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Dopo la morte di Hegel, i suoi discepoli si divisero in “vecchi hegeliani”, la generazione più anziana composta
dagli editori del filosofo, “giovani hegeliani”, la nuova generazione. Nel 1837 il filosofo Strauss designò queste
due correnti, con i termini derivati dalle consuetudini del Parlamento francese, la destra e la sinistra
hegeliana, a causa del loro diverso atteggiamento nei confronti della politica e della religione. Per quanto
riguarda la religione la dottrina di Hegel risultava ambigua in relazione a come avrebbero dovuto relazionarsi
la religione e la filosofia. Hegel aveva sostenuto che religione e filosofia esprimono un medesimo contenuto,
cioè una medesima verità, in due forme distinte, in quanto la prima esprime quel contenuto nella forma della
«rappresentazione» e la seconda nella forma del «concetto». Una dottrina di questo tipo poteva dar luogo a
due antitetiche impostazioni. La prima quella della destra che ritiene che il superamento della religione di cui
parla Hegel sia sinonimo di mantenimento, perciò cercano una conciliazione tra religione cristiana e filosofia,
andando ad armonizzare la religione cristiana. Per loro la religione aveva un ruolo significativo nel fornire
un’organizzazione alla società e una base morale; sottolineavano l’importanza di una sintesi tra la fede e la
filosofia. La seconda, quella della sinistra hegeliana, afferma come la religione debba essere superata dalla
filosofia, per giungere all’ateismo. Feuerbach, che appartiene a questa corrente ed è il filosofo dell’ateismo,
critica l’idealismo che definisce una teologia mascherata. Lui nella sua riflessione mette al centro l’uomo,
affermando come il mistero della religione sia l’antropologia. Quello a cui auspica la destra hegeliana non è
solo un superamento della religione bensì un vero e proprio ribaltamento della concezione religiosa. Nella
loro visione la religione era spesso vista come un riflesso delle condizioni sociali ed economiche. Nei confronti
della politica invece la destra, rifacendosi al secondo caposaldo della filosofia hegeliana, assume un
atteggiamento conservatore e giustificazionista, mentre la sinistra uno più rivoluzionario. La sinistra
hegeliana accetta l’identità tra reale e razionale ma pone la sua attenzione sull’evoluzione di questa. Afferma
come sia un processo che si articola in tappe poiché non tutto ciò che esiste di fatto è razionale e quindi
reale.
FEUERBACH
È la figura di maggiore spicco tra gli intellettuali della corrente della sinistra hegeliana insieme a Marx,
fondatore dell’ateismo nell’800. Feuerbach nacque nel 1804 in Baviera, allievo di Hegel, e poiché esprime
un atteggiamento critico viene colpito dalla censura. Le sue due opere più importanti sono: scritta nel 1841,
L’essenza del cristianesimo, e nel 1845 L’essenza della religione. Con Feuerbach si ha il passaggio
dall’idealismo al materialismo, è il filosofo dell’ateismo, proponendo un umanismo naturalistico, con la
valorizzazione dell’essere umano; all’interno di tale teoria troviamo la teoria degli alimenti, che nasce
dall’affermazione “l’uomo è ciò che mangia”. Pur essendo un suo allievo, Feuerbach critica Hegel, poiché
secondo lui quest’ultimo aveva posto in modo rovesciato (rovesciamento dialettico) il rapporto tra astratto-
concreto e soggetto-predicato. Se Hegel diceva che prima doveva venire prima l’astratto (il pensiero), che
considera un soggetto, un assoluto da cui partire, da cui ne deriva il concreto, l’essere, la materia. (nella
struttura del sistema hegeliano si parte dall’idea e l’essere emerge in un secondo momento, con l’idea fuori
di sé). Per Feuerbach, che vuole mettere al centro l’uomo concreto, l’essere fatto di forma, c’è prima l’essere,
da cui deriva il pensiero, predicato che emerge da questo soggetto. Critica Hegel, dicendo che si tratta di
una “teologia mascherata”. In questo modo Feuerbach realizza il passaggio dall’idealismo al materialismo,
rimettendo al centro l’essere e quindi l’individuo concreto. Ad un certo punto l’interesse di Feuerbach si va a
concentrare sull’aspetto religioso affermando come ci debba essere un ribaltamento anche in questo ambito,
poiché anche in questo caso il rapporto sia posto in un modo non corretto. Feuerbach riteneva che non fosse
Dio a creare l’uomo ma quest’ultimo a creare Dio. Ma allora perché l’uomo crea un Dio e si inventa una
religione? Il concetto fondamentale di questa riflessione è quello di alienazione, infatti per il filosofo l’uomo
che crea la religione si aliena. Il termine alienazione assume diversi significati a seconda dell’ambito nel
quale viene utilizzato: in ambito giuridico si utilizza per parlare di alienazione di diritti, in Hegel per parlare
dell’idea che esce fuori di sé e si aliena, per gli idealisti qualcosa di negativo, mentre ai giorni d’oggi gli alienati
sono i pazzi con problemi psichiatrici, per Marx invece si tratta di un fenomeno lavorativo. Feuerbach invece
lo lega al fenomeno religioso, affermando che l’essere umano si aliena perché nel momento in cui crea Dio,
individua delle caratteristiche che sono proprie, come l’amore, e non riconoscendole, poiché perfette, come
proprie, le trasferisce e le attribuisce ad un Dio. Una volta trasferite all’esterno, l’uomo è totalmente
sottomesso a Dio: Feuerbach dice che tanto più l’uomo si dedica a dio, tanto più l’uomo si toglie a sé stesso.
Allora si crea l’ateismo, che per Feuerbach è un dovere morale, dove l’uomo si disaliena e si riappropria delle
sue caratteristiche che aveva inizialmente trasferito a Dio passando quindi alla centralità dell’uomo.
