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Natura cellulare degli organismi viventi

Tutti gli organismi viventi sono formati da cellule:


Tutti gli organismi conosciuti sono costituiti da unità semplici e generalmente invisibili a
occhio nudo, denominate cellule, ed osservate per la prima volta con l’invenzione del
microscopio ottico di Hooke nel 1600.

Cellule eucarioti e procarioti: Negli organismi pluricellulari le cellule si organizzano in vari


tessuti, all’interno dei quali hanno aspetto morfologico e funzioni differenziate, diversi
tessuti formano organi, gli organi formano apparati e sistemi e infine i vari sistemi e apparati
formano gli organismi. La dimensione delle cellule è all’incirca la stessa, questo perché c’è
un rapporto ottimale tra grandezza e vitalità della cellula, così come tra superficie e volume
della stessa. Vi sono però delle differenze sostanziali tra le cellule degli eucarioti e dei
procarioti.

Cellule eucarioti:
• La cellula eucariote ha un diametro che varia tra i 10-100 μm ed è osservabile
attraverso il microscopio ottico
• All’interno è presente un nucleo differenziato rispetto al citoplasma in cui si trova il
DNA.
• Vi sono dei sistemi di membrana esterni (membrana plasmatica) ed interni (la
membrana nucleare), e vari organuli membranosi (reticolo endoplasmatico liscio e
rugoso, l’apparato del golgi , i lisosomi e i mitocondri).
• Si riproducono tramite il processo di metosi o meiosi
• La membrana esterna è costruita a partire dall’interno, le molecole lipidiche sono
infatti sintetizzate nei sistemi interni e sono disposte in due strati.
• gli organismi eucarioti comprendono sia forme di vita unicellulari che organismi
pluricellulari.

• Le cellule procarioti hanno delle dimensioni ridotte tra 1-10μm e si vedono a


malapena attraverso un microscopio ottico, ma si osservano attraverso il microscopio
elettronico che utilizza fasci di elettroni che hanno un potere di risoluzione che
raggiunge il nanometro (un miliardesimo di metro).
• All’interno non c’è un nucleo definito separato dal citoplasma, il DNA (un piccolo
cromosoma dalla forma circolare) è dissolto nel citoplasma nella regione del
nucleoide e è associato a molecole e proteine basiche dette poliamine.
• I batteri presentano solo una membrana esterna e sono sprovvisti di strutture
citoscheletriche e di organuli membranosi, e presentare altre strutture come flagelli e
capsule
le cellule eucarioti di tutti gli organismi presentano le stesse strutture di base

Ogni cellula contiene del materiale ereditario costituito dagli acidi nucleici: il DNA, che
porta l’informazione molecolare necessaria a produrre proteine, e l’RNA, che rende
disponibile tale informazione ai macchinari cellulari responsabili della sintesi proteica. Gli
acidi nucleici dirigono quindi ogni attività vitale della cellula e permettono lo sviluppo
dell’organismo stesso. Il DNA costituisce i cromosomi, che nel caso delle cellule eucarioti
sono contenuti all’interno di un nucleo fisicamente separato dal resto della cellula attraverso
la membrana nucleare. Attraverso i pori nucleari si attraversa il doppio strato nucleare per
far sì che avvenga la sintesi proteica da parte del RNA e i ribosomi. Dobbiamo immaginarci
un continuo traffico cellulare.

il reticolo endoplasmatico e un insieme di tubuli e sacchi appiattii che si estende dalla parete
nucleare a tutto il citoplasma. La membrana del reticolo è chiusa e delimita cisterne separate
dall’ambiente citoplasmatico. L’ambiente interno di queste cisterne, il lume del reticolo, è
topologicamente equivalente all’ambiente extracellulare. Nel RE troviamo tre porzioni
distinte:
• RE liscio: sintetizza i lipidi di membrana; ○ RE rugoso: sulla cui superficie si
trovano adesi ribosomi impegnati nella sintesi di proteine di membrana e di
secrezione;
• RE di transizione: dal quale si formano le vescicole membranose di trasporto che si
muovono verso l’apparato del Golgi;

L’apparato del Golgi é un organulo formato da cisterne appiattite ed e caratterizzato da


polarità morfofunzionale: ha una cavità più convessa rivolta verso il nucelo e il RE, detta
cis, e una meno opposta alla prima, detta trans. Lipidi e proteine sintetizzati nel RE arrivano
sul versante cis, vengono elaborati e modificati dal Golgi, per poi arrivare al versante trans
dove si staccano delle vescicole membranose che smistano p. di membrana e lipidi verso i
vari compartimenti membranosi e le proteine di secrezione verso l’ambiente extracellulare
(processo di esocitosi).

I mitocondri sono organuli coinvolti nella produzione di energia all’interno di una cellula
eucariote. Al loro interno, l’energia contenuta in varie molecole, quali carboidrati,
amminoacidi e acidi grassi, é convertita in ATP mediante il ciclo di Krebs e la
fosforillazione ossidativa.

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Le cellule gliali: In un sistema nervoso, non ci sono solo neuroni, ma anche altre cellule
accessorie complessivamente denominate glia (“colla”, poiché si credeva funzionassero da
collante per i neuroni):
● astrociti: cellule dalla forma stellata che aderiscono ai neuroni e alle sinapsi chiudendo
l’ambiente sinaptico massimizzando l’efficienza del neurotrasmettitore limitando la sua
diffusione. Sono cellule connesse tra loro attraverso giunzioni (gap junctions) che
permettono la diffusione di piccole molecole e ioni nelle varie strutture encefaliche.
Partecipano ai processi di sopravvivenza e migrazione dei neuroni e nella formazione e
mantenimento degli aggregati neuronali. Essi prendono anche parte al metabolismo
energetico del neurone scambiando con essi prodotti intermedi della glicolisi. Collaborano
con i neuroni alla neurotrasmissione sia eliminando o riciclando i neurotrasmettitori sia
partecipando alla ricollocazione degli ioni potassio (K+).
● oligodendrociti: costituiti da pochi processi dendritici, producono mielina avvolgendosi a
piu assoni vicini e sono localizzati nel SNC.
● microglia: piccole cellule di tipo macrofagico che hanno una origine embriologica
diversa, non hanno un precursore comune ai neuroni, ma hanno gli stessi precursori delle
cellule del sangue. Mantengono l'omeostasi del tessuto nervoso impedendo che il sangue e
le sue cellule non entrino mai a contatto con le cellule nervose. Infatti se c’è un'infezione nel
cervello non possono intervenire i linfociti. Alcune malattie neurodegenerative dipendono
proprio da anomalie della barriera ematoencefalica dove i linfociti, penetrando
nell’encefalo, riconoscono la mielina come un antigene e producono anticorpi contro di essa
(es di malattia demielinizzante: sclerosi multipla, una volta ricostruita, la mielina non
funzione più come prima). La microglia mantiene pulito tutto il cervello da virus, batteri e
residui di cellule morte.
● cellule ependimali che rivestono la superficie interna del SNC e formano numerose
connessioni metaboliche con gli astrociti. Di recente si è rivelato essere una fonte di cellule
staminali multipotenti.
● cellule di Schwann: hanno la stessa funzione degli oligodendrociti, ma sono localizzati nel
SNP e ogni cellula si avvolge ad un unico assone.

La mielina è una guaina isolante che rende più rapida la conduzione dell’impulso nervoso.
Quando si distrugge la mielina come nel caso di una malattia demielinizzante, la conduzione
dell’impulso viene rallentata e l’efficienza complessiva si perde. Non tutti i nostri neuroni
sono dotati di mielina, quando la distanza da percorrere è breve essa non è presente. La
guaina mielinica è formata dalla successione dei segmenti formati da più oligodendrociti
disposti lungo l'assone. Poiché le estremità di ogni segmento rimangono separate fra loro, la
guaina mielinica è discontinua; i punti di discontinuità sono chiamati nodi di Ranvier e i
tratti di mielina sono chiamati internodi.

Oligodendrociti e cellule di Schwann sono essenziali per la massima efficienza della


conduttività degli impulsi nervosi.

Negli assoni mielinizzati, come vedremo, la conduzione degli impulsi non è continua ma
saltatoria, con potenziali d'azione che si misurano solo al livello dei nodi di Ranvier, e
quindi "saltano" da un nodo all'altro. La lunghezza ottimale degli internodi nella mielina
sana è di circa 1 mm. Ogni internodo è importante per la conduzione dell'impulso nervoso
perché è attraverso questo breve tratto di membrana dell'assone non avvolto da guaina
mielinica che avvengono i flussi ionici transmembrana necessari alla conduzione del
potenziale d'azione.

Un neurone: Un neurone ha un nucleo (che non si divide) che ha 46 cromosomi e esprime


attivamente i propri geni.
Il nucleo ha al suo interno la cromatina; all’esterno poi vi è il citoplasma con i mitocondri, il
reticolo endoplasmatico liscio e rugoso e l’apparato del Golgi che serve a smuovere e
produrre vescicole che in parte finiranno nella terminazione sinaptica riempite di
neurotrasmettitori.

Il r.e. serve a produrre la membrana, aumentando la sua


superficie. Così come esiste l’esocitosi, vi è anche un
processo inverso: l’endocitosi (si invagina una vescicola).
Quando una porzione si invagina, la membrana si riduce.
La membrana plasmatica viene costruita dall’interno, dal
reticolo endoplasmatico liscio (la parte lipidica) e dal
reticolo endoplasmatico rugoso (la parte proteica) e tutto
viene elaborato dal Golgi e smistato con le vescicole nelle
varie porzioni della cellula.
Vi sono delle fibre citoscheletriche per mantenere le
strutture che danno sostegno, un insieme di associazioni
di proteine che creano microfilamenti, microtubuli o
filamenti intermedi (proteine che variano a seconda del
tipo cellulare, es: cheratina per l’epidermide); nei neuroni
vi sono i neurofilamenti, abbondanti nell’assone e non nei
dendriti, infatti permettono di costituire strutture
cilindriche, mentre nei dendriti vi sono i microtubuli che
permettono di costruire strutture coniche.

La maggior parte del nostro DNA non serve a codificare proteine, la maggior parte
dell’informazione genetica serve per fare in modo che le proteine vengano prodotte in modo
utile per le cellule. Tutto quello che succede nel nostro corpo dipende direttamente o
indirettamente dai neuroni e dall’ambiente.

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Atomo: complesso formato da particelle subatomiche: gli elettroni, i protoni e i


neutroni. Questi ultimi due si uniscono insieme a formare il nucleo dell’atomo,
attorno al quale si muovono gli elettroni. Sia i protoni che i neutroni possono a loro
volta essere scomposti in particelle più piccole chiamate quark mentre gli elettroni non
sono divisibili per cui insieme ai quark sono definiti particelle fondamentali
indivisibili

Il protone ha carica elettrica positiva e in numero di protoni presenti in un atomo dà il


numero atomico dello stesso (indicato con valore Z). Esso ha una massa di 2000 volte
superiore a quella dell’elettrone.

Il neutrone ha carica neutra e la stessa massa del protone. Insieme a lui costituisce il
nucleo dell’atomo. L’elettrone ha carica elettrica negativa e in un atomo ruota intorno al
nucleo (orbitale è questa regione in cui l’elettrone ruota) in eguale numero rispetto ai
protoni. E’ l’elettrone che determina la reattività di un atomo per cui conoscendo il
numero atomico di quest’ultimo si possono conoscere anche le proprietà chimiche
dello stesso.

In genere gli atomi sono neutri perché il numero degli elettroni tende a eguagliare
quello dei protoni, quindi il numero atomico ci dà anche quello degli elettroni. I vari tipi
di atomi sono detti elementi e sono raggruppati in base al numero atomico, fino a 92 quelli
che si trovano in natura (da 0 a 46 neutroni), gli altri con numero superiore sono costruiti
artificialmente.

Oltre al numero atomico un atomo è caratterizzato dal numero di massa cioè dal numero
totale di protoni e neutroni (indicato con lettera A). Atomi appartenenti allo stesso elemento
cioè con stesso valore di Z ma con diverso valore di A sono detti isotopi dell’elemento. Il
peso atomico è la media ponderale delle masse dei diversi isotopi costituenti la miscela
di atomi. Alcuni isotopi sono molto instabili per cui tendono a decadere in atomi più
stabili, cedendo energia sotto forma di radiazioni, per questo sono detti radiotattivi.

Le proprietà chimiche di un atomo dipendono dal numero e dalla distribuzione


degli elettroni. Essi si distribuiscono su vari livelli energetici, il primo (chiamato K) è
quello più vicino al nucleo e il suo elettrone è quello meno ricco di energia, più ci si
allontana dal nucleo più alta è l’energia dell’elettrone. Il secondo si chiama L. Ogni orbitale
può accogliere massimo due elettroni che girano in verso opposto. Il primo orbitale ha
forma sferica (indicato con la lettera S sharp), i seguenti 3 a manubrio (P principal), poi
possono avere forme più complesse.
Perché un elemento sia stabile deve avere lo stesso numero di elettroni e protoni per cui gli
elementi che avranno tutti i livelli orbitali occupati dal numero di elettroni necessario
tenderanno ad essere stabili e non interagire con altri elementi: lo sono soltanto i gas
nobili, per questo detti inerti. Saranno invece molto reattivi quelli che mancano di un
solo elettrone per completare il livello, come gli alogeni o quelli che ne hanno solo uno
nell’orbitale esterno, i metalli alcalini. I primi però tendono a saturare il loro livello
energetico prendendo dagli altri elementi l’elettrone mancante, mentre i metalli
alcalini tenderanno a cedere l’unico elettrone che hanno nel loro livello così da scendere al
sotto livello saturo.
Classificando gli elementi per numero atomico crescente si ottiene un sistema
periodico degli elementi chiamato Tavola di Mendeleev, divisa in righe e colonne. Nelle
prime ci sono i livelli elettronici principali mentre nelle seconde il numero di elettroni
posseduti da ciascun atomo in ciascun livello. Elementi della stessa colonna sono simili, per
questo raggruppati in gruppi.

Sono gli elettroni degli orbitali esterni che danno origine alle reazioni chimiche. Essi si
definiscono elettroni di valenza. I legami chimici sono necessari per raggiungere la
massima stabilità energetica, cioè ogni atomo deve contenere il minimo possibile di
energia potenziale.
Tolti i gas nobili tutti gli altri elementi interagiscono tra loro per arrivare alla stabilità
energetica. La materia tende sempre a raggiungere condizioni di massima stabilità
energetica, ovvero condizioni in cui contenga la minima quantità possibile di energia
potenziale. Dai legami chimici forti, chiamati covalenti, nascono le molecole.
Il peso molecolare è la somma dei pesi atomici degli atomi costituenti la molecola. La mole
invece è la sua quantità in grammi corrispondente al valore in dalton del suo peso
molecolare, e comprende sempre lo stesso numero di molecole, indipendentemente da
tutto. Questo numero si chiama numero di Avogadro. La molarità di una sostanza è definita
come il numero di moli della stessa presenti in 1 litro di soluzione.

Gli isotopi
atomi che pur diversi tra loro occupano la stessa
casella nella tavola periodica. Il numero atomico stabilisce quale è la casella di ciascun
elemento, quindi vuol dire che hanno lo stesso numero atomico, ma diversa massa atomica,
e dunque diverso numero di neutroni (quindi uguale valore di Z e diverso valore di A).
I vari isotopi di un elemento sono indicati ponendo il valore del numero di massa
dell'isotopocome esponente del simbolo dell'elemento stesso.
In realtà, tutti gli elementi presenti in natura sono una miscela di vari isotopi. Ad esempio,
l'idrogeno naturale è una miscela di tre diversi isotopi: un isotopo largamente predominante
con A = 1, indicato con il simbolo 'H, e, molto più rari rispetto al primo:
● Deuterio: si aggiunge un neurone all’idrogeno Z: 1 e A:2, è un idrogeno pesante; non
è radioattivo e non vive un processo di deterioramento.
● Trizio: Z:1 e A:3, radioattivo e un tempo di dimezzamento di 10 anni.
Emivita⇒ la stabilità degli isotopi nel corso del tempo, ovvero il tempo di dimezzamento
della quantità in natura di quell’atomo o quell’elemento.
L’isotopo più frequente del carbonio (C) ha A = 12 (isotopo12C), ma in natura esistono
anche gli isotopi più pesanti 13C e 14C, contenenti rispettivamente 7 e 8 neutroni.
A causa dell'esistenza dei vari isotopi di un elemento, il numero di massa è di fatto un
parametro il più delle volte inadatto a descrivere i rapporti quantitativi che intercorrono tra i
diversi atomi facenti parte di una reazione chimica. Si preferisce quindi usare un altro
parametro detto peso atomico, corrispondente alla media ponderale delle masse dei diversi
isotopi costituenti la miscela di atomi con cui ciascun elemento si presenta in natura,
rapportato all'unità di massa atomica, misurato in dalton (Da).
Alcuni isotopi di vari elementi sono instabili e tendono a modificare la loro configurazione
nucleare "decadendo" in atomi più stabili. Questo processo è spesso accompagnato dalla
emissione di energia sotto forma di radiazioni di vario tipo. Gli isotopi che presentano tale
fenomeno sono detti radioattivi o radioisotopi.

