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Destra e sinistra hegeliana

Dopo la morte di Hegel, i suoi discepoli si divisero in “vecchi hegeliani”, la generazione più anziana composta
dagli editori del filosofo, “giovani hegeliani”, la nuova generazione. Nel 1837 il filosofo Strauss designò queste
due correnti, con i termini derivati dalle consuetudini del Parlamento francese, la destra e la sinistra
hegeliana, a causa del loro diverso atteggiamento nei confronti della politica e della religione. Per quanto
riguarda la religione la dottrina di Hegel risultava ambigua in relazione a come avrebbero dovuto relazionarsi
la religione e la filosofia. Hegel aveva sostenuto che religione e filosofia esprimono un medesimo contenuto,
cioè una medesima verità, in due forme distinte, in quanto la prima esprime quel contenuto nella forma della
«rappresentazione» e la seconda nella forma del «concetto». Una dottrina di questo tipo poteva dar luogo a
due antitetiche impostazioni. La prima quella della destra che ritiene che il superamento della religione di cui
parla Hegel sia sinonimo di mantenimento, perciò cercano una conciliazione tra religione cristiana e filosofia,
andando ad armonizzare la religione cristiana. Per loro la religione aveva un ruolo significativo nel fornire
un’organizzazione alla società e una base morale; sottolineavano l’importanza di una sintesi tra la fede e la
filosofia. La seconda, quella della sinistra hegeliana, afferma come la religione debba essere superata dalla
filosofia, per giungere all’ateismo. Feuerbach, che appartiene a questa corrente ed è il filosofo dell’ateismo,
critica l’idealismo che definisce una teologia mascherata. Lui nella sua riflessione mette al centro l’uomo,
affermando come il mistero della religione sia l’antropologia. Quello a cui auspica la destra hegeliana non è
solo un superamento della religione bensì un vero e proprio ribaltamento della concezione religiosa. Nella
loro visione la religione era spesso vista come un riflesso delle condizioni sociali ed economiche. Nei confronti
della politica invece la destra, rifacendosi al secondo caposaldo della filosofia hegeliana, assume un
atteggiamento conservatore e giustificazionista, mentre la sinistra uno più rivoluzionario. La sinistra
hegeliana accetta l’identità tra reale e razionale ma pone la sua attenzione sull’evoluzione di questa. Afferma
come sia un processo che si articola in tappe poiché non tutto ciò che esiste di fatto è razionale e quindi
reale.

FEUERBACH
È la figura di maggiore spicco tra gli intellettuali della corrente della sinistra hegeliana insieme a Marx,
fondatore dell’ateismo nell’800. Feuerbach nacque nel 1804 in Baviera, allievo di Hegel, e poiché esprime
un atteggiamento critico viene colpito dalla censura. Le sue due opere più importanti sono: scritta nel 1841,
L’essenza del cristianesimo, e nel 1845 L’essenza della religione. Con Feuerbach si ha il passaggio
dall’idealismo al materialismo, è il filosofo dell’ateismo, proponendo un umanismo naturalistico, con la
valorizzazione dell’essere umano; all’interno di tale teoria troviamo la teoria degli alimenti, che nasce
dall’affermazione “l’uomo è ciò che mangia”. Pur essendo un suo allievo, Feuerbach critica Hegel, poiché
secondo lui quest’ultimo aveva posto in modo rovesciato (rovesciamento dialettico) il rapporto tra astratto-
concreto e soggetto-predicato. Se Hegel diceva che prima doveva venire prima l’astratto (il pensiero), che
considera un soggetto, un assoluto da cui partire, da cui ne deriva il concreto, l’essere, la materia. (nella
struttura del sistema hegeliano si parte dall’idea e l’essere emerge in un secondo momento, con l’idea fuori
di sé). Per Feuerbach, che vuole mettere al centro l’uomo concreto, l’essere fatto di forma, c’è prima l’essere,
da cui deriva il pensiero, predicato che emerge da questo soggetto. Critica Hegel, dicendo che si tratta di
una “teologia mascherata”. In questo modo Feuerbach realizza il passaggio dall’idealismo al materialismo,
rimettendo al centro l’essere e quindi l’individuo concreto. Ad un certo punto l’interesse di Feuerbach si va a
concentrare sull’aspetto religioso affermando come ci debba essere un ribaltamento anche in questo ambito,
poiché anche in questo caso il rapporto sia posto in un modo non corretto. Feuerbach riteneva che non fosse
Dio a creare l’uomo ma quest’ultimo a creare Dio. Ma allora perché l’uomo crea un Dio e si inventa una
religione? Il concetto fondamentale di questa riflessione è quello di alienazione, infatti per il filosofo l’uomo
che crea la religione si aliena. Il termine alienazione assume diversi significati a seconda dell’ambito nel
quale viene utilizzato: in ambito giuridico si utilizza per parlare di alienazione di diritti, in Hegel per parlare
dell’idea che esce fuori di sé e si aliena, per gli idealisti qualcosa di negativo, mentre ai giorni d’oggi gli alienati
sono i pazzi con problemi psichiatrici, per Marx invece si tratta di un fenomeno lavorativo. Feuerbach invece
lo lega al fenomeno religioso, affermando che l’essere umano si aliena perché nel momento in cui crea Dio,
individua delle caratteristiche che sono proprie, come l’amore, e non riconoscendole, poiché perfette, come
proprie, le trasferisce e le attribuisce ad un Dio. Una volta trasferite all’esterno, l’uomo è totalmente
sottomesso a Dio: Feuerbach dice che tanto più l’uomo si dedica a dio, tanto più l’uomo si toglie a sé stesso.
Allora si crea l’ateismo, che per Feuerbach è un dovere morale, dove l’uomo si disaliena e si riappropria delle
sue caratteristiche che aveva inizialmente trasferito a Dio passando quindi alla centralità dell’uomo.
L’interesse della religione è importante, perché parlando delle diverse religioni si costruiscono le
caratteristiche umane. L’uomo si trova in una sorta di scissione patologica, scissione interiore, e una
dipendenza interiore. È scisso perché non riconosce le qualità umane, è dipendente perché alinea queste
caratteristiche a dio. L’unica soluzione è l’ateismo, ossia una religione propria dell’uomo (filantropia),
l’affermazione dell’uomo, condizione di un nuovo umanesimo. (pag 94-95+esercizi).
L’uomo è spinto a crearsi un Dio, ad alienarsi, secondo varie ipotesi:
• la prima considerazione riguarda la distinzione tra l’individuo e la specie. L’individuo si percepisce
come singolo, debole, finito, destinato a morire, ma si percepisce anche come specie, che continua
nel tempo, non finita, poiché continua ad esistere. Da questa concezione si arriva alla creazione di
Dio che diventa personificazione della specie che ha le caratteristiche proprie dell’uomo portate al
massimo grado.
• la seconda interpretazione riguarda l’opposizione tra volere e potere. Gli uomini hanno continui
desideri, vogliono realizzare qualcosa, ma tra il volere e il potere ottenere c’è differenza. Da questa
opposizione l’essere si immagina un’entità in grado di soddisfare tutti i desideri umani. Quando gli
uomini avevano desideri finiti, le divinità erano finite, quando invece hanno desiderato cose infinite le
divinità sono diventate onnipotenti. Dio nasce dal desiderio umano, dall’impossibilità di realizzare tutti
i desideri dell’essere umano, rende possibile quello che per l’uomo è impossibile. “Dio è l’ottativo del
cuore umano divenuto troppo presente”.
• la terza, invece, che ritroviamo nell’Essenza della religione, fa riferimento alle prime religioni, che
vedevano Dio come ente naturale. L’origine di queste religioni non è altro che il senso di dipendenza
che gli uomini primitivi avevano nei confronti della natura, allora questi elementi che vengono
considerati fondamentali, diventano divinità.
Umanismo naturalistico
La soluzione di questa scissione patologica indicata da Feuerbach è la dis-alienazione, con il quale l’uomo
si riappropria delle sue qualità. Emerge una sorta di umanismo naturalistico, che viene anche chiamato anche
filosofia dell’avvenire, perché fa dell’uomo l’oggetto e lo scopo del discorso. Si chiama umanismo
naturalistico, perché il filosofo colloca l’uomo in un contesto naturale, da cui tutto dipende compreso l’uomo.
Quest’ultimo è un uomo concreto, che si colloca in un contesto naturale, ma si deve relazionare con gli altri
essere umani, molto importante è l’amore, un sentimento fondamentale, che porta l’uomo ad instaurare i
rapporti con altri esseri umani. Feuerbach sottolinea l’essenza sociale dell’uomo che non può percepirsi se
non con le relazioni con gli altri; secondo lui l’io non può stare senza il tu. Le idee scaturiscono dalla
comunicazione, solo dalla conversazione dell’uomo con l’uomo. Feuerbach si differenzia dalla concezione di
Marx, che inserisce invece l’uomo in una concezione storica. Dall’amore per Dio, all’amore per l’uomo nasce
la filantropia, una sorta di religione basata sull’uomo e sugli esseri umani. Tutta questa riflessione si basa sul
materialismo, ma un materialismo, che si caratterizza per la centralità dell’essere umano, infatti all’interno di
questa sua riflessione su come l’uomo vive in società, il filosofo inizia ad affermare che l’uomo è ciò che
mangia. Questa affermazione viene interpretata solo alla luce del materialismo e sembrerebbe vergere
sull’aspetto biologico dell’uomo. Ma come deve esser interpretata? Alla luce di un materialismo volgare, che
ha a che fare con la biologia, o indica un materialismo superiore? La seconda è più giusta, perché il filosofo
ci vuole dire che per promuovere il progresso spirituale, che ha a che fare con tutto ciò che è pensiero, l’uomo
deve partire dai bisogni primari, all’alimentazione. Se l’uomo non ha cibo sufficiente per sopravvivere non
avviene nemmeno questo progresso spirituale. Accenna anche questioni sul lavoro, anche se questo
concetto non viene sviluppato come in Marx. “se volete far migliorare il popolo dategli un’alimentazione
migliore”. Emerge una condizione materiale dell’uomo, ma al tempo stesso, l’uomo è anche un’unità
psicofisica, che non può essere scissa. (questione a pag 157-158)

