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LE RELIGIONI NELL'ITALIA CHE CAMBIA - ENZO PACE

INTRODUZIONE (di Enzo Pace)


In un mondo interconnesso com'è ora, le religioni si muovono con il movimento delle persone; e queste, muovendosi,
cambiano. Notiamo come religioni un tempo considerate lontane, oggi vivono assieme in una stessa società.
A proposito di società, quella italiana sta vivendo proprio in pieno questo tipo di situazione...e la sta vivendo in tutta la sua
complessità, perché nel giro di soli venti anni la carta socioreligiosa italiana sta fortemente mutando.
Leggere la nuova mappa delle fedi religiose in Italia non è facile. Sì, perché quantitativamente parlando, non sappiano
molto sulle dimensioni della religiosità di tantissime persone professanti altro rispetto che la religione ritenuta
"tradizionale" da noi italiani. Di più, le stime sono certamente un punto di partenza, ma non sono più sufficienti per dare
una rappresentazione della geografia socioreligiosa italiana che possa approssimarsi alla realtà.
Lo scopo che ci siamo prefissi, dunque, è cominciare ad aprire gli occhi sul cambiamento religioso che l'Italia odierna sta
conoscendo. È un primo passo, questo, al quale dovranno seguire indagini più approfondite.

CAPITOLO 1 - LA COSTELLAZIONE DELLE CHIESE ORTODOSSE (di Giuseppe Giordan)


1.1 LA CORNICE
Il cristianesimo ortodosso, nonostante si contenda il secondo posto tra le religioni più diffuse in Italia (affiancando l'Islam)
resta un fenomeno ancora poco studiato. Questa lacuna ha senz'altro delle ragioni:
- INTERNA. Una ragione interna all'ortodossia stessa. Esso si presenta come una pluralità di Chiese, dette giurisdizioni, che
fanno riferimento a diversi patriarcati e autocefalie. Non è quindi facile orientarsi all'interno di un mondo complesso, per il
ricercatore, che rischia di smarrirsi con estrema facilità. Inoltre è difficile, sempre parlando internamente all'ortodossia,
distinguere tra le diverse tipologie di giurisdizioni che esistono (parrocchie già costruite vs in costruzione, parrocchie dalle
tante messe vs dalle poche messe all'anno, cappelle cimiteriali vs diaconie presenti nei penitenziari vs negli ospedali) e che,
per i motivi più diversi, variano.
-  PIÙ GENERALE. Una ragione di carattere più generale. Con la caduta del muro di Berlino, l'Occidente europeo si è aperto a
milioni di persone che professavano religioni ortodosse; flussi migratori che si sono sempre più intensificati e che hanno
ridisegnato il panorama tanto sociale quanto religioso italiano rendendo difficile ogni tentativo di istantanea.
- EXTRA. Una ragione extra, per così dire, che riguarda l'appetibilità di tale studio. Per coloro che vengono dall'Est Europa
l'appartenenza religiosa cancella o mette in secondo piano l'identità religiosa; l'esatto contrario di ciò che avviene per color
o che provengono dai paesi arabi, tutti etichettati come musulmani (anche se effettivamente non è così).
È inoltre bene tener presente che le mappe elaborate con questo studio non hanno alcuna pretesa di completezza, ma
hanno comunque l'ambizione di offrire la prima panoramica delle Chiese ortodosse presenti in Italia.
Obiettivi di questo particolare studio di caso:
1. Costruire un database che comprenda un indirizzario delle parrocchie ortodosse presenti in Italia.
2. Fornire a queste parrocchie un questionario al fine di approfondire alcuni aspetti della vita quotidiana delle parrocchie
stesse e della comunità che le frequenta. Nota: il questionario è stato compilato da 1/3 delle parrocchie cui è stato
sottoposto e i dati raccolti sono stati sufficienti a tratteggiare alcune caratteristiche di questa confessione religiosa.

1.2 IL QUADRO
355 parrocchie afferenti a 16 giurisdizioni.
Le giurisdizioni più rappresentate sono il Patriarcato di Romania, il Patriarcato ecumenico di Costantinopoli (giurisdizione di
origine italiana) e il patriarcato di Mosca.
La distribuzione delle chiese ortodosse copre tutto il territorio nazionale, tanto che non c'è regione che non registri almeno
una chiesa ortodossa. Distribuzione che però non si estende in maniera omogenea e infatti Lazio, Lombardia e Piemonte
sono le regioni che registrano i numeri più alti di concentrazione in tal senso, numeri che rispondono ai flussi migratori
legati per lo più alle dinamiche del mercato del lavoro.
La presenza ortodossa in Italia, poco più di un secolo fa, era circoscritta a parrocchie e giurisdizioni di origine straniera che
offrivano i loro servizi pastorali a quei pochi fedeli ortodossi che si trovavano nel nostro paese. Numericamente, è con la
Rivoluzione Russa e con la fine della Seconda Mondiale che si attesta un primo momento e aumento di diffusione. Poi, se
intorno al 1960 assistiamo alla nascita delle prime parrocchie ortodosse italiane, è comunque solo nei Novanta che ha vita il
vero e proprio boom, e di tipo quantitativo e in termini di diversità delle giurisdizioni adesso presenti.
La presenza degli ortodossi nel nostro paese è continuamente aumentata, questo sia in numero assoluto sia in percentuale
rispetto agli immigrati di altre tradizioni religiose. Infatti, nel 2006 gli ortodossi immigrati hanno superato i cattolici
immigrati e negli anni successivi si sono avvicinati anche al numero dei musulmani immigrati. In effetti, secondo una stima
del 2012, gli ortodossi presenti in Italia è di circa 1mln400mila, a fronte di 1mln600mila musulmani. Addirittura si dice che
nell'ipotesi che questo andamento si mantenga costante, gli ortodossi sarebbero destinati a superare i musulmani.

1.3 ALCUNI PARTICOLARI


Alla compilazione degli indirizzari delle varie parrocchie ortodosse presenti nel nostro paese ha fatto seguito una ricerca
tramite questionario strutturato (nell'anno 2011). Questo è stato inviato come allegato agli indirizzi e-mail dei parroci e
qualora venissero riscontrati problemi, si è ricorso a sottoporre il questionario tramite casella di posta ordinaria o tramite
intervista telefonica.
Su 355 parrocchie contattate hanno restituito risposta solo 112, quindi circa 1/3, il che vuol dire che non sarà possibile coi
dati raccolti universalizzare le uniformità tendenziali, né discernere uanto raccolto tra le diverse giurisdizioni. Ma
comunque si ha un punto di partenza per eventuali indagini future. Ecco alcuni dati:
- 3 parrocchie su 4 sono giovani, cioè fondate dopo il 2000;
- 3 parrocchie su 4 sono ospitate con formula "comodato gratuito rinnovabile" in sede concessa dai cattolici: questo è un
dato che evidenzia il rapporto abbastanza stretto che c'è tra gli ordini, ovviamente su cui sarà utile indagare ancora
successivamente;
- circa i luoghi di culto, va segnalato che alcuni edifici sono in progettazione e altri già in fase di costruzione: questo vuol
dire che in un futuro abbastanza vicino, forse sarà possibile riconoscere a vista d'occhio le parrocchie di matrice ortodossa,
le quali possiedono la tradizionale cupola dorata;
- altri dati mostrano come il profilo del pastore sia il seguente: 8 volte su 10 sposato, giovane con un'età compresa tra i 31 e
i 45 anni, di cittadinanza straniera (8 su 10, e di questi sono soprattutto romeni o moldavi) anche se non mancano gli
italiani, e con un livello di istruzione teologica mediamente alto (3 su 4 hanno la laurea in teologia e di questi un numero
consistente dichiara di aver proseguito in specializzazioni post-laurea).
- circa la vita delle parrocchie, i dati rilevanti vogliono che la lingua maggiormente utilizzata, concordemente a quanto
anticipato su, sia il romeno (seguito dall'italiano); inoltre, la media dei partecipanti domenicali è di circa 100 fedeli che,
nelle festività (specie Pasqua) aumenta drasticamente (si decuplica). Di questi fedeli, sono più le donne che gli uomini
(concordemente con la dinamica del mercato del lavoro). A partire da questi numeri, le funzioni che ne derivano sono di
circa 50 battesimi e di 8,8 matrimoni per parrocchia all'anno. Inoltre, tali parrocchie restano per circa la metà dei casi
aperte per tutta la settimana, il che vuol dire che nella restante metà dei casi i parroci sono impossibilitati a dedicarsi al
100% alla parrocchia perché occupati magari in lavori secolari per sostenersi economicamente. Inoltre, in 8 parrocchie su
10 si fa attività di catechesi o di scuola domenicale e in 7 parrocchie su 10 si svolgono attività sociali o assistenziali.
- Circa l'organizzazione interna di ogni parrocchia ortodossa, concordemente a quanto detto prima, il dato rilevante è che i
parroci tendenzialmente non vengono mantenuti completamente dalle parrocchie e quindi sono portati a trovare
un'attività/un lavoro secolare.
- Altri due dati rilevanti sono: fifty-fifty tra chiese che hanno registrato uno spostamento di sede e chiese che non l'hanno
fatto; 1 chiesa su 4 ha un sito internet (intraprendenza in termini di auto-inclusione).

1.4 CONCLUSIONI
Il cristianesimo ortodosso dovrà affrontare un periodo di stabilizzazione e istituzionalizzazione sia nei confronti dello Stato
italiano, sia ancora nei confronti della religione di maggioranza presente sulla penisola, il cattolicesimo.
- Dal punto di vista giuridico, nel luglio del 2012 c'è stato un grande passo in avanti nelle relazioni tra una giurisdizione e lo
Stato italiano, nel senso che è stata approvata la possibilità per i ministri di culto del patriarcato ecumenico di celebrare
matrimoni con validità anche civile, di poter insegnare anche la loro religione nelle scuole pubbliche e, infine, di poter
accedere alla ripartizione dell'8x1000.
- Sul versante propriamente religioso, i rapporti fraterni tra cristianesimo ortodosso e cattolicesimo sono buoni (anche se
variano in base alla giurisdizione considerata).
Detto quanto raggiunto, tra i tasselli che vanno ancora inseriti nel prossimo futuro, c'è da considerare il versante culturale,
per cui l'ortodossia deve cominciare a ripensarsi come un'entità più generale, universale, risolta dai nazionalismi.

CAPITOLO 2 - I SIKH (di Barbara Bertolani)


2.1 INTRODUZIONE
La comunità sikh in Italia è una realtà consolidata e in rapida espansione. Gli studiosi del settore, infatti, sostengono che i
sikh costituiscano in Italia la seconda presenza a livello europeo. Da in punto di vista numerico (seconda solo alla Gran
Bretagna).
Secondo le diverse stime fatte (sempre un'operazione problematica, questa), in Italia la presenza sikh ammonterebbe a
120mila regolari o a 220mila se si considerano anche gli irregolari. Ad ogni modo, una presenza abbastanza consistente e
consolidata.
Eppure, nel rapporto Caritas/Migrantes del 2010, questi non venivano neanche contemplati sul suolo italiano. C'è da dire,
infatti, che per arrivare ad una stima (per quanto sbagliata) di una presenza religiosa, si parte dall'identificare all'interno dei
flussi migratori una determinata nazionalità che solo se congrua rispetto a quella religione, viene poi ricondotta a
professante quella detta fede. Nel nostro caso Caritas/Migrantes del 2010, si è considerata la presenza indiana in Italia
come una presenza a maggioranza (80%) induista; solo il 2% della popolazione indiana in generale professerebbe religione
sikh. Tuttavia, si è dovuto riconsiderare il dato e questo nel senso che la stragrande maggioranza degli indiani presenti in
Italia provenivano dal Punjab, una regione indiana a maggioranza (60%) sikh; qui solo il 30% era induista.
Ad ogni modo, finora non è stata mai compilata una mappa ufficiale aggiornata dei luoghi di culto sikh in Italia. Perché?
1. Innanzitutto, per la tradizionale difficoltà del nostro paese a percepirsi come multireligioso.
2. Poi, perché le stime dei sikh risulterebbero ancora esigue numericamente parlando rispetto alle altre minoranze
religiose. In questo senso, notiamo infatti che la diaspora sikh in Italia è cominciata ad incrementarsi solo negli Ottanta, con
la progressiva chiusura delle frontiere da parte dei paesi anglofoni (metà occidentale preferita dagli indiani) oppure con la
guerra civile che dall''84 ha insanguinato per molti anni il Punjab.
3. Poi ancora, perché essendo che la migrazione dei sikh è ritenuta come pacifica, benevola, "buona" (a discapito di quella
"pericolosa" di altre compagini religiose), è possibile -e così è stato- che gli studiosi italiani non abbiano mai
completamente focalizzato la loro attenzione su questo particolare fenomeno.
4. Infine, perché questa dei sikh è una presenza che ha cominciato a rivendicare e richiedere spazio pubblico, visibilità, solo
in anni più recenti; il che ci porta a considerarci (noi studiosi, ma anche noi italiani) come "spiazzati" di fronte al fenomeno.
In definitiva, fatte queste premesse, in questo contributo ci concentreremo sui luoghi di culto e sulle loro caratteristiche
prevalenti; attenzioneremo inoltre uniformità, eterogeneità e aspetti di pluralismo interni alla comunità sikh italiana.

2.2 ASPETTI METODOLOGICI PER LA COSTRUZIONE DELLA MAPPATURA


Per la mappatura dei luoghi di culti sikh (gurdwara, "per grazia del guru" o "la porta del guru") sono state fatte alcune scelte
metodologiche. Innanzitutto è stato definito il criterio identificativo standard di ciò gurdwara, questo facendo riferimento a
quanto emerso nella letteratura, nelle osservazioni partecipanti e nelle interviste realizzate a testimoni significativi.
Tuttavia, se un gurdwara in letteratura si fa corrispondere ad un qualsiasi posto che ospita il Guru Granth Sahib (il libro
sacro dei sikh), ne viene che i gurdwara possono essere luoghi estremamente diversi: si passerebbe da piccole stanze,
magari in edifici di privati, a grandi edifici di culto. È quindi evidente che questa prima definizione è troppo vasta per essere
indagata dagli studiosi. Si è quindi inteso per gurdwara un luogo di culto sikh avente alcune caratteristiche strutturali
fondamentali. Cioè a dire che il gurdwara inteso dagli studiosi di turno è un edificio suddivisibile in alcune parti precise:
- la sala della preghiera in cui si riunisce la comunità di fedeli sikh;
- il refettorio;
- una cucina in cui vengono serviti pasti rituali in concomitanza con le funzioni religiose;
- la camera preposta al riposo notturno del Guru Granth Sahib.
[Nota: nella mappatura, per ragioni pratiche, sono stati conteggiati solo i gurdwara attualmente funzionanti.] Ad ogni
modo, questa definizione di gurdwara ha comportato l'esclusione di molti altri luoghi etnicamente misti.
[Nota sul Guru Granth Sahib. È considerato dai sikh alla stregua di un maestro (guru) anche se non è un essere umano in
carne e ossa. Tale libro è visto come qualcosa di vivo cui si deve massimo rispetto, rispetto che si manifesta attraverso una
precisa ritualità consolidata nel tempo che ha conseguenze anche sulle caratteristiche strutturali dei luoghi di culto sikh
pubblici, determinandone gli spazi.]
Detto del criterio con cui il gurdwara è stato definito, la mappatura di questi suo suolo italiano è stata realizzata a partire da
una lista ufficiale fornita da membri di un'associazione nazionale sikh. Tale lista, sebbene obsoleta, ha costituito il primo
elenco da cui siamo partiti per lo studio, elenco poi aggiornato e sottoposto a verifiche incrociate. Si è arrivati infine alla
mappatura.