Gli orbitali:
Le proprietà chimiche di un atomo derivano dal numero e dalla distribuzione dei suoi
elettroni nello spazio che circonda il nucleo. A seconda dell'energia di cui sono dotati, i vari
elettroni di un atomo si distribuiscono su diversi livelli energetici tra loro discontinui. Gli
elettroni con meno energia sono i più vicini al nucleo atomico e si dicono appartenere al °1
livello energetico (K).
Al 1° livello segue poi il 2° (L) e così via sino al livello più lontano dal nucleo, al quale
appartengono gli elettroni più ricchi di energia. Un dato livello energetico può essere
occupato da uno o più elettroni solo se i livelli energetici inferiori sono già completamente
pieni.
Nell'ambito di ciascun livello energetico gli elettroni si muovono intorno al nucleo,
venendosi
a trovare con maggiore probabilità in regioni di forma definita e statisticamente predicibili
dello spazio perinucleare, dette orbitali. Pauli scoprì il principio di esclusione: ogni orbitale
può accogliere un massimo di 2 elettroni. Il centro dell’orbitale è il nucleo.
A loro volta, i vari livelli energetici possono accogliere un numero di orbitali sempre più
grande con l'aumentare della distanza dal nucleo dell'atomo. Ad esempio, il livello
energetico K contiene 1 solo orbitale, il livello L ne può contenere sino ad un massimo di 4,
ecosì via.
In ogni livello energetico, il primo orbitale che viene occupato dagli elettroni ha sempre
forma sferica ed è indicato con la lettera s. Nel secondo e terzo livello, gli altri tre orbitali
hanno invece una forma a manubrio e sono disposti ortogonalmente l'uno rispetto all'altro.
Tali orbitali sono indicati con la lettera p.
In aggiunta agli orbitali s e p, i livelli energetici più elevati presentano anche altri orbitali di
forma più complessa.
Le modalità di distribuzione degli elettroni in tutti i possibili orbitali dell'atomo determinano
la capacità dell'atomo stesso di reagire chimicamente con altri atomi. Infatti, poiché tutti gli
atomi tendono ad avere i loro livelli energetici completamente occupati dagli elettroni,
saranno chimicamente inerti solamente i cosiddetti gas nobili. I gas nobili sono elementi
gassosi che si trovano nell’ultima colonna, vuol dire che il loro ultimo orbitale è pieno⇒
grande stabilità che impedisce loro di partecipare a reazioni chimiche e vivono quindi isolati
in natura.
Mostreranno invece una elevata reattività chimica quegli elementi ai quali manca 1 solo
elettrone per saturare completamente il proprio livello energetico esterno (ad esempio, i
cosiddetti "alogeni"' come il cloro, il bromo, il fluoro, lo iodio), o ancora quegli elementi
aventi un solo elettrone nel loro livello energetico esterno (ad esempio, i cosiddetti "metalli
alcalini",come il sodio, il litio, il potassio). In particolare, gli alogeni tendono a saturare il
loro livello energetico esterno catturando l'elettrone loro mancante da un altro atomo; i
metalli alcalini invece risolvono il problema in modo del tutto opposto, cedendo l'unico
elettrone del loro livello energetico esterno ad un altro atomo e facendo sì che la superficie
dell'atomo consista nel sottostante livello energetico completo

Il legame covalente:
Due atomi, appartenenti o no allo stesso elemento, si dicono legati con legame covalente
quando mettono tra loro in comune uno o più elettroni dei loro livelli energetici esterni,
ottenendo in tal modo la loro completa saturazione.
Un tipico esempio di legame covalente è quello che si instaura tra due atomi di idrogeno.
Quando due diversi atomi di idrogeno si incontrano, i loro due orbitali 1s si "fondono" tra
loro, formando un unico orbitale con due elettroni (σ). In tal modo, ciascuno dei due atomi
possiede, seppure in condivisione, un orbitale di primo livello completamente riempito.
L'orbitale produce attrazione su ambedue gli atomi e li mantiene legati fortemente,
formando la molecola H2.
Nella molecola H2, la doppia carica elettronica si concentra soprattutto tra i due nuclei,
disponendosi tra essi in modo simmetrico. Da ciò risulta una notevole forza attrattiva dei
duenuclei atomici positivi nei confronti della nube elettronica comune, facendo sì che la
molecola di idrogeno sia molto più stabile degli atomi di idrogeno singoli. Pertanto la
formazione della molecola è favorita rispetto agli atomi singoli e la rottura della molecola
stessa richiede la somministrazione di una adeguata quantità di energia.
Quando due atomi mettono in comune 2 o 3 coppie di elettroni, essi si dicono legati da un
doppio o da un triplo legame. La forza attrattiva di questi legami è maggiore di quella
esercitata dal legame singolo.
La forza di attrazione che si stabilisce tra due atomi uniti da un legame covalente viene
espressa in maniera quantitativa come energia di legame. L'energia di legame può essere
espressa in Kcal/mole e corrisponde all'energia che deve essere somministrata perché quel
dato legame possa rompersi.
I legami covalenti caratterizzati da una distribuzione della nube elettronica assolutamente
simmetrica, definiti omeopolari, sono in realtà presenti solamente nelle molecole costituite
da atomi identici. Quando invece il legame covalente unisce atomi diversi, esso è spesso più
o meno polarizzato; in esso cioè la nube elettronica assume una distribuzione più o meno
asimmetrica, a seconda della diversa capacità che i due atomi hanno di attrarre elettroni.
I legami covalenti eteropolari sono formati tra atomi che hanno differente capacità di
attrarre sul proprio nucleo gli elettroni di legame (una sorta di tiro alla fune nel quale uno
dei due concorrenti è un po’ più forte dell’altro ma senza arrivare alla vittoria). Questa
proprietà è definita elettronegatività.
La capacità di un dato atomo di attrarre o donare elettroni dipende da quanti elettroni sono
necessari per saturare il suo livello energetico esterno. Tenderanno quindi ad attrarre
elettroni quegli atomi a cui mancano pochi elettroni per saturare il livello energetico esterno.
Questi atomi sono detti elettronegativi. Caratteristiche opposte hanno invece gli atomi
elettropositivi che, avendo il loro livello energetico esterno occupato solo da pochi elettroni,
tendono a cederli.

Il legame ionico: In particolari condizioni, un atomo può completamente perdere o


acquistare elettroni, perdendo di conseguenza la sua condizione di neutralità ed assumendo
una carica netta positiva (nel caso in cui il numero finale dei suoi elettroni sia inferiore al
numero dei protoni), o negativa (nel caso in cui il numero finale degli elettroni sia superiore
al numero dei suoi protoni). Un atomo con carica netta diversa da zero è indicato con il
termine di ione. Uno ione con carica positiva è detto catione e uno con carica negativa
anione.
Gli ioni di segno opposto si attraggono l'uno con l'altro, formando un legame chimico detto
legame ionico. Il legame ionico in realtà consiste in una generica forza di attrazione
elettrostatica che un dato ione esercita nei confronti di uno o più ioni di segno opposto che si
trovino nelle immediate vicinanze. Tale forza di attrazione decade rapidamente con
l'aumentare della distanza tra gli ioni stessi. Sostanze costituite da ioni di segno opposto
legati da legami ionici sono i cosiddetti sali, un tipico esempio dei quali è il cloruro di sodio
(NaCI), il comune sale da cucina, costituito da ioni Na+ e Cl-. In fase solida, gli anioni e i
cationi del sale tendono a disporsi in modo ordinato l'uno rispetto all'altro, costituendo un
cristallo. I solventi polari (come l'acqua) distruggono i legami ionici e di conseguenza
l'organizzazione cristallina di un sale, circondando ogni singolo ione con un guscio di
idratazione. Poiché la materia vivente è costituita da un ambiente acquoso, in essa non
troviamo sali, ma solo ioni idratati.

Le forze di van der Waals:


Le forze di van der Waals, così chiamate in nome del fisico olandese che per primo le
descrisse intorno al 1870, rappresentano un tipo di interazioni deboli molto importante
anche per il mondo organico. La ragione fisica delle interazioni di van der Waals è la
presenza in ogni atomo di cariche positive (i protoni) e negative (gli elettroni), che genera
forze attrattive tra la nuvola elettronica di un atomo e il nucleo di un altro. Se però gli atomi
si avvicinano troppo tra di loro, si scatenano forze repulsive sia tra le due nuvole
elettroniche che tra i due nuclei atomici.
Si determina così un compromesso tra forze attrattive e forze repulsive e gli atomi tendono a
mantenersi reciprocamente a una distanza caratteristica (distanza ottimale). Le forze di van
der Waals hanno un raggio d'azione estremamente breve e sono quindi attive tra molecole
molto vicine tra loro.
Le forze di van der Waals tengono unita la materia e, nel caso di sostanze non polari, sono
responsabili dei diversi stati in cui essa si presenta. In un solido, tali forze tengono le
molecole coese molto saldamente. Scaldando la sostanza, l'aumento dell'energia cinetica
delle molecole indebolisce le attrazioni di van der Waals e il solido diventa liquido.
Somministrando ulteriore energia, le molecole tendono a muoversi così velocemente da
perdere ogni contatto reciproco, facendo sì che il liquido passi allo stato gassoso. Poiché
l'intensità delle forze di van der Waals è tanto maggiore quanto più grandi sono gli atomi di
una molecola, le temperature di fusione e di ebollizione di una sostanza contenente atomi
grandi sono più elevate rispetto a quelle di sostanze costituite da atomi più piccoli.
Pertanto, le piccole molecole formate da atomi leggeri (ad es. il metano, CH, o l'anidride
carbonica, CO,) sono normalmente gassose ai normali valori di temperatura e pressione
dell'ambiente, mentre molecole di pari dimensioni ma formate da atomi pesanti sono liquide
o solide.

Il legame idrogeno:
Il cosiddetto legame idrogeno è un’attrazione di tipo elettrostatico che si può stabilire tra
molecole polari di segno opposto. Questo legame è anche detto ponte idrogeno, poiché in
esso un atomo di H, reso positivo dal legame covalente con un atomo elettronegativo, viene
attratto elettrostaticamente da un altro atomo elettronegativo. In tal modo, l'H funge da
ponte tra i due atomi elettronegativi.
La lunghezza di legame del ponte idrogeno è circa il doppio di quella di un legame
covalente e la sua energia di legame è di circa 5 Kcal/mole, un valore 10-20 volte inferiore a
quella di un legame covalente, ma comunque molto più elevato rispetto a quello delle forze
di van der Waals.
In biologia i legami idrogeno hanno una grandissima importanza. Ad esempio legami
idrogeno si formano tra le molecole dell'acqua e tra vari gruppi funzionali contenenti
ossigeno o azoto. Essi stabilizzano la struttura delle proteine e degli acidi nucleici.
I legami idrogeno sono rappresentati con un tratteggio che si dipana da un lato all’altro con
linee orizzontali, mentre quello covalente con una barra solida.

Lunghezze ed energie di legame:


Maggiore è l’energia di legame, più forte è il legame stesso. Il legame idrogeno ha
un’energia pari a circa 1/20 di quella di un legame covalente (nel vuoto) ma molto più alta
dell’attrazione di Van der Waals.
Questo è il motivo per il quale a 25°C e 1 atm. l’acqua è liquida mentre il metano è gassoso.
Il carbonio è uno degli elementi fondamentali nella costruzione delle molecole grazie
alle particolari proprietà del suo atomo. La branca della chimica che studia i
composti del carbonio sia naturali che di sintesi si chiama chimica organica. Il
carbonio ha la caratteristica di formare quattro legami covalenti, doppi, singoli o
tripli legami. Mentre il legame singolo in una molecola policarboniosa è rotazionale
cioè permette che ciascuno dei due C ruotino liberamente tra loro, i doppi e i tripli legami
non ruotano e nelle molecole biologiche costituiscono pertanto punti di rigidità. Data la
grande varietà di questo atomo a parità di molecola possono esistere diverse forme
alternative della stessa chiamate isomeri, detti di struttura quando differiscono per la
diversa posizione degli atomi che la costituiscono, ottici quando sono speculari l’uno
dell’altro. L’idrogeno e gli alogeni possono formare un solo legame, l’ossigeno e lo zolfo
due, l’azoto tre.

I composti organici possono essere classificati in base a gruppi funzionali, quando


hanno una serie di caratteristiche simili che costituisce il loro scheletro a cui poi
l’aggiunta di una molecola policarboniosa la porta ad acquisire caratteristiche specifiche
proprie raggruppabili in un gruppo funzionale. Sono gruppi funzionali:
Gli Alcali che sono della famiglia degli idrocarburi e nascono dall’unione di molecole di carbonio e idrogeno. Sono sature perché il carbonio fa legami semplici (con un solo elettrone). In essi troviamo il metano, il butano, l’etano e il propano. Sono tutti definiti paraffine e appartengono alla classe dei combustibili. Il petrolio stesso è formato da idrocarburi. La tetrossodina è formata da un ciclo di carboni.

Gli Alcheni sono anche essi idrocarburi, ma hanno desinenza ene perché formati da doppi legami carbonio- carbonio. In questo caso sono insaturi e ne sono un esempio l’isoprene ,il carotene e il licopene.

Gli alchini sono invece formati da tripli legami di carbonio e sono insaturi come ad esempio come i fluorocarburi.

Gli alcoli appartengono al gruppo degli ossidrili in cui un atomo di ossigeno è legato a uno di idrogeno. Hanno desinenza -olo e comprendono tutti gli alcol con uno o più gruppi alcolici. Sono altamente idrofili. Un esempio è la glicerina.
Simili agli alcoli, ma con lo zolfo al posto dell’ossigeno sono i tioli, caratteristici per il cattivo odore che emanano. Anche il caffè ne contiene tracce. Appartengono al gruppo dei sulfidrili.

Gli eteri sono formati da entrambi gli atomi di ossigeno legati a un solo carbonio. Hanno desinenza etere. Sono del gruppo dei carbossili.

Nei gruppi idrofobi, fortemente apolari, con desinenza ile comprendiamo gli aromatici, derivati dalla molecola esagono aromatica del benzene e il gruppo metile derivato dal metano.

Le ammine, tutte derivate dall’ammoniaca, presentano forti caratteristiche di basicità.


Infine abbiamo gli aldeidi e i chetoni in cui un ossigeno ha un doppio legame con il carbonio. E’ un esempio l’acetone o la formaldeide. Sono del gruppo dei carbonili.

● -OH ⇒ gruppo ossidrilico. Consiste in un atomo di ossigeno legato a uno di idrogeno. A


causa della elettronegatività dell'ossigeno e della conseguente asimmetria della sua nube
elettronica, questo gruppo funzionale interagisce in maniera ottimale con l'acqua e quindi
conferisce alle molecole di cui fa parte uno spiccato carattere di idrofilia. È polare, come
l’acqua, ed è presente in un gruppo di molecole organiche denominate alcoli e il loro nome
chimico assume la desinenza -olo, ad es. metanolo.
Le molecole alcoliche possono reagire fra loro per condensazione dei gruppi ossidrile e
formazione dei cosiddetti legami "eterei". Mettendo una molecola organica con il gruppo
ossidrilico, conferisco alla molecola le caratteristiche fisiche dell’acqua. Queste molecole
non hanno reazioni acide o basiche nell’acqua, non sono reattive. Non hanno quindi la
capacità di ionizzarsi in acqua e non modificano il pH.
● -C=O ⇒ il gruppo carbonilico. Un atomo di ossigeno è legato con un doppio legame
(condivisione di due orbitali) con il carbonio. È anch’esso polare per l’elettronegatività
dell’O. Si può trovare o all’estremità della molecola (aldeide⇒ aldeide formica, la polarità è
limitata nel punto in cui è presente l’ossigeno), o dentro una catena (chetone ⇒ acetone).
● -COOH ⇒ gruppo carbossilico. Costituito da un gruppo carbonilico e uno ossidrilico.
Nel carbossile ambedue gli atomi di ossigeno, uno dei quali è portatore di un atomo di
idrogeno, sono legati allo stesso atomo di carbonio.
A causa della loro vicinanza, i due ossigeni di questo gruppo funzionale cooperano tra loro
nell'attrarre l'elettrone dell'atomo di idrogeno. La conseguenza di tale fenomeno è che
quando il carbossile si trova in ambiente acquoso, le molecole dell'acqua riescono
facilmente a sottrarre H+ al carbossile stesso, con la conseguente formazione di uno ione
idronio (H3O) e di uno ione carbossilico (-COO- ).
È presente negli acidi organici ed è fortemente polare e ionizzato in acqua secondo la
reazione: −COOH + H2O ⇔ −COO- + H3O+ Il carbossile è quindi un gruppo funzionale
donatore di idrogenioni, cioè acido, che conferisce proprietà acide alle molecole che lo
contengono. L’acido organico nella sua espressione grafica della ionizzazione è
caratterizzato da una doppia freccia (reazione reversibile). Rispetto ad un acido inorganico,
un acido organico non è così forte, ma è debole. La sua capacità di ionizzarsi dipende dal
pH dell’acqua in cui viene sciolto. Nella stessa soluzione esistono sia la forma ionizzata che
quella non ionizzata, per aumentare la concentrazione della parte ionizzata si può rendere la
soluzione più basica. In un ambiente basico, l’acido organico debole riuscirà a ionizzarsi
completamente.