MARX
Si inserisce all’interno della sinistra hegeliana, vedendo quindi l’uomo come materia. Porta avanti una
riflessione che verge su molti ambiti. Per capire meglio il suo pensiero citiamo: “Non è la coscienza degli
uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”.
Secondo Marx infatti non è l’astratto che determina la vita concreta, o base materiale, che poi per Marx
significa anche dire base economica, ossia la vita umana nei rapporti economici, ma è la base materiale, il
lavoro, a determinare la coscienza. Anche nell’interpretazione della storia, troviamo questa riflessione, che
fa emergere eventi di tipo sociale. Marx è un classico della cultura, un pensatore imprescindibile, che avendo
influenzato la storia del 800 e 900 ci aiuta a capire la storia di quegli anni. Marx è il filosofo del comunismo,
a cui i partiti comunisti che nacquero successivamente si ispirano, anche se il comunismo attuale non segue
precisamente il pensiero di Marx. Marx inoltre fa molte previsioni, nel Capitale, la sua ultima opera,
prevedendo il collasso del capitalismo, arrivando così al momento perfetto per l’affermazione del capitalismo,
avvenimento che si realizzerà in Russia, paese che secondo lui non era adatto perché poco sviluppato.
(Attualmente esistono ancora paesi comunisti come la Cina, anche se è aperta ad un’economia capitalistica,
Cuba, la Corea del Nord.) Il pensiero di Marx emerge sia da un’analisi globale del sistema economico
capitalistico, sia della società borghese. Per delineare il suo pensiero lui parte dall’analisi della condizione di
vita degli operai, che ai suoi tempi era drammatica, arrivando a dire che la filosofia si deve occupare di queste
questioni concrete e reali. Citiamo: “la filosofia deve essere portata dal cielo delle idee, alla terra degli
interessi e dei bisogni”. Per Marx quindi la filosofia non si deve occupare delle idee, ma di bisogni concreti.
Molto importante è l’analisi che Marx porta avanti di tutta la società borghese. Il suo interesse per la storia e
la sua teoria della storia, prendono il nome di materialismo storico dialettico. Marx con questo termine
riprende la dialettica hegeliana, che, come afferma, deve essere messa con i piedi per terra, si deve occupare
di questioni concrete. Per Marx il protagonista della storia, non è lo spirito del mondo come Hegel, che si
incarna negli spiriti dei popoli, ma i singoli individui negli ambiti economici e sociali. Marx tenta di mettere
insieme teoria e prassi, la storia quindi deve tentare di mettere insieme analisi, teoria e prassi politica. Dal
punto di vista della teoria, Marx, riprende delle tradizioni precedenti e le trasforma in qualcosa di nuovo
facendo dei riferimenti a:
• tutta la filosofia, in particolare quella tedesca, che va da Hegel e Feuerbach, mettendo in discussione
Hegel.
• l’economica politica classica. Accenna ai primi economisti che fondarono l’economia politica classica,
il cui fondatore è Smith, che individua queste leggi naturali, individuando la cosiddetta “mano
invisibile”. Fa riferimenti anche a Ricardo, un altro economista
• il socialismo prescientifico, e tutte le forme di socialismo precedenti al suo. Di cui parla nel Manifesto
del partito comunista, come quello utopistico che non riesce ad influenzare l’economia.
Individua la base economica, la struttura, data dall’economia capitalistica, dagli elementi sovrastrutturali, dal
pensiero e dallo Stato. Ha delle visioni globali perché guarda all’economia e alla filosofia. Marx inoltre viene
definito maestro del sospetto, insieme a Nietzsche, e Freud, da un filosofo contemporaneo Paul Ricoeur.
Vengono così perché inaugurano una nuova filosofia. Mentre Cartesio aveva dubitato di tutto a parte dell’io,
e del soggetto, con Marx si sospetta della coscienza, la soggettività, del soggetto. Quello che mette più in
dubbio è Freud, che dice che la parte migliore della psiche è quella che non conosciamo. Nietzsche, si
dichiara maestro del sospetto, a differenza di Marx che è maestro del sospetto, perché sospetta di quello
che la conoscenza produce, ideologie e valori, che sono illusorie. La coscienza produce la teoria dei diritti
dell’uomo, che è illusoria, perché questi diritti sono in realtà dei borghesi.

Cenni biografici
Nasce nel 1818 a Treviri, da una famiglia ebrea, che si era convertita al protestantesimo. Ha un’educazione
basata sui principi del liberalismo e di stampo razionalistico. Segue studi di giurisprudenza, alla quale si
succederanno gli studi filosofici a Berlino, dove incontra gli allievi di Hegel. Si trasferirà a Jena dove
conseguirà la laurea con un a tesi dal titolo Differenza tra la filosofia della filosofia di Democrito e quella di
Epicuro, dei materialisti. Il materialismo di Marx assumerà una concezione diversa rispetto a quella degli altri,
che per lui è la base materiale della società. Di Epicuro condivide tutta la questione del tetrafarmacum, mentre
non accetta il “vivi nascosto”, che sottolineava il disimpegno nella vita politica, che per Marx era inaccettabile.
Decide di dedicarsi al giornalismo, a Colonia diventa caporedattore di una gazzetta “renana”. Ben presto
questo giornale verrà colpito dalla censura e Marx nel 1843 si trasferirà a Parigi, dove diventerà amico di
Engels, con il quale scriverà delle opere. Si sposa con Jenny con la quale mette su famiglia, anche se dal
punto di vista famigliare saranno sfortunati, perché avranno delle difficoltà economiche, e i 3 figli moriranno.
Piano piano matura un distacco da Hegel, quando si trova nell’ambiente parigino, dove scrive La critica della
filosofia del diritto di Hegel. Non abbandona la sua vocazione da giornalista, infatti partecipa alla stesura
della rivista “annali franco-tedeschi”. Nel 1844 scrive un’opera in cui emergono pensieri già matura, ossia
Manoscritti economico-filosofico, nel quale sviluppa il concetto di alienazione. Viene espulso dalla Francia e
si trasferisce a Bruxelles. Con Engels scrive La sacra famiglia, Tesi su Feuerbach, e successivamente
L’ideologia tedesca, con la quale elabora la sua teoria della storia, ossia il materialismo storico o materialismo
storico-dialettico, quello che per lui è la base materiale cioè economica della società. Nel 1847 si tiene a
Londra la lega dei comunisti, alla quale Marx non partecipa al contrario di Engels, a loro due viene
commissionato il Manifesto programmatico, ossia il Manifesto del partito comunista. Nel frattempo Marx
pubblica la Miseria della filosofia, in cui entra in contrasto con Proudhon, che aveva scritto la filosofia della
miseria. (Marx ribalta il titolo dell’opera). Il 1848, anno della stesura del manifesto e anno dei moti, Marx
decide di tornare a Colonia e riprendere il progetto della rivista Renana, ma a causa della vittoria della
controrivoluzione tedesca viene espulso dalla Germania, torna nuovamente a Parigi, dove gli viene proposto
di trasferirsi in Bretagna. Quest’ultimo periodo, passato a Londra, è difficile sia in ambito famigliare, sia dal
punto di vista economico sia dal punto di vita dei lutti. Lavora al British Museum e approfondisce le questioni
economiche. Nel 1864 si tiene l’internazionale dei lavoratori, nella quale lui si scontra con Bakunin. Nel 1866
scrive il primo volume del Capitale, la sua opera più corposa, composta da 3 libri, gli ultimi due pubblicati
postumi. Nel 1875 scrive La critica del programma di Gotha, un partito socialista di interesse marxista, che
al suo interno aveva una corrente riformista, definita da lui poco rivoluzionaria. Nel 1883 a 65 anni muore,
con dei funerali molto grandi. Una delle tante corone di fiori rece l’emblema scritta: “a colui che ha difeso i
diritti dei lavoratori e li ha fatti valere nella pratica”.

