattato, ma suggerivano
all’Italia un atteggiamento prudente, cauto, un compresso (anch’essi sottolineavano la
contraddizione delle due richieste).

Abbiamo già sottolineato come nell’aprile del 1919 Wilson lancia un appello al popolo italiano,
richiedendo un atteggiamento razionale cercando in qualche modo di scavalcare il governo; la
delegazione italiana per protesta lascia la Conferenza della pace, pensando che i lavori si sarebbero
interrotti: in realtà i lavori continuano, che avrebbero condotto alla firma del Trattato di Pace con la
Repubblica di Weimar. Gli alleati puntarono alla spartizione dell’impero tedesco, senza la presenza
italiana.

La delegazione italiana torna alla Conferenza di Parigi, ma si riconosce come sia una posizione ancora
più debole: Orlando e Sonnino sono costretti a dare le dimissioni e nasce un nuovo governo guidato
da F.S. Nitti.

L’Italia era un paese allora condizionato dalla forte mancanza di risorse energetiche: che fosse la
Gran Bretagna, o altro Paese, l’Italia dipendeva da altre potenze.
L’Italia aveva inoltre necessità di finanziamenti per passare da industrie di guerra a industrie di pace.
Emerge una nuova personalità: Alcide de Gasperi, diventato cittadino italiano che aderisce al nuovo
partito popolare, quello cattolico.
Di fronte a tutti questi problemi, la politica estera era importante ma era necessario concentrarsi
anche sulle questioni interne.

Non dimentichiamo che questo è anche il periodo dell’impresa di Fiume, quindi D’Annunzio aveva
compiuto questa marcia e aveva occupato Fiume, costringendo le unità militari stranieri presenti a
Fiume ad abbandonare il territorio ed anche le unità italiane che erano fedeli al governo.
Secondo le potenze alleate, come sottolineato, questo dimostrava come il governo Nitti fosse
debole: Wilson e l’amministrazione americana sospettavano fosse un gioco delle parti, ovvero che
il governo avesse chiuso un occhio rispetto all’azione d’dannunziana. Ma in realtà, sappiamo che
D’Annunzio era in forte contrapposizione con il governo: tra il 1919 e il 1920 Nitti, inoltre, si trovava
di fronte a nuovi problemi sociali, scioperi ecc. che definiamo come il biennio rosso.

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Andando avanti, tra la fine del 1919 e gli inizi del 1920, le discussioni circa la questione adriatica
continuarono senza risultato.
Wilson, inoltre, ritenne di lasciare l’Europa, tornare agli Stati Uniti, anche perché iniziava la
campagna elettorale per le nuove elezioni (Wilson non avrebbe partecipato, aveva già effettuato
due mandati, ma doveva sostenere il candidato repubblicano).
La posizione di Wilson è in realtà indebolita: si pensa che gli Stati Uniti non abbiano ottenuto molto
dall’entrata in guerra, o che i 14 punti siano stati rispettati.
Per Wilson l’interesse principale è la Società delle Nazioni.

Il suggerimento che emerse fu che la questione adriatica dovesse risolversi in maniera bilaterale fra
Italia e Jugoslavia. Queste trattative in realtà non procedevano, anche perché da parte degli
jugoslavi c’erano una serie di richieste che puntavano all’ipotesi di sostegno americano, che gli Stati
Uniti fossero favorevoli alle posizioni di Belgrado.

Vi era un’ulteriore tensione creata dalla questione di Fiume, la quale era sottoposta a un blocco da
parte italiana, per cui il governo Nitti era preoccupato.
Nitti fu costretto a dare le dimissioni, e si ebbe un ritorno al governo di Giolitti, che come ricordiamo
non era amato dagli interventisti. Ma, i liberali ritennero che questa fosse l’unica soluzione e si
sperava che fosse in grado di risolvere specialmente le questioni interne.

Per il ministero degli AA.EE fu nominato Carlo Sforza: ci limitiamo per ora ad alcune informazioni di
carattere biografico. Era nato in una piccola famiglia di nobiltà, nato nel 1872, con una carriera
diplomatica in cui era stato a Pechino, a Londra, quindi con esperienza in sedi abbastanza
importanti; con la Prima guerra mondiale venne nominato come Rappresentante italiano presso il
governo serbo in esilio, per cui aveva coltivato buoni rapporti con il governo serbo in esilio;
nominato Alto Commissario Italiano a Costantinopoli, occupata dalle forze alleate; aveva un
atteggiamento scettico nei confronti della creazione della Grande Grecia.
Aveva quindi buoni legami politici, un diplomatico di carriera ma anche uomo politico legato agli
ambienti giolittiani, e ad un liberalismo progressista in cui Sforza si riconosceva.

La questione adriatica gli venne affidata: si ha una trattativa tra una delegazione italiana e jugoslava
che trovò la conclusione nel novembre del 1920 con il Trattato di Rapallo che regolava in maniera
apparentemente definitiva la questione adriatica. Come si arriva?
È necessario ricordare che gli Stati Uniti non prendono parte alla Società delle Nazioni, a seguito
della sconfitta democratica alle elezioni del 1920, con un ritorno all’isolazionismo, tanto che
stringerà più avanti un accordo con la Germania.
C’è un rigetto del trattato di Versailles; ed inoltre, la Jugoslavia comprende di non avere più il forte
sostegno da parte americana.
Quindi, abbiamo allora l’interesse inglese e francese a gestire il sistema di Versailles e la Società
delle Nazioni: data la situazione americana l’Italia doveva essere coinvolta nel sistema, perciò vi era
il favore nei confronti della rapida soluzione della questione adriatica.

Allora, evidenziamo che nel 1920 l’Italia è formalmente riconosciuta come grande potenza europea.
A gestire le questioni europee erano rimasti in tre: inglesi, francesi e italiani (la Germania viene
esclusa).

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Questo ci spiega come mai si giunge ad una soluzione abbastanza rapida della questione adriatica
con il Trattato di Rapallo: l’Italia rinunciava ad alcune cose che erano comprese nel Patto di Londra,
ma ne acquisiva altre.

Quali sono i caratteri del Trattato di Rapallo, siglato nel 12 novembre del 1920:
§ L’Italia ottiene il confine del Monte Nevoso;
§ Rinuncia alla Dalmazia ad eccezione di un’enclave a Zara;
§ Fiume viene creata come città libera, non sotto controllo internazionale ma contigua al
territorio italiano.

Quali erano gli sviluppi e le premesse della politica di Sforza:


§ L’Italia doveva puntare ad una politica di amicizia con la Jugoslavia, e non di contrapposizione
come sosteneva Sonnino;
§ Mantenendo anche rapporti con la leadership serba, che lui conosceva bene, si poteva
esercitare un’influenza nell’area danubiano-balcanica;
§ E dall’altro lato rapporti positivi con Gran Bretagna e Francia.

Questo implicò anche una scelta di politica interna con un ultimatum a D’Annunzio di ritirarsi da
Fiume; quest’ultimo rifiuta e nel 7 dicembre del 1920 intervengono le truppe italiane e la flotta
attaccando Fiume. D’annunzio si arrende a ha termine la Reggenza del Carnaro.
Questa questione sarà ripresa dal fascismo, a sostegno del mito della vittoria mutilata.

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La politica dell’Italia liberale nel contesto del sistema di Versailles (1919-
1922)
A differenza di quanto sostenuto dalla storiografia internazionale l’Italia non si occupa solo della
questione adriatica. La storiografica internazionale ha sempre trascurato l’Italia, dando come
presupposto che l’Italia e i governi italiani si siano occupati solo della questione adriatica.
In realtà, lo stesso professore ha promosso un progetto di ricerca che ha dato vita al libro “Italy in
the New International Order” dando una nuova visione di ciò di cui si è occupata l’Italia, non solo
della questione adriatica.

Bisogna ristabilire la realtà storica degli eventi: la diplomazia italiana si occupa di altre questioni, è
pur tuttavia non svolgendo lo stesso ruolo degli inglesi e francesi. Quali sono le caratteristiche ed
elementi più importanti?
§ Mantenimento di buoni rapporti con la Gran Bretagna: un elemento costante, le cui ragioni
risiedono nel fatto che la Gran Bretagna sia l’unica e vera potenza globale.

§ Quanto alla Francia i rapporti non sono sempre buoni: questo perché uno degli obiettivi
francesi è esercitare la propria influenza nell’area di interesse anche italiana, ovvero
nell’area danubiano-balcanica;
o L’obiettivo francese era creare un cordone sanitario nei confronti della rinascita
tedesca ma anche della Russia bolscevica, creando stati che si oppongano al
movimento comunista e alla rinascita tedesca: questi paesi si erano allineati alle
posizioni francesi; c’è quindi una sostanziale rivalità fra Italia e Francia, poiché l’Italia
vuole anch’essa l’influenza di quest’area;

§ Infatti, l’Italia aveva tendenzialmente buoni rapporti con l’Ungheria, a sostegno del
revisionismo ungherese in funzione anti-jugoslava; questi rapporti si rafforzeranno con il
fascismo;

§ Buoni rapporti con la Polonia e la Romania, ma freddezza con la Cecoslovacchia.


o Nei confronti della Polonia si sfruttano caratteristiche di tipo culturale, difatti la
Polonia era vicino al cattolicesimo; i rapporti con la Francia e la Polonia sono in realtà
più stretti con trattati di alleanza e rapporti di natura militare.

§ Atteggiamento non ostile verso la Germania: questo differenzia l’Italia dalla Francia; l’Italia
ritiene ad esempio, con il governo Nitti, che la politica delle riparazioni non sia positiva, ma
che alla fin dei conti la Germania e l’economia tedesca siano importanti per la ripresa
europea; per cui l’atteggiamento sul piano militare deve essere di controllo, ma sul piano
economico deve essere di ripresa per far marciare l’economia del continente.
o L’atteggiamento francese è invece completamente ostile;
o Questo invece favorisce l’ulteriore avvicinamento italiano alla Gran Bretagna;

§ Ulteriore questione che va ricordata è che l’Italia svolge una funzione di protettorato nei
confronti dell’Austria: l’Italia viene vista come la nazione vicina più potente che può dare una
mano alla leadership austriaca;
o esiste anche un’altra linea di tendenza in Austria, con l’opzione dell’essere inglobata
in Germania, ma ricordiamo che il Trattato di Versailles vietava quest’annessione;
o dunque, la linea di tendenza era di buoni rapporti con l’Italia;
31
§ Abbiamo inoltre un ruolo importante delle missioni militari, per ciò che riguardava il confine
della Jugoslavia e Austria si favoriva quest’ultima (che spiega anche la linea di tendenza
austriaca nei confronti italiani); nei territori fra Polonia e Germania l’atteggiamento era di
neutralità;

§ Ultima questione era l’attenzione verso la nuova repubblica turca di Kemal: l’Italia aveva
occupato militarmente parte dell’Anatolia, ma si ritira molto rapidamente perché capisce
che c’è un nazionalismo turco molto forte, per cui si ritira dalla guerra tra la Grecia e la
Turchia.
o La posizione italiana è neutrale nel conflitto, comprendendo che Kemal sia più forte
rispetto alla Grecia (uno dei pochi elementi di contrasto con la Gran Bretagna, che non
condivide la neutralità).

16/03/2021

La politica estera del fascismo dal 1922 agli inizi degli anni ‘30
Accenniamo una questione, una premessa: esiste una politica estera italiana che è specificatamente
legata al fascismo? Le interpretazioni sono diverse, ma il professore ritiene che tutto sommato non
esista una politica estera del fascismo, forse solo nella parte conclusiva del ‘34/35. Riprende in larga
misura le idee, gli ideali e programmi del nazionalismo per difendere gli interessi nazionali.
Il fascismo in linea di massima, fino al rapporto con la Germania degli anni ’30, assume la politica
del nazionalismo e la trasforma nei caratteri fondamentali della politica del regime; la politica estera
del fascismo ha una serie di legami con la politica estera dell’Italia liberale.
Gli unici cambiamenti che possiamo individuare li situiamo a metà degli anni ’30: Mussolini tenta di
creare un regime totalitario, mentre fino agli anni ’30 prevaleva una diarchia, con la monarchia e la
figura del re che persiste (e Mussolini è a capo del governo, mentre il Re è il capo dello Stato).
Mussolini non riuscirà a creare uno stato totalitario come Hitler: in Italia c’è sì il fascismo, ma c’è
ancora la monarchia, l’aspetto cattolico, che allontanano Mussolini dalla creazione di uno stato
totalitario.
Sarà solo nel giugno del 1946 che finirà l’istituzione monarchica con la nascita dell’Italia
Repubblicana.

Esiste una politica estera del fascismo?


o In realtà la politica estera del Fascismo riprende in gran parte i programmi e gli ideali
del nazionalismo

Vi è una “fascistizzazione” della carriera diplomatica?


o Sì, ma solo in parte e avviene gradualmente tramite il passaggio dalla carriera
consolare (questioni amministrative e non politiche) a quella diplomatica: ad
esempio negli USA e in Francia vi sono alti numeri di consoli rispetto ad ambasciatori
o Trasformazione di carattere sociale, in quanto spesso gli ambasciatori erano nobili o
da famiglie dell’alta borghesia, mentre chi era inserito nella carriera consolare veniva
dalla piccola-media borghesia che non aveva le possibilità economiche di svolgere un
ruolo compensando le spese con le proprie disponibilità economiche

32
o Gran parte dei diplomatici erano “nazionalisti” e fedeli alla monarchia (con tanto di
giuramento e sostegno alla monarchia alla caduta del regime), erano perlopiù fascisti
per necessità e “convenienza” per cui molti di essi erano parte di alcune strutture
parallele del regime fascista
§ In fin dei conti si ritenne che il Fascismo fosse stato in grado di rispondere ad
alcune esigenze e fare determinati interessi dello Stato italiano (carattere
nazionalista comune anche alla precedente Italia liberale)

§ L’importanza della figura del “Segretario generale”, un diplomatico di carriera, figura che
esiste solo per il MAE (esiste tuttora)
o Mantiene il rapporto tra la diplomazia e la politica
o Mussolini, che assume la carica di Ministro degli Affari Esteri, la abolisce e verrà
ripristinata solo dopo la caduta del Fascismo l’8 settembre del 1943
o Ruolo di Salvatore Contarini, già Segretario generale del MAE negli anni ’20, che viene
comunque mantenuto con tale figura finché non va in pensione; dopo il suo
pensionamento tale carica verrà abolita

§ Questione se la politica estera di Mussolini sia “revisionista” oppure no


o Politica estere revisionista: politica estera che contesti il sistema creato a Versailles,
che rispondeva agli interessi particolari dei vincitori europei
o Dal 1919 si parte dalla convinzione che vi sia una contrapposizione tra il blocco
guidato dalla Francia (che includeva i nuovi stati nati da Versailles) e i paesi
revisionisti come la Germani e paesi puniti dal sistema di Versailles, come l’Ungheria
(penalizzato dal Trattato del Trianon e perdita della Transilvania a favore della
Romania)
o Mussolini “revisionista” spesso a parole e nella propaganda, ma per ragioni di politica
interna: attraverso la strumentalizzazione della propaganda riprende ad uso e
consumo dell’opinione pubblica il mito della “vittoria mutilata”, un chiaro
o A Mussolini, tuttavia, tornava utile il sistema di Versailles in quanto riconosceva
l’Italia come grande potenza europea necessaria al mantenimento degli equilibri di
potenza (critica all’Italia liberale incapace di aver portato l’Italia a tale risultato)
o Uno dei pochi episodi di revisionismo è l’incidente di Corfù nel 1923
§ Missione Tellini subisce un’imboscata nella quale vennero trucidati, zone
difficilmente controllabili
§ Ultimatum alla Grecia, in quanto si ritenevano colpevoli dei gruppi
paramilitari greci: consegna dei colpevoli, rimborsi economici, onori alla
bandiera italiana e richieste che difficilmente sarebbero state accolte da uno
Stato sovrano
§ Minaccia di occupazione del territorio greco
§ Invio di navi militari italiane e occupazione violenta di Corfù, con vittime
anche tra i civili
§ Risposta della comunità internazionale tra la sorpresa e l’irritazione di un tale
gesto da parte di un membro della SdN nei confronti di un altro membro della
SdN
§ In questo caso le grandi potenze europee assunsero un atteggiamento più
blando, invitando Italia e Grecia a risolvere la questione in maniera
amichevole, grazie anche all’intercessione di UK e Francia (dimostrazione
dell’importanza del ruolo italiano in Europa)

33
o Altro esempio di revisionismo è la politica nei confronti della Jugoslavia, anche se con
il Patto di Roma del 1924 ottiene la sovranità su Fiume, ma tra gli anni ’20 e ’30
sostiene il movimento separatista croato degli Ustascia
§ Si parte dal presupposto che sia uno Stato artificiale creato da inglesi e
francesi durante i trattati di pace, parzialmente vero viste le forti tensioni
interne fra le varie componenti nazionali
§ Presenza di gruppi nazionalisti croati, gli Ustascia che invocavano
l’indipendenza, sostenuto dai servizi segreti del regime italiano tramite la
messa a disposizione di campi di addestramento, formazione militare e di
armi

§ Tuttavia, l’Italia fascista è pienamente inserita nel sistema di Versailles che consente all’Italia
di essere una “grande potenza”
o Italia potenza garante con la Gran Bretagna degli accordi di Locarno,
apparentemente dimostrando tale ruolo e continuando la tradizionale positiva
collaborazione con la Gran Bretagna
§ Molti leader conservatori esprimono pareri positivi nei confronti del
Fascismo, riuscendo a sconfiggere la minaccia comunista, pur essendo poco
inclini ad accettare il fascismo sul suolo inglese
§ Contrariamente alla posizione della Francia, che non vede di buon occhio il
fascismo, avendo leader politici radicali e legati alla massoneria che li
indispettì non appena Mussoli si riversò contro la massoneria italiana
o Italia sigla nel 1928 il Patto Briand-Kellogg che “pone fuori la legge di guerra”
§ Accordo in base al quale gli Stati rinunciavano all’uso della guerra come
strumento di risoluzione delle controversie internazionali, in contraddizione
con l’idea della propaganda fascista di formare dei “guerrieri italiani”
§ Presumibilmente firmato più perché rientra nel quadro del sistema di
Versailles, pur non condividendo, ma per dimostrare di essere inserito in tale
sistema multilaterale
o Italia partecipa attivamente alla Società delle Nazioni ed è un punto di riferimento
delle medie potenze
§ Non un membro passivo, ma anzi molto attiva pur non essendo una grande
potenza come UK o Francia
§ Non eccessiva contraddizione tra l’essere un regime autoritario e
l’appartenenza alla SdN, molti paesi nella medesima condizione
§ Italia preme per ottenere la sede di varie organizzazioni di cooperazione
culturale (es. cinema)
§ In realtà obbiettivi del Fascismo nel partecipare alla SdN riguardavano
perlopiù la presenza (“meglio esserci che non esserci”) e il riconoscimento di
status di grande potenza (più uno strumento che un fine)
o Tra 1929-1932, Dino Grandi alla guida degli Affari Esteri (lasciata da Mussolini)
sviluppa una “politica societaria”
§ Personalità singolare: da giovane fu repubblicano, partecipò alla Prima
Guerra e fu interventista, divenne fascista e leader di una delle squadre
emiliane (incarnazione del fascismo più violento), evolvendo poi e diventando
monarchico

34
§ Una volta nominato interpreta l’animo moderato del Fascismo: Italia deve far
parte della SdN, dialogare con le potenze
§ Nel luglio 1943 fu artefice della mozione che chiese le dimissioni di Mussolini
dalla carica di governo (rifugiandosi in Sud America scampando eventuali
ripercussioni, per poi tornare dopo la guerra in Italia)
o Italia ostile all’Anschluss e sostiene l’indipendenza dell’Austria
o Coerenza con questa politica sino agli anni ‘30

La politica estera dell’Italia fascista dagli anni ’30 fino all’ingresso nella Seconda Guerra
Mondiale

La politica estera dell’Italia fascista (1933-1935)

Mutamento del Fascismo a seguito del mutamento del contesto internazionale: crisi della fine del
sistema di Versailles, ascesa del partito nazista in Germania e Hitler al potere nel 1933
o Smantellamento del sistema di Versailles, obbiettivo primario di Hitler

Contenimento della ripresa del ruolo tedesco voluto dalla Germania hitleriana, le ragioni delle
preoccupazioni dell’Italia fascista:
o Si rifiuta l’esistenza di una forte comunanza ideologica fra Fascismo e Nazismo, se
guardiamo le dichiarazioni pubbliche di Hitler di presunta amicizia e anzi di rapporto
maestro-allievo con Mussolini, tale visione viene rifiutata da Mussolini
§ Differenze fondamentali in quanto il Fascismo non è un movimento ma è
diventato lo Stato, divenendo un qualcosa di codificato nella realtà formale e
giuridica, mentre il Nazismo è ancora un movimento arrivato al potere con la
violenza (Fascismo in quanto Stato può usare la violenza legittima)
§ Differenza di concezione della superiorità della razza ariana e del popolo
tedesco (il Volk), che non può essere accettata perché creerebbe una
gerarchia in cui il popolo tedesco starebbe più in alto di quello italiano
§ Il Fascismo nel 1929 ha concluso i Patti Lateranensi che hanno risolto la
Questione romana (sfociata nel 1870) con reciproco vantaggio delle parti, per
cui il Vaticano viene riconosciuto come Stato col quale si intraprendono
rapporti diplomatici anche di prestigio. Questo ha portato il Fascismo a
riconoscere la religione cattolica come fede di Stato e ottiene l’atteggiamento
benevolo da parte della Santa Sede nei confronti del regime, e ancor più
importante recupera uno dei caratteri dell’identità culturale italiano in
quanto recupero dell’universalità di Roma come centro della cristianità: forte
contrasto nei confronti del Nazismo che in ultima analisi mira a divenire una
fede, motivo per il quale i cattolici vennero perseguitati
o Si teme la fine del sistema di Versailles, specie Francia e dall’Unione Sovietica
§ Idea che la distruzione del Sistema di Versailles non va a vantaggio degli
interessi italiani, in quanto tale partecipazione fornisce ruolo e spessore
internazionale all’Italia
o Si è preoccupati per la questione del Sud-Tirolo
§ Hitler mira all’unione di tutto il Volk tedesco, per cui tali rivendicazioni si
sarebbero potute estendere anche alla popolazione austriaca del Sud-Tirolo
35
§ Snazionalizzazione della componente austriaca del Sud-Tirolo, imposizione
della lingua italiana e repressi qualsiasi tentativo di mantenere un’autonomia
sudtirolese
o Si sostiene l’indipendenza dell’Austria: il regime autoritario clerico-fascista guidato
dal cancelliere austriaco Dolfuss
§ Fortemente legato all’Italia, sconfigge la socialdemocrazia tramite la violenza,
e mirava al mantenimento dell’indipendenza dell’Austria
§ In opposizione ai nazisti austriaci che appoggiavano l’annessione dell’Austria
alla Germania (Anschluss): problema serio per l’Italia che si sarebbe vista
privata di uno Stato cuscinetto, di un mutamento geopolitico a favore della
Germania e minaccia alla sovranità italiana sul Sud-Tirolo che sarebbe stato
direttamente confinante con la Germania
o Scarsi risultati dal primo incontro fra Hitler e Mussolini a Villa Pisani sul Brenta
§ Hitler più disponibile a dialogare, mente Mussolini assume una posizione più
forte (cosa che cambierà in breve tempo)

Prima reazione all’ascesa di Hitler:


o Italia promotrice del progetto italiano del “Patto a quattro”: tentativo di un accordo
fra Italia, Regno Unito, Francia e Germania (esclusione dell’Unione Sovietica e della
SdN), sulla base del quale un qualsiasi mutamento futuro del sistema di Versailles
può essere modificato solo sulla base di un accordo fra le quattro potenze
§ Idea di trovare comunque modo per coinvolgere la Germania hitleriana nel
sistema europeo e al contempo porla comunque sotto controllo delle altre
potenze europee
o Fallimento del Patto a quattro, perché anche a Francia lo fa fallire in quanto punta
ancora alla SdN e si trova di fronte a una forte protesta da parte delle potenze della
Piccola Intesa, rimaste fuori dagli accodi e timorose del fatto che in futuro queste
subirebbero gli effetti di accordi a cui non possono partecipare

Accordi Mussolini-Laval del 1935


o Accordi che riguardano alcune questioni coloniali minori, ma vi è una parte segreta
che mirava a creare contatti segreti fra gli Stati maggiori dei due eserciti in funzione
antitedesca nell’occasioni di eventuali aggressioni tedesche
o Riavvicinamento delle posizioni tra Francia e Italia (questione delle “mani libere”
sull’Etiopia, concesse dalla Francia)
o Creazione del Fronte di Stresa tra Italia, Francia e Inghilterra che stabiliva che
qualsiasi modifica del sistema di Versailles sarebbe stata sottoposta a …

Tentativo di colpo di Stato nazista in Austria che porta all’uccisione di Dolfuss nell’estate del 1934
o Reazione italiana con minaccia di mobilitazione militare alla frontiera del Brennero
o Hitler smentisce supporto tedesco al colpo di stato

Il contesto internazionale
o Politica della Francia mirante a isolare la Germania
o Rafforzamento dei poteri con la Piccola Intesa, in particolare con la Cecoslovacchia
o Avvicinamento e accordi con l’URSS
o Tentativo di avvicinamento all’Italia (accordi Mussolini-Laval)
o Politica URSS

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§ Stalin individua nel Nazismo e nel Fascismo i nemici più pericolosi
§ Riavvicinamento alla Francia
§ L’URSS nella SdN
§ Dal 1935 l’Internazionale comunista lancia la politica dei fronti popolari
o Fronte di Stresa (primavera 1935)
§ Incontro fra Mussolini e i leader di Francia e Inghilterra: si ribadisce la validità
del Trattato di Versailles e status quo in Europa, in particolare difesa
dell’indipendenza austriaca
§ Risposta alla decisione di Hitler di ristabilire la coscrizione obbligatoria

17/03/2021

La politica estera dell’Italia fascista negli anni ‘30

Ci eravamo interrotti intorno al 1935 circa, un momento di svolta e cambiamento della politica del
fascismo: va ricordato il contrapporsi di due schieramenti, da un lato Gran Bretagna e Francia, ed
anche Unione Sovietica e dall’altra la Germania Hitleriana.
L’Italia fascista viene etichettata con due formule, che in realtà rappresentano la stessa sostanza: il
peso determinante e l’ago della bilancia; si intendeva che l’Italia poteva oscillare tra uno dei due
schieramenti, ed avvicinarsi in un determinato momento alle potenze democratiche ed in altri
momenti alla Germania, ottenendo vantaggi da una parte e dall’altra: una visione opportunistica.
Nella logica del fascismo questo aveva u valore ancora più forte, perché soprattutto Mussolini, si
era convinto che l’Italia fosse una grande potenza, e che anche la capacità negoziale ottenendo
vantaggi di carattere territoriale fosse più forte.
Ricordiamo che è terminata la fase di sicurezza collettiva, per cui tutti partono dal presupposto che
una nuova guerra fosse probabile o possibile, quindi l’atteggiamento italiano è un atteggiamento
che avrebbe creduto di assumere.
Comunque, vedremo che in maniera quasi automatica il fascismo si sarebbe avvicinata ed alleata
alla Germania di Hitler.

Si parte dal presupposto che l’Italia sia potente, con una possibilità di ricatto nei confronti delle altre
potenze che le faceva pensare a nuove avventure di carattere coloniale: tra il ’34 e il ’35 vediamo
uno spostamento dell’attenzione della politica estera del fascismo, che inizialmente si era
concentrato principalmente a livello europeo (rapporti con Ungheria, protettorato dell’Austria ecc.)
ma poi c’è lo spostamento verso il Mediterraneo e l’Africa.
L’idea del fascismo è che si potesse puntare al Mare Nostrum e al rafforzamento dell’Impero; non
dimentichiamo che il Mediterraneo era importante nel sistema imperiale della Gran Bretagna, e gli
inglesi controllano importanti basi come Gibilterra, Malta, Cipro e Canale di Suez, per cui la posizione
inglese era molto forte.
Per cui la creazione del Mare Nostrum avrebbe spinto l’Italia ha un mutamento della costante della
politica estera italiana, ovvero i buoni rapporti con la Gran Bretagna.

Legato a questo vi è l’obiettivo del rafforzamento dell’Impero: con aspetti che si rifanno alla retorica
del fascismo, come il “posto al sole” dell’Italia o la “creazione di un nuovo impero romano”:
l’obiettivo del fascismo è quello della conquista dell’Etiopia. Le ragioni sono banali: unico territorio
non controllato dalle potenze europee, e dall’altro lato perché questo permetteva al fascismo di
distinguersi dall’Italia liberale (che non era riuscita nella conquista appunto della Abissinia).

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Non dimentichiamo che l’Etiopia è un membro della SdN, che creava problematiche alla politica
estera fascista.

La conquista dell’Etiopia si sviluppa con:


§ Sfruttamento dal 1934 una serie di incidenti di frontiera, perché il confine fra Etiopia e
Somalia era molto incerto (il più noto è quello di Ual-Ual);
§ questo permette di iniziare una campagna in Italia contro il governo di Addis Abeba: il
compito degli italiani sarebbe quello di portare la civilizzazione; ritenevano anche che
l’Etiopia non meritasse di far parte della SdN;
§ aldilà di questo Mussolini era convinto che la Francia e la Gran Bretagna non avrebbero
reagito nei confronti di un’aggressione italiana, per due ragioni:
o sono troppo preoccupati in Europa
o ed inoltre esistevano, per quanto riguarda la Francia gli accordi Laval, il quale aveva
concesso a Mussolini le cosiddette Mani Libere in Etiopia (intendendo un’influenza ma
non aggressione e occupazione e annessione di questo territorio); dall’altro lato vi era
stato l’incontro di Stresa in cui si era dichiarata la necessità del mantenimento dello
status quo in Europa: se l’accordo riguarda l’Europa, allora non riguardava l’Africa
secondo l’Italia fascista.
§ Nell’ottobre del ’35 l’Italia da avvio alla campagna militare in Etiopia: si spingono dalla
Somalia italiana, ma soprattutto dalla colonia Eritrea; nel maggio 1936 entrano nella capitale
Addis Abeba.

Ciò che ci interessa sono le implicazioni di natura politico diplomatica: quali sono le reazioni che le
potenze hanno?
In una prima fase la reazione francese e inglese è debole: la Francia restava convinta che fosse
importante mantenere rapporti quantomeno non negativi con l’Italia, era importante mantenere
l’Italia in un fronte antitedesco. Ricordiamo però che la Francia sta attraversando un periodo
particolare, con insurrezioni di destra contro il parlamento, che aveva suscitato reazioni forti dalla
classe operaia e dalla sinistra; nel ’35 c’era stata una sorta di unione fra Partito Comunista, Socialista,
anti fascisti che avrebbe condotto nel ’36 ad una campagna elettorale che avrebbe visto la vittoria
di tipo popolare: ciò che comunque è importante sottolineare è che dal ’34 al ’36 c’è una forte
polarizzazione in Francia a livello politico, che ha paralizzato i governi francesi soprattutto in tema
di politica estera.
Dall’altro lato la posizione inglese è inizialmente di un atteggiamento prudente nei confronti
dell’Italia fascista, e nell’autunno del ‘35/36 viene elaborato con gli italiani un progetto segreto:
l’Italia avrebbe avuto acquisizioni importanti in territorio etiopico, e sarebbe rimasto uno stato
etiopico indipendente molto piccolo ma sotto controllo italiano. Questo perché la Gran Bretagna ha
una tendenza all’appeasement: questo perché l’opinione pubblica non voleva la guerra; ed ancora
gli inglesi ritenevano che fosse importante raggiungere compressi con le potenze autoritarie per
evitare di doversi scontrare con queste.

Il piano Hoare-Laval viene reso pubblico dalla stampa: abbiamo una reazione dell’opinione pubblica
francese molto negativa, e sostengono che il governo inglese debba sostenere la SdN, sostenere
quindi l’Etiopia che ne faceva parte: quindi, l’ingressione italiana andava condannata. L’Etiopia era
stata aggredita da una grande potenza europea: gli inglesi simpatizzavano quindi per l’Etiopia.
Questo spinge soprattutto la Gran Bretagna ad assumere un atteggiamento rigido nella SdN: si vota
quasi all’unanimità per sanzioni economiche contro l’Italia (interruzione di commercio con l’Italia).

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Ma in realtà queste sanzioni non ebbero effetto: questo perché non tutti i paesi facevano parte della
SdN, per cui non tutti condividevano l’obbligo di queste sanzioni contro l’Italia, come ad esempio gli
Stati Uniti, che non erano obbligati a seguire queste obbligazioni (Roosevelt applica un embargo
morale).
Vi era poi un altro paese che era uscito dalla SdN: la Germania hitleriana non era legata a Ginevra,
per cui l’Italia sapeva di poter contare su altri paesi per il rifornimento per la guerra in Etiopia.
Alti paesi avevano inoltre votato a favore delle sanzioni, ma senza crederci davvero: simpatizzanti
delle potenze europee, unitamente a sentimenti razzisti, condividevano le posizioni della Francia e
Gran Bretagna ma si chiudeva un occhio davanti all’azione italiana in Africa.
Quindi, le sanzioni risultarono inefficaci.

Inoltre, il fascismo fu in grado di sfruttare l’azione in Etiopia in maniera propagandistica: il ’35 e il


’36 rappresentò il momento di maggior favore nei confronti del fascismo, in particolare della guerra.
Anche posizioni contrapposte al fascismo, erano comunque favorevoli alla guerra italiana in Etiopia
per ragioni patriottiche.
Ricordiamo che iniziò la campagna contro i prodotti stranieri, contro i termini di altre lingue: parte
della propaganda del regime.
La guerra comunque fu vista con favore dagli italiani: vedendo il filmato della proclamazione
dell’Impero, si vede Mussolini che si affaccia al balcone dichiarando che l’Italia ha un Impero,
suscitando una grande eccitazione nella folla.

Nel maggio del 1936 abbiamo così la conquista di Addis Abeba e la vittoria italiana, con la
proclamazione dell’Impero e la nascita dell’Africa Orientale Italiana (AOI).
o Ci fu un attentato contro Graziani, responsabile militare del territorio: Graziani si salva, ma
la reazione dei fascisti italiani è durissima, uccidendo indiscriminatamente.

In una fase iniziale, comunque, l’opinione pubblica tedesca non è favorevole all’Italia, non è
favorevole all’azione italiana in Etiopia ma simpatizzano per quest’ultima.
Tuttavia, il nazismo smuove quest’opinione sottolineando che avrebbero potuto sfruttare la
situazione per distaccare l’Italia dalla SdN, la quale aveva imposto sanzioni alla Germania.
A questo è successivo il coinvolgimento nella guerra civile spagnola dal 1936 al 1939:
§ Nel 1936 ci sono le elezioni politiche in Spagna, e come avvenuto in Francia c’è un’alleanza
del Fronte popolare che vince con uno scarto minimo le elezioni. L’idea è di un gruppo di
leader militari di golpe, e nel luglio abbiamo un tentativo che non riesce pienamente:
controllano soprattutto il Marocco spagnolo, alcune parti della Spagna come Madrid e
Barcellona. Ci si trova in una situazione di stallo, in cui da una parte abbiamo i gruppi poi
guidati Francisco Franco e una parte consistente con Madrid e Barcellona che restano sotto
il controllo della Repubblica.
§ A questo punto abbiamo da una parte la richiesta di aiuto di Franco all’Italia e alla Germania,
e dall’altra la Repubblica sostenuta dall’URSS e indirettamente dalla Francia: abbiamo quindi
la contrapposizione di fascisti e antifascisti, quella che alcuni hanno definito una prefazione
di quella che sarebbe stata la guerra.

§ L’Italia decide di intervenire: abbiamo un intervento massiccio, con varie divisioni e arei. È
impegno rapido e crescente, tanto è vero che non si limita solo ad arei ma si crea una
“volontà”: si raggiungono migliaia di uomini, più squadriglie aree. Ricordiamo un episodio
importante del 1937 di Guadalajara: antifascisti italiani, arruolati nelle brigate internazionali
si trovano a combattere contro le truppe fasciste; italiani contro italiani, ma che comunque

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vedono una vittoria delle forze antifasciste (questa vittoria verrà infatti nascosta dal regime
fascista, rappresentando un duro colpo per la propaganda fascista).
o Anche i tedeschi intervengono, dal punto quantitativo minore, ma qualitativo migliore;
o I francesi hanno un atteggiamento prudente, ma non neutrale permettendo il passaggio
delle brigate internazionali;
o Altri paesi assumono un atteggiamento neutrale, come la Gran Bretagna che ha una certa
simpatia per i golpisti e antipatia della Repubblica di sinistra e clericale.

Quali sono le ragioni di questo forte intervento e coinvolgimento italiano in Spagna?


§ Le interpretazioni sono differenti, e prima di tutto vi è una componente ideologica non
secondaria: il timore di avere due nazioni guidate dal Fronte popolare, Francia e
possibilmente Spagna, guidate da due governi antifascisti;
§ ed ancora, la lotta contro il comunismo: il cambiamento dell’Unione Sovietica avvicinatasi al
comunismo, spinge ancora di più all’intervento, considerandolo un pericolo e minaccia;
§ Abbiamo anche l’interesse italiano nel Mediterraneo occidentale, in particolare le Baleari
(ricordiamo che Franco non ha intenzioni di concessioni nei confronti dell’Italia o della
Germania);
§ Vi è anche un tentativo di fascistizzazione del fronte nazionalista: hanno in realtà interessi
differenti, e l’unico che si avvicina al fascismo sono le falangi, ma a prevalere è comunque la
parte militare. Franco infatti è molto abile, e riesce a controllare anche la parte falangista,
impendendo al fascismo di influenzare questa parte, e inglobandoli nella componente
militare.

Nel 1936 Mussolini lascia la carica di ministro degli AA.EE e la carica passa a Galeazzo Ciano: aveva
sposato la figlia di Mussolini; considerato un uomo brillante; amava definirsi anticonformista, si era
attorniato di diplomatici che avevano preso il nome addirittura di “Ciano Boys”: diplomatici fascisti,
che avrebbero svolto anche un ruolo importante fra gli anni ‘40/50.

Ultimo aspetto importante da affrontare è la questione relativa ai rapporti che peggiorano con
l’Impero britannico:
§ Una delle prime motivazioni è la questione dell’Etiopia, come abbiamo evidenziato;

§ La propaganda in lingua araba di Radio Bari: l’Italia nel ’35 cerca di mettere in discussione la
presenza britannica nel Mediterraneo, non con un’azione diretta ma propagandistica. La
Radio Bari infatti trasmette in lingua araba, anche trasmissioni di intrattenimento, ma
soprattutto sostiene il nazionalismo arabo contro la presenza inglese (Egitto, Iraq, Palestina);

§ Questo si sposa con un’altra decisione italiana: l’Italia sostiene l’Islam; Mussolini nel ’37 fa
un viaggio in Libia sostenendo che l’Italia ha un grande amore dell’Islam, ovviamente in
chiave propagandistica.
Vi era inoltre una forte contraddizione: da un lato si sostiene il nazionalismo arabo contro gli
inglesi, ma dall’altra lato era stato il fascismo a riconquistare il territorio della Libia con due
campagne militari contro le tribù libiche; queste due campagne sono di brutalità senza pari,
in cui i libici vengono sconfitti anche con campi di concentramento, conducendo anche una
mortalità molto forte di queste popolazioni. Agli inizi degli anni ’30 gli italiani controllano il
territorio, ma a seguito di una guerriglia brutale da parte italiana.
La contraddizione è quindi da una parte con una visione filoaraba, dall’altra una forte
dominazione in Libia, territorio arabo.

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Abbiamo comunque un tentativo di conciliazione degli inglesi: abbiamo due accordi, data la politica
di appeasement. Il primo accordo è il gentlemen’s agreement del 1937 e gli accordi di Pasqua del
1938. L’Italia vede tutto questo con la visione del peso determinante: non ci si allinea apertamente
nessuno, ma otteniamo vantaggi da entrambe le parti.

Accenniamo qualcosa sul progressivo allineamento alla Germania:


§ La Germania tende a sostenere l’Italia nell’ambito della guerra d’Etiopia, dopo un’iniziale
posizione di indifferenza;

§ Inoltre, il coinvolgimento italiano tedesco a sostegno dei nazionalisti di Franco nella guerra
civile spagnola con un coordinamento italo-tedesco al fine di sabotare il comitato di non
intervento; e soprattutto la comune ostilità verso il comunismo e l’URSS;

§ Firma dell’accordo italo-tedesco nel 1936, non particolarmente coinvolgente o significativo,


ma Mussolini in suo discorso per la prima volta sottolinea l’importanza dell’asse italo-
tedesca in Europa;

§ Nel 1937 l’Italia aderisce al Patto anti-komintern con la Germania e il Giappone;

§ Abbiamo due viaggi importanti: Mussolini a Berlino nel 1937 e Hitler a Roma nel 1938. Si dice
che Mussolini nel suo viaggio sia rimasto impressionato dalla potenza tedesca e convinto
della debolezza delle democrazie; nasce una volontà di emulazione e di rivalsa: Hitler era
riuscito in poco tempo a fare ciò che Mussolini non era riuscito a fare in molto più tempo.

Sarà quindi nel 1938 che avremo l’avvicinamento vero e proprio dell’Italia e della Germania, che
analizzeremo nel dettaglio nella prossima lezione.

23/03/2021

La politica estera dell’Italia fascista negli anni ’30


Oggi completiamo l’analisi della politica estera del fascismo fino all’ingresso nella Seconda guerra
mondiale, e se fosse possibile anche l’analisi di alcune vicende di quest’ultima; ed ancora
l’atteggiamento delle due grandi potenze, Gran Bretagna e Stati Uniti, nei confronti dell’Italia a

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seguito della guerra. Spendiamo alcune parole rapide su come in teoria, sino al 1936/37, la politica
estera del fascismo si basasse su concetti come “l’ago della bilancia” e il “potere determinante”,
cercando di ottenere vantaggi senza schierarsi a fianco delle democrazie o della Germania di Hitler:
abbiamo ricordato in precedenza come i rapporti con la Gran Bretagna basati su due accordi si
rifacciano alla politica britannica di “appeasement”.
Vi era in apparenza la volontà di risolvere le difficoltà presenti con la Gran Bretagna, soprattutto vi
era irritazione da parte inglese che tuttavia finì con l’accettare accordi con l’Italia come
compromesso, che le autorità avrebbero perseguito fino alla vigilia dello scoppio della Seconda
guerra mondiale.

Dunque, già a partire dal ‘36/37 vi è l’accettazione italiana dell’indipendenza austriaca,


un’evoluzione della posizione italiana dovuta anche dallo spostamento degli interessi internazionali
dell’Italia: infatti, inizialmente l’interesse italiano si concentrava nel continente europeo, per poi
spostarsi, con la Guerra d’Etiopia e la guerra spagnola, dal continente europeo all’area mediterranea
del Medio-Oriente e Medio-Africana dove l’Italia voleva rafforzare il suo ruolo di potenza. Mussolini
quindi si disinteressa dell’indipendenza austriaca e accetta l’Anschluss nel marzo del 1938.
Hitler invade il territorio austriaco, e annette il territorio cosiddetto Anschluss, con un grosso
consenso da parte della popolazione austriaca, ovviamente, non da parte degli ebrei o social-
democratici. Ma comunque la gran parte dell’opinione pubblica accoglie e manifesta il proprio
consenso nei confronti di Hitler: la posizione italiana è quindi di disinteresse, e quindi, una presa di
posizione a tutto vantaggio della politica hitleriana.

Vi è stata poi un avvicinamento delle ideologie nazista e fascista con la scelta di promulgare le leggi
raziali da parte del regime fascista, su imitazione di quanto aveva fatto Hitler: per il momento non
con le forme della Germania Hitleriana, ma rappresenta comunque un momento di svolta nella
politica interna italiana.
Sappiamo che per un periodo di tempo l’opinione pubblica italiana sostenne che gli italiani non
applicassero tali leggi: ma con gli studi recenti è in realtà risultato che gli italiani si siano adattati a
tali leggi nei confronti degli ebrei. Alcuni italiani approfittarono di questa situazione, ad esempio,
per sostituirsi alle proprietà degli ebrei.
In Italia gli ebrei erano circa 40 mila, una comunità molto piccola, per cui l’aspetto della persecuzione
appare minore rispetto alla Germania.
Questo rappresentò una volontà di avvicinamento al regime hitleriano.

Sul piano internazionale nell’autunno del 1938 abbiamo la crisi cecoslovacca, che nel corso degli
anni ’30 si avvicina alla Germania hitleriana; abbiamo pressioni da parte tedesca con la richiesta
dell’annessione del territorio dei Sudeti, sulla base di richieste che non avevano in realtà
giustificazione neanche dal punto di vista storico. Di fronte all’ultimatum tedesco alla
Cecoslovacchia abbiamo una reazione della Gran Bretagna e della Francia, che porta a pensare che
si fosse alle porte del conflitto.
Il governo inglese, con la sua politica di appeasement, tentò un’opera di mediazione che si risolse in
una sorta di cedimento a favore delle richieste di Hitler; ma davanti alla crisi del 1938 il governo
inglese si appella a Mussolini per fare da mediatore: questi è in realtà favorevole a Hitler, ma
comunque per una politica di compromesso con la Gran Bretagna Mussolini convince Hitler a
partecipare alla Conferenza di Monaco.
Tuttavia, a questa conferenza non partecipa la Cecoslovacchia, elemento di crisi; ed ancora, non
partecipa l’Unione Sovietica, che rappresenta un cedimento francese dato che negli ultimi anni si

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erano avvicinati. Quando si unirono, Francia, Gran Bretagna, Italia e Germania, il risultato fu lo
smembramento della Cecoslovacchia.
Ricordiamo che le opinioni pubbliche francese ed inglese erano contrarie alla guerra, erano ancora
molto pacifiste (il ricordo della Prima guerra mondiale era ancora molto forte); la volontà di pace
specialmente nelle democrazie era molto forte per cui i governi inglese e francese ne dovevano
tenere conto.

Questo provoca un cambiamento interno della Cecoslovacchia, con il distacco del territorio interno
che si dichiara indipendente: nel febbraio del 1939 i tedeschi avrebbero tratto vantaggio di questo
e tutta la Boemia verrà conquistata.

In realtà, la Conferenza di Monaco è da intendersi già come la fine dell’Italia come grande potenza:
a ritorno della Conferenza di Monaco Mussolini rientra in treno, e lungo la tratta ferroviaria viene
accolto come il salvatore della pace; in realtà egli risulta quasi irritato, perché aveva ambizioni
differenti per quanto riguardava l’italiano che era pacifista, ma egli ambiva ad un’altra tipologia di
popolazione.

Nell’aprile del 1939 abbiamo l’annessione dell’Albania: era già una sorta di protettorato italiano, e
vi era una presenza economica italiana molto importante, per cui l’Albania era sotto una forte
influenza del governo italiano. L’invasione dell’Albania si risolse rapidamente, quasi senza
spargimenti di sangue. Ovviamente, questo rispetto alla Germania Hitleriana non era ridicolo, ma
quantomeno minore nella convinzione di essere grande potenza.

Altri eventi importanti del 1939 sono: la firma del patto d’acciaio fra Germania e Italia, e l’accordo
italo-tedesco sulle opzioni per i cittadini di lingua tedesca del Sud Tirolo.
Il primo patto non era difensivo, per cui se la Germania fosse entrata in guerra anche l’Italia sarebbe
dovuta entrare: da questo momento l’Italia non è più una grande potenza, ma è oggetto della
politica estera della Germania hitleriana. Per quali ragioni? Ci sono ragioni di lungo-medio periodo
e breve periodo: affrontiamo prima le seconde, per cui
§ La convinzione italiana per cui l’alleanza avrebbe portato l’Italia ad entrare in guerra, ma
comunque si era convinti che la guerra non sarebbe iniziata nei 2/3 anni successivi;
§ La seconda ragione è collegata al Sud-Tirolo: infatti viene siglato l’accordo per cui i cittadini
tedeschi del Sud-Tirolo avrebbero potuto scegliere la cittadinanza tedesca e si sarebbero
dovuti trasferire (anche se poi in realtà questo non avvenne). Molti scelsero la cittadinanza
tedesca.
L’interesse italiano si basava sul fatto che con il trasferimento i tedeschi avrebbero
abbandonato il Sud-Tirolo, e l’Italia avrebbe potuto annettere un territorio: una concessione
importante di Hitler nei confronti di Mussolini.
Questa è una ragione che nel breve periodo ha giustificato l’avvicinamento di Mussolini alla
Germania Hitleriana.

Veniamo alle ragioni più profonde dell’avvicinamento dell’Italia alla Germania: infatti dobbiamo già
ricordare che l’Italia, a prescindere dal patto dell’acciaio, allo scoppio della guerra non entrerà in
guerra dichiarandosi non belligerante (non neutrale), per cui era a fianco della Germania ma non
entrava in guerra.
Inoltre, allo scoppio della guerra abbiamo il cambiamento delle strategie inglesi e francesi, i quali si
rendono conto del vero interesse tedesco di espansionismo: quando Hitler scatena il conflitto contro
la Polonia, gli inglesi, che spingono anche la Francia, entrano in guerra nel 1939.

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Tuttavia, quali sono le ragioni della presa di posizione italiana di non belligeranza:
§ impreparazione militare: ricordiamo che si immaginava che la guerra non sarebbe iniziata
nei 2/3 anni ed inoltre le riserve erano state utilizzate nella guerra d’Etiopia e nella guerra
civile spagnola;
§ difficoltà economiche: esistevano delle condizioni per cui l’Italia non sarebbe potuta entrare
in guerra;
§ l’Italia riteneva possibile partecipare a un conflitto solo nel 1942;
§ ostilità dei vari gruppi dirigenti italiani (vertici delle forze armate, ambienti industriali,
Vittorio Emanuele III, alcuni importanti gerarchi fra cui Balbo e Grandi, Ciano che da
filotedesco è diventato antitedesco).

Ricordiamo che in questo periodo la Germania e l’Unione Sovietica si avvicinano, e stringono accordi
segreti: l’Unione Sovietica annetterà buona parte del territorio della Lituania mentre la Germania
della Polonia. Comunque, solo dopo che l’accordo è stato firmato Mussolini ne verrà a conoscenza
e ne rimarrà molto infastidito. Questo perché avevano assunto una posizione di contrasto nei
confronti del comunismo, e senza preavviso Hitler si era avvicinato al comunismo: questa è un’altra
ragione per cui l’Italia non entra in guerra.

Ci si può chiedere quindi quali siano state le reazioni di Mussolini, il quale sappiamo prese la
decisione di entrare in guerra:
o accetta la posizione di non belligeranza, che tuttavia gli crea dei problemi a livello
psicologico perché questo dimostra che l’Italia non è pronta per entrare in guerra e non
ne ha le capacità, a dimostrazione che dopo anni di propaganda in realtà l’Italia non era
una grande potenza;
o timore di una rinnovata percezione di un’Italia inaffidabile;
o timore per le reazioni tedesche: si rende conto che i tedeschi sono forti e potenti, per cui
a seconda delle decisioni italiane ci sarebbe potuta essere una forte reazione militare
tedesca nei confronti italiani.

Veniamo all’ultimo aspetto, ovvero, la decisione di entrare in guerra dell’Italia: c’è l’incertezza di
Mussolini sino agli inizi del 1940, ma comunque l’Italia non può non entrare in guerra.
Nell’aprile del 1940 c’è l’avvio di una prima offensiva tedesca, con l’occupazione della Danimarca e
della Norvegia; a seguito abbiamo la violazione della neutralità con il passaggio in Belgio e la
penetrazione in Francia con la sconfitta della Francia. Nel giugno del 1940 la Francia viene sconfitta,
occupata, e costretta a firmare l’armistizio.
Di fronte a questa situazione militare Mussolini decide di entrare in guerra: coloro che si erano
dichiarati contrari nel giugno del 1940 in realtà cambiano posizione, e prevale la visione di Mussolini
per cui l’Italia non può non esserci e dovrà partecipare alla conferenza di pace dei vittoriosi per
ottenere vantaggi territoriali. Si dichiara guerra alla Francia e alla Gran Bretagna nel giugno del 1940,
con la convinzione che la guerra era ormai finita e sarebbe stata vinta.
Possiamo anticipare che in realtà l’Italia, a seguito dell’entrata in guerra, si rende conto che la guerra
non era finita.

Dall’altro lato avviene ciò che né Hitler né Mussolini si aspettavano: il cambio di leadership in Gran
Bretagna con l’arrivo al governo di Winston Churchill. Abbiamo il passaggio della guerra a livello
ideologico, con le democrazie contro le dittature.
La Gran Bretagna sa di essere debole, ma comunque si attende l’arrivo degli Stati Uniti.

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Il fascismo cerca di inventarsi una sua guerra: si ha la convinzione che l’Europa sarà sotto l’egemonia
tedesca, per cui l’Italia deve trovare dei suoi obiettivi, differenti da quelli tedeschi. L’Italia si
concentra nel Mediterraneo: si scatena una guerra contro la Grecia, ma a cui consegue una sconfitta
italiana. Nel Mediterraneo gli italiani subiscono una sconfitta navale.
(Taranto, la campagna in Grecia e la sconfitta nel Nord Africa rappresentano le sconfitte italiane).

Da marzo 1941 giungono le prime unità tedesche, perché Mussolini è costretto a chiedere aiuto alla
Germania: questo però dimostra che già agli inizi del 1940 l’Italia è un satellite della Germania, è
uno degli alleati minori della Germania nazista, per cui non è una grande potenza.

Ci si rende conto, inoltre, della differenza fra Italia e Germania, anche dal punto di vista economico
industriale. Ed ancora, da un lato le pretese della propaganda fascista, gli inglesi le faranno ripagare
agli italiani.

La politica estera britannica verso l’Italia, fino all’ingresso in guerra degli


Stati Uniti
Possiamo quindi iniziare a trattare l’atteggiamento inglese e americano nei confronti italiani. Qual
è l’atteggiamento inglese nei confronti dell’Italia?
In primo luogo, si ritiene la decisione italiana di entrare in guerra come una pugnalata.
In una fase iniziale, infatti, gli inglesi sono stupiti perché gli italiani non fanno quasi nulla, e quando
ci sono le sconfitte a Taranto, Grecia e Nord Africa, Churchill ritiene già che l’Italia sia una nazione
sconfitta e che possano richiedere una pace separata: Churchill tiene un discorso pubblico, per cui
la responsabilità dell’entrata in guerra dell’Italia era responsabilità solo di “un uomo, un uomo solo”,
ovvero, solo di Mussolini. Questo significava che se fosse stato eliminato Mussolini, allora si sarebbe
potuto parlare di una pace separata.
Churchill inoltre favorisce la creazione del SOE, il cui compito è quello di mettere a fuoco l’Europa,
ovvero, favorire i movimenti di resistenza contro la Germania Nazista e contro la Germania fascista.
Il compito del SOE era quindi valutare se nei prigionieri italiani si trovassero volontari a combattere
contro il fascismo: l’indagine in realtà non diede risultati positivi, non si trovarono generali in grado
di dare vita ad un movimento contro il regime.
Eguale è la posizione data dal Foreign Office, per cui, dall’analisi risulta che un’apatia italiana,
nessuna personalità risulta in grado di rovesciare Mussolini: l’Italia è ormai oggetto della Germania.

Nasce la cosiddetta “politica punitiva” della Gran Bretagna contro l’Italia per il dopoguerra:
§ l’idea inglese è il rafforzamento della Gran Bretagna nel Mediterraneo e nell’Africa,
riducendo l’Italia alle proporzioni precedenti alla Prima guerra mondiale: nel 1941 rinasce
l’Etiopia, stretto alleato inglese, e vengono occupate le colonie italiane;
§ inoltre, si pensa all’Italia come oggetto, e non soggetto di politica estera;
§ ed ancora, amputazioni territoriali a vantaggio di Londra e degli alleati (Grecia, Jugoslavia e
mondo arabo).
In questo periodo si pensa anche di cosa fare del Sud-Tirolo, che l’Italia ha ottenuto ma è
territorio austriaco: si pensa per il dopoguerra di restituire il territorio ad un futuro stato
indipendente austriaco.

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La politica US verso l’Italia nel periodo tra le due guerre mondiali
I rapporti degli Stati Uniti sono di scarso rilievo: l’unico periodo di rapporti stretti fra Italia e US era
avvenuto nel 1918/1919 a seguito della Prima guerra mondiale; infatti, ricordiamo che negli anni
’20 c’è una politica di isolazionismo in America.
Inoltre, vi era un’opinione favorevole a Mussolini: si diffonde il mito per cui avesse ripotato il “law
and order” in Italia, ha sconfitto il bolscevismo e modernizza l’Italia.
Un atteggiamento nel complesso benevolo, anche dal punto di vista economico con investimenti
americani in Italia.
La situazione sembra cambiare con Roosevelt: questi non era favorevole a Mussolini, ma è costretto
a fare una politica isolazionista e deve tener conto dell’elettorato italo-americano.

24/03/2021

Dunque, stavamo iniziando ad analizzare la posizione degli Stati Uniti nei confronti dell’Italia:
abbiamo ricordato come, a partire dal dopoguerra, soprattutto nell’ambito della guerra fredda, i
rapporti con gli Stati Uniti sarebbero stati fondamentali nelle relazioni internazionali dell’Italia. Inizia
il cosiddetto processo di americanizzazione, che non riguardò solo l’Italia ma buona parte del
continente europeo occidentale, soprattutto dal punto di vista economico e sociale, non tanto
politico.