2.3 CARATTERISTICHE DEL RADICAMENTO TERRITORIALE E DI QUELLO RELIGIOSO


I risultati della ricerca dimostrano l'esistenza di un nesso tra le caratteristiche del radicamento territoriale e quelle del
radicamento religioso. Cioè, detto che la presenza degli indiani in Italia è più che triplicata negli ultimi 8 anni è detto che
essa è tutt'altro che uniforme sul territorio nazionale (essendo concentrata maggiormente in quattro regioni del Centro-
Nord, cioè Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Lazio) causa dinamiche del mercato del lavoro italiano, il radicamento
religioso ha seguito analoga accelerazione e distribuzione.
Se, da una parte, la distribuzione geografica dei gurdwara rispecchia le zone di maggiore concentrazione residenziale
indiana in Italia, dall'altra parte non si può dire che il modo in cui si verifica questo rispecchiamento sia proporzionale. In
effetti, Lombardia, Lazio e Veneto registrano su per giù lo stesso numero di gurdwara (7-8) pur avendo differente
concentrazione di indiani. Sicuramente, poi, le ragioni di questa singolare distribuzione rispecchiano le specificità dei diversi
territori in quanto a risorse presenti.
- LAZIO. La migrazione indiana in l'azione presenta caratteristiche di maggiore precarietà residenziale e lavorativa. Tale
regione costituisce per molti indiani un territorio di passaggio ove fermarsi in una prima fase del progetto migratorio,
spesso magari ancora prima di aver regolarizzato i documento o di avere ricongiunto la propria famiglia. Qui, essendo alta
la soglia di povertà, i luoghi di culto sono di piccole dimensioni, molto sparpagliati per favorire una maggiore raggiungibilità,
e spesso ricavati in capannoni in affitto (forte mobilità, gurdwara nomadi).
- EMILIA-ROMAGNA. Qui i residenti sono più numerosi che in Lazio, eppure i gurdwara sono solo 3. In Emili-Romagna, i sikh
stanno meglio economicamente, quindi si registrano pochi gurdwara ma di enormi dimensioni, essendo che il benessere
economico permette ai fedeli di poter percorrere distanze abbastanza elevate e raggiungere il gurdwara di turno. Nota
importante, i gurdwara non sono ricavati in capannoni in affitto ma cominciano ad essere di proprietà della comunità sikh
ivi residente.
- LOMBARDIA. In Lombardia ci sono 7 gurdwara. I sikh, come in Emilia-Romagna, sono inseriti in modo stabile nell'industria
e nell'agricoltura locale, al punto che possiedono gran parte dei detti gurdwara i quali, date le dimensioni e l'organizzazione
interna delle attività, spesso fungono da punti di riferimento per le comunità locali di fedeli.
- VENETO. In Veneto la presenza degli indiani ha caratteristiche simili a quella emiliana e lombarda. Tuttavia, i 7 gurdwara
qui presenti registrano una potenziale particolarità, pvvero sono collocati a distanze ravvicinate, in comuni limitrofi, il che
fa pensare a possibili scissioni di comunità sikh inizialmente unite (ma questa ipotesi necessita di ulteriori conferme).
Alcune considerazioni generali...
- Nelle regioni settentrionali c'è una minore decentramento territoriale rispetto al Centro-Sud, ovvero le comunità sono
organizzate intorno a un numero minore di luoghi di culto.
- I gurdwara presenti al Nord accolgono un numero di fedeli più elevato e hanno maggiore stabilità territoriale (no
gurdwara nomadi), essendo spesso posti in locali di proprietà.
- Ciò presuppone un benessere economico maggiore tra i sikh al Nord, benessere che si coniuga con una maggiore capacità
di contribuire attraverso le offerte al finanziamento dei suddetti luoghi di culto (i gurdwara); si nota infatti che ogni
gurdwara è finanziato dalla comunità locale cui fa riferimento.

2.4 ELEMENTI DI ETEROGENEITÀ E ASPETTI COMUNI FRA I GURDWARA ITALIANI


- SIMILITUDINE. Tutti i gurdwara sono retti a livello organizzativo e amministrativo da un comitato gestionale che prevede
una serie di ruoli dirigenziali e che si rinnova periodicamente per elezione.
- DIFFERENZA. Se in alcuni gurdwara stesse persone possono svolgere diversi ruoli, in altri ad ogni persona è associata una e
una sola mansione (divisione ruoli più netta).
- SIMILITUDINE. Tale struttura organizzativa porta con sé un accentramento della leadership e una certa continuità delle
attività religiose e culturali proposte.
- DIFFERENZA. Alcuni templi hanno chiamato un granthi (custode del tempio) dall'India che è diventato una presenza
stabile e che svolge la sua funzione con contratto regolare e quindi pagamento formale. Altri gurdwara hanno adottato
invece una gestione più informale nel senso che preferiscono ingaggiare granthi (sempre dall'estero) per periodi più brevi,
granthi che quindi sono non Italia con la formula del visto turistico di tre mesi e che vengono pagati in maniera informale.
Nota: in tutti i casi, comunque, il granthi di turno riceve una formazione riconosciuta questo perché comunque al granthi il
compito di presiedere e permettere lo svolgimento di tutte le ritualità del gurdwara, per cui la formazione in tal senso è
fondamentale.
- SIMILITUDINE. Da un punto di vista strutturale e architettonico, quasi tutti i gurdwara sono ricavati da capannoni
industriali. Di solito di fronte all'ingresso principale di ogni gurdwara c'è una bandiera rettangolare posta su un'asta molto
alta. Similare anche la disposizione interna dei locali.
- SIMILITUDINE. La liturgia è interamente in punjabi. Recentemente però in alcuni locali sono stati installati dei maxi
schermi sui quali scorrono i sottotitoli in punjabi ma anche in inglese delle parole da recitare, il che permetterebbe una più
larga comprensione del testo ai fedeli.
- PARTICOLARITÀ. Molti gurdwara arrivano a promuovere una a serie di attività filantropiche (vedi raccolta fondi o dimora
momentanea per fedeli in difficoltà), ma anche attività scolastico-ludiche rivolte ai piccoli fedeli sikh (vedi insegnamento del
punjabi o i cosiddetti sikh camps, campeggi sikh).

2.5 IL PLURALISMO INTERNO AI SIKH


Due sono gli elementi di pluralismo interno su cui è stato possibile, con questa ricerca, soffermarsi:
- IL DISCORSO SULLE CASTE. Il significato che le caste assumono nel sikhismo è molto diverso rispetto a quello che hanno
nell'induismo. Infatti, la religione sikh afferma che la salvezza non dipende dalla casta e che pertanto questa è un'innocua
convenzione sociale. Eppure, la ricerca fatta in questo contesto mostra come non vale sempre questo principio e che anzi
per moti sikh queste caste strutturano le reti di relazioni tessute e le pratiche sociali effettivizzate. La questione pare molto
delicata, tanto che potrebbe portare a scontri e scissioni comunitarie, da cui la potenziale nascita di ulteriori gurdwara.
Argomento, comunque, che meriterebbe essere approfondito.
- IL DISCORSO SUL BATTESIMO E, PIÙ IN GENERALE, SULL'INIZIAZIONE. L'iniziazione ha conseguenze sociali ben precise,
perché secondo alcuni origina una divisione nella comunità dei sikh, nello specifico tra coloro che pensando di mettere in
pratica fino in fondo la parola di Dio (chi si sottopone al battesimo) e tutti gli altri, ponendo a questo punto le basi per una
possibile gerarchia interna.
Queste forme di pluralismo interno riguardante il modo di concepirsi è stato sottolineato anche in altre ricerche condotte
nei paesi anglofoni, mete tradizionali della migrazione sikh.

CAPITOLO 3 - I MUSULMANI E I LORO LUOGHI DI CULTO (di Khalid Rhazzali e Massimiliana Equizi)
3.1 CHI SONO I MUSULMANI?
Nel panorama delle presenze religiose in Italia, i musulmani rappresentano numericamente la compagine più grande tra le
minoranze religiose (1,6mln). Quando parliamo di musulmani non parliamo di quel tipo di persone che i media e la retorica
politica ci rappresentano, ma più banalmente pensiamo a persone che vivono o che provengono da paesi in cui la religione
predominante è l'islam.
Detto questo, esistono tante tipologie di musulmani: sufi, salafi, musulmani che mantengono un rapporto più distaccato
con la pratica religiosa (salvo comunque recuperi di qualche precetto in occasioni particolari), musulmani che invece vivono
a strettissimo contatto con la pratica religiosa...Tutto questo ci induce a pensare l'Islam come un fenomeno complessissima
sociologicamente parlando, da cui l'importanza di uscire nell'approcciare a questo, da una visione essenzialistica. Sì, perché
anche in quello che chiamiamo musulmano ci sono tantissimi piani che si intrecciano complessificando il quadro.

3.2 I MUSULMANI D'ITALIA


Il caso italiano è forse il panorama musulmano più complesso d'Europa. La presenza islamica in Italia si è costituita in tempi
relativamente rapidi nel corso dell'ultimo ventennio. Si tratta di un islam migrante, per lo più di prima generazione (ma
anche di seconda). In Italia una prima significativa immigrazione si è avuta agli inizi degli anni Settanta, in Sicilia,
immigrazione proveniente dalla Tunisia. A questa hanno poi fatto seguito, durante il decennio successivo, quella
marocchina e quella senegalese (non più solo in Sicilia, ma sparse per tutto il territorio italiano). Si nota come in misura
minore si siano registrati anche flussi migratori musulmani di provenienza somala.
Tuttavia, è solo dai primi Novanta che il flusso migratorio si fa più intenso e più diversificato in termini di provenienze: a
quella già citata dell'Africa subsahariana si aggiunge quella dell'area balcanica (Albania ed ex Jugoslavia) e quella del Sudest
asiatico (Bangladesh e Pakistan).
In tutte queste migrazioni l'elemento comune era il fatto che essere islamici, per chi appunto lo era, non voleva dire solo
professare una religione, ma si traduceva anche e soprattutto in una precisa fonte identitaria che andava protetta,
salvaguardata, tutelata. Di più, l'islam diffuso e visibile, se da una parte ha questa tendenza a vivere il contesto con una
certa intensità (forte identificazione col luogo vissuto), dall'altra parte comunque mantiene una larga disponibilità alla
mobilità sul territorio (flessibilità indiscussa e capacità di interazioni fruttuose con gli attori locali). Ovviamente poi, quello
che accade è che i musulmani in numero (parlando per contesto) non superano mai quella soglia tale da poter essere
incisivi nelle scelte di rilevanza pubblica, per cui risultano sempre una presenza per certi versi defilata.
Ma nel 2001 (si ricordi l'emblematico 11 Settembre), accanto a questi particolari flussi migratori (i flussi di musulmani)
cominciavano ad essere fatte coincidere le etichette, dunque lo stereotipo, di "persone risentite e aggressive",
rappresentazione islamica distorta dalla quale nell'ultimo ventennio si attingerà in termini di dibattito pubblico sul tema di
questo particolare flusso migratorio.
Nei primi anni Novanta (ma dura ancora oggi), nel contesto italiano, si registra una crisi politica istituzionale data
dall'incapacità di gestire e governare tali flussi migratori. Insomma, il disagio era forte. Il problema andava ricercato nel
fatto che mancavano (e mancano tutt'oggi) gli strumenti legislativi che sancissero l'inizio di un progetto di inclusione sociale
in cui gli immigrati e i loro figli potessero risultare come una risorsa, non più come un peso, agli occhi del governo italiano.
Eppure, ad ogni modo la componente musulmana sembrava destinata a restare, nonostante il radicamento sul territorio
come corpo estraneo rispetto allo spazio reale della cittadinanza. Questo, al punto che i musulmani in Italia oggi
rappresentano una componente consolidata dello scenario nazionale (ripetiamo, le stime parlano di 1,6mln di persone).
La presenza islamica è diffusa su tutto il territorio italiano ed è una presenza che tende a ricalcare la geografia del mercato
del lavoro (come avviene per tutte quelle che vengono definite "migrazioni economiche"). Così, per quanto non manchino
presenze nel Meridione d'Italia (specie nei settori agricolo, del commercio ambulante e del turismo), è il Nord Italia
l'obiettivo principale degli immigrati musulmani. Infatti, le più alte presenze musulmane sono registrate in ordine
decrescente in Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Piemonte (seguite da Lazio e Toscana). Qui, risultano ampiamente
occupati nei diversi settori del manufatturiero e del commercio e, di più, stann cominciando ad ampliarsi anche in termini di
microimprese (vedi kebabberie, phone centre, agenzie di money transfer, macellerie halal, saloni di parrucchieri e
acconciatori...).
Ad oggi, l'islam entra nello spazio pubblico italiano attraverso momenti di aggregazione e forme di associazionismo che
rivendicano la tutela del loro profilo identitario e culturale, elementi in cui è centrale il fattore religioso. Lo Stato italiano da
parte sua, nel corso degli ultimi anni sollecitato da queste organizzazioni islamiche, si è confrontato con queste esigenze
inclusive, tuttavia mostrando largamente i pregiudizi di cui sopra (stereotipo di persona aggressiva e con risentimento)
relativi al professante islam. Tale episodio si colloca all'interno di un quadro istituzionale, quello italiano, incapace di
affrontare il tema della libertà religiosa e incapace quindi di porre le basi per un'intesa concepita nei principi della
costituzione che sancisca di fatto il pluralismo religioso.

3.3 PER UNA MAPPA DELLE MOSCHEE E DEI LUOGHI DI PREGHIERA


3.3.1 Nota metodologica
Anche se potrebbe apparire un'operazione non particolarmente complessa, l'obiettivo di produrre una mappa il più
possibile esaustiva dei luoghi di culto e di aggregazione religiosa di matrice islamica è cosa assai difficile. Sulla scorta della
letteratura precedente, si è proceduto innanzitutto a una mappatura delle più significative organizzazioni islamiche presenti
sul territorio italiano dalle quali dipendessero i luoghi di culto. Poi identificate, contattate e informate, si è chiesto loro di
condividere l'obiettivo del progetto, da cui l'accesso ai dati in loro possesso. Attraverso questo processo, si è acquisita
un'ampia base di informazioni che successivamente si è cercato di integrare ricorrendo ad altre fonti, vedi spogli della
stampa quotidiana nazionale e locale e ricerche in rete. Nota: durante la ricerca è stato rilevante l'impegno mostrato e
dall'Università del Piemonte Orientale (che ha radunato un numero significativo di leader religiosi musulmani) sia
l'Università degli Studi di Padova (Dipartimento di Sociologia).

3.3.2 Masajid e Musallayat


Per moschea, masjid (pl. masajid), si intende un luogo di culto musulmano che abbia una struttura architettonica
caratterizzata da un cortile per le abluzioni (lavande) e a grande sala di preghiera del venerdì e delle grandi feste del
calendario musulmano. La moschea adempie al ruolo simbolico di manifestazione pubblica della centralità della pratica
religiosa per i musulmani e quindi ha valore di evocazione del loro orizzonte culturale.
Detto questo, in Italia esistono pochissime moschee propriamente dette, per cui i luoghi di culto musulmano, più che
moschee, sono musallayat, cioè spazi per lo più aperti in cui prendevano ad essere svolte le preghiere. È quindi evidente
che il censimento di questi luoghi, magari reduci da vicende spesso travagliate (vedi sfratti, contestazioni e cambi di
destinazione d'uso, locazioni sospese...) non si presenta così semplice. Ecco quindi che in questa ricerca il criterio della
mappatura che si è tenuto in conto per definire un luogo di culto come tale è stata la possibilità di verificarne indirizzo ed
esistenza e reperibilità in esso di un'associazione di matrice religiosa di tipo islamico. [Nota. L'islam come detto in
precedenza, in assenza di un'intesa con lo Stato e quindi di una legge vera e propria, non figura giuridicamente come un
"culto ammesso", così le moschee, sempre giuridicamente parlando, non sono concepite come luoghi di culto a cui
dovrebbero essere associati benefici di varia natura, oltre che economica.]
In definitiva, oltre alle poche moschee propriamente dette, in Italia i luoghi di culto presi in esame sono di diversa tipologia.
Più in generale, sono quelli che si definiscono "centri islamici", ovvero luoghi in cui agli spazi aperti di preghiera se ne
associano altri che consentono di svolgere attività di dico formativo e culturale (vedi scuola coranica, insegnamento lingua
araba a bambini e non iniziative rivolte alle donne, incontri pubblici, conferenze...). Tali centri islamici spesso fungono da
momento di coordinamento della città o della provincia, che così facendo, organizza i vari progetti/servizi che intende
proporre (anche di tipo assistenziale). Nella stragrande maggioranza, comunque, ci troviamo di fronte a sale di preghiera
ricavate in spazi adattati, originariamente capannoni, negozi o depositi, nei quali a volte alla preghiera si associano attività
finalizzate a recuperare risorse per il mantenimento della sede e delle sue attività religiose.
In definitiva, la cifra complessiva dei luoghi mappati in Italia è di 655 tra centri islamici e moschee propriamente dette.