Critica a Hegel (pc misticismo logico, demistificazione)


Il rapporto tra Marx e Hegel è molto complesso, ci sono molte somiglianze ma anche tante differenze. Alcuni
studiosi affermano come il pensiero di Marx si sviluppi con uno sfondo hegeliano. Le somiglianze sono legate
soprattutto all’interesse della storia, anche se Marx interpreta la storia in modo diverso, e dalla dialettica,
ossia la necessità di passare per negazioni e opposizioni per far muovere la storia, che ritroviamo in Marx,
anche se afferma come la dialettica debba essere applicata alla realtà. Le differenze invece sono politiche e
si basano soprattutto sul materialismo di Marx e l’idealismo di Hegel.
La critica della filosofia del diritto di Hegel del 1843, si caratterizza per due tipi di analisi che Marx porta
avanti: una di tipo filosofico-metodologico, che somiglia all’approccio di Feuerbach quando critica Hegel,
l’altra di tipo storico-politico. Marx critica di Hegel il rapporto che questo aveva istituito tra astratto e concreto.
Per Marx non viene prima l’astratto e poi concreto, bensì il contrario. Marx definisce il metodo di Hegel una
sorta di misticismo logico, affermando che lo stratagemma di Hegel sta nel fatto di aver trasformato la realtà
empirica in delle manifestazioni necessarie dello spirito, dell’idea, in concetti astratti, mettendo in atto una
svalutazione della realtà perché, secondo lui manifestazione di qualcosa che viene prima. Come se Hegel
vedesse dietro la realtà sempre qualcos’altro, sempre un mistero, una realtà occultata, perché queste non
sono altro che manifestazioni di un’entità astratta. Questo misticismo logico, viene presentato attraverso
l’esempio della frutta: esistono le mele, le pere, le mandorle, io osservo i frutti diversi e mi costruisco un’idea
di frutto che va oltre le differenze perché individua ciò che è comune. In realtà anche Hegel che è autore del
misticismo logico forma l’idea di frutto a partire dai frutti concreti, ma una volta che viene individuata l’idea di
frutto, le differenze tra i frutti non vengono colte, perché la mela non è altro che manifestazione necessaria
dell’idea generale di frutto. Hegel quindi attraverso il misticismo si valorizza l’idea generale, e non si tiene
conto delle differenze, si vede nella frutta reale soltanto quest’essenza, non credendo che quest’idea invece
è venuta dagli oggetti concrete. Marx oppone a questo processo un processo trasformativo, che consiste nel
riconoscere di nuovo ciò che è veramente soggetto e ciò che è veramente predicato. L’idealismo ha del
concreto la manifestazione dell’astratto.
In questo saggio M vuole demistificare, trovare il segreto, della filosofia hegeliana, e fare emergere l’illusione
su cui è fondata questa teoria. L’unica cosa che Marx salva è la dialettica perché la realtà come totalità
storico-processuale è costituita da elementi concatenanti tra loro e mossa da opposizioni, la rivoluzione, che
lui cerca di prevedere, è il motore che fa muovere la storia, è quindi necessaria.

Critica a Feuerbach
Marx si distacca dalla sinistra hegeliana, scrivendo Le tesi su Feuerbach e ideologia tedesca. Pur
condividendo alcuni punti con Feuerbach, Marx si distacca da lui in relazione al modo di concepire l’essere
umano. Feuerbach diceva che bisognasse mettere al centro della riflessione l’essere umano, l’uomo
concreto, in carne ed ossa. Questo uomo concreto è un essere umano svincolato dalla storia, un uomo a-
storico, emerge nella sua filosofia una concezione dell’uomo come essere naturale non profondamente
inserito nella realtà storica. È vero che Feuerbach rivendicava di Hegel l’uomo concreto, ma non è un uomo
stoico. Marx segue Feuerbach ma riprende la storia di Hegel, con una concezione profondamente diversa
da quella di Hegel. Per Marx la storia è l’evoluzione dei rapporti economici, in riferimento ad una base
materiale. Il pensiero di Feuerbach ha dei limiti perché considera l’essere umano come qualcosa di naturale,
privo della dimensione storica, un’astrazione immanente all’individuo singolo, invece per Marx l’uomo è
l’insieme dei rapporti sociali (tesi VI). L’uomo non ha un’essenza atemporale, poiché Marx guarda alla
concretezza e alla storicità. Passa da un materialismo antropologico di Feuerbach ad un materialismo
scientifico (indagine socio-economica). Bisogna inserire l’uomo all’interno di una base economica all’interno
di una società. Nella prima critica di Marx individua il limite di Feuerbach che sta nel non aver colto la storia,
le caratteristiche socioeconomiche, senza inserire l’uomo all’interno di rapporti sociali.
La seconda critica riguarda il concetto di alienazione, perché anche Marx parla di alienazione. Feuerbach
aveva visto l’alienazione in senso negativo, come qualcosa di necessario e strutturale, non cogliendo le
cause reali, come una sorta di patologia. Marx riprende il concetto di alienazione in particolare quella
religiosa, nella quale l’uomo è scisso, e dice che Feuerbach aveva individuato della cause che però facevano
riferimento ad un essere umano fuori dalla storia, mentre per Marx le vere cause sono da ricondurre nelle
condizioni economico-sociali in cui l’uomo è costretto a vivere, le ingiustizie sociali, tutte le forme di
sfruttamento ed oppressione dell’essere umano lavoratore, perché l’essere umano, sofferente, trova nella
religione una consolazione. La religione è il “sospiro della creatura oppressa”, è “l’oppio dei popoli”, l’essere
umano lavoratore oppresso in una società, come l’operaio, cerca di stordirsi per sopportare questa sofferenza
attraverso la religione. Esiste l’alienazione religiose, è frutto di un’alienazione di base, che si ha in ambito
lavoratore, la religione è frutto di una miseria, che viene prodotta da una più profonda alienaizone.se si
elimina la prima, quella in ambito lavorativo, allora l’essere umano non avrà più bisogno di stordirsi perché si
riapproprierà della propria essenza. La creatura oppressa, cerca nell’al di là quello che non trova nell’al di
qua.
Troviamo la terza critica, nella tesi XI, (pag 109 espansione) dove troviamo il riferimento ad un approccio che
Marx critica. Quest’ultimo critica Feuerbach per la tendenza al teoreticismo e al contemplativismo che lo ha
portato a ignorare l’aspetto attivo e pratico, trascurando completamente la praxis rivoluzionaria: i filosofi
hanno solo interpretato il mono, ma ora è necessario cambiarlo. Marx dà importanza alla prassi rivoluzionaria.
La dis-alienazione coincide con qualcosa di effettivo, con la rivoluzione, ossia la riappropriazione della propria
essenza della propria umanità. Il proletario attraverso la rivoluzione si riappropria della propria essenza.
Nella tesi VI Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana, ma l’essenza umana non è qualcosa
di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali.
Nell’11 tesi dice i filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, adesso si tratta di trasformarlo.