Ma, prima del dopo guerra, i rapporti con gli Stati Uniti e l’Italia non erano rilevanti: come ricordato,
solamente dopo il primo conflitto mondiale c’erano stati dei rapporti più stretti nella conferenza
della pace. Inoltre, dopo la vittoria dei repubblicani negli USA, questi entrano in una fase di
isolazionismo politico: non economico, infatti, economicamente gli US sono stati molto presenti col
piano Daws ecc., ovvero, con la necessità di far ripartire l’economia europea, concentrandosi nella
Germania.

Vi sono poi anche una serie di investimenti, specialmente della Morgan Bank, i quali sono interessati
alla ripresa dell’economia della Germania. Nel 1926 viene firmato un accordo importante sui debiti
di guerra che l’Italia aveva accumulato nei confronti dell’US: un accordo molto favorevole nei
confronti dell’Italia; dunque, anche questo sottolineava l’esistenza di buoni rapporti.

Del fascismo, inoltre, non era stata data un’opinione negativa: Mussolini negli anni ’20 veniva visto
come un uomo politico moderno, come già detto, come il modernizzatore dell’Italia.

Naturalmente noi sappiamo che gli US dal 1929 sono condizionati dalla crisi economica, con tutte le
conseguenze che ne derivarono, che avrebbe condotto alla fine della presenza dei repubblicani nella
Casa Bianca con l’arrivo dei democratici con Roosevelt.
In realtà, con l’arrivo di Roosevelt non abbiamo un grande cambiamento: non era favorevole a
Mussolini e al fascismo; tuttavia, apparteneva al filone internazionalista ma per ragioni di politica
interna è costretto a fare una politica isolazionista, anche per affrontare la Grande Depressione:
lancio della politica del New Deal, concentrandosi quindi sulla politica interna e non estera. Inoltre,
anche l’elettorato di Roosevelt è più interessato alle questioni interne, per cui il presidente si
concentra maggiormente sulle questioni interessate al suo elettorato.

Gli italo-americani votavano ed erano favorevoli Roosevelt: questo significava però che, data la
vicinanza di questa comunità al fascismo, Roosevelt non si poteva esprimere in maniera fortemente

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negativa nei confronti del fascismo. Infatti, in occasione della guerra di Etiopia gli Stati Uniti
dichiarano solamente un embargo morale nei confronti dell’Italia (pur ricordando, come già fatto,
che gli Stati Uniti non facevano parte della SdN).

Dopo il 1935/36 Roosevelt si convince che il vero problema per il mantenimento della pace era:
o il nazismo della Germania e
o l’imperialismo del Giappone.
Quindi, in una visione opportunistica, dal punto di vista di Roosevelt, Mussolini non era un pericolo
così forte, ma anzi era possibile dialogare e raggiungere un compromesso con lui (secondo alcuni,
l’opinione di Roosevelt degli italiani era che fossero “dei cantanti d’opera”, sotto un punto di vista
stereotipato).

Dal 1939 e 1940, Roosevelt lascia una serie di appelli a Mussolini per non entrare in guerra,
specialmente nel momento in cui l’Italia si dichiarava non belligerante; è quando l’Italia entra in
guerra che Roosevelt fa un discorso, paragonando la dichiarazione di guerra italiana alla Gran
Bretagna e alla Francia come una pugnalata alle spalle, a “stab in the back”.
Ricordiamo che in questo periodo Roosevelt inoltre affronta delle elezioni difficili negli US: era la
terza volta che si candidava, e venne accusato di avere ambizioni dittatoriali; tuttavia, questi si
giustificava facendo riferimento alla situazione internazionale per cui era necessario il
mantenimento della pace. Ed inoltre, a seguito dello “stab in the back” perse molti voti degli italo-
americani: successivamente, infatti, non si fece più riferimento.
Cosa significa questo? È probabile che non ci fosse una politica estera precisa degli US nei confronti
dell’Italia, che indica ancora come l’Italia per gli US fosse un interesse minore, a differenza della
Gran Bretagna che già nel 40 aveva dei progetti specifici per l’Italia, come sottolineato, di politica
punitiva.

La comunità italo-americana tra fascismo e antifascismo

È importante soffermare la nostra attenzione sulla comunità italo-americana: negli anni ‘70/80
l’emigrazione italiana proviene prevalentemente dall’Italia del sud e insulare verso gli Stati Uniti. Tra
il 1890 al 1920 abbiamo milioni di italiani che emigrano.
Quali sono le caratteristiche di questa emigrazione? Spesso sono italiani poveri, lavoratori non
qualificati, analfabeti, che sono nello scalino inferiore della società americana: sono emarginati,
sfruttati, anche con episodi cruenti di razzismo e di linciaggio basati sulla prevalenza del concetto
americano di “white anglosaxon and protestant” (ci si chiedeva addirittura se gli italiani fossero
davvero bianchi).
Le comunità italo-americane erano quindi
§ chiuse, formando dei piccoli quartieri come Little Italy: questo significa una mancata
integrazione nella società americana;
§ un attaccamento ai valori della società d’origine (famiglia, religione, dialetto ecc.);
§ da questo derivano anche fenomeni criminali: soprattutto negli ’20/30 con il proibizionismo
si sviluppano forme di criminalità non solo dalla comunità italiana ma anche irlandese (si
pensi alla figura di Al Capone);
§ il ruolo dei “prominenti”: si verifica un fenomeno per cui molti italiani, nell'intento di
integrarsi, cambiano anche il loro cognome, e si inizia ad affermare il “Progresso Italo-
Americano”;
§ i sindacalisti iniziando a diventare abbastanza importanti, come Luigi Antonini,

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§ e soprattutto, la comunità si concentra come sottolineato nei grandi centri urbani (New York
City, Boston, Chicago, Los Angeles, San Francisco).

Quindi alla fine degli anni ’30 abbiamo circa 5/6 milioni di italo americani e circa 600.000 italiani
negli US: dal 1932 la comunità italo-americana votano per FDR e il Partito Democratico.
Quindi, i loro voti erano importanti per vincere le elezioni presidenziali, per cui si fa attenzione anche
alla comunità italo-americana, irlandese ed ebraica.

Tuttavia, abbiamo una contraddizione nella preferenza politica della comunità italo-americana:
votano per il Partito Democratico, ma sono vicini al fascismo. Quindi, la comunità italo-americana
era prevalentemente filofascista, nello specifico filo-mussoliniana, per ragioni psicologiche più che
ideologiche:
o orgoglio nazionale, poiché Mussolini ha reso l’Italia una grande potenza rispettata nel
mondo;
o c’è così la rivalsa nei confronti della società americana, contrapponendosi quindi a quello
che era il white anglosaxon and protestant;
o influenza dei prominenti filofascisti;
o azione di propaganda del fascismo.

C’era l’antifascismo in America? L’antifascismo è limitato ad alcune personalità tendenzialmente


socialiste, anarchiche e repubblicane, nonché ai leader sindacali.
Vi è anche la presenza di esuli intellettuali, come Salvemini professore ad Harvard ed anche Ascoli
ecc., che però non hanno rapporti con la comunità italo-americana: gli intellettuali parlavano
italiano, mentre la comunità parlava un misto fra il dialetto e l’americano, quindi la loro influenza
antifascista era limitata agli ambienti intellettuali.
Le cose cambiano parzialmente con il 1940, con l’ingresso in guerra dell’Italia, perché parte degli
esuli intellettuali in esilio in Francia fa nascere “Giustizia e Libertà”. Infatti, importante è il ruolo di
C. Sforza esule in Francia e in Belgio dal 1926, che si avvicina all’antifascismo e capisce che
l’atmosfera in Italia non era favorevole agli antifascisti: non entra a far parte di alcun partito politico,
ma è molto vicino a Giustizia e Libertà, ed è attivo nel corso degli anni ‘20/30 come pubblicista. Negli
anni ‘20/30 infatti Sforza viene considerato il Ministro degli Esteri dell’antifascismo.
Abbiamo poi la creazione nel 1939 della Mazzini Society, di Salvemini.

C’è tuttavia la crisi dell’antifascismo emigrato alla fine degli anni ’30: questo è ricollegato al Patto
nazi-sovietico, perché i comunisti italiani e comunisti francesi collaboravano ma a seguito di questo
patto inizia una crisi.
Sforza, in questo momento, ha un’intuizione e sostiene che il fascismo cadrà per ragioni
internazionali, ovvero per una guerra persa, per cui si debba porre al fianco dei vincitori: l’obiettivo
di Sforza è allora quello di andare negli Stati Uniti e convertire la comunità italo-americana da
filofascista a antifascista. Dunque, il suo obiettivo è quello di creare un movimento dell’Italia Libera
e di una legione di volontari da affiancare agli Alleati: è necessario per Sforza puntare alla Mazzini
Society, prenderne in controllo, trasformarla in un’organizzazione politica, e dialogare così con
l’amministrazione americana per trasformare gli italo-americani da filofascisti ad antifascisti.
La debolezza della posizione di Sforza, che fino al 1941 è anche favorevole alla strategia di Sforza,
tuttavia, si rivela dopo Pearl Harbor: il 7 dicembre del 1941 il Giappone scatena un attacco non
dichiarato contro la base americana che porta gli Stati Uniti ad entrare in guerra contro il Giappone.
Ma, gli Stati Uniti non dichiarano guerra all’Italia alla Germania: sono quest’ultime a dichiarare
guerra agli Stati Uniti; nelle ore successive quindi a Pearl Harbor i giovani italo-americani si

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mobilitano a favore della guerra, a favore di Roosevelt: per cui, il filofascismo sparisce nel giro di 24
ore e gli italo-americani si si identificano come cittadini americani vicini agli ideali americani e di
Roosevelt. Questo però significa anche il fallimento della strategia di Sforza e della Mazzini Society,
e non vi è più il pericolo della quinta colonna fascista in America.

Gli Alleati e l’Italia fino alla caduta del fascismo (1942-1943)


La posizione degli Stati Unit è quindi condizionata dalla presenza della comunità italo-americana:
c’è il sostegno dell’amministrazione ai leader della comunità antifascista, in particolare dei sindacati
e sindaco di NYC Fiorello La Guardia.
C’è inoltre il recupero dei prominenti filofascisti, come Pope perché questi ha una grande influenza
sui giornali e sulla radio.

Abbiamo una dichiarazione fondamentale nel Columbus Day nel 1942: l’amministrazione Roosevelt
dichiara che i cittadini italiani (non gli italo-americani con cittadinanza americana, ma italiani
provenienti negli Stati Uniti con cittadinanza italiana) verranno classificati come “friendly aliens” e
non “enemy aliens”, anche se proprio in quel momento gli Stati Uniti e l’Italia erano in guerra.
Vi è inoltre una propaganda, da parte ad esempio di Voice of America e dell’Office of War
Information che puntano su una diversificazione del messaggio inviato al popolo italiano: non è
responsabilità degli italiani la guerra, ma è colpa di Mussolini; il messaggio degli americani è che se
si liberassero di Mussolini si potrebbero instaurare nuovamente buoni rapporti fra Italia e Stati Uniti.
Ed ancora, Hollywood ignora il nemico italiano: i film di Hollywood danno un messaggio differente
a seconda del nemico: il nemico giapponese è rappresentato senza volto, poco umani e crudeli,
mentre il nemico tedesco è associato al nazismo, ma il nemico italiano viene ignorato o addirittura
è un’immagine positiva. Vedremo poi un’immagine differente dalla documentaristica americana.

È importante anche affrontare delle questioni militari, facendo un passo indietro a quando gli Stati
Uniti entrano in guerra.
Roosevelt e Churchill si muovono verso una logica del “Germany First”, ma allo stesso tempo
Roosevelt sostiene che le responsabilità dei militari contano di più delle considerazioni politiche.
§ Per Roosevelt durante la guerra si devono creare le strutture che ci saranno dopo la guerra,
ovvero, la creazione di un nuovo sistema internazionale; ma soprattutto, nel 1942 abbiamo
la promessa della FDR a Stalin per l’apertura di un secondo fronte nella Francia
settentrionale (il problema è che gli Stati Uniti e Gran Bretagna non hanno la possibilità di
creare un secondo fronte).
§ Gli inglesi invece sono favorevoli ad una strategia periferica: per gli inglesi l’Italia è un
nemico, mentre per gli americani no; quindi, è preferibile secondo gli inglesi muoversi inglesi
nel “soft underbelly” dell’Asse (Italia o Balcani). L’interesse della Gran Bretagna è infatti
quello di rafforzare, come sottolineato, il loro ruolo mediterraneo in una visione postbellica.

Dal dibattito fra i leader militare e politici degli Stati Uniti e della Gran Bretagna prevale l’obiettivo
inglese, di conclusione della campagna in Nord Africa: nel 5 novembre 1942 abbiamo l’operazione
Torch, con lo sbarco anglo-americano in Marocco e Algeria.
Poi, il 6 gennaio del 1943 con la Conferenza WSC/FDR a Casablanca si pianifica lo sbarco in Sicilia,
che per gli inglesi significa eliminare il nemico italiano; inoltre, si dichiara anche l’unconditional
surrender, ovvero, la resa senza condizioni di Italia, Germania e Giappone: questa era anche una
garanzia per Stalin, poiché, si rimandava l’apertura del fronte in Francia settentrionale dato che le

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gli americani e gli inglesi non sarebbero stati in grado di sostenere tale sforzo bellico, ma al
contempo si garantiva che si sarebbe accettata unicamente una resa incondizionata da parte delle
forze dell’Asse (ovvero, che non avrebbero fatto una conferenza di pace separata, escludendo
Stalin).

Questo porta nei primi mesi del 1943 alla creazione dell’Operazione Husky, ovvero lo sbarco in
Sicilia: c’è quindi l’avvicinamento alla visione inglese strategica, rinunciando al secondo fronte in
Francia. L’importanza di questa operazione per la Gran Bretagna era chiudere il capitolo con l’Italia.
Naturalmente c’è un dibattito per l’organizzazione dell’Operazione Husky, ovvero, come
comportarsi con la popolazione liberata; l’idea è una politica di defascistizzazione, sostituendo
anche l’amministrazione pubblica:
§ L’idea americana è di governo militare, per cui saranno i militari a gestire i territori liberati;
§ Mentre gli inglesi hanno una visione politica, di post-guerra.
Prevale la visione degli Stati Uniti, con la responsabilità dei militari sulla Sicilia liberata: abbiamo la
creazione dello Allied Military Government, e il responsabile individuato dagli americani è
Eisenhower. Tuttavia, si individua anche un compromesso con l’individuazione di due “political
advisers”:
o uno è il diplomatico Robert Murphy come diplomatico degli Stati Uniti,
o e il secondo è Harold Macmillan, politico della Gran Bretagna “British Resident Minister in
the Mediterranean”.
Quindi, dal dibattito degli Stati Uniti e Gran Bretagna sulla responsabilità dell’operazione, deriva
un’accettazione inglese dell’“equal partnership”, da un’inziale “senior partnership”.

29/03/2021

Oggi concludiamo con ciò che riguarda l’inizio della Campagna d’Italia con l’invasione della Sicilia e
la caduta del fascismo, passando agli elementi successivi con l’Armistizio e il periodo di non
belligeranza.

Gli Alleati e l’Italia fino alla caduta del fascismo (1942-43)


Ci eravamo interrotti ai primi mesi del 1943 e alla preparazione dell’Operazione Husky, nome in
codice per lo sbarco in Sicilia: era importante non solo perché riguardava l’Italia, ma vi era anche la
supposizione per cui gli anglo americani si sarebbero occupati della occupazione e liberazione
dell’Europa. Vedremo poi se questo principio verrà mantenuto.
Nel novembre del 1943, anche dopo l’inizio della Campagna d’Italia si sarebbe tenuta una
conferenza a Mosca, con tre ministri degli Affari Esteri per quanto riguardava i territori liberati e
occupati: abbiamo l’accettazione del principio del coinvolgimento tripartito nell’amministrazione
dei territori. Tuttavia, i militari in loco accettavano la visione rooseveltiana per cui prevaleva il
principio di gestione angloamericana, escludendo l’Unione Sovietica.

Ultimo aspetto da ricordare, per la preparazione dell’Operazione Husky, è la propaganda americana


nei confronti del popolo italiano: il problema che gli inglesi e gli americani si posero era quale
atteggiamento avere nei confronti del popolo italiano con lo sbarco italiano.
Prevale la visione statunitense: lasciare un “ray of hope”, un raggio di speranza al popolo italiano:
ricordiamo che vi era un’influenza indiretta nella politica interna americana dovuta alla comunità
italo-americana. Quindi si doveva offrire agli italiani un raggio di speranza: se il popolo italiano si

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fosse liberato di Mussolini e complici gli angloamericani avrebbero avuto un atteggiamento più
benevolo nei confronti del popolo.
Questo, tuttavia, era in contraddizione con la resa incondizionata, offrendo un raggio di speranza:
quando vi era stata l’elaborazione di questo documento a Casablanca, infatti, Roosevelt aveva dei
dubbi nei confronti della resa incondizionata italiana.
La strategia periferica rispondeva agli interessi imperiali britannici, per cui la Gran Bretagna avrebbe
rafforzato il suo potere imperiale nel Mediterraneo, nel Medio Oriente e anche nella sponda nord:
Roosevelt aveva interpellato il governo di Londra, per non inserire l’Italia nei paesi della resa
incondizionata, ma ottenne una risposta negativa.

Dunque, Mussolini in un noto discorso del luglio del 1943 sostenne che se gli americani fossero
approdati in Italia sarebbero stati prontamente bloccati: questa, tuttavia, non è stata la realtà.
Abbiamo una resa, e i tedeschi resistono solo per qualche settimana. Nel giro di poche settimane la
Sicilia viene occupata/liberata, e la popolazione accolse gli Alleati come liberatori. In una fase iniziale
si instaura un governo alleato, con la defascistizzazione: si sostituiscono con militari angloamericani.
Va detto che la differenza si sarebbe vista rapidamente, per cui i militari americani erano in realtà
civili, quindi gli amministratori americani erano presi dalla vita normale, che venivano formati su
come amministrare un territorio occupato: quindi, portavano con loro un grande grado di
improvvisazione.

Per quanto riguarda la Mafia: in Sicilia non vi erano contatti rapidi ma erano labili, per cui i contatti
esistevano ma non erano frequenti. Quando gli Alleati si presentarono i Sicilia, in riguardo
all’amministrazione si presentarono anche mafiosi, finendo a svolgere compiti nell’amministrazione
locale. Questo però non significa che l’America avesse rapporti con la Mafia, ma per disinteresse,
superficialità o altre motivazioni, questa lacuna amministrativa locale venne riempita con mafiosi.

Quali sarebbero state le conseguenze dell’Operazione Husky?


§ Si scatena la crisi del fascismo, che già era entrato in crisi dal 1941/42 con le varie sconfitte
militari: ad esempio, la campagna di Russia e la battaglia Ala-Main;
§ l’evidente divario fra propaganda e la realtà;
§ impopolarità dell’alleato tedesco;
§ privazioni e drammi della guerra;
§ subordinazione alla Germania.

Le personalità più avvedute all’interno del regime capiscono che l’Italia è dalla parte alleata
sbagliata, che perderà la guerra, per cui si inizia a pensare a sganciarsi dall’alleanza tedesca: la paura
è infatti quella che nel dopoguerra l’Italia sarà ridimensionata, e dal punto di vista interno si teme
che sarebbero andati al potere i comunisti (sconfitti dal fascismo nel 1921). Tra la fine del 42 e i
primi mesi del 43 abbiamo quindi tentativi di contatti con Londra dei gruppi dirigenti italiani: l’idea
era che erano pronti a liberarsi di Mussolini con una pace separata, per cui non si rendevano conto
della portata ideologica di questa guerra e si richiedeva cosa avrebbero ottenuto in cambio.
Tuttavia, manca la risposta inglese: l’Italia era oggetto della politica estera e non sarebbero stati in
grado in Italia di rovesciare Mussolini.

Abbiamo quindi una svolta con lo sbarco in Sicilia, e il bombardamento di Roma del luglio del 1943,
e le autorità italiane si erano illuse che Roma non sarebbe stata bombardata per due ragioni:
o i bombardamenti avrebbero potuto colpire anche la Città del Vaticano;
o centro della cristianità, centro dell’arte che non sarebbe stato bombardato.

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Gli inglesi avrebbero bombardato tutto, ma prevalse l’idea americana: bombardare Roma e
i cattolici, in quanto centro della cristianità poteva risultare un problema. Ma con lo sbarco
in Sicilia ci si pone il problema anche dei collegamenti ferroviari e i velivoli americani
bombardano Roma, non in sé stessa, ma gli scali ferroviari (San Lorenzo, ad esempio, in
quanto nodo ferroviario particolarmente importante). Non c’è risposta aerea italiana e lo
scalo di San Lorenzo viene distrutto: il problema era che questo scalo confinava con centri
abitati, con diversi morti.

L’unica soluzione era quindi uscire dalla guerra, eliminando Mussolini: ci troviamo di fronte a due
colpi di Stato, da un lato parte dei fascisti, dall’altra alcuni gerarchi nel Gran Consiglio del Fascismo
nella notte del 24 luglio 1943 mettono in minoranza Mussolini e questi accetta. Da le dimissioni e le
presenta al Re. Mussolini viene quindi arrestato, e il Re nomina il maresciallo Pietro Badoglio capo
del governo: il primo obiettivo è l’uscita dalla guerra.
Questo dà origine ai 45 giorni badogliani, dalla caduta del fascismo all’armistizio: i 45 giorni sono
una dittatura monarchico-militare. Badoglio fa alcune scelte: si eliminano alcune istituzioni fasciste,
vengono liberati i prigionieri politici, ma allo stesso tempo si reprimono manifestazioni del popolo
anche se antifasciste.
Ancora, si teme la reazione tedesca per cui si rimane alleati: Hitler decide di mandare delle truppe
sia per difesa ma anche per l’eventualità in cui ci sia un rovesciamento delle alleanze e l’Italia
sarebbe stata spartita. Questo pone il Re e Badoglio in una situazione critica.

Dall’Armistizio alla fine della guerra nel 1945

L’uscita dell’Italia dalla guerra: dal 25 luglio all’8 settembre alla co-belligeranza

Vediamo cosa è accaduto in questo periodo: il tentativo italiano di uscire dalla guerra. Abbiamo già
ricordato che l’obiettivo di Badoglio è uscire dalla guerra con alleati gli americani per evitare le
conseguenze di una sconfitta, a cui corrisponde la risposta tedesca con il Piano Achse.

La prima reazione alleata alla caduta di Mussolini è di sorpresa, perché come detto non si riteneva
possibile una tale ipotesi. Abbiamo la Conferenza fra Churchill e Roosevelt a Québec, per cui
dichiarano pubblicamente che un primo passo era stato fatto ma il passo successivo era l’uscita dal
conflitto con una pace separata (ancora una volta in contraddizione con la visione della resa
incondizionata). Questo ha creato una certa confusione anche all’interno del governo italiano.
Roosevelt e Churchill delegarono ai militari angloamericani l’uscita dalla guerra dell’Italia. Il progetto
dei militari angloamericani è dapprima l’armistizio “corto”: un documento generico, accettabile
dagli italiani; ma contemporaneamente a questo sussegue ed è legato un armistizio “lungo” ovvero
un documento duro assimilabile ad una resa incondizionata. L’idea è che agli italiani sarebbe stato
reso noto l’armistizio corto, ma che al contempo prevedeva una clausola con la firma dell’armistizio
lungo che però non è stato reso noto.

Il governo Badoglio tenta un nuovo sondaggio, e abbiamo nuove iniziative italiane: la prima è la
missione del generale Castellano a Lisbona e la missione del generale Zanussi in Nord Africa.
Gli inglesi capiscono che Castellano rappresenta un negoziatore italiano, e Castellano mostra una
serie di mappe con la dislocazione delle truppe tedesche in Italia: gli angloamericani accettano
questa negoziazione.

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Badoglio e il Re non avevano più notizie di Castellano (il quale non poteva comunicare dato che le
linee erano controllate dai tedeschi), per cui procedono con la seconda iniziativa. I militari
angloamericani non capiscono chi sia il negoziatore, se Castellano o Zanussi, a cui viene mostrato il
lungo armistizio.

Castellano torna a Roma, e Badoglio e il Re accettano il corto armistizio: Castellano si reca in Sicilia,
e firma a Cassibile in Sicilia a nome di Badoglio e del Re il corto armistizio.
L’Italia richiede però anche una difesa angloamericana dalla reazione tedesca:
o gli angloamericani accettano con dubbi anche la prospettiva di difesa; l’8 settembre con
un’operazione segreta, Taylor, giunge alla residenza di Badoglio per domandarsi se l’Italia
abbia preparato qualcosa per l’operazione aviotrasportata di difesa angloamericana.
o Tuttavia, il governo italiano non ha preparato nulla: si tenta di convincere gli angloamericani
a rimandare l’annuncio ma ricevono una risposta negativa, per cui se non l’avessero fatto
loro l’avrebbero fatto gli angloamericani. Gli angloamericani inoltre rimandano l’operazione
aviotrasportata di difesa poiché poco sicura.
o Badoglio e il Re scappano, per paura della reazione tedesca e rilasciano un annuncio “vago”:
gli italiani avrebbero risposto ad ogni attacco.
o La risposta tedesca è dura, con prigionieri italiani portati nei campi di concentramento; nei
casi più fortunati si adotta la politica del “tutti a casa”;
o Abbiamo una disgregazione dello stato, con i comandi all’estero che provavano a contattare
i ministri a Roma, senza ottenere risposta poiché tutti son scappati.
Si è alleati dei nostri ex-nemici e nemici degli ex-alleati.

Veniamo alla situazione politica: abbiamo il panico a Roma con la fuga di Badoglio e della famiglia
reale i quali riescono a raggiungere Pescara, poi Ortona, e raggiungono Brindisi; Brindisi fu scelta
perché i tedeschi se n’erano andati e gli angloamericani non erano ancora giunti: si da di Brindisi la
definizione di capitale del Regno del Sud fino all’aprile del 44.
Mussolini viene liberato, in questa situazione di caos, e con Hitler si decide di instaurare la
Repubblica di Salò.
L’Italia è in una situazione particolare: è una nazione nemica sconfitta per gli alleati fino alla firma
della Pace, nonostante la co-belligeranza.

Dal punto di vista militare: abbiamo sbarchi in Calabria e Puglia degli angloamericani che non
incontrano resistenza tedesca; importante è l’Operazione Avalanche con lo sbarco a Salerno e una
dura battaglia. Ai primi di ottobre Napoli è liberata. In autunno la situazione di stabilizza lungo la
Linea Gustav, che aveva il suo punto di forza a Montecassino: attorno all’abbazia i tedeschi creano
una resistenza particolarmente forte e gli alleati scontrandosi con questa resistenza non riescono
ad andare avanti. Nel Gennaio del ’44 abbiamo l’operazione Shingle: gli alleati sbarcano ad Anzio
per colpire i tedeschi alle spalle, ma sono troppo lenti per cui vengono bloccati dai tedeschi.
Dunque, per diverso tempo gli alleati angloamericani rimangono bloccati lungo la Linea Gustav.

Nonostante la logica della resa senza condizioni, e nonostante gli armistizi, a questo punto gli
angloamericani si trovano di fronte a un problema: i contatti con il governo del Re e i contatti con il
governo militare alleato. Quello che ci interessa di più è la visione politica: in un certo momento gli
alleati si ritrovano ad aver a che fare con questo problema.
Quindi, che tipo di rapporti mantenere? Gli americani creano la ACC per mantenere i rapporti con il
governo del Re e degli alleati; questa istituzione è guidata da un generale britannico. Ci si trova di
fronte a una situazione nel Sud singolare.

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Emerge rapidamente il problema degli angloamericani di che rapporti mantenere con il movimento
antifascista: nel breve intervallo dei 45 giorni di Badoglio erano stati liberati oppositori fascisti, che
avevano formato 6 partiti antifascisti.
Abbiamo quindi tre partiti a destra con la Democrazia del Lavoro, il Partito Liberale, la Democrazia
Cristiana, e tre partiti di sinistra con il Partito d’Azione, il Partito Socialista e il Partito Comunista. Si
creano inoltre comitati di liberazione nazionale: il primo è il Comitato Alta Italia di Milano,
clandestino su posizione di sinistra, il Comitato Centrale di Liberazione con sede a Roma anch’esso
clandestino, ed infine il Comitato di Liberazione di Napoli, il quale era il più moderato in cui
l’influenza di Croce era molto forte.
La posizione dei Comitati di Liberazione Nazionale era di contrarietà alla monarchia, in quanto sono
stati complici del fascismo: per quanto il Comitato di Napoli era più favorevole a mantenere la
monarchia.

30/03/2021

Con la lezione di ieri abbiamo concluso ricordando come dopo le operazioni militari che hanno
condotto all’avvio della Campagna d’Italia ci sia stata una fase di stasi: dopo aver liberato Napoli gli
Alleati si sono bloccati lungo la linea di Gustav.

Dopo la Conferenza di Teheran Churchill è stato praticamente costretto ad aprire il secondo fronte
in Francia: le truppe migliori saranno ritirate dal fronte italiano per partecipare al secondo fronte
con lo sbarco in Normandia, perché si riteneva fosse il momento in cui si sarebbe sconfitto il
nazismo.
Quindi dal ’44 il fronte italiano viene considerato in secondo piano, mancando dell’omogeneità che
si era verificata con lo sbarco in Sicilia.
Il fatto che sia un fronte secondario avrà delle conseguenze anche politiche, poiché verrà meno
l’interesse americano, e ci sarà un ruolo politico più significativo inglese nell’ambito italiano.

Detto questo torniamo all’ultimo argomento trattato ieri: la situazione era complessa, perché vi
erano vari attori che si contendevano il controllo dell’Italia meridionale. L’attore più importante è
rappresentato dal governo militare alleato, il governo del Re rappresentato da Badoglio e la
monarchia; gli angloamericani, inoltre, una volta liberata la parte meridionale si trovano davanti al
fatto che hanno uno scarso numero di militari amministratori e al contempo la necessità di gestire
territori ampi: la tendenza è stata quella di delegare alcuni compiti a ciò che restava delle strutture
italiane per mantenere l’ordine pubblico. Questo implicava il relegare il controllo ad esempio
all’Arma dei Carabinieri, che rispondeva al governo del Badoglio.

Ci si pose anche la questione se gli italiani dovessero combattere al fianco degli Alleati, considerando
che il Regno del Sud aveva dichiarato guerra alla Germania: l’armata navale italiana ad esmepio si
era rifugiata nei porti degli Alleati; cosa fare? In realtà nelle prime settimane dopo l’8 settembre
erano state le stesse forze militari italiane a chiedere al governo Badoglio di non rimanere neutrali;
queste pressioni dopo lo Sbarco a Salerno gli angloamericani erano condizionati dal liberare l’Italia
velocemente ma essendo poche le forze ormai rimanenti portano a pensare che non si possa
ricostiuire una forza armata italiana.
Inoltre, dal punto di vista inglese questo avrebbe potuto portare delle complicazioni, come il fatto
che gli italiani avanzassero delle richieste.

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Comunque, le unità della Marina vennero utilizzate ma come pattugliamento dell’area del
Mediterraneo: un ruolo particolarmente debole che al contempo indica come anche il governo del
Re fosse anch’esso debole.

L’Italia e gli Alleati dall’8 settembre alla liberazione di Roma (1943-1944)

Dunque, abbiamo la “Svolta di Salerno”: diventa la nuova capitale del Regno del Sud, con lo
spostamento di Badoglio a Salerno. Quindi al momento in Italia abbiamo:
o i militari angloamericani anche se la posizione di Londra e di Washington non sempre
combacia,
o il governo del Sud,
o i Comitati di Liberazione Nazionale, movimento antifascista.

Quest’ultimi avevano avanzato una richiesta fondamentale: che Badoglio e il Re si ritirassero, per
dare avvio a una Repubblica. Ricordiamo che però il Comitato di Napoli riteneva che Badoglio e il Re
se ne dovessero andare ma mantenendo una monarchia.

Si tiene a Bari un congresso antifascista, e stesero una dichiarazione con una presa di posizione
antifascista in cui venne confermata l’ostilità nei confronti del governo Badoglio, e gli antifascisti
non avrebbero partecipato al fianco del governo Badoglio poiché questi era stato al fianco di
Mussolini.

Le cose sarebbero cambiate in tempi molto rapidi. In realtà i primi a muoversi velocemente sono
stati proprio il Re e Badoglio: il governo una volta instauratosi a Brindisi vede Badoglio dare nuova
vita a un’istituzione che era stata abolita d Mussoli: il Segretario Generale degli Affari Esteri, e il
ruolo viene affidato a Prunas. Prunas e Badoglio si rendevano conto che il governo del Re era debole
e fosse sotto “controllo” della presenza angloamericana.
Ma nella misura in cui il governo rimaneva soggetto agli angloamericani questo avrebbe provocato
la sfiducia del popolo e anche la caduta della monarchia, anche se questo non era l’obiettivo di
Prunas e Badoglio. Quindi, la prospettiva di Prunas e Badoglio era come rafforzare il governo
Badoglio.
Nel gennaio del ’44 abbiamo incontri fra Prunas e Vishinskij, in cui il primo manifestava che il
governo non fosse contento della situazione, per quanto si schierasse contro alla Germania, ma
riteneva che il governo Badoglio dovesse avere più controllo nel Regno del Sud: questo fa trasparire
che gli italiani vogliono un accordo con l’Unione Sovietica. Ma in realtà questo non porta a risultati.

Inoltre, nel marzo del 1944 abbiamo un incontro con Stalin e Togliatti: da questo deriva una nuova
posizione del PCI, mantenendo anche dopo un buon rapporto con Stalin. Togliatti rappresentava
quindi un uomo di cui Stalin aveva fiducia, e nell’incontro Stalin suggerì a Togliatti che fosse
opportuno che il PCI non si opponesse al governo Badoglio, accettando di collaborare; questo
rientrava in una strategia più ampia di Stalin: offrire al governo del Re il riconoscimento diplomatico,
che gli Alleati non avevano dato, gli Alleati non avevano riconosciuto diplomaticamente il governo
del Re, in cambio del fatto che Togliatti potesse ritornare in Italia e prendere il controllo del PCI.
Quali erano le motivazioni di Stalin? Vi sono diverse interpretazioni storiografiche, fra cui il rientro
di Togliatti in Italia che controllando il PCI sarebbe stato legittimato politicamente (che inizialmente
erano un piccolo gruppo di rivoluzionari).

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Infatti, al rientro in Italia Togliatti afferma che il PCI sarebbe stato pronto a collaborare con il governo
di Badoglio se questi avessero combattuto contro i nazifascisti. Però, cambia anche l’idea del PCI:
un’apertura, trasformando il PCI in un partito di massa.
Cambia anche l’atteggiamento dei fascisti, che possono iscriversi al PCI. Non dimentichiamo il
passaggio degli intellettuali che nel dopoguerra si iscrivono al PCI anche se prima avevano giurato
fedeltà al fascismo.
Cambia la situazione politica in Italia, poiché gli altri partiti antifascisti rimangono spiazzati e
cambiano posizione in riguardo alla collaborazione con il governo Badoglio.

Quale fu la reazione degli angloamericani? È differente la reazione fra Washington, Londra e il


governo militare alleato
§ la reazione di Roosevelt è stata positiva, perché avevano sempre sostenuto un governo
antifascista, per cui la partecipazione forte di antifascisti al governo del Re sarebbe stata
positiva
§ Churchill era invece negativo, non considerava gli antifascisti uomini di potere, ma fu
rassicurato dal fatto che Badoglio rimanesse il governo: questo perché era una
rassicurazione poiché Badoglio aveva firmato l’armistizio lungo;
§ la commissione di controllo in Italia invece si preoccupò, perché la vedeva come una
maggiore presenza del PCI.

Si tenta di mediare e trovare il compromesso per cui il Re si ritirasse, lasciando spazio soprattutto al
figlio, Umberto principe di Napoli; viene creata la figura del luogotenente del Regno che è una figura
di situazione di emergenza, e alla liberazione di Roma il Principe sarebbe diventato luogotenente
ma non Re.

Quindi, gli angloamericani avevano trovato un compromesso, Badoglio restava e rendeva felice gli
inglesi, era poi stato riconosciuto dall’Unione Sovietica, e si era allargato il governo Badoglio.
Ma questo compromesso dura pochi mesi, con le svolte militari: riprendono le azioni militari degli
angloamericani sulla Linea Gustav. Con Montecassino si rimette in moto l’avanzata degli
angloamericani, e tra il giugno del ’44 e l’agosto del ’44 riescono a raggiungere Roma e la liberano,
e poi Abruzzo, Marche, Umbria e Toscana giungendo alla liberazione di Firenze, fermandosi sulla
linea Gotica. La liberazione di Roma era anche una questione politica, poiché si liberava la Capitale
d’Italia.

Cosa implicava sul piano politico? A Roma giunge il governo Badoglio, allargato dalla presenza
antifascista. Il governo Badoglio insieme alla Commissione alleata di controllo pensavano di
insediarsi, ma quando giungono si trovano di fronte a una situazione politica diversa poiché hanno
a che fare con i Comitati di Liberazione Nazionale che erano stati in clandestinità fino a quel
momento. Questi richiedevano le dimissioni di Badoglio, e il governo doveva essere guidato da
un’antifascista: per un paio di giorni ci furono dei negoziati difficili e tempestosi, e la Commissione
alleata di Controllo accettò le richieste degli antifascisti: Badoglio fu costretto a dimettersi, e venne
firmato un nuovo governo con i sei partiti e i Comitati di Liberazione e come Primo Ministro
un’esponente dell’antifascismo, indicato dal CCNL, che era Ivanoe Bonomi.
L’ACC accetta la prospettiva ma chiede in cambio la tregua istituzionale, poiché si sapeva che il
problema era la monarchia e che gli antifascisti erano favorevoli alla Repubblica. Sapendo di queste
difficoltà l’ACC richiede una tregua istituzionale: fino a quando la guerra non sarebbe finita gli
antifascisti non avrebbero potuto sollevare questa questione (Dl 151).

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Naturalmente ci si chiede la reazione di Londra e Washington:
§ la reazione americana è nuovamente positiva, essendo un processo di democratizzazione e
favorevoli agli antifascisti;
§ a Churchill questo irritò: per gli inglesi contava l’armistizio lungo, e mettere da parte Badoglio
significava mettere da parte colui che aveva firmato l’armistizio; Churchill finisce per
accettare Bonomi e quest’ultimo accettò l’armistizio lungo.

Ancora una volta la questione non era il dopoguerra e l’inizio della guerra fredda, ma chi avrebbe
controllato l’Italia, che agli americani non interessava.
Churchill, scontento per il gen. MacFarlane lo sostituisce con Ellery Stone (ingegnere e alto
funzionario di una compagnia telefonica americana). Stone aveva un atteggiamento più benevole
nei confronti degli italiani che avrà un’influenza sull’atteggiamento della ACC.

Con la liberazione di Roma la burocrazia italiana riinizia a funzionare, che diventa monarchica. Il caso
più evidente è quello della diplomazia italiana: dopo l’8 settembre resta nella stragrande
maggioranza rimane fedele alla Monarchia.
Questo implicava che il governo Bonomi, anche se antifascista per maggioranza, era influenzato
dalla burocrazia, che rappresentava come una continuità fra fascismo e monarchia che non era
accettato dagli antifascisti, che puntavano ad una rottura.
Gli alleati si trovano coinvolti in questo dibattito: l’aspetto più interessante fu quello che capitò con
la liberazione di Firenze; l’intenzione dei CCNL nel liberare città era soprattutto quella di sostituire i
funzionari con antifascisti, per cui quando gli angloamericani arrivano a Firenze trovano che i CCNL
hanno già sostituito i funzionari, e Bonomi nel mentre aveva inviato dei funzionari. Chi scegliere? Gli
Alleati assumono un atteggiamento pragmatico: a loro interessava che fossero moderati, e che
assicurassero retrovie sicure, che mantenessero l’ordine pubblico, per cui non interessava loro il
colore politico e lasciano ai loro posti i funzionari dei CCNL.
C’era una differenza ovviamente fra gli amministratori inglesi e americani, poiché i primi
provenivano dalle colonie ed erano molto precisi ed efficienti mentre gli americani più easy going.
Il caso più noto è Charles Poletti che era favorevole agli italiani, non solo perché era italo-americano,
ma era anche vicegovernatore di New York, per cui pensava anche all’elettorato italo-americano.
Ma in generale l’esercito americano era più favorevole, e nell’immaginario collettivo italiano sono
gli americani i liberatori (anche se non erano solo questi e non erano la maggioranza).
Questo avrà conseguenze anche nel dopo guerra con il Piano Marshall e con l’influenza del mito
americano in Italia.

L’Italia e gli Alleati dalla liberazione di Roma alla fine della guerra (1944-1945)

Torniamo quindi alla posizione del governo Bonomi, cerca di recuperare spazio di manovra: si
capisce che il futuro dell’Italia sarà deciso dai vincitori. Il governo italiano deve cercare di ottenere
spazio di manovra per ottenere una pace onerosa, e abbiamo tentativi del governo Bonomi di
imporsi agli Alleati, fra cui una scelta è quella della nomina di Ambasciatori politici: si prendono
esponenti antifascisti e si nominano in alcune capitali importanti per trasmettere l’idea che l’Italia
non è più fascista e che nel dopoguerra non potrà essere punita.

Nell’estate del ’44 Churchill compie una visita nell’area del Mediterraneo, e giunge anche a Roma:
si incontra con il Papa, con Bonomi, e da qui ci sono le prime avvisaglie della guerra fredda. Infatti,
gli si rende noto della crescente presenza e forza del PCI. Perché Churchill si preoccupa? Perché
quasi contemporaneamente nel fronte orientale i sovietici sono arrivati nel fronte polacco; abbiamo

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l’insurrezione a Varsavia con l’occupazione nazista e alla richiesta di Churchill a Stalin di far
intervenire le sue truppe, Stalin si rifiuta. L’intenzione di Stalin è di lasciar fare i tedeschi, così
Varsavia viene distrutta e i tedeschi eliminano l’insurrezione anticomunista.

Questo fa pensare a Churchill che la questione dell’Unione Sovietica sarà molto delicata, e allora
anche in Italia è preferibile favorire i partiti moderati. Come rafforzarli? Questo è importante perché
non vogliono fare delle concessioni, data la politica punitiva: le uniche concessioni potrebbero
essere economiche, ma gli inglesi non hanno le risorse.
Allora, nell’incontro di Hyde Park gli inglesi e americani, con la politica del New Deal for Italy, si
stabiliscono degli aiuti economici all’Italia. Questo anche perché Roosevelt si avvicinava alle elezioni
per cui aveva necessità dei voti, nuovamente, degli italo-americani.
Quindi, l’Italia viene inserita nel programma degli aiuti UNRRA, e gli angloamericani passano la
responsabilità amministrativa al governo Bonomi.

Il 4 novembre del ’44 abbiamo la crisi del governo Bonomi: Bonomi fa delle dichiarazioni a favore
della monarchia ed i partiti di sinistra protestano essendo una violazione della tregua e decidono di
ritirarsi dal governo; i comunisti sono più prudenti e moderati. Corre la voce della candidatura di
Sforza, ma gli inglesi per le vicende precedenti non si fidano di Sforza e mettono il veto (condanna
degli americani dell’interferenza inglese).
Questo aspetto è importante perché il governo Bonomi vede la nomina di Alcide de Gasperi a
ministro degli Esteri.
A partire dalla liberazione di Roma, il Vaticano ha la possibilità di esprimersi liberamente, e in
maniera cauta sostiene Alcide de Gasperi: con questo sostegno forte del Vaticano, Alcide de Gasperi
si presenta come una delle persone che fortemente saranno presenti nell’Italia del dopoguerra.

Veniamo all’ultimo tema: i rapporti con la resistenza italiana e gli Alleati. I rapporti con la Resistenza
sono gestiti dal britannico Special Operations Executive (SOE) e dall’americano Office of Strategic
Services (OSS): aviolanci e missioni con ufficiali inglesi o americani che partecipano alle formazioni
partigiane. In linea di massima la logica era che sostenevano le formazioni partigiane più efficiente,
che militarmente sono più utile, indipendentemente che fossero socialiste, comuniste, cattoliche.
L’atteggiamento è quindi pragmatico.
Naturalmente nell’estate del ’44 c’è un forte sostegno, anche dovuto ad un aspetto climatico che
favorisce gli aiuti.
Per gli Alleati i compiti della Resistenza erano il soccorso dei militari alleati, il sabotaggio (delle vie
di comunicazione) e la raccolta delle informazioni: non erano invece concordi alle repubbliche
partigiane.

Quindi quando gli angloamericani si formano sulla linea Gotica, Alexander invia un proclamo che
sostiene la fine degli aiuti ai partigiani e si consiglia che le forze partigiane si sciolgano.
Il proclama di Alexander è visto dal punto di vista storiografico come un’avvisaglia del dopoguerra e
della Guerra Fredda, mentre per altri è vista come una semplice logica militare.

Nel novembre/dicembre del 1944 abbiamo un accordo con l’alto comando alleato: sostegno
economico e riconoscimento delle nomine dei CLN alla liberazione ma con il disarmo la
smobilitazione delle unità partigiane.

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L’Italia nell’immediato secondo dopoguerra: politica interna e politica
estera (1945/1946)
Politica interna:
§ nomina di Alcide de Gasperi a ministro degli Esteri del II governo Bonomi;
§ giugno 1945: formazione del governo Parri (conseguenza del vento del Nord) con De Gasperi
che si mantiene agli Affari Esteri;
§ dicembre del 1945: dimissioni del governo Parri e formazione del primo governo de Gasperi
che ha l’interim degli Esteri;
§ giugno 1946: referendum istituzionale e vittoria della Repubblica, con elezione
dell’Assemblea Costituente.

Politica estera:
§ nomina degli ambasciatori politici (Tarchiani a Washington, ecc.)
§ l’immagine dell’Italia (esperienze militari, il cinema del neorealismo, l’influenza della cultura
di massa americana come cinema, musica, letteratura);
§ problemi nella Valle d’Aosta e lungo il confine orientale (occupazione jugoslava di Trieste)
§ conferenza di Postdam (luglio/agosto 1945), creazione del Council of Foreign Ministers;
verso la redazione dei trattati di pace (Italia, Finlandia, Bulgaria, Romania e Ungheria).

31/03/2021

Il dopoguerra (il Trattato di Pace e il Piano Marshall)

L’Italia e il Trattato di Pace (1945/1946)

Le fasi dell’elaborazione e dell’attuazione del Trattato:

1. Conferenza interalleata di Potsdam nel luglio/agosto 1945: sappiamo che a Postdam si riunì
l’ultima delle grandi tre potenze interalleate vincitrici (la prima è quella di Teheran, la
seconda quella di Yalta); viene ricordata anche perché c’è un cambio di leadership: non
abbiamo più Roosevelt, ma nell’aprile viene sostituito da Truman il suo vicepresidente, e
anche per la Gran Bretagna all’inizio dell’incontro è ancora nelle mani di Churchill ma nello
stesso mese dopo 10 anni vince alle elezioni il partito laborista e Churchill viene sostituito da
Clement Heatly.
Va ricordato che la questione italiana è definibile una questione marginale: i tre grandi erano
più interessati ad altri problemi come il futuro dell’Europa centro orientale, il Pacifico, il
futuro delle Nazioni Unite. Viene presa la decisione, in una dichiarazione, che la posizione
dell’Italia era diversa rispetto a quella degli altri alleati della Germania: la posizione dell’Italia
veniva posta accanto a quella che erano i satelliti della Germania, ma con Potsdam si ritiene
che l’Italia ricopra una posizione differente perché si riconosceva che per due anni l’Italia
aveva combattuto accanto agli Alleati. Va detto naturalmente che questo era ciò che gli
italiani speravano di conseguire, una posizione differente rispetto agli altri, perché implicava
che il trattato di pace italiano non sarebbe stato punitivo o oneroso.

2. Conferenza dei ministri degli Esteri di Londra nel settembre del 1945;
3. seguita poi da una Conferenza a Mosca nel dicembre del 1945;

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La speranza di un trattato non punitivo per l’Italia venne poi in realtà smentita con queste
due conferenze. Dobbiamo ricordare, inoltre, che nell’occasione della Conferenza di Mosca
i vincitori rilasciarono una dichiarazione che smentiva ciò che era stato dichiarato a Potsdam:
la posizione italiana si poneva allo stesso livello degli altri stati alleati. Perché questo accade?
Per spinta dell’Unione Sovietica, perché i paesi che stavano per rientrare nella sua sfera
d’influenza avessero la stessa posizione dell’Italia che non sarebbe stata sotto la sua sfera di
influenza.
Ricordiamo ancora che l’Italia è una nazione sconfitta sottoposta a regime di occupazione
dagli americani e gli inglesi fino alla firma del trattato di pace.
Nell’ambito poi di queste conferenze, i grandi compresa la Francia, affrontano la questione
del trattato di pace rispetto a come sistemare l’Europa e soprattutto la Germania: il trattato
di pace della Germania è il primo in cui si scontrano le due parti, per cui si decise che prima
sarebbero stati redatti i trattati di pace con gli altri stati e poi avrebbero affrontato la
questione tedesca in quanto più complessa. Si stabilì anche lo strumento con il quale
avrebbero redatto il trattato: si crea un organismo a doc, il Consiglio de ministri degli esteri
delle grandi potenze.

4. il Consiglio del Ministro degli Esteri delle quattro potenze di Parigi nella primavera del 1946;
Quindi, ciò significa che sono le quattro potenze a decidere il futuro e le direzioni del trattato
di pace: l’Italia è oggetto delle trattative ma non partecipa; questo non significa che l’Italia
sia passiva, ma l’Italia fece ogni sforzo e mantenne rapporti ed iniziative nei confronti degli
Alleati.

5. Conferenza dei Ventuno di Parigi nell’estate del 1946;


Una volta elaborato il Trattato di Pace, venne poi presentato in una successiva conferenza,
che prende nome dal numero dei partecipanti: in questo ambito venne concesso all’Italia di
esprimere la propria opinione.
Ma in realtà, la conferenza dei Ventuno, pur ascoltando le critiche, non modifica le direttive
del Trattato.

6. Conferenza dei Ministri degli Esteri delle quattro potenze di New York, in cui viene redatto il
trattato finale;

7. Il Trattato di Pace viene firmato dall’Italia a Parigi nel 1947, il 10 febbraio;


Un momento critico per l’Italia.

8. Nel luglio del 1947 abbiamo la ratifica del Trattato dell’Assemblea Costituente;

9. Entra in vigore il trattato di pace nel novembre 1947.


Con la ratifica di tutti gli stati entra in vigore il Trattato di Pace.

Siamo costretti a sintetizzare il processo negoziale, e in primo luogo prendiamo in considerazione le


posizioni italiane che sono state espresse fino dall’estate del 1945 da De Gasperi: possiamo fare una
differenziazione in tre grandi temi, di natura militare, economica, ed infine territoriale (quest’ultime
creeranno maggiori problemi per l’Italia).

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Questioni militari: gli italiani sostenevano che se i vincitori avessero posto limitazioni di tipo militare
l’Italia non sarebbe stata d’accordo; tra l’altro sostenevano che l’Italia democratica sarebbe stata
un paese che avrebbe rifiutato lo strumento della guerra per la risoluzione delle controversie
internazionali e che avrebbe utilizzato lo strumento militare solo per difendersi.
o In questo ambito vi era un problema sentito: quello della flotta. La flotta, almeno una parte
si era salvata e rifugiata nei porti alleati soprattutto a Malta, e rappresentava ancora una
discreta forza militare non disprezzabile; e non dimentichiamo che la Marina era stata quella
tra le forze armate meno fasciste e più fedele al re, per cui si desiderava che la Marina
mantenesse la sua consistenza. Ed inoltre perché anche le forze politiche temevano le
reazioni della Marina, che avrebbe potuto avere una reazione a seguito del Referendum sulla
Repubblica.

Questioni economiche: non erano a favore delle riparazioni per ragioni politiche ed economiche.
Infatti, sulla base dei danni che il fascismo aveva provocato, i paesi colpiti ritenevano che questi
danni dovessero essere risarciti: vi era la convinzione che l’Italia dovesse essere sottoposta alle
riparazioni, richieste specialmente dai paesi colpiti ed anche dalla Francia, e i paesi poco sensibili
erano la Gran Bretagna e Stati Uniti.

Questioni territoriali: gli italiani erano molto sensibili a queste questioni; già la Francia aveva
puntato al controllo della Valle d’Aosta, ma gli angloamericani si erano opposti perché il territorio
italiano liberato dagli angloamericani doveva essere sottoposto al controllo di quest’ultimi.
Nella primavera del 1945 le truppe di Tito occupano Trieste per circa una quarantina di giorni e vi è
inoltre la reazione jugoslava, che fu quella di pulizia etnica e le comunità italiane vennero
perseguitate e la repressione fu violenta e brutale fino all’eliminazione fisica con le foibe. Quindi,
Trieste viene liberata dalle forze di Tito sotto un ultimatum degli angloamericani, ma ancora una
volta, non perché vi fosse benevolenza per gli italiani, ma si fidavano poco di Tito e Trieste doveva
essere controllata dagli angloamericani perché rappresentava uno snodo portuale fondamentale
(una linea di comunicazione con l’Austria).
o Le posizioni dell’Italia di fronte a queste rivendicazioni: per quanto riguarda la Francia questi
richiedevano mutamenti di confine, e la posizione italiana era negativa e le richieste francesi
erano ingiustificate.

o Per quanto riguarda il fronte orientale: si fa riferimento alla linea Wilson, per cui metà della
penisola istriana sarebbe rimasta all’Italia, quindi, l’Italia chiedeva l’applicazione della linea
Wilson e il mantenimento di Trieste e Gorizia.

o Il Sud-Tirolo: l’obiettivo degli angloamericani è la ricostituzione dello stato austriaco


indipendente, ed una volta ricostituito gli austriaci avanzano la richiesta dell’annessione del
Sud-Tirolo, basata sul principio di nazionalità e autodeterminazione. L’Italia invece ritiene di
dover mantenere la sovranità su questo territorio: per ragioni politiche non si capiva perché
favore l’Austria visto che l’Italia era poi passata al fianco degli Alleati (come disse Roosevelt
aveva “pagato il biglietto”); e gli stessi sud-tirolesi dopo l’8 settembre denunciavano gli
italiani per far sì che i tedeschi li facessero prigionieri per poi portarli nei campi di
concentramento. Inoltre, a livello economico l’Italia aveva fatto una serie di investimenti, ad
esempio a livello idro-elettrico.

o L’ultima questione è relativa al futuro delle ex-colonie italiane: dal 41 al 43 l’Italia aveva
perso le colonie, Eritrea, Somalia, Libia che sono passate sotto il controllo inglese. Già dal

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1945 era chiaro che ci fossero ambizioni inglesi, ed in questo caso secondo l’Italia invece tali
territori devono rimanere sotto il controllo italiano: questo perché non erano stati ammessi
dall’Italia fascista, ma nel periodo precedente prefascista. Vi erano poi le solite ragioni
sostenute dagli italiani: l’Italia aveva modernizzato e civilizzato questi territori, aveva
investito per sviluppare economicamente queste colonie, erano uno sbocco per il surplus di
manodopera italiana. Perciò l’Italia ritiene che le colonie prefasciste debbano restare sotto
il controllo italiano.

Quali erano le posizioni dei vincitori, delle quattro potenze vincitrici:

1. Partiamo dalla Francia: era favorevole sia alle limitazioni militari sia alle riparazioni;
richiedeva i territori al confine della Francia-Italia.
Era inoltre favorevole alle colonie sottoposte al controllo italiano, sia per paura di una
diffusione del controllo inglese sulle colonie sia per una questione di indipendenza libica.
Per quanto riguarda la linea orientale: Trieste doveva rimanere sotto la sovranità italiana.

2. Gran Bretagna: favorevole alle limitazioni militari ma non alle riparazioni, pur essendo
disposta ad accettare le tesi altrui. Simpatia verso l’Austria sul Sud-Tirolo, e neutrale alle
richieste francesi.
Ovviamente, per la questione delle colonie il controllo non doveva essere mantenuto
dall’Italia. Per quanto riguardava la linea del confine orientale non era troppo favorevole
all’Italia ma non riteneva che Trieste dovesse passare alla Jugoslavia.

3. L’Unione Sovietica: favorevole alle limitazioni militari e soprattutto alle riparazioni da parte
dell’Italia; neutrale sul confine italo-francese; ritiene necessaria l’amministrazione
internazionale sulle colonie. Per quanto riguarda il confine orientale è sostenitore di Tito, ma
per il Sud-Tirolo inizialmente sostiene una posizione filoaustriaca ma poi una pozione
filoitaliana (anche per una questione di bilanciamento).

4. Stati Uniti: accettano le limitazioni militari ma erano contrari alle riparazioni. Erano neutrali
sulla questione del confine italo-francese, e sulla linea Wilson erano maggiormente
favorevoli all’Italia più che alla Jugoslavia (quindi Trieste all’Italia). Per quanto riguarda le
colonie si allineano alla posizione inglese.
Infine, per la questione del Sud-Tirolo erano tendenzialmente favorevoli all’Italia.

Quali sarebbero state le decisioni definitive sul Trattato di Pace?