L’interesse della religione è importante, perché parlando delle diverse religioni si costruiscono le
caratteristiche umane. L’uomo si trova in una sorta di scissione patologica, scissione interiore, e una
dipendenza interiore. È scisso perché non riconosce le qualità umane, è dipendente perché alinea queste
caratteristiche a dio. L’unica soluzione è l’ateismo, ossia una religione propria dell’uomo (filantropia),
l’affermazione dell’uomo, condizione di un nuovo umanesimo. (pag 94-95+esercizi).
L’uomo è spinto a crearsi un Dio, ad alienarsi, secondo varie ipotesi:
• la prima considerazione riguarda la distinzione tra l’individuo e la specie. L’individuo si percepisce
come singolo, debole, finito, destinato a morire, ma si percepisce anche come specie, che continua
nel tempo, non finita, poiché continua ad esistere. Da questa concezione si arriva alla creazione di
Dio che diventa personificazione della specie che ha le caratteristiche proprie dell’uomo portate al
massimo grado.
• la seconda interpretazione riguarda l’opposizione tra volere e potere. Gli uomini hanno continui
desideri, vogliono realizzare qualcosa, ma tra il volere e il potere ottenere c’è differenza. Da questa
opposizione l’essere si immagina un’entità in grado di soddisfare tutti i desideri umani. Quando gli
uomini avevano desideri finiti, le divinità erano finite, quando invece hanno desiderato cose infinite le
divinità sono diventate onnipotenti. Dio nasce dal desiderio umano, dall’impossibilità di realizzare tutti
i desideri dell’essere umano, rende possibile quello che per l’uomo è impossibile. “Dio è l’ottativo del
cuore umano divenuto troppo presente”.
• la terza, invece, che ritroviamo nell’Essenza della religione, fa riferimento alle prime religioni, che
vedevano Dio come ente naturale. L’origine di queste religioni non è altro che il senso di dipendenza
che gli uomini primitivi avevano nei confronti della natura, allora questi elementi che vengono
considerati fondamentali, diventano divinità.
Umanismo naturalistico
La soluzione di questa scissione patologica indicata da Feuerbach è la dis-alienazione, con il quale l’uomo
si riappropria delle sue qualità. Emerge una sorta di umanismo naturalistico, che viene anche chiamato anche
filosofia dell’avvenire, perché fa dell’uomo l’oggetto e lo scopo del discorso. Si chiama umanismo
naturalistico, perché il filosofo colloca l’uomo in un contesto naturale, da cui tutto dipende compreso l’uomo.
Quest’ultimo è un uomo concreto, che si colloca in un contesto naturale, ma si deve relazionare con gli altri
essere umani, molto importante è l’amore, un sentimento fondamentale, che porta l’uomo ad instaurare i
rapporti con altri esseri umani. Feuerbach sottolinea l’essenza sociale dell’uomo che non può percepirsi se
non con le relazioni con gli altri; secondo lui l’io non può stare senza il tu. Le idee scaturiscono dalla
comunicazione, solo dalla conversazione dell’uomo con l’uomo. Feuerbach si differenzia dalla concezione di
Marx, che inserisce invece l’uomo in una concezione storica. Dall’amore per Dio, all’amore per l’uomo nasce
la filantropia, una sorta di religione basata sull’uomo e sugli esseri umani. Tutta questa riflessione si basa sul
materialismo, ma un materialismo, che si caratterizza per la centralità dell’essere umano, infatti all’interno di
questa sua riflessione su come l’uomo vive in società, il filosofo inizia ad affermare che l’uomo è ciò che
mangia. Questa affermazione viene interpretata solo alla luce del materialismo e sembrerebbe vergere
sull’aspetto biologico dell’uomo. Ma come deve esser interpretata? Alla luce di un materialismo volgare, che
ha a che fare con la biologia, o indica un materialismo superiore? La seconda è più giusta, perché il filosofo
ci vuole dire che per promuovere il progresso spirituale, che ha a che fare con tutto ciò che è pensiero, l’uomo
deve partire dai bisogni primari, all’alimentazione. Se l’uomo non ha cibo sufficiente per sopravvivere non
avviene nemmeno questo progresso spirituale. Accenna anche questioni sul lavoro, anche se questo
concetto non viene sviluppato come in Marx. “se volete far migliorare il popolo dategli un’alimentazione
migliore”. Emerge una condizione materiale dell’uomo, ma al tempo stesso, l’uomo è anche un’unità
psicofisica, che non può essere scissa. (questione a pag 157-158)
MARX
Si inserisce all’interno della sinistra hegeliana, vedendo quindi l’uomo come materia. Porta avanti una
riflessione che verge su molti ambiti. Per capire meglio il suo pensiero citiamo: “Non è la coscienza degli
uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”.
Secondo Marx infatti non è l’astratto che determina la vita concreta, o base materiale, che poi per Marx
significa anche dire base economica, ossia la vita umana nei rapporti economici, ma è la base materiale, il
lavoro, a determinare la coscienza. Anche nell’interpretazione della storia, troviamo questa riflessione, che
fa emergere eventi di tipo sociale. Marx è un classico della cultura, un pensatore imprescindibile, che avendo
influenzato la storia del 800 e 900 ci aiuta a capire la storia di quegli anni. Marx è il filosofo del comunismo,
a cui i partiti comunisti che nacquero successivamente si ispirano, anche se il comunismo attuale non segue
precisamente il pensiero di Marx. Marx inoltre fa molte previsioni, nel Capitale, la sua ultima opera,
prevedendo il collasso del capitalismo, arrivando così al momento perfetto per l’affermazione del capitalismo,
avvenimento che si realizzerà in Russia, paese che secondo lui non era adatto perché poco sviluppato.