I manoscritti economico-filosofici
Quest’opera è stata composta a Parigi nel 1844. Molto importante perché è l’inizio, dove Marx comincia ad
interessarsi all’economia. Marx fa riferimento ad alcune tradizioni economiche che prima riprende e poi
supera: una di queste è l’economia politica classica, ossia quella borghese, fondata da Smith. In quest’opera
comincia a fare i conti con gli economi della politica classica ossia coloro che cominciano ad individuare, le
caratteristiche del capitalismo, gli aspetti negativi e positivi, e le crisi di produzione. Marx apprezza queste
analisi, essendo questi i primi a parlare del capitalismo, e parte da questi saggi individuandone un limite,
ossia il fatto di aver considerato il sistema economico capitalistico come l’unico sistema naturale, non storico,
l’unico possibile di produzione e consumo delle merci. Questi storici secondo Marx non riescono a pensarle
al sistema capitalistico come un procedimento dialettico e storico processuale. Per lui invece l’economia
capitalistica si è affermata storicamente, ed è importante sottolinearlo poiché solo così si può cambiare: come
si è affermato si può superare. Marx insiste sulla questione che il capitalismo debba essere superato, non
solo trasformato. L’economia tradizionale, per Marx, ha l’incapacità di ragionare in modo dialettico, non
pensano gli economisti in modo storico-processuale, ed eternizzano il sistema capitalistico, considerandolo
come l’unico possibile. L’altro limite di quest’economia è quello di aver sottovalutato la conflittualità tra i due
protagonisti di questo sistema economico, che sono la borghesia e il proletariato che porta ad un’opposizione
tra capitalisti e operai e tra capitale e lavoro: sottovalutare questo significa non aver capito che il sistema
capitalistico è fondato sull’alienazione, che viene superata con la caduta del capitalismo. Marx dice che
l’operaio è alienato rispetto a quattro aspetti del lavoro; rispetto all’oggetto, rispetto alla sua attività, alla
propria essenza, (dicendo che questa, si realizza nell’ambito lavorativo, l’uomo si realizza in lavoro creativo
caratterizzato dalla libertà), rispetto al prossimo, e quindi rispetto al rapporto con gli altri esseri umani. Per
Marx il lavoro è l’attività attraverso il quale l’uomo trasforma la natura e da senso alla natura, è un lavoro
libero. Anche gli animali lavorano, ma quello non è il lavoro umano, perché loro sono mossi dall’istinto e dalla
necessità; mentre il lavoro umano emerge anche se non c’è una necessità, perché l’uomo, prima di realizzare
un oggetto prodotto, lo crea mentalmente e poi lo realizza. Prende come esempio il lavoro delle api, che è
qualcosa di necessario, mentre quello dell’uomo è creativo, anche detto lavoro vivo. L’uomo adatta la natura
a quali sono le esigenze umane. (pag 164-165)
Il termine alienazione per Marx indica uno stato di scissione, forma di dipendenza e auto-estraniazione
dell’operaio rispetto ai 4 elementi:
• nei confronti dell’oggetto che produce. Marx dice che l’operaio mette qualcosa di sé nell’oggetto che
crea, di cui poi si dovrà privare perché quest’oggetto apparterrà al capitalista. Essendosi espropriato
dell’oggetto gli si costituisce come una potenza dominatrice estranea nei confronti dell’operaio:
quanto più l’operaio mette sé stesso nell’oggetto, esso produrrà una povertà sempre crescente
nell’operaio e quindi quanto più l’operaio mette sé stesso nell’oggetto tanto più toglie a sé stesso
qualcosa. (pag 140-141) L’oggetto è una potenza dominatrice estranea, rispetto all’operaio che perde
e si scinde rispetto alla propria essenza e si abbruttisce più si arricchisce il capitalista più si
impoverisce l’operaio della propria essenza. L’oggetto è il soggetto oggettivato. Il prodotto del lavoro
è il lavoro che si è fissato come oggetto.
• rispetto alla propria attività, la quale gli si presenta come un lavoro forzato, costrittivo, perché è un
lavoro che non ha come fine i propri interessi, ma quelli del capitalista. L’operaio viene trattato dal
capitalista come una propria merce, che usa a proprio piacimento, facendo lavorare l’operaio quanto
voglia. Da qui ne deriva che l’operaio nel posto di lavoro, dove si dovrebbe sentire realizzato, si senta
“bestia”, un oggetto poiché subisce questo processo di abbrutimento, non si sente a casa propria, ma
si sente a casa propria nel momento in cui è fuori dal posto di lavoro, quando soddisfa i suoi bisogni
primari (bere mangiare procreare), che però lo accomunano alle bestie. Se questi diventano l’unico
fine per l’operaio si realizza l’abbrutimento dell’operaio in bestia: trasformazione dell’operaio in bestia,
in animale, perché si sente così nelle attività lavorative quando invece dovrebbe sentirsi uomo.
• rispetto alla propria essenza, o al genere (wesen) che si differenzia da quella storica, che si realizza
in modi diversi rispetto all’ambito lavorativo in cui l’uomo è. La prerogativa dell’uomo nei confronti
dell’animale è legata all’attività lavorativa e al lavoro libero, creativo e universale.
• nei confronti del prossimo, poiché tutti i rapporti sociali dell’operaio sono caratterizzati
dall’alienazione, perché la persona con cui l’operaio si confronta maggiormente è il capitalista, che
però lo considera non come un soggetto ma come una merce, come una forza lavoro. C’è
un’oggettivazione da parte del capitalista nei confronti dell’operaio, questo rapporto quindi è alienato.
Tutte le altre relazioni di conseguenza sono caratterizzate dall’alienazione. La causa del meccanismo
dell’alienazione risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione, che sono propri del capitalista.
(descritti nel capitale).
L’unico modo per superare l’alienazione è la dis-alienazione, ovvero attraverso un processo storico, di perdita
e la riconquista totale da parte dell’uomo della propria essenza, e quindi il comunismo diventa la soluzione
dell’enigma della storia. La soluzione è la rimozione della proprietà privata. Marx trova la soluzione nella
prassi trasformatrice della rivoluzione. (scheda libro pag 109 e 106). Il materialismo marxista, ossia il pensiero
di Marx, fa riferimento ai rapporti economici e la base economica che fa la storia. Ha a che fare con il lavoro.

Il materialismo storico (pc forza produttive, rapporti di produzione, struttura economica, sovrastruttura,
materialismo storico dialettico, classi, storia)
Termine che troviamo nel saggio di ideologia tedesca, scritto con Engels, durante l’esilio a Bruxelles. Per
Marx parlare di materialismo storico significa inserire l’uomo in una condizione storica ed economia, infatti
afferma come la storia si mossa da forze di natura economico sociale. Non si tratta di materialismo classico
dove tutto è materia ed è costituito da materia, ma si fa riferimento al fatto che la storia continua sulla base
economica, facendo anche riferimento al lavoro. Parlare di materialismo storico significa andare a definire la
struttura e la sua sovrastruttura giuridico-politico-culturale collegata, stabilendo anche in che rapporto queste
stiano. Il suo obiettivo era quello di poter fondare una scienza della storia, vuole cogliere il reale movimento
della storia, contrapponendosi a coloro che avevano dato un’interpretazione falsa di questa, che si erano
sviluppate nel contesto idealistico. Marx crede che le ideologie non siano altro che la falsa interpretazione
della realtà, e quindi della storia. In particolare quella di Hegel che dice che il protagonista della storia era lo
spirito, mentre le vere forza motrici per Marx sono di forma materiale, quindi di natura economica, e quindi
del lavoro. Secondo lui la storia inizia quando gli uomini iniziano a produrre la civiltà umana e i loro mezzi di
produzione, a causa dei loro bisogni e della loro creatività, mezzi sempre più innovativi, e inizia quella
dialettica che sta alla base dell’umanità. (mappa concettuale 112)
Con il termine ideologia si indica una rappresentazione falsa o deformata della realtà, derivante da specifici
interessi di classe, la lotta contro l’ideologia costituisce uno degli scopi primari del marxismo. Marx si presenta
come il filosofo del sospetto, poiché vuole smascherare le false ideologie e afferma che la storia è un
processo materiale fondato sulla dialettica bisogno-soddisfacimento.
Il materialismo storico nasce dalla sintesi di materialismo antropologico (che diventa scientifico) di Feuerbach
e lo storicismo di Hegel, perché Marx corregge Feuerbach con Hegel, e corregge Hegel con Feuerbach.
Inoltre si fonda sulla distinzione tra struttura e sovrastruttura: la prima costituita dalle forze produttive e dai
rapporti di produzione, che insieme determinano il modo di produzione e la loro tensione dialettica che spiega
il divenire storico; la seconda invece concerne i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine morali, le idee
filosofiche e religiose, la produzione artistica e culturale. a sua volta la struttura determina oppure condiziona
la sovrastruttura.
Il materialismo si fonde sulla distinzione tra:
• La struttura, che determina e condiziona la sovrastruttura, è quindi la base economica, il modo di
produzione. È costituita dalle forze produttive e i rapporti di produzione, che insieme determinano il
modo di produzione e lo scheletro economico della società, dove si va ad installare una sovrastruttura.
La loro tensione dialettica permette di spiegare il divenire storico. Come per Hegel anche per Marx la
contraddizione è quello che fa muovere la storia, ossia i periodi rivoluzionari. Le forze produttive sono
tutti gli elementi necessari al processo di produzione che sono: ossia gli uomini, che producono (la
forza lavoro), i mezzi di produzione che possono essere la terra poi i macchinari per produrre (perché
l’economia si evolve), e le conoscenze tecniche e scientifiche in un determinato momento, che
tendono ad evolvere. Le forze produttive perciò tendono ad essere dinamiche, perché i mezzi di
produzione sulla base delle conoscenze tecniche e scientifiche evolvono. Marx individua anche dei
rapporti di produzione ossia i rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e
regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di produzione, e giuridicamente si stabiliscono nei rapporti
di proprietà. A differenza delle forze produttive che sono dinamiche, i rapporti di produzione cambiano,
ma tendono ad essere statici, poiché fanno resistenza al cambiamento. (da qui si capisce perciò
nasce con il tempo una contrapposizione). L’insieme delle forze produttive e dei mezzi di produzione
formano la struttura economica o modo di produzione di una determinata epoca. È come un
piedistallo, perché su questa si va ad installare o collocare una sovrastruttura.
• La sovrastruttura (dal tedesco uberbau) giuridico-politico-culturale, sta ad indicare l’ambito politico, lo
stato, dottrine etiche, artistiche, religiose e politiche. Lo stato è sovrastruttura, il riflesso di una
determinata struttura economica, riflesso degli interessi di una determinata classe economica che in
quella struttura è dominante. Lo stato borghese non è altro che il riflesso del capitalismo. Nella critica
dell’economia politica lui scrive che non è la coscienza che determina l’uomo, l’essere concreto e
sociale, ma l’essere concreto (i rapporti lavorativi e le sue condizioni lavorativa) che determina la
coscienza.