3.4 LE ORGANIZZAZIONI ISLAMICHE IN ITALIA OGGI


Ripercorrendo la storia dell'islam d'Italia, possiamo constatare che accanto alle aggregazioni associative che gestiscono le
moschee e i luoghi di culto ci sono stati diversi tentativi di dar vita a reti associative più grandi che avessero il compito di
negoziare a livello nazionale con lo Stato italiano. Avvicinandoci ai giorni nostri, riscontriamo 2 tendenze (+2 extra):
1. La costruzione di un islam italiano. Qui convergono gli sforzi di aggregazioni di musulmani di diversa provenienza
peninsulare che sono uniti nel riconoscimento di una dimensione all'islam ormai italiana. Fenomeno in crescita.
2. La ripresa del tema dell'islam etno-nazionale. In questo senso nascono e si rafforzano organizzazioni di musulmani
caratterizzate dalla provenienza omogenea degli aderenti, con il concorso del patrocinio dei relativi Stati esteri.
3. Questa dinamica vede il formarsi di movimenti di coordinamento per lo più a livello locale che attenzionano le specificità
delle esperienze vissute in loco (vedi le associazioni islamiche di m l'ano, di Vicenza e della Liguria).
4. Ancora, al di là di queste prime tre tendenze, se ne registra una quarta che punta alla formazione di organizzazioni
federali di tipo religioso-politico. In questo senso, le due principali organizzazioni federali presenti in Italia sono l'UCOII e il
CII: sono entrambe organizzazioni federali interessate a partecipare al dibattito pubblico nei termini della tutela
dell'identità musulmana; il distinguo principale sta nella matrice della seconda, esplicitamente collegata al Governo
marocchino. Il dialogo tra organizzazioni federali e Governo italiano è la priorità in entrambi i casi.

3.5 DIRITTO ITALIANO E DIRITTO CORANICO A CONFRONTO


Il rapporto tra diritto italiano e diritto musulmano è un rapporto che fin dai suoli albori si è connotato come difficile. Le corti
italiane sono state, dai Novanta in poi, chiamate sempre più spesso a proclamarsi su questioni di tipo giuridico che
vedessero confrontarsi questi due ordinamenti, per certi versi incompatibili. La frontiera da raggiungere sarebbe quella di
un progressivo ammodernamento del diritto italiano comprendendo una forte impronta di natura islamica, ma ripetiamo è
una sfida. La realtà dei fatti, invece, vuole che siamo molto lontani dal raggiungimento di una riconoscimento a livello
statale dell'ordinamento coranico da parte del tribunale di Stato. Istituzionalizzazione lontana e piena di problemi. Sì,
perché laddove non è possibile evitare il confronto, vengono a galla ovvi problemi di incomprensione prima di tutto
valoriale, oltre che normativa, tra i due istituti giuridici (vedi tutto ciò che riguarda la poligamia e il ripudio). Problemi di
incomprensione anche in termini di traduzione. Però, ci sono anche temi su cui il confronto tra l'istituto coranico e quello
statale appare costruttivo, vedesi ad esempio tutto quello che riguarda la tutela dei minori.
In definitiva, prima ancora del conflitto di norme c'è un conflitto di valori e questo è palese. Una sfida, ripetiamo, sarà
quella di ampliare il diritto italiano in modo da tenere in conto, per quanto possibile, di interessi pratici di matrice islamica.
Il tutto, nei termini di una più ampia legittimazione normata da costituzione del pluralismo religioso.

CAPITOLO 4 - L'ORIENTE ITALIANO (di Andrea Molle)


L'intensificarsi dei flussi migratori provenienti dall'Asia ha determinato, nel nostro Paese, l'aumento di gruppi e tradizioni
che si rifanno a esperienze religiose, ma anche para-religiose, ma anche spirituali (ovviamente di origine orientale). Tali
esperienze risultano difficilmente quantificabili, anche perché spesso si tratta di micro-realtà che appunto sfuggono a
indagini quantitative, o anche di realtà "a breve durata".

4.1 IL BUDDHISMO E L'UNIONE BUDDHISTA ITALIANA (UBI)


Il buddhismo è una religione di matrice indiana. Questa, seppure con le dovute differenze tra le diverse scuole, non si
esprime in termini fideistico o di venerazione ad alcuna divinità, ma sottolinea come attraverso la pratica della meditazione
e l'assunzione di corretti comportamenti e precetti da applicare in tutti i momenti della vita, il praticante possa raggiungere
lo stato di nirvana. In questo senso, in tutte le sue principali tradizioni, il buddhismo dà una particolare attenzione alla non-
violenza e ai sentimenti di amore e compassione.
In Italia il numero di praticanti è stimato al 2008 tra le 100mila e le 160mila unità e, al 2012, le cifre paiono essere maggiori.
Tre sono le principali scuole buddhiste presenti sul suolo italiano:
1. IL BUDDHISMO THERAVĀDA (lett. "la scuola degli anziani"). È ritenuto al a corrente più ortodossa del buddhismo
attualmente praticata. Questa scuola è dominante nei paesi del Sud dell'Asia (vedi Sri Lanka, Cambogia, Thailandia, Laos,
Birmania...). Anche in Italia ci sono diversi centri devoti alla pratica di questa religione, centri che sono legati soprattutto
all'immigrazione singalese (cioè gli abitanti dello Sri Lanka).
2. IL BUDDHISMO MAHĀYĀNA (lett. "grande veicolo"). Più che una vera e propria scuola, è un contenitore di diversi lignaggi
di cui la specificità comune è la possibilità di raggiungere lo stato di nirvana grazie, sì, a meditazione e comportamenti come
da precetto, ma anche grazie all'aiuto della figura del bodhisattva, una persona che ritarda la sua estinzione nel nirvana al
fine di permetterla prima agli altri esseri viventi. Questa corrente buddhista è maggiormente diffusa in Cina, Corea, Vietnam
e Giappone. Tra i lignaggi, quello della "Terra pura" afferma che è impossibile raggiungere l'illuminazione in questa vita e
quello Ch'an che enfatizza la meditazione come unico mezzo per il vero risveglio spirituale al di là delle parole o della fede.
3. IL BUDDHISMO VAJRAYĀNA (O TIBETANO) (lett. "veicolo di diamante"). Al suo centro è la figura del Dalai Lama, un guru.
Questa tradizione è praticata diffusamente in Tibet, Nepal, Siberia, Mongolia e India del Nord.
4. BUDDHISMI SINCRETICI. Inoltre, è ormai da tempo che in Italia sono presenti anche altre forme di buddhismo per certi
versi occidentale, o sincretico. Queste fondono il cristianesimo con i principi buddhisti e non richiedono a chi ne segue i
precetti una vera e propria conversione.
In Italia, tutte queste tradizioni (Theravāda, Mahāyāna e Vajrayāna) sono organizzate sotto l'egida dell'Unione buddhista
italiana (UBI), un'organizzazione che ha lo scopo in primis di tutelare gli interessi della crescente comunità buddhista
italiana e, in secundis, di far sviluppare le relazioni tra i vari centri buddhisti in Italia salvo poi farsene portavoce. Oltre a
queste funzioni mainstream, l'UBI patrocina anche eventi e possiede una rivista, "Dharma". L'UBI è riconosciuta dallo Stato
italiano nel 1991 come interlocutore per il buddhismo in Italia. Tale organizzazione è gestita da un consiglio di
amministrazione di base volontaria e il suo presidente una volta eletto resta in carica per tre anni.

4.2 LA SŌKA GAKKAI


È un nuovo movimento religioso che si rifà alla tradizione buddhista giapponese. Chi ha fondato questa corrente religiosa,
lo ha fatto nel tentativo di elaborare una nuova pedagogia basata sull'idea appunto di "sōka", cioè di "creazione di valore".
In questa religione, il daimoku (ovvero la pratica religiosa) ha la principale funzione di consentire a chi lo recita di entrare in
diretto contatto con il flusso della vita e permette al praticante un graduale sviluppo esistenziale verso una consapevolezza
della vita sempre più profonda, un processo che viene definito "rivoluzione umana".
Dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale il governo giapponese promosse una politica fortemente repressiva nei
confronti di diversi gruppi religiosi nel tentativo di imporre il primato dello Shintō, la religione autoctona del Giappone che
riconosce all'imperatore lo status di divinità. Fu allora che questa nuova forma di buddhismo si propose come modello di
vita ideale per la nuova società giapponese del dopoguerra, questo crescendo rapidamente sia in Giappone sia ancora nel
resto del mondo. Ad oggi, la sōka gakkai dichiara 12 milioni di fedeli in tutto il mondo (la stima è comunque oggetto di
dibattito).
La presenza dei primi professanti della sōka gakkai in Italia risale ai primi Sessanta, processo di radicamento che si apre nei
Settanta, incrementa negli Ottanta e raggiunge una prima battuta di arresto all'inizio del 2000. Ricordiamo che questa cosa
(la battuta di arresto) potrebbe avere a che fare con la scissione di cui è stata protagonista nel 1991, da cui anche la
scomunica dal tempio principale. In questo senso, molti membri hanno smesso di praticare e altri sono rimasti fedeli, ma in
generale la religione ha come dire perso di appeal. In Italia la sede centrale della sōka gakkai è a Firenze e la sua
consistenza numerica in termini di fedeli ammonta a circa 60mila unità. Le sedi italiane dipendono dalla presidenza
giapponese, tanto che un ritiro di approvazione di questa (della sedee centrale) determinerebbe la decadenza immediata
delle medesime (le sedi in Italia).

4.3 I NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI GIAPPONESI


Nel nostro Paese notiamo la particolare presenza, seppure spesso non organizzata delle cosiddette "nuove religioni" di
matrice giapponese. Queste, fatte risalire alla fine dell'epoca Tokugawa (metà del 1800), solo nella seconda metà del
Novecento sono diventate oggetto di analisi sociologica. Proviamo a tratteggiarne alcune, tra quelle presenti in Italia.
- TENRIKYŌ. Setta shintō fondata nel 1838, è considerata una delle più importanti nuove religioni giapponesi oggi presenti
in Italia. Ammette il primo e unico centro missionario peninsulare a Roma.
- SHINNYŌ-EN. È un movimento religioso buddhista di lignaggio esoterico shingon che è stato fondato nel 1951. Questo è
approdato in Europa prima e in Italia poi per via dell'immigrazione giapponese; infatti, il primo gruppo di aderenti faceva
riferimento al tempio di Parigi, salvo poi allargarsi ed aprire un centro italiano a Milano (1990).
- SEKAI KYŪSEI KYŌ. È un movimento religioso che annovera poche centinaia di fedeli che, se in un primo momento ha
cercato di presentarsi come finalizzato alla pratica di "terapie alternative" volte a migliorare la salute e combattere le
malattie, a partire dal 2006 ha abbandonato questo approccio per proporsi come un'associazione dichiaratamente
religiosa.
Tutti questi movimenti condividono almeno quattro elementi che adesso proviamo a enucleare:
1. La figura di un fondatore (o di una fondatrice) definito come un intermediario, un modello di vita e/o una pseudodivinità
incarnata.
2. L'impiego di un framework pseudoscientifico estremamente accattivante nel definire il rapporto tra la realtà terrena e il
mondo immateriale come un meccanismo di causa-effetto-soluzione.
3. Il contenuto del messaggio di salvezza che, contrariamente all'esperienza cristiana, include la promessa di benefici
materiali e spirituali immediati legati alla conversione e alla pratica religiosa.
4. L costante presenza di una forte struttura organizzativa che trova il suo vertice nel leader.

4.4 CONCLUSIONI
Sebbene espressioni di una religiosità minoritaria, in generale gli studiosi rilevano nu crescente interesse per queste nuove
forme di religiosità in Italia. Circa i praticanti italiani è possibile dire che se i primi hanno dovuto convertirsi in età adulta ad
una specifica tradizione religiosa, le seconde e le terze generazioni che sono seguite non hanno effettuato alcuna
conversione ma sono nate e cresciute come tali (credenti di quella specifica tradizione religiosa). Ancora, i praticanti italiani
sono per lo più appartenenti alla classe media e per lo più donne.
Centri e templi legati alle religioni orientali si trovano soprattutto nelle regioni economia mente più dinamiche, nel Nord
(vedi Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna), mentre molto rara è la loro presenza al Sud e nelle Isole. La qual cosa
probabilmente è dovuta ai flussi migratori che, fin da sempre, sono maggiormente stati orientati nel caso italiano verso il
Settentrione.

CAPITOLO 5 - LE CHIESE NEOPENTECOSTALI E CARISMATICHE AFRICANE (di Annalisa Butticci)


5.1 CARATTERISTICHE GENERALI
Le Chiese pentecostali e carismatiche africane (specie nigeriana e ghanese), sono una realtà nuova in Italia. Per poter
proseguire nello studio di campo che viene presentato in questo capitolo, innanzitutto il punto di partenza considerato sarà
dato dai dati ISTAT sulla popolazione nigeriana e ghanese presente in Italia, con particolare attenzione alle aree di residenza
della suddetta. Successivamente sono state prese due aree geografiche delimitate, cioè la provincia di Padova e quella di
Vicenza, rispettivamente la zona a più alta concentrazione nigeriana e ghanese. Infine, sulla scorta di quanto ottenuto, è
stato possibile generalizzare i risultati all'intero territorio nazionale. Nota: nello studio è stata presa in considerazione solo
la popolazione con regolare permesso di soggiorno, quindi attenzione che specie al Sud (dove sono maggiori le richieste di
manodopera per lavori informali) i numeri indubbiamente lievitano.
I gruppi di nigeriani e ghanesi si presentano sul territorio italiano con nomi che includono "Chiesa pentecostale, carismatica
ed evangelica", ma accanto a questi termini ci sono definizioni quali "neopentecostali" o "neocarismatici". Vediamo di che
si tratta:
- PENTECOSTALI. Sono protestanti o Chiese indipendenti che fondano il proprio credo nella conversione e nel battesimo
dello Spirito Santo fonte di doni spirituali (quali profezie, guarigioni e glossolalia).
- NEOPENTECOSTALI. Sono dei pentecostali di ultima generazione. Pur credendo omologamente ai pentecostali, si
sviluppano in totale autonomia e indipendenza da questi.
- CARISMATICI. Possono essere pentecostali, cattolici, ortodossi e di altre confessioni protestanti. Il loro credo è molto
vicino a quello pentecostale (centralità dei doni dello Spirito Santo e doni da esso conferiti), ma nascono in separata sede e
separati tempi rispetto a questi. Per quanto simili, non sono una prosecuzione o una diramazione dei pentecostali, ma si
pongono come alterità rispetto ad essi.
- NEOCARISMATICI. Come i neopentecostali coi pentecostali, rappresentano la prosecuzione in termini di seconda
generazione (e così via) dei carismatici.
- EVANGELICI. Detto che a pentecostali e carismatici può essere attribuito anche questo carattere, con evangelici si indica,
oltre alle caratteristiche già enucleate (centralità dello Spirito Santo e dei doni da esso conferiti), questi credono
fortemente nella evangelizzazione, ovvero nella condivisione e diffusione del messaggio cristiano contenuto nella Bibbia.
Dunque tutte le denominazioni ed espressioni cristiane possono essere definite anche evangeliche.