(Attualmente esistono ancora paesi comunisti come la Cina, anche se è aperta ad un’economia capitalistica,
Cuba, la Corea del Nord.) Il pensiero di Marx emerge sia da un’analisi globale del sistema economico
capitalistico, sia della società borghese. Per delineare il suo pensiero lui parte dall’analisi della condizione di
vita degli operai, che ai suoi tempi era drammatica, arrivando a dire che la filosofia si deve occupare di queste
questioni concrete e reali. Citiamo: “la filosofia deve essere portata dal cielo delle idee, alla terra degli
interessi e dei bisogni”. Per Marx quindi la filosofia non si deve occupare delle idee, ma di bisogni concreti.
Molto importante è l’analisi che Marx porta avanti di tutta la società borghese. Il suo interesse per la storia e
la sua teoria della storia, prendono il nome di materialismo storico dialettico. Marx con questo termine
riprende la dialettica hegeliana, che, come afferma, deve essere messa con i piedi per terra, si deve occupare
di questioni concrete. Per Marx il protagonista della storia, non è lo spirito del mondo come Hegel, che si
incarna negli spiriti dei popoli, ma i singoli individui negli ambiti economici e sociali. Marx tenta di mettere
insieme teoria e prassi, la storia quindi deve tentare di mettere insieme analisi, teoria e prassi politica. Dal
punto di vista della teoria, Marx, riprende delle tradizioni precedenti e le trasforma in qualcosa di nuovo
facendo dei riferimenti a:
• tutta la filosofia, in particolare quella tedesca, che va da Hegel e Feuerbach, mettendo in discussione
Hegel.
• l’economica politica classica. Accenna ai primi economisti che fondarono l’economia politica classica,
il cui fondatore è Smith, che individua queste leggi naturali, individuando la cosiddetta “mano
invisibile”. Fa riferimenti anche a Ricardo, un altro economista
• il socialismo prescientifico, e tutte le forme di socialismo precedenti al suo. Di cui parla nel Manifesto
del partito comunista, come quello utopistico che non riesce ad influenzare l’economia.
Individua la base economica, la struttura, data dall’economia capitalistica, dagli elementi sovrastrutturali, dal
pensiero e dallo Stato. Ha delle visioni globali perché guarda all’economia e alla filosofia. Marx inoltre viene
definito maestro del sospetto, insieme a Nietzsche, e Freud, da un filosofo contemporaneo Paul Ricoeur.
Vengono così perché inaugurano una nuova filosofia. Mentre Cartesio aveva dubitato di tutto a parte dell’io,
e del soggetto, con Marx si sospetta della coscienza, la soggettività, del soggetto. Quello che mette più in
dubbio è Freud, che dice che la parte migliore della psiche è quella che non conosciamo. Nietzsche, si
dichiara maestro del sospetto, a differenza di Marx che è maestro del sospetto, perché sospetta di quello
che la conoscenza produce, ideologie e valori, che sono illusorie. La coscienza produce la teoria dei diritti
dell’uomo, che è illusoria, perché questi diritti sono in realtà dei borghesi.
Cenni biografici
Nasce nel 1818 a Treviri, da una famiglia ebrea, che si era convertita al protestantesimo. Ha un’educazione
basata sui principi del liberalismo e di stampo razionalistico. Segue studi di giurisprudenza, alla quale si
succederanno gli studi filosofici a Berlino, dove incontra gli allievi di Hegel. Si trasferirà a Jena dove
conseguirà la laurea con un a tesi dal titolo Differenza tra la filosofia della filosofia di Democrito e quella di
Epicuro, dei materialisti. Il materialismo di Marx assumerà una concezione diversa rispetto a quella degli altri,
che per lui è la base materiale della società. Di Epicuro condivide tutta la questione del tetrafarmacum, mentre
non accetta il “vivi nascosto”, che sottolineava il disimpegno nella vita politica, che per Marx era inaccettabile.
Decide di dedicarsi al giornalismo, a Colonia diventa caporedattore di una gazzetta “renana”. Ben presto
questo giornale verrà colpito dalla censura e Marx nel 1843 si trasferirà a Parigi, dove diventerà amico di
Engels, con il quale scriverà delle opere. Si sposa con Jenny con la quale mette su famiglia, anche se dal
punto di vista famigliare saranno sfortunati, perché avranno delle difficoltà economiche, e i 3 figli moriranno.
Piano piano matura un distacco da Hegel, quando si trova nell’ambiente parigino, dove scrive La critica della
filosofia del diritto di Hegel. Non abbandona la sua vocazione da giornalista, infatti partecipa alla stesura
della rivista “annali franco-tedeschi”. Nel 1844 scrive un’opera in cui emergono pensieri già matura, ossia
Manoscritti economico-filosofico, nel quale sviluppa il concetto di alienazione. Viene espulso dalla Francia e
si trasferisce a Bruxelles. Con Engels scrive La sacra famiglia, Tesi su Feuerbach, e successivamente
L’ideologia tedesca, con la quale elabora la sua teoria della storia, ossia il materialismo storico o materialismo
storico-dialettico, quello che per lui è la base materiale cioè economica della società. Nel 1847 si tiene a
Londra la lega dei comunisti, alla quale Marx non partecipa al contrario di Engels, a loro due viene
commissionato il Manifesto programmatico, ossia il Manifesto del partito comunista. Nel frattempo Marx
pubblica la Miseria della filosofia, in cui entra in contrasto con Proudhon, che aveva scritto la filosofia della
miseria. (Marx ribalta il titolo dell’opera). Il 1848, anno della stesura del manifesto e anno dei moti, Marx
decide di tornare a Colonia e riprendere il progetto della rivista Renana, ma a causa della vittoria della
controrivoluzione tedesca viene espulso dalla Germania, torna nuovamente a Parigi, dove gli viene proposto
di trasferirsi in Bretagna. Quest’ultimo periodo, passato a Londra, è difficile sia in ambito famigliare, sia dal
punto di vista economico sia dal punto di vita dei lutti. Lavora al British Museum e approfondisce le questioni
economiche. Nel 1864 si tiene l’internazionale dei lavoratori, nella quale lui si scontra con Bakunin. Nel 1866
scrive il primo volume del Capitale, la sua opera più corposa, composta da 3 libri, gli ultimi due pubblicati
postumi. Nel 1875 scrive La critica del programma di Gotha, un partito socialista di interesse marxista, che
al suo interno aveva una corrente riformista, definita da lui poco rivoluzionaria. Nel 1883 a 65 anni muore,
con dei funerali molto grandi. Una delle tante corone di fiori rece l’emblema scritta: “a colui che ha difeso i
diritti dei lavoratori e li ha fatti valere nella pratica”.