Il rapporto tra struttura e sovrastruttura


• Dire che la struttura è in rapporto con la sovrastruttura, si intende dire che la sovrastruttura è il riflesso
della struttura. Marx non banalizza la sovrastruttura dicendo che sia evanescente, mere apparenze,
vuole solo dire che sono il riflesso della sovrastruttura.
• A volte Marx sembra indicare un rapporto molto stretto “determina”, altre volte invece uno meno stretto
“condizione”. Non c’è non un rapporto diretto, in modo deterministico, non emergono le leggi, c’è un
condizionamento e un riflesso, non un passaggio meccanico. Marx rimane nell’ambiguità perché
vuole sottolineare la dipendenza e non un rapporto meccanicista. Al cambiamento di una struttura
cambia anche la sovrastruttura.
• Marx comunque mette al centro della storia la struttura, l’unica cosa che determina la storia è
l’economia di cui poi la sovrastruttura è solo riflesso. (pag 143-144)
Ci sono alcune idee che sembrano essere fondamentali nel cambiamento. Weber, nel suo saggio al
capitalismo, dice che l’etica calvinista (lavoro come dovere, professione) aveva favorito l’affermazione della
politica capitalistica. Marx non esclude che ci siano delle idee che siano molto importanti, ma dice che queste
idee sono già il risultato di una modificazione della struttura, c’è un cambiamento nella base economica che
favorisce la nascita di determinate idee.