5.2 STORIOGRAFIA DELLE CHIESE PENTECOSTALI E CARISMATICHE NIGERIANE E GHANESI IN ITALIA


Il percorso storico dell'attuale presenza delle Chiese nigeriane e ghanesi in Italia è iniziato tra la fine degli anni Ottanta e
l'inizio degli anni Novanta, quando c'è stato il primo significativo movimento migratorio dall'Africa dell'Ovest. Erano gli anni
della forte richiesta di manodopera nel settore dell'agricoltura nel Sud e dell'industria nel Nord Italia. Tuttavia l'inserimento
lavorativo non esauriva i bisogni di una popolazione, quella africana, per la quale il legame comunitario rappresentava una
risorsa sociale vitale. Si iniziarono allora a creare dei gruppi di preghiera alternativi a quelli proposti dalle parrocchie
cattoliche o dalle Chiese protestanti, come ad esempio le Assemblee di Dio. Questi presero a svilupparsi perché le entità
Chiese già presenti in suolo italiano non erano state in grado di accogliere i bisogni della popolazione migrante, a causa e
della barriera linguistica e della diversa ritualità e liturgia, da cui il disagio manifestato dai nuovi fedeli.
Coloro che, in questi nuovi enti religiosi, si fecero portabandiera (i promotori di questi nuovi gruppi di preghiera e/o i
pastori degli stessi) non avevano alcuna esperienza pregressa di leadership religiosa. Tuttavia erano portatori di un solido
capitale religioso accumulato presso le Chiese pentecostali, carismatiche e cattoliche in Ghana e Nigeria. In questo senso, i
nuovi pastori erano stati catechisti, diaconi, o semplicemente membri attivi e appassionati delle loro Chiese. A questi, poi, si
affiancarono i migranti nigeriani e ghanesi che si convertivano stesso in Italia, a mo' di "born again" (la condizione
diasporica condivisa risvegliava nuovi bisogni che si concretizzavano nella partecipazione a queste Chiese). Ad ogni modo,
uno dei punti di forza di queste nuove leadership era che, seppure si parlasse di persone scarse teologicamente, le stesse
dimostravano comunque un significativo potere di comunicazione, inteso come abilità di trasmettere significati e creare
nuove energie socioreligiose.

5.3 DISTRIBUZIONE TERRITORIALE E STIME SULLA PRESENZA NEL TERRITORIO


Le differenze di distribuzione dei migranti africani (specie nigeriani e ghanesi) in Italia seguivano le dinamiche del mercato
del lavoro. Ciò che, poi, risulta dallo studio appurato in questo capitolo è che al 1º gennaio 2011:
- la popolazione nigeriana presente nella provincia di Padova era di 3600 unità circa, per una distribuzione di 31 Chiese
pentecostali e carismatiche;
- la popolazione ghanese presente nella provincia di Vicenza era di 5600 unità circa, per una distribuzione di 30 Chiese
pentecostali e carismatiche.
Ne deriva una stima di una Chiesa pentecostale e carismatica ogni 100 nigeriani e una Chiesa pentecostale e carismatica
ogni 130 ghanesi. Da qui, la stima di chiese pentecostali e carismatiche sul territorio nazionale era di 500 di matrice
nigeriana e di 350 di matrice ghanese.

5.4 IL MODELLO MISSIONARIO


L'evoluzione di queste Chiese e l'attuale mappa della loro presenza in Italia derivano banalmente dai movimenti di uomini e
donne che hanno costruito nuove geografie religiose, che si sono fatti quindi portatori di un nuovo messaggio religioso che
ha più o meno, poi, attecchito localmente. La dinamica di questo preciso processo di evangelizzazione è stata definita, da
Walker, "MMM", ovvero Modello di Missione Migrante. Tale modello si sviluppa in sei fasi:
1. Arrivo dei migranti in Europa
2. Insediamento lavorativo e familiare
3. Formazione di nuovi gruppi di preghiera che lentamente si trasformano in Chiese
4. Contatto con la Chiesa madre nel paese d'origine
5. La Chiesa madre invia missionari per supportare le Chiese formatesi in autonomia e indipendenza
6. La comunità di fedeli si consolida tra la popolazione migrante.
In questo modello il ruolo della Chiesa madre è marginale, perché semplicemente si aggiunge a un lavoro già messo giù dai
migranti. Il suo intervento si traduce solo in invio di pastori e amministratori allo scopo di formare i leader locali; più raro,
ma comunque possibile, l'invio di risorse economiche dalla Chiesa madre a quella "migrante".

5.5 UNO STUDIO DI CASO: LA CHIESA DELLA PENTECOSTE IN ITALIA (CHURCH OF PENTECOST, COP)
La COP è una singolare Chiesa pentecostale ghanese. Questa è nata da una scissione di tipo dottrinale circa i temi della
guarigione e dell'uso di farmaci. La COP pone la Bibbia al centro della propria dottrina, crede nel battesimo dello Spirito
Santo, in Gesù Cristo salvatore, nei doni dello Spirito Santo e nella guarigione divina. In Ghana è una delle più grandi e
consolidate Chiese pentecostali.
Ciò che rende peculiare la COP è l'imparagonabile progetto missionario intrapreso a livello mondiale, infatti a ben vedere è
presente in Africa, Europa, Stati Uniti, Sidamerica, Asia, Europa dell'Est. Tale articolata strategia missionaria ha portato
questa Chiesa a essere tra le più influenti sia in Ghana che nelle diaspore ghanesi nel mondo.
In modo particolare, in Italia la COP affonda le sue radici da migranti economici prima insediatisi a Castel Volturno, poi a
Udine. Da qui (Udine), sulla scorta del Modello di Missione Migrante, ha chiesto aiuto alla sede centrale della COP ad Accra,
ricevendolo e consolidandosi in territorio italiano. Nel 2001 la COP ha 71 Chiese divise in 18 distretti, per un totale di
membri attivi di circa 7800 unità. La nazionalità di questi è prevalentemente ghanese, tanto è che gli italiani registrati sono
solamente 3 (ci sono anche migranti africani di 140 nazionalità diverse).
Il caso della COP è molto simile ad altre Chiese che si sono inserite in un progetto di missione transnazionale. Certo, tra
queste altre Chiese ce ne sono alcune molto deboli che sopravvivono a fatica, o che, talvolta, si dissolvono nel nulla.

5.6 PROLIFERAZIONE, MOBILITÀ E VULNERABILITÀ


Le difficoltà che le Chiese pentecostali e carismatiche africane incontrano oggi nel contesto italiano sono riconducibili a
un'ardua integrazione (si fa fatica sia ad adattarsi per quanto riguarda gli africani sia a permettere l'integrazione da parte
degli italiani). L'estraneità tra queste Chiese e il contesto italiano è un ostacolo importante in quanto, in queste condizioni,
le dette Chiese sono prive di strumenti e informazioni necessari per elaborare un vero e proprio progetto evangelico rivolto
anche agli italiani.
Le Chiese pentecostali e carismatiche africane in Italia sono ancora di prima generazione e, di più, continuano a fiorirne
sempre di nuove tipologie/nomenclature. Il tipo di organizzazione di tali Chiese è riconducibile all'idealtipo "Chiesa-impresa
carismatica", ovvero strutture leggere e fluide nate dal volere di un pastore o di una pastora che cercano per carisma di
fidelizzare membri, pur talvolta sembrando "mistici intramontabili" (Pace).
...e se la moltiplicazione delle Chiese pentecostali e carismatiche africane in Italia è anche il risultato di forti tensioni
secessioniste attraverso le quali personalità ambizione lasciano la loro Chiesa per fondarne una nuova, questa tendenza
rappresenta a ben vedere uno dei maggiori ostacoli alla formazione di una massa critica che sia in grado di negoziare la
propria autorità con gli altri e magari maggiori soggetti religiosi.
Altra fonte di vulnerabilità è l'estrema mobilità e incostanza dei membri. Se dunque appare tendenzialmente facile aprire
una Chiesa, difficile è invece garantirne la sopravvivenza. Questo perché i fedeli continuano a spostarsi da una comunità
all'altra o seguendo i movimenti del mercato del lavoro, o i movimenti del mercato abitativo, o ancora per rincorrere dei
doni carismatici più allettanti. Per mobilità si intende anche il fatto che i luoghi di aggregazione in oggetto "Chiese" sono
spesso soggetti a continue ricollocazioni; in questi casi i membri seguono, ma anche no, gli spostamenti della Chiesa (per
svariate ragioni).
Altri elementi di vulnerabilità:
- difficoltà economiche;
- tensioni nell'ambiente esterno, vedi proteste da parte dei nuclei abitativi vicini;
- sfratti;
- eventuali traslochi in zone periferiche, isolate e malconce;
- fondazione da parte di un imprenditore poco carismatico, con poca esperienza o senza autentica passione;
- fedeli delusi che lasciano i luoghi di culto;
- altro.
L'impatto che queste chiese avranno nella società italiana e soprattutto nella religiosità degli italiani è ancora da valutare.
Di certo, gli italiani che partecipano agli eventi religiosi pentecostali e carismatici africani sono pochissimi. Queste Chiese
risultano essere dunque un luogo esclusivo delle popolazioni pentecostali africane in Italia. Tuttavia, la loro presenza è
parte di un processo di pluralizzazione religiosa nel quale la cristianità si presenta nelle sue diverse tradizioni culturali.
La sfida di queste Chiese sarà dunque quella di comunicare un messaggio religioso che sia in grado di rispondere ai bisogni
spirituali di diversi gruppi etnici, compresi gli italiani.

CAPITOLO 6 - PROTESTANTI, EVANGELICI, TESTIMONI E SANTI (di Paolo Naso)


6.1 UN TRONCO, MOLTI RAMI. PRESENZE E DINAMICHE DEL PROTESTANTESIMO STORICO IN ITALIA
Dalla Riforma protestante sono nati e si sono sviluppati molti rami religiosi primari e secondari. Limitando l'analisi all'Italia
possiamo rappresentare la presenza protestante in cinque grandi rami principali, dai quali si dipartono altri secondari.
1. La Chiesa valdese (di tradizione calvinista)
2. La Chiesa luterana
3. Le Chiese del "Grande risveglio", ovvero la Chiesa metodista e la Chiesa battista
4. Le Chiese avventiste
5. Le Chiese di matrice pentecostale (ramo più diffuso, vedi le Assemblee di Dio)
Accanto a queste ramificazioni più strutturate ce ne sono altre di natura più locale che, in quanto tali, costituiscono il
terreno più difficile da indagare.

6.2 VALDESI. EMANCIPAZIONE, RADICAMENTO, RICONOSCIMENTO


Le prime presenze di questa comunità in Italia, precisamente in Piemonte e in Lombardia, risalgono al 1200. Queste
presenze si strutturarono in Chiese solo nel 1500, presenze che poi la controriforma cercò di sradicare e questo con vere e
proprie stragi di civili. Come noto, accadde che una significativa enclave riuscì a difendersi, nello specifico in una sorta di
ghetto alpino del torinese, le poi "Valli valdesi".
Nel 1800 Carlo Alberto (nelle vesti dei Savoia) promulgò le Lettere patenti che aprivano ai diritti anche ai valdesi. Diritti che
però erano solo di tipo civile, dunque non di tipo religioso. In questi anni la Chiesa valdese mise su una prepotente
operazione di evangelizzazione (quindi radicamento) che per decenni ebbe a disposizione uomini di primo piano e risorse di
un certo livello.
Negli anni Ottanta la Chiesa valdese e quella metodista si sono "integrate", ovvero hanno preso a comporre lo stesso corpo
ecclesiastico denominato Unione delle Chiese metodiste e valdesi, salvo poi utilizzare la denominazione "Chiesa valdese" (a
far capire la fetta maggioritaria) ai fini dei rapporti con le altre Chiese, confessioni religiose e lo Stato.
Sul piano della libertà religiosa un momento di svolta è stato l'approvazione dell'intesa tra valdesi e metodisti da un lato e
lo Stato italiano dall'altro. Intesa valdese che, come noto, ha fatto da apripista a quelle con altre confessioni del
protestantesimo storico.

6.2.1 Valdesi e metodisti: una vocazione nella società


Secondo dati ufficiali del sinodo, i valdesi sono circa 20mila, per il 50% concentrati nell'area storica delle Valli valdesi. Punti
di forza di questa presenza, alcune città del Nord Italia: Torino, Milano, Genova, Bergamo, Brescia, Verona, Como. A Roma,
poi, esistono due Chiese di estrazione valdese e due di estrazione metodista. Nel Meridione, la presenza valdese-metodista
è diasporica nel senso che ci sono numerose comunità, ma di consistenza medio-piccola. Presenza diasporica al Sud, ma
impegno sociale e culturale rilevantissimo: centri culturali che operano a livello locale, facoltà, editrici, librerie, archivi.
Nota: rispetto ai valdesi e ai metodisti, battisti e avventisti, almeno in territorio italiano, risultano meno presenti
numericamente, quindi meno radicalizzati, e meno attivi sia socialmente che culturalmente parlando. Peculiarità, i battisti
sono distribuiti abbastanza equamente su tutto il territorio italiano, mentre gli avventisti risultano in maggior numero nel
Mezzogiorno.

6.2.2 Il caso di studio dell'otto per mille ai valdesi


La Chiesa valdese mantiene le sue attività attraverso tre flussi di entrata ben distinti:
1. Le entrate dei fedeli che, in quanto membri delle comunità locali, si prodigano per mantenerle economicamente.
2. I doni dalle Chiese "sorelle dell'estero" (ora meno consistenti di prima).
3. I sempre più consistenti fondi derivanti dall'otto per mille.
In merito a quest'ultima voce, gli introiti sono fin da sempre stati gestiti con un'estrema attenzione alla trasparenza ed
esclusivamente dedicati a interventi sociali, assistenziali, umanitari e culturali sia in Italia che all'estero. Da qui, questa
attenzione alla rendicontazione dell'utilizzo delle somme ricevute ha portato i valdesi agli occhi dei contribuenti (anche di
altra estrazione religiosa, vedi i cattolici) sotto un'ottima luce. Questo, tanto da premiarli con una quota crescente che è
arrivata ad essere di oltre dieci volte superiore rispetto alla consistenza numerica di questa piccola comunità di fede. Ne
deriva un caso sociologico di enorme interesse, perché si può affermare che nessun'altra confessione religiosa che
partecipa alla ripartizione dei fondi dell'otto per mille registra un dato analogo.

6.2.3 La novità dell'immigrazione


Per le Chiese del protestantesimo storico il maggiore fattore di dinamizzazione è costituito dell'immigrazione. Ci sono
aumenti in ballo del 10/20% grazie a questo fenomeno. I poli di massima concentrazione evangelica in tal senso sono il
Nord-Est e l'asse Bologna-Piacenza. Quanto alle nazionalità si tratta in prevalenza di ghanesi e in generale di immigrati
dall'Africa occidentale; significativamente, però anche le presenze di filippini, coreani, latino-americani e per la confessione
battista, di romeni, ucraini e moldavi.
Due sono i modelli di integrazione di queste presenze:
1. Il modello delle "chiese integrate", ovvero quello per cui avviene fin da subito una piena inclusione degli immigrati nelle
chiese "italiane".
2. L'altro modello che prevede invece una costruzione temporanea di chiese "di immigrati" costituite su base nazionale o
linguistica, nel quadro però di una strategia di incontro e di scambio interculturale.
In definitiva, radicamento nella storia nazionale presenza nello spazio pubblico, impegno culturale e strategia interculturale
risultano i punti di forza delle Chiese del protestantesimo storica o in Italia.

