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‹‹ Ciò che è razionale è reale; ciò che è reale è razionale.

››

Spesso viene etichettato come il “principio doppio”, per l’ovvia ragione che è costituito di due elementi. È, come
succede talvolta ai migliori, una di quelle trovate espressive geniali ma forse anche un po’ troppo geniali, perché si
espongono a equivoci, fraintendimenti, problemi. L’idea di Hegel era quella di esprimere in forma pregnante,
gnomica, un’assunto fondamentale di tutta la sua analisi, una sorta di principio, di presupposto.
Con questa proposizione duplice, per prima possibilità ovvia, Hegel pensa ad una sorta di conferma o
giustificazione teorica delle condizioni politiche date, quindi detto in altri termini, è quello che si chiama un
conservatore. Ci dà una sorta di legittimazione teorica di una configurazione sociale politica dell’ordine costituito.
Se ciò che reale è razionale, quello che è razionale è buono, si accetta, è valido, quindi prima possibilità.
Seconda possibilità, ciò che è razionale è reale, questo va contro un ordine costituito in quanto tale, e propone
degli elementi di critica, di contrapposizione, progressivi, alla luce di criteri razionali che emergono sì da
un’analisi del reale, però vanno al di là della semplice conferma teorica.
I Lineamenti si presentano dalle prime frasi come un’opera di scienza, un’opera di teoria, quindi certamente non è
un’opera di intervento politico. Se però il doppio principio non è da leggere né come una sorta di dichiarazione
di conservatorismo programmatico, né come una dichiarazione progressista, più verosimilmente va intesa come
una dichiarazione metodologia. Cioè, l’assunto che razionalità e realtà convergano, siano identici, e che quindi
questa duplice composizione sia un’unica tautologia, è un’assunto razionalistico fondamentale all’intera opera, e
che da senso al fatto stesso che il compito sia quello di confrontarsi con la verità morale, etica, data in modo da
ricavarne l’elemento di razionalità. Se noi non intendiamo il principio in questi termini metodologici o
metafilosofici, è come se non riuscissimo a dare senso alle pagine precedenti della prefazione, cioè al problema
complessivo di quale sia l’atteggiamento da tenere di fronte alla realtà data del mondo etico.
Detto questo, potrebbe comunque rimanere il dubbio su come più specificatamente dovrebbero essere intesi
quei termini. È notevole che in alcune lezioni di filosofia del diritto e in altre occasioni, Hegel torni a usare quasi
la stessa espressione, ma non proprio la stessa espressione:

‹‹ Ciò che è razionale è reale, e viceversa - ma non nella singolarità e nel particolare,
che si può confondere. ››

‹‹ Ciò che è razionale diviene reale, e ciò che è reale diviene razionale. ››

Il principio doppio originale ha un problema: sembra troppo statico. Affermandolo si corre il rischio che questo
venga letto come una sorta di dichiarazione di una piatta, statica, identità di una verità data con se stessa, e
mancherebbe quel che sappiamo essere per Hegel l’aspetto profondamente costitutivo dell’intera realtà, cioè il
dinamismo.
Partendo dal secondo, guadagnano in dinamismo, non c’è una statica identità ma c’è un qualche movimento, c’è
un divenire, un processo. Qualcuno fa notare però che più chiaro ancora è il primo passo dei due, perché prima
dicevamo che la riflessione filosofica riguardo all’eticità si rapporta a un dato, si rapporta a qualche cosa che è
presente, però quando dico che devo far emergere ciò che è razionale, non significa che devo descrivere tutti i
dettagli di ciò che ho di fronte. Abbiamo sempre sullo sfondo la questione descrittivo o normativo. Certamente
l’operazione di fare emergere ciò che è razionale non è ingenuamente descrittiva come una semplice
ricostruzione ordinata dei fenomeni, delle convinzioni etiche di una certa configurazione sociale e politica che io
metto insieme e presento per raccontare di qualcosa. Quindi non è semplicemente descrittivo. In ciò che è
presente interessa ciò che è razionale, e ciò che è razionale non è la singolarità, il particolare, quello che si esclude
con il duplice principio è la prospettiva di chi voglia fondare il progetto di una comunità razionale, di uno stato
secondo ragione, soltanto nella delineazione astratta di qualcuno. Qui partiamo da un reale, ma il problema è che
cos’è quel reale da cui si parte.
Facciamo un passo indietro: la cosa interessante che non è sempre stata notata, è che se notiamo l’oramai
arcinoto Saggio sul diritto naturale, 1803, troviamo queste frasi:

‹‹ In primo luogo le scienze positive comprendono, nella realtà effettiva a cui si riferiscono, non solo
l’elemento storico, ma anche i concetti, principi e relazioni, e in genere molto che in sé pertiene alla
ragione e che dovrebbe esprimere una intrinseca verità e necessità. Richiamarsi alla realtà effettiva e
all’esperienza per tale tramite, mantenendolo come un [dato] positivo deve essere riconosciuto
come inammissibile in sé e per sé. Ciò che la filosofia dimostra come non reale è impossibile che si
presenti veramente nell’esperienza; e, se la scena positiva si richiama alla realtà effettiva e
all’esperienza, anche la filosofia può enunciare in base al rapporto empirico la propria
dimostrazione dell’irrealtà di un concetto affermato dalla scienza positiva, e negare che nella realtà
effettiva e nell’esperienza si trovi ciò che la scienza positiva sostiene di trovarci. ››
Sono due aspetti: anche in uno studio, in una analisi della realtà effettiva, troviamo insieme necessariamente un
elemento razionale nel senso di Hegel, di strutture concettuali, che dovrebbe esprimere un’intrinseca libertà e
necessità, dall’altra parte se non ci dobbiamo limitare a registrare il dato empirico ma dobbiamo anche
considerare la struttura concettuale che gli è intrinseca, viceversa mostrare che una struttura concettuale non sia
fondata, non sia sostenibile, destituisce anche di validità il contenuto empirico che le è associato in base a quel
che direbbe la scienza positiva. Quello che ci interessa, al di là di questa ulteriore complicazione, è che già nel
1803 quindi abbiamo, dove il problema è già il rapporto tra diritto naturale e diritto positivo, qualche cosa di
molto simile all’idea che bisogni confrontarsi con la realtà per farne emergere l’elemento razionale, che in questo
tipo di approccio risiede lo specifico della riflessione filosofica.
Che cosa significa realtà? Hegel sottolinea che il reale non è necessariamente ogni elemento particolare, non è
ogni aspetto contingente di quello che noi empiricamente percepiamo, non è ciò che viene immediatamente
percepito, ciò che è empirico; Hegel è stato talmente deluso, talmente preso dal disappunto, per il modo in cui
immediatamente i duplice principio è stato percepito e interpretato dai suoi primi lettori, che nella Enciclopedia
delle scienze filosofiche, nella prima edizione del 1827, inserisce una lunga precisazione su quel che significa reale:

‹‹ Dall’altra parte è altrettanto importante che la filosofia abbia chiaro che il suo contenuto non è
altro che il contenuto che si è prodotto e procede se stesso originariamente nel dominio dello
spirito vivente e si è fatto mondo, mondo esterno e mondo interno della coscienza - ossia che il suo
contenuto è la realtà. […] Una considerazione intelligente del mondo distingue già ciò che, del basto
regno dell’esistenza interna ed esterna, è soltanto apparenza, fuggevole e privo di significato, e ciò
che in sé merita il nome di realtà. […] Si può considerare il fine supremo della scienza quello di
produrre la conciliazione della ragione autocoscienze con la ragione essente, con la realtà, mediante
la conoscenza di quest’accordo [tra realtà ed esperienza]. ››

Realtà, e reale, nel duplice principio è la parola Virklichkeit, o Virklich parlando dell’aggettivo corrispondente. In
tedesco abbiamo la caratteristica che c’è anche la parola Realität, un po’ più tecnica, filosofica. In italiano
tendiamo a tradurlo come realtà, realtà effettiva, gli anglofoni traducono actuality, che non è reality. In linea di
massima si potrebbe dire che Realität, e il suo aggettivo Real, dicano qualcosa che è reale nel senso che ha un
contenuto concettuale positivo, una rappresentazione non vuota per esempio, non necessariamente qualche cosa
che è dato nella realtà.
Questa pagina per Hegel serve a spiegare in che senso egli intenda realtà, Virklichkeit, in un senso tecnico
specifico. Provvisoriamente noi sappiamo che realtà non include tutto il particolare e tutte le singolarità, non
include tutto ciò che è empirico, non include l’oggetto dell’immediata percezione sensoriale, e bisogna quindi
capire che cosa si intenda per realtà.

26 febbraio 2019

Avevamo iniziato a mettere a fuoco che il duplice principio serve a sviluppare la parte positiva di un contrasto
con le prospettive filosofiche che Hegel respinge e condanna. Il duplice principio è quel principio o quell’assunto
di fondo che non viene soddisfatto dalle prospettive filosofiche che Hegel respinge nelle pagine precedenti della
prefazione, come il soggettivismo, ma che potremmo prendere sotto l’ombrello dell’irrazionalismo. A questo
punto Hegel ha bisogno di esplicitare compito, metodo, strategia, assunti teorici, della sua prospettiva, e in questa
duplice frase si condensano esattamente queste intenzioni teoriche.
Il duplice principio non è esattamente una novità nello sguardo filosofico di Hegel, qualche cosa di simile era
presente già addirittura nel vocabolario del Saggio sul diritto naturale. Le principali precisazioni che Hegel propone
dopo che si rende conto che il suo duplice principio era stato altamente frainteso sono queste:

‹‹ Dall’altra parte è altrettanto importante che la filosofia abbia chiaro che il suo contenuto non è
altro che il contenuto che si è prodotto e procede se stesso originariamente nel dominio dello
spirito vivente e si è fatto mondo, mondo esterno e mondo interno della coscienza - ossia che il suo
contenuto è la realtà. […] Una considerazione intelligente del mondo distingue già ciò che, del basto
regno dell’esistenza interna ed esterna, è soltanto apparenza, fuggevole e privo di significato, e ciò
che in sé merita il nome di realtà. […] Si può considerare il fine supremo della scienza quello
di produrre la conciliazione della ragione autocosciente con la ragione essente, cioè la
realtà, mediante la conoscenza di quest’accordo [tra realtà ed esperienza].

Nella prefazione alla mia Filosofia del diritto (p. XIX) si trovano le frasi: Ciò che è razionale è reale, e ciò che reale è
razionale. […] Nella vita comune si chiama a casaccio realtà, per esempio, qualsiasi capriccio, l’errore, il
male e ciò che è su questa linea, come pure qualsiasi esistenza difettiva e passeggera. Ma già per un
sentimento ordinario un’esistenza contingente non manterrà l’enfatico nome di reale; - il contingente è
un’esistenza che non ha molto più valore di un possibile, che non può essere tanto quanto essa è. Ma
quando ho parlato di realtà, si sarebbe pur dovuto pensare al senso in cui impiego il termine, dato che in
una Logica dettagliata ho trattato anche della realtà e l’ho distinta con precisione non solo dal contingente
che ha esistenza, ma anche dall’essere determinato, dall’esistenza e da altre determinazioni.
Alla realtà del razionale si oppone già la nozione che, per un verso, idee e ideali non siano altro che
chimere e la filosofia sia un sistema di tali assurdità, e che, viceversa, idee e ideali siano qualcosa di troppo
eccelso per poter avere realtà, oppure di troppo impotente per ottenerla. Ma la separazione della realtà
dall’idea è particolarmente cara all’intelletto, che […] è tutto fiero del suo dover essere [Sollen], che
prescrive volentieri soprattutto in ambito politico, come se il mondo avesse aspettato lui per capire come
deve essere ma non è; ma se fosse come deve, dove finirebbe la scaltrezza del suo dover essere? […] Chi
non sarebbe abbastanza perspicace da vedere intorno a sé molte cose che nei fatti non sono come
dovrebbero? Questa perspicacia, però, ha torto se si immagina di muoversi, con tali oggetti e il loro dover
essere, entro gli interessi della scienza filosofica. Questa ha a che fare soltanto con l’idea, che non è tanto
impotente da dover essere soltanto, e non essere realmente, e dunque ha a che fare con una realtà, rispetto
alla quale quegli oggetti, istituzioni, condizioni di fatto, etc., sono solo la superficie esteriore. ››
(Enciclopedia delle scienze filosofiche, § 6)

Qui otteniamo subito qualcosa che fa capo alla vita dello spirito, c’è un diretto appoggio alla Fenomenologia.
La realtà che ci interessa qui è Virklichkeit, possiamo tradurla realtà effettiva, effettualità, actuality, e c’è un
elemento evidente in tedesco, perché questo concetto non esprime assolutamente qualcosa di inerte; la radice,
Virklich, o Virk, è la stessa radice di Virken, operare, Wirkung, effetto. Essenzialmente realtà è qualcosa non di
statico, che sta fermo, che si dà, ma è effettivamente reale.
Realtà quindi è intanto il contenuto dell’intera riflessione filosofica. Il duplice principio è una tesi metafilosofica
generale e non riguarda solo la filosofia del diritto.
La frase in grassetto è il fulcro del nostro discorso. È un modo per ribadire il duplice principio, e a questo punto
interviene l’annotazione, perché fa capire bene come non vada frainteso.
La questione qui è, se si assume che la funzione della filosofia, soprattutto in ambito pratico, politico, sia
semplicemente di indicare ideali e di porsi in un’ottica critica, oppositiva rispetto alla realtà delle cose, quello che
si ottiene è una sorta di continua messa in discussione dell’esistente che sembra in realtà ignorare quello che è già
reale e che alla fine corre insieme anche il rischio di soffermarsi su cose che sono come non dovrebbero. Ma
Hegel fa notare che effettivamente le cose sono come non dovrebbero, il rischio è quindi quello di limitarsi a
osservare la superficie esteriore, o, quello che abbiamo visto prima, esistenza contingente, apparenza. Quello che
si vuole dire, che cruciale, è che non si tratta semplicemente di accettare, si tratta del fatto che se la posizione
della riflessione filosofica è semplicemente di estraneità, di rifiuto della realtà, questa rischia di vedere nella realtà
soltanto elementi contingenti.

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