Gruppo funzionale contenente azoto:


● -NH2 ⇒ gruppo amminico.
Il gruppo amminico è basico, cioè tende a catturare idrogenioni dall'ambiente acquoso
circostante, in tal modo tramutandosi in ioni con carica positiva. È una base debole poiché
presente in una molecola organica. È presente nelle ammine, basi organiche, è fortemente
polare, come l’ammoniaca, e si ionizza in acqua secondo la reazione: −R−NH2 + H2O ⇔
−R−NH3 + + OHIn conseguenza della sua ionizzazione, il gruppo amminico causa un
aumento della concentrazione degli ossidrilioni rispetto a quella degli idrogenioni, cioè
basifica l'ambiente acquoso in cui esso si trova.

Gruppo funzionale contenente fosforo:


● −R−(HPO4 ) -2⇒ gruppo fosfato. Si tratta di un acido forte. È presente in molte
molecole biologiche, quali nucleotidi, acidi nucleici, fosfoproteine, fosfolipidi. È fortemente
polare e doppiamente ionizzato in acqua. La sintesi di composti contenenti uno o più fosfati
legati tra loro è un processo che richiede una grande spesa energetica. Per tale ragione i
legami fosfato-fosfato, detti legami "anidride", permettono la formazione di molecole aventi
un alto contenuto energetico. Tali molecole, i nucleotidi trifosfato (ATP), possono fungere
da veri e propri depositi di energia chimica, da liberarsi in caso di necessità mediante il
successivo taglio dei suddetti legami fosfato-fosfato. Il gruppo fosfato si trova anche legato
ad una grande varietà di altri composti biologici, quali zuccheri, nucleotidi, fosfoproteine,
fosfolipidi, ecc. ed è un componente strutturale degli acidi nucleici. Inoltre la regolazione
del funzionamento di molte proteine è attuata dalla cellula mediante processi di
fosforilazione (attacco di uno o più gruppi fosfato) e di defosforilazione (distacco dei gruppi
fosfato). In conclusione, il gruppo fosfato svolge molteplici compiti biologici di massima
importanza, riconducibili alla capacità che questo gruppo ha di formare legami chimici ad
alto contenuto energetico.

Altri gruppi funzionali: ● -CH3⇒ gruppo metilico. Il gruppo metilico è apolare e può
essere legato ad altre molecole biologiche tramite l’attività di enzimi metilasi e separato
dalle molecole attraverso l’azione di enzimi demetilasi. Il gruppo metilico oltre ad essere
utile per costituire catene idrocarburiche, puo essere associato a basi azotate del DNA, in
particolare della citosina. La citosina può trovarsi nel DNA in forma non modificata, o
metilata. La metilazione del DNA attiva dei geni⇒ alcuni geni vengono metilati e non
funzionano più⇒ costituisce un importante meccanismo epigenetico (l’epigenetica studia
come reazioni chimiche modificano l’espressione del gene, queste modifiche sono dovute
all’interazione con l’ambiente)

Le piccole molecole biologiche:


● Le piccole molecole organiche con un ruolo nella vita sono chiamate molecole
biologiche. Grazie alla presenza dei gruppi funzionali, esse possono reagire fra loro
secondo reazioni semplici ma di grande importanza.
● Le piccole molecole biologiche hanno la capacità di costruire degli aggregati (i
polimeri) tenuti insieme da legami covalenti che assicurano una grande stabilità.
Nelle macromolecole formate o polimeri, le piccole molecole costituenti sono
chiamate monomeri.
● I polimeri non sono costituiti da un atomo per volta, ma sono costituiti a partire dalle
piccole molecole biologiche che sono già formate e a disposizione delle cellule.
Questo assemblaggio sequenziale permette di sintetizzare le macromolecole in
tempi molto brevi. Es: Il nostro DNA, costituito da 4 miliardi e 300 milioni di nucleotidi,
viene completamente replicato in meno di mezz’ora.
● Il disassemblaggio delle macromolecole permette invece di riottenere i monomeri in
forma libera.

Classificazione delle piccole molecole biologiche e la loro funzione:


Glucidi, lipidi, proteine e acidi nucleici sono le quattro classi di molecole biologicamente
importanti, con ruoli fondamentali nella costituzione della materia vivente e in tutte le sue
funzioni.
● monosaccaridi: zuccheri/glucidi⇒ metabolismo energetico (es: glucosio) di tutte le
cellule viventi, ma anche funzione di sostegno (es: cellulosa nei vegetali).
● amminoacidi: proteine⇒ molecole chiave di tutte le funzioni biologiche: danno
struttura, controllano le reazioni chimiche (attività enzimatica) e funzioni ormonali.
● basi azotate: acidi nucleici ⇒ depositari dell’informazione genetica (DNA e RNA) e
importanti per l’utilizzazione dell’energia perché sono in grado di organizzare gli
spostamenti di gruppi fosfato che forniscono energia (ATP).
● acidi grassi e piccole molecole alcoliche: lipidi ⇒ conservazione dell’energia
(trigliceridi nel tessuto adiposo), costruiscono le membrane cellulari (doppia
membrana lipidica) e hanno funzioni ormonali (colesterolo).

Gli zuccheri o carboidrati:


● i monosaccaridi sono i gruppi semplici dei carboidrati o zuccheri, la cui formula bruta
può essere in generale indicata come (CH2O)3-7
. Infatti i monosaccaridi non hanno un
numero illimitato di atomi di carbonio, ma esso va da 3 a 7.
● Essi sono sempre degli alcoli polivalenti (cioè molecole portatrici di più ossidrili -OH,
gruppo alcolico) con 1 gruppo aldeidico (i cosiddetti aldosi) o chetonico (i cosiddetti
chetosi), in base alla posizione del gruppo carbonilico che può essere
rispettivamente o terminale o centrale nella molecola.
● I monosaccaridi sono classificati a seconda del numero dei loro atomi di C in triosi (3
atomi di C), tetrosi (4 atomi di C), pentosi (5 atomi di C), esosi (6 atomi di C) ed
eptosi (7 atomi di c).
● Essi assumono denominazioni varie, di norma caratterizzate dalla desinenza "oso" o
"osio".
● Importanti esempi di zuccheri sono l'esoso glucosio, lo zucchero prodotto dagli
organismi fotosintetici e alla base del metabolismo energetico di tutti gli organismi,
nonché i pentosi ribosio e 2-desossiribosio, precursori rispettivamente dell’RNA e del
DNA.
● il glucosio è il principale composto che permette alle nostre cellule di produrre
energia chimica sotto forma di ATP. L’ossidazione delle molecole del glucosio
avviene prima nella glicolisi e poi nella respirazione cellulare nei mitocondri.

L’isomeria ottica:
L’isomeria è una condizione che riguarda molecole che hanno una disposizione atomica
diversa, ma hanno la stessa struttura chimica.
Gli aldosi sono quei monosaccaridi che hanno il gruppo aldeidico terminale, questo genera
due possibili molecole: una detta destrogiro, l’altra levogiro. Ciò dà luogo a due molecole
apparentemente uguali, ma diverse. Un enzima che riconosce una forma D, non riconosce
una forma L.
Con l'aumentare delle dimensioni dello zucchero aumenta anche il numero degli atomi di
carbonio asimmetrici e pertanto aumenta anche il numero dei possibili stereoisomeri della
molecola. Tuttavia, per tutti gli aldosi, le forme D- ed L- sono sempre dovute alla
asimmetria, o chiralità (da “mano”), dell'atomo di C n° 2.

Il legame glicosidico e i disaccaridi:


A causa dell'importanza del glucosio come molecola ad alto contenuto energetico, tutti gli
organismi hanno sviluppato dei meccanismi di trasporto e di accumulo di questo zucchero.
Nei mammiferi il glucosio è trasportato dal sangue nei vari distretti dell'organismo come
monosaccaride, ed è accumulato soprattutto nelle cellule del fegato, dei muscoli, del rene e
del tessuto adiposo, sotto forma di un polimero detto glicogeno.

I polisaccaridi:
L'accumulo stabile del glucosio in eccesso è in genere ottenuto, sia nelle piante che negli
animali, mediante la polimerizzazione di unità monosaccaridiche o disaccaridiche, dando
origine a lunghe molecole polimeriche dette polisaccaridi.
I vari polisaccaridi differiscono tra loro non solamente per i tipi di zuccheri e di legami
glicosidici che contengono, ma anche per l'eventuale presenza di ramificazioni laterali delle
molecole. A causa delle loro cospicue dimensioni, i polisaccaridi spesso perdono la
caratteristica della solubilità tipica degli zuccheri e possono costituire aggregati
intracellulari
di dimensioni anche molto grandi. I polisaccaridi svolgono una grande varietà di funzioni
biologiche, essenzialmente riconducibili alle due grandi categorie dei polisaccaridi di riserva
e dei polisaccaridi di struttura. Le due categorie di polisaccaridi differiscono non solo nelle
loro funzioni biologiche, ma anche per quanto riguarda i legami glicosidici che li
costituiscono, tipicamente di tipo α nei polisaccaridi di riserva e di tipo β in quelli di
struttura.
I polisaccaridi di riserva:
I polisaccaridi di riserva sono forme più o meno temporanee di deposito insolubile delle
molecole di glucosio, che l'organismo via via accumula ogni qual volta ne abbia un eccesso
di disponibilità nel sangue.

I polisaccaridi di struttura:
Le funzioni dei polisaccaridi di struttura sono molto varie e tra esse la più frequente è quella
di costituire strutture rigide per il sostegno dell'intero organismo.

Gli oligosaccaridi:
Gli oligosaccaridi sono formati da poche unità monosaccaridiche unite fra loro con legami
glicosidici di vario tipo in catene a volte ramificate. Gli oligosaccaridi sono importanti
componenti della membrana plasmatica delle cellule e della matrice intercellulare degli
organismi pluricellulari. Gli oligosaccaridi possono essere legati a molecole proteiche e
lipidiche, dette rispettivamente glicoproteine e glicolipidi Formano il glicocalice, strato
esterno di zuccheri che permette alle cellule di legare acqua tramite legami idrogeno: gli
zuccheri sono fortemente idrofili. Questo avviene per esempio nelle cellule intestinali, dove
il glicocalice protegge le cellule da attacchi acidi o basici e da insulti che provengono
dall’ambiente esterno.

I pentosi:
Sono molecole costituite da 5 atomi di carbonio. I più importanti tra i pentosi sono il ribosio
e il 2-desossiribosio, costituenti rispettivamente dell RNA e DNA. Il ribosio è lo zucchero
che forma l'RNA, per formare il DNA bisogna togliere un ossigeno che crea il 2-
desossiribosio (il due si riferisce all’assenza di ossigeno al 2C). Come il glucosio e altri
monosaccaridi, il ribosio ciclizza in soluzione acquosa ed è presente negli acidi nucleici
nella sua forma ad anello. Nel caso del ribosio e desossiribosio in soluzione è presente a
fianco al numero dell’atomo di carbonio un apostrofo (che si legge primo)⇒ Questo perché
quando si legano alle basi azotate, la convenzione ha stabilito che la base azotata prende il
numero semplice, mentre gli atomi di carbonio dello zucchero prendono la numerazione
insieme all’apostrofo accanto

I lipidi e le strutture della membrana:


Lipidi e proteine sono macromolecole interconnesse per quanto riguarda la membrana. Le
proteine responsabili dei fenomeni elettrici e dei recettori di membrana.

I lipidi:
I lipidi sono molecole molto eterogenee nella struttura chimica e nelle funzioni e hanno in
comune tra loro solamente un carattere di spiccata idrofobia dell'intera molecola o di gran
parte di essa. I lipidi infatti sono molecole con estese regioni idrocarburiche (elevato
numerodi legami C-O) e perciò fortemente apolari e in generale non miscibili in acqua. Per
questomotivo sono anche detti “grassi”.
i lipidi non sono solubili in acqua e sono invece molto solubili nei cosiddetti solventi
organic.
Di conseguenza le molecole lipidiche tendono ad essere repulse dall'ambiente
acquoso e ad aggregarsi tra loro, costituendo degli ambienti idrofobi dai quali l'acqua è
esclusa. Nella cellula, gli ambienti lipidici costituiscono dei compartimenti nei quali le
molecole idrofobe vengono segregate in maniera preferenziale.
In particolare, di grande interesse biologico è l'ambiente della interfaccia tra un
compartimento lipidico e il contiguo ambiente acquoso. Questo ambiente, che nella cellula
corrisponde alle superfici delle membrane, ospita molecole molto particolari, le molecole
anfipatiche ,caratterizzate dalla contemporanea presenza di regioni idrofile e regioni
idrofobe.
A causa della loro grande eterogeneità chimica, i lipidi sono di norma classificati sulla base
non solamente della struttura chimica, ma anche delle funzioni biologiche. Dei vari gruppi
dilipidi, noi considereremo solamente i tre più abbondanti:
● i trigliceridi, grassi deputati all'accumulo stabile dell'energia chimica dell'organismo;
● i fosfogliceridi, costituenti di base delle membrane cellulari;
● il colesterolo, anch'esso componente delle membrane cellulari e precursore degli
steroidi, sostanze che svolgono importanti funzioni ormonali.
Il destino dei lipidi è quello di essere ossidati nei mitocondri come il glucosio. Quando si
smonta una molecola come il trigliceride, le molecole idrocarburiche sono smontate due alla
volta (un gruppo acetilico alla volta). Essi sono anche costituiti sommando due C per volta.

I trigliceridi:
Una importante classe di lipidi, con funzione di riserva di energia, è quella dei grassi neutri,
che comprendono monogliceridi, digliceridi e trigliceridi. Queste molecole, con particolare
riferimento ai trigliceridi, sono le principali forme di riserva energetica animale e vegetale.
Una prima modalità di deposito stabile dell'energia chimica dell'organismo è quella della
polimerizzazione del glucosio in amido (nelle piante e nei funghi) o in glicogeno (negli
animali). Una seconda e ancora più stabile modalità di accumulo dell'energia chimica è
invece rappresentata dal deposito di trigliceridi, lipidi fortemente idrofobi, che nel loro
insieme formano il cosiddetto grasso di accumulo.
Nel nostro organismo, queste sostanze svolgono una funzione di deposito di energia
chimica con una efficienza pari a più del doppio di quella dei polisaccaridi di riserva.
D'altro canto, l'energia chimica dei polisaccaridi è ottenibile con grande rapidità e in gran
parte anche in condizioni di anaerobiosi (scarsità o assenza di ossigeno). Nel caso dei
trigliceridi, invece, è richiesto lo svolgimento di numerose reazioni chimiche in condizioni
di aerobiosi (disponibilità di ossigeno).
Quindi negli organismi superiori i polisaccaridi
costituiscono la riserva energetica di pronto intervento, mentre i trigliceridi costituiscono
una riserva energetica molto efficiente e a lungo termine, utilizzabile però solo in modo
lento e in condizioni di aerobiosi.