6.3 IL PENTECOSTALISMO ITALIANO TRA ESPLOSIONE E RICOMPOSIZIONE


I pentecostali sono uno dei tasselli più importanti del mosaico religioso italiano. Il problema metodologico di chi si avvicina
a questa realtà è la sia intrinseca e dinamica frammentarietà, nel senso che è difficile analizzare un movimento spirituale
che, in generale, ha fatto delle comunità locali il tratto caratteristico della propria ecclesiologia.
Il movimento pentecostale, nato sull'onda delle effusioni dello Spirito Santo negli Stati Uniti, giunge in Italia molto presto
grazie all'azione evangelista di alcuni emigrati italiani oltreoceano. ...e nei primi del Novecento, le località raggiunte dalla
testimonianza pentecostale cominciano già ad essere numericamente interessanti.
Tuttavia, l'avvento del fascismo e il decreto attuativo del 1930 sui "culti ammessi" segnano una svolta negativa per
l'espansione del movimento, ovvero portano il regime a reprimere i culti acattolici, carismatici e soprattutto pentecostali
(ecco il punto che ci interessa). È stato così che, negli anni appena successivi a questa legge sui "culti ammessi" alcuni
pentecostali furono fermati e arrestati a Benevento, Bari e, in misura minore, anche in numerose altre città.
Il bando, la repressione e gli arresti misero in crisi la rete delle Chiese pentecostali che si stava organizzando, ma allo stesso
tempo no furono sufficienti a sradicare il movimento. Infatti, alla fine della Seconda guerra mondiale, i pentecostali erano
presenti soprattutto nel Mezzogiorno, con una concentrazione più alta in Sicilia che in ogni altra regione, e con un
radicamento più evidente nei piccoli centri che nelle grandi città.

6.3.1 Da movimento a denominazione


Usciti dal tunnel della repressione fascista, il tema dell'organizzazione su scala nazionale fu al centro di un vivace confronto
interno. Negli anni del dopoguerra, tanto più nel quadro degli aiuti nordamericani ai paesi alleati (si ricorda l'origine
statunitense della confessione religiosa in oggetto), nascevano le cosiddette Assemblee di Dio in Italia (le ADI, similmente
alle Assemblies of God negli Stati Uniti), ovvero nasceva una vera e propria denominazione centralizzata, organizzata con
uno statuto e accreditata all'estero (di nuovo, gli Stati Uniti), con tutte le carte in regola quindi per un riconoscimento
giuridico anche in Italia in quanto culto ammesso. Tale riconoscimento giuridico arrivò tramite l'intesa con lo Stato italiano
nel 1960. Attraverso questa intesa, tra le tante cose, era permesso adesso alle ADI di accedere al meccanismo di
ripartizione dell'otto per mille (somme poi spese per aiuti in vari paesi del mondo). Tuttavia le ADI hanno difficoltà a
raccogliere un numero di firme adeguato alla loro consistenza che, per inciso, conta circa centomila fedeli; in effetti, alle
ultime tornate hanno raccolto solo lo 0,2% sul totale delle firme otto per mille.

6.3.2 La galassia
Le ADI costituiscono solo un tassello del mosaico pentecostale italiano. Per ordine di grandezza, il secondo ente di
rappresentanza è costituito dalla Federazione delle Chiese pentecostali (FCP). A tale federazione aderiscono, oltre ad
alcune Chiese locali o regionali, alcuni network nazionali, vedi la Chiesa Elim, la Chiesa di Dio, la Chiesa Parola della Grazia,
la Chiesa cristiana pentecostale italiana, la Chiesa evangelica internazionale, il Movimento Nuova Pentecoste e la Chiesa
apostolica in Italia.

6.3.3 Chi federa chi?


Guardando alla frammentazione della rappresentanza pentecostale, dobbiamo prendere atto di due forze confliggeneti:
una è la tradizione congregazionalista (sostenitori della Chiesa come autonoma dallo Stato) del movimento, l'altra è la
spinta centralizzatrice dell'impianto giuridico dell'impianto giuridico italiano in materia di riconoscimento dei culti. Si
determinano così due spinte di segno opposto che finiscono per determinare una strutturale instabilità del sistema, tanto
più in assenza di una legge-quadro sulla libertà religiosa.

6.4 I TESTIMONI DI GEOVA TRA RICONOSCIMENTO E ARROCCAMENTO


I Testimoni di Geova costituiscono una delle comunità di fede più solide nello scenario religioso nazionale. L'Italia entra per
la prima volta nella mappa della diffusine mondiale dei Testimoni già nel 1891; poi, nel corso della loro storia contestuale
italiana fatta di neutralità politica e militare (e di legami con gli Stati Uniti), seppure umili in numero, sono stati una delle
vittime più accreditate del fascismo e questo perché di fronte alla scelta di aderire al partito o mettervisi contro, si sono
sempre proposti come fedeli sudditi di Dio e di Cristo soltanto. Così, dopo la frenata fascista, l'attività poté riprendere solo
nel dopoguerra che, grazie a un attivo proselitismo, poté produrre importanti risultati di crescita (attualmente infatti si
contano circa 250mila evangelizzatori della comunità dei a Testimoni di Geova).
Tra i temi più spinosi, da cui le principali criticità relative alla rispettiva immagine pubblica, tra i Testimoni di Geova e Stato
e altre confessioni, ad esempio, il rifiuto delle emotrasfusioni (questo a partire da interpretazioni letteraliste di alcuni
passaggi biblici), oppure alcuni casi specifici di tipo "dilemma medico sul trattamento dei minori" (nello specifico, la
possibilità per i genitori di non assecondare una pratica terapeutica che essi giudicano incompatibile con la propria fede).
Da qui è da tutta una serie di altri fattori, si è preso a considerare questa comunità di fede con sempre maggiore
ostracismo.
In tal senso viaggia anche il fatto che, se da una parte è stata firmata una abbozza dell'intesa con lo Stato italiano, dall'altra
parte questa intesa non affronta la questione delle emotrasfusioni e non dà ai Testimoni di Geova la possibilità di accedere
al meccanismo di ripartizione dell'otto per mille.
La situazione oggi appare sostanzialmente statica e non è detto che l'approvazione di un'intesa 2.0 induca la comunità a
riaprirle una strategia di incontro e dialogo con le istituzioni e la società italiana.
Nota: in tutta questa staticità, uno degli elementi di novità e quindi di dinamismo, è costituito dalla presenza sempre più
consistente di congregazioni di immigrati che abbracciano questa comunità di fede, specie di nazionalità spagnola, russa e
romena (in un ventaglio di provenienze comunque abbastanza ampio).
Al fondo, i Testimoni di Geova italiani restano una comunità poco penetrabile e quindi poco conoscibile, da cui una
esposizione maggiore rispetto che altre comunità di fede, ai pregiudizi e alle semplificazioni. Tutto questo, si nota, nel
paradosso più totale in quanto risultano essere una comunità in prevalenza di italiani che ha vissuto e subito la storia di
questo paese, pur non riuscendosi mai completamente a radicalizzare e istituzionalizzare.

6.5 IL "RADICAMENTO VELOCE" DEI MORMONI


I mormoni, invece, hanno bruciato le tappe superando in corsa l'Unione buddhista italiana e la Congregazione dei Testimoni
di Geova che, entrambe, avevano firmato una bozza di intesa già nel 2000. Questa Chiesa, che si colloca all'interno della
tradizione giudaico-cristiana, da una parte è largamente sconosciuta e dall'altra presenta indubbie peculiarità che hanno
determinato, soprattutto in passato, più di qualche pregiudizio nei suoi confronti. In effetti, la Chiesa mormone è una
confessione di matrice statunitense che solo negli ultimi tempi si è estesa in Italia, ma comunque il clima di questo
insediamento è sempre stato teso, di preoccupazione e di diffidenza anche in occasione di momenti di semplice conoscenza
e dialogo.
Tra i fondamenti del credo mormone, oltre al riconoscimento del testo sacro della Bibbia, il testo canonico della tradizione
ebraica e di quella cristiana, sono aggiunti altri scritti venerati in quanto che si ritiene che Dio parli a noi ancora oggi e
questo per bocca di profeti. In tal senso, le aggiunte si intitolano "Libro di Mormon", "Dottrina e alleanze" e "Perla di gran
prezzo".  Ad ogni modo, lo studio assiduo di questi testi sacri alza sensibile mente rispetto alle altre confessioni religiose, la
media della conoscenza dei membri che ne compongono la comunità di fede.
Interessante poi, circa l'intesa firmata con lo Stato italiano, il fatto che la Chiesa mormone non intenda avvalersi della
possibilità di accedere alla ripartizione delle quote dell'otto per mille, mentre chiede reparti cimiteriali speciali "per la
sepoltura dei suoi fedeli defunti".
Secondo i dati offerti dalla Chiesa, i mormoni oggi in Italia sono circa 25mila, in prevalenza italiani, ripartiti in circa 90
comunità locali. La sede amministrativa è Milano, mentre il primo grande tempio in senso stretto -luogo sacro accessibile
solo ai membri della Chiesa giudicati di degni e in nome dei quali sono celebrate e le cerimonie di comunità- è a Roma, area
Nord.
Ricordando che il riconoscimento giuridico della confessione mormone è del 1993 e che oggi la Chiesa mormone dispone di
un'intesa al pari di confessioni da molto più tempo presenti in Italia, risulta evidente che questa comunità di fede ha avuto
una grande capacità di radicarsi upin nun contesto culturale se non ostile certamente animato da qualche pregiudizio nei
suoi confronti. Tre le ragioni di questo successo...
1. La prima è di natura ecclesiologica, ovvero essendo che la Chiesa mormone si caratterizza come comunità di fede
saldamente organizzata e centralizzata, ed essendo che lo Stato italiano premi proprio queste caratteristiche in una
confessione religiosa, ecco che il binomio diventa possibile.
2. Una seconda ragione sta negli evidenti legami della confessione con gli Stati Uniti e con le evidenti garanzie che
implicitamente ne derivano. In effetti oltreoceano la Chiesa mormone non solo fa parte consolidata del panorama religioso,
ma è ormai senso comune che il mormone possa accedere anche alle più alte cariche istituzionali ("ci si può fidare").
3. Il terzo fattore di successo è nell'immagine di rassicurazione sociale che i mormoni sono riusciti a trasmettere anche in
Italia. Infatti, la centralità della famiglia tradizionale basata sul matrimonio, l'astensione dall'alcol, dal fumo e da ogni
eccitante compreso il caffè, uno stile di vita morigerato e imperniato sul lavoro e sul senso di responsabilità...suggeriscono
un'immagine complessiva del mormone stabile e positiva.
Il problema è capire se, dopo i tempi del pregiudizio e dell'esclusione, inizieranno quelli del dialogo e della partecipazione
alla vita sociale e culturale del paese.

CAPITOLO 7 - L'EBRAISMO: UNA MEMORIA VIVA (di Enzo Pace)


7.1 EBREI D'ITALIA
L'ebraismo vanta una presenza secolare in Italia. Gli storici infatti parlano di un primo insediamento già all'epoca dei
Maccabei, vale a dire nel II secolo a.C.. Da allora, nel corso dei secoli, si è sempre parlato di una sorta di quieto vivere tra
popolazione civile e religiosa italiana. Eppure, in epoca più recente, anche gli ebrei hanno dovuto aspramente confrontarsi
con la modernità. Modernità innanzitutto religiosa, dove quello che è successo è uno spostamento più verso una tendenza
riformata (solo ad esigue minoranze ancora l'osservanza integrale della tradizione)l ma modernità soprattutto "storica",
dove si annovera più fra tutto l'avvento del fascismo.
Quest'ultimo, seguito dalla promulgazione delle leggi razziali e dalla persecuzione (con i rastrellamenti, il confino nei campi
di concentramento e poi la Shoah), ha segnato un punto di svolta nel processo di autoriflessione che gli ebrei italiani, i
sopravvissuti, hanno avviato dopo la Seconda guerra mondiale. Gli anni Cinquanta, viste le premesse, furono un periodo di
ricostruzione delle comunità che erano state pesantemente colpite dalle persecuzioni fasciste e dalle deportazioni naziste.
Il progetto era ambizioso: ricostruire la memoria e garantirsi i mezzi per farlo. Da qui lo sforzo per far rinascere la vita
comunitaria, per riaprire le scuole e le istituzioni culturali che il fascismo e la guerra avevano distrutto, compreso il Collegio
rabbinico per far fronte alla futura richiesta di guide e di maestri per le comunità sparse per il territorio italiano.
Questa prima fase di ricostruzione subisce una prima svolta positiva con la Guerra dei sei giorni. Essendo cioè che la
compagine israeliana (di matrice ebraica) aveva, in maniera lampo, sbaragliato gli eserciti arabi (di matrice musulmana), si è
pensato a questo come al momento di definitiva uscita dalla condizione di minorità in cui la storia crudelmente aveva
segregato la comunità di fede ebraica.
Tuttavia, a quell'evento positivo ne sono seguiti altri nuovamente negativi, vedi l'espulsione di ebrei dalla Libia ad opera del
regime Gheddafi, che hanno costretto gli ebrei italiani a riflettere ancora una volta e ancora di più sulla loro identità. L'idea
di fondo, per loro, era che la politica, ogni volta sempre di più, sovrastava la ricerca di una ritrovata unità religiosa. ...ed è
proprio con la politica che, presto, gli ebrei vennero a fare i conti: gli anni Settanta e Ottanta, infatti, sono segnati dalla
firma dell'intesa tra il Governo italiano (allora guidato da Bettino Craxi) e l'Unione delle comunità ebraiche. Questo
momento segnò il primo pieno riconoscimento degli ebrei d'Italia come parte integrante della storia culturale e religiosa
del nostro paese.
Da qui comincia un periodo importante che vede gli ebrei impegnati su più fronti e, in particolare, sul dialogo interreligioso
(voluto convintamente, decisamente). È la fase, questa, forse più intensa e produttiva del dialogo ebraico-cristiano. Di più,
in questo periodo l'identità ebraica forse per la prima volta riesce a parlare di sé non solo in riferimento a fattori esterni
(vedi tutte le violenze subite), ma anche in base agli interni registri religiosi, all'approccio ai testi sacri, al rapporto tra fede
domestica e vita pubblica...
Insomma, gli ebrei sono una comunità, seppur differenziata al suo interno, che nel corso degli ultimi cinquant'anni ha
cercato di far fronte, e con successo, al paradosso di essere finalmente riuscita a far parlare di sé riuscendo a farsi
accreditare come soggetto di una storia culturale, religiosa e politica comune a tutti gli italiani, pur demograficamente
sempre più minoranza.

7.2 LE COMUNITÀ EBRAICHE IN ITALIA


Le comunità ebraiche in iItalia sono 21; esse raccolgono intorno alle 24mila unità. Integrando i dati complessivi con uno
sguardo alle classi di età più giovani, notiamo sorprendentemente come non tutti i ragazzi e le ragazze di famiglie ebraiche
frequentino scuole religiosamente congrue; anzi, è solo in rari casi che avviene il viceversa.
Le 21 comunità sono distinguibili in grandi, medie e piccole. Le due più grandi si trovano in ordine a Roma e Milano.
Seguono sei comunità di media concentrazione, cioè Torino, Firenze, Trieste, Livorno, Venezia e Genova. Le altre, che è
registrano un numero che oscilla tra 100 e 200 persone, sono appunto di piccola dimensione.
La storia recente delle comunità ebraiche si confronta con l'arrivo in Italia da più di trent'anni (e con una maggiore intensità
negli ultimi dieci) di missionari. È proprio questo impulso (l'impulso missionario) che ha dato nuova linfa vitale alle suddette
comunità di fede ebraica.

CAPITOLO 8 - STUDI DI CASO: TORINO E BOLOGNA (di G. Becchis, L. Berzano, M. Equizi, A. Lucà Trombetta e P. Lucà
Trombetta)
8.1 CHIESE PENTECOSTALI DI IMMIGRATI IN TORINO
8.1.1 Il pentecostalismo diasporico in Torino
Nel tracciare una panoramica su chiese e movimenti pentecostali presenti a Torino, ci si deve confrontare con la difficoltà di
proporre nette classificazioni tipologiche: ognuna di queste, infatti, pur riconoscendosi nella tradizione evangelico-
pentecostale, presenta peculiarità legate alla propria storia e al contesto socioculturale in cui si è sviluppata, il tutto con
conseguenze molto varie. D'altronde, è il mondo religioso pentecostale stesso che per sua natura tende a "sfuggire"
rappresentazioni e definizioni troppo uniformi.
Ricerche recenti a Torino hanno analizzato le funzioni sociali delle Chiese pentecostali ivi presenti.
1. Queste sono risorse di identificazione collettiva, specie per la protezione dalla condizione di stranieri in campo italiano.
2. Di più, mantengono la memoria originaria trasfigurata in epos, la codificazione del costume come religione civile, la
trasfigurazione dei legami di parentela vissuti simbolicamente come "stirpe", il patrimonio comune di miti, credenze e
riti. ...e così facendo, danno un senso all'esistenza individuale e di gruppo (permettono che l'ethnos sia vissuto come valore
aggiunto).
Le Chiese pentecostali presenti a Torino sono "Chiese diasporiche", ovvero di immigrati che mantengono legami e rapporti
con il luogo di provenienza.