Critica a Feuerbach
Marx si distacca dalla sinistra hegeliana, scrivendo Le tesi su Feuerbach e ideologia tedesca. Pur
condividendo alcuni punti con Feuerbach, Marx si distacca da lui in relazione al modo di concepire l’essere
umano. Feuerbach diceva che bisognasse mettere al centro della riflessione l’essere umano, l’uomo
concreto, in carne ed ossa. Questo uomo concreto è un essere umano svincolato dalla storia, un uomo a-
storico, emerge nella sua filosofia una concezione dell’uomo come essere naturale non profondamente
inserito nella realtà storica. È vero che Feuerbach rivendicava di Hegel l’uomo concreto, ma non è un uomo
stoico. Marx segue Feuerbach ma riprende la storia di Hegel, con una concezione profondamente diversa
da quella di Hegel. Per Marx la storia è l’evoluzione dei rapporti economici, in riferimento ad una base
materiale. Il pensiero di Feuerbach ha dei limiti perché considera l’essere umano come qualcosa di naturale,
privo della dimensione storica, un’astrazione immanente all’individuo singolo, invece per Marx l’uomo è
l’insieme dei rapporti sociali (tesi VI). L’uomo non ha un’essenza atemporale, poiché Marx guarda alla
concretezza e alla storicità. Passa da un materialismo antropologico di Feuerbach ad un materialismo
scientifico (indagine socio-economica). Bisogna inserire l’uomo all’interno di una base economica all’interno
di una società. Nella prima critica di Marx individua il limite di Feuerbach che sta nel non aver colto la storia,
le caratteristiche socioeconomiche, senza inserire l’uomo all’interno di rapporti sociali.
La seconda critica riguarda il concetto di alienazione, perché anche Marx parla di alienazione. Feuerbach
aveva visto l’alienazione in senso negativo, come qualcosa di necessario e strutturale, non cogliendo le
cause reali, come una sorta di patologia. Marx riprende il concetto di alienazione in particolare quella
religiosa, nella quale l’uomo è scisso, e dice che Feuerbach aveva individuato della cause che però facevano
riferimento ad un essere umano fuori dalla storia, mentre per Marx le vere cause sono da ricondurre nelle
condizioni economico-sociali in cui l’uomo è costretto a vivere, le ingiustizie sociali, tutte le forme di
sfruttamento ed oppressione dell’essere umano lavoratore, perché l’essere umano, sofferente, trova nella
religione una consolazione. La religione è il “sospiro della creatura oppressa”, è “l’oppio dei popoli”, l’essere
umano lavoratore oppresso in una società, come l’operaio, cerca di stordirsi per sopportare questa sofferenza
attraverso la religione. Esiste l’alienazione religiose, è frutto di un’alienazione di base, che si ha in ambito
lavoratore, la religione è frutto di una miseria, che viene prodotta da una più profonda alienaizone.se si
elimina la prima, quella in ambito lavorativo, allora l’essere umano non avrà più bisogno di stordirsi perché si
riapproprierà della propria essenza. La creatura oppressa, cerca nell’al di là quello che non trova nell’al di
qua.
Troviamo la terza critica, nella tesi XI, (pag 109 espansione) dove troviamo il riferimento ad un approccio che
Marx critica. Quest’ultimo critica Feuerbach per la tendenza al teoreticismo e al contemplativismo che lo ha
portato a ignorare l’aspetto attivo e pratico, trascurando completamente la praxis rivoluzionaria: i filosofi
hanno solo interpretato il mono, ma ora è necessario cambiarlo. Marx dà importanza alla prassi rivoluzionaria.
La dis-alienazione coincide con qualcosa di effettivo, con la rivoluzione, ossia la riappropriazione della propria
essenza della propria umanità. Il proletario attraverso la rivoluzione si riappropria della propria essenza.
Nella tesi VI Feuerbach risolve l’essenza religiosa nell’essenza umana, ma l’essenza umana non è qualcosa
di astratto che sia immanente all’individuo singolo. Nella sua realtà essa è l’insieme dei rapporti sociali.
Nell’11 tesi dice i filosofi hanno soltanto diversamente interpretato il mondo, adesso si tratta di trasformarlo.