Il trigliceride è la forma più complessa di un grasso neutro. Neutro vuol dire che la molecola
di questi lipidi è completamente priva di cariche.
In un monogliceride, una molecola di acido grasso è legata, o esterificata, al glicerolo, un
alcol a 3 atomi di carbonio ciascuno dei quali legato a un gruppo ossidrilico. In un
digliceride e in un trigliceride, 2 o 3 molecole di acido grasso sono esterificate al glicerolo.
In monogliceride il suffisso -eride vuol dire che è un estere, mono- che è costituito da un
solo acido grasso.
Nella formazione di una molecola di trigliceride, ciascuno dei 3 ossidrili alcolici del
glicerolo reagisce chimicamente con il carbossile di un acido grasso, con conseguente
eliminazione di una molecola di acqua. In tale reazione di esterificazione, i gruppi idrofili
del glicerolo e degli acidi grassi, rispettivamente -OH e -COOH, vengono persi e il
trigliceride risultante è tipicamente privo di regioni di idrofilia.
Il trigliceride è una molecola altamente idrofoba e apolare. Essendo quindi repulsi
dall’ambiente acquoso, quando le cellule adipose accumulano i trigliceridi, essi formano
delle goccioline di grasso in ogni cellula. In una cellula adiposa quindi c’è quasi solo grasso
e poca acqua nel citoplasma.

Gli acidi grassi e insaturi:

Il grado di saturazione (presenza o assenza di doppi legami) degli acidi grassi costituenti un
dato trigliceride influenza notevolmente la densità e il punto di fusione del trigliceride
stesso.

Gli acidi grassi saturi sono molecole lineari con piccolo ingombro spaziale.
Il C degli acidi grassi saturi crea il massimo di legami (due con H e due con C).
Gli acidi grassi insaturi possiedono un angolo fisso di 120 gradi, in corrispondenza del
doppio legame C=C non rotazionale e sono più ingombranti.
Mentre i grassi saturi possono distendersi e andare a contatto con le molecole a fianco,
quelli insaturi hanno un angolo fisso per cui hanno un ingombro maggiore di quelli insaturi.

I fosfogliceridi:

Un’altra importante classe di lipidi è quella dei fosfogliceridi, i costituenti delle membrane
di tutte le cellule.

I fosfogliceridi sono molecole costituite da un glicerolo esterificato da 2 sole catene di acido


grasso. Il terzo ossidrile del glicerolo va invece a legarsi a un gruppo fosfato (carico
negativamente), che in genere è a sua volta legato ad un'altra molecola di piccole
dimensioni (es: ammina).
I vari fosfogliceridi sono denominati a seconda di tale piccola
molecola che è polare e in genere provvista di carica positiva e/o negativa.
Le due code idrocarburiche, rappresentate dalle due catene di acido grasso, del
fosfogliceride sono idrofobe e tendono a disporsi parallelamente fra loro, sfuggendo
dall’ambiente acquoso.
La testa, costituita dall'acido fosforico e dalla piccola molecola polare ad esso legata, è
invece idrofila ed è fortemente solubile in acqua con la quale può creare legami deboli.
Il fosfogliceride è perciò una molecola anfipatica. Quando queste molecole anfipatiche sono
a contatto con un ambiente acquoso, esse tendono ad alloggiare la loro testa idrofila
nell'ambiente acquoso e ad allontanare da esso le code idrofobe. Ciò porta alla formazione
spontanea di aggregati molecolari lipidici.
Un f. non è altro che un esoscheletro di acido grasso: un acido grasso amplificato sia da un
punto di vista polare che da un punto di vista apolare⇒ da stabilità alle strutture
membranose
I doppi strati lipidici:
Se immersi in acqua, i fosfogliceridi tendono a formare doppi strati molecolari consistenti in
insiemi di molecole lipidiche fittamente affiancate le une alle altre. Nel doppio strato
molecolare, le molecole lipidiche si orientano perpendicolarmente alle due superfici del
doppio strato, rivolgendo le teste idrofile verso l'acqua e le code idrofobe verso le code dello
strato molecolare opposto.
I doppi strati molecolari lipidici rappresentano la struttura di base di tutte le membrane
cellulari
Le code sono parallele tra di loro poiché interagiscono tramite le forze di van der waals che
tengono vicini tra di loro i singoli fosfogliceridi, le teste polari invece rivolte verso
l’ambiente acquoso della cellula e l’ambiente acquoso extracellulare interagiscono tramite
interazioni elettrostatiche.
I doppi strati molecolari tendono ad allontanare i loro bordi idrofobi dall’acqua, dando
origine a vescicole anche di grandi dimensioni, il cui ambiente interno costituisce un
comportamento del tutto separato da quello esterno, consiste in una sorta di piccola versione
della cellula.

La membrana si forma spontaneamente. Tra i due strati di teste polari vi è uno strato
intermedio che è apolare e funge da isolante tra interno ed esterno. La membrana è quindi
impermeabile alle molecole polari e agli ioni.
L'impermeabilità dei doppi strati molecolari
lipidici è alla base della formazione del cosiddetto
potenziale di membrana e fa sì che il
passaggio di molecole polari attraverso la membrana sia
reso possibile soltanto dalla
presenza di sistemi di trasporto di natura proteica,
disposti nello spessore della membrana
stessa;

I singoli fosfogliceridi non sono legati covalentemente


tra di loro, ma sono mobili, possono
roteare su se stessi e spostarsi lateralmente (diffusione
laterale), ma se un fosfogliceride
appartiene ad uno strato, rimarrà in quello strato per via
della polarità della testa; per far si
che si trasferisca ci si serve di enzimi per permettere
questo movimento, detto flip-flop: gli
enzimi flippasi.
Fluidità della membrana:

Il grado di fluidità di un doppio strato molecolare lipidico riflette l'entità e il tipo dei
movimenti cui le singole molecole lipidiche del doppio strato possono andare incontro a un
dato valore di temperatura.
La fluidità della membrana dipende in parte dalla composizione in acidi grassi saturi o
insaturi dei fosfogliceridi.
Maggiore la quantità di quelli insaturi, maggiore è l'ingombro dei fosfogliceridi che non
possono ammassarsi strettamente e quindi la membrana è meno densa e più fluida.
I fosfogliceridi con acidi grassi saturi hanno di conseguenza un numero più alto di
interazioni di van der waals che permette a questi di ammassarsi strettamente e quindi la
membrana è più densa.

La fluidità della membrana dipende anche dalla presenza del colesterolo, che è un
costituente fondamentale delle nostre membrane.

Come indica la desinenza in -olo, il


colesterolo è un alcol. Esso infatti
contiene un gruppo
ossidrile, che costituisce l'unica regione
idrofila dell'intera molecola.
Poiché il resto della molecola è invece
idrofobo, anche il colesterolo è un lipide
anfipatico, in quanto tale, e avendo una
lunghezza praticamente uguale a quella
di un fosfogliceride, entra a far parte del
doppio strato molecolare lipidico delle
membrane cellulari, immergendosi nella regione idrofoba delle code con la gran parte della
sua molecola e sporgendo con l'ossidrile alcolico su una faccia idrofila della membrana.

Questa molecola svolge due tipi di compiti molto diversi tra loro e ambedue aventi una
grande importanza biologica. Infatti il colesterolo:
1) è un importante costituente delle membrane cellulari, ove è presente in quantità spesso
pari a quella dei fosfogliceridi;
2) è il precursore di una serie di molecole ormonali che svolgono una grande varietà di
compiti, tra cui le funzioni riproduttive dell'organismo.

Se ci sono f. con acidi grassi insaturi nelle vicinanze che rendono meno densa la membrana,
il colesterolo va ad occupare gli spazi liberi aumentando il numero delle forze di van der
Waals e rendendo quindi le membrane più solide e più rigide e diminuendone la fluidità.
Essendo un costituente costante di tutte le membrane delle nostre cellule, il colesterolo è
necessario al nostro organismo. L'organo che nel nostro corpo ne regola la produzione e la
distribuzione nel sangue è il fegato.
Permeabilità selettiva della membrana:

Grazie al velo idrofobo, la membrana si comporta in maniera differenziale rispetto alle


molecole che si trovano dall’altra parte di essa che sono spinte ad attraversarla. Questo
attraversamento può avvenire spontaneamente, più difficilmente o proprio non avvenire.
I parametri per attraversare la membrana sono:

● la grandezza delle molecole; più la membrana è rigida e più è difficile attraversare il


doppio strato, ma in condizioni normali c’è spazio per passare, quindi le piccole mol.
sono avvantaggiate rispetto a quelle grandi poiché possono passare senza spostare
nulla⇒ piccole molecole polari prive di carica (H2O) sfuggono alle forze di van der
waals e riescono ad attraversare il doppio strato nonostante la loro polarità.
● la carica elettrica delle molecole

Monosaccaridi e disaccaridi, come glucosio e saccarosio, non attraversano la membrana in


quanto sono mol. polari e sono grosse.
Gli ioni sia atomici che molecolari, pur essendo di piccole dimensioni, non attraversano la
membrana poiché sono carichi

Spontaneamente la membrana si lascia attraversare da molecole che hanno le stesse


caratteristiche fisiche del suo velo idrofobo.
Tendono quindi a passare molecole idrofobe⇒O2 (trasportato dall’emoglobina) e CO2.
I gas attraversano spontaneamente la membrana di tutte le nostre cellule, quindi le nostre
cellule non fanno fatica ad ottenere ossigeno e rilasciare anidride carbonica.

Le proteine:
Sono il gruppo chiave di macromolecole biologiche. Struttura e processi vitali di un
organismo dipendono sempre dalla presenza e/o dall’attività di proteine.
A seconda delle loro funzioni, le proteine vengono raggruppate in categorie, quali, ad
esempio, le proteine strutturali (proteine che formano le impalcature del citoscheletro
oppure che si trovano associate all'RNA nei ribosomi o al DNA nella cromatina); gli enzimi
(proteine che svolgono un ruolo di catalizzatore di specifiche reazioni chimiche); di
membrana (proteine componenti della membrana plasmatica); i fattori di trascrizione
(proteine che regolano il processo della espressione genica), ecc…
Sono una classe di molecole fra loro diverse per forma e grandezza ma con struttura simile
perché formate dall'unione lineare di amminoacidi.
Hanno tante funzioni diverse e questa capacità risiede nelle molecole che le costituiscono:
gli amminoacidi, che hanno una varietà di gruppi funzionali. La varietà dei gruppi
funzionali è ciò che permette alla proteine di interagire con diverse molecole.
A partire da solo 20 amminoacidi diversi (tanti però rispetto ai costituenti dei trigliceridi o
alle molecole di polisaccaridi) si costituiscono un numero di prodotti macromolecolari
virtualmente illimitati.
Gli amminoacidi:
Gli amminoacidi sono molecole biologiche che possiedono un gruppo amminico (basico),
un gruppo carbossilico (acido), che fungono da punti di polimerizzazione. Questi due gruppi
funzionali sono ambedue legati allo stesso atomo di carbonio e pertanto sono posizionati
l'uno rispetto all'altro alla distanza di 1 solo atomo di C, per convenzione indicato con la
lettera greca α.
C’è un C centrale, C α, legato al C abbiamo, oltre al gruppo amminico e un gruppo
carbossilico, un atomo di H e un gruppo laterale R (residuo). Si tratta di un C chirale poiché
legato a 4 diverse molecole.
Gli amminoacidi possono ionizzarsi in acqua sia nel gruppo amminico, che si ionizza
positivamente, sia in quello carbossilico che si ionizza negativamente, la molecola mantiene
però un carica complessiva neutra. Data la contemporanea presenza di un carbossile e di
un gruppo amminico, gli amminoacidi sono molecole anfotere, cioè capaci di comportarsi
sia come acidi che come basi.
Il C α è quello adiacente al gruppo carbossilico, al quale si fa riferimento per dare i nomi.
Quando al C α è legato un gruppo amminico, avremo un amminoacido α-
In tutti gli organismi viventi, gli amminoacidi che costituiscono le proteine sono sempre
levogiri.

Il legame peptidico:
Il gruppo amminico (considerato la testa) di un amminoacido può reagire con quello
carbossilico (considerato la coda) di un altro amminoacido, formando il legame peptidico,
con la rimozione di una molecola di acqua. Il legame coinvolge un C del gruppo
carbossilico e un N del gruppo amminico.
Il legame è fortissimo, pur essendo singolo, poiché legame tra C e N non è rotazionale,
poiché il C è legato con un doppio legame all’O.
Il legame peptidico in chimica organica prende un altro nome: legame ammidico.
Per via di questo legame molto stabile, digerire proteine richiede un lavoro supplementare
da parte del nostro organismo. Le proteine non sono attaccate dalla saliva, non vi sono gli
enzimi proteasi. Nello stomaco l’ambiente acido attacca i legami peptidici, ma non tutti.
Altre protelasi scindono completamente gli amminoacidi.
In genere le proteine sono fattori molecolari molto stabili, ma quando serve possono essere
degradati in maniera rapida.

Formazione di una catena polipeptidica:


Quando prendiamo due amminoacidi creiamo una associazione detta dipeptide:
● ha un gruppo amminico terminale
● un gruppo carbossilico terminale
● in mezzo vi è un'unione dei due gruppi
Quando due amminoacidi si uniscono mediante un legame peptidico, ne risulta un polimero
di-amminoacidico, detto dipeptide. È interessante notare che anche il dipeptide avrà alle sue
due estremità un -NH, e un -COOH. Questo -COOH può a sua volta unirsi al gruppo -NH di
un terzo amminoacido, con la formazione di un secondo legame peptidico. La molecola che
si è adesso formata è un tripeptide. Con lo stesso meccanismo, il tripeptide può dare poi
origine a un tetrapeptide, e successivamente a un pentapeptide, a un esapeptide e così via,
sino alla formazione di un polipeptide o catena polipeptidica, che, indipendentemente dal
numero degli amminoacidi che la costituiscono, sarà sempre comunque provvista alle sue
due estremità di un gruppo -NH, e di un gruppo -COOH.
Molti amminoacidi possono legarsi con modalità testa-coda formando una catena
polipeptidica. Poiché i gruppi reattivi di ogni amminoacido sono due (carbossilico e
amminico), la catena risultante sarà lineare e priva di ramificazioni. Tutte le proteine sono
fatte da catene polipeptidiche e sono lineari.
Posso aggiungere sempre con la stessa modalità testa-coda un’aminacido per volta e
otterrò una catena polipeptidica, un termine generico che posso usare per qualsiasi
associazione di amminoacidi. La proteina invece è identificata con un proprio nome e una
propria funzione.
Costruita la catena polipeptidica, si ha sempre all’estremità il gruppo amminico e
all’estremità opposta quello carbossilico, e sono detti estremità amminoterminale, o gruppo
amminico libero, poiché non si lega, ed estremità carbossiterminale.
Una catena polipeptidica è sostanzialmente un enorme amminoacido perché da una parte
c'è un gruppo amminico e un gruppo carbossilico e in mezzo c’è il totale dei gruppi laterali
tenuti insieme dallo scheletro peptidico. Lo scheletro peptidico amminoacido dopo
amminoacido è sempre uguale e consiste nel susseguirsi sempre degli stessi atomi
(-N-C-C-N-C-C-N-C-C- ecc…). Tutte le proteine hanno lo stesso scheletro peptidico.
Quello che cambia in ogni proteina è la sequenza dei gruppi laterali R dei singoli
amminoacidi, che sporgono più o meno nell'ambiente esterno a seconda delle loro
dimensioni, facendo sì che la catena polipeptidica nei suoi vari punti assuma le loro
proprietà fisico-chimiche.

Proteine diverse hanno sequenze e numeri diversi di amminoacidi. La struttura primaria


dipende strettamente dalla sequenza nucleotidica del gene codificante. Geni diversi
codificano proteine con struttura primaria diversa. L'importanza della struttura primaria
delle proteine è testimoniata dal fatto che sono proprio le informazioni genetiche relative
alle strutture primarie di tutte le catene polipeptidiche dell'organismo a costituire nel loro
insieme il patrimonio genetico dell'organismo stesso.

Struttura primaria della proteina lisozima:


Il lisozima è una glicosidasi, un enzima che taglia il legame glicosidico presente fra
monosaccaridi della parete cellulare di alcuni tipi di batteri, causandone la morte.