8.1.2 Panoramica sulle Chiese pentecostali a Torino


Sono 35 le Chiese pentecostali presenti a Torino, per una presenza recente: l'origine del movimento, che si deve alle
Assemblee di Dio in Italia, è attestato nella città fin dal 1927. Poi, nei decenni successivi, si assiste alla nascita o all'arrivo a
Torino di altre realtà.
La fine degli anni Novanta e l'inizio del terzo millennio, con l'aumento dei flussi migratori, si propone come una nuova sfida
per i processi di pluralizzazione religiosa, e più in generale culturale, del territorio. Infatti, arrivano in particolare africani e
sudamericani che provengono da paesi storicamente caratterizzati da una forte presenza e dinamicità pentecostale, che
danno vita numerose Chiese e movimenti pentecostali dell'immigrazione in alcuni casi, o rinforzano anche le Chiese
pentecostali già presenti sul territorio in altri casi. Insomma, con la nascita delle Chiese pentecostali dell'immigrazione, il
fenomeno del pentecostalismo subisce una crescita esponenziale sul territorio torinese.
Tra queste, alcune sono il risultato di attività di evangelizzazione in termini di filiali di Chiese internazionali in Italia; altre, la
maggior parte, è invece proprio qui che nascono, questo per scelta e per azione di figure carismatiche di pastori. In questo
secondo caso, la quasi totalità delle Chiese sono state fondate da pastori nigeriani e vedono una presenza di partecipanti di
questa nazionalità, soprattutto di donne. [Nota: altra presenza rilevante per quanto riguarda le Chiese dell'immigrazione è
quella brasiliano (dunque figura anche l'America Latina all'appello).] Molte di queste chiese sono nate per iniziative
individuali, magari come risposta a un percorso migratorio, nazionale e internazionale (e quasi tutte queste Chiese sono di
costruzione recentissima -neanche 20 anni di vita-).
Sono poi da segnalare nel panorama religioso pentecostale cittadino di Torino una serie di realtà che non si strutturano
come Chiesa e che nascono con l'intento di operare in un dato settore o di svolgere servizi specifici rivolti a certe categorie
di persone. Per certi versi, pare che abbiamo a che fare con associazioni di volontariato di tipo pentecostale. Il tutto,
coinvolgendo migliaia di partecipanti nelle attività di evangelizzazione.
Pur valendo il fatto che in molte Chiese i fedeli e il pastore siano della stessa nazionalità, in linea di massima la quasi totalità
di queste non è frequentata esclusivamente da persone della stessa nazionalità, anzi presentano migranti di diversa origine.
Per venire incontro poi alle ovvie esigenze di coloro che non parlano la lingua madre della maggioranza dei fedeli, in molte
Chiese sobo messi a disposizione servizi di traduzione simultanea, come una sorta di glossolalia artificiale.
Circa il grado di autonomia, molte delle Chiese censite si riallacciano a network nazionali e internazionali, o entrano a far
parte di organizzazioni, o ancora collaborano con altre realtà sul territorio o lontane per portare avanti le loro attività. Si
può ipotizzare una scelta del genere perché, soprattutto per quelle realtà molto piccole, soluzioni di questo tipo
rappresentano una strategia oltre che di promozione, proprio di sopravvivenza. Ad ogni modo, pur parlando di comunità
locali, il transnazionalismo rappresenta comunque un'aspirazione e definisce almeno simbolicamente i confini spaziali della
missione di evangelizzazione del messaggio di Dio. Questa missione vuole un grande impiego di tempo, risorse umane ed
economiche e pur tuttavia viene svolta per quanto possibile da tutte le comunità presenti a Torino. Ad esempio, infatti,
gran parte delle Chiese pubblicano riviste, CD o DVD, organizzano seminari, conferenze ed eventi di predicazione, campeggi
per i giovani, distribuiscono volantini e opuscoli in luoghi pubblici, cercano di entrare attivamente in contatto con le
persone per la strada; alcune Chiese hanno dei siti web; altre, le più attrezzate, partecipano a programmi televisivi o
radiofonici.

8.1.3 Struttura e composizione interna


Non è possibile rintracciare uno standard organizzativo comune: si va da Chiese con una gerarchia interna piuttosto
complessa a Chiese con strutture più semplici ed orizzontali.
Elemento comune a quasi tutte le realtà indagate è, comprensibilmente, la centralità della figura del pastore nella guida
della Chiesa. A volte svolge il ruolo anche in più sedi contemporaneamente. Solitamente, il pastore è affiancato da altre
figure quali diaconi e diaconesse, consigli di anziani e responsabili di vari settori o gruppi presenti con frequenza diversa
all'interno delle Chiese, i quali si occupano di tutto ciò che è di contorno rispetto alla liturgia.
Sia nelle strutture più istituzionalizzate che in quelle più orizzontali è centrale l'impegno diffuso e attivo di buona parte dei
fedeli nelle attività della Chiesa. Sì, perché quello pentecostale è un "approccio militante" alla religione.
Altra questione interessante è che quasi tutte le Chiese analizzate vedono una prevalenza di donne tra i partecipanti, in
media il 60-70%, pur restando minore il loro coinvolgimento all'interno dei ruoli istituzionali.
Altra questione ancora, le Chiese pentecostali del torinese si costituiscono come comunità solidali interne, promuovendo
attività di sostegno per eh i propri membri che vanno da l'ascolto, all'aiuto economico, alla visita a persone bisognose,
all'aiuto di donne vedo e o divorziate..., ma fuoriescono anche dai loro confini per impegnarsi nel contesto locale in cui
sono inserite con attività come il banco alimentare e la distribuzione di cibo e vestiario ai senzatetto, o la collaborazione
con i gruppi che si occupano del supporto di vario tipi nelle carceri e ai disabili, attività nelle scuole....
È su queste basi che si crea una nuova forma di identità, quella pentecostale, capace di ricollocare la persona a livello
individuale, locale, transnazionale e trascendente.
Nota a pié pagina: la maggior parte delle Chiese pentecostali si trova in zone periferiche della città; si pensa, non solo
perché abitate spesso dai migranti, ma anche per evitare strategicamente le tensioni con il resto della popolazione. Molte
Chiese hanno iniziato a operare presso le case di privati o in locali comunque non adibiti a scopi religiosi, altre sono state
ospitate per un certo tempo da chiese di altre consuoni religiose prima di spostarsi in sedi proprie.

8.2 UNA REGIONE AD ALTA DENSITÀ MULTIRELIGIOSA. L'EMILIA-ROMAGNA E BOLOGNA


8.2.1 Emigrazione e pluralismo religioso a Bologna
Dal 1993 al 2008 i residenti stranieri in Emilia-Romagna sono passati da circa 40mila a circa 420mila, con una
concentrazione maggiore nelle provincie economicamente più attive, Bologna in primis. Le appartenenze religiose si
rispecchiano in questa arcobalenica distribuzione.
Secondo uno studio dell'Osservatorio provinciale di Bologna, la principale religione tra gli stranieri nella provincia è quella
cristiana, in primis ortodossa, con 9 punti percentuale (49% contro 40%) in più di quella musulmana. La stessa ricerca mette
in luce come queste due principali religioni immigrate, islam e ortodossia siano in crescita, ma l'ortodossia specialmente.
Nell'approfondimento in capitolo, l'oscillazione dei migranti è individuata tra due polarità: esclusivismo e inclusivismo. Cioè,
da un lato (esclusivismo) la spinta a riprodurre il villaggio abbandonato in terra straniera, appunto escludendo chi non
appartiene alla stessa comunità; dall'altro lato (inclusivismo) il desiderio di aprirsi in nome della religione includendo
componenti etniche diverse. Queste, in termini generali, risultano succedersi nel tempo in un processo di adattamento
migrante peculiare.
La città multietnica risulta alla fine composta di complesse topografie, ambiti di esperienza intrecciati, la cui conoscenza
nasce nella capacità di decifrarle e decifrarli.

Islam
Nell'insieme, l'Emilia-Romagna si colloca come uno dei poli più attrattivi della Umma italiana, essendo la prima area
nazionale per numero di moschee calcolato sulla base della popolazione residente e seconda solo alla Lombardia per
numero totale: 122 i luoghi di culto stimati.
Emergono, nel caso dell'islam, entrambe le tendenze di cui sopra, inclusiva ed esclusiva. Esistono infatti, in parte un islam
etnico, vale a dire costituito dalle moltissime musallayat (sale di preghiera) specifiche a ciascuna comunità nazionale che,
per loro natura, escludono; in parte un islam interetnico rappresentato dalle maggiori moschee, per loro natura questa
volta inclusive.

Protestanti e pentecostali
13 le chiese protestanti e pentecostali (soprattutto ADI) censite a Bologna. Queste in prevalenza sono frequentate da
africani che, in quanto appunto presenza maggioritaria, producono trasformazioni talvolta anche sul piano liturgico,
mettendo non di rado alla prova la disponibilità delle comunità locali ad accogliere le diversità. La maggioranza degli
immigrati appartiene a congregazioni di matrice neopentecostale, ovvero comunità che nascono ad opera di energici
imprenditori religiosi.

Ortodossia
Delle 16 giurisdizioni presenti in tutta Italia, 4 sono solo a Bologna: russa, romena, greca, copta, con 7 congregazioni. Sia la
regione che la provincia (Emilia-Romagna e Bologna) sono aree in cui si è maggiormente strutturata la presenza ortodossa
in Italia. Le parrocchie sono in gran parte ospitate presso cappelle e chiese cattoliche in disuso (tensioni tra cattolici e
ortodossi).

I cattolici "etnici"
A Bologna abbiamo nove comunità immigrate. La parrocchia è, in questa prospettiva, il primo veicolo di integrazione fra il
vissuto personale dell'immigrato e la comunità ospitante, nel rispetto ovviamente dei percorsi differenziati di
"avvicinamento culturale". Le comunità sono anche i luoghi di incontro e sostegno materiale e psicologico attraverso
attività di vario tipo: infatti, come stesso gli operatori religiosi dichiarano, la loro presenza dà vitalità a parrocchie
sonnolente e permette di recuperare ambienti anche prestigiosi sul piano artistico e architettonico, in disuso.

Topografie minimaliste: i tamil


È stata censita a Bologna anche una piccola comunità tamil dello Sri Lanka. Le cerimonie indumenti per l'assenza di luoghi
ufficiali deputati al culto, si svolgono in locali che normalmente ospitano L insegnamento della lingua tamil per i bambini,
ma anche nelle case dove spesso è presente un luogo dedicato all'"adorazione" con immagini di divinità o defunti.
Queste aggregazioni senza luoghi specifici di riferimento tendono ad essere esclusive: i tamil infatti non includono nei loro
incontri o persone di altra provenienza, mentre ai loro riti partecipano spesso tamil cattolici. Ma a questo esclusivismo
etnico corrisponde comunque disponibilità a contaminazioni culturali.

Altre religioni
Il pluralismo religioso non si riduce alla presenza degli immigrati. Esistono infatti:
- comunità ebraiche di antichissimo insediamento;
- religioni di derivazione cristiana, vedi i Testimoni di Geova e i mormoni;
- Dianetics-Scientology;
- luoghi di incontro massonici;
- religioni "orientali", ovvero centri spirituali e religiosi di matrice hindu e di matrice buddhista;
- associazioni "pseudocattoliche" o cattoliche-scismatiche non riconosciute dalla Chiesa.

8.2.2 L'Islam in Emilia-Romagna


Mutevole, sommersa e in piena crescita gli aggettivi che meglio descrivono l'esperienza islamica in Emilia-Romagna. La
ricerca portata avanti in capitolo mette in luce come tale regione sia, al pari di alcune zone europee, il vero polo attrattivo
della Umma italiana: la prima area nazionale per numero di moschee calcolato sulla base della popolazione residente e la
seconda, dopo la Lombardia, per numero totale di moschee costruite.
Numerose, certo, ma come dicevamo, sfuggenti, trasparenti agli occhi dei cittadini, tanto che neppure la legge
sull'associazionismo è riuscita a fare chiarezza: la stessa apertura e chiusura dei luoghi di culto può avvenire nel giro di un
mese, per lo più per le lamentele dei cittadini italiani residenti in prossimità della musallayat.
In breve, la consistenza della presenza islamica in Emilia-Romagna, è di 122 luoghi di culto togati tra moschee vere e
proprie e musallayat, confraternite sufi e musallayat etniche. Spicca per importanza la provincia di Bologna, come già detto.
Seppur meno numerose, appaiono in grande crescita le moschee modenesi: ce n'è una in particolare che risulta tra le più
frequentate della regione, con oltre 1500 persone alla preghiera del venerdì. Numeri in continua crescita. A Ferrara città si
trova una sola sala di preghiera, mentre a Ferrara provincia il numero cresce. Numericamente ridotte le moschee
parmigiane e piacentine.

8.2.3 L'ombrello pentecostale: il caso della Chiesa Eben Ezer


Tra le Chiese cristiane pentecostali presenti a Bologna, ce n'è una in particolare, quella Eben Ezer. Come risultato da
interviste, è stato affermato che, ed è anche il suo caso, le Chiese pentecostali tendono spesso a scindersi in sottogruppi. È
sufficiente infatti che un fedele riceva la "chiamata" di Dio e ottenga la benedizione degli Anziani della Chiesa a cui era
affiliato prima, perché si autoproclami pastore di una nuova Chiesa, dando ad essa il nome che sente più consono a tale
vocazione.
Allora, la Chiesa madre pentecostale ha come caratteristica quella di ospitare sotto lo stesso tetto una serie di altre Chiese,
comunità religiose non troppo numerose che si distinguono il più delle volte per l'origine dei fedeli e, di conseguenza, per la
lingua.

CAPITOLO 9 - STUDI DI CASO: ROMA, CASTEL VOLTURNO, PALERMO, MAZARA DEL VALLO (di A. Amitrano, E. Di Giovanni,
D. Di Sanzo, E. Gandolfi, M. I. Macioti, M. A. Maggio)
9.1 RELIGIONI A ROMA. LA COMPLESSA ARTICOLAZIONE DELLE DIVERSE PRESENZE RELIGIOSE
9.1.1 A monte
Roma rispetto alle altre città permette un indubbio vantaggio e un indubbio svantaggio. Il vantaggio è che pullula di studi
precedenti molto molto accurati; lo svantaggio invece è che è la culla dell'umanità, quindi è logico attendersi qui una
presenza di nazionalità e religioni molteplici.
Il primo problema con la ricerca attuata a Roma è stato di tipo organizzativo. Si è deciso, comunque, di procedere nella
direzione di una ricerca longitudinale in primis, riprendendo dall'impostazione dell'ampio materiale preesistente
(biblioteche, pubblicazioni scientifiche, tesi di laurea); inoltre, in un secondo momento, si passerebbe a fare interviste
qualitative o telefonicamente, o, nei casi più complessi, in loco nell'ambito di visite ai luoghi di culto.
Da questa esperienza il risultato principe è stato il rafforzamento di una convinzione già profonda, cioè il fatto che è difficile
parlare, oggi, di secolarizzazione; piuttosto è attendibile l'ipotesi di una diversa richiesta del sacro (un reincantamento).