§ In primo luogo, si accetta l’ipotesi delle limitazioni alle forze armate italiane e lo
smantellamento delle strutture armate al confine. La flotta viene spartita, punto
particolarmente sensibile per l’Italia come visto.
§ Clausole economiche: riparazioni a favore soprattutto dell’URSS.
§ Clausole territoriali:
o Modifiche territoriali a favore della Francia (Briga e Tenda);
o Sud-Tirolo: unico ambito in cui gli italiani ottengono qualcosa di positivo, ed ottengono
le parti di territorio dove principalmente la popolazione parlasse italiano; si invitavano
però gli italiani e gli austriaci a stringere un accordo bilaterale sulle minoranze di questi

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territori: su questa spinta ci fu un negoziato fra Italia e Jugoslavia, fra Alcide de Gasperi
e il Ministro degli Esteri Gruber. Nel settembre del 1946 abbiamo l’accordo De Gasperi-
Gruber, e tale accordo viene annesso al trattato di pace. Cosa prevedeva questo
accordo? Gli austriaci riconoscevano la sovranità nel Sud-Tirolo ma l’Italia si impegnava
a garantire i diritti della minoranza tedesca.
(Questo è importante per la questione verrà riportata negli anni ’60 dall’Austria: i sud-
tirolesi sosterranno che gli italiani non hanno garantito i dovuti diritti).
o Si accetta la linea di confine francese; ma per Trieste non si trova un accordo per cui
Trieste diventa un territorio internazionalizzato, con la nomina di un governatore da
parte dell’ONU su quello che sarebbe stato il Territorio Libero di Trieste (tuttavia, tale
territorio non verrà creato e rimane al momento diviso sotto amministrazione militare
americana e inglese, e l’altra jugoslava, Zona A e Zona B).
o Sul futuro delle colonie nuovamente non si trova un accordo: si decide che una volta
ratificato il trattato si sarebbe creata un Commissione d’inchiesta che avrebbe accertato
nelle colonie cosa queste preferissero, e a seguito della stesura del rapporto si sarebbe
presa una decisione a livello ONU.

L’Italia e la fase di transizione verso la guerra fredda (1946/1947)


Gli italiani considerarono il Trattato di Pace una grave ferita e venne accettato a malincuore: non fu
firmato da un uomo politico, ma lo firmò un diplomatico, per dimostrare che l’Italia non riconosceva
la giustezza del Trattato di Pace.
Vi furono delle forti difficoltà nell’Assemblea costituente anche per la ratifica, e prevalse la ragione
di De Gasperi per cui fosse necessario firmarlo e ratificarlo: questo perché la situazione
internazionale sarebbe mutata, e la ratifica ed entrata in vigore dal Trattato avrebbe concesso
all’Italia di poter uscire dal regime di paese sconfitto sottoposto ad occupazione.

Quello che ci interessa a questo punto è appunto il cambiamento della situazione internazionale: ci
troviamo nella fase di transizione, dalla grande alleanza della guerra fra occidentali e Unione
Sovietica verso un nuovo conflitto che si protrarrà per oltre quarant’anni; questo si rifletterà anche
nella situazione italiana e l’Italia si sarebbe trovata ad aver a che fare con il Trattato di Pace legato
alla guerra del fascismo, ma si trova a dover fare anche altre scelte con la guerra fredda a favore
dell’occidente.

Questo ci spinge a dire qualcosa sulla situazione italiana nel momento di transizione: a livello interno
si susseguono governi di unità nazionale; ci sono quindi i tre partiti più importanti definiti i tre partiti
di massa, ovvero, partiti organizzati con milioni di iscritti e con strutturazione moderna: abbiamo
quindi una collaborazione fra Democrazia Cristiana, il Partito Comunista Italiano e il Partito Socialista
Italiano. Questi governi si reggono soprattutto sulla collaborazione di questi tre partiti di massa.

Alla fine del 1945 c’è il governo Parri, esponente del Partito d’Azione si dimette e alla guida vediamo
De Gasperi esponente della Democrazia Cristiana.
Queste forme di coalizione esistevano anche nell’Europa occidentale, perché era una formula legata
anche dal riflesso dell’alleanza della guerra contro il nazismo e il fascismo.

Quindi, nell’ambito del governo De Gasperi, questi mantiene per certi mesi il ruolo sia di Presidente
del Consiglio sia di Ministro degli Esteri: questo perché per il Trattato di Pace era necessario

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mantenere una continuità della figura. I partiti stabiliscono però che una volta terminata la
questione del Trattato di Pace il ruolo di Ministro degli Esteri sarebbe passato a Nenni: tuttavia,
questi dura pochi mesi.
Nenni cerca di cambiare la direzione della politica estera italiana:
o si percepivano già le distanze fra est e ovest, per cui Nenni decide di mantenere l’Italia in
una posizione di equidistanza;
o sulla base di questa politica di equidistanza si cerca di riprendere accordi economici
commerciali con i paesi centro-orientale;
o altro aspetto era il dialogo con la Jugoslavia, dialogando con Tito e non ponendosi in
contrapposizione;
o ultimo aspetto era un rapporto privilegiato con la Gran Bretagna: con il governo inglese
laborista, di sinistra dal 1945, il Labour Party è il partito socialista più forte in Europa; l’idea
è che esista un partito socialista forte, Nenni era socialista, quindi sulla base del fatto che
fossero compagni socialisti avrebbe potuto ottenere dialogo od anche concessioni. Tuttavia,
non prendeva in considerazione che da parte laborista non ci fosse possibilità di fare
concessioni, perché pur essendo socialisti, difendevano le questioni nazionali inglesi.

Le posizioni di Nenni erano quindi definibili utopistiche: buone intenzioni che si scontravano con
una realtà internazionale che stava cambiando.
Chi invece iniziava a capire che la situazione stava cambiando era Alcide De Gasperi: va detto che
alla fine del 1946 cominciò a muoversi soprattutto l’ambasciatore italiano a Washington (ricordiamo
che erano stati nominati gli ambasciatori: Saragat, Gallarati Scotti, Quaroni, Tarchiani ecc.).
Tarchiani rimarrà a Washington per 10 anni: l’abbiamo ricordato perché esponente di Giustizia e
Libertà, esule in Francia, antifascista, molto vicino a Sforza seguendolo poi nell’esilio negli Stati Uniti;
molto vicino ai servizi segreti sia americani che inglesi, e già fortemente anticomunista negli anni
’40: aspetto importante perché fu uno dei primi a comprendere che si andava verso una guerra
fredda e gli Stati Uniti come potenza mondiale.

Una parantesi che va aperta sulla politica interna è quella della Repubblica o Monarchia.
Il Decreto 151 prevedeva che il futuro dell’Italia sarebbe stato deciso dall’Assemblea Costituente,
ma la monarchia temeva quindi che se si andasse su una votazione dell’Assemblea i voti sarebbero
stati favorevoli più alla Repubblica che alla Monarchia.
Si decide quindi per un Referendum, poiché alcune parti del popolo italiano ancora erano legati alla
monarchia. Prevalse la scelta di un Referendum e non di una costituente, per cui la decisione è
affidata al popolo italiano.
Va detto che per gli Alleati questa questione non è rilevante, hanno altri interessi e problemi più
importanti rispetto al futuro della monarchia in Italia. I monarchici si appellarono agli inglesi: ma
questi si disinteressano in quanto questione interna italiana.
Vince la Repubblica, per quanto la monarchia ottenne comunque un voto molto alto. Non è nostro
compito esaminare i lavori della Costituente e sulla costituzione.
Perché ricordiamo la questione del Referendum? Perché venne visto specialmente dagli americani
come un elemento di democrazia e De Gasperi venne considerato come un uomo abile.
Tarchiani mandò al Presidente americano dei messaggi in cui si sottolineava la maturità e
democraticità dell’Italia, ma soprattutto afferma che l’Italia è una democrazia occidentale: questo
va a definire già la spaccatura fra oriente ed occidente.

Nel gennaio del 1947 De Gasperi fa un viaggio negli Stati Uniti: vedremo che questo viaggio
rappresenta un primo passo verso la scelta occidentale dell’Italia e l’inserimento di questa nella

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posizione favorevole agli Stati Uniti. Anticipiamo che gli Stati Uniti non danno ordini all’Italia e
questa risponde, ma hanno rapporti complessi e complicati, e non è un semplice rapporto di
subordinazione.

01/04/2021

L’Italia e la fase di transizione verso la guerra fredda (1946-1947)


Nel periodo fra il ’45 e il ’47, nel periodo in cui Tarchiani era stato attivo nella sede americana, aveva
cercato di sviluppare una serie di contatti con alcuni settori dell’amministrazione come dipartimenti
di stato, ma anche con particolare attenzione aveva curato i rapporti con la stampa a e la comunità
italo-americana: nel ’45/46 la sua attenzione si concentrava sulla questione del Trattato di Pace,
affinché gli Stati Uniti assumessero una posizione favorevole nei confronti delle tesi italiane. Questa
azione aveva avuto un successo solo in misura minore: alla fin dei conti, nell’ambito del negoziato
italiano del Trattato di pace prevalse l’opinione del Segretario di Stato americano, che ancora era
legato alla visione politica rooseveltiana.
Fino alla fine della guerra, l’opinione degli Stati Uniti che davano i sondaggi era che l’opinione
pubblica riteneva come maggior alleato la Russia: il comunismo era stato messo da parte, e si dava
dei russi una visione positiva che aveva lottato contro il nazismo; nel giro di un anno l’opinione
pubblica americana cambierà atteggiamento con ostilità di fondo nei confronti dell’URSS: una
visione per cui l’Unione Sovietica si vedeva come un nemico.

Tarchiani aveva già compreso che qualcosa stava cambiando nell’atteggiamento americano, e non
solo che stava cambiando nei confronti dell’URSS ma anche che non si sarebbero regolati come alla
fine della Prima guerra mondiale: in altri termini, che gli Stati Uniti, una volta finiti i Trattati di Pace,
sarebbero tornati a una posizione isolazionista.
In realtà, in questo momento gli Stati Uniti stavano elaborando un altro piano di lungo periodo, e in
quanto potenza mondiale stavano elaborando dei progetti a livello internazionale. Il compito degli
Stati Uniti era quello di difendere i paesi che si sentissero minacciati, e quindi una presa di posizione
esterna al territorio americano specialmente nei confronti dell’Europa.
Tarchiani intuì quindi che stava cambiando l’atteggiamento dell’amministrazione americana, e che
quindi l’Italia dovesse dimostrare di voler far parte del sistema occidentale: dal suo punto di vista
era importante che De Gasperi si recasse negli Stati Uniti e avesse contatti con l’amministrazione
americana per confermare la posizione italiana di avvicinamento al blocco occidentale.

Ricordiamo che l’Italia nel secondo dopo guerra era un paese che aveva subito delle normi
distruzioni, con un apparato industriale da rimettere in piedi, con un blocco della produzione
agricola e i governi non avevano le risorse per far ripartire il paese: fin dal ’44 con il governo Bonomi
si era cercato di mettere in piedi delle relazioni economiche con gli Stati Uniti, per sollecitare degli
aiuti americani.

Tarchiani come riuscì ad organizzare questa missione? Trasse vantaggio di un invito che era stato
inviato a De Gasperi per partecipare a una conferenza, e contemporaneamente sulla base di questo
pretesto che consentiva a De Gasperi di recarsi negli Stati Uniti, Tarchiani fece in modo che De
Gasperi avesse contatti con l’amministrazione, settori economici e anche la comunità italo-
americana. Infatti, è necessario sottolineare che in questo periodo l’Italia è ancora una nazione
sconfitta e non ha ancora firmato il Trattato di Pace.

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Va detto che Tarchiani fu molto bravo e organizzò questo viaggio molto bene, e De Gasperi rimase
qualche giorno a Washington: ottenne contatti molto importanti.
Gli Stati Uniti decidono di dare un primo aiuto economico all’Italia:

Quando De Gasperi tornò in Italia poté sostenere di aver avuto un successo, un primo significativo
aiuto di carattere economico: era stato ricevuto come un Capo di governo, ed era riuscito a far valere
e creare attenzione nell’opinione pubblica nelle necessità italiane.
Negli anni ’70 soprattutto una parte della pubblicistica diede di questo viaggio un’interpretazione
profondamente negativa: De Gasperi si recò negli Stati Uniti e questi chiesero di eliminare le
presenze comuniste italiane dal governo in cambio di aiuti economici; in realtà è un’immagine
riduttiva di De Gasperi, di una personalità politica soggetta alla volontà degli Stati Uniti: le cose non
stavano in questi termini, e nelle discussioni di De Gasperi con gli americani non si parlò neanche
della situazione interna italiana, e si parlò principalmente di questioni economiche.
È necessario dire che probabilmente al ritorno dal viaggio De Gasperi, comunque, si rese conto che
la situazione stava cambiando, e che l’Italia avrebbe dovuto prendere una posizione fra est e ovest,
e che l’aiuto americano sarebbe stato influenzato dalla scelta italiana.
Da parte americana, De Gasperi verrà ritenuto un interlocutore affidabile, serio e moderato e
favorevole all’occidente: dal punto di vista degli Stati Uniti De Gasperi è considerata la personalità
con cui avere dei rapporti.

Possiamo dire che De Gasperi fu abbastanza fortunato, perché quando rientrò dall’Italia si trovò di
fronte a una situazione politica che in pochi giorni era cambiata: si era tenuto il Congresso del Partito
Socialista, e nel corso di questo congresso vi era stata una frattura insanabile fra la maggioranza di
Nenni e la minoranza di Saragat: i primi erano favorevoli all’alleanza con i comunisti, mentre i
secondi erano ostili all’alleanza con i comunisti.

Anche se nella generalità di questo periodo avveniva la scissione fra partiti socialisti e partiti
comunisti, nel caso italiano invece vi fu una rottura all’interno del PSI, e la minoranza di Saragat
decise per una scissione: la cosiddetta scissione di Palazzo Barberini, dando vita al PSLI, Partito
Socialista dei Lavoratori Italiani. Da qui Nenni decise di dimettersi dal ruolo di Ministro degli AA.EE.
per seguire le vicende interne al PSI, e mantiene l’alleanza con il PCI.
De Gasperi allora nomina Sforza a Ministro degli AA.EE. nel 1947; si pensava però che la nomina
sarebbe stata momentanea e di breve periodo: in realtà le cose non andarono così e rimase in carica
fino al 1951, e fu fra l’altro insieme a De Gasperi responsabile della scelta occidentale italiana.

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Nell’aprile/maggio del 1947 abbiamo un evento importante: l’uscita del PCI e del PSI dal governo De
Gasperi. La scelta era dovuta alle imminenti elezioni:
§ da parte del PCI e PSI era una scelta che avrebbe portato vantaggio in campagna elettorale,
poiché essendo ora all’opposizione avrebbero potuto guadagnare più consenso;
§ ma al contempo per De Gasperi, in riferimento agli aiuti americani, l’uscita del PCI e PSI del
governo era favorevole.

Vi sono quindi le richieste italiane di aiuto economico agli Stati Uniti, e nel giugno del 1947 viene
lanciato dagli americani il Piano Marshall (il Piano Marshall è di per sé l’origine dell’integrazione
europea: un obiettivo statunitense che inizialmente partiva da un’integrazione economica,
necessaria per far ripartire l’economia internazionale, per poi arrivare a quella politica).

L’Italia e il Piano Marshall


Questi sono gli elementi per ricordare le fasi del piano:

1. nel giugno del 1947 vi è il discorso del segretario di Stato George C. Marshall ad Harvard;

2. luglio 1947: risposta della Gran Bretagna e Francia; alla Conferenza di Parigi inizialmente
partecipa anche una delegazione URSS, ma che poi dopo poco tempo abbandonò la
conferenza.
Dopo aver abbandonato la conferenza a seguito di una reazione americana, anch’essa,
l’URSS, reagì con la lotta contro il Piano Marshall: nel settembre 1947 viene creato il
Cominform: mobilitazione di tutte le forze politiche e sindacali, in Francia e in Italia, contro
l’attuazione del Piano Marshall.

3. Fra il luglio 1947 e il marzo 1948: dapprima vengono stanziati gli INTERIMEID, ovvero, degli
aiuti temporanei precedenti all’attuazione del Piano Marshall.
Inoltre, nella Conferenza di Parigi di questo periodo con i 16 paesi aderenti al Piano Marshall
viene creata l’OECE, l’Organizzazione per la Cooperazione Economica Europea.

4. Nel 1948 viene approvata dagli Stati Uniti l’ERP, l’European Recovery Program con la nascita
inoltre della ECA, Economic Cooperation Administration;

5. fra il 1948 e 1951 avviene l’attuazione dell’ERP con circa 14 miliardi di dollari di aiuti
americani.

La cosa importante è vedere la quantità di aiuti: l’Italia riceve una parte consistente di aiuti,
situandosi al terzo posto dei paesi europei riceventi aiuti con 1 miliardo di dollari; nel primo biennio
riceve addirittura più aiuti della Germania.
Questo ci fa comprendere come fossero importanti gli aiuti americani per l’economia italiana e per
la ricostruzione.

A questo punto è necessario capire la reazione italiana rispetto a questo progetto: la prima risposta
di Sforza fu di carattere politico, nel senso che erano entusiasti di ricevere gli aiuti americani, ma
ritenendo che fosse importante partecipare al negoziato in una posizione di parità. Quindi, per
Sforza era importante l’aspetto politico, che l’Italia fosse riconosciuta sullo stesso piano delle altre
nazioni europee, ovvero, Gran Bretagna e Francia. L’aspirazione italiana era quella di porsi sullo

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stesso piano di inglesi e francesi: questo è un obiettivo che diventa una costante dal Trattato di pace
fino ad oggi (il problema della politica estera italiana è quello di riconoscersi un ruolo paritario come
Gran Bretagna, Francia ed anche Germania).

Possiamo dire che ci fu un ruolo italiano nell’ambito del negoziato a Parigi che si concluse nel marzo
del 1948 con l’OECE? È difficile dirlo, poiché la preoccupazione italiana nei primi mesi era
concentrata nel vedersi riconosciuto il ruolo paritario e vedersi riconosciuta maggiori aiuti possibili.
Fin dalle prime dichiarazioni di Sforza, questi aveva sottolineato come gli italiani sostenessero
pienamente l’obiettivo del Piano Marshall di sviluppare l’integrazione europea: non è quindi una
mera scelta americana o a favore degli Stati Uniti, ma anche a favore della futura integrazione
europea.
Quale fu un altro aspetto importante legato a questa interpretazione? Nel corso del negoziato che
avrebbe condotto alla creazione dell’OECE l’Italia avanzò l’opzione di unione doganale fra Francia e
Italia; la risposta francese fu apparentemente positiva, e a seguito di negoziati si giunse alla firma di
un protocollo di intesa: tuttavia poi non si attuò.
Questo ci pone degli interrogativi: perché quest’iniziativa? Perché non si concluse? Ci erano
valutazioni italiane di natura politiche?
§ Potremmo dire che fosse una questione di status e prestigio in quanto la Francia era una
delle vincitrici della Seconda guerra mondiale, quindi riuscire ad avere un accordo con i
francesi sarebbe stata una prova che l’Italia aveva conseguito uno status paritario rispetto
ad altre potenze europee;
§ vi era la convinzione che questo potesse essere utile con gli Stati Uniti, dimostrando di essere
particolarmente sensibili e bravi facendo dei progressi prima ancora di aver realizzato
l’OECE;
§ esistevano degli obiettivi economici in parte: c’era un obiettivo che all’Italia stava a cuore,
che il governo De Gasperi e successivi si sarebbero presupposti per la ripresa dell’Italia,
ovvero, il fatto che l’Italia fosse un paese di surplus di manodopera. Se quindi gli emigrati
fossero emigrati in Europa, questo avrebbe favorito un circolo virtuoso per far crescere
l’economia italiana: questo attraverso l’abbattimento delle barriere sul movimento del
lavoro. Quest’ipotesi era già stata affrontata a seguito della Seconda guerra mondiale
attraverso accordi bilaterali con alcuni paesi: non tutti però avevano dato risultati se non con
il Belgio, il quale aveva necessità di minatori.
o Comunque, si aveva l’impressione che gli accordi all’interno dell’OECE avrebbe dato
più frutti: tuttavia, vi fu principalmente una risposta negativa della Francia, e forti
resistenti in fase di attuazione del protocollo soprattutto da alcuni ambienti
economici francesi secondo i quali le economie francesi e italiane non fossero
integrabili ma concorrenziali, e specialmente impauriti dal settore tessile italiano che
era molto efficiente; ma anche una paura dei sindacati francesi, che temevano che
con l’arrivo di immigrati italiani questi sarebbero stati pronti ad accettare salari più
bassi, mettendo in difficoltà l’elettorato di questi sindacati.
o Il tentativo italiano, quindi, non diede un risultato concreto.

Altro aspetto che va ricordato è che creando l’OECE si crearono delle delegazioni permanenti nei
paesi che aderivano al programma dell’ERP: il primo esempio e sintomo, è la creazione di una
tecnocrazia europea ed europeista (questa questione è ancora aperta dalla storiografia).
Va comunque detto che iniziò un’attività ed esperienza da parte di funzionari all’interno dell’ERP
come Ugo La Malfa, Giovanni Malagodi, e Guido Carli (futuro governatore della Banca d’Italia, poi

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Ministro del Tesoro, a Capo di Confindustria): quindi, questi signori iniziano le prime esperienze di
burocrazia internazionale e scelte europeiste nel quadro dell’ERP.

In Italia invece il Piano Marshall venne gestito da una struttura definito come CIR-ERP, ovvero il
Comitato Internazionale per la Ricostruzione all’interno dell’ERP: questo Comitato era gestito a sua
volta dal primo ministro, il ministro degli Esteri, e ministri economici.
Gli Stati Uniti poi avevano creato all’interno di ogni paese una struttura di supervisione, e all’interno
di ogni ambasciata dei paesi che avevano preso parte al Piano vi era un ufficio di supervisione, detto
ECA.

Per quanto riguarda i funzionari americani del Piano Marshall erano uomini d’affari, che avevano
una visione dell’economia più moderna rispetto agli europei; altri fra loro avevano preso parte al
New Deal (quindi erano stati influenzati dalla visione keynesiana, ovvero, si poteva far debito per
favorire lo sviluppo economico).
La risposta italiana rispetto a questa visione è stata una scelta definita liberale-classica, influenzata
da Einaudi e Pella: pareggio del bilancio, difesa della lira, attenzione alla spesa pubblica, quindi, in
contrasto con quella che era la visione americana che non contemplava a tal maniera il risparmio.

Come dicevamo, l’Italia cercò di far fronte alle scelte provenienti dagli Stati Uniti: gli Stati Uniti
richiese di elaborare un piano di lungo periodo per l’utilizzazione dei fondi, che risultò in Italia nel
Comitato dei nove. A capo di questo comitato vi era Saraceno.
Inoltre, l’ufficio ECA di Roma redigeva un rapporto su come venivano gestiti i fondi americani: nel
1949, il Country Study in realtà criticava l’utilizzo che l’Italia faceva dei fondi, definendola troppo
prudente con la scarsa utilizzazione dei fondi lire per gli investimenti.
Nella realtà dei fatti dopo il 1949 vi è una forte utilizzazione del fondo lire, con circa 591,9 milioni
investiti nell’industria siderurgica e meccanica; in questo periodo emergeranno attori che saranno
poi importanti come la Finsider del gruppo IRI: attraverso i fondi del Piano Marshall si mette in piedi
l’acciaieria di Conegliano, ed inoltre la Fiat.

Altro aspetto che non va trascurato del piano Marshall è che gli americani non pensavano solo ad
aiuti economici, ma proponevano anche un modello diverso di capitalismo ed anche di relazioni
industriali basate sulla loro esperienza focalizzata specialmente con il New Deal.
L’idea era che, ad esempio, venivano favorite una serie di visite di studio di delegazioni italiane negli
Stati Uniti per capire come funzionassero gli impianti americani, ed anche le relazioni con i sindacati.
Altra idea americana era la proposizione di un’idea di società: uno degli slogan del Piano Marshall è
“sarete prosperi come noi”, dal momento in cui il lavoratore sarà anche un consumatore;
o gli imprenditori italiani non ne erano convinti, e partivano dal presupposto che l’Italia non si
potesse adattare alla realtà americana di società di consumi – in pochi anni in realtà questo
cambierà.

Il Piano Marshall ha anche un grande carattere propagandistico: pamphlet, manifesti, documentari


cinematografici, trasmissioni radio per la proposizione di un modello economico, sociale ed anche
politico a favore della scelta occidentale. Il cosiddetto processo di americanizzazione: una questione
controversa e storiografica ancora aperta, in cui vi è un’interpretazione critica che non vede
un’effettiva americanizzazione quanto più una modernizzazione, in cui gli europei hanno adottato
le proposte americane alle realtà dei loro paesi.

L’Italia riceve in tutto 1348,4 milioni di dollari: grants, loans e conditional aid.

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12/04/2021

Stiamo entrando negli aspetti più importanti del corso: oggi proseguiamo nell’analisi di quella che
abbiamo definito la scelta occidentale dell’Italia. Cosa intendiamo con questo? Intendiamo due o
tre eventi particolarmente importanti:
o le elezioni di aprile nel 1948, con implicazioni di natura internazionale;
o l’adesione italiana all’Alleanza Atlantica;
o e con il 1950 la prima vera scelta di partecipazione alla costruzione europea, con l’adesione
al Piano Schumann che avrebbe condotto alla creazione della CECA.

La scelta occidentale dell’Italia


Come appena detto l’intenzione è quella di affrontare alcuni momenti importanti di quella che
definiamo la scelta occidentale: nelle lezioni precedenti abbiamo affrontato l’adesione al Piano
Marshall dell’Italia, ed alcuni aspetti connessi al concetto che alcuni storici hanno cercato di definire
come americanizzazione.
Ma appunto, oggi analizziamo almeno i primi due eventi: le elezioni del 18 aprile del 48 e l’adesione
italiana all’Alleanza Atlantica.

Le elezioni del 18 aprile del 1948

Abbiamo ricordato che nel 46 vi erano state le prime consultazioni elettorali tenute dopo la caduta
del fascismo, a seguito anche del Referendum di Monarchia e Repubblica; contemporaneamente si
erano tenute anche le elezioni dell’Assemblea Costituente per redigere la nuova Carta
Costituzionale. La Costituzione entra in vigore nel 1948, per cui si ritenne necessario avviare le
elezioni: in una prima fase le elezioni erano previste per la fine del 1947, ma per questioni di
carattere internazionale con firma e ratifica del Trattato di Pace la data slitta al 1948.

Vi era una partecipazione anche attiva da parte del popolo italiano: si erano già recati nel ‘46 ed
anche per le elezioni della Costituente, ma in questa specialmente si aprivano le elezioni per il primo
governo eletto. Nel ‘46 con le elezioni alla Costituente inoltre ricordiamo che le donne erano state
chiamate ad esprimere il loro voto.
Dunque, la campagna elettorale inizia alla fine del ’47: alcuni importanti paesi dell’Europa
occidentale prevedevano governi di coalizione anche con la presenza del PC; in Italia si presentano
per le elezioni del ‘48 il “Fronte democratico popolare” che raccoglieva il PCI e il PSI, che aveva come
stemma il volto di Garibaldi.

Come detto, questo fu un momento particolare per l’Italia anche dal punto di vista americano:
ricordiamo che nel ’47 con la Dottrina Truman vi erano stati interventi di carattere economico, ad
esempio, con aiuti economici; gli Stati Uniti inoltre alla fine del ’47 si dotano di strumenti che le
avrebbero permesso di godere del ruolo di super potenza: danno ordine ad un servizio di spionaggio
nota come CIA, ed inoltre viene creato il Security Council.

Dunque, gli Stati Uniti si iniziano a preoccupare di ciò che accade nel momento, e specialmente di
ciò che accade in Europa: l’Italia rappresenta una priorità per gli americani; questa priorità è tuttavia
ciclica, nel senso che gli americani valutano la priorità rispetto a quando l’Italia è un pericolo o
un’alleata.

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In uno dei primissimi memorandum elaborato dal Security Council è indicato come l’Italia sia un
anello debole, perché si temeva che il risultato delle elezioni fosse a favore del Fronte democratico
popolare; si temeva ancora che anche se non avesse vinto, ma ci fosse andato vicino, ci sarebbe
stata un’insurrezione e quindi il PC sarebbe andato al potere con un colpo di stato o rivoluzione nel
periodo immediatamente successivo alla consultazione elettorale.
L’Italia per gli Stati Uniti, quindi, diventa una sorta di test, di precedente e di prova della validità di
una strategia americana: a partire del ’47 il criterio fondamentale degli USA nei confronti dell’URSS
è di contenimento, ovvero, contenere l’avanzamento del comunismo.
Quindi, l’azione americana si basa su il sostegno al governo di De Gasperi; quali sono le iniziative
che gli USA prendono per sostenere la DC ed alleati di questa?
§ La maggior parte delle iniziative americane riguardavano le politiche interne italiane, quindi,
aiuti economici: Interim Aid e la prospettiva ERP;
§ Il secondo aspetto era il sostegno politico a De Gasperi, ribadendo in più occasioni come
questi fosse l’unico vero interlocutore sostenuto per le vicende italiane;
§ Terzo elemento che va ricordato è l’azione propagandistica affidata a una serie di organismi:
uno di questi è l’USIS (United State Information Service) che veniva utilizzato per diffondere
la propaganda e realtà politica ed economica degli USA; inoltre, il VOA, Voice of America, la
stazione radio che trasmetteva in Europa la realtà americana; ed ancora, film di Hollywood
che in questo caso non sono vera e propria propaganda ma trasmettono comunque
un’immagine positiva dell’America;
§ “Covert Operation”: favorite dalla CIA, ma condotte e gestite organizzazioni private
americane o italo-americane, od ancora da agenzie private; consistevano in finanziamenti ai
partiti anticomunisti gestiti da organizzazioni private. Bisogna ricordare inoltre che il PC è
fortemente finanziato d’altra parte dall’Unione Sovietica e non con finanziamenti esigui.
(Questo avviò un’abitudine che poi avrebbe avuto influenze negative specialmente negli
anni ’70).
§ Infine, si ritenne valida l’ipotesi di invio di armi per le forze armate e per le forze dell’ordine,
dato il timore nei confronti di un’azione violenta insurrezionale del PCI se non avesse vinto
le elezioni.
Non era questa l’intenzione di Togliatti, ma vi erano fazioni come quella di Petro Secchia che
non erano ostili ad una reazione insurrezionale.

Quale fu la risposta di De Gasperi ed italiana?


1. In primo luogo, per le ragioni di politica interna punta sugli aiuti economici e sul sostegno
politico: senza l’aiuto americano non si poteva ricostruire l’Italia e gli italiani “non avrebbero
mangiato”; l’idea è che senza l’aiuto americano il paese non sarebbe sopravvissuto.
De Gasperi si mostrò cauto su alcuni aspetti: non accettò la fornitura di armi, che provocò
per qualche giorno rapporti tesi fra l’amministrazione americana e De Gasperi: Gasperi
temeva che l’arrivo di questi quantitativi di armi venissero resi noti e questo giocasse sfavore
della DC nella campagna elettorale; inoltre, De Gasperi sostenne che le forze italiane erano
efficienti abbastanza e sarebbero state in grado da sole di far fronte ad un’insurrezione.

2. Come dicevamo, da parte delle autorità italiane e specialmente di Sforza vi fu uno svilupparsi
di una politica diversa: se gli Stati Uniti puntavano a sostenere De Gasperi e la DC dal punto
di vista interno, allora le autorità italiane cercano la modifica del ruolo internazionale
dell’Italia, ovvero, il recupero di media potenza internazionale.

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Quindi, essendo il PC italiano il più forte a livello europeo, allora gli italiani richiedono una
mano non solo economicamente a livello interno, ma richiedono un aiuto anche a livello
internazionale, richiedendo un aiuto per recuperare lo status.
Durante la campagna elettorale quindi ci si concentra su due aspetti: sostengono fin
dall’inizio che il Trattato di Pace necessitasse di un cambiamento riguardo la questione di
Trieste ed anche sulla questione delle ex-colonie. In particolare, per Trieste l’Italia richiedeva
il riconoscimento della sovranità italiana sia sulla zona A (Trieste) sia sulla zona B; per le
colonie prefasciste richiedevano che queste venissero lasciate all’Italia non come colonie ma
come amministrazione fiduciaria delle Nazioni Unite.

L’atteggiamento delle potenze internazionali sulle richieste internazionali italiane era cauto ed
anche negativo. L’Italia ottenne qualcosa, e questo ci riconduce in primo luogo all’eccidio di
Mogadiscio:
o In primo luogo, ricordiamo il ruolo del Ministero dell’Africa Italiana che dipendeva in teoria
dalla presidenza del Consiglio dei Ministri, ma vi era poco interesse da parte di De Gasperi
su queste questioni; mentre gli inglesi, d’altra parte, ricordiamo che preferivano la via
punitiva nei confronti dell’Italia: in Italia quindi si riteneva che gli inglesi volessero
appropriarsi delle colonie italiane.
Dal 1947 il Ministero dell’Africa Italiana in vista della commissione d’inchiesta delle quattro
potenze vincitrici svolgono una missione segreta in questi territori: danno denaro, in modo
che questi sviluppassero partiti a favore del ritorno italiano in questi territori.
In questo quadro, le autorità britanniche in Somalia dopo la Seconda guerra mondiale
avevano spinto per la creazione di un Partito per l’indipendenza della Somalia: la Gran
Bretagna, quindi, sostiene il movimento indipendentista somalo, la Lega Dei Giovani Somali.
A loro volta gli italiani mandarono alcuni funzionari del Ministero dell’Africa Italiana che
favorirono la nascita del gruppo di Somali che sostenevano il ritorno dell’amministrazione
italiana.
Quando arrivo la Commissione d’Inchiesta le due fazioni organizzano manifestazioni per
dimostrare ai rappresentanti delle grandi potenze il sostegno all’indipendenza o al ritorno
dell’amministrazione italiana. Vi è una situazione di tensione latente, ed una mattina alcuni
esponenti filoitaliani attaccarono la sede della Lega dei Giovani Somali: quando la notizia
giunse a questi ultimi la reazione fu violenta, giungendo al centro di Mogadiscio contro gli
italiani, con una cinquantina di italiani che vennero uccisi.
Gli amministratori inglesi rimasero impotenti davanti alla situazione: il giorno dopo quindi
cercano di dare colpa agli italiani, data la loro propaganda. Le notizie giunsero a Londra e il
primo atteggiamento fu quello di minimizzare: ma questo ebbe un impatto fortissimo in
Italia specialmente nelle forze di sinistra che sostengono che gli imperialisti vogliono
impossessarsi delle loro colonie.
Il Consiglio dei Ministri italiano allora chiede una commissione d’inchiesta indipendente e
che gli inglesi rivedessero le loro posizioni: vi è un certo ammorbidimento di Londra,
accettando che a Mogadiscio giungesse un ufficiale italiano, ed alcuni italiani fanno rientro
in Italia. L’atteggiamento inglese fu in realtà di sostanziale chiusura, con minime concessioni:
quindi il tentativo italiano fu un fallimento.
(In febbraio, inoltre, l’URSS dichiara il suo sostegno al ritorno dell’Italia nelle ex-colonie).

o Per quanto riguarda Trieste, Stati Uniti e Francia ed altri iniziano a capire che qualcosa
dovesse essere fatto sulla politica internazionale: l’ipotesi del 20 marzo del ’48 di Stati Uniti,
Francia e Gran Bretagna, è il sostegno all’Italia affinché ritornasse al controllo della Zona A e

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della Zona B. Questa dichiarazione tripartita sarà fondamentale per gli italiani, che pur
tuttavia non avrà conseguenze pratiche.

Quali furono altri atteggiamenti occidentali? C’è una visita ufficiale di Bidault a Torino, con un
incontro con Sforza e la firma del protocollo sull’Unione doganale italo-francese;

§ Da parte inglese vi è l’iniziativa del Labour Party nel marzo del 1948: alcuni labouristi si
incontrano in italiana con alcuni socialisti richiedendo che questi si distacchino dai comunisti,
ma essi rifiutano. Abbiamo quindi la scomunica del PSI di Nenni da parte dell’Internazionale
Socialista in quanto alleati ai comunisti e il riconoscimento del PSLI di Saragat;

§ Vi sono poi anche dichiarazioni di Truman circa la possibile interruzione degli aiuti del Piano
Marshall italiani in caso di vittoria delle sinistre;

§ Intensificarsi dell’azione propagandistica: questo fenomeno che può darsi abbia avuto
qualche impatto nel popolo italiano; in particolare, la compagna di lettere inviate dagli italo-
americani ai parenti in Italia, in cui si affermava che dovessero votare per la DC per avere
rapporti con l’America.

§ Non ci contriamo sull’impatto della Santa Sede, in quanto interno, dicendo solo che vi fu un
grande impatto e mobilitazione (anche le suore di clausura vengono portate a votare, per
cui la mobilitazione della Santa Sede a favore della DC fu importante).

Esito delle elezioni italiane: la DC ottiene più del 48% dei voti. Non è però comunque una sconfitta
del PCI perché il Fronte ottiene un 30% con il 20% al PCI e un 10% al PSI.
Gli Stati Uniti danno una risposta positiva delle elezioni italiane, e le considerano come una vittoria
per l’azione di contenimento (pensano infatti di essere i principali fautori della vittoria italiana della
DC). Da questo momento vi fu un allentamento dell’attenzione americana nei confronti delle
questioni italiane: c’è la convinzione che l’Italia sia in una situazione di stabilità.

Il giorno dopo le elezioni De Gasperi ritenne di dare avvio a un governo di coalizione, dando avvio a
quelli che sarebbe stati definiti governi centristi: al centro la DC coalizzata con PRI, PLI e
socialdemocratici. In realtà il centrismo entrerà in crisi.
Dobbiamo però sottolineare che il PCI non ha effettivamente perso le elezioni, ma resta forte con
un’organizzazione capillare, una leadership molto abile e resistente: Togliatti è uno degli uomini più
importanti dell’Italia Repubblicana.

L’adesione al Patto Atlantico

Questo ci conduce al passo successivo nella scelta occidentale dell’Italia: la partecipazione


all’Alleanza Atlantica.
Va detto qualcosa su alcuni aspetti generali e passaggi fondamentali che conducono alla creazione
dell’Alleanza Atlantica: il punto di partenza fu un’iniziativa inglese, poiché si riteneva necessario una
maggiore prudenza per il dopoguerra temendo che la Guerra fredda si trasformasse in una guerra
calda con invasioni in Europa.
Infatti, è necessario ricordare che buona parte delle forze inglesi e francesi non si trovavano in
Europa, ma si trovavano oltremare per il processo di decolonizzazione; e gli Stati Uniti avevano

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provveduto a ritirare le forze americane dall’Europa per cui erano rimasti per lo più amministratori
che non erano in grado di far fronte ad un’eventuale invasione dell’Armata Rossa.
Inizialmente gli americani godevano di status di potenza nucleare, ma appunto anche l’Unione
Sovietica godrà di questa arma negli anni appena successivi.
C’era quindi il timore di un’invasione. Gli inglesi si sentivano relativamente sicuri, ma capivano le
esigenze degli altri stati.

Quindi, abbiamo una prima fase del progetto di Bevin in cui si lancia l’idea di un’unione occidentale:
Bevin mette insieme tutti, anche gli Stati Uniti, l’America Latina ed anche l’Italia. Poi, gli inglesi si
mossero cautamente prendendo i contattati con i francesi con cui esisteva già un accordo
antitedesco: negoziano insieme al BENELUX dal febbraio al marzo del 1948, che risulterà nel Patto
di Bruxelles, un’alleanza di tipo militare.
La clausola di aiuto reciproco sarebbe scattata anche nel caso di aggressione in Europa di altri stati,
per cui si fa riferimento in maniera velata ad un’eventuale aggressione dell’Unione Sovietica.

Da un’iniziale reazione forte e positiva di Sforza, ci si sposta su un versante più cauto: il Patto di
Bruxelles venne individuato dal PCI e PSI come un patto aggressivo nei confronti dell’Unione
Sovietica, e Nenni definisce il Patto di Bruxelles un nuovo “patto antikominterm”.
Anche i paesi del BENELUX in realtà si tirano indietro per la partecipazione italiana al Patto di
Bruxelles in quanto si riteneva l’Italia povera, che non aveva ancora vissuto un processo di
democratizzazione lungo avendo vissuto un lungo periodo di fascismo.

Nel marzo e aprile del 1948 abbiamo a Washington il “Pentagon Talks”: sono in realtà segreti e
partecipano gli Stati Uniti, la Gran Bretagna e il Canada sull’ipotesi di un’alleanza occidentale.
La posizione americana fu molto prudente, sostenendo che non potevano impegnarsi: c’era una
tradizione americana che giocava contro ed invitava gli Stati Uniti a non concludere patti con
l’Europa in tempo di pace (data la prospettiva isolazionista); ed inoltre, vi sarebbero state le elezioni
presidenziali per cui non si riteneva possibile prendere una posizione precisa e l’amministrazione
voleva capire come muoversi. Quindi gli americani sostengono il self-help degli europei, che devono
muoversi e agire da soli.

Nel giugno del ’48 c’è il tentativo italiano di negoziare con Londra per l’ingresso nel Patto di Bruxelles
con una richiesta di concessioni (la questione delle ex-colonie e la partecipazione alla spartizione
della Ruhr in Germania insieme ai vincitori): dopo le elezioni, infatti, gli italiani ritengono di aver
rafforzato la loro posizione internazionale dato anche il sostegno americano, quindi trattano
l’entrata nel Patto ma richiedendo concessioni.
Tuttavia, la reazione inglese è negativa: non era possibile entrare nel Patto specialmente con la
richiesta di concessioni.
Quindi, inizia una fase di crisi della politica estera italiana.

13/04/2021

Ieri ci siamo interrotti in questa prima fase del tentativo italiano di partecipare all’Alleanza
Occidentale: l’ultimo argomento che abbiamo toccato è quello relativo al sondaggio fatto da parte
italiana nel giugno del ’48 per il coinvolgimento nel Patto di Bruxelles.
Questa iniziativa parte soprattutto dai funzionari degli Affari Esteri, specialmente il Conte Vittorio
Zoppi: Zoppi apparteneva alla tradizione tradizionalista, nel senso che l’Italia dovesse acquistare un
certo status e una certa presenza in Africa.

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Abbiamo ricordato come Zoppi e altri diplomatici sono incorsi in errori di valutazione, perché si
erano convinti che l’Italia avesse margini negoziali ampi dati i rapporti con gli Stati Uniti: l’Italia aveva
fatto presente agli inglesi che sarebbe stata pronta a far parte del Patto di Bruxelles ma con delle
concessioni; la risposta inglese è che l’opzione non venne neanche presa in considerazione
(funzionare del Foreign Office che manifesta stupore davanti alle richieste italiane).

Nel marzo e aprile vi sono dei negoziati. Chi partecipava a questi negoziati? Stati Uniti, Canada e i
cinque paesi del Patto di Bruxelles; i diplomatici italiani, Tarchiani, Quaroni e Gallarati, cominciano
a far presente al Ministro degli affari esteri che le potenze stavano trattando sul futuro del sistema
occidentale.

In questo periodo l’Italia si trova di fronte a una situazione complicata e non particolarmente felice:
nel giugno del 1948 c’era stata la dichiarazione Vanderberg con cui gli Stati Uniti mettevano da parte
l’impossibilità di stringere accordi in tempi di pace con l’Europa.
Nell’estate del 1948 l’Italia appare isolata: non è stata coinvolta nel negoziato di quello che sarebbe
stato il futuro Patto Atlantico e non faceva parte del Patto di Bruxelles.

Come reagiscono di fronte al timore di essere marginalizzati? Obiettivo centrale della classe
dirigente e dei diplomatici era quello di media potenza, a livello ad esempio della Francia.
Vi furono dei tentativi e dei progetti, entrambi falliti:

§ Il primo fu la neutralità armata: l0obiettivo era favorire il riarmo dell’Italia superando i limiti
del Trattato di Pace, ma senza entrare in nessuna alleanza precisa. Un riamo ovviamente
favorito dagli US. Si scelse la neutralità armata perché un rapporto bilaterale con gli Stati
uniti poteva essere messo in piedi, ma senza un’alleanza che poneva degli obiettivi all’Italia.
§ Questa soluzione presupponeva che gli Stati Uniti fossero interessati: tuttavia, gli US non
sono interessati con sondaggi fra le autorità americane sostanzialmente nulle.

§ Integrazione europea: questo, fa emergere un aspetto costante della politica estera italiana,
l’integrazione politica. Sforza tenne un discorso pubblico all’Università per Stranieri di
Perugia avanzando l’ipotesi di un’unione europea attraverso lo strumento dell’OECE (che era
stato creato con il Recovery Program). Inoltre, vi era stato un memorandum diretto alla
Francia:
§ in realtà da parte francese non vi fu alcuna risposta al memorandum italiano.

Le ragioni di queste scelte, dell’atteggiamento italiano molto cauto, sono dovute a


§ problemi nella coalizione centrista circa l’inserimento in un’alleanza italiana;
§ inoltre, si temeva la reazione delle sinistre: specie a seguito del luglio ’48 quando Togliatti,
segretario del PCI, venne aggredito e ferito gravemente da un giovane (non assimilabile a un
qualche movimento o frangia politica) che causò una reazione immediata del partito e
dell’apparato paramilitare che lanciarono forti e violenti scioperi, causando interruzioni delle
telecomunicazioni e prendendo controllo di alcune caserme e centri urbani;
§ ed ancora, vi era la preferenza vaticana per la neutralità: sondaggi della diplomazia italiana
nella Santa Sede, che riteneva fosse migliore la neutralità rispetto all’alleanza; questo perché
nel caso di una guerra l’Italia sarebbe stata occupata dall’Unione Sovietica, per cui era
preferibile la neutralità;
§ ed infine, la convinzione che l’elemento centrale sia il Patto di Bruxelles con un ruolo inglese:
questo però considerando che i rapporti con la Gran Bretagna non erano buoni.

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L’adesione al Patto Atlantico

Nel ’48 l’Italia si trovava ancora isolata, non facendo parte del Patto di Bruxelles in cui si iniziava a
discutere di un meccanismo di cooperazione politica, non integrazione, che sarebbe divenuto il
Consiglio d’Europa. Quindi l’Italia era tagliata fuori da tutti i progetti occidentali, tranne dal Recovery
Program.

La terza fase è quindi l’ingresso nell’alleanza, fra l’autunno del ’48 e l’aprile del 1949: il ruolo
fondamentale è svolto dai tre ambasciatori, Tarchiani a Washington, Quaroni a Parigi, e Gallarati
Scotti a Londra, i quali sostenevano che stava nascendo una struttura fondamentale del sistema
occidentale per cui l’Italia doveva esserne parte.

Dunque, quali sono i due nodi fondamentali nell’evoluzione del negoziato di Washington?
§ Il primo è il problema della garanzia, che non riguardava direttamente l’Italia;
§ Il secondo è l’estensione geografica, che riguardava anche l’Italia: quale sarà l’estensione del
Patto atlantico? L’obiettivo inglese era effettivamente quello di un’estensione atlantica per
cui fondamentale era mantenere il controllo dell’Oceano Atlantico: questo significava che gli
inglesi erano interessati a Paesi che potevano essere punti di attracco del continente
europeo, ed infatti propongono il Portogallo in quando base navale ed area (nonostante
questo fosse neutrale), ed ancora Danimarca e Norvegia; questo però in altre parole
significava la difesa della Gran Bretagna. Inoltre, anche i paesi di matrice di lingua inglese.
I francesi invece non sostengono pienamente questa visione: il carattere troppo
anglosassone e troppo atlantico del futuro del Patto Atlantico non è condiviso; infatti, i loro
interessi si riversano anche sul Mar Mediterraneo e sul Nord Africa: questo spinge i francesi
a pensare che fosse utile sostenere l’ingresso italiano nel Patto Atlantico.
Tuttavia, sostenevano che fosse l’Italia a doversi candidare in maniera spontanea per la
partecipazione al Patto Atlantico.

Abbiamo quindi la presenza nel Dipartimento di Stato di una lobby filoitaliana, con i rapporti con
Tarchiani a cui si contrapponeva ad esempio Kennan.

Chi era contrario fortemente alla presenza italiana è la Gran Bretagna: in primo luogo è perché non
ritenevano che nel Patto Atlantico rientrassero le questioni del Mar Mediterraneo;
secondariamente, perché ritenevano l’Italia più un problema (strascichi dalla Seconda Guerra
Mondiale).
Ipotizzano quindi una dichiarazione fra Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia, nei confronti di Italia,
Grecia, Turchia e Iran. Quindi, l’Italia in questa ipotesi non rientrava nel Patto Atlantico.

La svolta si ha soprattutto con le pressioni di Tarchiani e Quaroni: con le elezioni di Truman, Tarchiani
sottolinea che il Patto Atlantico sarebbe stato concluso in breve tempo, per cui fosse necessario
agire per non essere esclusi.
Da parte italiana abbiamo due risposte: una prima mossa è la missione del generale Efisio Marras
negli Stati Uniti, con una convinzione circa l’interesse dei militari americani verso una partecipazione
italiana nel Patto Atlantico. L’altro episodio importante fu fra Sforza e Schuman, in cui i francesi
dichiarano che gli italiani devono dimostrare prontamente di voler partecipare al Patto Atlantico e
presentare la richiesta di adesione.

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Inoltre, nel dicembre del ’48 vi era stata anche un’importante dichiarazione del Vaticano: Pio XII
riteneva possibile la creazione di alleanze. Il cambiamento della posizione è dovuto al fatto che in
Europa orientale era iniziata una persecuzione dei cattolici, per cui era necessario che l’occidente
rispondesse all’avanzare del comunismo.

Nell’inizio del gennaio del 1949 Sforza e De Gasperi sono ancora cauti, ma a seguito di un incontro
elaborano un documento per cui non affermano di voler partecipare effettivamente al Patto
Atlantico, ma afferma che l’Italia sarebbe interessata a partecipare se venissero fornite maggiori
informazioni; il memorandum viene inviato a Tarchiani, che deve sintetizzarlo e farlo pervenire agli
americani: è in realtà è un gioco delle parti, nel senso che Sforza e De Gasperi sanno la posizione di
Tarchiani, per cui sanno che Tarchiani proporrà l’adesione italiana. Tarchiani comprende e presenta
quella che appare una vera richiesta d’adesione.
I francesi sfruttano la situazione e la presa di posizione italiana, scontrandosi tuttavia con le
resistenze della Gran Bretagna e l’incertezza degli Stati Uniti: per prima cosa, all’arrivo della
traduzione del memorandum originale italiano gli inglesi nuovamente sottolineano come
l’atteggiamento italiano non sia cambiato e non si dichiarasse effettivamente la volontà di aderire
al Patto, però la Francia controbatte sostenendo che anche la Gran Bretagna sostiene l’entrata della
Norvegia che per la Francia non era un’adesione fondamentale. La decisione viene quindi affidata
agli Stati Uniti.

Acheson e il memo a Truman sui pro e i contro dell’ingresso italiano: Truman da un parere
favorevole. Sforza il 4 aprile del 1949 giunge a Washington, e si firma l’adesione dell’Italia al Patto
Atlantico come paese fondatore.

Naturalmente dovremmo chiederci quale fu il vantaggio della partecipazione dell’Italia al Patto


Atlantico: da questo momento l’Italia diventava un elemento importante, diventava un paese
dignitoso e non era la periferia del sistema occidentale. Ricordiamo che la seconda opzione, rispetto
a quella dell’adesione, era l’entrata in un secondo momento ma posta al livello della Grecia e della
Turchia. Quindi, l’Italia non ha preso parte al negoziato, ma d’ora in poi sarà un membro
ineliminabile del sistema occidentale.

Pur tuttavia, anche se membro del Patto Atlantico, analizzando alcune fasi di sviluppo di questo
patto, l’Italia gode di una posizione più debole: l’Italia viene lasciata fuori e cerca di ottenere senza
grande successo riconoscimenti di prestigio.

Quindi, affrontiamo alcuni cenni sul ruolo italiano nel Patto Atlantico: dal 1949/1950 nascono
programmi di riarmo, MDAP e MAP. Questo implica in Italia alcuni cambiamenti: per prima cosa nel
1951 Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia dichiarano non più valide le restrizioni del Trattato di Pace
sul riarmo italiano.
Per quanto riguarda l’ingresso della Grecia e della Turchia, Sforza è favorevole all’allargamento a
questi paesi, perché sosteneva che in una prospettiva futura questo avrebbe fatto si che il fronte
meridionale della NATO divenisse più importante; inoltre, la stabilizzazione della Grecia e della
Turchia avrebbe portato un vantaggio all’Italia grazie alla stabilizzazione nel Mediterraneo.

Sulla questione del riarmo gli italiani non erano pienamente favorevoli, ma cercavano di trarne dei
vantaggi dagli Stati Uniti; agli inizi del 1951 l’Italia accetta di investire nella difesa.
Ancora, nel 1955 viene concluso un accordo bilaterale segreto fra Stati Uniti e Italia sulla
collocazione di basi militari in territorio italiano (in questo quadro di accordi rientra anche l’arsenale

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atomico, che sono stoccati in Italia). Nel quadro della NATO quindi l’Italia mantiene dei rapporti
speciali con gli Stati Uniti, non tanto dal punto di vista militare quanto politico, anche come status
rispetto agli altri stati: il rapporto con gli Stati Uniti è sì un fine, ma anche uno strumento per
dimostrare uno status davanti agli altri paesi (questo terminerà con la fine della guerra fredda).

Va ricordato che gli italiani non rispetteranno di non presentare richieste rispetto alle ex-colonie,
questione che turberà molto gli inglesi. Si giunge quindi ad un compromesso: negoziato con Bevin e
Sforza, con risultato per cui gli inglesi accettarono che
§ la Somalia fosse di amministrazione fiduciaria italiana,
§ che Tripoli tornasse all’Italia,
§ per l’Eritrea all’Etiopia,
§ e la Cirenaica agli inglesi con una rapida indipendenza.
Tuttavia, abbiamo una risposta negativa del blocco occidentale e i pochi paesi asiatici. Nel novembre
del ‘49 in capo alle Nazioni Unite si decise che
o la Libia sarebbe diventata uno stato unitario indipendente (indipendente nel 1951),
o l’Eritrea assegnata all’Etiopia,
o e la Somalia assegnata all’amministrazione fiduciaria italiana, lavorando però per il
raggiungimento dell’indipendenza.

L’Italia e la scelta europea: il Piano Schumann e la CECA


Per quanto riguarda le questioni europee nel 1950 abbiamo l’inizio del processo di integrazione
come lo conosciamo: il progetto è di Jean Monnet, strutturato su una triade, con una parziale
concessione di sovranità, ed effetto spill over. La struttura è simile a quella successiva della CEE, con
Alta Autorità, assemblea comune, Consiglio dei ministri e Corte di Giustizia.
C’è il sostegno del Ministro degli Esteri Schumann e la risposta favorevole del Cancelliere Adenauer.
Il progetto è soprattutto franco-tedesco, ma viene aperto anche ad altri paesi europei: BENELUX ed
Italia.
L’Italia accetta l’invito: in una prima fase Sforza pensa soprattutto alle implicazioni politiche, con il
riconoscimento della parità con i partner europei.

Ma vi è anche l’importanza delle questioni economiche del negoziato; gli svantaggi per l’Italia
principalmente sono collegate al fatto che l’Italia non producesse carbone. Pur tuttavia, il carbone
in piccole quantità veniva prodotto (zona del Sulcis).
La questione diversa era per l’industria siderurgica: questa si era invece sviluppata maggiormente;
tuttavia, era un’industria antieconomica, creata per ragioni politiche e sempre protetta (la prima
era stata la Terni). Con la grande crisi del ’29, che colpì anche l’Italia, parte consistente dell’industria
siderurgica italiana era passata in gran parte sotto il controllo dello stato e una piccola parte privata.
Quindi, ci si chiedeva se l’industria italiana fosse in grado di sostenere la competizione con la
Germania? Ed ancora, l’Italia non aveva materie prime.

Nonostante queste difficoltà, l’Italia accetta la sfida della competizione, ma ad alcune condizioni,
garantendo la possibilità di competere sul piano di parità con i paesi più forti:
§ deroga di 5 anni prima dell’applicazione del trattato per la siderurgia: c’era la necessità di
completare la modernizzazione degli impianti, che sarebbero stati in grado successivamente
di competere con quelli degli altri paesi più forti;
§ accesso al materiale di ferro delle miniere del Nord Africa francese: accordo bilaterale italo-
francese che non rientra nella CECA perché la Francia in Algeria possedeva delle miniere;

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§ libera circolazione dei lavoratori (viene accettato solo in parte perché nella CECA si prevede
la libera circolazione dei lavoratori, ma solo per quelli specializzati nei settori carbone e
siderurgico);
§ presenza italiana nell’Alta Autorità (anche qui non ottiene una risposta positiva, e vi è un
solo rappresentate italiano, Enzo Giacchero esponente non di spicco della DC, appartenente
al movimento federalista).

L’Italia quindi ottiene soddisfazione sui primi due punti, una parziale soddisfazione sul punto tre ed
ancora parziale nel punto quattro.

Dunque, l’importanza della partecipazione italiana alla CECA è legata al rafforzamento e


modernizzazione del comparto siderurgico, con impianti a Cornigliano, Piombino e Bagnoli.
La siderurgia italiana avrebbe vissuto poi delle fasi di crisi, come tutto il territorio europeo: Bagnoli
verrà dismesso.