Struttura secondaria:
La struttura secondaria si forma a partire da quella primaria tramite leg.
idrogeno tra gli atomi di H legati agli N (del gruppo imminico) dei legami
peptidici e gli atomi atomi di O legati ai C (del gruppo carbonilico) di
altri legami peptidici della catena stessa. Gli avvolgimenti di una catena
polipeptidica mediati dalla formazione di legami idrogeno a livello dello
scheletro della molecola sono detti strutture secondarie delle proteine.
Secondo esempio di struttura secondaria:
Talvolta i legami idrogeno si formano tra tratti diversi della
stessa catena polipeptidica posizionati l'uno accanto e legati tra
di loro attraverso leg. idrogeno trasversali.
In questo caso la struttura secondaria assume una
conformazione piana, che Pauling e Core denominarono
foglietto β. Nel foglietto β (spesso anche detto struttura β-
planare) i gruppi R dei vari amminoacidi sporgono in modo
alterno sulle due facce del foglietto stesso, conferendo ad esse
caratteristiche di idrofilia e/o idrofobia, a seconda delle
caratteristiche dei gruppi R.

Struttura terziaria:
La struttura terziaria di una proteina consiste nell'insieme degli avvolgimenti della catena
polipeptidica stabilizzati dalla formazione di legami tra i gruppi R.
Questi legami sono il più
delle volte di tipo debole, come ad esempio idegami idrogeno o le interazioni elettrostatiche
tra gruppi R con polarità opposta, nonché le interazioni di Van der Waals tra gruppi R
idrofobi. In altri casi i legami tra i gruppi R possono essere covalenti, e quindi essere molto
forti e stabili, come si ha quando i residui di due cisteine si uniscono tra loro formando un
ponte disolfuro (questo avviene in un ambiente ossidante, che permette ai gruppi SH di
liberarsi degli H, permettendo di creare un legame S-S).
Pertanto la struttura terziaria comprende una grande ed eterogenea varietà di legami
chimici, unificati solamente dal fatto che si stabiliscono a livello dei residui amminoacidici.
Gli avvolgimenti della catena polipeptidica di tipo terziario cooperano con quelli di tipo
secondario, facendo sì che la catena polipeptidica acquisisca la sua definitiva configurazione
tridimensionale, da cui discende l'attività biologica della proteina.
Quindi ogni proteina del nostro organismo è caratterizzata da una propria struttura primaria,
consistente in una determinata sequenza amminoacidica. Questa struttura determina
l'insieme degli avvolgimenti di tipo secondario e terziario cui la catena polipeptidica va
incontro dopo la sua sintesi, sotto la spinta dell'agitazione termica e delle interazioni con le
molecole del solvente con cui la proteina viene a contatto durante la sua formazione.

Struttura quaternaria:
Alcune proteine presentano un ulteriore livello di complessità strutturale, detto struttura
quaternaria.
La struttura quaternaria è tipica delle proteine multimeriche, cioè di quelle costituite da più
subunità, che possono essere tra loro uguali o diverse. Queste si associano tra loro
successivamente alla sintesi e dopo avere acquisito le appropriate strutture secondaria e
terziaria. L'unione tra le diverse subunità di una proteina è resa possibile dalla formazione di
legami deboli tra di esse.
Proteine di membrana:
Le proteine di membrana sono fondamentali per non rendere la membrana passiva e
controllano il movimento delle molecole.
Possono essere classificate in due tipologie: intrinseche o integrali ed estrinseche o
periferiche. Quelle integrali sono completamente incastonate nello spessore della
membrana (es: canale che sporge nei due ambienti acquosi), e quindi quando in laboratorio
cerco di separare le componenti lipidiche da quelle proteiche, queste proteine non si
staccano dalla componente lipidica. Le proteine periferiche invece, quando separate in
laboratorio, finiscono insieme alla proteine citoplasmatiche; svolgono infatti la loro azione a
ridosso della membrana, perché interagiscono con proteine integrali di membrana.
Una proteina integrale di membrana, come un recettore, affinché riesca a portare
l’informazione nella cellula, interagisce con una proteina periferica di membrana nel
versante citoplasmatico che la attiva e si stacca dal recettore; torna poi a legarsi con il
recettore in attesa di un nuovo segnale.

Denaturazione delle proteine:


Le proteine possono essere denaturate rompendo i legami deboli che tengono insieme le
proteine.
La digestione è lo smembramento delle proteine, attraverso la distruzione dei legami
peptidici e quindi la rottura di una proteina in struttura primaria.
La denaturazione è la rottura dei legami deboli, gli agenti denaturanti possono essere:

1. calore, basta un aumento della temperatura e alcune proteine vengono denaturate,


perdendo la loro struttura secondaria e quasi tutta quella terziaria (rimane il ponte
disolfuro⇒ per romperlo in laboratorio si devono fornire atomi di idrogeno per
riformare il gruppo sulfidrilico)
2. pH estremi
3. solventi organici
4. soluti
5. detergenti

Gli acidi nucleici:


Gli acidi nucleici comprendono le molecole più grandi presenti nelle nostre cellule. Portano
le informazioni genetiche che rendono disponibili a tutte le cellule per la sintesi proteica e le
trasmettono ai discendenti.
Gli acidi nucleici sono polimeri lineari di nucleotidi, quindi a partire dai nucleotidi
(monomeri, piccole mol. biologiche) si costruiscono gli acidi nucleici.
I nucleotidi sono costituiti:
● da dei zuccheri pentosi (ribosio e 2-desossiribosio)
● una base azotata legata al C n 1 che può essere di due tipi: derivata dalla purina,
ovvero le basi puriniche: adenina e guanina, e due derivate da un’altra base
organica, la pirimidina, ovvero le basi pirimidiniche: in comune tra RNA e DNA la
citosina e in alternativa la timina nel DNA e l’uracile nel RNA. Le basi costituiscono la
parte variabile di ogni nucleotide.
● il gruppo fosfato legato al C n 5
Per trasformare la uracile in timina bisogna aggiungere un gruppo metilico, si può infatti
anche chiamare metiluracile.
La base naturale è l’uracile, la timina è un uracile modificato quando si è costituito il DNA.
Il ribosio è lo zucchero naturale rispetto al desossiribosio.
Questo ci fa pensare che l’RNA
sia il primo acido nucleico formatosi sulla terra, mentre il DNA sia un derivato: tolto un O
dall’RNA, si è formato il DNA con la formazione della doppia elica, un interno più ricco di
atomi e meno perforabile dalle mol. d’acqua: questo rende il DNA inaccessibile ⇒ mol. più
stabile esistente in natura.

Il legame di ogni base azotata con il C n 1 del ribosio o desossiribosio avviene tramite un
atomo di N che si lega con il gruppo ossidrilico del C n 1 degli zuccheri.
Si legano tramite legame N-glicosidico, l’N forma legami con C n 1, liberando una mol.
d’acqua.
I nucleotidi sono molecole che contengono da uno a tre gruppi fosfato (distinti in fosfato α,
β,γ). Le varie forme hanno energie libere diverse, crescenti all’aumentare del numero di
gruppi fosfato legati.

Complementarietà delle basi azotate:


Le basi azotate sono complementari in maniera specifica, si possono formare due coppie
mediante ponti idrogeno. La base più ingombrante è quella purinica, mentre quella meno è
la piramidinica:
● A-T (o U) che formano due legami idrogeno
● C-G (tre legami idrogeno tra gruppo carbonilico della G e amminico della C, gruppo
imminico della G, azoto saturato della C, gruppo amminico della G e carbonilico della
C).
Questi legami, ripetuti in maniera regolare, tengono uniti due polinucleotidi complementari.
I legami sono deboli, ma sono responsabili della stabilizzazione della doppia elica. Il nostro
DNA è tenuto insieme da una quantità enorme di legami H. La doppia elica è estremamente
stabile perché i legami. H, che singolarmente sono deboli, in massa sono molto forti.

Struttura del DNA:


Lo scheletro è dato dalla ripetizione della parte comune di ogni nucleotide (zucchero e
gruppo fosfato), attaccato al C n 1 dello zucchero troviamo la base azotata che ha una
sequenza che non possiamo predire. La complementarietà tra le basi azotate, fa si che una
volta che conosco la sequenza di uno dei filamenti saprò la sequenza dell’altro filamento.
Nel DNA, zuccheri e gruppi fosfato formano gli scheletri polinucleotidici, mentre le basi
azotate si trovano all’interno e formano, A con T e C con G, ponti idrogeno trasversali che
mantengono unita la doppia elica.
Grazie ai ponti idrogeno trasversali, due catene polinucleotidiche o filamenti complementari
si uniscono longitudinalmente con direzioni antiparallele, avvolgendosi a spirale l’una
intorno all’altra a formare una doppia elica.
Posso rappresentare a nastro anche un acido nucleico, dove il nastro, come nelle proteine,
rappresenta uno scheletro, ma posso anche rappresentare i pioli della scala a chiocciola che
lo costituiscono.
La doppia elica non è simmetrica, ruota intorno un asse di simmetria che non è centrale, ciò
provoca la formazione di un solco maggiore e uno minore. La presenza dei solchi è
fondamentale perché i fattori di trascrizione che devono comprendere la sequenza dei
nucleotidi riescono a inserirsi in questi solchi e leggere la sequenza.
L’acido nucleico può essere rappresentato anche ad atomi pieni dove si vede che le basi
azotate sono perfettamente perpendicolari all’asse della scala a chiocciola.
L’interno è apolare, mentre l’esterno è fortemente polare, i gruppi fosfato conferiscono una
proprietà acida agli acidi nucleici.

DNA e cromosomi:
I due filamenti di DNA nella doppia elica sono fra loro complementari e antiparalleli.
Il DNA rappresenta il materiale genetico che forma i nostri cromosomi. Ciascuno di essi è
costituito da un’unica doppia elica lunga fino a centinaia di milioni di nucleotidi.

Struttura dell’RNA:
La RNA è costituito da un singolo filamento con lunghezza variabile, compresa fra poche
decine e migliaia di nucleotidi.
L’RNA è sintetizzato sullo stampo di porzioni di DNA cromosomico detti geni.
In una molecola seppur piccola di RNA, possiamo trovare dei tratti di nucleotidi
complementari, e quindi il singolo filamento può ripiegarsi e creare dei tratti a doppia elica
(es: tRNA, RNA transfert)
La RNA può essere rappresentato in forma bidimensionale (trifoglio) e tridimensionale (L e
più realistica)

Gli enzimi possono essere regolati:


Gli enzimi sono sintetizzati e poi possono avere un’attività che la cellula può regolare nel
tempo.
● Enzimi costitutivi: enzimi che una volta sintetizzati già funzionano;
● Proenzimi: sintetizzati nelle cellule, ma funzionano solo una volta arrivate all’esterno
delle cellule, poiché se fossero attive nelle cellule le degraderebbero, quindi sono
sintetizzati prima come proenzimi e si trasformano in enzimi quando sono stati
secreti tramite un taglio proteolitico;
● altri enzimi sono regolati tramite le reazioni di fosforilazione e defosforilazione,
ovvero tramite l’attività di altri enzimi. Un esempio è la protein Kinase (Kin⇒ simile,
nella cellula sono state individuate 500 chinasi diverse) che tramite l’attacco di un
gruppo fosfato (fosforilazione) può attivare o inattivare un enzima a seconda di che
enzima sia.
● molti enzimi sono regolati effettori allosterici: esistono degli enzimi che hanno oltre
al sito attivo, un sito allosterico che può legare un effettore allosterico che può avere
funzione di attivatore o inibitore. L’attivatore permette di accogliere il substrato,
altrimenti, se non è presente, maschera il sito attivo; quando nel sito allosterico arriva
l'inibitore l’enzima non funziona più. L'inibitore allosterico si attiva ad esempio
quando una cellula che sintetizza amminoacidi a partire da amminoacidi più semplici,
se nella cellula già sono presenti questi aminoacidi e quindi non servono e farebbero
consumare energia inutilmente, il prodotto finale diventa inibitore allosterico del primo
enzima entrando nel sito allosterico e bloccando la via metabolica, si ottiene così il
massimo risparmio energetico.
Per replicare il DNA bisogna separare i due filamenti ed è immediatamente costruibile il
filamento copia,si ottengono due DNA figli uguali alla
DNA madre.
Avviene in maniera semi-conservativa perché ogni molecola nuova è formata da un
filamento stampo preesistente e un filamento neosintetizzato. Nelle nostre cellule c’è
sempre un filamento ereditato dalla cellula madre.
La replicazione del DNA avviene a partire dai punti ORI (origine di replicazione), su ogni
cromosoma sono presenti tanti ORI, dove arrivano fattori proteici che li riconoscono e
iniziano ad assemblarne altri; il processo ha inizio solo quando un particolare fattore, il
DNAelicasi, si infila nel punto indicato dall'origine e separa i due filamenti.
Si produce così la forca di replicazione, dove i due filamenti hanno direzione antiparallela,
il filamento neosintetizzato avanza in direzione 5’-3’.
Man mano che l’elicasi la doppia elica, la dna polimerasi avanza nella stessa direzione⇒
filamento rapido, che viene prodotto in maniera continuata. C’è bisogno di un innesco
perché la DNA polimerasi è un enzima disabile, solo un enzima può iniziare la sintesi di un
filamento dell'acido nucleico a partire da un solo stampo, la RNA polimerasi, primasi.
Induce l’innesco con un piccolo frammento di DNA, detto primer, che viene interrotto, con
un 3’ disponibile per l’attacco, libero. La DNA polimerasi se vede il 3’ libero e in grado di
attaccarci un nucleotide e così inizia la sintesi.
il filamento tardivo, la DNA polimerasi può andare solo il direzione 3’ e 5’, deve andare
verso sinistra, sul filamento in basso la oli erava al contrario rispetto la forca di replicazione.
Quindi è prodotto a frammenti. Altro primer, altro pezzetto,DNA ligasi chiuderà la doppia
elica.

Movimenti ionici di membrana

La membrana plasmatica dei neuroni è naturalmente impermeabile agli ioni ma contiene


proteine che permettono a tali atomi di attraversarla.

Queste proteine comprendono trasportatori (A) e canali (B) ionici.

1. I trasportatori ionici (A), detti anche carrier, muovono ioni da un versante


all’altro della membrana grazie a modificazioni conformazionali che li fanno
aprire da un versante all’altro della membrana.
2. I canali ionici (B) formano un canale idrofilo nella membrana attraverso il quale
possono passare gli ioni.
I movimenti di molecole e ioni da un punto all’altro della cellula o al suo esterno o anche
attraverso la membrana sono regolati dalle leggi fisiche della diffusione.

Nella diffusione, le molecole si muovono spontaneamente da punti ad alta concentrazione a


punti a bassa concentrazione (cioè “secondo gradiente”) finché la loro distribuzione nello
spazio non è omogenea.
Se in un ambiente non esistono differenze di concentrazione di molecole, queste non
subiscono movimenti netti.
Per concentrare molecole in un punto (cioè muoverle “contro gradiente”), è necessario
compiere un lavoro (trasporto), e cioè consumare energia.

I movimenti di molecole o ioni attraverso la membrana sono classificati nel modo


seguente:
• Diffusione semplice: le molecole idrofobe o le piccole molecole polari, come
l’acqua, attraversano spontaneamente la membrana, secondo gradiente.
• Diffusione facilitata: le molecola idrofile o gli ioni attraversano la membrana per
mezzo di proteine, secondo il proprio gradiente. Nella diffusione facilitata, le
proteine agiscono sulle molecole o gli ioni da trasportare in maniera specifica.
• Trasporto attivo: le molecole idrofile o gli ioni sono trasportate/i da proteine contro il
proprio gradiente. Anche in questo caso il trasporto avviene in maniera specifica.

Nel trasporto attivo, uno ione o una molecola è spinto/a attraverso la membrana
contro gradiente da una proteina carrier.
• Gli ioni sono trasportati dai trasportatori ionici che utilizzano l’energia dell’idrolisi di
molecole di ATP per il loro funzionamento e sono detti trasportatori attivi primari.
• I trasportatori agiscono sugli ioni trasportati in maniera specifica.

perché ciò avvenga è necessario un dispendio energetico, quindi è possibile solo ad


opera di trasportatori che siano in grado di utilizzare una sorgente di energia. In
funzione del tipo di sorgente energetica, parliamo di trasporto attivo primario
(l’energia viene prodotta dalla scissione dell’ATP in ADP) e trasporto attivo
secondario (se viene sfruttato il gradiente elettrochimico di uno ione). Con il
trasporto attivo vengono portate nella cellula sostanze metaboliche quali zuccheri,
amminoacidi, nucleosidi, ecc.