La dialettica della storia


Si tratta di un materialismo che si può definire storico dialettico, poiché per Marx la storia riprende la legge
dialettica, ma a differenza della dialettica di Hegel (non riprende da Hegel il continuo sviluppo triadico), deve
essere messa con i piedi per terra perché non riguarda ciò che sta in alto ma riguarda la base. Marx riprende
la legge dialettica e la applica alla storia, dicendo che ha uno sviluppo dialettico, nel quale troviamo l’antitesi
necessaria, perché fa muovere la storia tra le forza produttive e i rapporti di produzione dove abbiamo o una
corrispondenza, o, quando le forze produttive tendono a mutare, in una certa parte della storia cominciano
ad entrare in contraddizione con i rapporti produttivi oppure tra di loro. Esempio lampante è la rivoluzione
francese nella quale ci sono periodi di corrispondenza e di contraddizione. Quest’evoluzione delle forze
produttive comincia a mettere in discussione i rapporti di produzione, che diventano obsoleti e vengono
spazzati via. Per riportare l’interpretazione di Marx alla storia, si deve anche far riferimento alle classi; le forze
produttive e i rapporti di produzione non sono concetti astratti, ma fanno sempre riferimento agli uomini
concreti che sono sempre inseriti, “incarnati” all’interno di diverse classi. Le forze produttive sono sempre
incarnate, e fanno riferimento all’azione di uomini che agiscono all’interno di una classe in ascesa, che si
afferma; i rapporti di produzione sono incarnati nella classe dominante in quel momento. “la storia è sempre
stata una lotta di classe”, affermazione che troviamo nel manifesto. Dopo la rivoluzione francese si arriva ad
una polarizzazione delle classi specifiche che sono due: la borghesia e il proletariato.
La rivoluzione francese viene interpretata come una rivoluzione della borghesia, che ha trasformato il mondo,
che in quel periodo incarnava le nuove forze produttive che entrano in contrapposizione con i vecchi rapporti
di produzione agricolo-feudali, incarnati nella vecchia classe dirigente, ossia l’aristocrazia. Da questa
contraddizione ne emerge una rivoluzione che porta all’affermazione della borghesia, che spazza via i vecchi
rapporti di produzione e afferma una nuova struttura, e quindi anche della sovrastruttura. Emergono nuovi
rapporti di produzione, che definiamo privatistici, perché il sistema capitalistico afferma la nascita della
proprietà privata. Nel manifesto Marx dice che la borghesia è inevitabilmente, che è come uno stregone che
evoca nuove forze incarnate dal proletariato, che però non saprà più dominare. Necessariamente quindi si
arriva ad un’altra contraddizione tra forze produttive incarnate dalla borghesia di tipo privatistico, e le forze
produttive incarnate dal proletariato di tipo sociale-collettivo, all’interno della fabbrica. Ciò significa che
siccome la fabbrica è un tipo di lavoro sociale, anche la distribuzione della ricchezza diventa di tipo sociale.
Nel Capitale spiega quando di preciso ci sarà la rivoluzione, ossia quando ci sarà il collasso del capitalismo.
Quando il proletariato approfitterà di questa contraddizione e prendendo il potere, caratterizzato dal nuovo
modo di produzione, ossia l’assenza di proprietà privata, e ci sarà uno stato proletario, che andrà a cambiare
completamente la struttura. Con questi nuovi rapporti di produzione di tipo sociale-collettivo ci sarà una nuova
contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione? Secondo Marx no, perché questa contraddizione
porta progressivamente all’affermazione del comunismo rozzo, che è espressione di una nuova classe
formata. Questa rivoluzione porterà al superamento delle classi, poiché diventeranno tutti proletari, e anche
dello stato, che è espressione degli interessi della classe in quel momento. Nascerà uno stato proletario, ma
questo è solo un momento di passaggio verso un’ulteriore trasformazione, che porta ad un ulteriore dis-
alienazione dell’essere umano che riuscirà ad appropriarsi della propria essenza. Con la rivoluzione
comunista quindi, secondo Marx, finisce la storia, poiché non ci sarà una nuova contraddizione e rivoluzione.
Questa previsione di Marx non si attuerà mai, anche perché la rivoluzione comunista si attua in Russia, che
inizialmente per Marx era un paese troppo arretrato da cui poteva partire la rivoluzione.
Attraverso questi concetti Marx illustra quest’evoluzione della storia secondo delle formazioni-economico
sociali, che sono delle tappe all’interno della storia dell’umanità, che fanno riferimento sia al tipo di economia
ossia alla struttura, ma anche alla sovrastruttura. Le formazioni economico-sociali, di cui si parla nella
prefazione, sono:
• la società asiatica, dove secondo lui inizia la storia dell’umanità e nascono le prime civiltà. La
formazione economica sociale asiatica, è fondata su forme comunitarie di proprietà
• si arriva alla società antica, di tipo schiavistico
• poi alla società feudale, con rapporti tra signori e vassalli
• poi c’è la società borghese, con lo sfruttamento dell’operaio
• da cui poi nascerà la futura società comunista, o socialista, che era già contenuta in quella borghese,
poiché il potere economico della borghesia non esisterebbe senza il proletariato
Marx critica quelle forme di socialiste che non hanno colto questo punto e vogliono una società di tutti
borghesi. Ancor prima della società asiatica esisteva una società primitiva caratterizzata dall’assenza di
proprietà privata, e sulla comunanza dei beni. Il processo di formazione va da un comunismo primitivo a un
comunismo futuro, che è un’utopia, perché non è avvenuto, se non solo in parte che spesso ha tradito il
processo di Marx. Secondo lui necessariamente si arriverà all’affermazione di comunismo. Nel manifesto fa
riferimento alle diverse forme di socialismo e il suo che definisce scientifico, perché si fonda su una teoria
scientifica della storia (materialismo storico), perché si basa sulle leggi scientifiche economiche fondamentali,
che stanno alla base del capitalismo.
(contro-tesi di Marx pag 1179)
Manifesto del partito comunista
È un manifesto pragmatico, ed è stato scritto con Engels in seguito ad una richiesta della lega dei comunisti,
nel 1848 un anno molto rivoluzionario, con i moti del ’48 che vedono la partecipazione dei lavoratori. Ha un
incipit molto particolare che recita “uno spettro si aggira nell’Europa” è lo spettro del comunismo e una
conclusione molto famosa “proletari di tutto il mondo unitevi” che rimanda all’internazionalismo, forme di
alleanza al di là della forma di governi, che spesso mossi da nazionalismo sono divergenti tra di loro. È diviso
in 4 parti: nella prima parte, borghesi e proletari, parla molto positivamente della borghesia, attribuendogli il
merito di essere riuscita a mettere in contatto molti popoli, ma allo stesso tempo di aver suscitato delle forze
che con riescono ad essere dominate. Nella seconda parte, proletari e comunisti, parla del concetto di classe
affermando che i proletari devono iniziare ad avere la “coscienza di classe” rivoluzionaria che avviene con
l’adesione ad un partito. In questa seconda parte individua i primi provvedimenti che devono essere presi
per riuscire ad affermare il proletariato e fa un riferimento a quest’utopia, che non viene descritta pienamente.
Nella terza parte, letteratura socialista e comunista, analizza delle forme di socialismo, in particolare il
socialismo utopistico, sempre contrapposti a quello di Marx che lui definisce scientifico; invece nell’ultima
delinea la posizione dei comunisti rispetto ai diversi partiti di opposizione, come devono comportarsi, se
essere ostili, o favorevoli.
La prima parte “Borghesi e proletari” si apre, dopo l’incipit in cui si parla dello spettro del comunismo, con la
definizione di storia. Si può dire che il Manifesto è esposizione della concezione materialista della storia,
Marx afferma “la storia di ogni società è la storia di lotte di classe”. Dire che la storia è formata da classi. Una
contrapposizione tra oppressi e oppressori, non è diverso da dire che la storia è il risultato del processo
dialettico mosso dalla contrapposizione tra forze di produttive e rapporti di produzione. La situazione che va
a descrivere Marx è quella del mondo moderno, dove descrive anche il ruolo della borghesia, descritta come
classe dinamica per eccellenza, la classe rivoluzionaria che ha trasformato il mondo, l’evoluzione di borghesi
a fino ad arrivare alle attività più redditizie, l’accumulo di capitali e il lavoro nelle industrie È quella casse che
incarna forze produttive che continuamente sono state sottoposte a rapporti di produzione. L’epoca dell’età
moderna è una sorta di polarizzazione tra borghesia e proletariato, affermando che come uno stregone la
borghesia ha sottomesso il proletariato. Quando la borghesia andrà al potere andrà ad incarnare nuove forze
produttive che si contrapporranno ai rapporti di produzione si arriverà ad una nuova rivoluzione. Il lavoro
della fabbrica è ciò che produce che il proletariato e quindi si arriverà inevitabilmente al processo
rivoluzionario.
Nella seconda parte “Proletari e comunisti” prende le mosse dalla riflessione precedente e dal fatto che i
proletari nella fabbrica troveranno le condizioni per arrivare alla dittatura del proletariato. Lo scopo del partito
comunista è quello di assumere la coscienza di classe, per arrivare alla rivoluzione. Si parla quindi del
concetto di classe, e di come si assume questa coscienza di classe e, alla fine afferma che la rivoluzione
comunista è la rottura più radicale dei rapporti di proprietà tradizionali. La vera democrazia per lui è il
comunismo, non il principio moderno liberale, il principio della rappresentanza: ma di un’uguaglianza giuridica
ed economica, con l’abolizione della proprietà privata. Anticipa poi ciò che accadrà dopo, dicendo che il
proletariato riuscirà a strappare tutto il capitale alla borghesia, anche con la violenza. Marx è contrario all’uso
della violenza a patto che questa non serva durante la dittatura del proletariato, che sarà conquistata anche
con mezzi dispotici, poiché la borghesia non lascerà facilmente il capitale. Marx dice che nei paesi più
progrediti ci potranno essere diversi provvedimenti, e in modo differente verranno adottata delle misure per
arrivare al comunismo. La prima che delinea è simile al decreto sulla terra del congresso del popolo in Russia,
quindi l’accentramento degli accrediti nelle mani dello stato, l’espropriazione della proprietà fondiaria e
l’abolizione del diritto di eredità. L’ultima riflessione fa riferimento all’utopia, la fase futura a quella che sta
descrivendo: quando le differenze saranno scomparse e Quando la borghesia andrà al potere andrà ad
incarnare nuove forze produttive che si contrapporranno ai rapporti di produzione si arriverà ad una nuova
rivoluzione. Il lavoro della fabbrica è ciò che produce che il proletariato e quindi si arriverà inevitabilmente al
processo rivoluzionario. E infine afferma “il libero sviluppo di ciascuno è il libero sviluppo di tutti”, parlando di
questa utopia.
Nella terza parte Marx raggruppa e divide la letteratura socialista in tre tendenze di fondo:
• Socialismo reazionario; all’interno del quale abbiamo il socialismo feudale, il socialismo piccolo
borghese e quello tedesco, gli ultimi due possono essere trattati insieme. Lo definisce reazionario,
pensiero che sta a destra, perché si vuole ritornare indietro nella storia, e il significato applicato al
socialismo significa che critica la borghesia, il sistema capitalistico che produce sfruttamento e
alienazione. Non critica l’alta borghesia industriale perché vuole superare il capitalismo e affermare il
comunismo, volendo tornare ad una società pre-capitalista, Marx dice che vogliono far “girare al
contrario la ruota della storia”, che è impossibile. Il socialismo feudale, o romanticheggiante auspica
all’abolizione della società capitalistica per recuperare un passato pre-rivoluzionario, e pre-borghese.
Marx li critica perché vogliono sostituire all’alienazione della fabbrica e allo sfruttamento
un’alienazione passata, di stampo medievale, mentre il socialismo scientifico vuole superare ogni
alienazione. All’ombra del socialismo feudale prolifica un “socialismo pretesto, il quale utilizza,
secondo Marx, il messaggio evangelico per darsi una “tinta socialista”, vogliono una realizzazione
pacifica dell’uguaglianza, che per Marx è una vera e propria utopia. Abbiamo quello piccolo-borghese
(e tedesco) che esprime il pensiero della piccola borghesia, critica nei confronti dell’alta borghesia
industriale, che ha prodotto la rovina della piccola borghesia, (anticipa la riflessione sulla società di
massa), perché ha spazzato via le piccole attività della piccola borghesia. Anch’esso un ritorno alla
società pre-borghese. Quello tedesco, che si autodefinisce vero socialismo, è un socialismo piccolo-
borghese, e nella sua rabbia antiborghese finisce per sostenere i governi reazionari opponendosi a
quelle conquiste della borghesia liberale, rifiutando le pari libertà che potrebbero provvisoriamente
estese agli operai, ed essere un successo anche per loro.
• Socialismo borghese o conservatore che è incarnato da alcuni filantropi che vorrebbero curare il
capitalismo negli aspetti negativi. Vogliono mantenere il capitalismo, ma emendato, liberato dagli
aspetti negativi, senza distruggerlo; questi socialisti vogliono la borghesia senza il proletariato, ciò,
secondo Marx, è impossibile. Hanno una mentalità non dialettica, non rendendosi conto che il
capitalismo nono può essere curato perché si basa sullo sfruttamento, perché esso produce i suoi
inconvenienti. Viene chiamato borghese perché vorrebbero trasformare tutti in borghesi, o piccoli
proletari. Uno dei maggiori esponenti di questo socialismo è Proudhon, accusato da Marx perché non
capiva il meccanismo della dialettica, e voleva che tutti fossero dei piccoli borghesi, tollerando la
proprietà privata, non volendola distruggere bensì distribuire tra tutti.
• Socialismo e comunismo critico-utopistico, con personaggi come Fourier, che auspicava alla nascita
di alcune cellule della civiltà, caratterizzate da uguaglianza e non sfruttamento, i falansteri oppure
Owen, che aveva cercato di realizzare un esperimento nelle proprie industrie con un lavoro non
alienato. Loro secondo Marx, non riconoscono al proletariato una funzione storica e rivoluzionaria,
hanno studiato il capitalismo, ma non hanno creduto a questa funzione storica limitandosi a far
nascere o auspicare delle comunità isolate, “castelli in aria”, che magari all’interno superavano lo
sfruttamento ma non erano applicabili nella società, erano esperimenti. Questi socialisti si
caratterizzano per un pensiero pacifico; si tratta di proposte di riforma che non modificano l’assetto
sciale, rimangono in una dimensione morale, staccata dalla realtà.
Nell’ultima parte, in cui, in poche pagine M chiarisce quale dev’essere la posizione dei partiti comunisti
all’interno delle diverse società. Lui distingue due momenti; quando l’aristocrazia è al potere, Allora i partiti
comunisti si dovranno alleare con i partiti borghesi e liberali, per far sì che l’altra classe sia spazzata via;
quando i borghesi vanno al potere, allora non ci dev’essere forma di approvazione perché l’obiettivo non
dev’essere quello di favorire gli operai, attraverso le riforme perché lo stato liberale non è uno stato neutro
che può essere usato dagli operai per migliorare la propria condizione. Quando nasce questo governo i
comunisti avranno solo come obiettivo quello di abbattere il sistema economico capitalistico, e quindi
applicare la rivoluzione.