I manoscritti economico-filosofici
Quest’opera è stata composta a Parigi nel 1844. Molto importante perché è l’inizio, dove Marx comincia ad
interessarsi all’economia. Marx fa riferimento ad alcune tradizioni economiche che prima riprende e poi
supera: una di queste è l’economia politica classica, ossia quella borghese, fondata da Smith. In quest’opera
comincia a fare i conti con gli economi della politica classica ossia coloro che cominciano ad individuare, le
caratteristiche del capitalismo, gli aspetti negativi e positivi, e le crisi di produzione. Marx apprezza queste
analisi, essendo questi i primi a parlare del capitalismo, e parte da questi saggi individuandone un limite,
ossia il fatto di aver considerato il sistema economico capitalistico come l’unico sistema naturale, non storico,
l’unico possibile di produzione e consumo delle merci. Questi storici secondo Marx non riescono a pensarle
al sistema capitalistico come un procedimento dialettico e storico processuale. Per lui invece l’economia
capitalistica si è affermata storicamente, ed è importante sottolinearlo poiché solo così si può cambiare: come
si è affermato si può superare. Marx insiste sulla questione che il capitalismo debba essere superato, non
solo trasformato. L’economia tradizionale, per Marx, ha l’incapacità di ragionare in modo dialettico, non
pensano gli economisti in modo storico-processuale, ed eternizzano il sistema capitalistico, considerandolo
come l’unico possibile. L’altro limite di quest’economia è quello di aver sottovalutato la conflittualità tra i due
protagonisti di questo sistema economico, che sono la borghesia e il proletariato che porta ad un’opposizione
tra capitalisti e operai e tra capitale e lavoro: sottovalutare questo significa non aver capito che il sistema
capitalistico è fondato sull’alienazione, che viene superata con la caduta del capitalismo. Marx dice che
l’operaio è alienato rispetto a quattro aspetti del lavoro; rispetto all’oggetto, rispetto alla sua attività, alla
propria essenza, (dicendo che questa, si realizza nell’ambito lavorativo, l’uomo si realizza in lavoro creativo
caratterizzato dalla libertà), rispetto al prossimo, e quindi rispetto al rapporto con gli altri esseri umani. Per
Marx il lavoro è l’attività attraverso il quale l’uomo trasforma la natura e da senso alla natura, è un lavoro
libero. Anche gli animali lavorano, ma quello non è il lavoro umano, perché loro sono mossi dall’istinto e dalla
necessità; mentre il lavoro umano emerge anche se non c’è una necessità, perché l’uomo, prima di realizzare
un oggetto prodotto, lo crea mentalmente e poi lo realizza. Prende come esempio il lavoro delle api, che è
qualcosa di necessario, mentre quello dell’uomo è creativo, anche detto lavoro vivo. L’uomo adatta la natura
a quali sono le esigenze umane. (pag 164-165)
Il termine alienazione per Marx indica uno stato di scissione, forma di dipendenza e auto-estraniazione
dell’operaio rispetto ai 4 elementi:
• nei confronti dell’oggetto che produce. Marx dice che l’operaio mette qualcosa di sé nell’oggetto che
crea, di cui poi si dovrà privare perché quest’oggetto apparterrà al capitalista. Essendosi espropriato
dell’oggetto gli si costituisce come una potenza dominatrice estranea nei confronti dell’operaio:
quanto più l’operaio mette sé stesso nell’oggetto, esso produrrà una povertà sempre crescente
nell’operaio e quindi quanto più l’operaio mette sé stesso nell’oggetto tanto più toglie a sé stesso
qualcosa. (pag 140-141) L’oggetto è una potenza dominatrice estranea, rispetto all’operaio che perde
e si scinde rispetto alla propria essenza e si abbruttisce più si arricchisce il capitalista più si
impoverisce l’operaio della propria essenza. L’oggetto è il soggetto oggettivato. Il prodotto del lavoro
è il lavoro che si è fissato come oggetto.
• rispetto alla propria attività, la quale gli si presenta come un lavoro forzato, costrittivo, perché è un
lavoro che non ha come fine i propri interessi, ma quelli del capitalista. L’operaio viene trattato dal
capitalista come una propria merce, che usa a proprio piacimento, facendo lavorare l’operaio quanto
voglia. Da qui ne deriva che l’operaio nel posto di lavoro, dove si dovrebbe sentire realizzato, si senta
“bestia”, un oggetto poiché subisce questo processo di abbrutimento, non si sente a casa propria, ma
si sente a casa propria nel momento in cui è fuori dal posto di lavoro, quando soddisfa i suoi bisogni
primari (bere mangiare procreare), che però lo accomunano alle bestie. Se questi diventano l’unico
fine per l’operaio si realizza l’abbrutimento dell’operaio in bestia: trasformazione dell’operaio in bestia,
in animale, perché si sente così nelle attività lavorative quando invece dovrebbe sentirsi uomo.
• rispetto alla propria essenza, o al genere (wesen) che si differenzia da quella storica, che si realizza
in modi diversi rispetto all’ambito lavorativo in cui l’uomo è. La prerogativa dell’uomo nei confronti
dell’animale è legata all’attività lavorativa e al lavoro libero, creativo e universale.
• nei confronti del prossimo, poiché tutti i rapporti sociali dell’operaio sono caratterizzati
dall’alienazione, perché la persona con cui l’operaio si confronta maggiormente è il capitalista, che
però lo considera non come un soggetto ma come una merce, come una forza lavoro. C’è
un’oggettivazione da parte del capitalista nei confronti dell’operaio, questo rapporto quindi è alienato.
Tutte le altre relazioni di conseguenza sono caratterizzate dall’alienazione. La causa del meccanismo
dell’alienazione risiede nella proprietà privata dei mezzi di produzione, che sono propri del capitalista.
(descritti nel capitale).
L’unico modo per superare l’alienazione è la dis-alienazione, ovvero attraverso un processo storico, di perdita
e la riconquista totale da parte dell’uomo della propria essenza, e quindi il comunismo diventa la soluzione
dell’enigma della storia. La soluzione è la rimozione della proprietà privata. Marx trova la soluzione nella
prassi trasformatrice della rivoluzione. (scheda libro pag 109 e 106). Il materialismo marxista, ossia il pensiero
di Marx, fa riferimento ai rapporti economici e la base economica che fa la storia. Ha a che fare con il lavoro.