9.1.2 La multireligiosità romana: stime, luoghi, presenze


L'hinterland romano si configura in quanto area particolarmente dinamica e in espansione nei confronti del fenomeno
migrante. Non deve quindi sorprendere che le realtà religiose proliferino come non mai; vale lo stesso per quelle di tipo
assistenziale.
Gli stranieri residenti in Lazio sono circa 600mila e l'81% di questi vive nella provincia di Roma. Si tratta di presenze giovani
che in media hanno meno di 38 anni, maggiormente romene di nazionalità (150mila; seguono filippini, polacchi, bengalesi,
albanesi, peruviani, ucraini, cinesi e moldavi). È in questo panorama di infinite sfumature che complesse connessioni tra
religione e religiosità si riformulano cambiando e arricchendo la società ospitante.

9.1.3 I volti, le origini e le comunità


La ricchezza delle origini è talmente vasta da toccare ogni provenienza inimmaginabile. Ciò soprattutto per i cattolici, per
cui l'unico criterio di unione, via quello nazionale, è la possibilità di accedere alla stessa ripartizione otto per mille (nel loro
caso la rappresentanza è consistente e ramificata, ma filippini, polacchi e romeni risultano le comunità più consistenti a
livello numerico). Segue la presenza ortodossa che vede tra le sue fila maggiormente russi, romeni, egiziani e ucraini. I
protestanti hanno un bacino di utenza meno vasto in quanto comunità fondate su una comunanza linguistica, vedi la
Comunità evangelica francofona. Gli ebrei li tralasciamo perché storicamente una forte presenza a Roma (con aggiunta
migrante di israeliani e americani). Ancora, i musulmani registrano tra le loro fila marocchini, tunisini, egiziani, senegalesi e
bengalesi. Il fine, tra le fila dei culti orientali (induismo e buddhismo), singalesi, indiani e pakistani.
I centri di incontro e preghiera dove queste comunità sono solite riunirsi presentano una vastissima casistica. Nella
fattispecie:
- COMUNITÀ DI PREGHIERA. Organizzazioni religiose con massimo due responsabili che si appoggiano periodicamente ad
altre parrocchie o chiese. Le attività proposte sono essenzialmente legate alla religione, per quanto sia naturale
considerarsi socialmente come una sorta di famiglia allargata;
- COMUNITÀ RELIGIOSE. Presidi stabili dedicati principalmente alle funzioni religiose e ad attività correlate. Una fisionomia
votata all'esecuzione dei rituali, alla preparazione delle festività e ad approfondimenti mirati a una maggiore conoscenza
dei testi e delle dottrine del singolo culto.
- COMUNITÀ CULTURALI. Si occupano di trasmettere un humus culturale di rilievo, vedi aiutando il recupero e il
mantenimento delle proprio origini di riferimento, questo in modo da permettere il permanere di un sentimento di
appartenenza nella comunità di fedeli.
- CENTRI ASSISTENZIALI. Sono luoghi di assistenza all'immigrato, quindi l'interesse è a soddisfare i suoi bisogni primari.
Servizi, tutti, che non si escludono a vicenda, anzi.
Ora, detto di quali possono essere i servizi offerti, notiamo come:
- l'ambito cattolico è caratterizzato da una maggioranza di comunità religiose con propri spazi (60%);
- l'ambito ortodosso ripete la maggioranza di comunità religiose (61%), per quanto centri assistenziali e comunità culturale
siano anch'essi significativamente presenti;
- l'ambito ortodosso, ancora, prevede una maggioranza di comunità religiose (72%), di nuovo stemperate da presenze di
centri assistenziali e culturali;
- l'ambito ebraico vede preminentemente comunità religiose e culturali (si nota come talvolta negli stessi templi, talvolta,
possano esserci ambedue le attività in oggetto);
- l'ambito musulmano predilige centri spesso definiti come culturali (48%);
- l'ambito orientale predilige le istanze religiose (55%) e culturali.
È innegabile, in conclusione, che un simile panorama sia arduo da riportare in tutta la sua relativa complessità...e infatti, ciò
che con forza emerge dalla ricerca, è un'infinita ricchezza di situazioni e casi che compongono la rete della multireligiosità a
Roma. Roma è innumerevoli provenienze, credi e prospettive che si trovano innanzi gli stessi grandiosi monumenti, che
guardano lo stesso cielo.
La situazione nella provincia, per quanto in fortissima espansione, segue invece dinamiche più lineari e concentrate, vedi
anche la conformazione geografica a macchia di leopardo. Ciononostante, si lascia presagire un futuro di parziale
allineamento con la capitale.

9.2 LE CHIESE EVANGELICHE AFRICANE LUNGO LA VIA DOMITIANA DI CASTEL VOLTURNO


9.2.1 CASTEL VOLTURNO, UN CASO DI STUDIO NAZIONALE
Nei pressi di Napoli sorge uno dei luoghi d'Italia in cui l'immigrazione evangelica è molto rilevante: Castel Volturno, in
provincia di Caserta, è una città che accoglie, secondo stime non ufficiali ma attendibili, circa 15mila immigrati, in
maggioranza provenienti dai paesi dell'Africa centro-occidentale (maggiormente nigeriani). Di questi, solo 2000 circa sono
immigrati regolari.
L'immigrazione nell'area è un processo trentennale connesso a fattori come la richiesta di manodopera nelle stagioni di
raccolta del pomodoro, il costo basso della vita e la disponibilità di abitazioni ed ex case di villeggiatura, abbandonate dai
proprietari in seguito al fallimento turistico-balneare degli anni Ottanta. La presenza di migranti in un territorio, come noto,
fortemente segnato dalla criminalità organizzata, lascia dubbi sulle connessioni tra fenomeno migrante e malavita locale
(spesso connessioni confermate).
In tutto questo, l'interesse degli studiosi per Castel Volturno deriva dalla nascita e crescita costante di congregazioni e
Chiese evangeliche africane a partire dalla fine degli anni Novanta. Se prima il fenomeno risultava pressoché inesistente,
negli ultimi anni invece la proliferazione nell'area di luoghi di culto degli evangelici africani ha assunto le caratteristiche di
una manifestazione religiosa imponente e non occulta.

9.2.2 Le chiese evangeliche africane a Castel Volturno


In tutta l'area Domitia (Castel Volturno e alcuni paesi limitrofi) sono presenti più di 40 Chiese evangeliche italiane, in
maggioranza pentecostali e indipendenti. Dal punto di vista dello status giuridico, quasi tutte le Chiese sono state
regolarmente registrate come associazioni culturali e, pertanto, sono dotate di uno statuto che ne giustifica l'esistenza.
Rispetto a ciò, in vari casi aderiscono a progetti e movimenti religiosi nazionali e transnazionali.
La definizione dello status giuridico delle congregazioni ha importanti riflessi sull'attività interna ad esse, perché aderire ad
un network è garanzia di un percorso chiaro non solo di liturgia, ma anche di formazione pastorale.
Circa la figura del pastore, è stato proprio in base a come questi svolge il suo ruolo spirituale oltre che nell'ambito della
comunità, che siamo in grado di classificare tre tipologie di Chiese evangeliche africane a Castel Volturno:
- CHIESE RIGENERATE. Comunità fondate negli anni Ottanta dai militanti americani presenti sul territorio, comunità più
rivitalizzate e trasformate con l'arrivo degli immigrati africani. Notiamo comunque come pur essendo di estrazione
statunitense, tali Chiese non rivendicano alcun legame diretto con gli Stati Uniti. Il pastore, qui, ha un percorso formativo
molto chiaro e documentato, percorso a cui fa poi seguire attività liturgiche di tutto rispetto e programmi "civili" di
insegnamento alla vita comunitaria.
- CHIESE CON UNA LEADERSHIP FORTE. Si caratterizzano per la presenza di un leader riconosciuto e carismatico. Il pastore,
che spesso è anche il fondatore della Chiesa, si esprime pubblicamente citando versetti biblici e, durante il culto,
adoperando l'olio come elemento di benedizione e guarigione. La formazione spirituale e teologica dello stesso stavolta
non è detto che avvenga. Dunque, l'elemento peculiare è che ogni pastore affronta le liturgie in maniera carismatica p,
ovvero comunica promuovendo, con ogni parola attentamente scelta, il rafforzamento della comunità religiosa.
- CHIESE COMUNITARIE. Qui vi è la presenza di una comunità forte e coesa, all'interno della quale la responsabilità è molto
ben distribuita. Infatti, il pastore è leader spirituale, ma pur costituendo la guida morale per i fedeli, non svolge questo
ruolo in una posizione di preminenza (anzi è affiancato da altri ministri e membri di chiesa anziani).
Detto questo, sussistono anche elementi caratterizzanti che accomunano le esperienze religiose africane in Castel Volturno:
- l'inglese è la lingua veicolare utilizzata nelle occasioni liturgiche;
- le Chiese sono stabilite in capannoni industriali o ex appartamenti privati riconvertiti a luoghi di culto;
- i leader spirituali sono quasi sempre di genere maschile e di età compresa nella fascia "30-40" anni;
- lo svolgimento del programma domenicale ha una durata di circa quattro ore ed è incentrato sulla predicazione del
ministro, interrotta in alcuni momenti dall'attività di un coro gospel che canta salmi biblici;
- bassa età media dei fedeli.
3 sono le ragioni del fenomeno a Castel Volturno (e non altrove):
1. Alcune delle congregazioni incontrate sono nate in località circostante, ma col passare degli anni si sono trasferite lungo
la Domitiana a causa dell'elevata disponibilità di locali da riconvertire a luoghi di culto.
2. L'aumento del numero delle congregazioni è stato favorito anche da dinamiche competitive tra leader.
3. L presenza di un mercato religioso aperto e in sostanziale equilibrio. Cioè, in un contesto difficile di immigrazione
transitoria, l'elevata domanda di spiritualità connessa alle difficili condizioni in cui vivono molti immigrati vede una
risposta/proposta religiosa molto ampia.

9.2.3 Slittamenti denominazionali e prospettive future


A Castel Volturno, le chiese evangeliche svolgono un ruolo determinante: esse promuovono la socializzazione dei fedeli,
costituiscono reti sociali a forte solidarietà interna e permettono di ridurre l'ansia dello spaesamento connessa
all'esperienza della migrazione. Per tali motivi, l'adesione alle Chiese non è una scelta di carattere puramente religioso, ma
è determinata anche dalla "prossimità culturale", in termini di rito e di modalità di svolgimento dei culti, che queste
riescono a ricreare nel contesto italiano. Ecco, quindi, lo slittamento denominazionale verso le Chiese "etniche" africane.
Attenzione però, che nel contesto specifico, fortemente interessato dell'immigrazione irregolare e privo di qualsiasi politica
inclusiva, l'esperienza delle Chiese evangeliche africane rischia di diventare da veicolo di cittadinanza, una forma ulteriore
di esclusione sociale e ghettizzazione. Bisognerebbe adoperarsi per la realizzazione di politiche inclusive.

9.3 TUNISINI A MAZARA DEL VALLO: UN ESEMPIO DI "UMANESIMO TEMPERATO" (RISPETTO DELLA DIVERSITÀ)
Mazara del Vallo è la più araba delle città siciliane, con circa 3000 stranieri residenti, quasi tutti di religione islamica, in
massima parte provenienti dal Maghreb e di cui la prima ondata migratoria risale agli anni Ottanta.
Lo studio di Mazara ci pare una scelta quasi obbligata in quanto costituisce un test convincente per misurare il rapporto di
identità tra Oriente e Occidente. La città, difatti, porta nella sua cultura numerose tracce e testimonianze di questa antica
convivenza.
La comunità stanziale tunisina, grazie ad una locale società accogliente, passivamente tollerante, vive a tutt'oggi una
coabitazione grossomodo senza pregiudizi razziali. Gli stranieri sono per eh la maggior parte impegnati in agricoltura e nei
mestieri del mare: marinai e pescatori ingaggiati nella flotta di Mazara, che è tra le più importanti di Italia.
La ricerca di campo, però, segnala Mazara come sì, comunità accogliente, ma non proprio interattiva: la comunità mazarese
e quella tunisina, infatti, pur condividendo talune regole e taluni spazi a garanzia della reciproca convivenza, conducono in
realtà "vite separate". Ciò significa che il multiculturalismo della città in verità nasconde forme di isolamento e di
marginalizzazione. È un dato di fatto che i contatti tra le due comunità si limitano principalmente al mondo del lavoro, nel
quale i migranti sono inseriti e, il più delle volte, in condizione di sottoccupazione.
Attualmente il tentativo di procedere significativamente sulla strada dell'integrazione è condotta dalla Chiesa cattolica
mazarese, che sta provando a costruire un opportuno incontro interculturale e interreligioso anche grazie ad alcune
associazioni che si prodigano in tal senso.
Alla base della difficoltà di o comunicazione e della mancata permeabilità tra le due culture, permane il pregiudizio, da una
parte che L'Occidente possa minare i valori della tradizione islamica, dall'altra parte che l'Oriente possa islamizzare
l'Occidente. Bisogna rimettere in gioco il concetto di accoglienza e di convivenza, richiamando al dialogo interreligioso
contro quella visione monolitica dell'islam fino ad ora prevalente, il vero grande ostacolo sulla strada della reciproca
incomprensione. Questo perché nel comune di Mazara del Vallo, tutti i ragazzi devono poter aspirare, al pari dei loro
coetanei, al comune obiettivo di una costruzione del futuro.

9.4 MIGRANTI E LUOGHI DI CULTO ISLAMICI E PENTECOSTALI A PALERMO


A Palermo sono presenti luoghi di culto islamici e pentecostali, per un quadro molto variegato della diversità religiosa.
Tra città e provincia si contano circa 15mila musulmani (90% sunniti, 10% sciiti). Questi adottano un sistema di
autogestione, ovvero individuano uno spazio abbastanza grande da accogliere un numero elevato di fedeli, coprono le
spese di affitto e delle utenze e hanno piena cura del luogo di culto. La preghiera per loro assume un duplice valore di
onorare tutti i momenti della vita (sacralizzare l'esistenza) da un lato e, dall'altro, di essere elemento di aggregazione tra i
fedeli. All'interno dei luoghi di culto si svolgono, poi, attività culturali per bambini e momenti di
raccoglimento/unione/condivisione per le donne.
L'ambito di religiosità minoritaria, a Palermo (e più in generale in Sicilia), è costituito dal protestantesimo pentecostale.
Questo fenomeno si è diffuso mediante la predicazione di fedeli e di leader provenienti dall'Africa occidentale che hanno
contribuito alla nascita e alla diffusione delle a Chiese pentecostali su base etnica, principalmente di origine nigeriana e
ghanese. Le comunità africane sono solitamente piccole Chiese indipendenti che si costituiscono intorno a figure di pastori,
presentando una composizione etnica omogenea, in quanto tende a prevalere l'etnia, appunto, del pastore. Le sorti dei
fedeli che si uniscono a taluna o talaltra Chiesa, sono poi legate ai percorsi personali di questi leader (si nota il pericolo
scissioni). Molto comune risulta lo spostamento di queste Chiese africane che, di fronte ai disagi economici nel sostenere i
costi economici e di fronte al malcontento e alle proteste palesate dal vicinato causa la vivacità della celebrazione dei culti
religiosi in oggetto, si spostano in aree periferiche o in zone industriali. Per i fedeli palermitani, le Chiese pentecostali
africane assumono un ruolo di considerevole supporto socio-economico e costituiscono luoghi in cui trovano una valida
alternativa a una ordinaria vita da migrante. I pastori sono dei leader religiosi e di comunità che molto spesso, però, non
hanno conseguito alcuno studio in teologia o formazione pastorale: la maggior parte di questi assume lo status di pastore
appena dopo aver maturato la conversione religiosa.