Il capitale
Saggio del 1867, anno in cui Marx si era trasferito a Londra, e pubblica questo primo libro e gli altri due,
invece vengono pubblicati postumi. Marx si propone di mettere in luce i meccanismi strutturali, le leggi
fondamentali della società moderna, borghese. Molto importante è il sottotitolo “Critica all’economia politica”.
L’economia politica, come disciplina autonoma, nasce in concomitanza con il capitalismo, nel 700, con Alan
Smith che scrive un saggio in cui espone la sua teoria, quella della mano invisibile e porta a teorizzare il
liberismo (visione molto ottimistica). Marx riprende quest’analisi e ne riconosce il merito, perché questi primi
economisti hanno individuato alcune caratteristiche del capitalismo, ma li accusa perchè non hanno un
approcciò dialettico, infatti considerano il capitalismo come l’unico modo naturale di produrre ricchezza e
quindi le leggi economiche come leggi naturali. Marx ha una visione più storica, le leggi possono essere
superate, poiché il capitalismo si è affermato ad un certo punto della storia e può essere superato. Marx da
Ricardo, un economista, riprende la teoria del “valore-lavoro”, il fatto che ogni merce abbia un valore. Un’altra
considerazione è che Marx individua delle leggi “tendenziali”, che sono proprie del capitalismo e sono
diverse: la prima è la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. Su queste leggi Marx fa delle
previsioni sul capitalismo, e la sua previsione è quella delle contraddizioni interne del capitalismo che
producono un collasso all’interno della stessa società. Spesso si parla di queste false previsioni, perché non
si sono realizzate, ma non sono delle profezie, si basano sulle leggi tendenziali. Queste leggi indicano
un’evoluzione quasi necessaria.

La merce
Ogni merce, dice Marx, ha due tipi di valore:
• Valore d’uso, che è strettamente collegato all’utilità, e quindi alla possibilità di soddisfare un bisogno,
quindi l’utilità. Per esempio: un cappotto, una bicicletta hanno un valore d’uso diverso
• Valore di scambio. Lui nota che le merci che hanno un valore d’uso diverso possono essere scambiate
sulla base di proporzioni costanti. Per esempio io posso scambiare un cappotto con 50 kg di patate.
Questa possibilità deriva dal valore di scambio, ossia la quantità di lavoro socialmente necessario a
produrre quella determinata merce. La quantità di lavoro significa tempo, ore di lavoro, necessario
per produrre della merce. Lui parla di lavoro vivo, a differenza di quello che oggi potrebbe essere
quello delle macchine. All’espressione aggiunge “socialmente necessario” per evitare un paradosso,
per esempio un lavoratore incapace, ci potrebbe mettere più tempo, allora quella merce ha più valore,
no perché è collegata al grado di sviluppo della tecnologia in quel momento. Lui parla di produttività
sociale media di un determinato periodo storico.
Marx invita sempre a vedere nella merce il lavoro umano (Hegel). Infatti dirà che la merce è coagulo del
tempo di lavoro, o lavoro oggettivato. Il valore di scambio corrisponde al prezzo, non necessariamente, anche
se Marx dice che il prezzo deve essere agganciato al valore di scambio. Il prezzo subisce variazioni a
seconda della domanda, però ci deve essere sempre un legame al valore di scambio. Parlando di tutto questo
Marx introduce un’espressione ossia il feticismo delle merci, intendendo quella situazione in cui in relazione
alla merce non si guarda al lavoro umano, e si vedono le merci come delle entità aventi valore per sé. La
merce secondo lui non è altro che oggettivazione del lavoro umano, coagulo.
Dopo ciò Marx inizia ad individuare le caratteristiche del capitalismo, individuando il ciclo del capitalismo,
paragonandolo al ciclo economico pre-capitalistico. Quello pre-capitalistico può essere indicato dalla forma
merce-denaro-merce, in cui l’obiettivo dell’attività economica era quello di soddisfare determinati bisogni
attraverso la merce. Per esempio il contadino che produce cereali, vende una parte di questa per avere
denaro per comprare ciò di cui la famiglia ha bisogno, con l’obiettivo è arrivare ad un’atra merce. Invece la
formula che indica l’economia capitalistica, ha come obiettivo finale l’accumulo del denaro, la produzione non
è finalizzata al consumo ma all’accumulo. Può essere descritto con denaro-merce-più denaro (profitto), in
cui il denaro finale dev’essere maggiore di quello investito all’inizio. Le merci che si acquistano sono le
materie prime, i macchinari e lavoratori, e la merce chiamata forza lavoro che viene considerata come una
merce. Il termine che Marx utilizza è plus valore, poiché abbiamo un valore del capitale di partenza, poi si
acquistano le merci per arrivare ad un plus valore, un valore in più. Da dove arriva questo plus-valore? Marx
cerca di condurre il lettore attraverso una soluzione, questo plus valore non potrebbe arrivare dallo scambio,
o dal denaro. Allora per spiegare da dove arriva Marx parte da un tipo di merce particolare, la forza-lavoro,
alla base del capitalismo, che produce valore. È da lì che deriva il plus valore, perché la merce forza-lavoro,
come tutte le merci ha un valore di scambio, che corrisponde al salario di un operaio, o alla quantità di beni
necessari all’operaio per mantenere la famiglia e lui stesso, ma questa merce non ha solo un valore, ma
produce valore (plus valore). Il plus valore, è dato da una parte di lavoro dell’operaio che non viene pagata
e che l’operaio offre gratuitamente, il plus lavoro, o lavoro supplementare (sfruttamento, se si elimina tutto il
sistema capitalistico cadrebbe). (leggere pag 148-149). Per esempio: il capitalista acquista la forza lavoro,
l’operaio, e lo fa lavorare per 12 ore, di queste 12, 8 servono per ripagare il valore del salario, se la giornata
lavorativa fosse di 8h non ci sarebbe guadagno, ci sarebbe solo tempo necessario a ripagare il prodotto, ma
l’operaio lavora altre 4 ore, durante le quali non viene ripagato e lavora gratuitamente, da questo plus lavoro
ne deriva il plus valore. Questo plus lavoro è interpretato da Marx come sfruttamento e come origine
dell’alienazione dell’uomo. Per questo plus valore, Marx individua una formula, ossia il saggio del plusvalore,
che è il rapporto tra il plus valore e il capitale variabile. Il plus valore, che poi corrisponderà ad un numero
che è il valore aggiuntivo ricavato, non corrisponde al profitto, che invece è il vero e proprio guadagno.
All’interno dell’investimento iniziale del capitalista attraverso un capitale, distinguiamo un capitale variabile
che il capitalista usa per pagare i salari, e un capitale costante, che il capitalista usa per comprare le materie
prime per far funzionare la fabbrica. Il saggio del plusvalore è strettamente collegato al capitale variabile, ed
è un rapporto in percentuale tra plusvalore e capitale variabile, che sono inversamente proporzionali. Non si
ha ancora il profitto perché dobbiamo tener conto del capitale costante. Il vero e proprio guadagno è indicato
nel saggio del profitto, ossia un rapporto tra il plusvalore e la somma tra il capitale costante e il capitale
variabile. Il saggio del profitto è sempre minore del saggio del plusvalore. Questo saggio del profitto ci dà
l’idea di come avviene il guadagno del capitalista. Quello che dimostra Marx è come progressivamente (legge
tendenziale) il plusvalore tenda a diminuire, con una caduta del saggio di profitto. L’obiettivo dei capitalisti
era quello di aumentare il profitto cercando diverse strade: la prima è quella di aumentare le ore di lavoro,
con il salario che rimane lo stesso. Dopo un po’ questa condizione non è più produttiva, così si cerca un’altra
strada che è quella che si fonda sul plus lavoro relativo: il capitalista punta sulla riduzione di quella parte di
giornata lavorativa necessaria a reintegrare il salario, si riducono le giornate di lavoro necessarie, a parità di
salario. Per fare ciò è necessaria un’innovazione tecnologica. Sé aumenta l’investimento nelle macchine
aumenta il capitale costante e diminuisce il plusvalore. (pag 150-151)
Una volta stabilita la formula del saggio di profitto, obiettivo del capitalista è quello di aumentare il plus valore,
una è il plus valore assoluto, quindi l’aumento delle ore di lavoro, o quello relativo, con l’aumento della
produttività, però questa via, che è quella che storicamente si è affermata, porta con sè delle contraddizioni,
che sfoceranno nella crisi del capitalismo che è inevitabile. Le contraddizioni emergono per l’investimento di
macchinari sempre più evoluti: che porta all’aumento del fenomeno dell’alienazione, con l’uomo che si deve
adattare alla macchina con un lavoro ripetitivo. Quest’integrazione di macchine, porta alla disoccupazione,
che porta alla diminuzione della domanda nel mondo, e quindi al termine la crisi di sovrapproduzione e alla
tendenza dei poli industriali di resistere con il conseguente fallimento delle industrie più piccole. Con le
ricorrenti crisi, la concentrazione della ricchezza è nelle mani di pochi, con una minoranza sempre più ricca,
(competizione tra capitalisti) e una maggioranza sempre più povera, che dovrà attendere il momento giusto
per intraprendere la rivoluzione. Quindi il capitalismo è contraddittorio perché basato su una scissione.
Storicamente per uscire da queste crisi, si sono utilizzate le ricerche di materie prime a basso costo e la
ricerca di nuovi mercati, con la caduta tendenziale del saggio di profitto. A completamento di queste
affermazioni ci sono una serie di riflessioni: il plus-valore, non è generato dalla macchina, ma dal lavoro vivo,
ma con l’introduzione delle macchine questo lavoro vivo, diminuisce sempre di più. Le previsioni di M da una
parte si sono realizzate, ma dall’altra parte no, a causa dell’impatto delle macchine sul nostro territorio, e
dell’aumento, con il tempo, dei salari. (mappa online)
(Lunghini dice che a differenza del sistema feudale, in cui il momento economico avviene con il principe,
con il capitalismo, il momento economico è fine a sé stesso. Si ribalta il rapporto tra oppressi e oppressori,
questo ribaltamento ricorda molto il ribaltamento dialettico della servitù-signoria di Hegel.)