Il materialismo storico (pc forza produttive, rapporti di produzione, struttura economica, sovrastruttura,
materialismo storico dialettico, classi, storia)
Termine che troviamo nel saggio di ideologia tedesca, scritto con Engels, durante l’esilio a Bruxelles. Per
Marx parlare di materialismo storico significa inserire l’uomo in una condizione storica ed economia, infatti
afferma come la storia si mossa da forze di natura economico sociale. Non si tratta di materialismo classico
dove tutto è materia ed è costituito da materia, ma si fa riferimento al fatto che la storia continua sulla base
economica, facendo anche riferimento al lavoro. Parlare di materialismo storico significa andare a definire la
struttura e la sua sovrastruttura giuridico-politico-culturale collegata, stabilendo anche in che rapporto queste
stiano. Il suo obiettivo era quello di poter fondare una scienza della storia, vuole cogliere il reale movimento
della storia, contrapponendosi a coloro che avevano dato un’interpretazione falsa di questa, che si erano
sviluppate nel contesto idealistico. Marx crede che le ideologie non siano altro che la falsa interpretazione
della realtà, e quindi della storia. In particolare quella di Hegel che dice che il protagonista della storia era lo
spirito, mentre le vere forza motrici per Marx sono di forma materiale, quindi di natura economica, e quindi
del lavoro. Secondo lui la storia inizia quando gli uomini iniziano a produrre la civiltà umana e i loro mezzi di
produzione, a causa dei loro bisogni e della loro creatività, mezzi sempre più innovativi, e inizia quella
dialettica che sta alla base dell’umanità. (mappa concettuale 112)
Con il termine ideologia si indica una rappresentazione falsa o deformata della realtà, derivante da specifici
interessi di classe, la lotta contro l’ideologia costituisce uno degli scopi primari del marxismo. Marx si presenta
come il filosofo del sospetto, poiché vuole smascherare le false ideologie e afferma che la storia è un
processo materiale fondato sulla dialettica bisogno-soddisfacimento.
Il materialismo storico nasce dalla sintesi di materialismo antropologico (che diventa scientifico) di Feuerbach
e lo storicismo di Hegel, perché Marx corregge Feuerbach con Hegel, e corregge Hegel con Feuerbach.
Inoltre si fonda sulla distinzione tra struttura e sovrastruttura: la prima costituita dalle forze produttive e dai
rapporti di produzione, che insieme determinano il modo di produzione e la loro tensione dialettica che spiega
il divenire storico; la seconda invece concerne i rapporti giuridici, le forze politiche, le dottrine morali, le idee
filosofiche e religiose, la produzione artistica e culturale. a sua volta la struttura determina oppure condiziona
la sovrastruttura.
Il materialismo si fonde sulla distinzione tra:
• La struttura, che determina e condiziona la sovrastruttura, è quindi la base economica, il modo di
produzione. È costituita dalle forze produttive e i rapporti di produzione, che insieme determinano il
modo di produzione e lo scheletro economico della società, dove si va ad installare una sovrastruttura.
La loro tensione dialettica permette di spiegare il divenire storico. Come per Hegel anche per Marx la
contraddizione è quello che fa muovere la storia, ossia i periodi rivoluzionari. Le forze produttive sono
tutti gli elementi necessari al processo di produzione che sono: ossia gli uomini, che producono (la
forza lavoro), i mezzi di produzione che possono essere la terra poi i macchinari per produrre (perché
l’economia si evolve), e le conoscenze tecniche e scientifiche in un determinato momento, che
tendono ad evolvere. Le forze produttive perciò tendono ad essere dinamiche, perché i mezzi di
produzione sulla base delle conoscenze tecniche e scientifiche evolvono. Marx individua anche dei
rapporti di produzione ossia i rapporti che si instaurano tra gli uomini nel corso della produzione e
regolano il possesso e l’impiego dei mezzi di produzione, e giuridicamente si stabiliscono nei rapporti
di proprietà. A differenza delle forze produttive che sono dinamiche, i rapporti di produzione cambiano,
ma tendono ad essere statici, poiché fanno resistenza al cambiamento. (da qui si capisce perciò
nasce con il tempo una contrapposizione). L’insieme delle forze produttive e dei mezzi di produzione
formano la struttura economica o modo di produzione di una determinata epoca. È come un
piedistallo, perché su questa si va ad installare o collocare una sovrastruttura.
• La sovrastruttura (dal tedesco uberbau) giuridico-politico-culturale, sta ad indicare l’ambito politico, lo
stato, dottrine etiche, artistiche, religiose e politiche. Lo stato è sovrastruttura, il riflesso di una
determinata struttura economica, riflesso degli interessi di una determinata classe economica che in
quella struttura è dominante. Lo stato borghese non è altro che il riflesso del capitalismo. Nella critica
dell’economia politica lui scrive che non è la coscienza che determina l’uomo, l’essere concreto e
sociale, ma l’essere concreto (i rapporti lavorativi e le sue condizioni lavorativa) che determina la
coscienza.
Il capitale
Saggio del 1867, anno in cui Marx si era trasferito a Londra, e pubblica questo primo libro e gli altri due,
invece vengono pubblicati postumi. Marx si propone di mettere in luce i meccanismi strutturali, le leggi
fondamentali della società moderna, borghese. Molto importante è il sottotitolo “Critica all’economia politica”.