CAPITOLO 10 - I TAMIL IN EMILIA-ROMAGNA E SICILIA: IDENTITÀ E METICCIAMENTI (di Cristina Natali e Giuseppe Burgio)
10.1 UNA REALTÀ RELIGIOSA SOMMERSA: L'INDUISMO TAMIL SRILANKESE IN EMILIA-ROMAGNA
Un primo elemento peculiare della sommersa, quindi nascosta o comunque fuggevole, presenza tamil in Emilia-Romagna,
trattiamo il "dove" vengono a svolgersi le omologhe cerimonie di culto:
1. DIMENSIONE PUBBLICA. In assenza di luoghi ufficiali deputati al culto tamil, si svolgono negli stessi locali che ospitano le
lezioni di lingua tamil per bambini e ragazzi. Queste cerimonie risultano avere un tono culturale e, in tal senso, presentano
una forte connotazione di tipo educativo-civile. Le festività religiose sono considerate infatti importanti occasioni di
apprendimento alla base della tradizione hindu. Svolgendosi in aule o piccole sale di centri culturali che ospitano
associazioni culturali di stranieri e non essendo pubblicizzate, le cerimonie vedono l'esclusiva partecipazione di membri
della comunità tamil.
2. DIMENSIONE PRIVATA. Ci sono anche altri luoghi di culto tamil -come dire- "maggiormente sommersi", ovvero gli spazi
domestici. Infatti, coerentemente con la tradizione hindu, in ogni abitazione c'è una stanza deputata all'adorazione. Questa
presenta un tavolo, un mobile o una mensola su cui sono collocate le immagini di divinità del pantheon hindu...e tali
immagini sono dedicate quotidianamente, o in occasioni speciali, pratiche rituali che prevedono preghiere, accensione di
luci e incensi o offerte di fiori.
2. DIMENSIONE INTERMEDIA TRA PUBBLICA E PRIVATA. Esistono non fine spazi che presentano un profilo intermedio in tal
senso, ovvero ad esempio quei casi in cui vengono innalzati degli altarini per l'adorazione in negozi gestiti da tamil. La qual
cosa avviene in rari casi anche in Emilia-Romagna.
Insomma, proprio in virtù di quanto abbiamo visto finora, si determina una sorta di invisibilità della religiosità induista
tamil.
Altro tratto peculiare di questa confessione religiosa, l'assenza degli specialisti rituali. Tale assenza, conseguenza diretta
della mancanza di templi, si traduce nella necessità di ricorrere ad altri membri della comunità al fine di poter portare a
termine le cerimonie. Le persone scelte per questi incarichi devono possedere una qualità peculiare, la "purezza", che si
manifesta soprattutto nella scelta di una dieta vegetariana (ma non solo). Ecco allora che, se dall'esterno paiono una
comunità chiusa, i tamil, in realtà al loro interno socializzano tantissimo, questo anche e soprattutto in occasione delle
festività religiose.

10.2 I TAMIL E GLI ALTRI MIGRANTI. SINCRETISMO E INTERCULTURA A PALERMO


La comunità dello Sri Lanka presente a Palermo è, per dimensioni, la più grande d'Italia (e la terza al mondo). Anche qui la
religiosità tamil presenta il suo tradizionale aspetto "sommerso" che si è evidenziato in Emilia-Romagna, o in altri parti della
penisola. Tuttavia, un elemento in controtendenza appare la devozione dei tamil a Santa Rosalia (la patrona di Palermo),
devozione profonda al punto da vederli partecipare anche alle solenni parate, chiaramente eventi super-pubblici.
Dobbiamo fare un attimo chiarezza. Notoriamente, i tamil si dividono in cattolici e induisti. E pur tuttavia, se appare
scontata la frequentazione del santuario di Santa Rosalia da parte dei cattolici, desta sorpresa che lo stesso venga fatto
anche dagli induisti. La cosa si spiega nel senso che, dal punto di vista hindu, la Cristianità è comunque una grande e
brillantemente illuminata via per il raggiungimento di Dio. Dunque, può esserci sincretismo in tal senso, in quanto
riconosciuta l'indubbia religiosità del culto cristiano.
Il sincretismo non riguarda a Palermo solo i tamil. Sembra infatti che, già a partire dagli anni Novanta, si sia tessuto nella
Palermo popolare un sistema sincretico che collega gente di religione islamica, induista, cristiana, che coabita per le vie dei
mercati, e che questo sincretismo abbia Santa Rosalia come uno dei suoi riferimenti. Di più, non di rado si vedono
conversioni nell'una o nell'altra o nell'altra ancora confessione religiosa.
Il vivere in un paese a grande maggioranza cattolica come l'Italia, spinge molti migranti a un sincretismo nuovo che si
realizza in rinuncia alla propria diversità religioso-culturale, in nome però di una nuova appartenenza, questa originata da
una positiva esperienza di solidarietà ricevuta. Secondo Pace, infatti, nell'attuale globalizzazione si produce un nuovo e
specifico sincretismo. Alcuni immigrati portano cioè con sé una sensibilità religiosa che, incontrando una condizione di
marginalità sociale e di scarsa integrazione, fa da lievito a nuovi fenomeni sincretici. Possiamo allora definire il sincretismo
come un processo poliedrico di trasformazioni che coinvolge soprattutto alcuni tipi di marginalità sociale e, tra questi, i
migranti.
Aggiungendo un nuovo tassello sul sincretismo religioso, la migrazione fa correre inevitabilmente "rischi culturali" a tutti,
ma soprattutto ai bambini. Le cosiddette seconde generazioni infatti costituiscono un mutamento di importanza cruciale: il
passaggio dalla religione dei padri alla religione dei figli. Questi ultimi si vedono in un "doppio fuoco": da un lato il dovere
dei genitori di fornire un esempio di sapere religioso e dall'altro il diritto a ricevere gli strumenti per diventare libero di
credere, cioè di sviluppare e di acquisire una coscienza religiosa autonoma. La scuola potrebbe intervenire proficuamente
in questo campo, promuovendo la trasmissione di una religiosità libera.
Tuttavia, la nostra scuola sembra mancare -secondo molti migranti- questo obiettivo. Allo stato attuale, infatti,
l'insegnamento esclusivo della religione cattolica e non anche delle altre religioni esprime l'enorme difficoltà del sistema
italiano nel gestire il sincretismo religioso. Bisogna abbattere queste particolari barrire interne.

CAPITOLO 11 - CATTOLICI DAL MONDO IN ITALIA (di Monica Chilese e Giovanna Russo)
11.1 IL CATTOLICESIMO COMPOSITO DEL TERZO MILLENNIO
Il sincretismo religioso sta mutando gli assetti tra le e delle diverse religioni oggi presenti nel panorama mondiale e, più
specificatamente, italiano. Fra queste religioni, il cattolicesimo mostra una rinnovata vitalità e sensibilità nei confronti del
sacro che, in questo capitolo, intendiamo approfondire.
Le migrazioni e, più un generale, i movimenti della popolazione mutano non solo la geografia politica di un territorio, ma
anche i riti e le pratiche culturali: le popolazioni si pluralizzano così anche dal pronto di vista religioso, per effetto di una
globalizzazione che inevitabilmente produce culture ibride e relativizza la nozione di identità di un intero paese. Oggi infatti,
sottolinea De Vita, "la cultura sono le culture e la loro mescolanza".
In questo quadro, il presente contributo cerca di descrivere a livello macro prima e micro poi (per micro intendiamo focus
su territori specifici quali il Triveneto e l'Emilia-Romagna) le diverse presenze religiose di estrazione cattolica che stanno
modificando la geografia socioculturale italiana.
11.2 CENTRI PASTORALI PER IMMIGRATI CATTOLICI
Negli ultimi vent'anni, con l'incremento dei flussi migratori, sono sorte diverse strutture pastorali per assicurare assistenza
socio-religiosa ai cattolici stranieri residenti nel nostro paese. Queste strutture sono definite genericamente Centri pastorali
(CP). Tali Centri pastorali, nell'arco di dieci anni sono più che raddoppiati (da 300 a 700 circa).
Dal punto di vista strutturale, i Centri pastorali possono avere una parrocchia di riferimento oppure possono essere essi
stessi una parrocchia.
Tra le principali diocesi metropolitane italiane, particolare e di prim'ordine è la situazione di quella romana: qui il numero di
parrocchie conta circa 300 unità per un totale di circa 130 Centri pastorali, nei quali ovviamente confluiscono tutti i colori
della cattolicità. Nelle altre principali diocesi metropolitane (Milano, Torino, Firenze, Napoli, Bologna, Palermo) si
evidenziano una presenza di cattolici stranieri innanzitutto meno numerosa e, in secondo luogo, meno frammentata per
nazionalità. Nota: in effetti i CP sono organizzati proprio secondo il criterio della nazionalità (oppure rifacendosi all'etnia e/o
alla lingua).
Al Nord prevalgono i CP per cattolici ucraini, al Centro quelli per cattolici filippini, al Sud nuovamente quelli per cattolici
ucraini e sulle Isole il maggior numero di CP è implicato per i cattolici srilankesi. Non di rado capitano CP che comprendono
contemporaneamente più comunità: è il caso di Bassano del Grappa, che vede in uno stesso CP cattolici nigeriani e cattolici
ghanesi.
Insomma, abbiamo ben capito che cattolico non vuol dire solo cattolico italiano, ma si è cattolici universalmente;
universalità che ci viene ricordata soprattutto dalla presenza migrante con cui bisogna fare quotidianamente i conti.

11.3 UNO SGUARDO SUL TERRITORIO DELLE TRE VENEZIE


Nel Triveneto la mappatura ha accertato la presenza di 115 Centri pastorali ripartiti in 15 diocesi. La distribuzione sul
territorio rispecchia, cosa abbastanza prevedibile, l'incidenza della popolazione straniera presente nelle diverse province
della regione conciliare.
Tra le nazionalità presenti, in primis i cattolici ucraini (concordemente allo studio macro) con 27 CP dedicati, a cui seguono i
romeni di rito bizantino, i ghanesi, gli albanesi ecc...
Aspetto interessante trattato in ricerca, il rapporto con le altre Chiese presenti sul territorio. Dell'analisi effettuata sembra
che questo non sia molto sviluppato. In effetti, i contatti segnalati sono pochi e per lo più trattano occasioni formali legati
ad incontri ecumenici e interreligiosi.
Sulle collaborazioni con gli enti locali e l'associazionismo del territorio, i CP lavorano soprattutto con i Comuni, in particolare
l'ufficio anagrafe, e la Caritas locale.
Si tratta comunque di una prima esplorazione, sicuramente non esaustiva.

11.4 I CATTOLICI-IMMIGRATI IN EMILIA-ROMAGNA


Innanzitutto sono 14 le diocesi presenti in Emilia-Romagna; alcune di queste, però, sono molto poco numerose e in quanto
tali si è proceduto nell'analisi che segue ad accorparle per aree (i corpi analizzati sono così passati da 14 a 6).
Le comunità presenti sull'intero territorio riguardano ancora una volta un ventaglio abbastanza ampio di nazionalità, specie
ancora ucraini, polacchi, africani (anglofoni e francofoni), latino-americani, filippini ecc. Si tratta di un insieme, questo, di
comunità cattoliche immigrate tuttora in divenire: si veda la recente costruzione delle singole comunità, il forte ancoraggio
con il paese di provenienza in termini di usi, costumi, tradizioni e lingua (anche al di fuori della celebrazione dei riti cattolici,
la lingua di appartenenza viene privilegiata rispetto all'uso dell'italiano). La partecipazione ai riti è variabile e solitamente
raddoppia durante le festività ufficiali. Emergono inoltre una maggiore partecipazione al femminile e una minore
partecipazione delle seconde generazioni e degli italiani (soprattutto in funzione dei matrimoni misti).
Si è ipotizzato, ed è stato confermato dalla ricerca, che l'appartenenza ad una comune religione può rappresentare un
fattore di integrazione e di riscoperta della fede e delle tradizioni, rivelandosi al contempo una spinta al rinnovamento, in
questo caso, per la Chiesa cattolica. Nello specifico del Triveneto, infatti, è risultato fondamentale il ruolo della parrocchia
come veicolo di integrazione. Questo, tanto in quanto è risultato ancora che in queste comunità migranti di fedeli, la
partecipazione è data quasi esclusivamente da persone provenienti dai paesi di origine, mentre è raro che italiani o fedeli
cattolici di altre provenienze prendano parte ai momenti di incontro (unica nota discordante, le comunità latino-americane
risultano molto più aperte e mettono in secondo piano l'appartenenza etnica).
In definitiva, l'immagine che emerge dallo studio è quella di un cattolicesimo che nei confronti dei gruppi immigrati si pone
come una realtà marked, marcata cioè ancora da un confine noi/loro che, in un'ottica di pluralismo religioso, sottolinea
come ci sia ancora da lavorare.
CAPITOLO 12 - LE NUOVE GENERAZIONI (di Annalisa Frisina)
12.1 LE TRASFORMAZIONI IN ATTO
"La sociologia delle generazioni è innanzitutto la sociologia del mutamento sociale e culturale".
Non è detto che i cambiamenti provochino necessariamente fratture familiari (tra genitori e figli, si intende, in un dialogo
intergenerazionale); i conflitti infatti danno spazio anche a negoziazioni e sono i figli, infine, che si riappropriano in modi più
o meno creativi del patrimonio messo loro a disposizione. Questa presa di coscienza, ovviamente, non riguarda tutti i
giovani allo stesso modo ed esistono quindi anche significative differenziazioni interne ad una stessa religione.
Due sono i fronti del cambiamento più importanti sui quali si trovano impegnati i giovani figli delle migrazioni cresciuti in
Italia:
- la gestazione di un l'italiano religioso nella società italiana;
- la ricostruzione di una memoria in comune con le loro famiglie, mettendo in discussione ciò che è tradizione e ciò che è
religione.

12.2 GIOVANI PENTECOSTALI ITALO-GHANESI


Cristiani in cerca di visibilità
Tra le principali novità della crescente diversità religiosa italiana, c'è anche la presenza delle Chiese neopentecostali
africane. Queste sono collocate più frequentemente in spazi marginali, periferici e, in particolare, nella campagna
urbanizzata veneta. Tra questi, c'è un gruppo di giovani ventenni che si sentono anche italiani e vivono questa invisibilità
come una discriminazione. Da qui, la motivazione principale a partecipare ad un percorso di ricerca sociologica di questo
genere, allora, è legata alla ricerca di una visibilità strategica che faciliti il cambiamento innanzitutto culturale della società
italiana, in modo che essa sia in grado di pensarsi diversamente.
Anche i protestanti storici (specie i valdesi) devono continuare a lottare per la libertà religiosa.

12.3 GIOVANI SIKH ITALO-INDIANI


La rappresentazione pubblica dei sikh in Italia è caratterizzata dallo stereotipo positivo dei pacifici e bravi lavoratori. Alcune
volte questa immagine è diventata caricaturale, con l'effetto di ridicolizzarli; altre volte questo stereotipo positivo è usato
contro altri migranti, in primis i musulmani, per creare un mondo di bianco e nero: religioni non-violente vs religioni
violente. Nota: la differenza religiosa sikh è stata anche folklorizzata. Per ovviare a questa visibilità ambivalente, bisogna
iniziare a ricercare, a prendere appunti, e questo per favorire un dialogo magari visuale con i genitori. Il matrimonio, ad
esempio, è un tema chiave per riflettere sulle trasformazioni socioculturali in atto.
In definitiva, la religione diventa una risorsa comunicativa utilissima per negoziare le tradizioni familiari, mettendole in
discussione in modo più o meno radicale.

CONCLUSIONI
Il panorama religioso è mutato e continuerà a mutare ancora di più. Si tratterà di un passaggio culturale rilevante per un
paese tendenzialmente a mono cultura religiosa come l'Italia. Arriveranno le nuove intese che sanciranno, anche dal punto
di vista giuridico, il riconoscimento della diversità religiosa: non si potrà più continuare a tergiversare negando all'uno o
all'altro tale riconoscimento. Il riconoscimento delle libertà di culto non può esser condizionato o, peggio, soddisfatto in
modo selettivo.
La via, quindi, per costruire una società di persone libere comincia dalla novità storica che le migrazioni hanno introdotto
nella vita sociale. Bisogna, a chiosa di tutto il discorso, trasformare l'estraneità in solidarietà.

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