Il più abbondante trasportatore ionico di membrana delle cellule animali, neuroni


compresi, è la pompa sodio-potassio che, per ogni ciclo, trasporta 3 ioni sodio
dall’interno all’esterno della cellula, 2 ioni potassio in direzione opposta, e idrolizza
1 ATP

Il trasporto attivo effettuato dai trasportatori ionici trasforma l’energia dell’idrolisi


di molecole di ATP in gradienti ionici nei quali l’energia è conservata. Ciò è vero per
i gradienti degli
• ioni sodio e potassio, prodotti dalla pompa sodio-potassio, o degli
• ioni idrogeno, prodotti dalle pompe protoniche.
In diversi casi, l’energia dei gradienti è utilizzata da trasportatori attivi secondari
che effettuano il cotrasporto di uno ione (che si muove secondo gradiente) e una
molecola utile alle cellule (che viene spinta contro-gradiente).

Il cotrasporto
a differenza dell’uniporto nel quale un
trasportatore è specifico per una sola molecola o
un solo atomo, nel cotrasporto uno ione
accompagna una molecola. L’energia del gradiente
ionico attiva il trasportatore che cambiando
conformazione porta la molecola nella stessa
direzione dello ione (simporto) o in direzione
opposta (antiporto). Trasportatori secondari
svolgono funzioni fondamentali per l’attività
nervosa delle cellule neuronali, come vedremo.

FENOMENI ELETTRICI DELLA MEMBRANA E TRASMISSIONE SINAPTICA


DELLO STIMOLO NERVOSO
Canali ionici e la pompa Na+ K+ costituiscono i principali strumenti che neuroni utilizzano
per generare e mantenere la condizione omeostatica di bilanciamento tra cariche elettriche
intracellulare da extracellulare alla base del potenziale di membrana riposo + utilizzati per
generare impulsi nervosi →segnali elettrici consistenti nei potenziali d’azione che
percorrono la membrana assonale sono trasformati in segnali chimici delle molecole di
neurotrasmettitore rilasciato a livello delle giunzioni sinaptiche o sinapsi chimiche. I segnali
elettrici di membrana possono anche passare direttamente da un neurone a un successivo
oppure dalle cellule gliali attraverso particolari giunzioni denominate sinapsi elettriche.

IL POTENZIALE DI MEMBRANA A RIPOSO


Membrana impermeabile alle sostanze idrofile (ioni liberi)=> permette (eucarioti e
procarioti)
di accumulare e mantenere il proprio interno concentrazione di ioni liberi diverse da quelle
dell'ambiente esterno→importante particolarmente per le cellule neuronali che sono
specializzate a sfruttare il gradiente di concentrazione degli ioni ai due lati della loro
membrana plasmatica per produrre fenomeni elettrici degli stimoli nervosi → funzioni
richiedono l'opera integrata degli strumenti: pompa Na+ K+, vari tipi di canali ionici,
recettori ionotropi e recettori metabotropi.

TIPOLOGIE DI CANALI
Alcuni sono sempre aperti (canali di sfogo), altri hanno l’apertura regolata (canali a porta o
gate). I principali canali a porta sono regolati dal potenziale di membrana o dal legame con
una specifica molecola (legando).
I canali voltaggio dipendenti (potenziale di membrana) sono chiusi ai valori di riposo del
potenziale, ma si aprono se il potenziale diventa positivo e raggiunge un caratteristico valore
soglia (-50mV). Sono costituiti da una singola catena polipeptidica anche se possono essere
solo delle porzioni di una catena ripiegata più volte nella membrana plasmatica.
Ogni dominio contiene 6 segmenti transmembrana che sono avvolti ad alpha elica
denominati da S1 a S6.
Questi si dispongono in modo simmetrico e formano un tetramero: la catena S5 ed S6
delimitano il poro acquoso e hanno un’ansa detta H5 che da selettività al canale con la sua
carica, S1 ed S4 sono alla periferia del complesso e mediano l’interazioni con i lipidi della
membrana. Questi ultimi hanno una regione amminoacidica che ha carica e funge da
sensore di voltaggio che sente quando il valore di soglia viene raggiunto e causa l’apertura
del poro.
Essi, sono concentrati sulla membrana dell’assone e hanno alta selettività ionica. Sono stati
finora identificati canali a controllo di potenziali specifici gli ioni.
I canali ionici possono avere subunità accessorie le quali regolano la corretta localizzazione
sulla membrana.

Sodio (Na+) - Potassio (K+) - Calcio (Ca2+) - Cloruro(Cl-)

Questi canali sono proteine con una struttura a quattro domini principali transmembrana/
quattro subunità diverse, con amminoacidi carichi che si comportano come sensori del
voltaggio.
I canali a controllo di ligando (recettori canale/ionotropi) si aprono solo se ad essi si lega
mediante interazioni deboli una molecola diffusibile, ad esempio un neurotrasmettitore.
Hanno sia il poro acquoso che una regione detta sito recettoriale che accoglie la molecola
specifica di segnalazione detta ligando. Gli ionotropi sono diversi dai metabotropi perché
essi sono privi del poro acquoso.
Il sito di legame si può trovare sia nel versante intra che extra cellulare quindi il ligando
proverrà o dall’esterno o dall’interno della cellula. L’incontro tra la molecola del ligando ed
il sito di legame porta al complesso recettore-ligando stabilizzato dai legami deboli che
causano una modificazione del canale con apertura del poro acquoso (simile al complesso
enzima#substrato stessa caratteristica del complesso che per crearsi deve esserci un impatto
casuale tra il ligando ed il sito).
Il sito può legare anche con molecole diverse ma simili al ligando che possono essere:
agoniste (stesso effetto) antagoniste (chiusura poro quindi opposte) che a loro volta si
dividono in competitive (legame reversibile) non competitive (legame irreversibile). Una
volta che il complesso recettore-ligando si è formato è reversibili tramite l’impulso del
ligando o la sua degradazione.
Essi, si trovano principalmente sulla membrana dei dendriti/corpo cellulare e selezionano la
carica dello ione. Si dividono in: canali cationici (lasciano diffondere solo ioni positivi)
mostrano selettività per ioni monovalenti (Na+. K+) o bivalenti (Ca2+), canali anionici che
lasciano diffondere solo ioni negativi (Cl-).
Questi canali a controllo ligando sono proteine con struttura quaternaria a quattro o cinque
subunità principali transmembrana. Da due a tutte le subunità possiedono sul dominio
esterno alla cellula un sito di riconoscimento (recettoriale) specifico per un legando, cioè un
neurotrasmettitore. Recettori ionotropi sono provvisti di siti di legame addizionale
(allosterici) che legano molecole diverse dal ligando dette modulatori allosterici di natura
endogena o esogena che possono inibire o potenziare l’azione del ligando.
Questi canali rappresentano un tipo di recettore dei neurotrasmettitori. Il legame debole e
transito dei neurotramettitori fa aprire i canali. Le partizioni transmembrana hanno un
setaccio molecolare di riconoscimento della sola carica ionica (+ o -). Alla presenza dei
canali a controllo di legando sono dovuti i potenziali postsinaptici.

POMPA Na+-K+
Le pompe ioniche favoriscono il passaggio di ioni tramite il trasporto attivo e questa è la più
importante. Va contro gradiente ed il dispendio d’energia viene dalla modificazione di una
molecola ATP. Essa svolge un meccanismo di mantenimento omeopatico del bilancio ionico
fra esterno ed interno. Questo sistema di trasporto è in tutte le membrane plasmatiche del
nostro corpo e per il suo funzionamento consuma 25% dell’ATP nelle cellule e nei neuroni e
può arrivare fino al 70%.
Essa la funzione di controllare il bilancio osmotico favorendo il rilascio di 3 ioni Na+ e
acquisizione di 2 ioni K+ perdendo una carica netta positiva, per questo è anche detta
pompa elettrogenica perché genera differenza di potenziale tra le cariche elettriche.
La pompa Na+-K+ ha due subunità, una Alpha (legata l’ATP e gli ioni Na- e K+) ed una
Beta (localizza la pompa nella membrana ed attiva l’Alpha). La pompa è aperta verso
l’interno e lega 3 ioni Na+ attivando le sue capacità di legare una molecola di ATP e di
autofosforilarsi rilasciando ADP con successiva apertura verso l’esterno. Qui vengono
rilasciati gli ioni Na+ e consentito ai 2 ioni K+ di legarsi al versante esterno della pompa per
favorire il distacco del fosfato inorganico all’interno. La pompa si defosforila e chiude verso
l’esterno e si riapre all’interno rilasciando ioni 2 K+ ed è pronta per iniziare il nuovo ciclo.

POMPE PROTONICHE
Effettuano lo spostamento trasmembrana di ioni H+ contro gradiente di concentrazione
consumando ATP per l’energia. Esse sono presenti nella membrana interna dei mitocondri e
permettono l’accumulo di ioni H+ mentre nei neuroni sono importati le pompe nelle
vescicole sinaptiche il cui accumulo di ioni H+ contro gradiente di concentrazione che viene
viene utilizzato per immettere le molecole del neurotrasmettitore nelle vescicole stesse con
un trasporto attivo secondario.

La neurotrasmissione
Un potenziale d’azione è iniziato nel monticolo assonico di un neurone (in risposta a
stimoli che il neurone riceve attraverso i suoi dendriti e il suo corpo cellulare).
Il potenziale si propaga lungo l’assone e giunto alla sua estremità, è trasmesso a
una cellula a valle.
I neuroni sono le uniche cellule capaci di trasmettere alterazioni del proprio
potenziale di membrana ad altre cellule nervose o a cellule effettrici.
Ciò avviene mediante i processi della neurotrasmissione.
Tali processi si verificano attraverso giunzioni cellulari chiamate sinapsi.
Esistono due tipi di sinapsi: sinapsi elettriche e sinapsi chimiche.

Le sinapsi elettriche
Sono formate da canali di membrana o connessoni, a loro
volta formati da sei subunità dette connessine. Il
connessone di ogni cellula forma un semicanale.
Due semicanali devono accoppiarsi per formare un canale che mette in
comunicazione diretta il citoplasma di due cellule, permettendo ad esempio il
trasferimento diretto e bidirezionale di un potenziale elettrico grazie alla
diffusione degli ioni.

La funzionalità delle sinapsi elettriche è dovuta dalla necessità di alcune cellule di svolgere
attività in sincrono.
Vista la conduzione bidirezionale dello stimolo, le sinapsi sono limitate a come specifiche
del sistema nervoso e a particolari neuroni. Alcune sinapsi, però hanno il fenomeno della
rettificazione ovvero l’invio di un segnale elettrico da una parte più tosto che l’altra, una
sorta di preferenza. Le gap junctions permettono lo scambio anche di molecole con massa
fino a circa 1000 Dalton, compresi secondi messaggeri. Sono importati per la
sincronizzazione funzionale delle cellule di vari tessuti, anche di neuroni e cellule gliali, ma
hanno un basso grado di plasticità. La loro unica caratteristica modulabile è la conduttanza
giunzionale (cioè il grado di apertura). Queste giunzioni costituiscono un insieme di
subunità proteiche che attraversano l’intero spessore della membrana plasmatica e
costituiscono dei canali con altre cellule. Le cellule unite da queste giunzioni sono dette
sincizio metabolico perché sono dotate di numerosi nuclei ma condividono lo stesso
citoplasma.

Regolazione delle sinapsi elettriche


La conduttanza giunzionale è regolata a livello di sintesi e di funzionalità.
le connessine appartengono a una famiglia di proteine omologhe ma non
identiche, con quattro domini transmembrana, codificate da geni diversi ed
espresse in maniera tessuto-specifica: le cellule di un tessuto producono canali fra
loro uguali che, quando accoppiati, si aprono mettendole in comunicazione; cellule
differenti, pur adiacenti, possono produrre semicanali diversi che non si accoppiano o, anche
se accoppiati, non si aprono.
L’espressione delle varie connessine è inoltre modulata da:
• fattori endogeni, quali il grado di differenziamento di una cellula o la fase
del ciclo cellulare
• fattori esogeni, quali influenze esercitate da ormoni o da altre molecole
dell’ambiente extracellulare.
Funzionalità: l’apertura dei connessoni è anche regolata dall’attività di protein
chinasi e dalla concentrazione di ioni calcio.

Le sinapsi chimiche

Sono strutture cellulari poste nelle terminazioni assoniche, specializzate a far compiere
all’impulso nervoso un “salto” dalla propria membrana a quella di un altro neurone (o di una
cellula effettrice su un dendrite).
Sono possibili sinapsi con corpi cellulari o assoni di un altro neurone con se stesso (autapsi),
esse sono elementi dei circuiti nervosi dove gli stimoli dei neuroni si muovono
unidirezionalmente da un neurone al successivo, convertono gli stimoli elettrici dei
potenziali d’azione in stimoli chimici che sono molecole di neurotrasmettitori lasciati nello
spazio extracellulare dei neuroni.
Essi fanno da polarizzatore dello stimolo nervoso, in quanto la struttura che serve per il
rilascio del neurotrasmettitore è nel neurone presinaptico mentre la ricezione nel
postsinaptico. Esse sono composte da due parti: la membrana presinaptica (vanno potenziali
d’azione), la membrana postsinaptica (rilasciate le molecole di neurotrasmettitori) e lo
spazio intersinaptico tra le due membrane (diffusione neurotrasmettitori). A tale scopo, le
sinapsi chimiche utilizzano molecole chimicamente definite: i neurotrasmettitori. Essi sono
rilasciati dal terminale presinaptico all’arrivo di un potenziale d’azione, attraversano per
diffusione la fessura sintetica e si legano a recettori specifici posti sulla membrana della
cellula postsinaptica che provocano una risposta funzionale di tale cellula. I recettori
possono essere canali a controllo di ligando che, aprendosi, alterano il potenziale della
cellula postsinaptica. La sinapsi chimica è monodirezionale e ha un tipico ritardo, ma è
efficiente e modulabile. Per questi motivi, essa è la più diffusa giunzione funzionale tra
neuroni.

FASI DELLA NEUROTRASMISSIONE:

1) Biosintesi del neurotrasmettitore nel neurone


presinaptico (è svolto continuamente dal
neurone presinaptico)
2) Immagazzinamento del neurotrasmettitore e/o
di un suo precursore nelle vescicole sinaptiche
(avviene continuamente nel neurone
presinaptico).
3) Rilascio del neurotrasmettitore nella fessura
sintetica (è regolato, cioè indotto da all’arrivo di
un potenziale d’azione).
4) Legame con i recettori postsinaptici e loro
attivazione (subito dopo il rilascio).
5) Inattivazione del neurotrasmettitore rilasciato
e cessazione della sua azione (subito dopo il
rilascio).

Il rilascio sinaptico dei neurotrasmettitori attiva i recettori postsinaptici, posti in regioni


della membrana della cellula bersaglio che fronteggiano esattamente le zone di esocitosi
delle vescicole. L’azione recettoriale è di tipo ionotropo o metabotropo, a seconda del
recettore postsinaptico attivato. I recettori ionotropi da un lato e quelli metabotropi dall’altro
presentano notevoli omologie strutturali fra loro e in base a queste sono stati raggruppati in
poche famiglie geniche (a indicare un’origine evolutiva a partire da soli due, tre geni
ancestrali che si sono modificati nel corso dell’evoluzione cambiando la specificità
recettoriale).
I RECETTORI DEI NEUROTRASMETTITORI

Appartengono a due categorie: recettori ionotropi (canali ionici a controllo di ligando) e


recettori metabotropi (proteine transmembrana che producono cambiamenti metabolici a
lungo termine all’interno della cellula). La principale famiglia di recettori metabotropi
agisce attraverso proteine G che, a seconda del tipo, attivano vari effettori cellulari
responsabili della sintesi di secondi messaggeri.

I RECETTORI IONOTROPI PENTAMERICI

Recettori nicotinici (dell’acetilcolina): nAchR. I recettori regolatori sono l’acetilcolina, la


serotonina, il GABA e la glicina, la loro apertura può causare depolarizzazione (primi due)
iperpolarizzazione (secondi casi) della membrana cellulare. Sono composti da 5 subunità principeli
con le estremità N e C terminale in ambiente extracellulare e ciascuna contiene 4 regioni alpha elica
transmembrana e sono legati da brevi anse tra le quali la regione M3 delimita il poro acquoso.