L’economia politica, come disciplina autonoma, nasce in concomitanza con il capitalismo, nel 700, con Alan
Smith che scrive un saggio in cui espone la sua teoria, quella della mano invisibile e porta a teorizzare il
liberismo (visione molto ottimistica). Marx riprende quest’analisi e ne riconosce il merito, perché questi primi
economisti hanno individuato alcune caratteristiche del capitalismo, ma li accusa perchè non hanno un
approcciò dialettico, infatti considerano il capitalismo come l’unico modo naturale di produrre ricchezza e
quindi le leggi economiche come leggi naturali. Marx ha una visione più storica, le leggi possono essere
superate, poiché il capitalismo si è affermato ad un certo punto della storia e può essere superato. Marx da
Ricardo, un economista, riprende la teoria del “valore-lavoro”, il fatto che ogni merce abbia un valore. Un’altra
considerazione è che Marx individua delle leggi “tendenziali”, che sono proprie del capitalismo e sono
diverse: la prima è la legge della caduta tendenziale del saggio di profitto. Su queste leggi Marx fa delle
previsioni sul capitalismo, e la sua previsione è quella delle contraddizioni interne del capitalismo che
producono un collasso all’interno della stessa società. Spesso si parla di queste false previsioni, perché non
si sono realizzate, ma non sono delle profezie, si basano sulle leggi tendenziali. Queste leggi indicano
un’evoluzione quasi necessaria.
La merce
Ogni merce, dice Marx, ha due tipi di valore:
• Valore d’uso, che è strettamente collegato all’utilità, e quindi alla possibilità di soddisfare un bisogno,
quindi l’utilità. Per esempio: un cappotto, una bicicletta hanno un valore d’uso diverso
• Valore di scambio. Lui nota che le merci che hanno un valore d’uso diverso possono essere scambiate
sulla base di proporzioni costanti. Per esempio io posso scambiare un cappotto con 50 kg di patate.
Questa possibilità deriva dal valore di scambio, ossia la quantità di lavoro socialmente necessario a
produrre quella determinata merce. La quantità di lavoro significa tempo, ore di lavoro, necessario
per produrre della merce. Lui parla di lavoro vivo, a differenza di quello che oggi potrebbe essere
quello delle macchine. All’espressione aggiunge “socialmente necessario” per evitare un paradosso,
per esempio un lavoratore incapace, ci potrebbe mettere più tempo, allora quella merce ha più valore,
no perché è collegata al grado di sviluppo della tecnologia in quel momento. Lui parla di produttività
sociale media di un determinato periodo storico.
Marx invita sempre a vedere nella merce il lavoro umano (Hegel). Infatti dirà che la merce è coagulo del
tempo di lavoro, o lavoro oggettivato. Il valore di scambio corrisponde al prezzo, non necessariamente, anche
se Marx dice che il prezzo deve essere agganciato al valore di scambio. Il prezzo subisce variazioni a
seconda della domanda, però ci deve essere sempre un legame al valore di scambio. Parlando di tutto questo
Marx introduce un’espressione ossia il feticismo delle merci, intendendo quella situazione in cui in relazione
alla merce non si guarda al lavoro umano, e si vedono le merci come delle entità aventi valore per sé. La
merce secondo lui non è altro che oggettivazione del lavoro umano, coagulo.
Dopo ciò Marx inizia ad individuare le caratteristiche del capitalismo, individuando il ciclo del capitalismo,
paragonandolo al ciclo economico pre-capitalistico. Quello pre-capitalistico può essere indicato dalla forma
merce-denaro-merce, in cui l’obiettivo dell’attività economica era quello di soddisfare determinati bisogni
attraverso la merce. Per esempio il contadino che produce cereali, vende una parte di questa per avere
denaro per comprare ciò di cui la famiglia ha bisogno, con l’obiettivo è arrivare ad un’atra merce. Invece la
formula che indica l’economia capitalistica, ha come obiettivo finale l’accumulo del denaro, la produzione non
è finalizzata al consumo ma all’accumulo. Può essere descritto con denaro-merce-più denaro (profitto), in
cui il denaro finale dev’essere maggiore di quello investito all’inizio. Le merci che si acquistano sono le
materie prime, i macchinari e lavoratori, e la merce chiamata forza lavoro che viene considerata come una
merce. Il termine che Marx utilizza è plus valore, poiché abbiamo un valore del capitale di partenza, poi si
acquistano le merci per arrivare ad un plus valore, un valore in più. Da dove arriva questo plus-valore? Marx
cerca di condurre il lettore attraverso una soluzione, questo plus valore non potrebbe arrivare dallo scambio,
o dal denaro. Allora per spiegare da dove arriva Marx parte da un tipo di merce particolare, la forza-lavoro,
alla base del capitalismo, che produce valore. È da lì che deriva il plus valore, perché la merce forza-lavoro,
come tutte le merci ha un valore di scambio, che corrisponde al salario di un operaio, o alla quantità di beni
necessari all’operaio per mantenere la famiglia e lui stesso, ma questa merce non ha solo un valore, ma
produce valore (plus valore). Il plus valore, è dato da una parte di lavoro dell’operaio che non viene pagata
e che l’operaio offre gratuitamente, il plus lavoro, o lavoro supplementare (sfruttamento, se si elimina tutto il
sistema capitalistico cadrebbe). (leggere pag 148-149). Per esempio: il capitalista acquista la forza lavoro,
l’operaio, e lo fa lavorare per 12 ore, di queste 12, 8 servono per ripagare il valore del salario, se la giornata
lavorativa fosse di 8h non ci sarebbe guadagno, ci sarebbe solo tempo necessario a ripagare il prodotto, ma
l’operaio lavora altre 4 ore, durante le quali non viene ripagato e lavora gratuitamente, da questo plus lavoro
ne deriva il plus valore. Questo plus lavoro è interpretato da Marx come sfruttamento e come origine
dell’alienazione dell’uomo. Per questo plus valore, Marx individua una formula, ossia il saggio del plusvalore,
che è il rapporto tra il plus valore e il capitale variabile. Il plus valore, che poi corrisponderà ad un numero
che è il valore aggiuntivo ricavato, non corrisponde al profitto, che invece è il vero e proprio guadagno.