Nel 1952 nasce effettivamente la CECA con la sede dell’Alta Autorità a Lussemburgo.

13/04/2021

Lezione Dr. Annalisa Urbano

L’amministrazione fiduciaria italiana della Somalia


Il mandato dell’ONU affidato all’Italia nel 1949: mandato di 10 anni per preparare da un punto
amministrativo, economico, politico e sociale per l’indipendenza della Somalia.
Prima di entrare nel vivo della questione, facciamo un sunto della situazione: i territori occupati
durante la guerra e poi persi ha costituito un argomento contenzioso a seguito della Seconda guerra
mondiale: i territori che prima erano indipendenti divengono nuovamente indipendenti. La
questione, quindi, riguarda quelle nazioni che non erano indipendenti: le colonie. Abbiamo visto
come le quattro potenze vincitrici non sono state capaci di giungere ad un accordo, e l’Italia è una
protagonista passiva: ha tentato di far valere le proprie intenzioni ma con scarsi risultati. L’intera
questione viene rimandata all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite: in realtà, il vero problema
era un fallimento nell’accordarsi per le sfere di influenza; anche il compromesso di Bevin Sforza,
visto ieri, era un compromesso che riguardava le sfere di influenza.

Infatti, la maniera strutturale di come gestire questi territori era già stato deciso alla fine della guerra
nel 1945: per quei territori che non erano ritenuti in grado di governarsi da soli, si era creato un
sistema di amministrazione, Trusteeship ovvero Amministrazione fiduciaria, che sarebbe entrato in
gioco prendendo controllo di questi territori proponendo politiche di sviluppo di autogoverno.

Vi è inoltre un precedente storico: un mandato internazionale della Società delle Nazioni; sorto nel
1919 per controllare le colonie delle ex potenze nemiche.
Il concetto di mandato per prendersi cura dell’amministrazione di un territorio considerato non
capace di gestirsi è un concetto prettamente coloniale. Non a caso in questi anni, nel ventesimo
secolo, il governatore britannico della Nigeria è autore di un libro in cui prende questo concetto,
quest’idea di amministrare una regione per civilizzarla e portare benefici e sviluppo.

Quali sono quindi le novità nel trusteeship dell’ONU?

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La traduzione italiana in amministrazione fiduciaria è definibile poco attinente all’accezione legale
che la definizione inglese prevede: la tutela; a differenza della traduzione italiana c’è un’unione di
tre elementi in chi gestisce qualcosa, chi la riceve e l’oggetto di tutela.
§ La novità è anche l’approccio che al tempo veniva definito democratico o progressista: i
giornali del tempo ne facevano riferimento così, utilizzando questa terminologia.
Effettivamente per gli standard del tempo era realmente progressista ed in un certo senso
democratico: per l’eccidio di Mogadiscio viene mandata una Commissione per ascoltare le
popolazioni colonizzate, e per il tempo era una grande novità.
§ L’altro elemento di novità è sicuramente la durata: mentre i mandati emersi dopo la Prima
guerra mondiale avevano durata indefinita, qui i mandati hanno un tempo limitato come nel
caso della Somalia che sono dieci anni. Questo elemento è molto importante, perché
l’amministrazione ha quel tempo per effettuare il mandato, ma anche il territorio
amministrato ha una sicurezza con una durata precisa.
§ Venne anche pensato un sistema di comunicazione, per fare comunicare le nazioni del
trusteeship con le Nazioni Uniti: era permesso ai somali di indirizzarsi alle Nazioni Unite, le
quali tramite il Trusteeship Council era tenuto ad analizzare le richieste.

Risoluzione ONU 289, 21 novembre 1949

Viene disposta la Federazione con l’Etiopia per l’Eritrea e la trusteeship per Libia e Somalia. Vi sono
due criteri di base: “accountability” e “international supervision”.
Vi è l’Advisory Council permanente a Mogadiscio composta da tre consiglieri.

I limiti del Trusteeship:


§ Nonostante gli obiettivi fossero chiari, come il raggiungimento dell’indipendenza, ma su
come raggiungerli non era chiaro: il come viene lasciato a discrezione della potenza che
gestisce il trusteeship, ovvero, tutte le decisioni pratiche erano responsabilità dell’Italia;
§ Inoltre, l’Italia non era tenuta a rispettare i suggerimenti del TC.

Vi è comunque una contraddizione netta: l’Italia, infatti, era un’ex potenza coloniale, ed ancora,
l’Italia non era membro delle Nazioni Unite. Inoltre, l’Italia era sì una repubblica ma non aveva una
lunga storia democratica, era una democrazia emergente.

L’AFIS per i Somali

AFIS significa Amministrazione Fiduciaria Italiana in Somalia, e ironicamente veniva definito come la
Fregatura per gli Indigeni Somali. In questo momento quindi l’AFIS viene vissuta come una sconfitta:
§ in primo luogo, le voci dei Giovani Somali non erano state ascoltate;
§ ancora, la sconfitta per il progetto della Grande Somalia.

Detto questo, l’AFIS è anche una piccola vittoria per i Somali: il sistema fiduciario poneva la Somalia
in una posizione di avanguardia rispetto alle altre colonie in Africa. L’AFIS è una vittoria per i Somali
perché nel ’50 i Somali hanno la sicurezza di raggiungere l’indipendenza entro dieci anni, nel breve
periodo, di cui le altre regioni africane non potevano godere.
Chiaramente, la Somalia da questo punto di vista è posta in posizione di avanguardia.

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L’AFIS per l’Italia

L’AFIS evidenziava i limiti dell’Italia e della diplomazia italiana nello scacchiere geopolitico
internazionale nel dopoguerra: infatti, ricordiamo che l’Italia aveva puntato all’ottenimento di tutte
le ex-colonie, ma aveva ottenuto l’amministrazione proprio del territorio su cui meno aveva
investito. Più importanti erano la Libia, dati gli investimenti, e l’Etiopia dato essere la prima colonia;
ancora, l’Eritrea aveva anche un’importanza geopolitica data la posizione geografica con il porto.
Mentre la Somalia era una colonia molto povera, anche se gli italiani avevano cercato di potenziare
qualche industria.

L’AFIS però permette all’Italia, comunque, di riscattarsi a livello internazionale: tramite l’AFIS l’Italia
pensava di essere ammessa come membro delle Nazioni Uniti (che avverrà negli anni ’50).
Quindi, l’AFIS diventava anche un’occasione per mostrare il nuovo outlook dell’Italia nel
dopoguerra. Ed ancora, vi era un rinnovato approccio italiano: da nazione imperiale, l’Italia si
dimostrava “paladina dell’indipendenza africana” citando le parole di Sforza.

L’AFFARE NASI

Questa nuova terminologia non deve trarre in inganno: nel dicembre del 1949 il governo italiano
dichiara di aver nominato come primo governatore AFIS della Somalia il general Guglielmo Nasi. La
nomina sarà poi cambiata dopo pochi mesi: questo dimostrava come vi fosse una scarsa capacità
nel governo italiano, e come l’Italia fosse ancora ancorata a principi coloniali nella gestione della
colonia.
Questa nomina infatti scatena diverse proteste, internazionali e italiane, e l’Etiopia invia un
memorandum in cui definisce Nasi fascista, invitando le altre nazioni ad opporsi a questa nomina;
questa nomina ha anche ripercussioni a livello interno perché l’opposizione (in particolare il PCI)
critica l’operato del governo.

Dunque, la nomina di Nasi rappresenta una scelta sbagliata: De Gasperi ritiene che Nasi non possa
rientrare in Africa (contrapponendosi all’opinione di Sforza che sostiene una posizione meno ferrea).
La nomina di Nasi viene ritirata.

Gli italiani dell’AFIS

La nomina dei governatori ricade su quattro personaggi, diplomatici, poco noti a livello
internazionale: Fornari, Martino, Anzilotti, di Stefano.
Invece per la scelta dei funzionari non si applica lo stesso criterio: la regola era di non mandare
funzionari che avevano già servito, mentre in Somalia questo principio non era utilizzato e i
funzionari avevano già lavorato per il Ministero dell’Africa italiana.
La Somalia post-eccidio

La Somalia è caratterizzata da molte tensioni sia nella popolazione somale sia dagli italiani: è una
società divisa, sia come conseguenza dell’eccidio, delle commissioni di inchiesta sul massacro e per
il nuovo atteggiamento degli occupanti militari britannici.

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Il partito nazionalista, dei Giovani Somali, è quello che teme di più: si ritiene colpevole, e temono di
più la reazione italiana in quanto sono coloro che più si sono esposti contro il ritorno italiano.

L’attenzione italiana è quindi concentrata sul partito nazionalista della Lega dei Giovani Somali: una
scelta obiettivamente obbligata per tentare di ricucire i rapporti.
Una prima azione per cercare di instaurare un rapporto con i Giovani Somali è l’idea, partita già nel
’48 e annunciata nel ’49, che si garantisce un’amnistia per i reati di carattere politico.
Allo stesso tempo l’Italia continua a sostenere gli altri partiti, e si cerca di corrompere vari esponenti
politici (ed anche leader locali) con promesse elettorali in caso di appoggio all’Italia.

Inoltre, vi è anche un’azione di propaganda con radio e giornali: i programmi di Radio Roma puntano
molto sulle promesse di investimento in programmi di sviluppo e la promessa di migliorare il sistema
educativo in Somalia.
Questo è un elemento di tensione fra italiani e somali: i partiti somali, sia a favore italiano e non a
favore, scrivevano alle Nazioni Unite che nella realtà dei fatti durante la colonizzazione italiana in
Somalia il sistema educativo non era stato sviluppato (tasso di istruzione al 0,3%).
L’Italia dal ’49 promette allora che avrebbe garantito l’istruzione dei somali.

Prima fase AFIS, 1950/54

Possiamo dividere l’AFIS in due fasi: la prima fase è dal 1950 al 1954.
Rispetto a quelle che erano state le promesse italiane, inizialmente attuano politiche repressive o
limitazione di comizi, partiti tenuti a organizzare meeting una volta a settimana a orari stabiliti ecc.

Vi è l’istituzione dei primi organi consultivi: consigli municipali e consigli territoriali o maggior
importanza alle rappresentanze claniche invece che a quelle politiche
o Proteste rivolte all’ONU e all’Advisory Council.

Il tutto sfocia in tensione ed episodi violenti (eccidio di Chisimaio del 1953).

Seconda fase AFIS, 1954/60

Caratterizzata da una distensione con miglioramenti nei rapporti fra gli italiani e somali: nel 1954 si
augura il processo elettorale municipale e nazionale in Somalia. Quindi, vi è un avvicinamento tra
l’AFIS e la leadership nazionalista somala.

Inizio del programma di autogoverno con le elezioni del primo parlamento somale: Assemblea
Legislativa del 1956, con maggioranza dei Giovani Somali.
L’Italia si occuperà principalmente delle questioni della politica estera, e la politica interna è quindi
affidata ai somali.

Altro processo importante è un processo detto di “somalizzazione” dell’apparato burocratico: i


funzionari italiani vengono sostituiti da personale qualificato somalo.
Questo processo va di pari passo con il programma di autogoverno.

Altra ragione per cui conveniva ai nazionalisti somali collaborare con gli italiani è perché l’AFIS,
grazie al processo di somalizzazione, è colei che gestisce il processo di elite-formation.

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Quindi, il ruolo chiave è giocato dal programma di formazione della classe dirigente somala
nell’avvicinamento tra la leadership italiana e somala.

Inoltre, abbiamo un programma di borse di studio con la fondazione dell’Istituto Universitario


Somalo (la futura Università Nazionale della Somalia).
Si stabilisce ancora che a seguito degli studi in Somalia si potesse partecipare agli studi in Italia
(finanziati dall’Italia): fra le università gettonate vi sono appunto la Sapienza e l’Università di Padova,
specialmente a partire dagli anni ’57.
Lo scambio culturale è continuo, diminuendo sì negli anni nello spostamento somalo in Italia, ma
aumenta lo spostamento di personale universitario italiano in Somalia.
Sarà inoltre significativo il training delle forze armate somale in Italia.

Questioni irrisolte
Per concludere, vediamo quali sono le questioni irrisolte di questo periodo che hanno caratterizzato
anche la storia post-coloniale non solo della Somalia.

La questione economica: gli investimenti fatti dall’Italia in Somalia furono insufficienti, per quanto
cifre stratosferiche, hanno prodotto pochissimo, ovvero, sono investimenti fatti male; non per forza
è una colpa dell’Italia. L’Italia ha puntato sull’agricoltura, e la stessa Somalia non è ricca di materie
prime con popolazione di nomadi che praticano agricoltura: le iniziative italiane non hanno dato
risultati sperati principalmente per questioni pratiche e di caratteristiche di territorio, perché
l’agricoltura somale si presta più ad una gestione familiare rispetto a quella su larga scala.

Il secondo problema è la tipologia di stato, di amministrazione che l’AFIS ha pensato per la Somalia:
le caratteristiche dello stato somalo indipendente negli anni ’60 sono copie di apparati italiani,
quindi, l’apparato somalo è costruito sul modello italiano. Questo ha creato grandi problemi perché
lo stato somalo è altamente burocratizzato, così come quello italiano: quello che si è creato è quello
che viene definito un gatekeeper state, uno stato che ha il controllo di tutti i sistemi produttivi.

L’ultima questione, a livello internazionale la più grave, è la questione confinaria con l’Etiopia: la
disputa fra Etiopia e Somalia è sempre stata di confine, fin dagli anni ’30. Il confine Sud era rimasto
irrisolto anche sotto amministrazione italiana, ed era stato utilizzato come pretesto dagli italiani per
attaccare l’Etiopia: gli inglesi allora negli anni successivi avevano tracciato un confine, una linea che
pensava fosse provvisoria. Le Nazioni Unite si erano raccomandate che la Gran Bretagna mettesse
d’accordo Italia, Somalia, ed Etiopia sul confine: la Gran Bretagna non lo fa, e questo ricade sull’AFIS.
Tuttavia, l’AFIS e l’Etiopia si siedono al tavolo nel ’57 ma non riescono a gestire la questione: le
Nazioni Unite propongono alle due nazioni che nominino due giudici superpartes ma anche in
questo caso Italia ed Etiopia non giungono ad un accordo. Le Nazioni Unite allora nominano il re
della Norvegia per risolvere la questione: il confine provvisorio tracciato dai britannici negli anni
precedenti diventa il confine ufficiale tra i due stati. La questione confinaria quindi irrisolta porterà
a due conflitti: nel 1964 e nel 1977/78.

19/04/2021

Dal centrismo alle premesse del centro-sinistra


Nel blocco di temi che individueremo sulla base di una certa periodizzazione, iniziamo a trattare
l’evoluzione del ruolo internazionale dell’Italia dal centrismo. Si vedono governi di coalizione, con al

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centro la Democrazia Cristiana che formava governi con alcuni partiti laici minori: queste coalizioni
sono molto difficili, infatti, i governi sono molto brevi (De Gasperi proverà a modificare la legge
elettorale con la legge maggioritaria, definita dall’opposizione la legge truffa, per cui non avrà molto
seguito).

È un paese che si spaccava in due, diviso e antisistema per cui il sistema centrista non reggeva: si
inizia a pensare ad una nuova formula politica. Il processo si caratterizzava in primo luogo con il
distacco dei socialisti dai comunisti.
Questo cambiamento di formula politica corrisponde ad un cambiamento radicale anche della
società italiana: la società italiana, nei loro valori, è molto più simile a quella degli anni ‘20/30.
Questo avrà un riflesso importante anche sulle vicende internazionali, sulla politica estera italiana.
Gli anni ’50 e gli inizi degli anni ’60 sono una fase molto importante per capire le trasformazioni del
paese e per capire il ruolo internazionale dell’Italia.

L’Italia e la CEDU (1950-1954)

Prima di giungere a tutto questo dobbiamo introdurre i motivi della scelta europea dell’Italia. Vi è
un episodio che per quanto fallimentare risulta importante: nel 1950 si presenta la questione del
riarmo tedesco. Con lo scoppio della guerra di Corea, non era sufficiente l’azione NATO ma si inizia
a pensare a riarmare la Repubblica Federale Tedesca: viene creata l’Alleanza Atlantica. Il Patto
Atlantico si strutturava in una vera e propria organizzazione.
Nell’estate del ’50 quindi Stati Uniti e Gran Bretagna propongono il riarmo della Repubblica Federale
Tedesca, contrapponendosi tuttavia alla posizione francese: questi erano contrari per ragioni di
ostilità dell’opinione pubblica, l’opposizione dei comunisti e dei gollisti, ed anche per il timore della
rinascita di una Repubblica Federale Tedesca troppo forte.
Quindi, si doveva trovare un compromesso nel mantenere la Repubblica Federale tedesca non
troppo forte, ma riarmarla.
Alla fine nel 1950 Jean Monnet riprende il sistema del Piano Schumann e avanzò l’ipotesi della
creazione di un esercito integrato europeo, formato dai contingenti dagli stati che avrebbero preso
parte a questo piano, inserito nel quadro della Comunità di Difesa sulla scia della CECA: questo
significava che gli stati avrebbero perso il controllo del loro esercito, nel senso che non erano eserciti
nazionali ma un esercito europeo. Questa ipotesi è detta il Piano Pleven: i francesi negoziano questo
progetto.

Inizialmente la reazione italiana è scettica, ed anche gli Stati Uniti nei primi mesi hanno un
atteggiamento poco convinto pensando che il piano francese sia un modo per evitare il riarmo
tedesco.
Tuttavia, l’Italia decide di prendere parte ai negoziati del Piano Pleven, sia perché i rapporti con la
Francia erano relativamente buoni, e anche grazie ai francesi l’Italia aveva preso parte al Piano
Atlantico. Inoltre, in Francia vi era un partito molto simile alla Democrazia Cristiana italiana.
Ed ancora, era in questo periodo che si negoziava la CECA, per cui l’Italia aveva espresso
approvazione: quindi per l’Italia era difficile avere una risposta negativa rispetto ad un altro progetto
europeista.
Ad ogni modo gli italiani sapevano che il progetto sarebbe stato archiviato, quindi partecipano per
continuare a mantenere un’immagine positiva nei confronti francesi ed anche statunitensi.

Vi è tuttavia un’evoluzione nella posizione americana: gli Stati Uniti diventano i più forti sostenitori
del progetto di Comunità Europea di Difesa nell’estate del 1951. A questo punto i tedeschi riescono

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ad ottenere una concessione, che contemporaneamente al negoziato Pleven, si avvia un negoziato
a quattro fra US/UK/F/RFT sulla restituzione della piena sovranità tedesca: Hadenahuer sostiene che
la Repubblica Tedesca può accettare di non avere un esercito nazionale ma con la restituzione della
piena sovranità.

Quindi, l’Italia comprende che in realtà la CED può trovare attuazione e nascono forti preoccupazioni
circa la CED:
§ In primo luogo, economiche: gran parte del bilancio sarebbe stato sottratto al controllo dello
stato, quindi, con eccessive spese per la difesa;
§ A livello militare sarebbe venuto meno il rapporto bilaterale fra Italia e Stati Uniti nella NATO,
dando più importanza al fronte centrale rispetto al fronte sud interesse dell’Italia;
§ A livello politico, il timore di una dura reazione delle sinistre e il movimento dei “partigiani
della pace” che ebbe grande successo in tutta Europa (il simbolo di pace della colomba di
questo movimento è ancora oggi rimasto).

La risposta di De Gasperi, che nel 1951 è diventato anche Ministro degli AA.EE. (poiché Sforza ha
problemi di salute), sosteneva di sfruttare il concetto di integrazione politica. Quindi, l’idea era di
sostenere la CED ma con obiettivo fondamentale l’integrazione politica, l’integrazione europea, la
Comunità Politica Europea (CPE).
Quindi, nel negoziato gli italiani puntavano su questo: il risultato fu apparentemente positivo,
perché quando fu redatto il trattato sulla CED l’articolo 38 prevedeva che si sarebbe avviato il
negoziato per la CPE una volta entrata in vigore la CED.
In realtà nel maggio del ’52 si apre la difficile questione della ratifica della CED, che come sappiamo
ad oggi è poi fallita.

Dunque, si apriva dopo il maggio del ’52 una fase difficile nella ratifica del trattato, anche se
apparentemente in una prima fase De Gasperi ottenne una vittoria: si poteva iniziare il negoziato
sulla creazione della CPE anche se la CED non era ancora in vigore. Effettivamente vi è un negoziato
con una bozza di trattato.

Tuttavia, il problema fondamentale di questa fase è la ratifica della CED: in Francia la questione è
complicata data la divisione interna (“querelle de la CED” simile al caso Dreyfus).
Anche in Italia non mancano le difficoltà, sia a livello interno che internazionale: in primo luogo De
Gasperi doveva affrontare l’avvicinarsi delle elezioni, e come abbiamo visto, propone la legge
maggioritaria. L’idea di De Gasperi era rafforzare l’esecutivo: se i partiti centristi si presentano uniti
e prendono più del 50% gli viene concesso un premio, portandoli al più del 60% consento di avere
governi più stabili. Vi è quindi la forte reazione non solo in Parlamento ma anche nelle piazze, anche
con scontri con la polizia: questa legge viene definita dai socialisti la “legge truffa”, una truffa nei
confronti degli elettori perché non rispettava le preferenze elettorali. De Gasperi quindi si trova
davanti a un forte problema di politica interna.
Inoltre, si trova a che fare con la questione di Trieste: quando la dichiarazione della Gran Bretagna
viene fatta, si sosteneva che l’Italia potesse ottenere sia la zona A che la zona B (pur consapevoli che
la Jugoslavia non avrebbe ceduto la propria zona, e che quindi le due zone sarebbero rimaste divise).
Al contempo, abbiamo un avvicinamento di Tito all’occidente a seguito di uno scontro con Stalin:
quindi, l’occidente, gli Stati Uniti, per il continuo contrapporsi con l’Unione Sovietica, si avvicinano
a Tito.

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A questo punto si ritiene che l’Italia debba risolvere la questione in forma bilaterale: gli italiani
continuavano a pensare di avere il sostegno anglo-americano, ed al contempo Tito godeva della
situazione.
La situazione quindi rimane bloccata, e a Trieste vi sono delle divisioni fra chi sostiene il ritorno in
Italia, chi sosteneva Trieste come enclave e stato autonomo, o chi sosteneva il controllo di Tito. In
Italia vi era una forte critica delle destre, non solo perché De Gasperi aveva svenduto l’esercito, ma
per la questione di Trieste non era riuscito ad ottenere le due zone.

De Gasperi, quindi, aveva problemi sulla legge elettorale, sulla questione della CED e sulla questione
di Trieste: non presenta il trattato della CED al Parlamento, nonostante le pressioni americane,
perché De Gasperi ritiene che non vi siano le condizioni per ratificarlo.

Ed ancora, De Gasperi si torva davanti a un problema nel contesto internazionale: l’amministrazione


Truman aveva assunto un atteggiamento cauto e prudente, ma nel 1952 le elezioni danno la vittoria
a Eisenhower con un programma di antitesi al contenimento, sostenendo che le amministrazioni
precedenti erano state deboli e passive nei confronti del comunismo. A questo punto gli alleati per
l’amministrazione dovevano fare il loro dovere, ad esempio con pressioni per la ratifica della CED.

Inoltre, in questo periodo muore Stalin: cambia l’atteggiamento e la direzione collegiale punta su
una posizione di pace, sostenendo che gli americani non vogliano la collaborazione mentre gli
europei si. Questo venne preso da Churchill positivamente, ad esempio, come un’opportunità di
dialogo, ed anche dai francesi.

Quindi, la politica di Eisenhower diventa anche una politica di lotta contro il comunismo: viene
nominato un nuovo ambasciatore a Roma, un ambasciatore politico, ovvero la signora Clare Boothe
Luce. Quando venne nominata il suo compito era quello della lotta al comunismo: l’idea era che
leadership moderata non fosse moderata ma debole.
Con De Gasperi e la Luce erano abbastanza buoni, ma i rapporti successivi con i democristiani, a
seguito della perdita delle elezioni di De Gasperi del ‘53, non saranno positivi.

Veniamo allora alla fase conclusiva: come detto, De Gasperi si fa da parte a seguito delle elezioni del
’53 (non vince poiché non scatta il bonus della legge maggioritaria, che verrà infatti cambiata).
Abbiamo quindi il governo Pella: per ottenere un consenso punta sulla politica nazionalista,
sostenendo per quanto riguarda il rapporto angloamericano che questi dovessero sostenere la
questione di Trieste. E difatti, gli angloamericani comunicano di cedere una parte all’Italia che però
condusse a una forte reazione di Tito con il rischio di conflitti armati fra Italia e Jugoslavia. Gli
angloamericani quindi non lasciano Trieste, ma questo provoca una forte reazione nella popolazione
di Trieste e nel novembre del ’53 ci furono delle manifestazioni.
Questi incidenti generarono l’intervento pesante della polizia locale di creazione inglese, con
l’uccisione di manifestanti (6/7 morti), con una risposta dell’opinione pubblica italiana anti-inglese.
Vi fu quindi il sostegno dell’opinione pubblica nei confronti di Pella, che si era posto contro gli
angloamericani e Tito: ma fin da subito si comprende che queste posizioni non giovano e il governo
Pella si fa da parte e sale al governo Scelba, il quale sostiene gli angloamericani. Nel caso di Trieste
il governo Scelba affida la questione di mediazione con la Jugoslavia agli angloamericani.
Per quanto riguarda la CED la posizione del governo Scelba è ambigua: in risposta
all’amministrazione americana affermano di iniziare la ratifica della CED in Parlamento, passando
dalla Commissione, pur sapendo che sarebbe stata una questione di mesi.
Agli inizi degli anni ’50 quindi i rapporti con l’amministrazione americana non sono facili.

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Quali erano quindi i problemi italiani nella ratifica della CED nel ’54?
§ Uno dei problemi, che non affrontiamo nel dettaglio è la ratifica francese della CED: se la
Francia avesse ratificato anche l’Italia avrebbe ratificato. Ricordiamo che i rapporti nel ’54
fra Francia e Stati Uniti sono complicati.
§ C’è un dibattito nella diplomazia italiana:
o chi sostiene che indipendentemente dalla scelta francese l’Italia avrebbe
dovuto ratificare la CED, che si identificava con la posizione sia di De Gasperi
perché ci si avvicinava alla CPE od anche di Tarchiani perché si sarebbe
rafforzato il rapporto con gli Stati Uniti.
o Dall’altra vi era Quaroni, convinto che non vi fosse maggioranza per la ratifica
della CED nel Parlamento francese, per cui la CED sarebbe fallita e l’Italia non
aveva necessità di crearsi un problema in più per un trattato che non sarebbe
mai entrato in vigore.

Sappiamo che nasce un governo in Francia contrario alla CED, presentando un nuovo progetto che
al contempo faceva saltare anche l’opzione della CPE. Il governo francese a seguito di una
conferenza decide di presentare il Trattato al Parlamento e la ratifica non passa: la CED fallisce.
Questo crea una crisi nei rapporti fra gli Stati Uniti e l’Europa.

La posizione italiana è inoltre molto debole, perché nella crisi della ratifica della CED l’Italia ancora
non l’ha ratificata. Piccioni agli AA.EE. inoltre, rassegna le dimissioni (per questioni scandalistiche
personali) e viene sostituito da Gaetano Martino: la NATO non solo diviene una questione di politica
estera ma anche di politica interna, nel senso che gli Stati Uniti erano motivo di equilibrio in Italia
anche a livello interno, per cui, i comunisti non sarebbero mai arrivati al governo e sarebbe rimasta
la democrazia cristiana.

Anticipiamo che alla fine del ’54 si risolverà la questione di Trieste: nel ’55 si risolvono le ultime
questioni del Trattato di Pace nei confronti dell’Italia ed entra a far parte dell’ONU, pronta a far
parte del rilancio dell’Europa. Dopo la metà degli anni ’50 la storia dell’Italia cambia, anche con una
diversa politica estera: emergono le figure di Andreotti, Fanfani, Aldo Moro.

20/04/2021

Proseguiamo con l’analisi delle vicende relative alla posizione internazionale dell’Italia dalla metà
degli anni ’50 fino agli inizi degli anni ’60 con il primo governo di centro-sinistra organico di Moro.

La soluzione di alcune questioni pendenti (1954-55)


Ci eravamo interrotti al 1954, a come il fallimento della CED abbia portato con sé la mancata entrata
in vigore dei trattati per la restituzione della sovranità tedesca ed anche della costituzione della CPE.
Sono state pubblicate alcuni anni fa delle lettere di De Gasperi a Fanfani, in cui De Gasperi si
rammaricava per le vicende della CED e continuava a sostenere il progetto europeista come
un’opportunità importante per la politica estera italiana: l’idea era è che solo attraverso una scelta
europea e al contempo atlantica l’Italia poteva rafforzare la propria democrazia (dati i vent’anni di
fascismo, ed anche la divisione interna al paese, che notiamo dalle elezioni del ’53 dove c’era una
forte espressione a favore dei partiti antisistema).

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Dunque, subito dopo la caduta della CED la preoccupazione italiana fu quella di salvare il sistema
occidentale, e soprattutto di salvare l’Alleanza atlantica: l’ambasciata italiana contattò Washington
dispiacendosi per la fine della CED e di integrazione politica europea, ma sottolineando come
contasse la sopravvivenza della NATO.

Nei mesi successivi la posizione italiana non fu particolarmente attiva: nel settembre del ’54 fu il
governo inglese a occuparsi della restaurazione dei rapporti statunitensi con l’Europa, e vi fu un giro
di alcune capitali europee (Roma, Bruxelles, Parigi) avanzando una soluzione alternativa alla CED.
I francesi accettarono il progetto inglese, ed anche gli americani lo accettarono ma con la riserva
per cui la Germania non sarebbe diventata una potenza nucleare. Il risultato finale furono gli accordi
di Parigi:
§ L’entrata della RTF nella NATO con un esercito nazionale;
§ La RTF ottiene dalle tre potenze occidentali la piena sovranità con l’eccezione di Berlino
Ovest;
§ La riforma del patto di Bruxelles, trasformato in UEO con l’entrata di Italia e RTF.

Da un punto di vista formale potremmo dire che l’Italia poteva considerarsi soddisfatta, e in
quell’insieme di accordi, trattati e organismi multilaterali ne faceva parte. Tuttavia, ricordiamo che
al centro di questo sistema ci sarebbero stati Francia e Gran Bretagna, quindi con un’Italia marginale,
però l’Italia accettò comunque la soluzione. L’accettazione è legata anche al fatto che la questione
di Trieste era stata affidata agli angloamericani:
§ la soluzione fu quella più ovvia, che si poteva immaginare fin dal 1948, per cui gli
angloamericani lasciarono la zona A e la restituirono agli italiani;
§ dall’altro lato la Jugoslavia confermò la sovranità nella zona B. L’Italia comunque non
sosteneva questi confini, e per vent’anni continuerà a sostenere la modifica di questi confini.
Ad ogni modo, nel 1954 Trieste torna all’Italia.

Naturalmente, abbiamo già detto che nel ‘54/55 finisce il dopoguerra, e finisce l’eredità di quella
che era stata la Seconda guerra mondiale:
o nel ’49 era stata risolta la questione delle ex-colonie;
o nel Memorandum di Londra veniva risolta la questione di Trieste;
o nel ’55 l’Italia entrava a far parte delle Nazioni unite.
Riguardo a questo punto dobbiamo sottolineare alcune informazioni: l’Italia aveva chiesto l’entrata
nella NATO già nel 1945, ma vi era stato un ostacolo di tipo formale, poiché i promotori dell’ONU
erano i vincitori della Seconda guerra mondiale, per cui i paesi sconfitti non entrano a far parte delle
Nazioni Unite. Difatti, l’Italia nel ’47 è ancora una nazione sconfitta soggetta a regime armistiziale:
ovvero, finché l’Italia non avesse ratificato il Trattato di pace l’Italia restava un paese sconfitto
occupato militarmente, per cui non aveva sovranità e non era riconosciuta internazionalmente.
Quando ratifica il Trattato di Pace, l’Italia richiede di entrare a far parte delle Nazioni Unite, ma
l’Unione Sovietica pone il veto in Consiglio di Sicurezza in quanto l’Italia rientrava nella sfera di
influenza occidentale (viceversa le potenze occidentali in sede ONU ponevano il veto per le nazioni
di influenza sovietica).
Dopo il 1950 De Gasperi tornò sulla questione, per far sì che l’Italia entrasse a far parte dell’ONU,
ma vi fu comunque il veto dell’Unione Sovietica. Va detto che l’Italia entrò a far parte di alcune
organizzazioni delle Nazioni Unite, aveva degli osservatori con una delegazione italiana
all’Assemblea delle Nazioni unite, ma formalmente non ne faceva parte.
Quindi, con la distensione cade il veto sovietico, quindi, alla fine del 1955 l’ONU accetta il “package
deal”: 16 nazioni fra cui l’Italia entrano a far parte delle Nazioni Unite.

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L’Italia attribuisce l’importanza al ruolo dell’ONU.

I cambiamenti della metà degli anni ’50 e l’avvio di una nuova fase nella
posizione internazionale dell’Italia (1955-1963)
A livello politico interno, dopo l’esperienza di luigi Einaudi esponente del partito liberale, alle
elezioni del ’55 viene eletto Giovanni Gronchi (con scarso entusiasmo americano). Quindi:
§ Nel ’55 viene eletto Giovanni Gronchi, con scarso entusiasmo US e dell’ambasciatrice Luce
che riteneva che Gronchi sarebbe stato uno di quelli pronto ad aprire al dialogo con le
sinistre;
§ Viene affidato l’incarico di formare un governo ad Amintore Fanfani, accademico di
formazione e docente universitario di economia politica, rappresentante dell’ala sinistra
della DC (in passato vicine alle posizioni del corporativismo) e più volte ha ricoperte cariche
ministeriali;
§ Emilio Colombo rappresentava l’ala moderata della DC, giovane intellettuale che sarebbe
diventato specialista di questioni economiche divenendo ministro dell’industria, del tesoro
ecc. e sarebbe stato uno dei più convinti sostenitori dell’integrazione europea.

Allora, la nuova immagine dell’Italia si caratterizza per una nuova leadership politica:
o Gronchi, Fanfani, Segni, Moro, Andreotti per la DC;
o Saragat per il PSDI;
o La Malfa per il PRI;
o Nenni per il PSI.

Cambia anche l’immagine dell’Italia percepita all’estero, ed anche il modo in cui l’Italia proietta la
propria immagine all’estero: negli anni ’40 dobbiamo prendere in considerazione il filone dei film
neorealisti, film che danno l’immagine di un’Italia povera, che stenta a rinascere con problemi sociali
gravissimi come racconta la pellicola “Sciuscià”. Con gli anni ’50 invece l’immagine cambia, e ci sono
alcuni film italiani e americani che danno un’immagine diversa dell’Italia: quelli americani sono
“Vacanze Romane” e “Tre soldi nella fontana”, in cui l’Italia viene rappresentata in maniera positiva
come un paese che ha superato il dopoguerra.
Naturalmente sono dei grandi spot pubblicitari, soprattutto nei confronti di Roma: questo ha un
rilievo, perché questi due film furono due grandi successi di pubblico negli Stati Uniti, e guardando
ai numeri nello sviluppo del turismo di questi anni vi è una crescita incredibile.
Questi film, quindi, contribuiscono a dare un’immagine curata dell’Italia.

Vi sono anche aziende, come Paramount, che decidono di spostare la propria attività in Italia per le
produzioni, dette Kolossal, per realizzare film in Italia: in primo luogo perché costava meno, ed
anche perché c’era anche la tradizione di Cinecittà con maestranze specializzate che costavano
meno rispetto agli Stati Uniti.
Questo significò un ulteriore rafforzamento dell’immagine italiana all’estero: ad esempio, “la Dolce
vita”, diventa un termine internazionale derivante dalla pellicola di Fellini, che lascia nel pubblico
l’immagine di luoghi topici come la Fontana di Trevi e Via Veneto.

Al di là di questo, si aggiungevano questioni concrete come il “miracolo economico”: l’Italia vive una
crescita, che come vedremo parlando della CEE, sarà una crescita che potremmo definire quasi di
carattere cinese; la crescita del PIL era di quasi il 6/8% annuo.

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Ed ancora, l’Italia diventa un paese industrializzato, cambiando anche la società italiana con la fuga
dalla campagna verso la città: vi è anche un’immigrazione interna dal sud verso il settentrione, con
inurbamento di contadini che diventano operai.
Questo si porta dietro anche gravissimi problemi di carattere sociale, come il razzismo nei confronti
dei meridionali, e la speculazione edilizia dato il mancato coordinamento con lo stato.
L’aspetto più evidente di questo cambiamento è la motorizzazione di massa: chi prima utilizzava una
Vespa, ora utilizza un’automobile; insieme all’automobile si acquista la televisione, la lavatrice ecc.,
che è un grande cambiamento anche per la donna che negli anni ‘50/60 è ancora una massaia e
vede un cambiamento nella propria vita di tutti i giorni. Ricordiamo però anche il cambiamento nel
lavoro stesso della donna, che diventa operaia e può iniziare ad intraprendere la carica di
magistratura: questo è un grande cambiamento di mentalità, significativo se guardiamo anche al
caso Viola (cambierà anche il Codice penale).

L’immagine dell’Italia diventa un’immagine basata anche sulle produzioni industriali italiane come
l’Autostrada del Sole, che unisce il nord al sud (da Milano a Napoli) che permetteva comunicazioni
più rapide.
Quindi, sul piano industriale ci sono alcuni simboli come la Vespa, le auto sportive (comincia il mito
della Ferrari), le macchine da scrivere (macchina da scrivere Olivetti): l’industria italiana è fatta
anche di questo, di design italiano.

Con questo vogliamo dire che l’Italia trasmette un’immagine ottimista, che va alla ricerca del proprio
ruolo internazionale. La politica estera italiana diventa anche assertiva, e questo periodo
rappresenta uno dei primi fattori che permette all’Italia di aspirare a media potenza internazionale
(pur ricordando che vi sono problematiche legate al mezzogiorno: la questione si legherà alla scelta
europeista dell’Italia).
C’è un ulteriore evento: nel 1960 l’Italia ospita le Olimpiadi a Roma, fra le prime trasmesse in
televisione, quindi ha una copertura mediatica molto forte (le prime opere pubbliche costruite a
Roma sono connesse alle Olimpiadi); all’estero passa l’immagine di un paese che si sta
trasformando.

La scelta europea e il rilancio dell’Europa

Uno degli aspetti importanti che si lega anche alle scelte economiche e al miracolo economico è la
partecipazione italiana al rilancio dell’Europa: alla Conferenza di Messina vengono stipulati i Trattati
di Roma (1955-1957).
Nel rilancio dell’Europa l’Italia non svolge un ruolo principale, infatti, l’iniziativa parte dal francese
Jean Monnet e dai paesi del Benelux:
§ il progetto di Monnet si basava su una comunità per l’energia atomica:
o a metà degli anni ’50 l’energia nucleare era vista come l’energia del futuro, come
una fonte energetica che non solo avrebbe potuto sostituire il carbone, ma anche
il petrolio.
o Tuttavia, Monnet partiva da una supposizione sbagliata, perché l’Europa non
aveva petrolio, che veniva estratto in altri paesi come Stati Uniti, Venezuela ma
soprattutto del Medio Oriente come Iraq e Golfo Persico.
o Il timore di Monnet era quindi che l’Europa divenisse dipendente da altri paesi
per il petrolio, per cui fosse necessario basarsi sull’energia atomica;
o l’idea di Monnet era inoltre che l’energia atomica fosse inesauribile e decrescenti:
la visione è quindi ottimistica, nel senso che i paesi europei non avevano ancora

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sviluppato l’energia nucleare e quindi la soluzione poteva essere l’unione in una
comunità per l’energia atomica.
§ i paesi del Benelux pensano a un mercato unico europeo: sfruttare la CECA, e in questo
quadro si pensa a una Comunità Economica Europea meglio definita come un mercato unico.
Quello che interessava era l’integrazione economica.

Nel ’55 c’è uno scambio di opinione fra Monnet e i paesi del Benelux e si decide di mettere insieme
in unico Memorandum l’ipotesi di entrambi.
La prima tappa è nel giugno del 1955 con la Conferenza a Messina: in questa occasione viene
presentato il Memorandum. A livello italiano, che aveva avuto occasione di visionare
anticipatamente il memorandum, vi erano state alcune riunioni interministeriali in cui il progetto
del Benelux era stato preso in considerazione:
§ i sostenitori di questo progetto erano alcuni diplomatici italiani che avevano avuto già
esperienza della CECA;
§ e altro sostenitore era Ezio Vanoni, democristiano, che nello stesso periodo era impegnato
nel progetto Vanoni per lo sviluppo fiscale ed economico generale del Paese ma anche con
l’idea di risolvere il problema del meridione.
§ Il problema della comunità economica era più complesso, perché nel ’52 gli italiani erano
stati scettici nei confronti del mercato comune: mentre nel ’55, data la visione positiva,
condividono l’idea del mercato comune accettando la sfida della competizione. La volontà,
quindi, c’era anche nella classe politica. L’idea è che a certe condizioni, l’Italia può accettare
il mercato comune: coloro che più sono prudenti sono gli industriali privati, vedendo la
difficoltà nella competizione con la Germania.

Tuttavia, l’Italia può accettare con alcune condizioni: per capirle individuiamo primariamente le
tappe fondamentali di tale negoziazione.
1. Come detto, alla Conferenza di Messina nel ’55 viene presentato il Memorandum, ma non
viene avviata alcuna negoziazione e non vengono prese decisioni, in quanto prudenti dato il
fallimento della CED: viene affidato lo studio ad un gruppo di esperti, provenienti dai sei
(Germania Ovest, Francia, Italia, Benelux), di studiare questo progetto. Il gruppo di esperti è
inoltre presidiato da un uomo politico, Spaak: ministro degli AA.EE. del Belgio, fortemente
europeista; gli esperti erano dei vari ministeri, o diplomatici, o provenivano dal progetto
della CECA.
Il risultato di questo lavoro di esperti sono progetti di trattato, uno sulla comunità europea
sull’energia atomica (definito poi EURATOM) ed un altro sul mercato economico.
Tuttavia, vi era molta preoccupazione, specialmente nei confronti della CEE mentre
sull’EURATOM erano tutti più o meno favorevoli; l’unico problema relativo all’EURATOM
riguardava il fatto che la Comunità avrebbe avuto carattere pacifico, mentre i francesi
volevano proseguire con un obiettivo anche di carattere deterrente nucleare nazionale.

2. Quindi, quando si arrivò alla primavera del 1956 gli italiani erano favorevoli ad entrambe le
ipotesi, sia alla CEE sia all’EURATOM; la RTF accettava entrambe le ipotesi, anche se più
scettica nei confronti dell’EURATOM; il Benelux, favorevoli ad entrambi anche se con
particolare attenzione alla CEE; mentre i francesi erano parzialmente favorevoli
all’EURATOM, e molto scettici sulla CEE.

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3. Quindi, le premesse non erano particolarmente positive: ciò non toglie che quando si arrivò
a una Conferenza dei ministri degli esteri tenuta a Venezia nel maggio del 1956, i francesi
posero alcune condizioni che sbloccarono il negoziato. Quali erano le condizioni dei francesi?
o La prima richiesta riguardava il mercato comune: se fosse stato fatto il mercato
comune per i prodotti industriali, allora avrebbe dovuto esser fatto un mercato
comune anche per i prodotti agricoli (la Francia era ancora un paese fortemente
agricolo);
o La seconda richiesta riguardava il fatto che la Francia fosse ancora un paese
imperiale, quindi la CEE doveva rendersi conto di questo e farsi carico dello
sviluppo economico di questi paesi (allora ancora colonie);
o L’ultimo elemento era la creazione di una tariffa esterna comune: la CEE è
liberalista all’interno ma protezionista all’esterno (proteggendosi all’esterno
specialmente dai prodotti agricoli – proteggendo così l’agricoltura francese).

4. I sei accettarono le richieste francesi, e nel marzo del 1957 abbiamo la firma dei Trattati di
Roma con la nascita della CEE e dell’EURATOM.

La Comunità Economica Europea e all’EURATOM non provocano reazioni nell’opinione pubblica:


data la loro tecnicità non sono di “interesse o comprensibilità” dell’elettorato, quindi anche in
Parlamento non vi sono particolari difficoltà nella discussione di questi trattati.

L’Italia ad ogni modo sostiene di essere un paese debole, dato anche il problema del mezzogiorno,
per cui pongono delle condizioni alla ratifica italiana dei trattati. Per quanto riguarda l’EURATOM:
§ L’Italia è favorevole all’EURATOM, in quanto opportunità per contare su una risorsa
energetica per lo sviluppo economico. Vi è anche una tradizione di studi di fisica nucleare
alla scuola di Via Panisperna.
Per quanto riguarda la CEE gli italiani chiedono:
§ in primo luogo, una politica sociale europea, a cui sussegue la nascita del fondo sociale
europeo, FSE, nel 1958;
§ Al di fuori del trattato vi è una promessa di una politica regionale da parte dei firmatari: la
Comunità Europea si farà carico del problema meridionale italiano; sottolineiamo tuttavia
che si tratta di una promessa;
§ Altro aspetto importante è la libera circolazione della manodopera, con l’apertura dei
mercati del lavoro all’emigrazione italiana: anche se come detto l’immigrazione in Italia in
questi anni si basa su uno spostamento all’interno del paese dal sud al nord, vi è anche un
grande spostamento di lavoratori dall’Italia verso l’estero, specialmente la Germania.
§ Ed ancora, la libera circolazione dei capitali: l’idea era che l’Italia fosse un paese povero, per
cui fosse necessaria l’entrata di capitali per lo sviluppo del mezzogiorno. Nel 1958 nasce la
BEI, la Banca Europea per gli Investimenti.

Quindi, in conclusione l’Italia ottiene delle concessioni favorevoli che si legano al Piano Vanoni per
lo sviluppo economico e per la soluzione del problema del Mezzogiorno.

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21/04/2021

I cambiamenti della metà degli anni ’50 e l’avvio di una nuova fase nella
posizione internazionale dell’Italia (1955-1963)
Con la lezione di ieri ci siamo interrotti affrontando il tema della partecipazione italiana al rilancio
dell’Europa; riprendiamo con latri aspetti della posizione internazionale dell’Italia che abbiamo
definito come il periodo di costruzione del centro sinistra: soprattutto, prendendo in considerazione
alcuni elementi importanti della politica estera italiana di questi anni, definibile come il tentativo
italiano di giocare un ruolo nell’area del Mediterraneo per poi concentrarci l’attenzione sui rapporti
con gli Stati Uniti.

Prima di tutto però, è necessario sottolineare che nel ’56 c’è un cambiamento delle posizioni del PSI
in seguito all’insurrezione ungherese: interpretata come un’insurrezione popolare vs un regime
autoritario di stampo staliniano; al contrario il PCI assume un atteggiamento simile all’URSS su quel
fronte considerandolo come un tentativo antirivoluzionario, di destra e filofascista. I rapporti tra PCI
e PSI si deteriorano ulteriormente.
Nel ’56 dunque nel PSI prevale la corrente autonomista: rinuncia all’alleanza con il PCI & apertura a
trattative e dialogo con la DC; scelta che va incontro forti resistenze interne dove c’è una corrente
di sinistra favorevole al mantenimento di rapporti con il PC e resistenza della DC - settori più legati
alla Chiesa contrari - e resistenza di alcuni settori della società italiana (Chiesa, alcuni ambienti
economici, stampa e media schierati su posizioni conservatrici -La Stampa, Corriere della Sera).
Dialogo e apertura a sinistra molto lento e difficile (spiegabile alla luce di ciò); a parte l’esperienza
del governo Tambroni che segna una battuta di arresto e quasi un cambio di marcia nel ’60, la
tendenza è quella di dialogo e apertura graduale verso la sinistra.

Dunque, trattiamo un primo elemento di cambiamento nella politica estera italiana: la questione
relativa alla politica verso il Mediterraneo. Questo non va inteso in senso geografico, ma è un
mediterraneo allargato, principalmente verso la sponda sud (dalla Libia all’Egitto, con alcuni
interessi all’Algeria e alla Tunisia). Ed ancora, un’attenzione italiana che giunge fino all’Iran. Quando
parliamo di Mediterraneo, è un termine che va inteso con una certa attenzione, che non riguarda
l’area geografica stretta al mediterraneo, ma è un’area più allargata.
Ricordiamo che questo elemento riguardava la politica italiana fin dall’800: le direttrici di esercitare
una qualche influenza non sono cambiate, ma cambiano le caratteristiche e i modi in cui si attua
una certa influenza. Il termine a cui si fa riferimento è quello di Neo-atlantismo: chi promuove
questo termine è Pella, un democristiano moderato, ma sarà poi ripreso dalle correnti della sinistra
democristiana come Fanfani, Gronchi e La Pira. Dunque, con Neo-atlantismo si faceva riferimento a
un nuovo obiettivo atlantico: l’Alleanza atlantica avrebbe dovuto puntare allo sviluppo di un’azione
politica.
Inoltre, vi era l’idea che soprattutto nell’area del mediterraneo gli equilibri stessero mutando
rapidamente: è importante fare riferimento ai due attori importanti: Gran Bretagna e Francia,
esercitano ancora un’influenza diretta o indiretta importante fino agli anni ’50, ma naturalmente,
con la metà degli anni 50 le cose iniziano a cambiare, e il processo di decolonizzazione emerge in
maniera molto forte nel mediterraneo e medio-oriente. Dopo la metà degli anni ’50 si andava verso
la fine del sistema imperiale, e l’occidente avrebbe avuto a che fare con nuovi leader di spinta
anticolonialista (ed anche antieuropei): a partire dalla crisi di Suez capiscono che gli equilibri stanno
cambiando, per cui fosse necessario dialogare con questi leader. Dal punto di vista italiano questo
significava un nuovo spazio di manovra con il ridimensionamento della posizione francese e inglese

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dati i vuoti di potere creati: il neo atlantismo è questo, ovvero, porre l’Italia come strumento di
mediazione fra i leader indipendenti e gli Stati Uniti; ciò che gli italiani dicono alle autorità americane
è che nel vuoto di potere si potrebbe inserire l’URSS, timore americano, e allora gli italiani possono
essere i mediatori fra gli Stati Uniti e le nuove classi politiche che nascono dai processi di
indipendenza e decolonizzazione. Perché ritengono di poter svolgere questo ruolo? Perché non
hanno nessuna eredità coloniale, per cui la classe dirigente italiana si fa assertrice del processo di
decolonizzazione, in quanto giusto e inarrestabile. Nasce quella che è la politica filoaraba dell’Italia
(si riciclano alcuni strumenti di politica filoaraba fasciste, approfittando della debolezza francese e
inglese, ma per sostenere la decolonizzazione).
Questo porta ad un atteggiamento amichevole verso il mondo arabo: specialmente con l’Egitto in
quanto più grande e popolato (questa sarà una costante, entrata in crisi negli ultimi anni con il caso
Regeni e Patrick Zacki per questioni di diritti umani).
Al di là di questo, qual era l’obiettivo di fondo di questa politica italiana, previlegiando i rapporti con
questi paesi? L’obiettivo è essere a tutti gli effetti un paese europeo, ma non può dimenticare
l’aspetto geopolitico ricollegato al mediterraneo per cui ci sono due direttrici tradizionalmente nella
politica estera italiana: una verso l’Europa e una verso il Mediterraneo. Quindi, l’Italia propone la
sua vocazione mediterranea, determinata dal carattere geografico; tuttavia, esisteva un obiettivo
ben preciso, che secondo il Prof. Varsori è anche quello più importante: l’Italia non vuole esercitare
nessuna forma di dominio, ma ha lo scopo di fondo di natura economica, con la possibilità di
allargare gli interessi italiani di natura economica al medio-oriente.
L’obiettivo italiano è quello di sfruttare la situazione diversa, data anche dal rapporto con gli Stati
Uniti, per ottenere vantaggi di natura economica: in questo ambito, ruolo fondamentale è svolto
dall’ENI di Enrico Mattei; infatti, un paese industriale necessita di fonti energetiche: c’è l’EURATOM
e quindi l’energia atomica ma ancora non sviluppata. Il petrolio invece negli anni ’50 è disponibile
in quantità crescente a prezzi bassi, dunque, si punta su quello.

Fino agli anni ’50 le fonti energetiche sono sfruttate da alcune grandi compagnie straniere,
multinazionali, fondamentalmente angloamericane: le cosiddette “sette sorelle”, grandi compagnie
petrolifere angloamericane che controllano il mercato del petrolio nell’area Medio-orientale,
talvolta anche con una forte influenza politica in queste aree.
Nella metà degli anni ’50 fino agli anni ’60 il tentativo di rompere il monopolio delle sette sorelle lo
svolge l’ENI di Enrico Mattei: Mattei mette in piedi una piccola azienda negli anni ’30, vicino alla DC
e a capo dell’AGIP (ente di stato creato durante il fascismo per la gestione della politica petrolifera,
considerato post Seconda guerra mondiale come un carrozzone statale inutile e dispendioso);
Mattei viene messo alla guida dell’AGIP per smantellarlo e ritiene che l’Agip sia uno strumento
importante per l’acquisizione energetica italiana: in altre parole, è uno strumento fondamentale
affinché l’Italia diventi una potenza energetica. In seguito, dall’AGIP si passa all’ENI, Ente nazionale
idrocarburi.
In primo luogo, Mattei pubblicizzava quello che faceva: negli anni ’50 l’AGIP scopre dei giacimenti
di gas nella Pianura Padana e Mattei punta alla pubblicizzazione di questi giacimenti: vi è quindi
l’illusione che l’Italia possa diventare autonoma; però, ricordiamo che in Italia non vi sono giacimenti
di petrolio, per cui puntando ai paesi produttori di petrolio, propone dei contratti 50/50: partnership
sul piano paritario, dichiarandosi pronti ad aiutare lo sfruttamento energetico in questi paesi
(fornendo non solo maestranze italiane, ma anche formando e specializzando quelle dei paesi
contraenti). Quindi, fa dei contratti ad esempio con l’Algeria: per quest’ultimo si sostenne
addirittura il Fronte di Liberazione Nazionale algerino, contrapposti ai francesi, in modo che nel
futuro il FLN sostenesse lo sfruttamento energetico italiano nei loro territori.

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Mattei è comunque una figura controversa: patriota ma corruttore, poiché è il primo a finanziare
partiti politici per raggiungere l’obiettivo di politica energetica indipendente con
approvvigionamenti di petrolio a interessi utili per l’Italia; ma per fare tutto questo, necessita di
sostegno politico e si lega alla DC sostenitrice del neo-atlantismo.
La politica di Mattei quindi fu di successo? In primo luogo, si scontrò con le sette sorelle, che lo
vedevano come un ostacolo in quanto Mattei stringeva accordi più favorevoli con questi territori;
non sempre i contratti venivano effettivamente conclusi positivamente, ma comunque il più
importante è quello concluso con l’Unione Sovietica nel 1960: questo ruppe un equilibrio, con
l’amministrazione Eisenhower che assunse un atteggiamento cauto, mentre Fanfani sostenne
Mattei.

Ultimo elemento è l’attenzione verso l’Africa con la decolonizzazione del 1960: l’Italia punta
sull’ONU, perché grazie all’ONU si hanno buoni rapporti con i paesi asiatici (rapporti con la Somalia
di indipendenza).
In questo quadro si colloca l’azione di La Pira: sostenitore del dialogo interreligioso e interessato al
bacino Mediterraneo (sede delle 3 religioni monoteiste). La Pira alla fine del ’60 organizza a Firenze
dei convegni che vanno nella direzione del dialogo con le nuove leadership del MO e Mediterraneo.
Vengono invitati anche i rappresentanti del FLN algerino (mentre appunto l’Algeria combatte contro
la Francia).
Sempre in quegli anni i paesi africani e MO iniziano ad aderire all’ONU. Vi è quindi un boom delle
esportazioni di beni durevoli italiani con la conseguente crescita dello sviluppo economico italiano.
La politica italiana nel Mediterraneo è molto velleitaria.

L’altro aspetto importante da esaminare è il rapporto con gli Stati Uniti: i rapporti degli anni ’50 fra
l’amministrazione democristiana e la signora Luce non erano facili: la Luce insieme alla diplomazia
USA chiede provvedimenti forti contro il PCI ma la DC non agisce in quel senso. Ancora, nel ’55 la
signora Luce è molto scettica e non particolarmente favorevole nei confronti dell’elezione di Gronchi
a Presidente della Repubblica.
Va detto però che dopo il ’56 con la rottura del PCI e PSI, le posizioni dell’amministrazione americana
si diversificano:
o c’è la posizione dell’ambasciata USA a Roma favorevole al dialogo fra il PSI e PCI e favorevole
al mantenimento dell’esperienza dei governi centristi;
o e la differente posizione di Washington: la politica estera americana è una politica che viene
da spinte diverse, dunque, a Washington l’amministrazione Eisenhower è scettica sul dialogo
fra Democrazia Cristiana e Partito Socialista Italiano;
o mentre la CIA è favorevole in quanto per fare le riforme c’è bisogno del consenso ella classe
operaia: utilità del PSI.