Integrazione sinaptica
Il numero di sinapsi in arrivo su un neurone è di migliaia. Queste sono in parte eccitatorie e in parte
inibitorie. Potenziali postsinaptici e potenziali d’azione

POTENZIALI POSTSINAPTICI E POTENZIALI D’AZIONE


Gli stimoli che il neurone riceve sui dendriti e il corpo cellulare, attraverso i recettori dei
neurotrasmettitori (con particolare riferimento a quelli ionotropi) sono rappresentati da potenziali
postsinaptici, che possono essere attivatori (se producono depolarizzazione della membrana) o
inibitori (se producono iperpolarizzazione).
Questi potenziali si sommano e producono un cambiamento del potenziale al livello del monticolo
assonico. Se questo è tale da raggiungere il valore soglia per l’apertura dei canali a controllo di
potenziale, sull’assone si produce un potenziale d’azione. Il potenziale si propaga lungo l’assone e
giunto alla sua estremità, è trasmetto a una cellula a valle attraverso le sinapsi.
I RECETTORI METABOTROPI NEI NEURONI

Trasducono un segnale esterno,come l'arrivo di un neurotrasmettitore classico oppure un


neuropeptide,in una forma interna alla cellula. Ciò avviene grazie ad una attività enzimatica indotta
dal recettore in maniera varia. I recettori metabotropi sono anche detti recettori accoppiati alla
proteina G perché la loro stimolazione è ad opera di un ligando causa la comparsa di una risposta
endocellulare di tipo metabolico non uno scambio di ioni liberi. Questi, svolgono un ruolo chiave
nel sistema nervoso perché tra i loro ligandi sono neurotrasmettitori. I recettori metabotropi sono
omogenei e quindi sono raggruppati nei recettori GPCR, costituiti da proteine di membrana legate
sul versante citoplasmatico (suddivisa in 6 classi diverse con caratteristiche strutturali e funzionali
diverse) o recettori 7TMR e sono costituiti da una catena polipeptidica che attraversa lo spessore
della membrana con 7 domini transmembrana e con struttura secondaria alpha elica. Il versante
endocellulare di questi recettori si associa ad una proteina detta GTP-binding protein (proteina G)
che si lega ad una molecola del nucleotide trifosfato GTP o del suo derivato difosfato GDP. a
proteine G,sono costituiti da un singolo polipeptide che attraversa la membrana plasmatica sette
volte e possiede una regione intra cellulare capace di interagire con la proteina G.

FUNZIONAMENTO GENERALE DI UN RECETTORE GPCR


questi recettori hanno un ruolo chiave nel SNC e SNP perché i loro ligandi, peptidi o anche
molecole, includono i neurotrasmettitori o molecole odorifere, feromoni o ormoni. è anche
dimostrato che il genoma umano contiene migliaia di geni che codificano per queste proteine, di cui
circa 350 sono recettori di neurotrasmettitori, ormoni, fattori di crescita o altri ligando endogeni. La
proteina G ha un ruolo fondamentale di trasduzione del segnale, consiste in un eterotrimero di 3
catene polipeptidiche indicate come subunità Galpha, Gbeta e Ggamma. La Galpha ha una molecola
di GTP o GDP nel sito di legame mentre in assenza del Ligando il recettore non ha la proteina G
quindi contiene una molecola di GDP. L'arrivo del ligando rende possibile l'associazione del
versante intracellulare del recettore con una proteina G, la quale subunità GAlpha, contiene una
molecola GDP.
il recettore va incontro ad una modificazione conformazionale che causa lo scambio con una
molecola di GTP (il legando è il primo messaggero del segnale e questa è la prima modificazione).
Il conseguente distacco della proteina G dal recettore provoca la dissociazione di due porzione,
GAlpha-GTP e GBetaGGamma che restando ancorate alla faccia intracellulare della membrana
plasmatica (seconda modificazione), la subunità GAlpha-GTP entra in contatto con l'enzima
adelinato ciclasi che svolge il compito di effettore primario del processo di trasduzione del segnale
innescato per primo dall’arrivo del ligando. La
formazione del complesso GAlpha-GTP- effettore
primario interferisce con l’attività enzimatica (attivandola
o inibendola a seconda dei casi). Intanto l’eterodimero
Gbeta-GGamma si può legare con un altro effettore
primario, dando origine ad altri processi metabolici (terza
modificazione). Dato che la subunità GAlpha del
GAlpha-GTP-effettore è dotata di attività di idrolisi del
GTP in GDP (attività GTPasica), I GTP legato perde un
gruppo fosfato, diventando GDP portando al distacco
della subunita GAlpha-GDP dall’effettore primario. LA
GAlpha-GDP si unisce all’eterodimero GBeta-GGamma ricostruendo la proteina G-GDP che si
associa ad un recettore di ligando e inizia un nuovo ciclo di trasduzione del segnale (ultima
modificazione).
TRASDUZIONE MEDIATA DALL'ADELINATOCITASI

I recettori metabotropi che agiscono sull’adelinato ciclasi, la quale catalizza la trasformazione di


una molecola di ATP in una molecola di AMP ciclico (cAMP). Ci sono vari tipi di GAlpha, quella
associata all’Adelinato ciclasi è detta GAlphas (stimolatoria), la sua attività catalitica viene
stimolata e inizia a rilasciare nel citoplasma sempre più molecole di cAMP. Questo continua fino
alla degradazione del GTP in GDP che causa la rottura del complesso GAlphas-enzima,
interrompendo l’attività catalitica dell’enzima era produzione di cAMP.

IL cAMP ATTIVA LA PKA


Il cAMP endocellulare è un’agente attivatore importante e svolge la funzione di secondo
messaggero nei processi di traduzione del segnale. Considerando la produzione di cAMP illustrata
prima, uno dei tanti prodotti va a legarsi con un altro enzima la proteinchinasi A (PKA) che attiva la
capacità catalitica. La PKA fosforila le altre proteine comprese gli enzimi ed i canali di membrana,
attivandole ed inducendo la loro azione, una risposta cellulare. La PKA attiva può entrare nel nucleo
e fosforilare un fattore trascrizionale detto fattore CREB. Questa fosforilazione fa si che esso attivi
la trascrizione di geni codificati proteine che, dopo essere strati sintetizzati nel citoplasma si
possono legare a canali ionici, enzimi o proteine strutturali per modificare l’attività.

Un altro tipo di GAlpha e la quello che si lega all’enzima di membrana fosfolipasi C (PLC) il cui
substrato è costituito da lipidi della membrana plasmatica. Attivata l’associazione e creata la
subunità GAlphaq la PLC taglia i lipidi in due frammenti: inositolo trifosfato (IP3) [che si sposta
sul REL e porta all’apertura di canali Ca2+ e quindi l’aumento di ioni liberi Ca2+] e diacilglicerolo
(DAG) [si lega alla proteinchinasi C (PKC) che fosforila vari substrati proteici attivando vie di
segnalazioni intracellulari diverse] che attivano varie vie metaboliche. Oltre a queste GAlpha
abbiamo: GAlphao°, la più abbondante nel SNC che serve per l’allungamento del cono
d’accrescimento dell’arsone e la trasduzione di segnale di recettori muscarinici dell’acetilcolina. La
GAlphat (transducina), che è importante per i processi di percezione visiva della retina. GAlphaq°,
GAlphaz, GAlpha12/13’ e GAlphaolf che attivano ulteriori processi intracellulari.

TRASDUZIONE MEDIATA DAL CALCIO ATTIVAZIONE DELLA CAMK


L'entrata massiccia di ioni calcio nella cellula, ad esempio attraverso alcuni canali ionici (NMDA)
attiva invece una proteina calmodulina che a sua volta attiva diversi bersagli cellulari, compresa una
proteinchinasi calcio calmodulina dipendente (CAMK). Essa fosforila altre proteine e induce
attraverso la loro azione un'ulteriore risposta cellulare.

Il citoscheletro
Il citoscheletro è costituito da proteine che formano strutture allungate e danno consistenza alle
cellule o solo ad alcune porzioni di esse . Queste strutture comprendono :
• Microfilamenti o filamenti di actina ( F-actina ) . Sono formati dall ’associazione di
molecole globulari di actina ( G -actina ) . Il diametro dei filamenti è di 7 nanometri (nm ) .
• Filamenti intermedi . Sono formati dall ’associazione di varie proteine fibrose in tetrameri
che poi si raccolgono in ottameri . Il diametro dei filamenti ottamerici è di 10 nm
• microtubuli . Sono formati dalla associazione di dimeri di tubulina a e tubulina b a costituire
13 protofilmenti paralleli disposti in circolo . Il diametro dei microtubuli è di 25 nm
IL CITOSCHELETRO NELLA NEUROTRASMISSIONE:
nei neuroni le proteine citoscheletriche hanno ruoli importanti sia per la definizione morfologica dei
dendriti e dell’assone che per il movimento, o trasporto, di molecole e organuli interni. In
particolare i microtubuli sembrano avere un ruolo fondamentale nel trasporto assonico.
Orientamento dei microtubuli in un neurone.
Un neurone presenta due tipi di processi, i dendriti, generalmente brevi, che ricevono informazioni
da altre cellule nervose, e l’assone, di norma più lungo dei dendriti, attraverso il quale
l’informazione è portata verso altre cellule. I microtubuli sono presenti sia nei dendriti che
nell’assone e la loro estremità non è ancorata a un centrosoma nel corpo cellulare. L’orientamento
dei microtubuli nei dendriti è misto, poiché alcuni di essi hanno l’estremità positiva rivolta verso la
periferia, altri hanno una disposizione opposta. Al contrario, l’orientamento dei microtubuli
nell’assone è con tutte le estremità positive verso la terminazione di questo processo. Le proteine
MAP legano i microtubuli rendendoli dinamici.
Alcune MAP, quali le chinesine e le dineine, si muovono sui microtubuli mediante idrolisi di ATP e
rappresentano motori molecolari in grado di spostarsi in direzioni opposte. I microtubuli
costituiscono cosi fasci proteici lungo i quali possono spostarsi molecole, organuli e vescicole
membranose che si agganciano all’estremità libera dei motori molecolari. Questo tipo di trasporto è
definito anterogrado se va dal corpo cellulare alle terminazioni assoniche, o retrogrado se avviene in
direzione opposta.

LO SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO


Lo sviluppo del sistema nervoso inizia molto presto nell’embrione in formazione. Perciò la sua
trattazione deve partire dalle prime fasi di sviluppo dopo la fecondazione. Lo sviluppo iniziale
dell’uomo, come tutti gli organismi pluricellulari, si sviluppa a partire da uno zigote, cioè una
cellula ottenuta dalla fecondazione di un gamete femminile (l’uovo) con uno maschile (lo
spermatozoo). Lo zigote e le cellule che da esso derivano (blastomeri) si dividono
ripetutamente (B-C) producendo la morula (D) e poi la blastocisti (E-F) [4-5 giorni di vita]. In
questa fase dello sviluppo, detta preimpianto, l’embrione umano e di tutti i mammiferi è
indipendente dalla madre e può essere coltivato in vitro.

Allo stadio di blastocisti, l’embrione si impianta nell’utero materno e da quel momento il suo
ulteriore sviluppo è strettamente dipendente dalla madre. A questo stadio, l’embrione vero e proprio
è formato da due strati di cellule, dette epiblasto e ipoblasto.

LA GLASTRULAZIONE

Vengono stabiliti gli assi fondamentali dello schema corporeo (artero-posteriore,


dorso-ventrale, medio-laterale).
Allo stadio di blastocisti, l’embrione si impianta nell’utero materno e da quel
momento il suo ulteriore sviluppo è strettamente dipendente dalla madre. A questo
stadio, l’embrione vero e proprio è formato da due strati di cellule, dette epiblasto e
ipoblasto.

Esso va poi incontro alla


glastrulazione nel corso della quale si forma la stria primitiva. Attraverso tale fessura
l’epiblasto si invagina sull’ipoblasto generando tre foglietti cellulari: ectoderma,
mesoderma edendoderma. Da questi foglietti si generano nel corso dello sviluppo tutti
i tessuti dell’organismo.
La stria primitiva è chiaramente visibile nell’embrione umano di 18 giorni.
FOGLIETTI PRIMITIVI E TESSUTI ADULTI: dai foglietti elencati prima detti primitivi si
originano tutti i tessuti ed apparati dell’adulto.
1) Endoderma rivestimento degli organi dell’apparato digerente, respiratorio della vescica e
varie ghiandole;
2) Ectoderma sistema nervoso ed epidermide;
3) Mesoderma scheletro, musculatura, tessuto connettivo, apparato circolatorio e apparato
renale.

LA NEURULAZIONE
Subito dopo la gastrulazione, lungo l’asse rostrocaudale dell’embrione, si formano del
mesoderma una struttura bastoncellare rigida, la notocorda, che induce la porzione sovrastate
di ectoderma ad ispessirsi e a formare la placca neuronale. Tale processo è detto neurulazione.
Inizialmente la piastra neuronale formata si allunga, poi comincia incurvarsi longitudinalmente
verso l’alto formando la doccia neurale. La formazione della doccia neurale provoca
l’allungamento embrionale. Quest’ultima continua a sollevare i suoi margini chiudendosi a
partire dal centro dell’embrione, e formando il tubo neurale, il futuro sistema nervoso.
L’induzione neurale è un processo attivo che dipende da segnali induttivi morfogeni rilasciati
dalla notocorda (cordone di cellule temporanee che nascono nel mesoderma). Nella parte
anteriore del tubo inizia a svilupparsi il cervello, il prosencefalo, il mesencefalo ed il
rompoecefalo, le vescicole telencefaliche e la corteccia cerebrale insieme alle altre parti. Nella
parte posteriore invece troviamo una prima forma di midollo spinale.

La regionalizzazione del sistema nervoso - I La porzione anteriore del tubo neurale si espande e
suddivide longitudinalmente dapprima in tre e poi in cinque vescicole, come da schema seguente.
La regionalizzazione del sistema nervoso -
II Infine, durante lo sviluppo fetale, la porzione anteriore del tubo neurale di piega e suddivide
progressivamente nelle strutture che troviamo nell’encefalo adulto. Tutto il SNC mantiene anche
nell’adulto la struttura cava, con la persistenza dei ventricoli laterali (telencefalo), il terzo e il quarto
ventricolo centrali (diencefalo e romboencefalo, rispettivamente) e infine il canale centrale del
midollo spinale.

I MECCANISMI DI SVILUPPO DEL SISTEMA NERVOSO

INDUZIONE E PROLIFERAZIONE DEI PRECURSORI NEURONALI: fattori di crescita di


tipo trasforming growth factor- beta (TGF-beta) sono induttori precoci dello sviluppo prodotti dal
mesoderma. Le bone morphogenetic proteins (BMPs) sono coinvolte nell’induzione epidermica
dell’embrione. Questo processo è pero inibito dalla notocorda, la quale induce dorsalmente a se
lo sviluppo neurale o neurulazione. Tra i fattori coinvolti: follistatina, cortina, noggin, cerberus.
In seguito all’induzione neurale, le cellule proliferano attivamente producendo numerosi
precursori neuronali e gliali.

MIGRAZIONE DEI PRECUROSI NEURONALI


I precursori neuroni iniziano un processo di migrazione nello spessore del tubo neurale e questo
processo è evidente nelle strutture stratificate, quali la corteccia cerebrale e cerebellare o
l’ippocampo. I fattori coinvolti sono:
1)Astrotactina, intergrine (recettori di adesione cellula-matrice)
2)Fibronectina, lamina (proteine della matrice extracellulare)
3)Efrine e loro recettori (eph) [fattori di adesione cellula-cellula]
Al termine della migrazione sembrano coinvolti fattori di adesione della famiglia delle
immunoglobine G, la relina e le caderine (fattori di adesione cellula-cellula)

MECCANISMI DELLA MIGRAZIONE:


nella migrazione dei precursori neuroni hanno un ruolo importante le cellule radicali della glia,
differenziate da precursori gliali, che li guidano nello spessore del tubo neurale.

DIFFERENZA DEI PERCURSORI NEURONALI:


i precursori neuroni iniziano il differenziamento grazie all’intervento i altri fattori di induzione,
mesodermica, che agiscono localmente. Alcuni di questi fattori definiscono l’asse dorso-ventrale
del tubo neurale. Ad es. il fattore Sonic Hedgehog (SHH), anch’esso prodotto dalla notocorda, e
l’indurtore del differenziamento dei precursori neuronali posti ventralmente nel tubo in
motoneuroni. Invece, altri membri della famiglia delle BMP prodotti dall’epidermide inducono
dorsalmente i neuroni sensoriali. Questi sono definiti morfogeni.
Altri fattori definiscono l’asse rostro-caudale del tubo neurale. A es. il fibroblast growth factor
(FGF) e l’acido retinoico, un morfogeno derivato dalla vitamina A, inducono il differenziamento
delle regioni posteriori dell’encefalo. Acido retinoico, BMP e SHH hanno attività di morfogeni
perché inducono il differenziamento cellulare in maniera dipendete dalla loro concentrazione
locale. Nell’embrione in sviluppo si costruiscono gradienti dei vari morfogeni che inducono il
differenziamento progressivo delle cellule influenzate, rappresentando degli indicatori di
posizione delle stesse.
REGIONALIZZAZIONE DEL TUBO NEURALE
Fattori di induzione del differenziamento portano anche alla regionalizzazione intero-posteriore
del tubo neurale in sviluppo. Tutti questi fattori agiscono su geni specifici, altamente conservati
nel corso dell’evoluzione, i cui prodotti proteici in alcuni casi agiscono a loro volta come
attivatori trascrizionali di geni a cascata.
Un esempio è la mappa di espressione dei geni nei segmenti che si formano nel tubo neurale
anteriore. Questi geni comprendono:
1)Wnt, FGF ed engrailed nel mesencefalo;
2)Hox nel ramboencefalo;
3)Shh nella notocorda e nella lamina del pavimento del tubo neurale fino al diencefalo;
4)Dix nel proencefalo.