All’interno dell’investimento iniziale del capitalista attraverso un capitale, distinguiamo un capitale variabile
che il capitalista usa per pagare i salari, e un capitale costante, che il capitalista usa per comprare le materie
prime per far funzionare la fabbrica. Il saggio del plusvalore è strettamente collegato al capitale variabile, ed
è un rapporto in percentuale tra plusvalore e capitale variabile, che sono inversamente proporzionali. Non si
ha ancora il profitto perché dobbiamo tener conto del capitale costante. Il vero e proprio guadagno è indicato
nel saggio del profitto, ossia un rapporto tra il plusvalore e la somma tra il capitale costante e il capitale
variabile. Il saggio del profitto è sempre minore del saggio del plusvalore. Questo saggio del profitto ci dà
l’idea di come avviene il guadagno del capitalista. Quello che dimostra Marx è come progressivamente (legge
tendenziale) il plusvalore tenda a diminuire, con una caduta del saggio di profitto. L’obiettivo dei capitalisti
era quello di aumentare il profitto cercando diverse strade: la prima è quella di aumentare le ore di lavoro,
con il salario che rimane lo stesso. Dopo un po’ questa condizione non è più produttiva, così si cerca un’altra
strada che è quella che si fonda sul plus lavoro relativo: il capitalista punta sulla riduzione di quella parte di
giornata lavorativa necessaria a reintegrare il salario, si riducono le giornate di lavoro necessarie, a parità di
salario. Per fare ciò è necessaria un’innovazione tecnologica. Sé aumenta l’investimento nelle macchine
aumenta il capitale costante e diminuisce il plusvalore. (pag 150-151)
Una volta stabilita la formula del saggio di profitto, obiettivo del capitalista è quello di aumentare il plus valore,
una è il plus valore assoluto, quindi l’aumento delle ore di lavoro, o quello relativo, con l’aumento della
produttività, però questa via, che è quella che storicamente si è affermata, porta con sè delle contraddizioni,
che sfoceranno nella crisi del capitalismo che è inevitabile. Le contraddizioni emergono per l’investimento di
macchinari sempre più evoluti: che porta all’aumento del fenomeno dell’alienazione, con l’uomo che si deve
adattare alla macchina con un lavoro ripetitivo. Quest’integrazione di macchine, porta alla disoccupazione,
che porta alla diminuzione della domanda nel mondo, e quindi al termine la crisi di sovrapproduzione e alla
tendenza dei poli industriali di resistere con il conseguente fallimento delle industrie più piccole. Con le
ricorrenti crisi, la concentrazione della ricchezza è nelle mani di pochi, con una minoranza sempre più ricca,
(competizione tra capitalisti) e una maggioranza sempre più povera, che dovrà attendere il momento giusto
per intraprendere la rivoluzione. Quindi il capitalismo è contraddittorio perché basato su una scissione.
Storicamente per uscire da queste crisi, si sono utilizzate le ricerche di materie prime a basso costo e la
ricerca di nuovi mercati, con la caduta tendenziale del saggio di profitto. A completamento di queste
affermazioni ci sono una serie di riflessioni: il plus-valore, non è generato dalla macchina, ma dal lavoro vivo,
ma con l’introduzione delle macchine questo lavoro vivo, diminuisce sempre di più. Le previsioni di M da una
parte si sono realizzate, ma dall’altra parte no, a causa dell’impatto delle macchine sul nostro territorio, e
dell’aumento, con il tempo, dei salari. (mappa online)
(Lunghini dice che a differenza del sistema feudale, in cui il momento economico avviene con il principe,
con il capitalismo, il momento economico è fine a sé stesso. Si ribalta il rapporto tra oppressi e oppressori,
questo ribaltamento ricorda molto il ribaltamento dialettico della servitù-signoria di Hegel.)
Il processo rivoluzionario
Il comunismo dovrà inaugurare una svolta nella società, sia poiché non ci sarà la presa di potere di una
minoranza su una maggioranza, ma ci sarà la presa di potere di una maggioranza inizialmente repressa, sia
perché dal comunismo rozzo si arriverà al vero comunismo caratterizzato dalla totale abolizione della
proprietà privata e all’abolizione delle classi e dell’esaurimento dello stato (somiglia molto all’anarchismo, ma
M ci arriva progressivamente, dal momento che non esistono più classi, perché tutti diventano proletari). Il
comunismo, quindi, è l’abolizione della proprietà privata, l’abolizione delle classi e l’esaurimento dello stato.
Non ci saranno più le classi antagoniste quindi ci sarà il superamento delle classi, un’emancipazione
dell’uomo che si riapproprierà della propria essenza perché non ci sarà più alcuna forma di alienazione. Il
proletariato per portare avanti la rivoluzione utilizza diversi metodi, Marx parla di una rivoluzione violenta, per
attuare la dittatura del proletariato, anche se non esclude che ci potrà essere una via pacifica. Marx dice che
la ricchezza si distribuirà da ognuno, secondo le proprie capacità, legate alle proprie caratteristiche, ad
ognuno, secondo i propri bisogni; non più in base al merito, quindi prendendo come esempio l’operaio, quello
che deve guadagnare di più è colui che deve mantenere una famiglia più numerosa. Indicherà questa futura
società comunista che dovrà realizzarsi, l’assenza di competizione, ognuno dovrà contribuire in questa
società “da ognuno, a ognuno”, la ricchezza si distribuirà non per il merito, ma per il bisogno. Questo principio
del bisogno, non è estranea alla democrazia liberale, pur mantenendo il criterio del merito. Nel manifesto,
accenna a quest’evoluzione della società comunista “il libero sviluppo di ognuno deve diventare il libero
sviluppo di tutti”.