Il quadriennio ‘58-’62 è contrassegnato da forte instabilità nei rapporti Est-Ovest che si ripercuote
sullo scenario politico italiano accelerando e poi frenando la marcia verso l’incontro tra cattolici e
socialisti.
Le elezioni legislative del ’58 vengono vinte da Amintore Fanfani DC che cumula le cariche di MAE e
segretario del partito; rimarrà per 7 mesi.
Fanfani cerca di far convivere nella PE italiana due anime: quella atlantica ed europeista assieme a
quella neo-atlantica che punta su una maggiore cooperazione con le nazioni mediterranee - in
sintonia con i piani di penetrazione economica dell’Eni.

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Il primo banco di prova è costituito dalla crisi scoppiata in Iraq con l’uccisione del re Feisal II e dal
successivo sbarco dei marines in Libano deciso da Eisenhower. Qui Fanfani concede agli US il
permesso di utilizzare l’aeroporto di Capodichino per il trasporto delle truppe in MO.
Allo stesso tempo, Fanfani vola a Washington per esporre a Eisenhower e Dulles un piano
economico volto ad aiutare i paesi arabi, una sorta di Piano Marshall per il Mediterraneo: gli USA
tuttavia sono scettici.

Ed ancora, quando Fanfani diventa Presidente del Consiglio e Ministro degli AA.EE. viene stretto un
accordo del 1959 sulle basi missilistiche in Puglia. Qual è il ruolo di Fanfani e l’accordo del 1958-
1959 sulle basi missilistiche in Puglia? L’applicazione del criterio della “doppia chiave”: si comprende
come l’Italia non sia completamente dipendente dagli Stati Uniti, e c’è tutta un’evoluzione e
processo che viene costruito negli anni, relativo all’apertura a sinistra degli USA.
§ In primo luogo, si passa dall’utilizzo di bombardieri strategici all’utilizzo di missili a corto-
medio raggio (non strategici ICBN dagli US) installati in Europa che possono colpire il
territorio dell’URSS;
§ Accordo bilaterale nel quadro dell’Alleanza Atlantica, per cui Italia accetta di ospitare queste
basi missilistiche (ospitanti missili anche con testate nucleari) in Puglia, per ragioni
geografiche;
§ Dimostrazione del potere negoziale italiano: queste basi militari, secondo il concetto della
“doppia chiave”, benché i missili fossero di proprietà US questi missili non avrebbero potuto
essere utilizzati in mancanza dell’accordo del più alto militare italiano in grado della base,
ergo l’azione US era vincolata in teoria all’accondiscendenza dell’Italia e del suo governo.

Importante è il ruolo degli intellettuali italiani dell’ara bolognese, Cavazza e poi Romano Prodi, agli
inizi degli anni ’50: generalmente di matrice cattolica ma progressisti, e favorevoli al dialogo coi
socialisti.
§ L’associazione mette in piedi la rivista “Il Mulino” e la casa editrice omonima “Il Mulino”
nasce come associazione culturale anche grazie a dei finanziamenti di associazioni
americane; è un dialogo tra liberal italiani e USA, una consonanza di interessi per cui se c’è il
sostegno USA, allora l’apertura alla sinistra si può fare.
§ Come rivista ma anche come associazione culturale grazie alla Fondazione Ford e Fondazione
Rockfeller;
§ Creazione di un forum di dibattito del mondo liberal;
§ Creazione di una sede della Johns Hopkins University a Bologna: uno dei primi strumenti di
penetrazione culturale in Italia, una delle città dove il PCI è più forte, per l’idea che se si vuole
contrastare il comunismo va fatto laddove è più forte (non a caso in questa università si
insegnavano e si insegnano tuttora le scienze sociali e politiche).
Vi è l’idea dell’egemonia togliattiana per ottenere il consenso e “controllare” la società per
“controllare” la politica: quindi si decide di scardinare questo meccanismo che ha reso il PCI un
partito molto ben radicato nel territorio penetrando culturalmente i centri nevralgici del PCI.
Questi processi di favoreggiamento dell’apertura alla sinistra è frutto di una serie di iniziative dirette
e indirette esercitate da numerose forze sociali/politiche

Parliamo allora dell’amministrazione JFK e il sostegno al centro-sinistra: con questa amministrazione


cambia l’atteggiamento. L’ambasciata americana muta la propria posizione e diviene più favorevole
all’apertura al dialogo con le sinistre, pur sempre con moderazione. Tuttavia, vi è una forte presenza
di accademici all’interno dell’amministrazione Kennedy: ad esempio, Schlesinger (storico

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accademico) il quale condusse una missione allo scopo di incontrare il PSI di Nenni, da sempre ostile
alla NATO per via della propria posizione pacifista.
Il PSI dopo questo incontro accetta la partecipazione alla NATO, sulla base del fatto che l’alleanza
sia però un’alleanza difensiva, e che si sarebbe dovuto dimostrare la non volontà aggressiva: tutto
questo si lega al mutamento internazionale del clima, con il dialogo fra US-URSS, e sul piano interno
con l’arrivo del Papa Giovanni XXIII e Paolo VI e l’avvio del Concilio Vaticano (certi settori della Chiesa
cattolica vanno verso l’idea del dialogo, influenzando fortemente quella componente della DC
fortemente legata alla posizione della Chiesa).

Nell’estate del 1963 c’è il viaggio di JFK in Italia:


§ Kennedy compie un viaggio in Europa (momento importante della sosta a Berlino) e fa tappa
anche in Italia
o Il primo giorno giunge a Roma: a quanto parrebbe l’accoglienza non fu poi così entusiasta
(sebbene i cinegiornali dell’epoca mostrassero una certa folla, seppur non folla
eccezionale); ricevimento al Quirinale da parte di Segni e presenza di tutti i leader politici
compreso Nenni a cui viene presentato Kennedy (aneddoto dubbio: Kennedy chiese a
Nenni se il PSI fosse pronto a fare il centro-sinistra; giornali ovviamente riportarono
l’incontro);
o Secondo giorno: visita a Napoli dove ricevette un’accoglienza entusiastica con tanto di
corteo che si dovette fermare per farsi spazio tra la folla.

26/04/2021

La politica europea dell’Italia

Oggi concludiamo con il tema concernente la politica italiana nella costruzione europea, per poi
analizzare le vicende del centro-sinistra organico.

Per quanto riguarda le questioni relative all’Unione Europa abbiamo ricordato la diversità di
posizione assunta dal Partito Comunista Italiano rispetto al Trattato di Roma:
§ questi infatti votarono contrariamente all’EURATOM, ritenuto uno strumento per la
militarizzazione del continente europeo (per quanto fosse a fini civili, e non militari),
§ e quanto alla CEE venne interpretata, come la interpretava l’Unione Sovietica, come un
braccio economico della NATO, uno strumento dell’Alleanza occidentale. il PCI sostenne che
la CEE sarebbe andata contro la classe operaia, favorendo i monopoli.
Tuttavia, questo non era vero in quanto la CEE favorì il miracolo economico.
Differente fu l’atteggiamento del PSI:
§ A favore dell’EURATOM;
§ Astenuta sulla CEE.
Queste scelte furono quindi un altro terreno su cui la sinistra democristiana e il PSI
incontravano le loro posizioni.

Quindi, nel 1958 EURATOM e CEE entrano in vigore: vi fu una discussione abbastanza lunga sulle
sedi degli organismi comunitari, e l’Italia avanzò alcune richieste in tal senso sostenendo che alcuni
organismi comunitari dovessero avere sede in Italia (avanzando una candidatura per Torino).
Tuttavia, le sedi scelte furono altre.
Le sedi delle comunità europee vengono a definirsi sulla base della individuazione di queste tre città:
Bruxelles, Lussemburgo, Strasburgo.

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Al di là degli aspetti formali, ci interessa sottolineare come a partire dal 1958 le questioni
comunitarie furono influenzate dai cambiamenti politici che si verificarono in Francia in quest’anno:
nel 1958 c’è una grande crisi politica e istituzionale in Francia, con un tentato colpo di stato che
parte da Algeri e il mondo politico della repubblica non è in grado di far fronte alla situazione; la
decisione che presero, con opposto il PC, è stata quella di chiamare De Gaulle. Questi accettò di
diventare Presidente del Consiglio, ma ponendo la condizione di un radicale cambiamento
istituzionale: viene elaborata una nuova costituzione dando vita ad una nuova repubblica, con la
creazione inoltre di un sistema politico semipresidenziale. De Gaulle sarebbe stato nominato poi
primo Presidente Repubblica, e tramite referendum successivo si votò a favore per fare in modo che
il presidente repubblica dal 1962 sia eletto direttamente dal popolo francese.
La guida della Francia di De Gaulle, mettendo da parte la questione dell’Algeria e interna, era
focalizzata sulla politica internazionale con l’obiettivo di ricostituire la Francia come grande potenza:
quali erano gli strumenti che De Gaulle individuò per garantire questo obiettivo? E quale fu la
reazione italiana?
De Gaulle non fu accolto con favore dal mondo politico italiano, specialmente dalle forze politiche
a favore del centrosinistra, come PSI, PRI e PSDI: vi è l’idea di un militare alla guida del paese;
l’atteggiamento della DC era più sfumato, per cui le questioni interne degli altri paesi non dovevano
essere toccate e i rapporti con la Francia dovevano essere buoni.
Questi dubbi e perplessità aumentarono quando De Gaulle fece presenti gli obiettivi di politica
internazionale:
§ In un primo momento puntò alla riforma dell’Alleanza atlantica, e propose alla Gran
Bretagna e Stati Uniti un cambiamento radicale delle strutture dell’Alleanza con la creazione
di un direttorio: la risposta inglese e americana fu interlocutoria, ma sostanzialmente
negativa.
o Questo progetto sollevò dubbi in Italia e nella RFT: questo perché nell’Alleanza
Atlantica i paesi assumono una posizione di parità, per cui non potevano accettare
che vi fosse la creazione di un direttorio, vedendosi declassati a nazione si serie b.
per cui, vi fu l’opposizione italiana e tedesca, di cui anche gli Stati Uniti tennero conto:
la questione venne fatta cadere.

§ A questo punto De Gaulle concentrò la sua attenzione sull’Europa comunitaria: venne


rilanciata l’ipotesi dagli inglesi di un’area di libero scambio nel campo dell’OECE pensando
che De Gaulle fosse contrario all’EURATOM e CEE; tuttavia, non vi era questa posizione di De
Gaulle e respinse il progetto britannico e non si mostrò negativo nei confronti della CEE:
riteneva che sul piano economico la CEE potesse giovare alla Francia, perché sarebbe andata
a favore anche degli agricoltori francesi.

Dal 1960 al 1961 i francesi lanciano un progetto: il Piano Fouchet, per un’unione europea che si
occupasse della difesa, della cultura ecc., lasciando fuori l’economia:
§ I paesi del BENELUX accettarono il negoziato, ma non condividevano l’idea pensando che
fosse un tentativo per De Gaulle di diffondere la sua egemonia sull’Europa.
§ La posizione italiana e tedesca era simile: entrambi non volevano l’egemonia francese
sull’Europa, ma allo stesso tempo, essendo relativamente forti, ritenevano che si potesse
negoziare per trovare un compromesso; da parte italiana vi fu grande impegno, per quanto
non entusiasti di questo piano, ritenevano che con i francesi dovessero mantenere buoni
rapporti e trovare un compromesso con De Gaulle.
Alla fine del 1961 gli italiani erano quasi convinti di aver ottenuto un compromesso, ma alla
fine De Gaulle mutò la posizione francese e la rese più rigida pensando di sganciare la CEE,

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con un’unione europea intergovernativa: inoltre, “sganciandosi” dagli Stati Uniti. Questo,
ovviamente non poteva essere accettato dagli altri paesi.
Nella primavera del 1962 il Piano Fouchet si concluse negativamente.

Vi sarà quindi, la creazione dell’unione doganale, con la creazione della tariffa esterna comune, e
altra difficoltà sarà la creazione della politica agricola comune. Dal punto di vista dei sei paesi
dell’Unione europea, questi erano in realtà due risultati importantissimi.

Naturalmente si presentò un ulteriore questione di carattere politico: gli inglesi tra il ’58 e ’59
tentarono di porre in essere una comunità parallela con alcuni paesi dell’OECE; non era una struttura
politica, quanto più un accordo di carattere di economico senza sovra-nazionalità, l’EFTA.
Tuttavia, si resero conto intorno al 1960 che l’EFTA non funzionava quanto la CEE:
§ iniziò negli anni Sessanta a dare l’indipendenza alle colonie;
§ gli americani sostenevano che gli inglesi dovessero andare nella direzione di
un’integrazione europea ed inoltre non vedevano bene l’EFTA parallela alla struttura
europea;
Nel 1961 gli inglesi decidono di voler aderire alla CEE.

Gli italiani inoltre sostenevano l’ingresso della Gran Bretagna: agli inizi degli anni ’60 i rapporti con
gli inglesi e gli italiani migliorano. Prima di tutto per una questione di equilibri, per cui se la Gran
Bretagna fosse entrata sarebbe stata un contrappeso alla Francia di De Gaulle; si sapeva inoltre che
gli americani sostenevano l’ingresso inglese.
Sul piano economico la posizione era diversa: sul piano economico gli italiani avevano dei dubbi; il
negoziato inizia a Bruxelles fra i sei, e i paesi che avevano chiesto di aderire, fra cui la Gran Bretagna,
ed anche la Commissione europea. Le richieste inglesi erano molto pesanti: richieste inglesi molto
pesanti soprattutto sulla politica agricola comune che UK voleva smontare (perché importava
prodotti agricoli da paesi del Commonwealth a prezzi più bassi) e la politica di associazione nei
confronti di ex-colonie europee in Africa, poiché producevano prodotti agricoli chiaramente non
competitivi.

Poi, i negoziati si svolsero su due piani: sul piano tecnico economico, a Bruxelles, da parte italiana il
negoziatore era il Ministro dell’Industria che in quell’occasione iniziò il suo apprendistato europeo,
guadagnandosi la stima di tutti nel contesto comunitario.

Nel 1962 De Gaulle si rafforza non solo sul piano interno, vincendo le elezioni, risolve la questione
dell’Algeria, e si avvicina alla Germania. Da questo punto di vista De Gaulle sarà sempre meno
propenso ad accettare la Gran Bretagna.
Gli italiani si resero conto di questi cambiamenti, per cui premono sulla Gran Bretagna per fare una
scelta: se gli inglesi avessero accettato qualcosa sul piano economico avrebbero posto delle
difficoltà su De Gaulle per accettare il loro ingresso.

È inoltre interessante sottolineare che quando Fanfani iniziò ad avere un ruolo come primo ministro
o ministro degli AA.EE. cercò di promuovere una nuova generazione di diplomatici: questa nuova
generazione lottava con la vecchia generazione. I vertici della Farnesina comunque rimanevano della
vecchia generazione, quindi più lontani dalle posizioni filoeuropee.
(Ricordiamo che in questo periodo nasce la Farnesina).

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Comunque, dall’avvicinamento di Francia e Germania sorgerà il trattato dell’Eliseo franco-tedesco,
e la Francia inoltre porrà il veto nel gennaio del 1963 all’ingresso inglese fino a che manterrà rapporti
con gli Stati Uniti e con il Commonwealth.
Vi furono forti reazioni degli altri paesi, ma comunque gli italiani mantengono delle reazioni
prudenti: gli italiani non erano entusiasti della scelta di De Gaulle, ma si adattarono, poiché la CEE
funzionava e dava vantaggi economici all’Italia molto forti. Era un meccanismo che funzionava
troppo bene per essere messo in dubbio: questa sarà la posizione che l’Italia sosterrà fino all’uscita
di scena di De Gaulle.
Nell’ambito della scelta europea l’Italia ha un atteggiamento pragmatico, nel senso che ciò che
conta sono i vantaggi economici e gli aspetti politici possono essere messi in secondo piano: questa
posizione italiana, come sottolineato, verrà sostenuta anche negli anni successivi.

Possiamo quindi passare all’analisi della politica del centro-sinistra.

Dal centro-sinistra alla crisi degli anni ‘70

La politica estera del centro-sinistra (1963-1968)

Prima di affrontare le questioni di politica estera, è bene dire le questioni di politica interna.
Abbiamo già ricordato che nel periodo dal ’58 si erano messe insieme delle posizioni per creare un
centro-sinistra.
Si apre tuttavia una fase di crisi, anche nella DC: c’è però un progressivo avvicinamento del PSI al
governo e nel 1963 c’è un accordo fra PSI e DC per la creazione del centro-sinistra, risultando
vincente l’ipotesi di Fanfani e Moro.

Le elezioni del ’63 in realtà non diedero dei risultati favorevoli per i partiti che facevano parte del
centro-sinistra, e vi fu una grande vittoria del partito liberale che si era fortemente schierato contro
la creazione del centro-sinistra; il partito liberale era sostenuto dalla stampa d’opinione e l’industria.

Difatti, il centro-sinistra sosteneva:


§ la nazionalizzazione delle società per l’energia elettrica con la creazione di quella che sarà
l’ENEL, in mano dello stato; quindi, un ulteriore forte presenza dello stato nell’economia.
§ Altra posizione era la riforma della scuola: venne fortemente osteggiata, perché si resa
obbligatoria la scuola fino alla terza media, e si creò anche la terza media unica (prima le
medie erano propedeutiche per andare ai licei); era quindi un processo di democratizzazione
della scuola con un innalzamento del livello di istruzione.
§ Più, una politica di programmazione economica e urbanistica (questo dava problemi e fastidi
al settore urbanistico, in quanto queste politiche avrebbero fatto in modo che alla
costruzione corrispondesse un pagamento – e specialmente in questo periodo il settore
urbanistico si era molto sviluppato).

Dopo il 1963 si creò una situazione di stallo fra i rapporti dei partiti. Una fase complessa in cui l’unica
soluzione dopo le elezioni fu quella della creazione di un governo “balneare”: il governo sarà con a
capo Giovanni Leone.
Tuttavia, vi erano alcune opposizioni molto forti: le forze armate non erano favorevoli a un governo
di centrosinistra, e nell’estate del ’63 il generale de Lorenzo parlando con alcune ambasciate inglesi
manifesta di non essere a favore del centrosinistra: se si fosse andati verso un governo di centro-
destra, liberale, e da parte del centro-sinistra ci fosse stata una reazione anche nelle piazze, le forze

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armate si sarebbero rivolte al Presidente della Repubblica per la creazione di un governo anti-
comunista.

Nell’estate del ’64 si verificò un rallentamento dell’economia, che al tempo veniva percepita come
una crisi economica e denominata “congiuntura”. A un certo momento si giunse ad una crisi di
governo, scaturita in realtà su ragioni banali. Nell’estate del ’64 vi è una situazione complicata: la
soluzione arriva con la formazione del secondo governo Moro, ma una parte delle riforme vengono
bloccate: si fa la nazionalizzazione dell’ENEL, si blocca la programmazione economica e urbanistica.

Comunque, si temeva un tumulto comunista e i carabinieri sviluppano un piano, un progetto che


prevedeva anche il rinvio dei comunisti in “campi di concentramento” (probabilmente in Sardegna):
nell’Arma dei Carabinieri, iniziano a spiare uomini politici e sindacalisti in cui erano raccolte anche
le loro debolezze (amanti, se erano corrotti ecc.).

Segni comunque ha un malore e non è più in grado di svolgere le sue funzioni e nel 1964 le elezioni
del nuovo presidente della Repubblica vede l’elezione di un presidente social-democratico,
rappresentante del PSDI: Saragat. Moro rimane come Presidente del Consiglio, Fanfani rimane agli
Esteri.
Tutto sommato l’Italia si stabilizza: l’economia continua a crescere, la società si trasforma, e la
politica se non funziona è poco rilevante. La valutazione generale di americani, inglesi ecc. era di
un’Italia stabile.

Con il 1968 si ha tuttavia un primo cambiamento: con le elezioni politiche il centro-sinistra riteneva
di ottenere un successo, ma i risultati delle elezioni non vanno nel risultato sperato. Il PSI ottiene
una sconfitta: nel 1968 abbiamo i primi episodi della cosiddetta “contestazione”, ancora prima delle
elezioni, con incidenti di Valle Giulia del maggio di quell’anno. Vi erano già stati sintomi con scontri
fra studenti e polizia a Roma all’Università della Sapienza: inizia una fase di contestazione molto
forte.
Il paese, quindi, sta entrando in una crisi, che durerà per lunghi anni rispetto agli altri paesi: la crisi
italiana ha inoltre ripercussioni molto forti anche sulla politica estera.

27/04/2021

La politica estera del centro-sinistra (1963-68)


Oggi concludiamo con l’esame del ruolo internazionale dell’Italia negli anni del centro-sinistra, che
come vedremo sono meno rilevanti del periodo precedente del ‘53-68. Non ci soffermiamo sulle
questioni di politica interna, ma ci concentriamo sulla politica estera italiana durante questa
legislatura.
I temi più importanti sono quelli abituali:
o il rapporto con gli stati uniti,
o e il ruolo italiano nel sistema occidentale,
o la costruzione dell’Unione Europea,
o l’area del Mediterraneo.

101
Il rapporto con gli Stati Uniti

Partiamo dalla questione del rapporto con gli Stati Uniti: abbiamo già detto che per un lungo periodo
di tempo, le interpretazioni giornalistiche davano e attribuivano un qualche luogo agli Stati Uniti in
questa crisi; però, l’idea di una politica interna italiana influenzata da Washington va in realtà
ridimensionata, per quanto una certa influenza c’è stata, è necessario demistificare nella realtà dei
fatti.
Se noi dovessimo prendere il periodo dal ’63 al ’68 per gli Stati Uniti l’Italia non è più un problema:
la creazione del centro-sinistra tutto sommato ha reso l’Italia un paese stabile. Le valutazioni che si
dava l’ambasciata americana a Roma era che i governi italiani duravano poco, ma alla fin dei conti
le persone al governo non cambiavano: Fanfani, Moro ecc., quindi alla fine dei conti c’era una
stabilità di fondo; passa il concetto dell’eccezionalità del caso italiano, per cui va accettata in quanto
tale. Ma soprattutto è un alleato fedele, più o meno come la RTF: rappresenta un elemento di
stabilità specialmente se la si comparava con gli anni precedenti; ed ancora, l’Italia è un paese che
in media sta diventando ricca e sta entrando nella società dei consumi: gli Stati Uniti partivano dal
presupposto che gli altri paesi sarebbero diventati “prosperi come loro”, per cui dal loro punto di
vista il cambiamento italiano era positivo.
Con l’amministrazione Johnson in realtà l’amministrazione americana deve concentrare la sua
attenzione sulla Guerra del Vietnam, quindi, vi era una minore attenzione nei confronti dell’Europa
occidentale dopo la costruzione del muro di Berlino: l’Italia rientra nell’area di stabilità europea.

Quali sono dunque i temi che l’Italia deve affrontare? Facciamo un breve passo indietro: con gli inizi
degli anni ’60 nell’amministrazione Kennedy ci sono varie crisi con la costruzione del muro di Berlino
e i missili di Cuba del ‘62.
Dal punto di vista italiano, per Berlino, l’Italia ritiene di poter avere un’influenza a Berlino: subito
prima della costruzione del muro abbiamo un viaggio del primo ministro e ministro degli AA.EE.
italiano, su sollecitazione della leadership sovietica, e giungono in Russia; il messaggio che Chruščëv
da a Fanfani è che vogliano risolvere la crisi di Berlino, ma allo stesso tempo sostenendo che l’Unione
Sovietica non ha intenzione di scatenare alcun conflitto generalizzato: un messaggio che Chruščëv
da a Fanfani per fare in modo che questi lo faccia sapere all’amministrazione americana. Non
possiamo dire se questo abbia influito, però c’è comunque un ruolo italiano.

Per quanto riguarda la crisi dei missili di Cuba, è un momento di tensione pensando che si fosse
vicini allo scontro diretto fra Stati Uniti e Unione Sovietica: gli alleati comunque non erano stati
consultati, solamente la Gran Bretagna; cosa ne pensa l’Italia? Fanfani comunque deve dimostrare
la fedeltà all’amministrazione americana, ma allo stesso tempo si deve bilanciare sul piano interno
con dichiarazioni pacifiste e diplomatiche.
Questo risponde anche a un mutamento della posizione della Chiesa Cattolica, della Santa Sede con
Giovanni XXIII, di prima apertura del dialogo anche nei confronti dell’Est e apertura al comunismo.

Cambia il quadro strategico dell’Alleanza Atlantica: dopo la crisi di Cuba nessuno vuole il conflitto
nucleare, poiché si sarebbe tramutato in una mutua distruzione e perdita. Quindi bisogna dare delle
regole: la risposta della NATO è che a un primo attacco dell’Unione Sovietica la prima risposta
sarebbe stata di carattere militare tradizionale, se poi avesse attaccato con missili a medio raggio
allora gli Stati Uniti avrebbero risposto con gli stessi missili, e nel caso fossero giunti al terzo gradino

102
con un attacco attraverso i missili balistici intercontinentali allora anche gli Stati Uniti avrebbero
risposto con questi.

Il timore era che comunque il territorio dello scontro sarebbe stata l’Unione Europea, e non il
territorio degli Stati Uniti o dell’Unione Sovietica: questo poneva dei problemi.
L’ambizione della Germania e dell’Italia era di diventare potenze nucleare: tedeschi francesi e
italiani negoziano un accordo segreto per una collaborazione nucleare, ma che poi non va a buon
fine poiché temono una risposta negativa da parte degli Stati Uniti; ed inoltre, arriva anche De Gaulle
che promulga una politica indipendente.
L’ipotesi degli Stati uniti fu la multilateral force per dotare anche tedeschi e italiani all’interno
dell’Alleanza Atlantica di armamento atomico: il progetto era abbastanza vago e i negoziati si
protrassero per anni: i francesi si rifiutarono di essere coinvolti, in quanto la loro deterrenza
nucleare era nazionale ed indipendente; anche gli inglesi partecipano ma comunque mantenendo
la loro deterrenza nucleare nazionale ed indipendente.
Perché si parla di una multilateral force? Perché gli equipaggi delle unità dovevano essere misti: in
parte inglese, in parte italiano ecc.; non era quindi una vera concessione di autonomia delle armi
atomiche.
Va detto che i negoziati proseguirono per qualche anno, ma alla fine non diedero risultati: da parte
italiana c’era comunque del scetticismo, temendo che avrebbero comunque mantenuto uno status
di serie b (una questione era quindi più di rango e di prestigio).

In questo periodo dopo il ’63 gli Stati Uniti comunque stringe accordi con Gran Bretagna e Unione
Sovietica per il divieto di esperimenti nucleari, ed in seguito il TNP di non proliferazione nucleare:
meno attori ci sono dotati a livello nucleare, meno problemi ci sono.
Ci sono alcuni paesi che non parteciperanno a questi accordi.
Alla fin dei conti quando alla fine del ’68 il TNP venne firmato, l’Italia lo ratifica ma con qualche
riserva: non perché ambisse a dotarsi a livello nucleare, ma perché firmando si sarebbe preclusa la
possibilità di studiare l’energia nucleare a fini pacifici.
Questo fu un terreno in cui Italia e Stati Uniti non si trovavano sulla stessa linea: gli Stati Uniti
puntavano alla sfera mondiale, non guardando alle specifiche richieste e “fisime” italiane.
Ad ogni modo, l’Italia alla fine ratifica dopo anni il TNP, ed ottiene la pianificazione nucleare.

Tornando ad un altro aspetto dei rapporti fra gli Stati Uniti e l’Italia, è necessario affrontare la
questione della Guerra del Vietnam: la propaganda del PCI era sempre antiamericana sostenendo
che l’Italia dovesse uscire dalla NATO e contro la partecipazione italiana all’Alleanza Atlantica; tutto
sommato, l’immagine generale degli americani era positiva, di liberatori, in quanto ci si rifaceva
anche alla Seconda guerra mondiale. Ed inoltre, con l’amministrazione Kennedy nasce il mito
Kennediano: presidente giovane, di bella presidente, una famiglia perfetta, e per giunta l’idea di un
presidente riformatore; per quanto sappiamo che in realtà per i diritti civili è molto cauto, e sarà
Johnson a sviluppare maggiormente la politica dei diritti civili.
Comunque, l’immagine di Kennedy era molto positiva: il mito si è perpetuato anche con la fine della
Guerra fredda, e ad esempio, con la crisi del PCI che diventa PD con Veltroni, che si affermava
kennediano.

Tuttavia, con la guerra del Vietnam l’immagine degli Stati Uniti cambia, dimostrando maggiore
vicinanza al Vietnam del nord e non tanto vicini agli Stati Uniti ritenuti imperialisti. Questo implica
un offuscamento dell’immagine degli Stati Uniti, con un atteggiamento antiamericano che inizia a

103
crescere, che non riguarda solo alcuni settori come visto per il PCI, ma anche per altri ambienti
sociali.
A partire dagli anni ’60 c’è una mobilitazione molto forte per la questione del Vietnam del Nord, ad
esempio, per raccogliere aiuti per i nord vietnamiti: questo poneva in imbarazzo le forze di governo
italiane che si proponevano come alleati degli Stati Uniti.
Inoltre, il terzomondismo nasce negli anni ’60: mondo sfruttato dall’occidente, che da vita al
cosiddetto neocolonialismo di Stati Uniti e multinazionali.
Anche nella sfera cattolica c’è un forte fermento, e in Italia in questi anni ha ancora una forte
influenza per cui diventa difficile per la DC sostenere gli Stati Uniti: Moro parlava di “comprensione
per gli Stati Uniti” per quanto riguardava la guerra di Vietnam in quanto non poteva affermare di
“sostenere” gli Stati Uniti; Fanfani comunque inizia un’azione diplomatica.

Nel 1965/66 l’ambasciatore polacco contatta l’ambasciatore italiano e fa capire che il Vietnam del
nord sarebbe stato interessato a instaurare dei rapporti segreti con gli Stati Uniti utilizzando da
tramite l’Italia: nasce l’operazione Marygold, con tentativi di mediazione di Fanfani. Anche questo
sondaggio di pace in realtà non portò a risultati perché le posizioni di Hanoi e Washington erano
troppo lontane; ad ogni modo questo dimostra come l’Italia nella sua politica estera non si interessi
solo al Mediterraneo e all’Europa, ma può giocare anche altri ruoli nel contesto internazionale
(anche se in questo episodio non vi fu un risultato concreto).

Altro elemento che non va trascurato è l’idea italiana di sviluppare la collaborazione con gli Stati
Uniti nel settore tecnologico e industriale: l’idea italiana è che lo sviluppo tecnologico e industriale
sia importante. Tuttavia, l’industria italiana/europea fa prodotti a basso contenuto tecnologico
mentre gli Stati Uniti hanno fatto un grande progetto con l’arrivo dell’uomo sulla Luna che
significava sviluppare le tecnologie del domani; quindi, era necessario sviluppare anche in
Italia/Europa questi territori per rimanere indietro nel domani.
Nel settore dell’aeronautica le grandi imprese italiane fanno accordi con le imprese americane, e
non con le imprese europee: una grande contraddizione italiana, poiché per quanto fortemente
europeisti si mantengono forti rapporti con gli Stati Uniti.

Ultima questione che non riguarda direttamente gli Stati Uniti, ma la distensione: l’Italia fa parte di
questa distensione. L’Italia fa scelte pragmatiche: come per gli europei, nella distensione sono
importanti i rapporti economici specialmente con l’Unione Sovietica.
L’esempio è l’accordo Fiat con l’Unione Sovietica per la costruzione di un impianto automobilistico
a Togliatti: la Fiat mette in piedi una grande fabbrica di automobili che avrebbe dovuto consentire
anche ai sovietici di passare all’automobile.

Il ruolo italiano nella costruzione europea

Veniamo al ruolo italiano nella costruzione europea: Fanfani in fondo a metà negli anni Sessanta
ritiene che il discorso della sfida nella tecnologia sia fondamentale e lancia un’ipotesi dapprima
nell’Alleanza Atlantica che tuttavia non da risultati (l’unico attore che da una risposta positiva sono
gli Stati Uniti, ma questo non ha implicazioni nel quadro europeo).
I francesi comunque mantengono una linea di penetrazione nell’economia italiana: o accordi con
l’Italia o controllo di imprese italiane.

Altro aspetto da valutare, all’inizio del ’58 quando viene creata la CEE e l’EURATOM, è la scelta dei
rappresentati italiani nelle istituzioni europee. La scelta dei governi italiani per i commissari è una

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scelta di basso profilo: i rappresentanti italiani negli organismi europei non lasciano una grande
impronta, e sono uomini non di spicco della DC, che vengono mandati a Bruxelles perché il loro ruolo
negli equilibri italiani è periferico. Ed infatti anche a livello europeo non è significativi.
Vi sono alcune eccezioni: Lionello Levi Sandri, viene nominato commissario agli affari sociali fino ad
essere nominato Presidente della Commissione europea. Vi è quindi un grande impegno per quanto
riguarda gli affari sociali da parte italiana: nasce la politica europea sui diritti dei lavoratori
comunitari emigrati, che consentiva di considerare i lavoratori italiani in tutti i paesi della comunità
europea come lavoratori che potessero godere degli stessi diritti dei lavoratori di quel paese.
Dunque, il commissario italiano fece un lavoro molto importante, specialmente a vantaggio dei
cittadini italiani e specialmente lavoratori italiani.

Comunque, a causa delle posizioni di DE Gaulle in Europa non si fanno molti passi avanti, che sfocia
nella crisi della “sedia vuota”.
Quello che venne promulgato è stata la politica agricola, la PAC: l’Europa non ha bisogno di
importare e ciò che produce è sufficiente. Si decide di creare il FEOGA: dapprima con finanziamenti
per questo settore; l’idea è di far sì che i produttori dell’agricoltura europea avessero prezzi che
consentiva agli agricoltori una certa reddittività. Vennero scelti determinati prodotti, e per questi
veniva applicato il FEOGA: i primi settori agricoli sono quelli che interessavano principalmente ai
francesi e tedeschi, per cui prodotti cerealicoli, latte ecc.
Per quanto riguardava il settore del riso questo interessava all’Italia: infatti, quest’ultima non
riusciva a competere con la Francia per quanto riguarda il settore cerealicoli o latte per i tedeschi.

Fatto sta che fin dal ’64 l’Italia inizia a protestare, in quanto da più di quanto ottiene: la questione
riguardava soprattutto la produzione della carne, perché con il boom economico in Italia era
cambiato il consumo degli italiani che consumavano meno pasta e più carne. Però, la carne
consumata era importata da paesi terzi: quindi, gli italiani chiedono un ripensamento della politica
agricola comune.
Fanfani pone la questione della PAC, che finì con intrecciarsi con un altro problema dei poteri della
Commissione europea guidata da Hallstein: gli italiani insieme ai tedeschi si dichiaravano grandi
sostenitori della Commissione.
Dunque, Fanfani pone la questione della PAC e della Commissione: De Gaulle rigetta questo e ritira
i rappresentati francesi da Bruxelles; da questo nasce la crisi della sedia vuota.
Fanfani era interessato sì alle questioni comunitarie, ma comunque era interessato ad altre
questioni e nell’ottobre del ’65 riesce a farsi eleggere come presidente dell’Assemblea delle Nazioni
Unite: non ha l’opportunità di seguire direttamente le questioni comunitarie, e per questioni interne
italiani da le dimissioni dagli AA.EE.

A questo punto qual è il problema? È necessario un compromesso con la Francia, perché la comunità
europea non si può fare senza la Francia.
La nomina italiana ricade su Colombo: lui è alle origini di quello che sarà il compromesso di
Lussemburgo. Nelle due conferenze di Lussemburgo Colombo assunse un atteggiamento conciliare
nei confronti dei francesi, e la sua formula era quella di compromesso: quando gli stati membri si
rendono conto che su una questione ritiene che siano in gioco i suoi interessi vitali, questo problema
viene accantonato; il cosiddetto accordo sul disaccordo.
La cosa singolare è che l’Italia accetta l’approccio intergovernativo, anche se in contraddizione con
le sue dichiarazioni europeiste di principio: perché l’Italia accetta? Perché comunque l‘Italia ha un
atteggiamento pragmatico; inoltre, ricordiamo che nel 1968 è completa l’unione doganale con la
piena circolazione di prodotti industriali e agricoli, ed anche una parziale revisione della PAC che va

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incontro in parte all’Italia: per cui, si sceglie di preferire le questioni economiche rispetto a quelle
politiche sulla Commissione.

La crisi italiana degli anni ’70 dal punto di vista internazionale


Con il ’68/69 comunque ha inizio la cosiddetta crisi italiana: una crisi politica e istituzionale, sociale
ed economica. Quali sono gli elementi fondamentali delle vicende interne?
Si sostenne che l’Italia negli anni Settanta fosse il “malato” o “Cenerentola” dell’Europa, e diventa
più un oggetto che un soggetto nella comunità europea.
Quali sono gli elementi più importanti? Nella prima fase dal ’68 al ‘74 c’è una fase di crisi politica
che si apre in primo luogo con l’apparente fallimento del centro-sinistra; infatti, le lezioni del ’68
non danno un buon risultato per i partiti del centro-sinistra, mettendo in discussione lo stesso:
questo perché anche negli anni precedenti i loro governi sono deboli, e vi sono anche forti contrasti
all’interno della DC stessa, e anche con il PSI. Assistiamo infatti a una nuova scissione del partito
socialista unificato.
Il fenomeno che si sviluppa è quello della contestazione studentesca: un fenomeno che si sviluppa
in generale nell’Europa, e anche in Italia lo vediamo nel “maggio italiano”; il fenomeno della rivolta
studentesca ha diverse valutazioni: la lotta contro il consumismo, capitalismo, contro le ideologie
del terzo mondo, e naturalmente situazioni oggettive di difficoltà nella scuola e università. Erano
infatti rimaste nei modi e metodi di insegnamento università di élite, così come per la scuola per cui
i licei erano quelli della riforma fascista di Gentile. È una rivolta contro la società e anche nei
confronti dei genitori. Come dicevamo, è quindi un fenomeno che assume anche connotazioni
violente: Valle Giulia, e sedi universitarie turbolente come Roma, Pisa, Trento.

Il 1969 è il fenomeno invece della rivolta operaia, il cosiddetto “autunno caldo”: la contestazione
violenta e dura, e riguardava come erano strutturate le relazioni industriali, contro i dirigenti.
Assume dei caratteri rivoluzionari, scavalcando i sindacati: anche se, nel giro di due anni hanno la
capacità di riprendere il controllo spostandosi su posizioni a sinistra e riprendendo il dialogo; si
collabora fra i vari sindacati, CIGL/CISL/UIL.
Emerge anche il terrorismo: prevalentemente di destra, con un primo episodio in Piazza Fontana; in
prima fase non c’è un terrorismo di sinistra.

Non dobbiamo dimenticare che tutto questo vede fondamentalmente nella società italiana una
reazione di destra che si trasforma in una crescita elettorale del MSI, Movimento Sociale Italiano.

Vi è poi, l’elezione di G. Leone alla Presidenza della Repubblica, e nelle elezioni del ’72 vediamo il
governo centrista di Andreotti-Malagodi.
A seguito della crisi energetica del 1973/74; abbiamo anche un cambiamento derivante dal
rafforzamento del PCI: nel 1974/75 vi è quindi la fase di transizione e lo spostamento a sinistra del
paese con il PCI verso il compromesso storico, ed il sopravvento del terrorismo di sinistra (le Brigate
Rosse).

28/04/2021

Completiamo un’osservazione: prima di passare al periodo degli anni ’70 diamo alcune indicazioni
sulla periodizzazione; gli anni ’70 possono essere divisi, come già detto, in due periodi diversi: c’è
una cesura all’interno degli anni ’70, e inseriamo un momento di cambiamento intorno al 1974/75.

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§ Il ’74 dal punto di vista della società: le conseguenze dello shock petrolifero avvenuto nel
‘73/74 pone una serie di questioni relative allo sviluppo, e pone una critica rispetto alla
società dei consumi e capitalistico, e l’idea di sviluppo continuo viene fortemente contestata;
c’è questa di cesura anche all’interno della società: a livello di società italiana ci sono alcuni
eventi significativi come il referendum sul divorzio, che dà il senso di un cambiamento della
società italiana che diventa più simile a quella di altri paesi europei nei modi di vita e nei
comportamenti; dal ‘73/74 abbiamo uno spostamento a sinistra dell’asse politico del paese,
che poi avrebbe avuto dei riflessi sul piano elettorale: nel ’75 le elezioni elettorali regionali
vedono una grossa fetta di voti al PCI.
§ Se prendiamo il periodo successivo dal ‘74/75 fino al ‘79/80 dobbiamo sottolineare alcune
caratteristiche di politica interna, che avranno anche ripercussioni nella politica estera degli
altri paesi nei confronti dell’Italia: questa diverrà un oggetto e non soggetto della politica
estera altrui.

Primo elemento, è quello che abbiamo sottolineato con la vittoria nelle elezioni regionali italiane
che ha visto il PCI al 33%: questo perché il PCI ampia il suo consenso alla piccola borghesia italiana;
la cosa singolare è che alla metà degli anni ’70 il partito viene percepito come il partito dell’ordine
che avrebbe potuto garantire una stabilità; e questo si vede anche nella reazione della stampa, che
inizia a simpatizzare per il PCI; altro elemento è che nasce un esperimento nuovo nel settore della
stampa: la nascita di Repubblica, un quotidiano che diventa quasi un partito, sotto la guida di
Scalfari, simbolo del cambiamento della società italiana, e i ceti medi riflessivi leggono la Repubblica.
Se noi non teniamo conto tutti questi elementi è difficile capire il cambiamento della politica estera.

Altro elemento rilevante è il terrorismo: il terrorismo più visibile è quello di destra; a partire dagli
anni ’70, quello più visibile ed anche più forte in termini numerici, diventa quello di sinistra (es.
Brigate Rosse: il primo loro omicidio avviene a Padova).
Il momento più importante è del maggio 1978 con il rapimento di Moro e l’uccisione della sua scorta,
e nel seguito in maggio l’uccisione di Moro.
I partiti politici, specialmente quelli di governo, sembravano in crisi: spesso coinvolti in scandali; il
governo Andreotti, con il fatto che il PCI non sosteneva il governo ma si asteneva, veniva definito il
“governo della non sfiducia”: nell’ambito del caso Moro saremmo giunti ai casi di governi di unità
nazionale, con in questo caso il sostegno dei comunisti, anche se nel governo Andreotti non ci
saranno membri del PCI.
Nel 1978 il Presidente della repubblica è costretto a dimettersi, a causa dello scandalo Lockheed, e
Giovanni Leone è quindi costretto a dimettersi in anticipo: da questo scaturisce una crisi fortissima,
e il cambiamento è segnato dalla nomina a Presidente della Repubblica di Sandro Pertini, socialista.

Ultimi elementi sono quelli che riguardano il cambiamento da governi di unità nazionale al
pentapartito: il pentapartito sarebbe rimasta la formula politica che avrebbe retto il paese fino a
Tangentopoli.
Tutti questi eventi vanno tenuti conto per capire anche come gli atri attori internazionali, sia Stati
Uniti che paesi europei, avrebbero reagito (l’Italia come “Cenerentola”).

Il contesto internazionale: la costruzione europea

Veniamo alle questioni di politica estera e al ruolo internazionale dell’Italia in questo periodo: una
delle aree importanti è il contesto europeo e della comunità europea per l’Italia. Ricordiamo due

107
questioni: nel dicembre del 1969 con la Conferenza dell’Aia abbiamo un rilancio dell’Europa; c’è
l’individuazione di tre obiettivi importanti di allargamento, completamento e approfondimento.
o L’allargamento è dovuto al fatto che non potesse rimanere ancora l’unione dei sei;
un primo allargamento è di Gran Bretagna, Danimarca, Irlanda e Norvegia;
o il completamento riguardava un bilancio comunitario ed anche il lancio di una politica
monetaria europea;
o e l’approfondimento di quello che era stato espresso vagamente nei Trattati di Roma
e poteva essere sviluppato, che si trasformerà in nuove politiche e riforme europee.

A questo si aggiunge anche la ricerca di un’identità europea: a seguito dello shock petrolifero c’è un
primo tentativo per la comunità europea di avere una personalità a livello internazionale, dovuto
anche alle difficoltà crescenti nei rapporti fra Stati uniti e Comunità europea.

Ciò che ci interessa è la posizione italiana: in questo periodo è relativamente debole, ma siamo
ancora nella fase iniziale della crisi italiana, per cui l’atteggiamento dei partner europei non era così
preoccupato come sarebbe stato a metà degli anni Settanta.
Sul piano economico da parte delle diplomazie europee c’era una forte comprensione, mentre, sul
piano politico si pensava che i governi cambiassero ma in sostanza non cambiasse nulla; se questa
affermazione sia corretta può essere discutibile, ma è comunque un fattore che influenza gli altri
paesi nei confronti italiani.
Una posizione differente è sostenuta dagli americani.
Questo implica che l’Italia è debole, però da parte europea non c’è forte preoccupazione e agli inizi
degli anni ’70 l’Italia riesce ad attuare una qualche forma di politica estera, ma come abbiamo detto,
le cose sarebbero cambiate dal ’75.

Vediamo allora la posizione italiana rispetto al trittico stabilito con la Conferenza dell’Aia:

§ per quanto riguarda l’allargamento l’Italia è particolarmente favorevole; ancora una volta
possiamo dire che il problema è l’ingresso inglese: in questo caso gli italiani sono molto
coerenti con l’atteggiamento che avevano sostenuto dal 1961; difatti, vedono l’ingresso
inglese in maniera positiva:
o dal punto di vista delle ragioni politiche si riteneva che la Gran Bretagna avrebbe
rappresentato una sorte di contrappeso alla copia franco-tedesca; quindi, l’ingresso
inglese c’era una cosiddetta l’illusione da parte italiana che si potesse creare una
coppia anglo-italiana che avrebbe costituito un ulteriore contrappeso alla coppia
franco-tedesca.
o Dal punto di vista economico vi era l’idea che gli inglesi sarebbero stati favorevoli al
mutamento della PAC che inizialmente non soddisfaceva gli italiani: a partire dagli
anni ’70 a metà anni ’80, più dell’80% del bilancio comunitario va a finanziare la PAC,
mentre l’Italia era più interessata ad altre politiche comunitarie sia sociali e
soprattutto regionali; si partiva dal presupposto che la Gran Bretagna fosse
interessata ugualmente alle politiche regionali europee, dato il forte squilibrio
regionale interno al paese come in Italia.
o Ed ancora, questo è un periodo in cui Emilio Colombo svolge il ruolo di presidente del
consiglio e Moro agli AA.EE. e gli inglesi avevano una buona visione di Colombo:
questi sostiene l’ingresso inglese nella comunità europea.

108
Pur tuttavia, per quanto l’atteggiamento italiano fosse favorevole e positivo, non è
ciò che permette nell’effettività l’ingresso della Gran Bretagna.
Ad ogni modo, la Gran Bretagna dovrà accettare molte condizioni sfavorevoli agli
inglesi per entrare nella comunità europea.

§ Veniamo a una questione più complessa: il completamento fin da subito si presenta come
difficoltoso, in quanto di interesse principalmente francese; si tratta di un bilancio creato di
anno in anno, che veniva utilizzato per lo più per la PAC, appunto di interesse francese. Dal
punto di vista francese l’interesse era stabilizzare la PAC, e l’ipotesi che venne avanzata fu di
creare un bilancio comunitario, una soluzione sovranazionale: la soluzione deriva da una
riforma fiscale francese con l’introduzione dell’IVA, un’imposta sul valore aggiunto; quindi,
la soluzione era applicare l’IVA su tutti i paesi della comunità europea e prevedere che una
piccola percentuale dell’IVA automaticamente andasse a formare il bilancio della comunità
europea (cambierà negli anni ’80 e si baserà sul PIL).
o In fase iniziale gli italiani erano preoccupati: prima di tutto perché si sarebbe
stabilita la PAC che essi non ritenevano favorevole ai loro interessi; per l’IVA erano
timorosi della capacità di far passare una riforma di questo genere: l’idea di
impiantare una riforma di questo tipo si temeva poiché l’Italia non ce l’avrebbe
fatta nei tempi indicati, mentre tutti gli altri paesi si.

Vi è anche la questione della politica monetaria: il sistema di Bretton Woods per diversi
fattori ed eventi legati agli Stati Uniti si dirige verso il fallimento, con una conseguente
svalutazione del dollaro e problemi di cambio con le valute europee. Nel 1971 Nixon con la
sua decisione esce dal sistema di Bretton Woods: questo porta la comunità europea a
studiare vari progetti, e fra il ’72 e ’73 si da origine al primo tentativo di politica monetaria
europea con il serpente monetario. Nel negoziato si scontrano due visioni: da un lato quella
francese monetarista e quella economica tedesca; l’idea dei francesi è una politica
monetaria, mentre l’idea dei tedeschi è che sia necessario prima effettuare una politica
economica ed in seguito una politica monetaria.
o La posizione italiana è mediana, e risponde agli interessi della Banca d’Italia: agli inizi
del ’60 il governatore della Banca d’Italia è Guido Carli, esperto di politica economica,
che non credeva nella possibilità di una politica monetaria comune (anche se
successivamente cambierà idea con Maastricht). Ad ogni modo, negli anni ’70
sosteneva che il rapporto di Europa e Stati Uniti fosse così forte che non si potesse
mettere da parte il dollaro: in realtà, la scelta del governo italiano sarà quella di
entrare con la Lira nel serpente monetario, sempre per ragioni legate al sentimento
europeista; quindi, l’Italia partecipa al sistema monetario europeo ma senza crederci,
e nel 1973 il governo Andreotti-Malagodi davanti a una crisi monetaria e l’Italia
decide che non ha più senso restare dentro il serpente e la lira non può sostenere
tassi di interesse così bassi, uscendo così dal serpente (gli italiani insieme agli inglesi
sono i primi). Questo implicò che le scelte della Banca d’Italia sarebbero state le
svalutazioni competitive: davanti al forte incremento di salari, di crisi economica, e
di un governo debole, si decide di usare lo strumento monetario con svalutazioni
competitive; l’industria italiana ha un’inziale boom economico poiché i prodotti
italiani sono più economici, il PIL cresce: questo però ovviamente disturba gli altri
paesi, quindi le scelte italiane vengono ritenute scorrette dagli altri paesi.
o Questo genera nel ’73 un momento di maggior sfiducia dei paesi della comunità
europea non tanto per le questioni di crisi sociale o politica, ma a causa delle scelte

109
economiche italiane: gli italiani sono inaffidabili, il solito cliché italiano. Da qui nasce
la definizione di “Cenerentola d’Europa”, comparso per la prima volta nel “Times”.

§ Ultimo aspetto riguarda l’approfondimento. Per quanto riguarda le politiche sociali gli
italiani premono e c’è la capacità di promuovere alcuni obiettivi del paese: una delle prime
scelte all’interno del rilancio europeo è proprio la riforma del Fondo Sociale Europeo, il FSE;
il FES veniva utilizzato soprattutto per corsi di qualificazione o riqualificazione professionale,
quindi questi corsi sono gestiti a livello nazionale ma finanzianti a livello di comunità
europea.
o L’Italia ne aveva più bisogno e prendeva circa il 40%, ma a metà degli anni Sessanta
risulta la Germania il paese che percepisce maggiormente questo fondo: questo
perché si basava su un meccanismo per cui le domande di aiuto dovevano essere
documentate in maniera corretta, e la burocrazia italiana aveva delle ovvie difficoltà
in questo ambito; alla fine degli anni ’60 quindi l’Italia richiede una riforma del
regolamento del FSE: effettivamente questo viene riformato con clausole a favore
dell’Italia.
o Anche per ragioni di politica interna sono i primi a lanciare l’idea del dialogo europeo
(che i partener possano elaborare le politiche europee) – i sindacati italiani infatti
sono molto forti.
o Altro elemento è la richiesta di una politica regionale europea: ci sono negoziati che
si trascinano per molti anni, ma comunque, nel 1975 viene creato il Fondo Europeo
di Sviluppo Regionale, FESR, che per l’Italia rappresenta un grande vantaggio
specialmente per gli investimenti per lo sviluppo del mezzogiorno.

Ultimo aspetto riguarda l’integrazione politica: già De Gasperi puntava alla maggiore integrazione
politica; quello a cui puntano gli italiani è il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo, con
elezione del PE a suffragio diretto, e quindi, che tutti i cittadini possano scegliere i loro rappresentati
al Parlamento di Strasburgo: qui c’è un equivoco che va dissipato, per cui secondo gli altri paesi
l’Italia puntasse sempre ai grandi ideali. In realtà non era solo questo, e gli italiani sostenevano i
maggiori poteri al PE perché il PE si fondava su una rappresentanza proporzionale rispetto alla
consistenza dei paesi dei singoli SM: i paesi più grandi hanno un più alto numero di rappresentati al
PE. Quindi, all’interno del PE l’Italia è sullo stesso piano di francesi, tedeschi ed inglesi.
Quindi, era una scelta ideale ma c’era anche una visione concreta per fare in modo che alcuni
interessi italiani venissero difesi in maniera più significativa.
Negli anni ’70 l’Italia ottiene questo obiettivo: a seguito di un processo molto lungo, nel 1979
abbiamo la decisione del Consiglio Europeo con la prima elezione a suffragio universale diretto del
PE.

Questo ci pronta ad affrontare un ultimo aspetto: l’atteggiamento del PCI nei confronti dell’Europa.
Il PCI sappiamo che negli anni Quaranta e Cinquanta è ostile alla costruzione europea, e quindi era
stata data un’interpretazione negativa anche delle politiche economiche sociali perché avrebbe
servito soltanto i gruppi monopolistici esteri e contro gli interessi della classe operaia; negli anni ’60
con il miracolo economico si va verso una situazione di quasi pieno impiego e non di disoccupazione
come era stato previsto. Naturalmente c’è anche la crescita, seppur abnorme, che fa sì che la
condizione di vita degli operai migliori: hanno macchina, televisore, frigorifero ecc. la questione che
si pone è che l’interpretazione del PCI sia errata: la revisione sull’interpretazione dell’integrazione
europea parte dai sindacati, e specialmente all’interno della CIGL si apre un dibattito su questo
punto, in quanto l’avevano criticata ma aveva avuto dei risvolti positivi in Italia.

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Sotto l’influenza del sindacato il PCI si pone delle questioni sulla costruzione europea: i primi a
puntare sulla revisione sono degli economisti vicino al PCI; a partire degli anni ’60 allora il PCI
sosterrà che alcuni aspetti dell’integrazione europea non possono condividerli, ma che altri invece
sono condivisibili: alla fine degli anni ’60, anche dato il cambiamento del clima politico dopo le
elezioni del ’68, il parlamenti italiano accetta che dei membri del PCI vadano all’Assemblea di
Strasburgo.
I comunisti dimostrano di essere quelli che studiano i dossier comunitari, anche se complicati, e
sono preparati anche su questioni come la PAC: da questo momento si dimostrano favorevoli alla
costruzione europea; il problema è che non spiega cosa fosse l’Europa, in che punto si collocasse
all’interno ad esempio di quella che era la Guerra Fredda: nella visione di fondo resta in mezzo al
guado, ma nell’ordinaria amministrazione è molto attivo e cooperativo anche con le altre forze
presenti nel PE.
Questo avrebbe giocato anche a favore di un’occidentalizzazione del PCI, rispetto agli altri partiti
comunisti dell’Europa; questo è anche legato all’allontanamento dalle posizioni dell’Unione
Sovietica, specialmente dopo che quest’ultima occupa la Cecoslovacchia, decisione che il PCI non
condivise.
C’è tuttavia un equivoco di fondo del PCI: per tutti gli anni ’70 vi sono tentativi del PCI per superare
la propria posizione, ovvero, il superamento della conventio ad excludendum e del fattore K
(impossibilità di carattere internazionale), tramite la proposizione di una posizione moderata sul
piano politico interno e di una occidentalizzazione sul piano internazionale con l’avvicinamento ai
socialdemocratici tedeschi, ed essere quindi riconosciuti come interlocutori democratici.

Ultima questione è quella di Altiero Spinelli, che riprenderemo anche più avanti: diventa
commissario europeo, pensando che l’azione all’interno della Commissione possa favorire interessi
del partito.

03/05/2021

La crisi italiana degli anni ’70 dal punto di vista internazionale

Oggi affrontiamo un tema particolarmente rilevante per ciò che riguarda gli anni ’70: il rapporto fra
Italia e Stati Uniti. Possiamo veramente parlare dell’Italia come un oggetto, e non soggetto delle
relazioni internazionali: per tutti gli Settante, per gli Stati Uniti l’Italia avrebbe rappresentato un
problema, per le questioni di politica interna italiana che vedono una profonda crisi del centro-
sinistra, considerata ormai obsoleta.
La formula del centro-sinistra era quella a cui aveva puntato l’amministrazione Kennedy per
garantire il miracolo economico italiano, per realizzare una serie di riforme che avrebbero
consentito di rendere più valida la modernizzazione: allo stesso tempo, l’amministrazione Kennedy
non poteva trascurare che l’Italia fosse il paese occidentale dove vi fosse il più forte Partito
Comunista, per cui questa formula puntava anche a isolare questo partito. Il Partito Comunista
raccoglieva più del 20% dell’elettorato, ma, come vedremo nel corso degli anni ’70 con la crisi del
centro-sinistra, una crisi istituzionale, una crisi dei partiti, un momento di forte corruzione, non
dobbiamo dimenticare la crescita delle forze di sinistra e soprattutto del PCI per proporsi come forza
di governo.