Critica allo stato moderno e al liberalismo (pag 104)


Nel saggio per la critica di Marx a Hegel, la riflessione di Marx per criticare Hegel può essere affrontata in
due modi una di tipo filosofico-metodologico, già affrontata, e una di tipo politico, che ci porta alla critica dello
stato borghese a Hegel, che Marx segue Hegel fino ad un certo punto. Anche Marx come Hegel parla dello
Stato moderno, partendo dal problema delle scissioni che caratterizzano l’umanità moderna in particolare
quella tra la sfera privata, in cui l’individuo si trova a vivere, come diceva Hegel nella società borghese, con
i suoi interessi di classe che difende rispetto a d altre classi. E la dimensione pubblica, in cui l’essere umano
è cittadino di uno stato. Hegel diceva che questi conflitti di interesse possono essere superati, perché
l’individuo borghese diventa un cittadino nello Stato, nel quale ci realizza il bene collettivo. Marx non segue
quest’analisi, partendo da questa scissione, e dice che superare questa conflittualità, che emerge nella
società civile, all’interno di uno Stato in grado di realizzare bene collettivo, è un’illusione. È un’illusione quella
di riuscire a realizzare queste contraddizioni all’interno dello stato, perché per Marx lo Stato è una
sovrastruttura rispetto alle basi economiche, che garantirà solamente il bene, e l’interesse solo della classe
dominante. Se noi parliamo di rapporti economici, produrrà un tipo di stato borghese, moderno, liberale, che
difenderà gli interessi della classe dominante. I diritti fondamentali, che mergono con la rivoluzione francese
che aveva come classe dominante quella borghese, non sono i diritti dell’uomo, ma della società borghese.
La libertà, è una libertà formale, perché gli operai non hanno libertà lavorando 12 ore al giorno, anche
l’uguaglianza è formale, è solo davanti alla legge e non di fatto. Lo stato, quindi, non garantisce i diritti di tutti,
ma solo di alcuni, ossia la classe dominante borghese. Di fronte a queste caratteristiche dello stato borghese,
il dovere del proletariato è quello di utilizzare i diritti borghesi per difendere i propri interessi, ma in realtà
Marx dice che anche ciò è impossibile, perché lo stato borghese rimane una sovrastruttura di quella che è
una struttura capitalistica borghese; quindi, difenderà solo i diritti dei borghesi. Per Marx lo stato moderno,
dice Bobbio, non è una macchina che possono usare tutti, ma una macchina al servizio della borghesia. La
soluzione è il superamento del capitalismo, per arrivare all’affermazione della vera democrazia, sostanziale,
che non è formale ossia quella dello stato liberale, che si accompagna ad un’uguaglianza minima, ma
sostanziale, che è quella comunista, perché non è solo un’uguaglianza davanti alla legge ma anche
economica, grazie alla quale l’uomo riuscirà a recuperare la propria pienezza. Dopo la seconda guerra
mondiale, nasceranno delle democrazie comuniste, come quella tedesca. Abbiamo una critica
all’individualismo, che chiude l’uomo in una società, mentre quando si realizza la democrazia, l’uomo riesce
a realizzarsi pienamente. La società moderna è definita da Marx come la società dell’illusione e dell’egoismo:
la conclusione è quella di arrivare ad una rivoluzione sociale per abbattere completamente il capitalismo
dall’emancipazione politica si deve arrivare all’emancipazione umana, che prevede il superamento dello
Stato borghese e della democrazia formale. (mappa online) La democrazia significa regime comunista.
Bobbio dice che nella nostra costituzione, pur non essendoci un articolo che dice di abolire la proprietà
privata, ma ce n’è uno che indica che ci dovrebbe essere maggiore equità. “l’uomo moderno vive una vita
doppia nel cielo dello Stato come cittadino, e sulla terra della società civile, come borghese”. (pag 135-136)

Il processo rivoluzionario
Il comunismo dovrà inaugurare una svolta nella società, sia poiché non ci sarà la presa di potere di una
minoranza su una maggioranza, ma ci sarà la presa di potere di una maggioranza inizialmente repressa, sia
perché dal comunismo rozzo si arriverà al vero comunismo caratterizzato dalla totale abolizione della
proprietà privata e all’abolizione delle classi e dell’esaurimento dello stato (somiglia molto all’anarchismo, ma
M ci arriva progressivamente, dal momento che non esistono più classi, perché tutti diventano proletari). Il
comunismo, quindi, è l’abolizione della proprietà privata, l’abolizione delle classi e l’esaurimento dello stato.
Non ci saranno più le classi antagoniste quindi ci sarà il superamento delle classi, un’emancipazione
dell’uomo che si riapproprierà della propria essenza perché non ci sarà più alcuna forma di alienazione. Il
proletariato per portare avanti la rivoluzione utilizza diversi metodi, Marx parla di una rivoluzione violenta, per
attuare la dittatura del proletariato, anche se non esclude che ci potrà essere una via pacifica. Marx dice che
la ricchezza si distribuirà da ognuno, secondo le proprie capacità, legate alle proprie caratteristiche, ad
ognuno, secondo i propri bisogni; non più in base al merito, quindi prendendo come esempio l’operaio, quello
che deve guadagnare di più è colui che deve mantenere una famiglia più numerosa. Indicherà questa futura
società comunista che dovrà realizzarsi, l’assenza di competizione, ognuno dovrà contribuire in questa
società “da ognuno, a ognuno”, la ricchezza si distribuirà non per il merito, ma per il bisogno. Questo principio
del bisogno, non è estranea alla democrazia liberale, pur mantenendo il criterio del merito. Nel manifesto,
accenna a quest’evoluzione della società comunista “il libero sviluppo di ognuno deve diventare il libero
sviluppo di tutti”.

Fasi della futura società comunista


Marx parla di diverse fasi del comunismo, nella critica del programma di Gota, in cui critica il partito social-
democratico tedesco che non può essere riformato: comunismo rozzo e comunismo autentico. La prima fase
è quella della dittatura del proletariato, dove tutti devono diventare proletari, rimane la brama di possesso,
non viene eliminata la mentalità dell’homo economicus, tutti devono essere salariati e devono avere una
retribuzione. L’uguaglianza a cui aspira Marx è ancora imperfetta, perché vuole arrivare ad una uguaglianza
suprema dove si tiene conto dei bisogni e non del merito; quindi, la mentalità dell’homo economicus viene
abolita, senza divisione del lavoro, senza proprietà privata, senza classi, senza sfruttamento, senza miseria,
senza divisioni tra gli uomini e senza stato. Questo, tuttavia, non è qualcosa di realizzabile, ma si deve avere
l’obiettivo di avvicinarvisi il più possibile. La distribuzione della ricchezza deve essere legata al bisogno, e
questo è l’ideale dei comunisti, pur consapevoli della difficoltà di realizzarlo. (possiamo fare un confronto con
Platone, per l’utopia di creare un nuovo stato, ma la differenza è che il primo era consapevole che la sua
idea fosse un’utopia, mentre M no).
Negli anni 70, in un ambiente dell’autonomia operaia organizzata, c’era il rifiuto del lavoro da parte dei
giovani, il lavoro che porta sfruttamento, che è precario è rifiutato dai giovani (soprattutto di estrema sinistra).
Non tutti però in questi ambienti facevano riferimenti al marxismo, ha senso rifiutare il lavoro se è
sfruttamento, ma non si può rifiutare il lavoro in sé perché Marx, diceva che il lavoro fosse fondamentale.

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