Dunque, la questione statunitense riguardava cosa fare se il PCI andasse al governo: come si
sarebbero comportate le varie amministrazioni americane?
§ Dal 1968 c’è la vittoria dei repubblicani con l’arrivo di Nixon;

111
§ poi la riconferma di Nixon con le elezioni del ’72;
§ poi lo scoppio dello scandalo WaterGate;
§ una breve amministrazione Ford;
§ e poi il ritorno dei democratici con Carter.
Per ciò che riguarda la fase Nixon, Ford, non dobbiamo dimenticare che per ciò che concerne la
politica estera statunitense sarebbe stato svolto da Kissinger. Quindi, la politica estera degli Stati
Uniti dal ’69 fino al ’75 è una politica condotta da Nixon e Kissinger.

Il primo momento di contatto avviene nel dicembre del ’69, con una prima visita di Nixon e Kissinger
in Italia: una visita di minore importanza per ciò che riguarda le relazioni internazionali. In realtà,
sappiamo dai documenti diplomatici americani che nel 1969 alcuni settori della DC erano già
fortemente preoccupati delle vicende interne, e temevano uno scivolamento a sinistra del paese;
dall’altro lato vi era stato l’autunno caldo con la forte protesta operaia: dobbiamo tenere conto che
questo periodo è propriamente di tensione nel paese, e in novembre vi erano stati forti scontri e
incidenti a Milano che da anni non accadeva in Italia. In un episodio a Milano era morto un agente
di polizia: ancora non era il periodo degli anni di Piombo, in cui episodi di questo genere sarebbero
diventati quasi normalità, però si trattava comunque di un episodio che aveva scosso il paese, e
della DC.
Nel corso quindi della visita americana, è molto probabile che un esponente della DC avrebbe
contattato Kissinger facendo presente che la situazione era grave e che i settori moderati della DC
erano preoccupati e avevano bisogno del sostegno degli Stati Uniti: cosa si intendeva con sostegno?
Per le elezioni del 18 aprile aveva preso piede un fenomeno, ovvero, il finanziamento segreto degli
americani a favore di partiti che erano contro il Partito Comunista; non sappiamo come giungevano
questi finanziamenti, che ad esempio negli anni ’40 provenivano dai sindacati, ma comunque tali
finanziamenti giungevano (anche dalla CIA).
Il PCI, essendo organizzato meglio della DC, otteneva finanziamenti attraverso diversi canali: ad
esempio, aziende italiane che avrebbero voluto operare in Unione Sovietica, versavano al PCI una
percentuale sugli affari che venivano conclusi: quindi, i canali di finanziamento del PCI erano più
forti di quelli della DC.

La valutazione era stata la seguente: l’Italia non era più un paese povero, per cui con
l’amministrazione Jhonson non si inviano più finanziamenti ai partiti anticomunisti. L’idea delle
autorità americane era che non fosse più necessario finanziarli perché si sarebbero potuto
finanziarsi da soli.
Tuttavia, come abbiamo sottolineato, nel 1969 la DC avanza queste richieste: si sostenne, nei
contatti con Kissinger, che i finanziamenti che avevano non erano sufficienti per cui era necessario
l’aiuto americani, ed inoltre sostenevano che i finanziamenti statunitensi arrivassero a un settore
preciso della DC, ovvero, quel settore non disponibile al dialogo con il PCI.
Ad ogni modo, la risposta di Nixon e Kissinger è negativa: Nixon si espresse contro perché sosteneva
fosse una forma di ricatto, per cui avrebbero dovuto sempre finanziarli.
Se noi valutiamo anche le interpretazioni della CIA, erano tali per cui si sosteneva che l’Italia stesse
affrontando una fase politica critica, però, sono problemi che ha sempre avuto e alla fin dei conti
l’economia stava funzionando. Se guardiamo le valutazioni di inglesi e francesi non sono molto
diverse, e sono tranquillizzanti: si gioca sugli stereotipi sull’Italia, per cui la politica è sempre
incomprensibile e alla fin dei conti fin quando l’economia avrebbe funzionato il problema non era
grave.
Al di là della veridicità di queste affermazioni, era comunque un’analisi riduttiva.

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Gli anni Settanta vanno divisi in due fasi: nella prima fase c’è una reazione della stampa,
dell’opinione pubblica e dell’establishment con timore nei confronti non tanto dell’arrivo del PCI al
governo, quanto più di un grande cambiamento: ai vertici della pubblica amministrazione, da
magistratura a forze di polizia, vi erano persone che erano entrate negli anni ’30, per cui si poteva
immaginare la loro visione timorosa sul PCI. Questo fa sì che vi sia un rigurgito di destra molto forte,
con il terrorismo di destra non solo con Piazza Fontana, fino al 1974.

Si era verificato il colpo di stato dei colonnelli in Grecia del 1967: anche all’interno del PCI e del PSI
si ha timore che si possa giungere a un colpo di stato. In effetti sappiamo che un tentativo ci fu nel
dicembre del 1970 da Giulio Valerio Borghese, vicino inizialmente agli ambienti del Movimento
Sociale ma poi distaccatovisi; questi comunque tenta un colpo di stato: in realtà, secondo il
Professor Varsori, potremmo sostenere che non vi fosse in realtà il pericolo di questo colpo di stato,
perché Borghese mobilitò alcuni esponenti di estrema destra, un centinaio del corpo della guardia
forestale ed entrano al Viminale per occuparlo, tuttavia, quella sera iniziò a piovere e il colpo di stato
non proseguì. Ad ogni modo, il vociferare di un colpo di stato nei militari c’era: l’avrebbero fatto
realmente? La sensazione è che amassero chiacchierare ma non l’avrebbero mai fatto; le condizioni
per un colpo di stato c’erano? Anche in questo caso probabilmente no, e le valutazioni inglesi e
francesi sostenevano che il pericolo non vi fosse perché l’Italia non era come la Grecia: questa,
infatti, ha una democrazia molto più debole, è un paese arretrato, mentre l’Italia è ormai un paese
industrializzato e fa parte di determinati meccanismi occidentali, e per giunta è un paese in cui il PCI
è molto organizzato, e né il PCI né la DC sarebbero stati pronti ad accettare una dittatura militare.

Dunque, per il momento abbiamo preso in considerazione l’aspetto di minaccia eversiva: un conto
è quella terroristica, l’altra è quella del colpo di stato; alcuni attori esterni non sarebbero stati
scontenti del colpo di stato come ambienti della dittatura dei colonnelli.

Questo non significava che non ci fosse un’interferenza americana, anzi, c’è una forte interferenza
che avviene con strumenti diversi rispetto al colpo di stato militare: infatti, l’idea di fondo è che se
in Italia ci fosse un colpo di stato, avrebbe avuto conseguenze negative per gli americani. Quindi,
l’elemento determinante di questa interferenza è rappresentato dalla nomina del nuovo
ambasciatore a Roma, nella persona di Graham Martin: nel 1969 viene nominato e giunge a Roma
con la convinzione di essere destinato a sconfiggere la minaccia comunista. In realtà, Martin non
conosce l’Italia, non conosce la lingua italiana, e si sosteneva che non fosse neanche interessato a
questi aspetti, ma che fosse focalizzato sull’obiettivo di sconfiggere i comunisti. Una delle
personalità a cui Martin si legò di più fu Pier Talenti: era un personaggio singolare, un ricco
costruttore nel settore dell’edilizia, romano, che possedeva la doppia cittadinanza italiana e
americana; negli Stati uniti era molto vicino agli ambienti repubblicani, e nel 1968 Nixon era stato
ospite di Talenti. Pier talenti a sua volta era legato ad alcuni signori, fra cui il Vicepresidente
dell’Alitalia, e quindi possiamo dire che vennero messi in piedi dei rapporti che convissero Martin
che gli Stati Uniti dovessero intervenire dato il timore che il PCI arrivasse al governo.
Quali sono gli strumenti? Un colpo di stato militare? Martin si convinse che la soluzione, per la svolta
a sinistra e del cambiamento della politica del paese, fosse di sostenere certe correnti anticomuniste
e certi settori della DC anticomunisti, con poi il ritorno ai governi di DC e repubblicani con liberali;
come raggiungere l’obiettivo? Vi erano già stati alcuni uomini della DC a chiedere finanziamenti,
come abbiamo detto, solo per alcuni settori della DC che rifiutavano il dialogo con il PCI; dunque, la
soluzione per Martin è quella del finanziamento.

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Martin riesce a spingere su Kissinger, che inizialmente non si dimostra a favore, ma a seguito di
pressioni anche da parte di Talenti sugli ambienti repubblicani ed anche Nixon, Martin riesce ad
ottenere ciò che voleva.

Martin riesce a convincere Kissinger e si mette in piede un rapporto segreto fra Nixon, Kissinger e
Martin: qual è il problema di questi finanziamenti? In realtà, Martin questi fondi li fa passare
attraverso i signori di cui si fidava, per farli arrivare ai settori più tradizionali della DC, ma, arrivano
anche a gruppi eversivi dell’estrema destra e di queste ultime personalità Martin non ne era a
conoscenza.
Comunque, Martin nel ’72 ritenne di aver raggiunto il suo obiettivo: nelle elezioni del 1971 viene
eletto Giovanni Leone, esponente della DC moderata, e rappresentava un’ipotesi conservatrice, per
cui Martin sostenne che questo fosse un successo della sua politica. La seconda convinzione è legata
alle elezioni del 1972: a seguito di governi molto deboli, Leone è costretto a sciogliere in anticipo le
camere e nel paese questo rappresentò un elemento di rottura, perché era la prima volta che le
camere venivano sciolte in anticipo; dunque, il risultato delle urne premiò la DC, e diede un risultato
abbastanza favorevole anche al Movimento Sociale Italiano, per cui si pensa che una parte
dell’elettorato moderato tema il PCI.

Comunque, Martin sosteneva che le lezioni fossero andate bene per gli americani perché la DC si
era rafforzata, ed era bene che il MSI avesse preso dei voti ma non troppi, poiché rappresentava era
una specie di avvertimento per la DC.
Quindi, Kissinger e Nixon cambiano opinione e sostengono di dare a Martin di gestire la situazione
con fondi di milioni di dollari: qui c’è una lettura di Nixon e Kissinger che è probabilmente sbagliata
perché si fanno influenzare dalle vicende del Cile.
Negli anni ’70 in Cile c’è la vittoria delle sinistre guidate da Allende: quindi, si temeva che ciò che era
avvenuto in Cile accadesse anche in Italia; anche in questo caso la valutazione è inesatta, perché va
considerato che l’atmosfera generale andava in una direzione differente rispetto a quella italiana.

Apparentemente la strategia di Martin ha successo, ma in realtà in larga misura ciò che era accaduto
era dovuto ad elementi interni alla politica italiana e non influenze esterne; anche se, prevaleva
anche nelle forze di sinistre la convinzione che gli americani influissero nella loro avanzata al
governo, per cui c’è una sorta di incroci di visioni errate che si traducono in una seria di scelte
politiche.

Dobbiamo chiederci quale fu la presa di posizione del PCI: il PCI era passato attraverso un’evoluzione
al suo interno, e con la morte di Togliatti e il Memoriale di Yalta si seguono la teoria delle vie
nazionali del socialismo: ogni partito comunista era legato a una realtà nazionale specifica, e quindi
ogni partito comunista si sarebbe regolato in base alla propria realtà; l’idea è del policentrismo, per
cui ci sono diversi modi di interpretare il ruolo del Partito Comunista in un paese.
In occasione dell’invasione della Cecoslovacchia, infatti, il PCI condanna l’Unione Sovietica e da
questo momento sarebbe nata una contrapposizione fra CUS e PCI, anche se il PCI cercherà di non
allontanarsi mai radicalmente dal CUS.
Nel 1972 la segreteria del Partito passa sostanzialmente da Longo a Berlinguer: Berlinguer diventa
segretario del PCI e si rende conto che c’è uno spostamento a sinistra del paese e dell’opinione
pubblica; inoltre, ritiene valida la scelta di moderazione applicata nei confronti degli episodi di caos
nel paese, questi ambienti del ceto medio vedevano il PCI come un punto di riferimento.

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Ed inoltre, le vicende internazionali per Berlinguer sono rilevanti, ed un evento del 1973 ha un forte
impatto: il colpo di stato di Pinochet. Berlinguer fa delle valutazioni rispetto a questo evento: le
sinistre hanno vinto le elezioni e sono andate al governo, ma essendo deboli hanno rotto con la
democrazia cristiana ed i militari hanno preso il potere; il risultato è stato terribile con una
repressione sanguinaria. Per cui la valutazione è che il PCI non sarebbe andato al governo con
l’alleanza delle sinistre, anche se queste avessero preso il 50%+1.

L’idea è che si va al governo agendo su due piani: uno è quello interno attraverso il dialogo con le
forze moderate della DC, specialmente quei settori favorevoli al dialogo con il PCI, e quindi inizia
questo periodo di compromesso storico. Dall’altra l’ipotesi è di agire anche sul piano internazionale
ed accreditare il PCI come democratico: ancora non vi è il dialogo con gli Stati Uniti, però si inizia a
procedere con la scelta europeista, il dialogo con alcune forze della social-democrazia tedesca, ed
anche un distacco dall’Unione Sovietica. Vedremo poi che il dialogo si estenderà anche agli Stati
uniti, ma solo dopo il ‘73/74.
Qual è la valutazione delle diplomazie degli altri paesi europei? Fino al 1974 le diplomazie
occidentali, francesi e inglesi, non sono preoccupate: non vogliono il PCI al governo, ma ammettono
che questo partito sia differente rispetto agli altri partiti comunisti, ed inoltre, le ambasciate di
questi paesi mettono in piedi rapporti con esponenti del PCI, così come si avevano rapporti con
esponenti della DC, ecc.
Dopo il 1974 c’è un cambiamento, anche nelle vicende americane che porta ad un diverso
atteggiamento per le vicende italiane: scoppia lo scandalo Watergate, che portano alla presidenza
Ford, che essendo un presidente non eletto ha un potere molto debole perché non aveva
legittimazione da parte dell’elettorato. Inoltre, con il 974 c’è una fase che dura fino alla presidenza
Carter con una forte debolezza del potere esecutivo rispetto al potere legislativo: questo ha
un’influenza anche sulla politica estera.
Si avvia una commissione d’inchiesta, ed emergono nel ‘74/75 tutte le vicende dei finanziamenti a
favore della DC: questo porta a una minore credibilità dell’amministrazione americana agli occhi
degli alleati, e c’è una sorta di paralisi dell’amministrazione, per cui, non si possono fare certe cose
fatte in precedenza come finanziamenti ai partiti, perché il Congresso non avrebbe accettato e
sarebbero inoltre apparsi nella stampa.

04/05/2021

La crisi italiana degli anni ’70 dal punto di vista internazionale

Concludiamo le vicende relative al ruolo internazionale dell’Italia negli anni Settanta. Abbiamo
sottolineato come il periodo degli anni Settanta vada diviso: dal ‘68 al ’75 e poi dalla metà del
decennio fino al 1979/80.
Abbiamo completato l’analisi dei rapporti tra l’Italia e la Comunità europea, e abbiamo poi preso in
considerazione un aspetto complicato dei rapporti fra Italia e Stati Uniti giungendo fino allo scandalo
Watergate: abbiamo sottolineato le interferenze dell’amministrazione americana in Italia e dal
1970/71 abbiamo preso in esame come le amministrazioni americane abbiano cercato di influenzare
le vicende interne italiane per evitare l’ascesa al governo del PCI.
È comunque difficile dare una valutazione puntale e precisa sul grado di incidenza
dell’amministrazione americana nelle vicende interne italiane: molto spesso questo
condizionamento è stato piuttosto un auto-condizionamento, anche lo stesso PCI nella sua azione
era fortemente condizionato dalle valutazioni che essi davano della situazione internazionale e di

115
ciò che gli Stati Uniti avrebbero potuto fare e il grado di potere che avevano gli Stati Uniti per le
vicende italiane.

Una situazione complessa, non sempre facile da interpretare che parve avere un momento di svolta
nel ‘73/74 quale conseguenza dello scandalo Watergate: con le dimissioni di Nixon e l’arrivo di Ford,
questi si trovò in una situazione di particolare debolezza con un potere legislativo desideroso di
riprendere i margini di azione per il potere nella politica internazionale.
Questo suscitò un rifiuto dell’opinione pubblica del passato rispetto a ciò che avevano attutato le
amministrazioni precedenti in ambito di politica internazionale.
Il secondo aspetto che possiamo ricordare è la passività dell’amministrazione Ford riguardo
l’espansione della presenza sovietica in Africa.
Intorno al 1974, l’amministrazione Ford si vede costretta a rinunciare all’attenzione di questioni
interne di altri paesi, e per ciò che ci riguarda, anche dell’Italia.

Abbiamo ricordato come negli anni ’70 nella storiografia vi fosse un cambiamento: fino a quel
momento si studiava il Risorgimento e il Fascismo, mentre dagli anni ’70 si cambia con lo studio
della Seconda guerra mondiale e l’origine della Guerra Fredda: questo perché l’Information Act
cambia la normativa.
In generale, l’interesse degli storici era trovare l’origine di questo fattore K (così definito da un
giornalista), ovvero il PC, e la conventio ad excludendum.
Ad esempio, in uno dei primi volumi di Antonio Gamboni si scrive la storia dell’Italia del dopoguerra,
dove l’influenza americana nelle vicende italiane era uno dei temi centrali: la visione che si aveva al
tempo era che gli Stati Uniti fossero onnipotenti, e che le origini dell’Italia Repubblicana siano nate
a Washington. Tuttavia, noi abbiamo sottolineato come questa visione degli anni Settanta non
rappresenti propriamente la realtà, quanto più si lega al sentimento e la visione che si aveva delle
questioni in quel periodo.

Ad ogni modo, è opportuno aggiungere qualcosa per ciò che riguarda il ruolo italiano nell’area del
Mediterraneo: l’Italia è un paese relativamente debole non solo per le vicende sul piano interno, ed
i governi stessi hanno una durata minima, per quanto vi sia una certa continuità nella politica estera
data la presenza delle stesse personalità alla Farnesina.

Un’area in cui Moro mostra interesse è quella del Mediterraneo: quali sono le ragioni?

§ Preoccupato per la presenza dell’Unione Sovietica nell’area del Mediterraneo; questo dava
l’idea anche dell’opinione di Moro dei comunisti: nel 1977 accetta l’ipotesi di un possibile
sviluppo verso il compromesso storico, perché ritiene che non vi siano alternative, non
perché gli faccia piacere.
o Qual è la risposta di Moro alla presenza Sovietica? La ricerca del compromesso,
attraverso il dialogo con i paesi medio-orientali, partendo dal presupposto che dal
1950 l’Italia ha seguito una politica di amicizia nei confronti del mondo arabo.
La posizione del centro-sinistra diventerà sempre più filoaraba, e l’Italia cercherà
sempre di bilanciarsi: un esempio è la questione Israele-Palestina, e l’Italia accetterà
la Risoluzione dell’ONU in cui si richiama Israele per ritirarsi dai territori occupati nei
Sei giorni.
Quindi, l’Italia cercava di mantenere l’equilibrio le posizioni di Israele e le esigenze
della Palestina. Ci potremmo chiedere, che senso aveva questa politica? Non era una

116
politica che permettesse all’Italia di svolgere un ruolo centrale in una situazione di
conflitto complicata, dove neanche le grandi potenze riuscivano ad intervenire, però
indirettamente poneva l’Italia in una posizione sensibile alle esigenze del mondo
arabo per mantenerne dei buoni rapporti.

§ Quali erano quindi gli interessi concreti? Su un piano l’azione diplomatica italiana si pone su
un piano di grandi valori, ma anche sul piano di obiettivi concreti: uno degli obiettivi di
questo periodo è la questione petrolifera.
o L’Italia riesce a mettere in piedi due centrali nucleari, mentre ad esempio la Francia
una cinquantina, quindi l’Italia risultava per lo più dipendente dal petrolio. L’Italia è
un paese fortemente industrializzato, ma dipendente dal Medio Oriente: questo
significa che sia necessario mantenere buoni rapporti con il mondo medio-orientale,
data la questione del petrolio.

§ Tuttavia, agli inizi degli anni Settanta c’è l’emergere di un nuovo fenomeno che è il
terrorismo, di matrice medio-orientale: sappiamo di esempi di atti di terrorismo, fra cui le
Olimpiadi di Monaco da parte di terroristi palestinesi che porta all’intervento delle forze
tedesche che conduce a una strage.
Inoltre, nasce il dirottamento aereo: negli anni Settanta emerge questo fenomeno, con presa
di ostaggi e problemi di carattere internazionale e colpivano compagnie americane ed anche
interessi europei occidentali.
o Ciò che possiamo ipotizzare è che l’azione di Moro e della diplomazia italiana
volesse dimostrare che l’Italia fosse amico e sensibile alle questioni palestinesi,
anche per evitare le conseguenze del terrorismo: molti sostengono che l’Italia
abbia concluso accordi con settori dei vari movimenti palestinesi, specialmente
l’OLP, in base al quale l’Italia avrebbe chiuso un occhio sulle attività palestinesi
nel territorio internazionale in cambio del fatto che l’Italia non fosse target di
attacchi terroristici; questo però non fu sempre vero, per cui il lodo Moro, così
definito, non possiamo dire se effettivamente sia esistito anche se possiamo
supporre che qualche accordo vi sia stato.

§ Ultima questione sono i rapporti con la Libia: le cose cambiano con il colpo di stato che porta
al potere Gheddafi, che soprattutto in una fase iniziale si rifà alle posizioni nasseriane,
nazionalisti fortemente filoarabi e antioccidentali. L’arrivo al potere cambia i rapporti
dell’Italia con la Libia che in una prima fase sono conflittuali: una delle prime decisioni di
Gheddafi è di nazionalizzare le proprietà degli italiani ed espellere gli italiani, in quanto
definito simbolo dell’occupazione e colonizzazione italiana.
Questo suscitò in Italia delle reazioni molto negative nell’opinione pubblica; l’atteggiamento
del governo italiano con Moro agli Esteri è molto cauto ed anche conciliante: agli inizi degli
anni Settanta Moro cerca di avere dei rapporti con Gheddafi.
o È abbastanza interessante una questione che diventerà una costante: Gheddafi aveva
accettato di cacciare gli italiani, ma era desideroso di attuare accordi di natura
economica con l’Italia, specialmente con l’ENI; anche nel corso del fine degli anni
Settanta stringerà accordi anche nel settore delle costruzioni, e diventa un rapporto
strano: da un lato Gheddafi è un leader radicale arabo, che fa dell’anticolonialismo le
caratteristiche la sua posizione politica, ma nel piano concreto i rapporti con le
imprese italiane diventano sempre più strette. Infatti, il 30% del fabbisogno
energetico italiano proviene dalla Libia.

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Negli anni Settanta la Libia di Gheddafi investe anche nelle società italiane, quindi si
creano rapporti molto stretti fra Gheddafi e l’Italia sul piano economico, a dispetto di
ciò che Gheddafi diceva verbalmente.
Vedremo come questo avrà riflessi negli anni Ottanta, in cui l’Italia avrà una politica
estera più assertiva.

Dunque, tornando alle questioni italiane interne, dal 1974 del prevalere del terrorismo di destra, si
passa al terrorismo di sinistra con varie formazioni armate e la formazione di maggior rilievo sarà
quella delle Brigate Rosse.
Dunque, possiamo capire che questo avrà conseguenze anche sul piano della posizione
internazionale italiana: anche se, guardando le reazioni delle diplomazie straniere, è che il
fenomeno del terrorismo viene sottovalutato e l’attenzione nei confronti di questo fenomeno si ha
nel’77. Perché questo accadde? Perché le diplomazie straniere erano più interessate alle questioni
economiche rispetto al terrorismo di destra, e per quanto riguarda il terrorismo di sinistra, non era
un fenomeno solo italiano, ma in generale c’era una situazione di violenza e terrorismo
generalizzata: l’esempio è l’IRA in Gran Bretagna.
Grande rilevanza comunque avrà il caso Moro: dal punto di vista dell’osservatore straniero è chiaro
che si tratta di un segnale ben differente.
Comunque, la preoccupazione straniera è determinata dalla situazione politica, nel senso che il PCI
arrivasse al governo.

Gli anni Settanta vedono dei cambiamenti in Europa meridionale: Portogallo, Spagna e Grecia.
La caduta di queste tre dittature e regimi autoritari ha condotto alla nascita di tre democrazie,
compiute, con dei caratteri di democrazia liberale piena; non dobbiamo dimenticare che questo nel
‘74/75 non era prevedibile, e la reazione delle potenze occidentali è di timore, perché nessuno
poteva immaginare come si sarebbero evoluti questi sistemi politici.
o Per quanto riguarda il caso del Portogallo, grande rilievo avevano i gruppi di sinistra
radicale, che sono su posizioni Castriste, Terzo mondiste, e c’è una certa influenza del
Partito Comunista portoghese legato alla prospettiva rivoluzionaria: si aveva il timore
che il Portogallo divenisse una dittatura di sinistra. Le cose però non andranno così.
o Stessa cosa si dice per la Grecia: il governo è guidato da un conservatore, però c’è un
forte partito socialista;
o così per la Spagna che vede inoltre il fenomeno del terrorismo dell’ETA.

Perché parliamo delle potenze occidentali e Stati Uniti? Perché in questo periodo pensavano di non
avere la capacità di intervenire direttamente in queste situazioni, però chi si preoccupa sono gli
inglesi, i francesi e i tedeschi occidentali.
Ad ogni modo, si preoccupano due paesi che sono guidati da socialisti: nel 1874 in Gran Bretagna
torna un governo laborista, e in Germania dal ’74 vi è altrettanto un governo socialista; in Francia
alla guida del paese va un liberale. La preoccupazione è che quindi cambino gli equilibri europei,
avvicinandosi all’Unione Sovietica: l’ipotesi comunque era che governi di estrema sinistra avrebbero
fatto il gioco dell’Unione Sovietica, specialmente Grecia e Spagna.

A questo punto capiamo perché la preoccupazione nei confronti dell’Europa meridionale diventa
una preoccupazione anche per l’Italia: il timore in generale era uno sfaldamento di tutto il sistema
occidentale, ed alcuni paesi vengono esclusi da sistemi dell’ONU.
Questo per i tre paesi, Portogallo, Spagna, Grecia, implica che la guida della politica occidentale
viene presa dagli europei, e gli Stati Uniti lasciano a loro questo compito: gli europei occidentali si

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dividono i compiti, e i tedeschi si occupano della Spagna e del Portogallo e i francesi si occupa della
Grecia. Inoltre, a questi tre paesi viene offerto l’ingresso nella Comunità Europea: si chiede di
diventare delle democrazie occidentali, e al contempo si offre l’ingresso nella CEE con i vantaggi ad
essa annessa; tutto sommato è una strategia che funziona.

Per quanto riguarda l’Italia invece il caso è diverso, perché non riguarda la fine di una dittatura ma
si tratta di una democrazia: come si agisce e quali sono le preoccupazioni? Ritornano in gioco in
questo caso gli Stati Uniti.
In Italia in questi anni il PCI si presenta sempre più come il partito più serio, in grado di risolvere i
problemi economico-sociali: a metà degli anni Settanta non c’è più persona che dichiari di votare
per la DC, e questo dà l’idea della crisi della DC per cui neanche gli stessi elettori ammettono di
votarli. Il momento di cambiamento è dato dalle elezioni amministrative nella primavera del 1975
in cui il PCI prende intorno al 33/34% e si avvicina alla DC: si inizia a parlare del cosiddetto sorpasso,
e c’è il timore che il PCI alle elezioni politiche previste per il ‘77 potesse superare la DC.
Naturalmente questa è l’atmosfera del paese: possiamo immaginare quindi la reazione di chi vede
dall’esterno.
L’amministrazione Ford tenta nuovamente di intervenire nelle vicende italiane: ci sono delle
conversazioni fra Kissinger e il Security Council a seguito delle elezioni amministrative del ’75
italiane, in cui risulta la forte reazione negativa di Kissinger secondo cui queste elezioni sarebbero
state un disastro; incolpa inoltre l’amministrazione Kennedy che aprì ai socialisti: questo, anche se
non vero, dà il senso di disperazione ed esasperazione di Kissinger.

L’idea è che la DC sia molto più debole di quanto non lo fosse nel ’71: si giunge al punto in cui si
pensa che la DC sia pronta a cedere. Infatti, dal ’74 gli americani, francesi, inglesi, e tedeschi,
prendono l’abitudine di vedersi segretamente: si vedono ad Helsinki, poi nel Consiglio Atlantico, e
si manifesta la poca fiducia nei confronti della DC e di Moro: c’è una caduta della fiducia nei confronti
del gruppo moderato italiano; perciò, si inizia a pensare a come bloccare l’ascesa del PCI al governo.

Per reagire alla minaccia del PCI c’è ad un certo momento un incontro a Washington nel 1975 con
l’ambasciatore americano a Roma John Volpe (il quale aveva sostituito Martin), Kissinger, e il
Security Council: emerge l’ipotesi dei finanziamenti segreti come nel 1971, ma la vera questione è a
chi darli. Il punto di riferimento statunitense rimane la DC, scegliendo però quegli uomini giovani
della DC che non sono coinvolti in episodi della corruzione e siano contrari al compromesso storico:
si parte dal presupposto che Moro fosse pronto ad accettare il compromesso storico (anche se nella
realtà non era così) quindi ci si fida maggiormente di altri uomini.
Vi era una scarsa fiducia nei confronti della DC, in particolare di alcuni settori della DC.
Viene deciso l’ammontare dei finanziamenti dall’amministrazione Ford, quanto però accade
qualcosa di imprevisto: agli inizi del gennaio del 1976 esce un articolo su una testata giornalistica
americana, in cui si riaffermano i finanziamenti che gli Stati Uniti avevano fatto nel ’71, ma si afferma
anche che l’amministrazione Ford avrebbe proceduto nella stessa maniera.
Questo provoca una forte reazione, e i finanziamenti del ‘75/76 vengono bloccati perché il risultato
sarebbe stato esattamente l’opposto.

A questo punto rientra in gioco un’azione concentrata fra Stati Uniti ed europei: accenniamo per
oggi che gli alleati europei, ed anche Stati uniti, individuano come strumento per influenzare le
elezioni e in particolare la DC, lo strumento economico: avrebbero dato supporto economico e
sostegno finanziario a condizione che i comunisti non salissero al governo in Italia.

119
Alla fine del 1975, emergerà poi il G7, con l’idea di creare un incontro informale, senza verbali, uno
scambio di opinioni, con i paesi più industrializzati del mondo occidentale per elaborare strategie,
seppur vaghe, per riprendere in mano il sistema economico internazionale minacciato dai paesi
petrolifero. I paesi industrializzati si incontrano: ma chi invita chi? I cinque sono dati per scontati:
Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, RTF e Giappone.
Il problema, quindi, è l’Italia: la Francia non accetta l’Italia, proponendo il direttorio; mentre gli Stati
Uniti accettano che partecipi anche l’Italia.

05/05/2021

Concludiamo la questione dei rapporti fra Italia e Stati Uniti negli anni Settanta.
Ci eravamo interrotti nella lezione di ieri al 1975: abbiamo sottolineato come l’amministrazione Ford
e il segretario di Stato Kissinger fossero molto preoccupati dei risultati delle elezioni italiane del ’75
che avevano visto l’avvicinamento elettorale del PCI alla DC. Le preoccupazioni e perplessità si
legavano anche alle questioni del Portogallo, Spagna e Grecia: tuttavia, la preoccupazione non solo
riguarda gli Stati Uniti, ma coinvolge anche gli stati europei.

Ricordavamo ieri come nel ’75 l’amministrazione Ford pensasse nuovamente a una covert
operation, attraverso finanziamenti: ma nel gennaio del 1976, a causa di una fuga di notizie relative
ai finanziamenti degli anni Settanta e a delle voci relative al fatto che l’amministrazione avrebbe
nuovamente fornito finanziamenti, l’iniziativa venne bloccata.
Agli inizi del 1976 il Presidente della Repubblica italiano scioglie nuovamente le Camere per elezioni
anticipate.

Ci si è posti quindi il problema per impedire al PCI di andare al governo e di impedire che la DC
andasse al governo.
I cauti e più prudenti erano gli inglesi: il ruolo centrale fu svolto da Parigi e anche dai tedeschi; questo
si rifletteva anche da questioni interne: si temeva in Francia che comunisti e socialisti si alleassero e
che vincessero le elezioni. Allo stesso modo si temeva in Germania, che la SPEDE accettasse l’arrivo
dei comunisti al governo.

Tra Kissinger, Giscard e Smith emerse il fatto che la questione italiana potesse essere affrontata a
livello economico: l’idea che emerse fu quella di organizzare una nuova riunione, sulla scia del G6.
Agli inizi di gennaio 1976, fra una serie di contatti fra i leader francese, inglese, tedesco e americano,
si pensa che la questione italiana possa essere uno dei temi da affrontare nella nuova riunione.
La decisione fu quella di dare attuazione a questo incontro, una riunione, a Porto Rico, nell’agosto
del 1976 dopo le elezioni italiane: si decise che in questo G7 avrebbero discusso di questioni
generali; ma soprattutto, avvenne a seguito delle elezioni italiane per evitare che il G7 condizionasse
le elezioni, ed ancora, non si poteva porre come unica questione quella italiana: nella fase in cui si
passava dal vecchio governo al nuovo governo, la questione italiana non fu messa all’ordine del
giorno, ma si decise che si sarebbe affrontata la questione in un incontro informale a quattro
(francesi, inglesi, tedeschi e americani).

Nel frattempo, per quanto riguardava le elezioni italiane i risultati furono: un avanzamento leggero
della DC, ma il PCI conferma la sua forza con il 33/44%. Chi paga lo scotto maggiore sono i partiti
laici minori, che hanno risultati molto deludenti: chi paga di più è il Partito Socialista.
Subito dopo le elezioni c’era la considerazione che con il PCI si dovesse dialogare, anche perché il
paese stava affrontando un periodo di crisi finanziaria con una forte crescita dell’inflazione, per cui

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era necessaria una politica economica che limitasse la spesa pubblica, e convincere i sindacati a una
politica dei redditi con un parziale blocco dei salari. Ovviamente, il sindacato più forte era la CIGL,
legati al PCI, per cui era necessario dialogare con questi per attuare tali politiche austere. Vi era una
vera e propria necessità di dialogare con i comunisti, anche se non li si voleva al governo.
Arrivati alla Conferenza di Porto Rico, si giunge alla formazione del governo Andreotti, con il governo
della non sfiducia, per cui i comunisti non votavano né contro ne a favore: un’astensione che
avrebbe favorito l’accordo fra governo e sindacati che avrebbe favorito la politica sui redditi.

A Porto Rico succede qualcosa di particolarmente sgradevole: all’inizio della mattina i quattro si
incontrano, e non c’è un verbale dell’incontro; vi è un sunto nei documenti inglesi: i quattro
parlavano dell’Italia, e si diceva che se l’Italia avesse voluto ottenere fondi del FMI, i comunisti non
sarebbero dovuti entrare al governo.
Il G7 poi nel pomeriggio si svolse tranquillamente, e gli italiani avrebbero sottolineato le loro
condizioni economiche in crisi.

I quattro, comunque, non si limitarono a questo, e sotto iniziativa prevalentemente francese, questi
vogliono andare oltre: subito dopo Porto Rico i francesi organizzano un incontro riservato a quattro
di alti funzionari, e i francesi presentano un documento che è un progetto di grande riforma per
l’Italia. In questo progetto l’interlocutore rimane la DC, e si chiede la riforma della pubblica
amministrazione, la lotta alla corruzione: la soluzione per l’attuazione è che ogni paese, Francia,
Gran Bretagna, Germania, Stati Uniti, scelgano degli interlocutori italiani di fiducia, di modo che
questi presentassero in Italia il programma.
Questo rappresenta una forma di interferenza molto forte.

Questa azione avrà rilievo? In realtà, Smith in viaggio in America rilascia dichiarazioni pubbliche alla
stampa in cui afferma che non avrebbero accettato che i comunisti arrivassero al governo; c’è quindi
una reazione della stampa italiana e l’iniziativa dei quattro si incaglia.
Non vi sono documenti che provino in maniera definitiva che i contatti poi siano avvenuti con gli
interlocutori italiani, ma vi sono sicurezze maggiori per quanto riguarda i contatti fra Stati Uniti e
interlocutori italiani, mentre gli inglesi rinunciarono subito.

Andreotti si reca negli Stati Uniti, si incontra con Ford, e nei verbali dei colloqui si evince che sono
state affrontate per lo più questioni economiche: Andreotti sottolinea come si sarebbero mossi con
politiche di austerità, e che avrebbero avuto contatti con i sindacati ma che il PCI non avrebbe posto
problemi.

Non abbiamo la possibilità di andare oltre e affrontare il periodo successivo nella lezione di oggi, ma
possiamo anticipare la questione delle elezioni americane: vince Jimmy Carter, dei Democratici, con
un programma che presenta il ritorno alle morali originali della nazione americana.
Questo implicava che la nuova amministrazione statunitense non dovesse più utilizzare gli strumenti
delle amministrazioni precedenti: non esisteranno più covert operations per i paesi europei.

C’è un equivoco: interpretare la posizione dell’amministrazione Carter pensando che questa fosse
favorevole al compromesso storico.
Nella metà degli anni ’70 c’è un gruppo di intellettuali vicini all’amministrazione US che si
innamorano del PCI per via anche del suo scollegamento dall’URSS e dal Partito comunista sovietico,
e in esso vedono di fatto la socialdemocrazia che coopera con gli imprenditori emiliani (esperienza
di alcuni scienziati politici US/UK a Bologna). Il PCI si convince di questo innamoramento US tanto

121
che alcuni leader PCI si convincono di essere dei punti di riferimento addirittura per la sinistra
americana e che gli US non vedessero l’ora di appoggiare il compromesso storico.
Il ruolo dei media, dei quotidiani, era rilevante perché anch’essi proponevano questa visione per cui
gli americani volessero il PCI al governo: questa lettura in realtà non era esatta.
Si scambiarono degli aspetti di civilities con l’approvazione: questo avrebbe condotto a una serie di
equivoci e problemi fra i rapporti di Italia e Stati Uniti.

10/05/2021

Concludiamo con le vicende relativa agli anni Settanta, ed iniziare l’esame degli anni Ottanta. Ci
eravamo interrotti all’amministrazione Carter che si insidia agli inizi del ’77, e abbiamo ricordato che
quando l’amministrazione si insedia in Italia ha avuto inizio l’esperimento del governo della non
sfiducia di Andreotti, esponente della DC: detto della non sfiducia perché il PCI non vota contro e
non vota a favore, ma si astiene. Questo atteggiamento favorirà poi la politica di austerità.
Con l’arrivo dell’amministrazione Carter alcuni aspetti della politica estera cambiano radicalmente:
Carter parte dal presupposto di riportare la moralità anche sul piano delle relazioni internazionali,
che implicava qualsiasi operazione di covert operation segrete, anche nei confronti dell’Italia.
Questi sono inoltre gli anni in cui Berlinguer lancia l’idea del nuovo sviluppo: c’era quest’idea per cui
effettivamente il capitalismo fosse in crisi, e di fronte a Berlinguer si pongono le ipotesi del
o capitalismo occidentale di matrice americane per cui lo sviluppo non ha mai termine,
o e dall’altro lato il modello socialdemocratico nordico, un modello di sviluppo più attento
all’ecologia in cui lo stato ha un ruolo importante e guida il cittadino;
o anche quando Berlinguer tiene un importante discorso alla festa dell’Unità a Genova,
afferma che il PCI rifiuta entrambi i modelli e va verso una terza via, anche se non chiarirà
mai effettivamente le caratteristiche di questa opzione. Comunque, sostiene che la
Rivoluzione d’Ottobre è un momento di riferimento per il PCI: sono critici dell’Unione
Sovietica, ma non si distaccano effettivamente dal CUS.

Di fronte a tutto questo la convinzione è che gli Stati Uniti fossero pronti ad accettare il
compromesso storico, e la stampa italiana sottolineava come l’amministrazione Carter fosse pronta
ad accettare i comunisti al governo: questo sappiamo non essere vero.
Viene nominato un nuovo ambasciatore a Roma: Gardner. Nuovamente la stampa italiana sostiene
che Gardner favorirà il compromesso storico.
In realtà, lo stesso Gardner è estensore di un memorandum che lui elabora con il Consigliere della
Sicurezza Nazionale dell’amministrazione Carter partono dal presupposto che la situazione italiana
è complicata, e che il nodo dei problemi politici italiani sono che il PCI vada al governo: questo
ovviamente sottolinea come non vi fosse favore per il PCI al governo, anche se questo non implicava
covert operations o interferenze. Però non ci si pone problemi per dire ciò che si pensa.
La stampa italiana reagirà a quest’idea suddividendo in buoni e cattivi coloro che fanno parte
dell’amministrazione Carter.

Ad ogni modo, il governo della non sfiducia entra rapidamente in crisi, a causa non solo delle crisi
sociali ma anche dei forti attacchi a livello terroristico. Il PCI verrà visto come un traditore da certi
settori, e il momento di cambiamento il PCI lo vedrà quando verrà ucciso Rossa, e il PCI condannerà
le Brigate Rosse. Questo conduce a fenomeni di ostilità non solo nei confronti della DC, ma anche al
sindacato del PCI: 1977, manifestazioni a Bologna.

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La DC davanti a questa situazione, e di fronte alle divisioni interne della DC, inizia a pensare e
sostenere che l’unica possibilità di uscita dalla crisi è il coinvolgimento del PCI: forte sostenitore è
Ugo La Malfa. La visione di Moro è invece più dura e negativa.

Qual è la posizione di Gardner e dei paesi europei?


Un atteggiamento negativo nei confronti del compromesso storico: in questo caso invece gli europei
sono molto cauti e prudenti, probabilmente perché in parte anche gli europei erano convinti che il
compromesso storico fosse inevitabile.

Giungiamo agli inizi del 1978: si apre la crisi di governo molto difficile con le dimissioni di Andreotti,
e Moro è l’artefice dell’idea di governo di unità nazionale, anche se questo non significa che i
comunisti fanno parte del governo.
L’episodio rilevante di questo periodo è il rapimento di Moro nel marzo del 1978: non andiamo nei
dettagli di questo episodio, ma diciamo che ci sarà una lunga prigionia con l’uccisione di cinque
uomini della sua scorta e la morte poi a maggio; in questo episodio si rileva poco efficace l’azione
statale.
Riguardo i complotti rispetto a questo episodio: tutta la documentazione diplomatica all’estero
sottolinea come le Brigate Rosse siano un fenomeno puramente italiano, anche se avevano contatti
all’estero, è un fenomeno italiano. Non ci si può neanche sorprendere dell’inefficacia delle Forze
dell’Ordine che al tempo erano poco motivate, con scarse risorse, e agivano senza una direzione
precisa: questo si ricollega all’inefficienza di questo periodo dello Stato (le uniche strutture
funzionanti erano probabilmente solo i sindacati, neanche i partiti lo erano).

La reazione degli alleati italiani è singolare: gli Stati Uniti non fanno quasi nulla, Garner pur essendo
preoccupato, parte dal presupposto che l’amministrazione Carter non debba interferire con le
questioni italiane; pochi giorni prima che Moro venisse ucciso, Carter chiama Cossiga e dice di essere
disposto a dare un aiuto ma vengono semplicemente inviate dei dipartimenti della CIA esperti in
rapimenti.
A seguito della morte di Moro, gli altri stati affermano che sia stato un grande colpo alla DC ma tutto
sommato la reazione della società italiana e dei partiti è stata migliore di quanto si aspettassero; si
esprimono quindi a favore del compromesso storico perché hanno dimostrato di essere ostili e
nemici del terrorismo.

Per alcuni mesi vi è una sorta di tregua, e il governo di unità nazionale viene accettato, anche se
Carter non è contento: va detto che c’è un riallineamento dell’Italia, molto rapida, alle posizioni
occidentali. Ci sono due scelte fondamentali di politica estera che sottolineano come la stagione del
compromesso storico sia molto debole, che al ’79 è già finito: le due scelte sono
§ la partecipazione al Sistema monetario europeo:
o a seguito del serpente monetario, che era stato un fallimento, alla fine degli anni ’70 si
torna sull’idea di un sistema monetario europeo, una forte cooperazione europea a
livello monetario; nel corso del ’78 ci sono una serie di convegni di vertici europei e si
elabora un progetto per cui i tassi di cambio siano fissi, e a differenza del serpente c’è
l’idea di una solidarietà delle banche europee. Se un domani una delle monete fosse
sottoposta a spinte speculative, le altre banche devono intervenire per aiutare questa
banca, pur non essendo una linea cogente.
o L’Italia partecipa al negoziato, non rendendosi conto fin dagli inizi delle implicazioni di
questo progetto, ovvero, posizioni sostenute dalla Germania per cui fossero necessarie
prima politiche economiche interne per poi adottare quelle monetarie, per evitare che

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le monete fossero deboli; a un certo momento quindi ci sono forti pressioni per la
partecipazione italiana al sistema monetario europeo affinché l’Italia, l’amministrazione
italiana, dimostrasse di essere disponibile ad attuare determinate politiche
allontanandosi dalle posizioni del PCI.
o Gli italiani, quindi, puntano a delle concessioni, con bande di oscillazioni più
ampie; puntano inoltre al consenso inglese: ma alla vigilia del vertice di Bruxelles,
gli inglesi si ritirano affermando di non voler far parte dello SME. Il risultato è che
Andreotti accetta, e viene concessa una banda di oscillazione per la lira più ampia.
o Si pone quindi ad Andreotti una questione difficile a livello interno politico: i
comunisti non erano convinti poiché l’Italia era debole, e nello specifico non
erano convinti che l’Italia non dovesse entrare subito; mentre la DC qui si divide,
ed afferma che l’Italia si dovesse uniformare alle posizioni europee anche per
sottolineare il suo allontanamento dal PCI: l’Italia è un paese fondatore, per cui
non può non esserci, ed inoltre, l’Italia deve dimostrarsi fedele al sistema
occidentale. nel giro di due mesi si interrompe il governo di unità nazionale, con
una serie di governi deboli che si susseguono, e l’avvicinamento del PSI alla DC.

§ l’adesione al programma della Nato, per quanto riguarda l’installazione di euromissili in


Europa: sta cambiando lo scenario internazionale, e nel dicembre del ’79 l’Alleanza atlantica
decide che alcuni paesi della NATO ospiteranno basi di euromissili, ovvero, la risposta
occidentale agli SS20 dell’Unione Sovietica.
o Questa decisione è importante, e l’Italia aderisce.

Queste due scelte dimostrano come l’Italia, posta davanti alla questione di allinearsi o meno
all’Occidente, si allinea a quest’ultimo.

Gli anni Ottanta, fino alla crisi del pentapartito

Il ruolo internazionale dell’Italia negli anni del pentapartito (1980-1989)

Accenniamo quindi a qualche aspetto degli anni Ottanta: parliamo dei protagonisti di questo
periodo.
§ Berlinguer muore nell’84, e viene sostituito da figure politiche non sono dello stesso carisma
di Berlinguer, ovvero, non grandi leader;
§ Sandro Pertini, Presidente della Repubblica dal ’78, con una personalità singolare ma molto
popolare;
§ Francesco Cossiga che sostituirà a Presidente della Repubblica;
§ Andreotti;
§ De Mita, esponente della DC;
§ Bettino Craxi;
§ Gianni de Michelis, Partito Socialista;
§ Forlani, prima Presidente del Consiglio e poi leader della DC;
§ Spadolini.

Abbiamo poi quattro elezioni importanti: ci sono degli scioglimenti anticipati delle camere, e si
presenta una certa crisi sia della DC sia del PCI che vede ridimensionarsi i suoi voti, ed una parziale

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avanzata del PSI. Nasce inoltre la formula del pentapartito, che rimane in piedi fino alla fine della
Prima Repubblica con Tangentopoli.
Ci sono alcuni aspetti che poi riprenderemo: una ripresa dell’efficacia delle strutture dello stato nella
lotta con il terrorismo (ma non con la criminalità organizzata), e sul piano economico vi è la lotta
contro l’inflazione dal 22% al 4% alla fine degli anni Ottanta; c’è inoltre una riduzione del ruolo del
sindacato, con la ripresa del capitalismo italiano e dall’altro lato il referendum sulla scala mobile.

Vi è una ripresa dell’economia dal 1985, che prima è in stagnazione, e per cinque anni cresce anche
del 4/5%, uno fra i risultati più alti dei paesi europei: c’è la nuova economia italiana, i condottieri
dell’economia italiana che divengono il simbolo di quest’Italia. Questi signori diventano il simbolo
del nuovo capitalismo italiano: Agnelli (Fiat), Gardini, De Benedetti, Silvio Berlusconi (che parte
come imprenditore dell’edilizia e poi della televisione privata).
È il periodo del cosiddetto Reaganismo all’italiana, una nuova forma di americanizzazione con l’idea
del divertimento, l’idea di un’Italia moderna in cui i consumi sono passati da quelli fondamentali
degli anni Sessanta a quelli come palestra, cosmetici, seconda casa, vacanze degli anni Ottanta. C’era
un ottimismo diffuso, e molti paragonarono gli anni Ottanta agli anni Sessanta, come un secondo
miracolo economico.
Inoltre, questi signori diventano figure di spicco a livello pubblico, non solo a livello sociale ma anche
a livello politico: ad esempio, Agnelli viene percepito come un modello di vita.

C’è anche il fenomeno molto importante con una parziale riscoperta della patria, che ha un’influenza
anche nelle relazioni internazionali: questo termine viene riproposto dal pentapartito, da Pertini,
con la sottolineatura di alcuni simboli come la bandiera, l’inno nazionale; personaggi come
Spadolini, che aveva studiato il Risorgimento, lo stesso Craxi che era ammiratore di Garibaldi, porta
a un cambiamento nella visione ma anche nelle Forze Armate che divengono democratiche: lo
strumento militare sarà utile alla politica estera del paese, e lo vedremo specialmente con la forza
multinazionale in Libano.

11/05/2021

Ieri abbiamo dato alcuni cenni sui caratteri dell’Italia degli anni Ottanta, sia dal punto di vista politico
con l’individuazione di una formula di governo quale pentapartito, con il mantenimento della
centralità della DC ed anche un ruolo più forte dei partiti laici come PSI con l’apice della nomina di
Bettino Craxi, ed anche il ruolo del Partito Repubblicano con Spadolini. La formula del pentapartito
regge ma è caratterizzata da forti rivalità, con forti pressioni da parte di Craxi per spingere il PSI
come partito centrale.

L’Italia degli anni Ottanta è apparentemente ottimista, e prende appartatamente a modello


l’America di Reagan con l’imitazione di fenomeni del reaganismo; per quanto riguarda l’economia,
in primo luogo l’economia italiana vive una stagnazione dal 1980 all’84, mentre dall’85 vi è una
crescita che dura fino al 1990, quindi, una crescita abbastanza forte: la crescita del PIL italiano è
quella più alta dei paesi del G7 a parte il Giappone.
Non dimentichiamoci che vi erano anche aspetti negativi con una crescita della spesa dello stato
con una crescita del debito, che rappresenterà uno degli handicap più forti per l’Italia dagli anni
Novanta. Sempre parlando dell’economia, un aspetto che ieri abbiamo accennato ma era molto
importante è che in questo periodo vi è uno spostamento parziale dell’asse dell’economia italiana:
§ l’industria italiana passa dall’iniziale triangolo industriale che si fondava sulla media e grande
impresa,

125
§ ad uno spostamento in un’altra parte dell’Italia, la cosiddetta area mediterranea con, ad
esempio, il Veneto, che si fonda sulla piccola e media impresa, i cosiddetti distretti
industriali. Alcune sono quelle tipiche del Made in Italy.
Al tempo questo aspetto era visto molto bene: c’erano aspetti come la parcellizzazione del lavoro,
per cui il lavoro veniva esternalizzato. Apparentemente questo negli anni Ottanta veniva visto
positivamente poiché visto come una via italiana per lo sviluppo economico: però, aveva delle
contraddizioni quali scarsa sindacalizzazione.
Avrà poi un impatto anche a livello politico: si decide il divorzio del tesoro; inizialmente, se non si
riuscivano a vendere tutti i buoni del tesoro, la Banca d’Italia interveniva automaticamente e
comprava i buoni del tesoro dello Stato, ma l’allora Beniamino Andreatta, prende la decisione di
creare l’AREL ma soprattutto del divorzio del tesoro con la Banca d’Italia: dava alla Banca d’Italia
un’indipendenza e autonomia rispetto al governo molto forte, e difatti non è un caso che la Banca
d’Italia diventerà non solo un attore economico ma anche politico.

Altra contraddizione è che la crescita della spesa dello stato veniva finanziata in larga misura
attraverso l’emissione di buoni del tesoro: la contraddizione stava nel fatto che lo stato comprava i
buoni a interessi altissimi e questo significava che lo stato continuava a indebitarsi sempre di più.

Detto questo, va sottolineato che molti negli anni Ottanta non facevano caso a questi problemi, e
in Parlamento, per quanto il PCI fosse isolato dalle forze di governo all’opposizione, mantiene
comunque una forte influenza a livello sociale: la formula del pentapartito è infatti chiusa ai
comunisti, soprattutto per questioni internazionali, ma quando si trattava di questioni interne di
bilancio e spesa si applicava la formula del consociativismo.

Tutto questo però veniva comunque visto positivamente, perché si vedeva l’Italia crescere e allora
si minimizzavano questi problemi. Questo era dovuto anche le questioni internazionali.

Veniamo quindi al ruolo internazionale dell’Italia: quali sono i primi problemi che si pongono?
Dobbiamo dividere per periodizzazione da Spadolini, poi i governi Craxi e poi una fase molto breve
di instabilità governativa; il periodo più interessante è importante è quello di Craxi ma non
dobbiamo non tenere conto del periodo precedente con Spadolini.
§ In primo luogo, è importante il ruolo degli Stati Uniti nell’ambito dell’Alleanza Atlantica;
§ L’area Mediterranea medio-orientale;
§ Terzo contesto è quello della costruzione europea.

Cominciamo dai rapporti con gli Stati Uniti: non dobbiamo dimenticare che nei rapporti c’è un
cambiamento importante data la vittoria di Reagan alle elezioni con un cambiamento della politica
estera americana, e sul piano economico si impone il neoliberismo con la deregulation. La grande
trasformazione, che era già stata anticipata dalla vittoria di Thatcher in Gran Bretagna la cui idea era
smontare gran parte dello stato sociale e combattere i poteri dei sindacati.
Il cambiamento è quindi radicale non solo dal punto di vista economico ma anche della politica
estera: per Reagan gli Stati Uniti devono e possono vincere la Guerra Fredda, che significava una
presenza americana nel mondo molto più forte sia a livello politico che militare con un incremento
delle spese militari. Per quanto riguarda la contrapposizione con l’Unione Sovietica uno dei nodi è
rappresentato dagli euromissili: alla fine degli anni Settanta abbiamo sottolineato l’Unione Sovietica
immette in Europa una nuova generazione di missili, in grado di colpire i paesi europei dell’Alleanza
Atlantica (erano missili mobili che si spostavano su dei camion o potevano essere spostati su carri
ferroviari e potevano essere metti in funzione in poche ore, per cui erano poco reperibili; perciò la

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NATO prende la decisione dell’installazione di nuovi missili, che avevano caratteristiche simili agli
SS20 dell’Unione Sovietica; questi missili però non sarebbero divenuti operativi prima di qualche
anno: nel caso italiano ad esempio diverranno operativi intorno al 1994.
Secondo la NATO, se l’Unione Sovietica avesse smantellato gli SS20 avrebbero ripensato
all’installazione dei loro missili: la cosiddetta opzione zero; in realtà noi sappiamo che l’unione
Sovietica rifiuterà questa ipotesi affermando che non vi fosse un fine strategico, e che se avessero
voluto negoziare avrebbero dovuto tenere conto dei missili francesi e inglesi (che però erano in
realtà dei deterrenti nazionali, non legati alle strutture dell’Alleanza Atlantica).
Si avvia un negoziato a Ginevra, che va avanti per anni e non da particolari risultati.

L’atteggiamento italiano rispetto alla questione è che accetta la scelta dell’installazione degli
euromissili: il PCI vota contro, ma la questione di per sé non suscita grande interesse, poiché la
convinzione era ancora che si potesse instaurare il negoziato con l’Unione Sovietica e evitare
l’installazione. Con l’arrivo di Reagan le cose cambiano, per quanto si nomini anche l’opzione zero,
ma la situazione internazionale era talmente tesa che quest’opzione era marginale. I governi italiani,
quindi, confermano la loro lealtà nei confronti della scelta Atlantica con l’accettazione che
sarebbero state installate basi in Italia per i missili: la scelta all’inizio degli anni Ottanta con il governo
Spadolini non è però facile, perché appunto è cambiato il piano e l’atmosfera internazionale, per cui
si ha il timore di uno scontro nucleare, e che l’Europa fosse il teatro di questo scontro atomico. Vi
era inoltre una scarsa fiducia nei confronti di Reagan, pensando che fosse troppo aggressiva: la
stampa europea nei primi anni Ottanta il presidente Reagan non viene trattato benissimo.

Quindi, l’Italia si trova davanti a una situazione complicata per far valere la lealtà alla NATO ma
l’opinione pubblica che manifesta una ritrosia nei confronti dell’installazione degli euromissili, e non
dobbiamo dimenticare che più o meno in tutti i paesi dell’Europa Occidentale si sviluppano
movimenti pacifisti: vi è quindi l’idea di contrarietà agli euromissili, e nel caso italiano il PCI diventa
il grande organizzatore delle manifestazioni contro gli euromissili, anche se in realtà la protesta
aveva un’incidenza in settori dell’opinione pubblica che andavano aldilà del PCI, come il mondo
cattolico. Questo ovviamente poneva dei problemi alla DC, mentre Craxi prende la decisione netta
a favore degli euromissili e schierarsi contro il PCI e i settori del PCI e del movimento pacifista.
Vi erano comunque delle critiche al movimento pacifista, poiché si riteneva che non manifestassero
contro i missili SS20 dell’Unione Sovietica: va detto che anche il movimento pacifista era diviso, fra
radicali e chi erano contrario in generale a tutti i missili.
Comunque, aspetto rilevante, è il mondo cattolico.

Se guardiamo alle conversazioni di Spadolini o Emilio Colombo, allora Ministro degli AA.EE.,
manifestano le forti preoccupazioni per il mantenimento della lealtà agli Stati Uniti ma anche il
contenimento dell’opinione pubblica, che era inoltre difficile dato l’atteggiamento bellicoso di
Reagan. Quando si individua la base militare in Sicilia, le manifestazioni pacifiste diventano
imponenti: l’Italia vede una mobilitazione da mezzo milione a un milione di persone, per cui il
governo ne era preoccupato. Da questo punto di vista gli italiani cercano di far valere nei rapporti
con gli Stati Uniti alcune considerazioni, perché loro avevano accettato gli euromissili creando meno
problemi in Germania dove il movimento pacifista era più forte.

Va comunque detto che gli anni Ottanta sono gli anni di ripresa dei buoni rapporti con gli Stati Uniti,
poiché dal governo Spadolini, l’amministrazione Reagan inizia a vedere l’Italia come un alleato
importante. Ci sono inoltre episodi, che apparentemente sembrano minori, ma hanno poi avuto un
peso nella valutazione statunitense dell’Italia: il rapimento del generale Dozier e la visita di Pertini;

127
§ il rapimento era rilevante perché le Brigate Rosse erano ancora relativamente forte, in grado
di mettere in atto operazioni anche complesse con un carattere internazionale, dunque, a
Verona il generale Dozier viene rapito e viene tenuto prigioniero: questo episodio colpisce
gli Stati Uniti poiché si ritiene che le Brigate Rosse abbiano fatto un salto di qualità, e nelle
comunicazioni successive delle Brigate si fa riferimento anche agli euromissili: gli americani
si preoccupano e in una fase iniziale hanno poca fiducia nei confronti degli italiani, ma
comunque, i NOX (creati da poco in funzione antiterrorismo) irrompono nel covo e liberano
Dozier.
o Questo ha quindi un impatto fortissimo in America con grandi lodi nei confronti degli
italiani, e nella telefonata fra Reagan e Dozier, quando questi è stato liberato, si spreca
in grandi lodi, favorendo così una visione positiva dell’immagine italiana.
§ Vi è poi il viaggio di Pertini, il quale era definito il Presidente del Popolo, ed alle spalle aveva
la fama di essere una persona onesta e antifascista: quest’immagine di Pertini si era diffusa
anche sul piano internazionale, e questa popolarità non era solo un fenomeno italiano ma
anche internazionale. Quando Pertini va negli Stati Uniti, in una visita lunghissima di quasi
dieci giorni, da un’impressione assolutamente positiva come rappresentante di un’Italia
nuova (fa ad esempio cose fuori dal protocollo, come il bacio alla bandiera americana).
o Questo comunque rafforza l’immagine dell’Italia, portando gli Stati Uniti ad accettare
questioni italiane che prima non avrebbero accettato. L’Italia, ad esempio, era molto
critica nell’operato dell’amministrazione americana per determinate questioni, ma
questo non intaccava la loro alleanza.

Per quanto riguarda il settore mediterraneo medio-orientale, uno degli aspetti importanti è che
alla fine degli anni Settanta erano stati realizzati degli accordi che avevano pacificato i rapporti fra
Israele ed Egitto, ma era rimasta scoperta la questione palestinese con un forte sviluppo di
terrorismo; ricordiamo come abbiamo accennato che l’Italia, come alcuni paesi europei, applica un
atteggiamento filo-arabo, per cui per risolvere la questioni medio-orientali doveva essere presa in
considerazione la Palestina e l’OLP. Quindi, vi è questa presa di posizione, ma il centro della crisi era
diventato il Libano: diviso in fazioni paramilitari fra loro opposte, con un’interferenza da parte di
vari paesi, soprattutto della Siria e agli inizi degli anni Ottanta anche dell’Iran. Si tratta quindi di una
situazione critica, che aveva la sua base anche nella religione. Il Libano era diventato anche uno dei
centri dell’attività dell’OLP, non solo in quanto erano presenti campi di rifugiati palestinesi, ma poi
vi era la forza presenza dell’OLP come organizzazione armata; il governo libanese era molto debole,
per cui dal territorio libanese vi erano forte azioni di guerriglia portare al territorio israeliane che
risponde con rappresaglie: si agisce con l’invasione del Libano, e gli israeliani giungono fino a Beirut
e mettono sotto assedio anche la sede dell’OLP.
Dunque, viene messa in piedi la prima forza multinazionale di pace da parte della NATO che vede il
coinvolgimento di forza americane, francesi e anche italiane: perché l’Italia partecipa?
L’amministrazione Reagan aveva dapprima chiesto delle forze come pattugliatori per le azioni
israeliane, ma ovviamente la situazione libanese era più complessa e rischiosa, per cui, perché l’Italia
accetta? In primo luogo, dimostrare la sua presenza in Medio-Oriente, e giocare un ruolo
nell’eventuale processo di pacificazione in quest’area di crisi; questo rappresenta un periodo di
svolta, perché come detto ieri, vi è un cambiamento radicale nella politica estera italiana perché per
la prima volta l’Italia decisione che la politica estera italiana deve iniziare a pensare all’azione
militare come uno strumento di politica estera. Dunque, nella prima forza multinazionale di pace gli
italiani mandano degli uomini, anche se la missione dura pochi giorni: lo scopo era prendere le forze
paramilitari dell’OLP e trasferirli in altri paesi (anche se si lasciano in Libano i profughi palestinesi).
L’operazione si svolge in maniera pacifica.

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Viene eletto un Presidente dello Stato libanese, che è rappresentate della comunità cristiana-
maronita e falangista, che aveva tutto sommato un atteggiamento favorevole con Israele: viene
ucciso un attentato, quindi i falangisti reagiscono con uccisioni nei campi profughi palestinesi. Vi è
quindi una forte reazione a livello internazionale, e si ipotizza una seconda forza multinazionale di
pace e l’Italia decide di partecipare: decide di partecipare con circa duemila uomini, quindi in
maniera più significativa, comandati dal generale Angioni; la cosa singolare è che i contingenti
partecipano con interessi differenti:
§ gli americani vanno per sostenere un governo cristiano-maronita che si opponevano
all’influenza siriana che era vicina all’Unione Sovietica, manifestando quindi un
atteggiamento tuttavia favorevole per gli israeliani;
§ i francesi vanno per dimostrare che hanno una certa influenza in Libano, e la presenza
culturale francese è molto forte;
§ gli italiani perché vanno? Tutto sommato vanno effettivamente per dimostrare di essere una
forza di pace a favore dei palestinesi e favorevoli al fatto che Israele si debba ritirare. Gli
italiani, quindi, sono praticamente gli unici che vanno come neutrali per mantenere la pace;
poi c’è ovviamente la retorica degli italiani come “brava gente”, che anche se in divisa e
armati si atteggiano diversamente. Effettivamente mettono in piedi un ospedale, che non
solo ha un’influenza positiva in Libano ma anche nell’opinione pubblica italiana: riescono
quindi a mantenersi neutrali con un solo morto rispetto ad americani e francesi che
subiscono circa 200/300 morti.

Altro aspetto che non va trascurato è il rapporto con Gheddafi: in questo periodo l’amministrazione
Reagan considera già l’ispiratore del terrissimo internazionale, per cui la Siria viene considerata
come uno stato canaglia. Vi è un primo episodio difficile nel Golfo della Sirte: vi è uno scontro aereo,
i caccia libici vengono colpiti dagli americani.
Questo ovviamente pone un problema per gli italiani, perché Italia e Libia hanno forti rapporti,
ricordando ad esempio ENI: l’Italia cerca quindi di mantenere una posizione mediana, dicendo a
Gheddafi di moderarsi e agli americani di non provocarli.

Ultimo aspetto è la questione Iran-Iraq: la posizione italiana dagli anni Settanta è che aveva buoni
rapporti con l’Iraq sempre per questioni economiche, date le infrastrutture petrolifere in Iraq; nel
corso degli anni Ottanta l’Italia mantiene questi buoni rapporti che non riguardano solo le imprese
italiane che costruiscono infrastrutture ma anche la vendita di armamenti. In realtà, riusciranno a
vendere armamenti non solo all’Iraq ma anche all’Iran (l’industria di armamenti in Italia non è difatti
secondaria). In questo caso quindi l’Italia si mantiene nuovamente neutrale, vendendo armi ad
entrambi, anche se ha una preferenza per l’Iraq.

Passiamo all’ultimo contesto: il contesto europeo. Questo periodo viene definito in differenti modi,
o di crisi o di stasi:
§ questo si giustifica con il ricambio delle leadership nei paesi europei, una fase di transizione
a livello interno che si riversa nelle questioni europee;
§ vi è poi la questione della modifica del bilancio comunitario da parte della Gran Bretagna che
sosteneva di contribuire più di altri;
§ inoltre, il cambiamento in Francia e Germania, modifica i rapporti fra i francesi e tedeschi
perché i primi modificano la loro politica.

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Per quanto riguarda la politica tedesca, dati i rapporti difficili con la Francia, Genscher ritiene che
l’unico interlocutore disposto ad accettare l’ipotesi di una maggiore integrazione politica sia l’Italia:
individuano in questo periodo fino all’83 Emilio Colombo come ministro degli AA.EE.
Vengono creati due gruppi di lavoro e nasce l’ipotesi di un progetto di Unione Europea per le
relazioni esterne e per la difesa: il progetto era però molto vago, ma era un tentativo per dimostrare
che se i rapporti fra la Francia e la Germania non fossero stati buoni, la Germania avrebbe potuto
dialogare con l’Italia; in realtà come sappiamo questo progetto non darà alcun risultato: si passa a
una dichiarazione rilasciata da Genscher e Colombo in cui si auspica una maggiore integrazione
politica. Ad ogni modo, dopo il 1983 Mitterand cambia politica e fa della costruzione europea il
perno della sua politica, per cui cambia anche il rapporto con la Germania e rinasce la coppia franco-
tedesca.

L’ultima questione nell’ambito europeo è la guerra delle Falkland, che non riguarda la costruzione
europea ma riguarda i rapporti fra i paesi europei: vi è il contenzioso fra Gran Bretagna e Argentina
per quanto riguarda le Falkland. Nel 1982 la giunta argentina decide di invaderle pensando che gli
Stati Uniti li avrebbero sostenuti e che gli inglesi non avrebbero reagito: Margaret Thatcher decide
invece di intervenire, sia per questioni interne economiche e dato che stava perdendo consensi,
quindi accetta la sfida sul piano militare. Fa inoltre l’appello ai paesi europei che secondo la CPE
avrebbero dovuto cooperare fra loro per le questioni di politica esterna: la comunità risponde
positivamente e viene fatto un embargo contro l’Argentina.
La questione per l’Italia diventa di politica interna: l’opposizione contro le misure per l’Argentina è
sostenuta dal PCI, e gioca l’anticolonialismo e antiimperialismo in queste decisioni; si uniscono
anche settori della DC e il PSI. Gli unici che restano a difendere le posizioni della Gran Bretagna sono
piccoli partiti laici: questo pone dei problemi al sistema del pentapartito su una questione di politica
estera.
In primo luogo, si era contrari poiché vi era una forte componente di popolazione italiana in
Argentina, ma la vera ragione era che l’Italia dopo gli Stati Uniti era il secondo paese per investimenti
in territorio argentino: mettendo sulla bilancia le questioni affettive ed economiche, si arriva alla
decisione in Parlamento italiano di ritirare l’embargo. Questo genera una reazione della Gran
Bretagna: il tutto si conclude in fuoco di paglia, anche perché gli inglesi vincono rapidamente e cade
la dittatura militare in Argentina; Margaret Thatcher farà inoltre una visita successivamente in Italia.
Rimane però l’immagine degli italiani di alleati non affidabili per i partner; in compenso si rafforza
l’immagine dell’Italia in America Latina (anche se non saranno rapporti sempre fraterni).

12/05/2021

Nella lezione di ieri ci siamo interrotti all’esperienza dei governi Spadolini: cerchiamo di completare
gli anni Ottanta, poi prenderemo a parte il periodo del 1989 e 1992 in quanto momento di svolta
con la fine della Guerra fredda, Maastricht e crisi della Prima Repubblica, aprendo ad una fase
completamente nuova.

Oggi affrontiamo un’altra questione: ci sono due questioni, una positiva e una negativa circa
l’esperienza governativa di Bettino Craxi. Nonostante siano passati molti anni, esiste ancora una
visione divisa e contrastante fra chi ritiene
§ che l’azione di Craxi abbia all’origine alcuni di difetti e contraddizioni molto gravi non solo
nel mondo politico ma anche nella società, facendo riferimento alla corruzione per
Tangentopoli, Mani Pulite;
§ dall’altra vi è una visione di riabilitazione che può essere

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o parziale, ad opera di alcuni esponenti politici, i quali individuavano alcuni problemi
nella sua azione politica ma riconoscevano alcuni aspetti positivi,
o vi sono altri che tendono ad una riabilitazione completa dell’azione di Craxi per cui
aveva sempre avuto ragione.

Cosa possiamo dire della politica estera di Craxi? Per Craxi la politica estera era un fine o uno
strumento? Vi era un approfondimento della politica estera? Ci chiediamo se alla fin dei conti, non
rientrasse nella visione di Craxi, un’Italia rispettata nel mondo che contasse maggiormente: questo
avrebbe rafforzato la sua politica anche sul piano interno. Lui, infatti, aveva il problema di
dimostrarsi più forte, essendo di un partito che non raccoglieva più del 14% dei consensi: Craxi si è
scontrato con un establishment, anche di sinistra, che era ostili a Craxi.
Dietro al PCI c’era il radicamento in ambienti che contavano, dalla cultura ai media: Craxi aveva
intuito tutto questo e aveva cercato di rispondere creando un radicamento intellettuale ma che era
comunque più debole di quello del PCI: gli intellettuali che si riunivano con il PSI erano molto più
volatili nelle loro opinioni, rispetto agli intellettuali molto legati agli ambienti del PCI.
Questo aspetto si rafforza anche con la privatizzazione della TV: solo mediaset da un certo sostegno,
ma solamente dopo gli anni Novanta; le reti mediaset, come le altre reti, hanno sfruttato
Tangentopoli, quindi, senza dare alcun sostegno a Craxi.

In ambito internazionale, la politica estera di questi anni dalla formazione del governo Craxi fino al
1992 venne rappresentata solo in parte da Craxi: viene più rappresentata da Andreotti, in quanto
Ministro degli Esteri, che anche una volta divenuto Presidente della Repubblica ha un occhio di
riguardo per la politica estera. Ha inoltre accanto a sé un gruppo di diplomatici abili e molto fedeli a
lui: Andreotti aveva accanto a sé persone molto brave, che sapevano ciò che facevano.
Quando parliamo della politica estera di Craxi, non parliamo solo della sua politica estera, quanto
più del governo italiano e di Craxi con Andreotti, e dei gruppi di diplomatici che svolgevano compiti
importanti.
Un aspetto che va ricordato è che per quanto Craxi e Andreotti non si amassero, in quanto Craxi,
presentato dalla stampa, era arrogante e dall’altra Andreotti era mediatore, attento ai
compromessi, cinico, ed inoltre rappresentati di due partiti opposti al governo, ma condividevano
gli obbiettivi di fondo della politica estera italiana: hanno sempre agito di pari passo, seppur con
modi diversi o con maggior irruenza o con maggiore diplomazia.
Alcuni definiscono il periodo come la rinascita italiana ponendosi con uno status sullo stesso livello
degli altri paesi, ma si potrebbe differire da questa visione.

Quali sono quindi gli ambiti di interesse della politica estera? Quelli del governo Spadolini:
§ il rapporto con gli Stati Uniti per l’Alleanza Atlantica e gli euromissili,
§ a cui si unisce il ruolo italiano nel mediterraneo nel Medio-Oriente,
§ ma anche la costruzione europea;
§ potremmo aggiungere anche la questione del G7, anche se potremmo inserirla in un
contesto differente ed in un arco temporale differente più ampio.

Veniamo al contesto: il rapporto con gli Stati Uniti resta centrale, ed è un rapporto positivo con
un’attenzione e fiducia dell’amministrazione Reagan nei confronti degli italiani: questo con
particolare riguardo degli euromissili. Ricordiamo che quando Craxi arriva al governo, siamo all’apice
dello scontro fra est e ovest, poiché nel 1983 raggiunge il punto di maggior pericolo di conflagrazione
nucleare; i due episodi sono uno noto e uno meno noto: l’abbattimento delle linee aree coreane da

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caccia sovietici, e la questione meno nota riguarda l’esercitazione NATO, che i sovietici non pensano
siano un’esercitazione ma pensano sia la preparazione dell’attacco all’Unione Sovietica,

A livello italiano si passa quindi dall’individuazione della base, all’installazione vera e propria e i
missili vengono dispiegati nel 1984 durante il governo Craxi: questo implicherà una forte
mobilitazione, come accennato, del movimento pacifista. Il clima era molto teso, e c’era una sorta
di atmosfera incombente di pericolo e tensione per cui la scelta degli euromissili non era semplice.
Craxi mostrò fin dall’inizio di voler essere fedele alla scelta degli euromissili come i governi
precedenti, anche se tenta di inserire qualche elemento di novità per dimostrare che la scelta
italiana nei confronti degli euromissili non significava un appiattimento della politica estera
americana: si fa un cenno ai deterrenti nucleari francesi ed inglesi, una posizione che la NATO aveva
sempre rifiutato, come rifiutavano inglesi e francesi in quanto ritenevano che i loro deterrenti
nucleari fossero nazionali. Le reazioni a Washington sono negative, anche se si tratta di una semplice
dichiarazione di Craxi, per cui gli americani sosterranno che si tratta di una dichiarazione più di livello
interno che esterno, data la vicinanza delle elezioni in cui spingeva il PCI contrario agli euromissili,
per cui Craxi si mette nella posizione di trattare. La posizione di Craxi rimase quindi abbastanza
costante, con solo alcune divergenze che avevano più un fine a livello interno che esterno.

A Washinton Craxi si incontra con Reagan, e questi sottolinea come Craxi sia socialista ma
anticomunista. Questo poi consente all’Italia e alla politica estera italiana a mantenere posizioni che
non sono esattamente omologabili agli Stati Uniti su altri temi: ad esempio per quanto riguarda
l’atteggiamento in America Centrale, in cui il PSI e Craxi, ed anche in parte la DC, erano molto critici
e ritenevano che esistevano le guerriglie comuniste ma esistevano forti problemi sociali. Nonostante
tutto gli Stati Uniti accettano le visioni italiane, poiché pongono sulla bilancia le critiche italiane e la
questione degli euromissili, per cui potevano accettare le differenti visioni.

Le cose cambiano rapidamente specialmente dopo il 1985, quando Gorbaciov arriva alla guida
dell’Unione Sovietica, e c’è l’inizio del dialogo con Reagan che condurrà al 1987 con un trattato e
l’accettazione dell’opzione zero: smantellamento degli SS20 in Europa e smantellamento degli
euromissili, ed inoltre, accettazione della SDI.
La reazione italiana nei confronti della SDI: è in realtà un progetto che non avrà origine; ed
effettivamente neanche l’opinione pubblica americana ci credevano realmente: ci credevano
ovviamente le grandi aziende, interessante in tutto questo. Gli italiani, quindi, non credevano nel
progetto, quanto più nella collaborazione, e difatti verranno stretti accordi con investimenti. L’idea
che le imprese italiane potessero avere dei buoni rapporti è un elemento importante: infatti, questa
sarà una linea costante anche se si porrà in contraddizione con la costruzione europea, nello
specifico del progetto francese EUREKA.

Il negoziato fra Stati Uniti e Unione Sovietica non fa piacere agli alleati europei: il trattato è difatti
bilaterale, per cui gli europei nell’86 temono che quando i sovietici e americani vanno d’accordo
questo sia a discapito degli europei; anche se, guardando agli successivi, il problema non si sarebbe
posto perché cadrà l’Unione Sovietica.
L’Italia perde quindi un elemento favorevole: gli euromissili sono un aspetto rilevante nel rapporto
con gli Stati Uniti solo quando è in contrapposizione con l’Unione Sovietica (questo ci ricorda la
questioni delle basi militari con Eisenhower e Fanfani).

La questione del Mediterraneo nel medio-oriente: finisce l’esperienza della missione di pace.

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Quando Craxi e Andreotti arrivano alla guida notano come la situazione in Libano sia sempre più
critica: una situazione di tutti contro tutti, che fa saltare un aspetto importante, ovvero, che
apparentemente tutti gli attori avevano dato come obbiettivo il rafforzamento del governo libanese,
ma in realtà era sempre più debole. Questo ci riporta alle questioni affrontate ieri, perché neanche
le forze di pace non sostengono gli stessi interessi: gli italiani, a differenza di americani e francesi,
erano lì effettivamente per la pace.
La situazione diventa sempre più incontrollabile:
o gli Stati Uniti non riescono a gestire la questione libanese,
o gli europei cercano di coordinarsi per non farsi coinvolgere nelle posizioni degli Stati
Uniti anche se non ci riescono,
o Andreotti ipotizza la necessità di inserire la Siria fra gli attori, in quanto unici che
possono concorrere alla stabilizzazione del Libano;
o nessuno viene poi a uscirne fuori: Andreotti fa addirittura dei sondaggi al governo
Jugoslavo, e se ci fosse stato un contingente jugoslavo il contingente in Libano non
sarebbe stato più così occidentale, ma questi rispondono negativamente.
A un certo momento abbiamo il primo episodio di terrorismo internazionale: due autobombe contro
sedi americane e francesi. Questo implica da parte italiana grande timore, perché il contingente
italiano poteva essere il prossimo obiettivo: il timore è dovuto al fatto che in primo luogo l’Italia
voleva mantenersi neutrale, e poi non si potevano permettere un attacco al contingente
principalmente formato da soldati di leva. Ci si pone il problema di ritirarsi: non potevano però
essere i primi, perché dovevano dimostrare di essere fedeli all’alleanza. Il timore si acuisce
specialmente nel momento in cui c’è una mancanza di cooperazione fra i contingenti e Mitterrand
decide per bombardare milizie sciite senza avvertire gli altri alleati; questo fra l’altro capita in un
vertice bilaterale, che in quel periodo avveniva fra i paesi europei, fra Francia e Italia: la notizia
emerge in occasione di questo vertice a Venezia, e durante la conferenza stampa congiunta c’è un
incidente in cui Craxi e Andreotti criticano la scelta francese, e la reazione francese è molto negativa.
Anche gli americani decidono di rispondere come i francesi: la situazione è insostenibile, e il
contingente americano si ritira, e con una lettera Reagan avvisa Craxi. A questo punto anche gli
italiani si ritirano e dal punto di vista italiano la forza multinazionale si dimostra essere un fallimento,
però è un grande successo per il contingente italiano rispetto agli altri, perché
o non ha subito attentati,
o non sia ha creato inimicizie in questa parte del mondo mantenendosi neutrale,
o e i rapporti con Arafat dell’OLP sono sempre più stretti.
L’Italia continua a sostenere la stessa posizione che si intensifica con Craxi e Andreotti: entrambi
fanno delle dichiarazioni molto favorevoli nei confronti della causa palestinese; si intensifica la
pressione italiana con Arafat per sospendere l’azione terroristica, ma c’è la pressione anche per gli
Stati Uniti per dialogare con l’OLP; con l’OLP sosteneva che la rinuncia alle attività terroristiche
avrebbe portato al riconoscimento da Israele.
Per tutti gli anni Ottanta c’è questo obiettivo italiano: effettivamente questi riescono nel loro
obbiettivo con la dichiarazione di Algeri, in cui l’OLP dichiara di avere intenzione di interrompere le
azioni terroristiche, anche se la dichiarazione non convince Stati Uniti e Israele, e quest’ultimo
ritiene che l’Italia sia troppo spinta a favore della Palestina.

Altro elemento che va ricordato, che crea dei rapporti con gli Stati Uniti sono i rapporti con Gheddafi
e la Libia: con l’amministrazione Reagan i rapporti con Gheddafi sono sempre più tesi. I rapporti con
la Libia di Gheddafi son difficili anche per l’Italia: con l’inizio del governo Craxi l’Italia si trova di fronte
a un problema perché Gheddafi solleva il problema delle riparazioni dei danni subiti dal popolo libico
nel periodo di colonizzazione italiana. Ci sono quindi dei viaggi di Andreotti in Libia: non sono

133
incontri semplici, anche se Gheddafi si dimostra molto contraddittorio, poiché Gheddafi da un lato
sostiene che i rapporti con gli Stati Uniti sono negativi, ma lui non antiamericano, è che in quanto
musulmano non farà mai un’alleanza con l’Unione Sovietica; inoltre, Gheddafi chiede all’Italia di fare
da mediatore con gli Stati Uniti.
Andreotti fa un viaggio, inoltre, negli Stati Uniti e incontra Reagan, ed anche i vertici
dell’amministrazione americana: Andreotti solleva la questione di Gheddafi, e la risposta di Reagan
è sostanzialmente negativa poiché gli americani vogliono i fatti e i fatti vanno in direzione differente
rispetto alle sue parole. Andreotti, comunque, li invita a non scontrarsi con Gheddafi, e di trovare
una via di compromesso, perché contrariamente questi si sarebbe avvicinato all’Unione Sovietica:
non sappiamo se Andreotti ci credesse veramente, però possiamo dire che fosse interesse italiano
evitare lo scontro militare tra Stati Uniti e la Libia di Gheddafi. Ci troviamo di fronte ad una diversità
di opinione, e i diversi incontri non danno risultati concreti.

Ci troviamo quindi di fronte un ulteriore episodio, che non riguarda però la Libia: il dirottamento
dell’Achille Lauro; la questione è molto nota: nella nave da crociera italiana nel Mediterraneo sale
un commando di palestinesi, che prende il controllo della nave e chiedono la liberazione di 50/60
palestinesi detenuti a Israele, ed in un primo momento cercano di far arrivare la nave in Siria. La
risposta italiana è immediata e cercano di negoziare: si rivolgono all’OLP di Arafat, anche perché i
dirottatori si richiamavano all’OLP, e dall’altra al governo di Mubarak in Egitto, che ha rapporti molto
buoni con l’Italia. A questo punto la Siria nega l’attracco alla nave, quindi i dirottatori si muovono
verso l’Egitto ma minacciando che se non avranno risposte rispetto alle loro richieste uccideranno
qualcuno degli ostaggi, partendo dai cittadini americani a bordo della nave: effettivamente ciò che
accade è che uccidono un uomo, americano ebreo e disabile, buttando a mare il suo corpo, ma
questa notizia non emerge subito. Arafat accetta l’opera di mediazione e individua due esponenti
dell’OLP: Abu Abbas viene individuato come mediatore ed arriva in Egitto, dove c’è una sorta di
garanzia da parte egiziana perché tra egiziani e Abu Abbas si raggiunge un accordo secondo cui i
palestinesi sarebbero stati processati e i passeggeri liberati; questo però senza sapere della morte
di un uomo.
In realtà, va detto che i servizi segreti israeliani, che si saprà solo recentemente, intercettarono le
comunicazioni di Abu Abbas con i dirottatori, e queste comunicazioni dimostrano in realtà che Abu
Abbas è l’ispiratore di questo dirottamento. Ma al tempo questo non emerse, anche se dobbiamo
tener conto del fatto che gli israeliani lo comunicano agli americani. Ci sono quindi forti pressioni
degli Stati Uniti perché i dirottatori vengano consegnati alle autorità americane: nel frattempo però
i dirottatori sono già scesi dalla nave e sono su un areo egiziano, accompagnati da diplomatici
egiziani e Abu Abbas, per dirigersi in una sede dell’OLP.
A questo punto però anche gli italiani vengono a sapere che uno degli ostaggi è stato ucciso: l’Italia
allora afferma che la responsabilità di processare i dirottatori è della magistratura italiana, e la
magistratura italiana apre l’inchiesta perché l’omicidio del cittadino americano è avvenuto in nave
italiana che è territorio italiano per cui è competenza italiana. Naturalmente gli americani non si
fidano sia perché sanno che gli italiani hanno un atteggiamento filopalestinese, e al contempo non
si fidano neanche della magistratura italiana. Quindi, gli Stati Uniti organizzano un’operazione con
la Delta Force, per cui degli aerei americani intercettano il jet egiziano e lo costringono ad atterrare
alla base NATO di Sigonella: va comunque sottolineato che comunque la base di Sigonella è di
responsabilità italiana. Gli americani dirottano l’aereo ma gli italiani comunque rispondono che una
volta scesi i dirottatori saranno arrestati e processati in Italia: gli americani precisano però che venga
processato anche Abu Abbas, perché loro sapevano che era coinvolto, ma per gli italiani lui è un
mediatore e non c’è nulla che provi che lui sia coinvolto nel dirottamento; inoltre, gli americani non
fanno sapere nulla agli italiani circa il fatto che non solo hanno dirottato l’aereo, ma non avvisano

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neanche dell’arrivo di due C130 con all’interno della Delta Force che scendono dagli aerei e
circondano l’aereo egiziano. Sappiamo tutti quindi le vicissitudini di quella notte, per cui
§ naturalmente l’aereo egiziano ha i dirottatori dentro che non vogliono scendere perché fin
tanto che sono nell’aereo sono in territorio egiziano;
§ fuori la Delta Force americana che circonda l’aereo
§ ed i carabinieri italiani che circonda la Delta Force che a sua volta circonda l’aereo egiziano.
Quindi, questa è una fase di particolare tensione fra Italia e Stati Uniti: gli italiani partono dal
presupposto che possono prendere i dirottatori ma non possano prendere Abu Abbas poiché
mediatore e verrebbero meno agli accordi con l’OLP e con l’Egitto. In realtà è un gioco delle parti,
perché a questo punto anche gli italiani sanno che Abu Abbas era coinvolto, ma si vuole mantenere
la pace e Craxi vuole anche dimostrare che gli Stati Uniti non potevano giungere in Italia e fare quello
che volevano.
Allora, i dirottatori vengono costretti a scendere, vengono arrestati e gli italiani trasferiscono l’aereo
egiziano a Roma a Ciampino poiché al suo interno vi sono diplomatici egiziani, e richiedono agli
americani le prove del coinvolgimento di Abu Abbas; gli americani danno alcune prove ma la
magistratura italiana afferma che le prove non sono sufficienti per arrestare Abu Abbas: ribadiamo,
essere un gioco delle parti. Una volta atterrato l’aereo egiziano a Ciampino, che era seguito da un
aereo americano che voleva verificare cosa sarebbe successo, gli italiani sono abili e prendono Abu
Abbas: si mettono in accordo con il governo Jugoslavo, lo caricano su una macchina da Ciampino a
Fiumicino dove c’è una linea aerea jugoslava e Abu Abbas lascia l’Italia.
Questo ovviamente crea una forte crisi di governo: Spadolini, che era Ministro della Difesa, ha una
reazione molto negativa poiché erano andati contro gli Stati Uniti; effettivamente le reazioni
americane sono molto dure. In realtà questo dura pochi giorni poiché è nell’interesse italiano e
americano ricucire questa frattura: c’è uno scambio di lettere fra Craxi e Reagan e ad entrambi non
interessava andare oltre la vicenda.

Se guardiamo ai rapporti fra Italia e Stati Uniti questi non vengono intaccati: ma pochi mesi dopo
c’è un nuovo incidente che riguarda la Libia, che continuava a finanziare azioni terroristiche. C’è
l’attentato alla discoteca a Berlino, frequentata da americani: muoiono degli americani e
l’amministrazione Reagan decide di rispondere militarmente. Nasce l’ipotesi di bombardare Tripoli:
si avvertono inoltre gli italiani. Il giorno prima dell’operazione ci sono degli incontri fra Walter con
Craxi e Andreotti:
§ secondo Andreotti è uno sbaglio perché renderebbero Gheddafi ancora più incontrollabile,
per cui sarebbe meglio far intervenire l’ONU (anche gli americani sanno che gli italiani hanno
un interesse per gli italiani che si trovano in Libia, e per questo non si vogliono schierare);
§ Craxi invece punta invece sul fatto che Gheddafi vada ucciso, per avere un’azione effettiva,
ma poi rendendosi conto delle sue parole cambia idea durante il dialogo e si avvicina alle
posizioni di Andreotti.
Il giorno dopo gli americani agiscono, e Gheddafi si salva: molti sostengono che sia stato avvisato
dagli italiani; Gheddafi risponde lanciando dei missili diretti a Lampedusa: non arrivano in realtà a
Lampedusa, e Gheddafi sosterrà che non erano destinati a Lampedusa. C’è sempre più una reazione
forte italiana nei confronti del terrorismo.
Ricordiamo inoltre che in questo periodo c’era stato un attentato palestinese a Fiumicino, davanti
al banco di una linea aerea israeliana; Gheddafi definisce gli attentatori degli eroi: la risposta
diplomatica italiana è molto dura e si raffreddano i rapporti con Gheddafi. Anche se va detto che
l’Italia continua a mantenere rapporti economici molto stretti. Vediamo una contraddizione di
fondo: ci sono delle lettere che arrivano dai responsabili dell’ENI, che scrivono ad Andreotti che va
bene l’atteggiamento duro con la Libia ma vanno ricordati tutti i crediti che hanno; il timore era che

135
se i rapporti fossero diventati troppo negativi ci sarebbe stato il problema dei rifornimenti energetici
e dall’altro lato non era detto che la Libia avesse pagato per gli impegni presi.

Ultimo aspetto, è nell’ambito europeo. Anche qui c’è un luogo comune che si concentra soprattutto
sul Consiglio Europeo di Milano del giugno del 1985: un grande successo italiano, perché si mette in
minoranza Thatcher e si fa partire la Conferenza che avrebbe condotto all’Atto Unico, che, come
sappiamo, permetterà a Delors di mettere in piedi il progetto di unione monetaria.
In realtà qual è il problema italiano? Il problema italiano si pone già prima intorno al 1983/84 quando
o rinasce la coppia franco-tedesca, la stretta collaborazione con Mitterrand;
o ed anche con l’azione del Parlamento Europeo che conduce al progetto Spinelli, che
è un progetto di un’unione politica; soprattutto c’è un forte coinvolgimento dei
parlamentari italiani che dai comunisti fino ai liberali sostengono questo progetto.

Però, per Mitterrand qual è il vero problema di fondo? Che se si vuole far ripartire la costruzione
europea va risolto il problema del bilancio inglese. Il problema di fondo è infatti risolto da inglesi e
tedeschi: quando si arriva al Consiglio Europeo di Fontainebleau del giugno del 1984 c’è un accordo
fra Francia e Germania con una concessione nei confronti di Margaret Thatcher; quest’ultima
accoglie questa concessione che vede dei vantaggi per quanto riguarda il bilancio comunitario.
Mitterrand e Kohl si mettono d’accordo anche per quanto riguarda la nomina del Presidente della
Commissione Europea, e la persona che viene scelta è Jaques Delors: era stato Ministro delle
Finanze nei governi precedenti, molto europeista e vicino a Mitterrand che godeva però anche della
fiducia dei tedeschi.

Al Consiglio Europeo di Fointainebleau il Parlamento presenta il Progetto Spinelli: Mitterrand e Kohl


mettono da parte questo progetto, perché sostengono sia troppo federalista e che gli altri paesi non
l’avrebbero accettato. L’unica concessione che viene fatta al Parlamento è quello di creare due
commissioni, ovvero, la Commissione Dooge e la Commissione Adonnino:
§ la Commissione Dooge con l’ipotesi di un progetto di riforma dei trattati di Roma;
§ la Commissione Adonnino, guidata da un’europarlamentare italiano, ha come obiettivo la
modalità con cui rendere la comunità europea più vicina ai cittadini europei.
I due comitati svolgono i loro lavori, e il Comitato Dooge ritiene di dover riformare i Trattati di Roma,
in quanto ritenuti obsoleti; questa riforma dei Trattati di Roma si lega abbastanza al Progetto Libro
Bianco della Commissione Delors che punta verso la creazione del grande mercato unico europeo
fondato sulle quattro mobilità: mobilità dei prodotti, capitali, persone, servizi. In altri termini, è il
progetto di Unione Economica Monetaria, che stava bene anche agli inglesi, perché era un’ipotesi
neoliberista: Margaret Thatcher quindi sostiene questo progetto, poiché progetto economico. Per
Delors ovviamente il progetto non è solo economico, ma aveva come obiettivi il rafforzamento del
ruolo della Commissione e come obiettivo ultimo quello della Moneta Unica: obiettivo non solo
economico ma anche politico.
Il Comitato Adonnino fa un lavoro differente e punta su due cose: libera circolazione dei cittadini
all’interno della comunità europea, e dall’altro lato sull’equipollenza dei titoli di studio universitari.

Dunque, il primo semestre dell’85 è semestre di presidenza italiana alla comunità europea: a questo
punto, è evidente che Craxi e Andreotti puntino su tutto questo, perché è il modo di confermare il
ruolo internazionale italiano che agisce non solo in ambito atlantico e mediterraneo, ma anche
europeo. Quali sono i due obiettivi italiani? In primo luogo, favorire la conclusione del negoziato
circa l’adesione della Spagna e del Portogallo alla Comunità Europea: obiettivo che viene raggiunto
ma che non dà lustro all’Italia poiché era un negoziato praticamente già concluso; l’altro obiettivo

136
era l’integrazione politica, quindi gli italiani riprendono il Progetto Spinelli, che ha un forte sostegno
del Parlamento Italiano, e puntano sull’avvio di una conferenza intergovernativa che rafforzi
l’integrazione politica e i poteri in parte della Commissione, ma soprattutto del Parlamento.
Naturalmente si preoccupano anche di come far passare l’ipotesi della convocazione di una
conferenza intergovernativa, partendo dal presupposto che alle spalle esisteva il noto compromesso
di Lussemburgo: se per una questione un paese avesse ritenuto che si mettevano in ballo delle
questioni vitali, ci sarebbe stato un diritto di veto, che in altre parole, in questo caso significava che
gli inglesi avrebbero posto il diritto di veto davanti alla questione di rafforzamento di integrazione
politica. Viene quindi elaborata l’ipotesi per non incorrere in questa problematica: si va a vedere
uno degli articoli del Trattato di Roma, il quale afferma che si possa votare per maggioranza sulle
questioni di carattere procedurale; non dobbiamo dimenticare che però gli italiani non riscono ad
ottenere il sostegno dei francesi e dei tedeschi: i francesi e i tedeschi puntano su altro, e non
avvertono gli italiani
§ Kohl punta su un progetto ambizioso di Unione Europea nel settore delle Relazioni Esterne
e della Difesa,
§ mentre i francesi puntano su EUREKA, un progetto di integrazione del settore scientifico
tecnologico, che voleva essere una risposta europea (o quanto più francese) all’SDI.
Andreotti cerca di capire le intenzioni dei francesi e dei tedeschi, ma questi ultimi non dicono nulla;
c’è un vertice franco-italiano che si svolge a Firenze subito prima del Vertice Europeo che si sarebbe
svolto a Milano, in cui si incontrano Craxi, Mitterrand: Craxi solleva nuovamente la questione e
Mitterrand risponde in maniera molto evasiva (e la stessa cosa fa il Ministro degli Esteri francese
con Andreotti). Dunque, quando si arriva a Milano nulla è stato deciso e gli italiani sono in una
posizione molto dubbiosa, perché appunto non riescono a comprendere la posizione dei tedeschi e
dei francesi. Alla prima giornata i francesi e i tedeschi presentano il progetto ambizioso, che solleva
l’opposizione di Margaret Thatcher; a questo punto il tutto viene deciso nella sera dello stesso
giorno in un incontro con francesi, italiani e tedeschi: i francesi e tedeschi accettano che siano gli
italiani a gestire la seconda giornata dei lavori, avendo la presidenza, e di porre la questione di
avviare una conferenza intergovernativa (sfruttando l’articolo sulla questione procedurale). Gli
italiano hanno il sostegno del BENELUX, dei tedeschi e dei francesi con tre contrari: danesi, greci e
inglesi.
Questo da il via alla Conferenza intergovernativa di Lussemburgo: tuttavia, questa conferenza è
contraria agli obiettivi degli italiani, che continuano a sostenere il rafforzamento dei poteri del
Parlamento Europeo, ma i risultati della Conferenza sono minimi perché si rafforzano i poteri della
Commissione più che del Parlamento; questo conduce gli italiani ad una battaglia di retroguardia
che viene persa, perché
§ il trattato passa,
§ i francesi e tedeschi sono contenti di quest’ultimo,
§ e soprattutto è contenta la Commissione del progetto Delors, perché grazie a questo la
Commissione fa partire il progetto di unione economica e monetaria.

Si pongono qui due questioni: gli italiani non capiscono cosa ci sia in gioco, e continuano a sostenere
il progetto del Parlamento europeo che è però un progetto perdente; alcune cose ad esempio non
vengono capite, come l’Atto Unico europeo che porta in realtà a forti cambiamenti della politica
comunitaria europea come il rafforzamento del bilancio e la nascita dei fondi strutturali: questo
perché sono ancora convinti che le questioni europee siano di high-politics, ovvero, questioni che si
risolvono fra ministri degli affari esteri e diplomatici, e non capiscono che la politica europea cambia.
A sua volta il cambiamento della politica europea significa una produzione normativa più intensa, e
il coinvolgimento del cosiddetto “sistema paese”: per la questione dei fondi strutturali era

137
necessario che funzionassero le regioni, gli enti locali, i comuni, l’amministrazione pubblica, il
Parlamento, la magistratura, che sappiamo non funzionare in Italia. Per cui l’Italia appare come la
più europeista di tutte ma alla fine degli anni Ottanta è il paese con il più alto numero di infrazioni
perché non attua le direttive della Comunità, che significa non aver capito una cosa di grande rilievo.

Perché comunque si punta sul Parlamento Europeo? La questione non è di tipo idealista, ma l’Italia
parte dal presupposto che si conterebbe come gli inglesi, i francesi e i tedeschi perché si avrebbe lo
stesso numero di eurodeputati, e allo stesso tempo il Parlamento Europeo è stato sempre sensibile
alle questioni che interessano agli italiani come la politica sociale e la politica regionale. Per cui,
l’idea di fondo è corretta, però dall’altro lato non si comprendono come stanno cambiando le cose
nella Comunità Europea; questo lo sottolineiamo perché vedremo che queste contraddizioni
emergeranno con il negoziato di Maastricht, e il problema verrà risolto dalla tecnocrazia europeista
con il vincolo esterno.

17/05/2021

L’Italia e la fine della guerra fredda (1989-1992)


Come anticipato, l’ultima lezione conclusa rapidamente, ha visto l’analisi del periodo del
pentapartito fino al 1989; tra oggi e domani affrontiamo il periodo 1989-1992: perché dedicare
tanto tempo a questo periodo? Vi sono le fonti d’archivio, mentre per il periodo successivo sono
molto rare, se non per gli archivi di altri paesi. Detto questo, non è solo una questione di disponibilità
di fonti, ma anche perché il periodo 1989-1992 rappresenta un periodo di svolta: sia dal punto di
vista generale con la fine di un periodo storico che vede la fine della guerra fredda e la fine della
contrapposizione est e ovest, ovvero, un momento di passaggio e trasformazione anche nel
contesto europeo e mediterraneo. Per quanto riguarda l’Europa vi è la caduta del muro di Berlino
con la nascita di una Germania unificata, e l’altro elemento importante è il Trattato di Maastricht
con la costruzione dell’Unione Europea. Quindi, il periodo del 1989-1992 è importante perché
rappresenta una fase di passaggio con la caduta del muro di Berlino e la riunificazione della
Germania, per poi concludersi con Maastricht e l’Unione Europea.
In questo periodo, relativamente breve, noi vedremo che l’Italia si trova di fronte a una serie di
eventi e problemi che nascono è proprio da questo cambiamento radicale con l’imporsi della
globalizzazione, o la fine della contrapposizione con il comunismo: questo sottolinea la debolezza
del governo; molti comunque erano convinti in questo periodo che l’Italia avesse raggiunto
l’obiettivo che si erano posti fin dalla fine della Seconda guerra mondiale di vedere riconosciuto il
ruolo di media potenza regionale.

Vediamo come si era giunti a questo periodo: dopo l’esperienza del governo Craxi ha fatto seguito
una fase di incertezza, anche se la formula politica era rimasta inalterata con la formula del
pentapartito. Tuttavia, era una collaborazione conflittuale in cui sicuramente c’era la
contrapposizione della DC contro il PSI. In questa fase avremmo avuto ben due governi: il governo
Goria che dura meno di un anno dall’87 all’88; a seguito un governo di De Mita con una
partecipazione socialista molto forte. è necessario notare che Craxi rimane al PSI ma non è al
governo: qualcuno sostiene che inizi già qui la sua parabola discendente, compiendo alcuni errori
sul piano politico interno, ed anche condizionato da condizioni di salute.
Il contrasto fra De Mita e Craxi è talmente forte che nell’88 De Mita decide di dimettersi: a seguito
di questa crisi nasce un nuovo accordo fra un settore della DC e il PSI con il cosiddetto CAF;
quest’ultimo indicava la sigla dei tre signori che si erano messi d’accordo, ovvero Craxi, Andreotti e

138
Fornari: si manteneva quindi la formula del pentapartito. Nell’estate del 1989, prima della caduta
del muro, si forma questo governo di pentapartito con Andreotti alla guida dell’esecutivo; un ruolo
importante lo svolgerà Gianni de Michelis del PSI che avrebbe assunto la carica di Ministro degli
Affari Esteri. Va comunque sottolineato che Andreotti manteneva buoni rapporti con gli ambienti
degli AA.EE. e nonostante de Michelis fosse molto attivo nello scenario internazionale, Andreotti
seguirà comunque le vicende internazionale: fra Andreotti e De Michelis vi era quindi un’intesa di
fondo per le questioni di politica estera.
Un ruolo particolarmente importante l’avrebbe poi svolto il Ministro del Tesoro: Guido Carli, che
abbiamo incontrato già negli anni ’40 quando era funzionario dell’Istituto per il Commercio Estero;
accanto a Carli vanno ricordati alcuni signori che sono da un lato il governatore della Banca d’Italia
Ciampi, ed alcune personalità che emergono sono Mario Monti (allora docente universitario,
opinionista di alcuni settimanali), ed ancora Mario Draghi.

C’è un breve periodo di tempo fra l’estate del 1989 e novembre, fra la nascita del governo Andreotti
e la caduta del muro di Berlino in cui De Michelis cerca di ritagliarsi un ruolo: nell’estate dell’89 De
Michelis per ovvie ragioni manifestò subito un grande interesse nei confronti dell’area Danubiano-
balcanica. Questo accadde sia per ragioni territoriali poiché De Michelis era veneziano, era stato
professore dall’Università di Venezia e naturalmente aveva un grande interesso per Venezia, Veneto
e area del nord-est che in questi anni aveva ottenuto un ruolo più importante; va ricordato che il
dialogo con certe parti del danubiano-balcanico erano già iniziati.
La crisi del comunismo comunque stava iniziando, ed in Polonia stava già arrivando alla fine e si vede
un processo simile in Ungheria: quindi, in alcuni paesi dell’area danubiano-balcanica vi erano elle
dinamiche che dimostravano il cambiamento, che mostravano che l’Italia potesse mantenere la sua
linea direttrice di rapporti con quest’area.
Per la dissoluzione della Jugoslavia, ad esempio, l’Italia interviene a livello economico per dare una
mano ed impedire che entrasse in una grave crisi economica: la crisi economica avrebbe poi favorito
il processo di disgregazione.

Quali erano le idee di De Michelis?


§ L’iniziativa adriatica: sarebbe stata nella sua visione un rapporto particolarmente stretto di
collaborazione e cooperazione forte sul piano economico con la Jugoslavia; ma andava anche
oltre, per cui il suo obiettivo era di coinvolgere l’Albania, che restava il paese più isolato
d’Europa e ancora sotto una rigida guida comunista, anche se qualche cambiamento si
iniziava a innescare.
§ Altra iniziativa era la cosiddetta quadrangolare: cooperazione di carattere politico
economico e culturale, che avrebbe dovuto vedere coinvolti all’inizio quattro paesi, fra cui
Italia, Austria, Jugoslavia, Ungheria; l’idea di fondo era che l’Italia in quest’area potesse
esercitare un certo ruolo. Per un certo periodo darà anche dei risultati: è una cosa comunque
successiva agli anni Novanta. Nel corso di alcuni anni diventerà quadrangolare, e poi
pentagonale ed esagonale con l’intervento di altri paesi (ultima è la Germania a seguito
dell’unificazione).

Queste iniziative dimostravano come la politica estera italiana volesse essere assertiva;
naturalmente possiamo dire che nel novembre del 1989 l’Italia si trova di fronte a qualcosa di nuovo
con la caduta del muro di Berlino. Possiamo dire che nessuno se l’aspettava, né gli uomini politici,
né gli accademici ecc.: ciò che accadde nel novembre del 1989 fu qualcosa di inatteso che mise le
leadership politiche di fronte a una situazione nuova e diversa. Questo implicava un cambiamento

139
degli equilibri europei molto rapidi: va fatta una differenza nella reazione delle opinioni pubbliche e
delle leadership politiche, differenziando anche quelle occidentali
§ Le opinioni pubbliche accolgono tutto positivamente, con un sentimento di liberazione per
la fine della Guerra fredda, accompagnato anche dalla Gorbaciov mania che viene visto in
maniera positiva (Sergio Romano ambasciatore a Mosca in realtà continuerà a inviare
rapporti negativi, secondo cui il paese stesse andando verso una grande crisi);
§ Meno positiva la reazione fu delle leadership politiche:
o da parte dell’Unione Sovietica non viene fatto nulla, anche perché Gorbaciov adotta
la dottrina Sinatra a causa del potere debole e non interviene;
o gli Stati Uniti con l’amministrazione Bush affermano che la politica di Reagan era
corretta e si andava verso la fine del comunismo, per cui l’amministrazione
americana vede positivamente la caduta del Muro fin tanto che si manteneva
l’Alleanza Atlantica;
o differente fu la reazione delle leadership europee, specialmente fra i tre paesi
europei principali con Mitterrand in Francia, Andreotti in Italia e Thatcher in Gran
Bretagna. Vi è subito un primo vertice europeo: Kohl capisce che si possa risolvere la
questione della riunificazione della Germania con il piano dei dieci punti, e sapendo
di avere il sostegno del suo partito per cui se non si fosse fatto in quel momento non
l’avrebbero fatto più; dunque, nel vertice straordinario europeo emergono una serie
di dubbi specialmente da parte di alcuni leader europei, fra cui Margaret Thatcher
che è assolutamente contraria poiché dalla guerra mondiale avevano sempre temuto
l’egemonia tedesca. Le ragioni francesi sono praticamente le stesse, per quanto la
Francia aveva giocato bene le sue carte nella Germania divisa con la coppia franco-
tedesca (in cui contava di più la Francia); anche Andreotti non era entusiasta.

Ma perché Andreotti non era favorevole alla rapida ricostituzione della Germania? Una questione
generazionale che legava Thatcher, Andreotti e Mitterrand, che per ragioni generazionali erano già
adulti nella Seconda guerra mondiale e avevano conosciuto la Germania nazista; Andreotti aveva
vissuto l’esperienza dell’occupazione di Roma. Per quanto sapevano che la Germania fosse
democratica, erano rimaste comunque le esperienze precedenti.
C’erano anche ragioni politiche: il timore che la Germania unificata avrebbe rotto un equilibrio
esistente in Europa, che era una paura anche inglese e francese; c’era poi un altro timore, che seppur
infondato, riguarda specialmente l’Italia: chi avrebbe assicurato che non sarebbe state messe in
discussione le frontiere europee? Questo avrebbe creato una situazione di conflitti e incertezza:
comunque questo non si verificherà, se non internamente alla Jugoslavia. Probabilmente, Andreotti
aveva un occhio di riguardo per l’Italia nel Sud Tirolo: riteniamo comunque che fossero timori
infondati, anche se visto dal punto di vista di questi politici, pensavano vedendo le loro esperienze
del passato proiettandole verso il presente e il futuro.
Il punto è che comunque Andreotti era convinto della democrazia tedesca, ma si temeva
principalmente il cambiamento degli equilibri europei e il ruolo italiano nel contesto europeo; alcuni
puntarono sui rapporti con Andreotti, come Margaret Thatcher, ed in un incontro questa disse con
chiarezza che si sarebbero dovuti alleare, e mettersi d’accordo inoltre con l’Unione Sovietica per
evitare l’unificazione tedesca; Andreotti in realtà in qualche mese cambia la sua posizione e già dai
primi mesi del 1990 si rende conto che la riunificazione sarebbe avvenuta, e che non ci sarebbe fatto
nulla da fare, se non delle condizioni con cui l’Italia avrebbe accettato l’unificazione.

Quali erano le condizioni, per quanto questo termine non è esatto:

140
1. in primo luogo, che rimanesse in piedi l’Alleanza Atlantica, tenendo dentro gli Stati Uniti in
quanto una garanzia di sicurezza e di equilibri;
2. la seconda era una riforma della CSCE, della Conferenza sulla Sicurezza nella Comunità
Europea: se ci fossero stati problemi sui confini questa si sarebbe potuta occupare della
questione; questa si trasformerà in OSCE;
3. terza condizione, importante e fondamentale, che rispondeva alla tradizione italiana: una
cooperazione politica; Mitterrand sosteneva l’idea in parte sostenendo maggiormente la
cooperazione economica. Comunque, l’Italia sosteneva l’unificazione europea.

In una prima fase gli italiani cercano di partecipare anche al negoziato dell’unificazione tedesca, ma
sappiamo come va a finire: il Consiglio Atlantico del 1990 discute dell’avvio del negoziato per
l’unificazione della Germania, e De Michelis sostenne di voler essere coinvolti in quanto la questione
li riguardava; tuttavia, il Ministro degli Esteri tedesco, per quanto avesse buoni rapporti con l’Italia,
affermò che loro non erano parte del gioco. Stava infatti emergendo già la soluzione, che sarebbe
stata quella adottata, dei quattro vincitori della guerra mondiale e i due stati tedeschi; il negoziato
alla fine fu sostanzialmente a due: la Germania di Kohl e l’Unione Sovietica di Gorbaciov.
Nell’ottobre del ’90 abbiamo la riunificazione tedesca: l’Italia ha un ruolo secondario. In questa
vicenda, chi ha maggiormente un ruolo è la Francia: un successo francese limitato; la Francia negozia
alcuni aspetti nel quadro di quella che sarebbe stata la doppia trattativa sull’Unione Europea e
sull’unione monetaria.

Naturalmente, abbiamo anticipato le questioni relative alla riunificazione tedesca, e ritorneremo


poi alla costruzione europea. Va affrontata prima la questione della Guerra del Golfo: tutta una
serie di questioni di questi anni mostravano i limiti dell’azione estera italiana degli anni Ottanta.
Quindi, è un ulteriore elemento di debolezza italiana, e di come gli anni Ottanta fossero stati anni di
successo per situazioni contingenti: dobbiamo cambiare scenario, da quello europeo con la caduta
del Muro, allo scenario medio-orientale.
Diamo per note alcune questioni: fino al 1988 vi era stata una guerra fra Iran e Iraq che ha
dissanguato entrambi i paesi ed è durata quasi un decennio; i rapporti economici con l’Italia e l’Iraq
erano abbastanza buoni (l’Italia vende armamenti). Saddam Hussein si trova di fronte a forti
problemi economici interni: per giunta, continuavano ad esistere problemi interni sia etnici che
culturali interni, che risalivano a quando l’Iraq era stato creato.
Come molto spesso accade con regimi dittatoriali vi fu l’idea di portare all’esterno i problemi interni
con azioni militari: fa il 1989 e 1990 l’Iraq esercita pressioni sul Kuwait avanzando interesse
territoriale, perché aveva combattuto a favore del Kuwait contro l’Iran; la comunità internazionale
non mostra forte interesse sulla questione fra Iraq e Kuwait, neanche gli Stati Uniti poiché sono
concentrati sull’Europa con la questione della fine della Guerra fredda. Sbagliando i suoi calcoli,
nell’estate del 1990 Saddam Hussein occupa il Kuwait, con tutte le risorse che quest’ultimo
implicava: l’invasione fu una sorta di razzia; ma viene provocata una reazione che Saddam Hussein
non si aspettava, ed anche una reazione italiana: una condanna dura, un ricorso alle Nazioni Unite
e nel 1990 l’ONU che è un organismo che è efficace ed attivo, condanna e da ultimatum affinché
Saddam si ritiri e minaccia di un’azione militare, che passa subito nelle mani di chi poteva condurre
un’azione militare: gli Stati Uniti. C’è quindi la mobilitazione delle forze americane, timorosi che
l’Iraq invadesse l’Arabia Saudita, con i timori anche dei paesi dei territori del Golfo Persico; c’è
inoltre l’invio di contingenti ed anche mobilitazione di alleati statunitensi come inglesi, francesi; vi
è inoltre la capacità di coinvolgere il mondo arabo a favore degli Stati Uniti o quantomeno a favore
del Kuwait; si schierano solo Giordania, e l’OLP a favore di Saddam Hussein.

141
Questa mobilitazione di truppe nei confini dell’Iraq viene definita di “scudo nel deserto”: se Saddam
avesse insistito a voler mantenere l’annessione del Kuwait la comunità internazionale avrebbe
proceduto con l’azione militare.

In una prima fase la posizione italiana è di forte sostegno, in parte dell’opinione pubblica alla
comunità internazionale, ed in una prima fase anche allo scudo del deserto: c’è però una minima
mobilitazione militare italiana; si mostra quindi tutta la debolezza dello strumento militare italiano,
e aldilà di questo strumento che non era paragonabile neanche a inglesi e francesi, nacque il
problema politico. Emerge infatti un forte movimento pacifista: l’unica soluzione possibile non è il
ricorso alla guerra, o alla partecipazione italiana al conflitto in medio-orientale ma è un’azione
diplomatica. Da chi erano rappresentati questi movimenti pacifisti? Da forze di sinistra, anche se il
PCI non fu alla testa di questa mobilitazione anche perché in questo periodo sta vivendo la
trasformazione. Chi fa capo a questo movimento sono gli ambienti cattolici, con la posizione del
Vaticano ostile al conflitto: abbiamo una priva divaricazione fra Andreotti, il quale è vicino alla curia
romana ma che si trova in contrapposizione con il Vaticano; anche all’interno della DC si iniziano ad
esprimere pensieri favorevoli al movimento pacifista. La posizione di Andreotti è quindi molto
debole e difficile.

Inoltre, si aprì un capitolo, che si era aperto per diversi paesi europei, ma che colpisce molto l’Italia:
la questione degli ostaggi: la decisione di Saddam Hussein era che gli ostaggi sarebbero stati utilizzati
come scudi umani. Cosa accadde? Inizialmente gli esponenti dei movimenti pacifisti andavano a
Bagdad, Saddam li accoglieva, e con la trattazione gli ostaggi venivano liberati.
Ad un certo momento, arriva un corteo di ostaggi italiani verso l’Ambasciata che protestano contro
il governo italiano e non contro Saddam. La questione degli ostaggi si risolverà abbastanza
facilmente: Formigoni, al tempo esponente della DC, schierato sul fronte pacifista, decide di recarsi
a Bagdad per liberare gli ostaggi: fa dichiarazioni al governo iracheno, e alla fine vengono liberati gli
ostaggi italiani.

La questione che rimane è cosa fare con il Parlamento italiano diviso: aveva puntato su attori
sbagliati per perseguire un’azione diplomatica per evitare la guerra; arrivati a febbraio gli Stati Uniti
decidono di agire con l’azione militare: l’Italia cosa poteva fare? Andreotti se la cavò dicendo che
l’Italia avrebbe partecipato ma non in guerra contro l’Iraq ma come azione di polizia internazionale.
Era in realtà un escamotage che nascondeva tutte le debolezze del governo italiano.
Anche l’opinione pubblica italiana mostra qualche problema: la guerra trasmessa in televisione.

Ci si pone il problema di cosa fare con le unità italiane: va sottolineato che si accumulano una serie
di episodi particolarmente caratteristici, come ad esempio, l’ammiraglio delle unità navali rilascia
un’intervista dicendo che avrebbero potuto risolvere pacificamente e non con una guerra, e verrà
quindi destituito subito dall’incarico. Dunque, un’alternativa era andare via ma non si poteva fare,
perché avrebbero fatto una brutta figura. Quale diventa la soluzione? Si sostiene che la posizione
italiana deve essere “avanti adagio, ma immobili”: mantenerli in una base lontana, così che non
venissero utilizzati; inoltre, non erano neanche preparati per la guerra in deserto.
Tutto questo ovviamente avrà delle conseguenze nei rapporti con gli Stati Uniti.
Va sottolineato che è la prima guerra a seguito della Guerra Fredda: avviene in un’area delicata,
viene trasmessa in televisione ma gli italiani si dimostrano deboli, addirittura non definendola
guerra ma utilizzando l’escamotage dell’azione di polizia internazionale.

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18/05/2021

L’Italia e la fine della guerra fredda (1989-1992)

Iniziamo la lezione di oggi, e proveremo a completare le questioni che si presentarono ai governi


Andreotti nel periodo 1989-1992: abbiamo già preso in considerazione la questione relativa
all’unificazione tedesca, la Guerra del Golfo, e ci sono ancora altri eventi che vanno presi in esame
abbastanza complessi.
I primi che prendiamo in esame sono quelli relativi all’area dei Balcani: l’apertura della crisi della ex-
Jugoslavia, e poi la questione albanese perché nell’estate del 1991 l’Italia si trova di fronte ad un
vero importante flusso migratorio proveniente dall’Albania.

Partiamo dalla questione relativa alle vicende della ex-Jugoslavia: abbiamo già ricordato come alla
fin dei conti l’Italia avesse sempre mostrato un particolare interesse nei confronti della situazione
della Jugoslavia, conoscendo nel bene e nel male questo paese; sappiamo che una volta risolta la
questione di Trieste e il trattato di Osimo i rapporti fra i due paesi erano migliorati con cooperazione
da entrambe le parti: la Jugoslavia era un nostro paese vicino per cui i rapporti erano significativi ed
importanti. Già dagli anni ’70 gli italiani si erano preoccupati fortemente di ciò che sarebbe successo
in Jugoslavia con la morte di Tito: alla fine degli anni ‘60/70 c’era interesse di settori della sinistra
italiana nei confronti della cosiddetta autogestione, dando sul piano economico la libertà di agire
alle imprese nel mercato; vi erano stati anche dei segnali preoccupanti perché negli anni ’70 si era
manifestata la Primavera Croata contro Tito, e la risposta di Tito era stata molto ferma e dura con
la repressione e condanne di chi sosteneva l’ipotesi di una maggiore autonomia della Croazia.
Come detto, la Federazione Jugoslava sembrava relativamente solida: c’erano stati negli anni ‘70/80
le Olimpiadi Invernali, e si aveva di Sarajevo un’idea di comunità multietnica che convivevano
pacificamente; ma in realtà, specialmente nella diplomazia italiana, i rappresentati italiani a
Belgrado, nelle loro analisi facevano emergere preoccupazione.
Negli anni ’80 la Jugoslavia viene a trovarsi davanti una situazione economica molto critica: dopo il
1985 si ha la sensazione che la guerra stia per concludersi per cui non si sentiva la necessità di aiutare
la Jugoslavia, e le istituzioni internazionali se avessero dovuto dare credito a paesi dell’Europa
centro-orientale avrebbero preferito altri paesi per ragioni economiche o politiche, come ad
esempio Ungheria o Polonia. Una situazione debitoria molto forte, processo inflazionistico elevato,
e differenziazione dei sussidi.

Negli anni ’80 l’Italia era il paese che più si preoccupò della Jugoslavia, premendo su Bruxelles
affinché venissero forniti aiuti, ma con risultati negativi; De Michelis ricordiamo che nelle sue due
iniziative prevedeva anche la quadrangolare con l’ipotesi di cooperazione politica economica e
culturale che vedesse anche la Jugoslavia. Tutto questo però non fu sufficiente, e soprattutto dopo
il 1989 in meno di due mesi cadono la Polonia, la Repubblica Tedesca, la Cecoslovacchia, la Bulgaria,
e l’ultimo caso è la Romania, un caso drammatico con un colpo di stato. Nel dicembre del 1989
quindi l’Europa Comunista non esiste più: allora le forze politiche sollecitavano, soprattutto nelle
Repubbliche del Nord, di entrare dentro la Comunità europea.
I gruppi dirigenti croati e sloveni sostenevano di non dover rimanere legati a un sistema socialista
che li condizionava economicamente e politicamente, ed inoltre i gruppi dirigenti non concepiscono
più il concetto dell’Europa dell’Est quanto più centrale: non discutiamo se questo sia giusto o
sbagliato, però ciò che possiamo dire è che alla fine degli anni ’80 è naturale che riemergano le
convinzioni di essere diversi e di appartenere a mondi differenti, che non vogliono più sapere della
Serbia, Bosnia e Macedonia per poi distaccarsi e far parte della comunità europea.

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Sappiamo che in questa fase ci troviamo di fronte a un cambiamento politico molto forte: si ritirano
dalla lega dei comunisti e puntano su elezioni libere, che danno risultati che vanno sulla via
dell’indipendenza,
o perché in Slovenia vince il Partito Demos (partito di centro che si rifaceva a quelli
cattolici europei)
o e in Croazia vince un partito nazionalista, in cui confluivano alcuni elementi di
tendenza di destra.
Entrambi i partiti vogliono l’indipendenza: la linea di tendenza è di puntare a
dichiarazioni di indipendenza.

Qual è l’atteggiamento italiano? È di cautela: De Michelis si impegna fortemente affinché si ritardi


il riconoscimento delle dichiarazioni di indipendenza di Slovenia e Croazia per evitare che si giunga
a uno scontro fra le autorità federali che sono controllate dai serbi date le minoranze serbe in alcune
aree (che in Croazia in realtà non erano minoranze ma più maggioranze). L’Italia teme che si arrivi
ad una guerra civile: la valutazione italiana era realistica, visto quello che accadde dopo.
Obiettivi:
1. convincere sloveni e croati a congelare la dichiarazione di indipendenza, rinunciando ad
attuarla per coinvolgere anche le altre repubbliche come la Serbia;
2. dall’altro lato coinvolgere la Comunità Europea, mettendo in un tavolo negoziale il potere
federale e le autorità di Slovenia e Croazia, con la CE garante di una soluzione di conciliazione
fra le parti, con l’idea anche di intervento anche economico;
3. ultimo obiettivo della politica estera italiana era di far accettare l’ipotesi della
Confederazione: una grande autonomia con un debole legame di carattere confederale; in
altre parole, accettare l’ipotesi di una dipendenza nel quadro di forme di cooperazione e
qualche struttura confederale che salvasse i legami fra le varie repubbliche.

Perché questa ipotesi? Questa poteva essere l’ipotesi più adatta e il tentativo avrebbe dovuto essere
compiuto anche da parte di altri partner; tuttavia, questa politica finirà con il fallire: c’è un’escalation
della violenza in cui l’Italia e la CE possono fare ben poco. L’unico tentativo che viene fatta finisce in
maniera tragica: la presenza di alcuni militari della CE con due elicotteri che però vengono abbattuti.
Quindi, una debolezza degli strumenti della CE di intervenire, l’escalation della violenza, portano a
un primo conflitto per l’indipendenza di una delle prime repubbliche: la Slovenia; dura qualche
giorno e i leader militari serbi partivano dal presupposto che la Slovenia non rientrasse nell’ipotesi
della grande Serbia; i serbi sono molto bravi a mostrare tutto a livello televisivo: i combattimenti fra
Sloveni e repubblica federale sono trasmessi in televisione e questo gioca per l’opinione pubblica
italiana per scegliere la via diplomatica, ma per altre opinioni pubbliche si concepisce l’idea
dell’indipendenza. Dal punto di vista dell’opinione pubblica tedesca e austriaca si sostiene la loro
indipendenza; per l’Italia la questione è diversa perché accade ai confini italiani, con tutto ciò che
questo implica nelle opinioni pubbliche: avere un conflitto nei propri confini non è la scelta migliore
per il governo italiano (problemi anche doganali ai confini).

Iniziano inoltre nel 1991 i primi combattimenti in Croazia con le prime forme di pulizia etnica dei
serbi contro i croati: ci sono tre attori internazionali che si schierano a favore dell’indipendenza
immediata di Slovenia e Croazia, ovvero, Germania, Austria e la Santa Sede; in quest’ultima scatta
l’elemento del contrasto e dissidio fra la Serbia ortodossa e la Croazia e Slovenia cattoliche. Quindi
l’Italia si trova di fronte alle pressioni di questi attori. Non va trascurata l’opinione pubblica e la
stampa italiana che con rarissime eccezioni si schierano a favore della Croazia e Slovenia: i servizi di
Tg3 e Tg1 sono filo-sloveni e filo-croati per la loro indipendenza, anche perché con il boom della

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CNN volevano imitare il loro modo di fare giornalismo che faceva audience, e si mostrava cosa
accadeva in queste aree con immagini di paesi che erano ormai democratici allontanandosi dal
comunismo. All’inizio del ’92 Austria, Germania e Santa Sede riconoscono l’indipendenza di Slovenia
e Croazia, quindi l’Italia è costretta ad accettare l’indipendenza, ed accettare anche il tutti contro
tutti che aggravava specialmente in Croazia la situazione dello scontro con serbi e croati. Quindi, gli
obiettivi di De Michelis non vanno a buon fine.

In Italia, fra l’altro, c’è anche il caso delle politiche delle forze destra, che accettando la questione
della Jugoslavia, rimettono in discussione la questione dei confini; a queste preoccupazioni dei
confini si uniscono anche le preoccupazioni nei confronti della questione albanese: nel caso
dell’Albania l’Italia ha sempre avuto un atteggiamento di interesse, anche di dominio come abbiamo
visto con l’annessione dell’Albania con il fascismo. Dopo il 1945 l’Albania diventa uno stato
comunista, abbastanza particolare anche nel quadro del movimento comunista internazionale:
§ resta un regime stalinista con le implicazioni che questo comporta di regime duro e
repressione del dissenso,
§ c’è l’avvicinamento alla Cina di Mao negli anni ’60, e quindi non ha più riferimento all’Unione
Sovietica o Jugoslavia (vista ormai praticamente capitalista) fino ad arrivare alla Cina di Mao;
§ con la ripresa dei rapporti della Cina agli Stati Uniti, l’Albania si chiude in sé stessa rifiutando
addirittura la Conferenza sulla Sicurezza in Europa.

L’Italia, per quanto i rapporti con l’Albania fossero al minimo, aveva la tendenza a seguire le vicende
albanesi; negli anni ’80 c’è qualche segnale di ammorbidimento del regime nei confronti della
popolazione e l’Italia che segue le vicende con attenzione cerca in questi anni di riavvicinarsi
all’Albania anche in ambito economico. Se noi andiamo a vedere la documentazione diplomatica
da metà degli anni ’80 c’è questa attenzione italiana all’Albania, e fra l’altro anche nelle idee di De
Michelis si voleva cercare la strada per raggiungere l’Albania e reinserirla nel contesto internazionale
che stava cambiando.
In realtà, il cambiamento in Albania non avviene così velocemente: apparentemente continua a
restare il PC; ci sono però segnali che vengono colti specialmente dalla diplomazia italiana a Tirana
che dagli anni ’90 fanno giungere alla Farnesina una serie di messaggi che indicano che il PC sia al
governo ma c’è una disgregazione dello stato e una grave crisi economica, e la stessa popolazione,
per quanto non stia reagendo, ha la consapevolezza di cosa sta accadendo nel resto dell’Europa. La
diplomazia a Tirana cita inoltre alcuni episodi: alcuni cittadini albanesi entrano nell’ambasciata
occidentale cercando asilo, e ciò che colpisce la diplomazia italiana non è questo, ma che la polizia
non fece nulla, che fa intendere come la situazione stesse cambiando.
Per ragioni di carattere sociali ed economiche la situazione inizia decisamente a complicarsi, per di
più con lo sfaldamento del regime: difatti, se il regime che utilizza lo strumento della repressione
non viene percepito più come forte perché la popolazione prende consapevolezza, allora il regime
va via via sfaldandosi.
Tutto questo conduce al 1991 all’esplosione di un fenomeno, di cui la diplomazia italiana si rende
conto e invia messaggi urgenti, ma non c’è una reazione immediata dalle autorità di governo per
quanto sul momento era probabilmente difficile gestire la situazione. Cosa accade? Lo Stato
albanese crolla, nessuno comanda più, i soldati scappano dalle caserme, non si va più a lavorare: la
prima reazione è scappare, emigrare. Per la massa di cittadini albanese l’Italia diventa una sorta di
el dorado. Abbiamo il caso del primo grande flusso migratorio dall’Albania: il grande episodio è
quello della Nave Vlora a Bari nel 1991; il governo italiano si trova davanti a una situazione di
emergenza che fa fatica gestire. Abbiamo anche immagini televisive con migliaia di persone

145
ammassate nelle banchine con la Marina che non sa cosa fare in questa situazione: l’Italia non aveva
ancora vissuto questo fenomeno, e viene fatta la Legge Martelli sull’immigrazione.

La reazione è anche inefficace, e Andreotti inizia a pensare a come considerare queste persone:
sono rifugiati oolitici richiedenti asilo? O sono emigrati economici? In teoria, avrebbero dovuto
considerarli rifugiati politici, ma di fronte a migliaia di persone che venivano all’improvviso ci si pone
il problema anche perché nello stato albanese non c’era più autorità.
Il governo Andreotti si trova davanti a una situazione non facile da risolvere: in una prima fase
l’opinione pubblica è favorevole all’accoglienza, con le critiche nei confronti del governo che non
faceva nulla; l’atteggiamento cambierà in pochi mesi.
Comunque, la scelta del governo Andreotti fu poco felice sul piano dell’immagine: si decide di
mettere tutte le persone in uno stadio; l’immagine, che gira anche in tutta Europa, non è
particolarmente facile. Ci sono anche forti pressioni di ciò che restava del governo albanese per
rimpatriare gli albanesi: la situazione è abbastanza singolare con il governo albanese che richiede il
rimpatrio e il governo che non riesce a gestire.
Quindi, cosa decide di fare Andreotti: vengono inizialmente smistati e viene promesso l’asilo
politico, ma in realtà in seguito vengono rimpatriati. Fin dal governo Andreotti c’è però un’idea di
fare qualcosa di lungo periodo: come l’Italia si deve rapportare con lo Stato albanese? Si deve fornire
un aiuto economico, con una serie di prestiti, e c’è anche il tentativo di coinvolgere la CE che però
si trova al contempo davanti al problema di sostenere tutte le crisi di questi stati; tanto che la
risposta della CE è che l’Italia se ne debba occupare in via bilaterale: vengono effettuate delle
missioni italiane, con di fondo il tentativo da parte italiana di fare una politica di nation building.
Resta comunque l’aspetto del fenomeno migratorio, che riprende e fino a qualche anno fa la
comunità albanese in Italia era la terza per numeri intorno ai 350mila. Il caso della Nave Vlora va
quindi ricordato perché da il via al forte fenomeno migratorio verso l’Italia.

Ultima questione, non di minore rilievo, è il Trattato di Maastricht: è un trattato importante, perché
con la crisi della Prima Repubblica è una conseguenza non solo di Tangentopoli ma anche della fine
della Guerra Fredda e di questo trattato. Per quali ragioni?
Il Trattato di Maastricht nasce su due percorsi diversi che finiscono per essere paralleli e poi
incontrarsi:

1. un primo percorso era arrivato già con l’Atto unico, e il tentativo di attuazione del Libro
Bianco della Commissione Delors che prevedeva il grande mercato unico europeo con la
mobilità di servizi, persone, capitali, prodotti. In Delors e alcuni commissari e ambienti
politici vi era l’idea del grande mercato unico, che non era solo un fine ma anche uno
strumento, attraverso cui raggiungere la moneta unica e la creazione della BCE con la forte
cessione di autorità, che quindi si identifica anche come un elemento politico.

Perché gli ambienti europeisti italiani erano favorevoli non solo al mercato unico manche
alla moneta? Avevano proiettato un concetto, che anche se non codificato, vedeva l’opzione
del vincolo esterno: in altri termini, l’ipotesi in base alla quale un paese come l’Italia per
potersi sviluppare in ambito economico avrebbe dovuto prendere decisioni che il governo
italiano non era in grado di prendere; infatti, negli anni precedenti una ovvia presenza del
mondo politico e la spartizione dei partiti aveva favorito fenomeni di corruzione: questo non
era coerente con il mercato unico, che si identifica come liberista con la libera concorrenza
dove lo stato deve intervenire. La tendenza di Bruxelles è che dagli anni ’80 lo stato debba
uscire dall’economia: le monete devono essere inoltre stabili, sennò il sistema con il

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movimento dei capitali non può funzionare; difatti, l’Italia rinuncia alle svalutazioni
competitive in questo nuovo quadro europeo.
Tutto questo poneva dei problemi, perché l’idea dei settori europeisti italiani era che l’Italia
non fosse in grado di fare tutto questo, se non con l’imposizione dall’esterno: c’è quindi la
preoccupazione di fondo di questi tecnocratici italiani perché non funzionano due cose
o il debito pubblico crescente
o la presenza dello stato nell’economia.

Nel frattempo, il governo italiano fa due scelte che erano coerenti ma pericolose: si accetta la libera
circolazione dei capitali, e in secondo piano la lira entra nella banda stretta dello SME.
Altra linea direttrice si mette in moto negli anni ’90: quella di natura politica, perché con la
riunificazione tedesca è doverosa l’unità politica, e tutti sono d’accordo con la maggiore
integrazione politica per un’Europa più forte che sia in grado di agire anche per l’apertura ad est.
Abbiamo due Consigli Europei, uno a Roma, in cui la delegazione italiana, il governo, pone un
progetto di Unione europea, ancora abbastanza vago, partendo dal presupposto che si apra una
conferenza intergovernativa per creare l’Unione Europea; c’è ovviamente la forte opposizione della
Gran Bretagna e di Margaret Thatcher.
Dal punto di vista governativo, di Andreotti, De Michelis e Farnesina, l’obiettivo francese e di parte
anche di Kohl, era come inserire la Germania unificata in un contesto europeo con maggiore
integrazione politica.
Ci si trova di fronte a due negoziati separati: da un lato quello politico con Maastricht, e dall’altro
lato l’Unione Economica Monetaria. Sulla base della documentazione,
§ il Ministero degli affari esteri, De Michelis e Andreotti hanno seguito il negoziato politico con
pressioni sul rafforzamento del ruolo del parlamento europeo;
§ chi gestisce il negoziato sull’UEM è Guido Carli, un tecnico, e dalla Banca d’Italia con Ciampi
e il Ministero del Tesoro con Draghi: Carli sostiene con grande chiarezza il vincolo esterno.
La classe politica ha quindi la libertà di fare certe scelte perché verranno “imposte
dall’esterno”.

Nel corso del negoziato uno degli aspetti centrali sono i cinque parametri di Maastricht che vogliono
i paesi più forti, perché hanno la visione di lungo periodo: il grande mercato unico con le libertà di
movimento sono la premessa per la creazione della moneta unica, ed i tedeschi e olandesi vogliono
che sia forte e modellata sul marco tedesco; quindi, ci si può fidare di una moneta unica in cui vi
entri anche la lira, che non rispetta certi criteri? Si decide quindi di implementare i cinque parametri
di Maastricht: gli inglesi entrano nel Sistema Monetario Europeo, ma non fino all’ultimo stadio.
Qual è l’atteggiamento di Ciampi e Carli? Considerano le condizioni e parametri positivi; la vera
questione è: la classe italiana è in grado di comprendere cosa si cela dietro Maastricht e i cinque
parametri di Maastricht? Alcuni lo comprendono ma la maggior parte no.
Ci sono ovviamente tutti i segnali, che vanno in direzione negativa, ma i segnali vengono colti solo
da poche personalità come Andreotti e Cossiga: Andreotti in una riunione con la DC afferma che
accettare questa scelta significherebbe che la lira potrebbe far fallire questo sistema, e lo stesso
Cossiga in una lettera Andreotti sottolinea come si perderebbe una grossa fetta di autorità con
questo sistema. Qual è il riflesso di tutto questo? Si accetta il Trattato di Maastricht senza capire le
vere questioni che erano in gioco.

Il risultato è ciò che accade nel 1992: abbiamo le elezioni politiche e i risultati non puniscono i partiti
di governo, ma solo in una misura che poteva essere accettata, con un calo della DC, la caduta del
PCI, non c’è l’avanzata dei partiti laici, ma c’è l’avanzata di partiti di protesta come la Lega.

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Ricordiamo che, subito prima delle elezioni politiche c’è l’avviso di garanzia a Chiesa che da l’avvio
a Tangentopoli: il parlamento viene definito dai giornali il parlamento degli inquisiti.
La questione è: il crollo della Prima Repubblica è determinato solo da Tangentopoli e corruzione ed
il fatto che l’opinione pubblica non fosse più pronta ad accettare tutto questo? Probabilmente si,
però va anche considerata la fine della guerra fredda, che libera l’elettorato dal comunismo che
mette in moto dei sistemi di partiti che erano legati a quelli della guerra fredda; con Maastricht
inoltre andavano eliminati i partiti dell’economia, e questo cambiava ancor di più il sistema dei
partiti.
Perfino la televisione pubblica, e anche la stampa, cavalcano la scia e non si legano con Tangentopoli
ai partiti: in questo periodo nascono i Talk Show, con le persone intervistate sulle strade che
lamentano le questioni dei partiti.
Nell’estate del 1992 scoppierà la crisi economica a seguito di Tangentopoli: la banca tedesca non
sosterrà la lira, per cui la lira è fuori dallo SME. Vedremo se riuscirà a rientrare nei parametri di
Maastricht.

24/05/2021

Il ruolo internazionale dell’Italia dopo la Guerra Fredda

Le fonti che noi abbiamo a disposizione per questo periodo sono principalmente fonti secondarie,
quindi, dovremo affrontare in maniera sintetica questi anni.

Gli anni ’90: l’Italia tra “Rivoluzione” interna e il Nuovo Ordine


Internazionale
Sul piano politico interno il 1992 è un anno di crisi, soprattutto di crisi istituzionale con le dimissioni
del Presidente della Repubblica Cossiga: nei primi anni Cossiga avrebbe dato un certo carattere alla
sua presidenza, mostrando una certa attenzione nei confronti delle questioni di carattere
internazionale, particolarmente di carattere militare; la sua presidenza ha un carattere inizialmente
tradizionale, lasciando spazio all’esecutivo, ma poi nella parte conclusiva del suo settennato Cossiga
avrebbe cambiato il suo atteggiamento diventando noto con una nozione abbastanza bizzarra di
“picconatore”. Auspicava infatti dei cambiamenti radicali nei confronti del sistema istituzionale, nei
confronti del Parlamento ed anche della magistratura, ed alla fine si sarebbe interessato
particolarmente ad alcune questioni di politica estera (Guerra del Golfo, Maastricht).

Il suo settennato termina: emerge l’elemento di Gladio, una struttura paramilitare segreta costituita
negli anni ’50 la cui funzione sarebbe stata quella di creare strutture di resistenza nel caso di
invasione da parte di truppe del Patto di Varsavia dell’Unione Sovietica; l’Italia sarebbe stata invasa
dalle truppe ungheresi, in quanto la più rapida per giungere nella Pianura Padana, ed erano anche
previsti dei bombardamenti atomici, ma per fortuna tutto questo rimase sulla carta. Comunque, la
struttura Gladio, aldilà di cosa si occupasse, era problematica per quanto riguarda chi ne fosse a
conoscenza: non abbiamo delle notizie conclusive o certe, si sa che sono avvenute molte inchieste.
Anche su Gladio non abbiamo saputo niente di particolare: è chiaro che esistesse, la sua funzione
era segreta, alcuni uomini politici ne erano a conoscenza e mantenevano la segretezza in difesa del
Patto Atlantico.

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Quindi, Cossiga si trovò sotto accusa e decide di dimettersi con un certo anticipo: abbiamo le elezioni
di Scalfaro, in una situazione di sostanziale stallo politico con il crollo del sistema dei partiti,
particolarmente DC e PSI, a causa di Tangentopoli; un partito che in un certo senso si salva è il PCI.
Comunque, aldilà della crisi istituzionale, con un ruolo della magistratura inquirente che diventa
politico sostituendo il resto dei poteri con cui si organizza lo stato: questa è anche una grave
situazione sul piano dell’ordine politico, poiché si aggiunge una minaccia dalla criminalità
organizzata, in particolare quella mafiosa. Era da diversi anni che la mafia uccideva giudici, alti
funzionari della polizia, anche mafiosi stessi: nel 92/93 abbiamo un carattere quasi avversivo, con
attentati a Firenze e Roma, con un’escalation della mafia che sentono la debolezza dello stato e
tentano quasi di sostituirsi allo stato; come questo sia stato visto all’esterno è difficile dirlo: non
abbiamo conoscenza degli archivi, ma possiamo dire che sia stato visto in maniera contradditorio
§ la stampa vede positivamente il ruolo della magistratura, in quanto rivoluzione dei giudizi
conto uno stato malato, anche con l’appoggio dell’opinione pubblica;
§ della diplomazia estera possiamo dire che si temesse una grave crisi, ma non lo sappiamo
con esattezza.

A tutto questo si unì una crisi economica molto seria, che ovviamente si legava alla crisi istituzionale
e dell’ordine pubblico: possiamo dire che una crisi economica si propaga in realtà in gran parte del
mondo occidentale, e alcuni attori finanziari che vivono delle situazioni di crisi ritennero che si
potesse giocare contro alcune monete europee. I risultati di questa speculazione a ribasso su alcune
monete, che facevano tutte parte dello SME: Ciampi, governatore della Banca d’Italia sperava nel
sostegno della banca tedesca, ma questo aiuto non arriva poiché ricordiamo la Bundesbank era
contraria all’euro e contraria alla moneta unica. Quindi, la sterlina esce, l’Italia sarebbe stato meglio
che uscisse, i tedeschi decisero di salvare il franco per ragioni politiche: sarebbe saltato il rapporto
franco-tedesco.
Tutto questo naturalmente coinvolge il governo di Giuliano Amato, esponente del PSI, vicino a Craxi
ma non coinvolto in Tangentopoli. Va anche detto che Amato avrebbe iniziato l’operazione che
veniva richiesta dall’Unione Economica Monetaria, che non riguardava i cinque parametri, ma era
precedente, ovvero, di procedere alle privatizzazioni: quest’ultime potevano essere attuate a
seguito di Tangentopoli, e i governi che avrebbero attutato le privatizzazioni saranno Amato, Ciampi
etc., in generale, i partiti degli anni ’90.
Ci troviamo di fronte a uno strano fenomeno: diventarono tutti liberali e liberisti, almeno a parole,
a seguito di Tangentopoli; per l’ex partito comunista era una scelta obbligata, perché il comunismo
non esisteva più, per cui per farsi accettare nel nuovo sistema dei partiti, era necessaria una scelta
nei confronti della nuova moda della globalizzazione e del nuovo ordine internazionale fondato su
globalizzazione, sul libero mercato. Se quindi si voleva svolgere un ruolo politico in questo sistema
bisognava adattarsi al nuovo sistema fondato sul nuovo ordine internazionale.

A seguito, arriva il governo di Ciampi, il primo governo tecnico, perché Ciampi non rappresentava
alcun partito politico: un governatore della Banca d’Italia, sostenitore dell’Europa. Possiamo però
dire che Ciampi l’hanno scelto le forze politiche italiane, e non è stato imposto da Bruxelles:
possiamo infatti dire che le questioni italiane non importavano particolarmente a Bruxelles, poiché
è una fase particolare in quanto l’Italia è uscita dallo SME ed è lontana dalla partecipazione alla
moneta unica; inoltre, a Bruxelles si giunge alla conclusione della Commissione Delors.
I governi italiani, inoltre, per dimostrare la loro presenza nel nuovo ordine mondiale decidono di
utilizzare lo strumento militare nelle missioni di peace keeping nel quadro principalmente delle
Nazioni Unite: la prima missione non è in realtà così felice, ovvero “Restore Hope” con l’intervento

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in Somalia, perché si trasformerà nel primo fallimento della missione internazionale; in seguito, un
altro fallimento sarà il genocidio in Ruanda.
Dunque, l’Italia partecipa alla missione Restore Hope, ma se i politici avessero prestato attenzione
alla storia non avrebbero ripetuto gli errori di Mogadiscio: inoltre, la Somalia era stata una nostra
colonia, per cui alcuni non ricordavano positivamente gli italiani; quindi, gli italiani vengono coinvolti
anche in un’imboscata con alcune morti di militari italiani. La comunità internazionale abbandonerà
la Somalia al suo destino e anche l’Italia abbandonerà la missione: la pace non viene restaurata in
Italia.

Gli anni ’90 comunque non sarebbero comprensibili se non prendessimo in considerazione altri
elementi di politica interna che vanno ricordati: gli anni ’90 prevale la politica interna sulla politica
estera per ragioni ben evidenti. Cambia la legge elettorale: si è tentato di dare maggiore stabilità
all’esecutivo con la premessa di cambiare la legge elettorale, passando da un sistema proporzionale
a un sistema maggioritario, anche con il sostegno dell’opinione pubblica. Se però l’idea era quella di
creare due o tre grandi partiti, questo non è avvenuto: fioriscono partiti, movimenti, scissioni di
partiti, seppur avendo creato delle coalizioni, sono anche molto fragili.
Nel ’94 si assiste a un grande cambiamento: l’unico partito che era rimasto in vita era il PCI che era
diventato Partito Democratico della Sinistra; essendo l’unico partito in vita, con la scadenza
elettorale del 1994 si ha l’idea che essendo l’unico partito organizzato avrebbe vinto le elezioni.

Naturalmente questo avrebbe spinto un signore alla discesa in campo: Berlusconi, con la sua discesa
diventano comuni termini calcistici per cui Berlusconi nel 1994 scende in campo e forma il Popolo
della Libertà, e Forza Italia; altro partito della coalizione era la Lega, espressione di alcune parti del
nord che al tempo era un partito di protesta contro il sud, contro Roma, per rappresentare gli
interessi del nord, fra l’altro fortemente europeista. Berlusconi comunque è molto abile, perché
crea dal nulla un partito, aziendalista, e da un’immagine di sé stesso e del partito nuova, non legato
ai partiti della Prima Repubblica. Il Popolo della Libertà vince le elezioni, e Berlusconi crea un suo
primo governo che però dura per pochissimo tempo:
§ prima di tutto perché c’è una reazione del mondo esterno al governo Berlusconi non positiva
specialmente in ambito europeo, perché si è preoccupati che il governo Berlusconi non sia
europeista;
§ inoltre, veniva visto con grande preoccupazione a Bruxelles per
o la scelta di Martino agli AA.EE., perché contrario alla moneta unica e favorevole alle
posizioni di Margaret Thatcher;
o a causa della presenza della LEGA che veniva considerato un partito xenofobo e
razzista;
o ed elemento importante era la presenza di Alleanza Nazionale: definito un partito
neofascista, contrario alle posizioni europee.

Questo governo comunque è brevissimo, con diversi episodi come quello di Mitterrand, con il
racconto di una barzelletta da parte di Berlusconi, secondo cui veniva criticato dalla stampa per
qualsiasi cosa facesse), ed ancora, Tatarella che nel sua viaggio a Bruxelles vede il rifiuto del suo
corrispondente di stringergli la mano poiché appunto lo ritiene neofascista, e poi l’avviso di garanzia
che arriva a Milano a Berlusconi; a questo governo si sussegue quello di Dini nel 1995: anche questo
comunque è un governo, tecnico, molto breve.
Emergono due leader: D’Alema e Veltroni; due personalità diverse: D’Alema essendo un esponente
nuovo del PDS non rifiuta il suo passato del PCI, mentre Veltroni tenta la strada di presentarsi come

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un kennediano, che aveva fatto parte del PCI ma non era comunista, unitamente al mito
dell’America.

La cosa importante, è appunto la riorganizzazione dei partiti della sinistra e la nascita dell’Ulivo:
aspetto importante perché c’è la formazione di un’Alleanza con
o il PDS, ovvero l’ex-partito comunista,
o poi, gli ex-democristiani di sinistra con Prodi rappresentante,
o più i cosiddetti cespugli, ovvero, piccole formazioni politiche che rispondevano ai
piccoli partiti della Prima Repubblica (come ad esempio i laici).
Prodi assume la guida di questa coalizione dandole il nome di Ulivo, che viene definito centro-
sinistra, che era completamente diversa da ciò che rappresentava nella Prima Repubblica. Prodi è
capace nel dare all’Ulivo una sua identità, una questione difficile considerato il PDS, che aveva le
sue radici nel PCI. Prodi quindi da una connotazione precisa all’Ulivo: ha un carattere internazionale
molto forte, ovvero, l’europeismo, quindi l’Ulivo si riconosce nell’integrazione europea. Da un lato
ha una forza perché ha un’identità molto forte in un momento in cui in Europa ci si gioca il ruolo di
partecipazione alla moneta unica, ma è anche la sua debolezza.
La politica interna diventa la politica estera, perché ci si divide in chi è e a favore o a sfavore
dell’Europa; Prodi comunque punta la sua campagna elettorale su questo con avversario Berlusconi,
che è abbastanza indebolito anche dagli avvisi di garanzia.
Il governo Prodi, quindi, nasce nel 1996 e dura per diverso tempo: Napolitano agli interni, Dini agli
esteri, Ciampi al Bilancio del tesoro, Visco alle finanze; chi fa però la politica estera? Il ruolo del
Ministro degli AA.EE. si svuota e fanno politica estera il Presidente del Consiglio e dell’Economia.
Questo anche perché, come ricordato, le questioni si concentrano sull’Europa o decisioni sulle
missioni di pace.

Con questo governo, quindi, c’è lo sforzo per il risanamento dell’economia e le privatizzazioni: un
governo europeista, con l’obbiettivo del ritorno allo SME e inserimento nel gruppo dei paesi che
avrebbero adottato l’euro. Prodi comunque riesce a smuovere l’opinione pubblica, e sono gli anni
di esplosione dell’europeismo italiano, in cui l’Europa è un grande ideale.
Qual è stato l’atteggiamento degli altri? C’è stato in fondo il via libera per ragioni politiche: la
Bundesbank non era contenta di far rientrare l’Italia nella moneta unica, però per ragioni politiche
soprattutto i tedeschi e francesi accettano. Probabilmente era un’apertura nei confronti dell’Ulivo
e di Prodi, con la speranza che questo percorso sarebbe andato avanti; in questa fase ricordiamo
che anche la Germania aveva dei problemi economici per l’inclusione della ex-DEDER.
Naturalmente, parliamo di ipotesi, perché non ci sono conferme dagli archivi ma si verificherà in
futuro quando i documenti saranno disponibili.
Comunque, Prodi raggiunge questo obiettivo e verrà mantenuto anche nei governi successivi: ad un
certo momento Prodi esce dalla scena del governo italiano ma viene gratificato per ciò che ha fatto
in Italia, facendola entrare nello SME e nei parametri di Maastricht, ed entra a far parte del mondo
europeo con il ruolo di Presidente della Commissione Europea.

Quali sono gli altri elementi che dobbiamo ricordare della politica estera di questo periodo? Si
ripresenta la questione albanese, che ricordiamo era stata rimessa in piedi con gli aiuti economici
italiani, ma si presenta la crisi della società piramidale. C’è quindi una crisi non solo economica ma
anche istituzionale a cui l’Italia e la comunità internazionale rispondono con una missione militare,
e anche attraverso sostegno politico e aiuti economici tentano un’operazione di nation building;
questa è probabilmente la missione italiana più efficace che pone le premesse per la ricostruzione
dello stato albanese. Riprendono ugualmente i flussi migratori.

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Altro elemento era la questione dell’atteggiamento italiano per la guerra in Bosnia e in Kosovo:
tutta la comunità internazionale dà il peggio di sé non riuscendo a risolvere il primo conflitto fra
croati e serbi, tantomeno nel secondo conflitto. Si avrà un cambiamento con Srebrenica, con il
fallimento delle Nazioni Unite, con i serbi che uccidono migliaia di bosniaci; si avrà l’intervento degli
Stati Uniti. La posizione italiana è molto prudente e riteneva di non doversi farsi coinvolgere in
maniera molto forte nelle questioni jugoslave: le forze politiche italiane erano divise fra
§ la maggioranza che in fondo era abbastanza sensibile ai bosniaci musulmani
§ e altri che avevano simpatica per i serbi;
era molto difficile prendere una posizione decisa.

Arriva una rottura con il governo di D’Alema con la questione del Kosovo: per quanto non fu un
intervento italiano forte, c’è un forte sostegno all’America. Infatti, alla fine degli anni Novanta
abbiamo amministrazioni di centro-sinistra in alcuni paesi importanti, con Clinton negli stati Uniti
che il PDS vede come un riferimento: abbastanza singolare visto che rappresentavano l’ex-partito
comunista ed erano ora a favore dell’amministrazione americana. L’Italia quindi resta legata al mito
dell’America. Questo periodo nei giornali italiani vede l’esaltazione dell’Ulivo mondiale con Clinton,
Blair e Prodi.

Nel 2001 le cose cambiano: Berlusconi rivince le elezioni.

25/05/2021

Il sistema internazionale del dopo 11 settembre e il ritorno di Berlusconi fino


alla crisi economica
Affrontiamo in maniera rapida e sintetica gli ultimi anni del ruolo internazionale dell’Italia in quanto
primo approccio perché le fonti primarie a disposizione sono molto poche: ciò che diciamo va preso
con cautela, ed è opportuno essere prudenti con le valutazioni.

Ieri abbiamo concluso con le nuove elezioni politiche di maggio, che un po’ a sorpresa vedono la
vittoria di Berlusconi con la Casa delle Libertà: non dimentichiamo che questo è uno dei governi
particolarmente lunghi perché Berlusconi riesce a concludere la legislatura. Agli inizi degli anni 2000
i commentatori sostengono ci siano due raggruppamenti:
§ uno di centro destra con a capo Berlusconi,
§ dall’altra il centro-sinistra in cui i due attori più importanti erano
o il PDS, ex-partito comunista,
o e dall’altra gli ex-democristiani con il Partito Popolare ecc.

C’è un Berlusconi II e un Berlusconi III ma c’è comunque un elemento di continuità. Quali sono gli
ambiti in cui i governi Berlusconi agiscono in maniera precisa? Sono due ambiti tradizionali della
politica estera italiana:
o Unione Europea
o Rapporti transatlantici con gli Stati Uniti.

Per ciò che riguarda il contesto europeo non è facile definire le opinioni di Berlusconi in politica
estera: nei confronti dell’Europa ci si chiede se Berlusconi sia europeista oppure no. Non è del tutto
esatto definire Berlusconi contrario all’Unione Europea, per quanto ha la sua visione dell’Unione

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Europea che mette da parte gli aspetti ideali della costruzione europea, però ha una visione
realistica: si accettano le grandi scelte, si cerca di collaborare, ma tenendo presenti gli interessi
nazionali italiani. Non è comunque una politica rivoluzionaria, era stata una politica anche dei
governi precedenti.
Nella fase iniziale c’è una scelta conciliata con la scelta di Ruggero agli AA.EE., ovvero, un tecnico
europeista esperto; poi la guida per un breve periodo passa a Berlusconi. Nel 2004 viene nominato
Fini alla guida del Ministero degli AA.EE., che di per sé non è antieuropeista; quindi, la scelta è molto
differente a quella che aveva fatto con Martino.

Qual è allora il problema della politica europeistica di Berlusconi? Cosa non funziona? Non funziona
nei suoi interlocutori, perché rispetto a tutti gli sforzi fatti in questi anni, i suoi interlocutori europei
non si fidano di lui ed ha anche una stampa internazionale che non è favorevole. Berlusconi non si
rende conto quanto con gli inizi 2000 sia nata un’opinione pubblica di sfera europea, per quanto
limitata, però a Bruxelles conta: se i rappresentanti della grande stampa internazionale, del mondo
intellettuale, dei media, ed alcuni uomini politici di grandi paesi hanno questa opinione, la posizione
rimane debole influenzando negativamente anche la posizione dell’Italia stessa.
Ad esempio, da diplomazia italiana deve correre dietro per rattoppare le dichiarazioni di Berlusconi,
non giocando quindi a favore dell’Italia.
Altro elemento che ha giocato a sfavore di Berlusconi è che la questione europea diventa un
elemento di politica interna: è criticabile però l’atteggiamento delle opposizioni che utilizzano tale
questione per indebolire Berlusconi, perché allo stesso tempo vanno a indebolire il paese.

Altro errore colossale è stato farsi influenzare dai rapporti transatlantici: la convinzione di Berlusconi
è di essere rimasti in Guerra Fredda, e che in primo luogo gli Stati Uniti abbiano un ruolo
fondamentale in Europa; dal loro punto di vista si giocano in Europa gli interessi degli Stati Uniti: in
realtà non più, perché ad esempio con la prima amministrazione Bush c’è addirittura una forma di
coerenza, seppur fittizia, è una consonanza di interessi fra Stati Uniti e Federazione Russa con la
lotta al terrorismo.
Altro errore è la convinzione è che nella politica estera abbiano importanza i rapporti interpersonali:
non è il carattere dei sistemi politici europei occidentali, per cui Berlusconi anticipa una linea di
tendenza di personalizzazione della politica. Questo comunque era un elemento di dissonanza nella
figura di Berlusconi in confronto ai suoi interlocutori e partner in Europa.
Ci sono dei rapporti particolari con due persone:
§ in questi anni c’è la scelta di Bush, sostenendo l’idea di avere qualcosa in comune con la
nuova amministrazione americana, e come sottolineato, sostenendo anche che gli Stati Uniti
abbiano ancora grossi interessi in Europa;
§ dall’altra con Putin, sostenendo sempre che i rapporti personali facilitino gli accordi.

Dopo il 2003 Berlusconi si trova d’accordo anche con Blair, ed anche in quest’ultimo possiamo
notare una scelta di personalismo della politica: il loro avvicinamento è da legarsi alla questione
dell’Iraq e la condivisione con le posizioni degli Stati Uniti.

C’è inoltre una campagna mediatica a favore dell’euro, con la glorificazione dell’euro quando
riescono ad entrare fra i primi nel sistema della moneta unica: va detto che la politica di risanamento
non era andata avanti, e per alcuni è dovuto alla forte opposizione dei sindacati e della sinistra, ma
comunque la scelta di Berlusconi non era coerente, e si nota infatti una forte crescita della spesa
pubblica.

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C’è inoltre la scelta di due commissari, ovvero, Monti e Bonino, due forti sostenitori dell’Unione
Europea: c’è un legame fra questi due commissari fra le scelte di politica economica e le opinioni di
Monti? In realtà no.

Episodio dell’Agenzia sulla Sicurezza dell’Alimentazione: viene creata un’agenzia scientifica, in cui
lavorano medici e scienziati e si sono occupati ad esempio della questione della mucca pazza;
rispetto a questa agenzia europea, nasce una disputa per collocarla a Helsinki o a Parma: Berlusconi
preme per stabilire la sede dell’Agenzia puntando sull’alimentazione italiana (addirittura offrendo
parmigiano agli interlocutori europei). Alla fine, la sede dell’Agenzia viene istituita a Parma, ma
come anticipato, si tratta di un’agenzia scientifica che ha ben poco a che fare con “il cibo in Italia”.
L’interesse nazionale non è in realtà difeso, se non a livello di immagine, ma alla fin dei conti anche
la sede dell’Agenzia ha poco senso perché l’obbiettivo di questa è molto differente rispetto all’idea
che Berlusconi aveva.

Il culmine si ha con il G8 di Genova, con il movimento “no global”.

Cosa dire per quanto riguarda i rapporti con gli Stati Uniti? L’11 settembre rappresenta un
momento di cambiamento, e si entra in un periodo più drammatico, complesso e difficile: possiamo
definirlo in vari modi, come ad esempio, un unilateralismo contro il multilateralismo. In altre parole,
la posizione europea, soprattutto della Francia e della Germania, prefiggono un diverso approccio
con il rifiuto della logica dello scontro fra civiltà; pur tuttavia, in una fase iniziale all’indomani dell’11
settembre c’è una comunanza di visioni fra Stati Uniti e gli europei: anche il governo Berlusconi si
inserisce in questa linea di tendenza.
Ma sappiamo che le cose cambiano rapidamente, e se nella prima fase l’azione militare americana
in Afghanistan vede il sostegno europeo, quando l’amministrazione americana passa all’idea di
“esportazione di democrazia” oppure “democratizzazione del Medio-Oriente”, da un lato
Berlusconi, con Blair e la Spagna, si allinea alle posizioni delle Stati Uniti, ritenendo che anche altri
attori europei facciano le stesse scelte, ma la scelta viene contestata da
§ Francia e dalla Germania, anche per ragioni di politica estera nazionale;
§ ed inoltre, la scelta è anche contro le opinioni pubbliche, perché la stragrande maggioranza
delle opinioni pubbliche europee sono contrarie con il conflitto in Afghanistan. Non sono
solo ostili contro le scelte americane, ma sostengono anche che la costruzione europea si
costituisce nella misura in cui respinge le posizioni americane: gli europei sono per il dialogo
multiculturale, per il multilateralismo. Nasce l’idea che vi siano due occidenti:
o un occidente anglo-americano che è guerrafondaio ed usa la
violenza e la forza,
o e poi c’è un occidente che è per il dialogo, per il rispetto dei
diritti umani.

La questione di fondo era che non ci si potesse considerare europeisti ma prendere decisioni con
ideali di fondo della costruzione europea.
Berlusconi, quindi, fa questa scelta facendo una consonanza fra l’Italia di Berlusconi e gli Stati Uniti
di Bush ma dall’altro lato c’era la convinzione della costruzione dell’Unione Europea; qual è stato il
bilancio alla cosiddetta opera di pacificazione in Iraq? Non ha dato i risultati sperati, e a Nassiria c’è
un attentato terroristico contro la base italiana in Iraq, ed ancora, tutti i rapimenti di persone e
ostaggi. C’è quindi il progressivo indebolimento delle posizioni italiane con gli interlocutori europei
perché appunto da una parte Berlusconi sostiene la costruzione europea, ma dall’altra partecipa al
conflitto in Iraq.

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Non ci si rende conto, non solo nel centro-destra ma anche nel centro-sinistra, che il rapporto con
gli Stati Uniti fosse un’illusione: aveva senso limitatamente ad alcuni momenti, come nella
partecipazione in Iraq che viene vista positivamente, ma l’amministrazione Bush farà la guerra in
Iraq anche senza la “coalizione dei volenterosi”; gli interlocutori più importanti infatti sono gli
europei, sono coloro con cui ci si deve confrontare.

Noi poi sappiamo che alle elezioni del 2006 c’è un parziale ricambio con una vittoria, seppur risicata,
del centro sinistra guidato da Romano Prodi: nel 2006 si passa quindi al II° governo Prodi, che si era
dimesso in anticipo da Presidente della Commissione Europea per partecipare alla campagna
elettorale. Agli AA.EE. viene nominato D’Alema.
Il governo Prodi è però molto debole, e dura meno di due anni: aveva la maggioranza alla Camera,
ma era risicatissima in Senato e si reggeva sul voto dei senatori a vita.
Nasce inoltre il Partito Democratico, grande realizzazione di Veltroni, mettendo insieme i due
tronconi, attori fondamentali, ovvero, PDS ex-comunisti, e la ex-sinistra democristiana.

Cosa possiamo dire per ciò che riguarda la politica estera? Il governo Prodi ha un vantaggio molto
forte, di essere affidabile per gli interlocutori europei, però va detto che ciò che colpisce è che il
governo Prodi non rinuncia ad avere dei buoni rapporti con gli Stati Uniti, in cui c’è ancora
l’amministrazione Bush. È vero che la II° amministrazione Bush cambia determinati aspetti della sua
politica, e cambiano anche alcuni esponenti europei, come la Merkel, Sarkozy: c’è un avvicinamento
generale con gli Stati Uniti, ed ancora, una convinzione di D’Alema che si possano avere dei buoni
rapporti e comunanza di interessi con gli Stati Uniti.
Il governo Prodi mantiene la presenza militare italiana in Afghanistan, giustificando che la scelta nel
senso che era stata sostenuta all’inizio dalla comunità internazionale come lotta al comunismo.
Questo anno e mezzo quindi è caratterizzato da:
§ un buon rapporto con l’Unione Europea,
§ un rapporto non conflittuale con gli Stati Uniti,
§ e la linea di tendenza di presenza militare nelle missioni di pace con il cappello delle Nazioni
Unite.
Ci si lega quindi alla tendenza degli anni Novanta. In realtà, sappiamo che il governo dura poco e agli
inizi del 2008 il governo Prodi cade e Napolitano sceglie la strada delle elezioni anticipate e
Berlusconi rivince con un margine molto ampio: è un governo apparentemente solidissimo.

Nasce questo nuovo governo Berlusconi con Frattini agli AA.EE. e Tremonti all’economia: il primo è
moderato ed europeista, ed è quindi un tentativo di di assicurare l’Unione Europea circa
l’europeismo italiano. L’Italia però si trova a confrontarsi con la crisi finanziaria del 2007/2008: in
una prima fase la crisi colpisce di più altri paesi rispetto all’Italia, perché, alcuni sostengono, che le
banche italiane fossero “arretrate” per cui sentono meno il colpo della crisi; questo spinge
Berlusconi ad avere una visione ottimistica, ma non si rende contro che il 2007/2008 è l’inizio della
crisi che sarà susseguita da una crisi economica industriale colpendo anche l’Italia.

Quali sono alcuni degli aspetti delle vicende del governo Berlusconi del 2008? Questi tempi sono
molto recenti, per cui dobbiamo essere particolarmente prudenti; è chiaro che Berlusconi ha dei
problemi di carattere giudiziario, e l’opinione pubblica può accettare quest’aspetto ma non altre
questioni che ti rendono una persona “ridicola”: nella conferenza stampa con Merkel e Sarkozy, in
cui viene chiesto dai giornalisti cosa ne pensino delle capacità di Berlusconi di gestire la crisi, i due
stanno zitti, si guardano e si mettono a ridere; è quindi la caduta di una carriere politica.

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Emerge inoltre la figura di Mattero Renzi: figura particolare, giovane, che non ha avuto a che fare
con il partito comunista, più cattolico ma lontano anche dall’esperienza della democrazia cristiana;
si presenta come il “rottamatore”. Non arriva subito alla guida del PD, ma inizia ad emergere nel
2008 come una figura moderna.

Per ciò che riguarda la politica estera il governo Berlusconi si presenta un altro problema: i flussi
migratori; se prima erano flussi migratori dall’Europa Balcanica, diventano i flussi migratori del
Mediterraneo. Apparentemente quello che può essere definito un successo è che Berlusconi da una
definizione conclusiva ai rapporti con la Libia con l’Accordo italo-libico del 2008.

Sappiamo che però con il 2011 ci sono tre elementi che provocano la fine del governo Berlusconi:
§ sia sul piano interno che sul piano internazionale, le vicende sul piano giudiziario peggiorano
l’immagine di Berlusconi;
§ per ciò che accade in Libia con le primavere arabe, l’atteggiamento di Berlusconi è prudente
e non ritiene di dover intervenire per far cadere Gheddafi; d’altra parte, con la convinzione
che le primavere arabe fossero tutte uguali, la comunità internazionale interviene ma poi si
ritira perché le questioni erano più complesse di ciò che avevano ipotizzato. Gli interessi della
Francia erano chiari: aldilà della posizione di Berlusconi debole, la Francia si vuole sostituire
all’Italia.
o Berlusconi si trova ad avere a che fare con un’opinione pubblica e una stampa
favorevole alle primavere arabe: Berlusconi, seppur debole, si delinea con le posizioni
di coloro che sono contro Gheddafi.
§ Altro elemento importante è l’inasprirsi della crisi economica, che aveva colpito i cosiddetti
PIIGS: la situazione diventa insostenibile anche per i partener europei che temono che l’Italia
sia vicino al fallimento, e se si poteva pensare che la Grecia uscisse dall’euro, il default
italiano avrebbe messo in crisi la moneta unica. Alcune capitali europee, Berlino, Bruxelles,
Parigi, sono ovviamente molto preoccupate: era necessario che Berlusconi si mettesse da
parte.
o Quando Berlusconi viene sostituito è lo stesso ad accettarlo, perché il suo partito da
fiducia al governo successivo.

Si sostiene il vincolo esterno con il governo tecnico successivo: Mario Monti viene nominato
senatore e Presidente del Consiglio. Il compito del governo Monti era rimettere a posto l’economia:
la sua scelta di politica è di restringimento che viene fortemente criticata. Per quanto non si possano
dare giudizi, possiamo dire non essere stato un periodo semplice.
Il vero problema è stato che mettendo a posto i conti, non è stata messa in sesto l’economia con un
periodo di stagnazione (anche se generalizzato in Europa).
Monti ha il sostegno della BCE; il suo errore però è stato probabilmente quello di entrare in politica,
e fondare un partito che vede un fallimento.
Inoltre, ulteriore problema è il diffondersi dell’antieuropeismo e euroscetticismo che era già nato
con Berlusconi, ma si diffonde e rafforza con Monti.

Le elezioni del 2012 vedono il ritorno del centro-sinistra, con un governo Letta che dura meno di un
anno, Renzi con più di due anni, Gentiloni abbastanza breve, con ministri degli AA.EE. che cambiano
con problemi di politica estera che riguardano i flussi migratori e i rapporti con Bruxelles. Nel mezzo
ci sono altri governi con le elezioni del 2018, con poi

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§ il governo Conte I, con agli AA.EE. Milanesi che essendo un ex-funzionario europeo era una
scelta per mantenere un buon rapporto con Bruxelles;
§ il governo Conte II, con agli AA.EE. Luigi di Maio,
§ e ad oggi Mario Draghi.

Facciamo un’ultima considerazione ironica: l’Italia è una nazione a sovranità limitata? Facendo un
paragone con gli anni 40, il Recovery Found è il Piano Marshall, con un “padrone” che si identifica
con Bruxelles e Berlino e prima erano gli Stati Uniti.
L’Italia del 2021 sembra l’Italia degli anni Quaranta?

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