TERMINE DEL DIFFERENZIAMENTO


I neuroni completano il differenziamento durante e al termine della migrazione. Questa attività
dipende da un programma di espressione genica svolto in funzione di fattori intrinseci (propri
della cellula) ed estrinseci (presenti nell’ambiente extracellulare). Il risultato del
differenziamento è la formazione di cellule capaci di esprimere corredi genici differenti pur in
presenza di un corredo cromosomaico comune. Nel corso del loro differenziamento, i neuroni
stabiliscono rapporti sinaptici con altri neuroni, attraverso i processi di: emissione di assoni e
formazione delle sinapsi.

SINAPTOGENESI:
l’allungamento dell’assone si verifica attraverso un cono di crescita, nel quale
si distinguono un lamellipodio e numerosi filipodi. Fattori coinvolti: attiva, moisina; tubolina
(trasporto assonale), caderine, fibronectina, laminina, intergrine, netrine, semaforine (fattori
secreti), efrine, recettori Eph e fattori retrogradi (neurotrofile).
La sinaptogenesi è la formazione vera e propria delle connessioni sinaptiche tra neuroni. Fattori
coinvolti nella giunzione neuromuscolare: lamina basale sinaptica, fattori presinaptici ad es.
l’agrina, recettori ad es. Musk e fattori retrogradi (neurotrofine).

MORTE DEI NEURONI ECCEDENTI


Quando la sinaptogenesi è avviata, il consolidamento del differenziamento neuronale si ottiene
secondo un modello a competizione, nel quale la morte dei neuroni è un evento naturale. Tale
processo avviene per apoptosi. Le cellule bersaglio secernono fattori di crescita nervosa, come il
nerve growth factor (NGF) o il BDNF, che inibiscono la morte dei neuroni. Tuttavia, solo i neuroni
che riescono a captare sufficienti fattori sono mantenuti in vita e proseguono lo sviluppo, gli
altri muoiono.

ATTIVITà DEI RECETTORI DELLE NEUROTROFINE


I vari tipi di recettori dei fattori di crescita nervosa e la traduzione di segnale svolta dal TrkA che
porta alla sopravvivenza dei neuroni, all’allungamento dei neuriti e al differenziamento del
terminale.
TEORIA NEUROTROFICA (LEVI-MONTALCINI E HAMBURGER):
la morte cellulare è un processo normale durante lo sviluppo; l’entità di tale processo nei neuroni in
accrescimento, prodotti in sovrannumero durante le prime fasi dello sviluppo. è regolata
dall’interazione con le cellule bersaglio. Ciò si ottiene attraverso la produzione da parte delle cellule
bersaglio proteine
segnale che fungono da fattori di sopravvivenza per i neuroni. I fattori di crescita nervosa sono
prodotti in quantità limitata rendendo competitiva l’attività di captazione da parte dei neuroni.
Ciò permette soltanto ad alcuni di essi di sopravvivere alla orte cellulare programmata.
RIARRANGIAMENTO DELLE SINAPSI
Infine i neuroni sono sottoposti al rimaneggiamento delle connessioni sinaptiche. Le influenze
ambientali, particolarmente nei periodi critici, determinano il rimodernamento e l’affinamento
funzionale delle sinapsi. Ad es. l’imprinting di K. Lorenz, o il comportamento sociale nei
bambini.

MIELINIZZAZIONE:
tra processi di maturazione del sistema nervoso, è fondamentale quello di
mielinizzazione, che interessa gli assoni di numerose popolazioni neuronali e che si completa nel
corso di molti anni. La mielina è prodotta dalla membrana degli oligodendrociti nel SNC e dalle
cellule di Schwann nel SNP, avvolta intorno agli assoni mielinici. Diversi fattori proteici sono
legati alla mielina e importanti per la sua deposizione e compatimento: Glicoproteina associata
alla mielina, Proteine basiche della mielina, Proteina proteolipidica (oligodendrociti) e Proteina
zero (cellule di Schwann).

LA GENETICA
La genetica studia le modalità di trasmissione da generazione a generazione dei caratteri
ereditari, e i rapporti tra geni (genotipo) e caratteri (fenotipo), cioè i meccanismi che a più
livelli durante lo sviluppo di ciascun individuo determinano la produzione delle caratteristiche
visibili dell’individuo stesso (fenotipo) a partire dal corredo genetico (genotipo) ereditato dai
genitori. Il comportamento, normale o patologoico, è considerato come un fenotipo, un tratto
simile ad altri che derivano dall’azione di uno o più geni in un particolare ambiente.

ACIDI NUCLEICI E GENETICA:


dal punto di vista molecolare, i meccanismi genetici riflettono le funzioni degli acidi nucleici. La
conoscenza di tali funzioni, già da noi acquisita, è necessaria per comprendere le modalità di:
espressione genetica, alla base della vita e delle funzioni di ogni cellula. Trasmissione di caratteri da
una generazione all’altra, produzione di mutazioni, che sono la causa primaria della variabilità
genetica, oggi largamente studiata con riferimento alla personalità e al comportamento, e possono
determinare patologie con associato un ritardo mentale. Produzione di aberrazioni cromosomiche
che causano ritardo mentale e l’azione dei processi della selezione e dell’evoluzione, secondo la
teoria di Darwin, oggi modificata nel Neodarwinismo.

CARIOTIPO E CARIOGRAMMA
Il nostro genoma è rappresentato da circa 30.000 geni presenti, quasi tutti, in coppie su 46
cromosomi o 23 coppie omologhe, cioè uguali. Ogni copia di un gene costituisce l’eredità
genetica di ciascuno dei nostri due genitori. I geni non sono visibili direttamente ma i
cromosomi, preparati e colorati routinariamente con tecniche di citogenetica, sono osservabili al
microscopio. La visualizzazione grafica dei nostri cromosomi costituisce il cariogramma.
L’assetto cromosomico di una cellula somatica è detto diploide, perché costituito da coppie di
cromosomi. Cariogramma umano maschile normale (cariotipo: 46 XY) con bendaggio G. I
cromosomi metafisici hanno ciascuno due cromatidi.

STRUTTURA DEI CROMOSOMI METAFISICI:


sulla base della posizione del centromero o costrizione primaria, i cromosomi possono essere
classificati in 4 diversi tipi. Nell’uomo si osserva la presenza di cromosomi acrocentrici portano sul
proprio braccio corto i geni ribosomali. I bracci dei cromosomi sono denominati p e q, e le bande
visibili al microscopio, generalmente dopo la colorazione, sono numerate.
GENI, ALLELI E GENOTIPO:
i geni sono tratti cromosomici trascritti. A causa delle mutazioni, le due copie dei nostri geni
possono essere leggermente diverse fra loro e sono dette alleli. La composizione allelica di ciascun
individuo ne costituisce il genotipo. L’esistenza di alleli diversi per la maggior parte dei nostri geni
costituisce la base delle differenze fenotipiche fra individui. I geni per il colore e la lunghezza della
pelliccia nei porcellini d’india occupano loci specifici su cromosomi diversi e sono biallelici: B
(Black, dominante) allele che codifica il colore nero, b(black, recessivo) allele che codifica il colore
marrone; S (Short, dominante) allele che codifica pelo corto, s (short, recessivo) allele che codifica
il pelo lungo.

CROMOSOMI E CICLO CELLULARE


Ciascuno dei nostri cromosomi è costituito da un’unica, lunghissima molecola di DNA (detta
cromatidio). Subito dopo una visione cellulare ogni cromosoma è costituito da un solo cromatico,
prima e durante una divisione, invece, esso è costituito da due cromatidi (il DNA e quindi ogni
cromatidio è replicato in una fase centrale del ciclo di vita di una cellula o fase S). Negli
eucarioti, il ciclo cellulare è più o meno lungo ma le sue fasi sono costanti:
G1 (G=gap) - G2 - M (mitosi o meiosi, divisione).

Le fasi della vita della cellula si ripetono con cicli regolari e ne favoriscono la divisione e la
crescita. Durante l’interfase si svolgono una serie di fasi, la prima subito dopo la divisone è
detta fase G1 in cui la nuova cellula svolge un’intensa attività di trascrizione e traduzione che
porta all’accrescimento. Segue la fase S dove il materiale genetico viene replicato per essere
diviso. Dopo, la fase G2 che consiste nel completamento dei processi di sintesi macromolecolari
per procedere con la divisione vera e propria, la mitosi. Tanti meccanismi di controllo
intervengono nel ciclo cellulare per garantire che si passi da una fase all’altra solo dopo che si
sono completante tutte le fasi precedenti. Ad esempio, tra i fattori regolativi ci sono le proteine
cicline che garantisce il passaggio dalla fase G1 alle fase S.
Queste proteine fanno parte della famiglia Cdk come le cdc2 delle cellule di lievito necessarie
per il superamento della fase G1 alla fase G2. L’associazione tra Cdk e cicline fu scoperta grazie
al fattore necessario per la transizione tra fase G2 alla divisione meiotica e denominato MPF che
è composto da due subunità, cdc2 e ciclina B.

C’è una fase di controllo in questo passaggio dove viene verificato che la cellula abbia tutti i
fattori di crescita e nutrienti che servono per la divisione. Se ha superato il controllo la cellula
entra nella fase S, sennò regredisce in fase G0. Un altro punto di controllo è nella fase G2 dove
viene accertata che la replicazione del DNA si completa e che non sia danneggiato, in particolare
grazie al fattore di trascrizione p53 che se c’è un danno nel DNA ne blocca la replicazione per
evitare che si creino cellule con DNA malato. Se il DNA è buono si può procedere alla divisione, il
p53 viene degradato. I neuroni sono cellule post-mitotiche, bloccate in una fase del ciclo detta
G0 quindi non si divideranno mai; questo avviene dopo il differenziamento finale e un periodo di
forte proliferazione. Vengono eliminati i meccanismi di controllo della progressione del ciclo,
quindi le cellule neuronali sono metabolicamente attive ma si divideranno più.

STRUTTURA DI UN CROMOSOMA A 2 CROMATIDI: nel corso della fase S, la cellula


replica il proprio DNA. Ogni cromosoma passa perciò da una conformazione a un cromatico a una a
due cromatici. La microscopia elettrica mostra la struttura di un cromosoma metafisico a due
cromatidi, con evidente la zona del centromero.
LA MITOSI
Le cellule somatiche del nostro organismo sono diploidi (2N) e si dividono per mitosi, un
processo di divisione cellulare equazionale che produce cellule figlie geneticamente identiche
alla cellula madre, e quindi anch’esse diploidi (2N). All’inizio della divisione tutti i cromosomi
sono costituiti da due cromatidi fratelli, al termine della divisione ogni cellula figlia riceve
cromosomi a un cromatidio.

MITOSI IN UNA CELLULA ANIMALE:


la divisione mitotica è tipicamente suddivisa in quattro fasi, profase, metafase, anafase e telofase.
Nel corso della profase, i cromosomi si condensano, mentre i centrosomi si spostano ai poli opposti
del nucleo e inizia la formazione del fuso mitotico. Nella transizione tra profase e metafase,
l’involucro nucleare si dissolve e i microtubuli entrano in contatto con i centromeri. I cromosomi si
muovono fra il centro della cellula e i centrosomi fino ad essere allineati al centro del fuso
(metafase). Nell’anafase, ciascun cromosoma si separa nei cromatidi fratelli e questi iniziano a
migrare ai poli opposti della cellula e circondati da due nuovi involucri nucleari, si condensano, e
danno origine ai nuclei delle due cellule figlie che avranno ognuna 46 cromosomi. La divisione
cellulare si conclude con la citochinesi.
Fanno eccezione le cellule prodotte dalle gonadi, le cellule germinali, destinate a partecipare
alla riproduzione sessuale, le quali nella meiosi riproducono il numero dei cromosomi da 46 a 23
e si chiamano aploidi.

LA MEIOSI
Durante lo sviluppo del nostro organismo, si formano le cellule prodotte dalle gonadi, le cellule
germinali, destinate a partecipare alla riproduzione sessuale, le quali nella meiosi riproducono il
numero dei cromosomi da 46 a 23 e si chiamano aploidi.
Queste cellule differenziano in gameti (gametogenesi) e nel corso di tale processo vanno
incontro alla divisione meiotica o meiosi. La meiosi è una divisone cellulare riduzionale, perché
a partire da cellule diploidi (2N) produce cellule figlie con un assetto cromosomico aploide (N),
contenenti cioè un solo cromosoma di ciascuna coppia.

FASI DELLA MEIOSI:


la meiosi è suddivisa in due fasi; nella meiosi 1°, i cromosomi omologhi di una cellula diploide
(2N) si appaiano e nella metafase si separano (disgiungono) finendo in due cellule figlie differenti,
già divenute aploidi (N). I cromosomi sono ancora formati da 2 cromatidi. Nella meiosi 2°, i
cromosomi a 2 cromatidi di ogni cellula appena formata si ripartiscono in un totale di 4 cellule
ciascuna delle quali ha N cromosomi e 1 cromatidio ed è geneticamente pronta dare inizio a un
nuovo organismo.

RICOMBINAZIONE GENETICA
Crossing-over. Durante la profase della meiosi 1° si formano strutture chiamate tetradi,
costituite dall’associazione dei cromosomi omologhi, ciascuno presente con due cromatidi. In
tale configurazione può avvenire lo scambio di tratti di DNA tra cromatidi appartenenti ai due
cromosomi omologhi (cromatidi non fratelli), in modo da creare nuove configurazioni genetiche
e, quindi, variabilità genetica. Tale processo è chiamato crossing-over ed è identificabile
attraverso l’osservazione microscopica di strutture definite chiasmi.
LA MEIOSI NELLA FEMMINA E NEL MASCHIO
La divisione meiotica avviene con modalità (e tempi) diversi nella femmina e nel maschio.
Durante l’ovogenesi, solo una delle quattro cellule di ogni evento meiotico diventa un ovocita.
Le altre sono cellule di scarto cromosomico dette globuli polari. Durante la spermatogenesi, le 4
cellule formano invece ognuna uno spermatozoo.
Ereditarietà mendeliana

L’esistenza di alleli diversi per la maggior parte dei nostri geni produce
caratteristiche differenziate nei vari individui che sono trasmesse da una
generazione all’altra. Mendel fu il primo studioso che affrontò in termini
matematici la questione dell’ereditarietà dei caratteri e riuscì a descriverla
efficacemente.
Con il termine ereditarietà mendeliana si fa riferimento a un modello di
trasmissione di caratteri genetici semplici, codificati ciascuno da un singolo gene
(caratteri monogenici o monofattoriali). Spesso, però, diversi geni possono
contribuire insieme a determinare un unico carattere, un fenomeno noto come
ereditarietà poligenica che si definisce polifattoriale quando vi è anche un forte
coinvolgimento ambientale.
In questa lezione analizzeremo i principi della ereditarietà mendeliana e vedremo
un esempio di eccezione apparente e, per finire, l’eccezione sostanziale a questi
principi rappresentata dall’associazione genica.

Le leggi di Mendel - I
La prima legge di Mendel è nota come legge della dominanza o
legge della
uniformità degli ibridi di prima generazione.
La seconda legge di Mendel è invece nota come legge della
segregazione dei
caratteri nella seconda generazione.

Le leggi di Mendel - II
La terza legge di Mendel è nota come legge della indipendenza.
L’ereditarietà di
due caratteri si verifica secondo eventi indipendenti che si
sviluppano con
frequenze caratteristiche.
Codominanza

Esistono geni i cui alleli sono espressi entrambi, producendo modelli di ereditarietà apparentemente
in eccezione con l’ereditarietà mendeliana. Un esempio è la codominanza. Il gene I codifica un
enzima che determina i gruppi sanguigni umani del sistema AB0.

Associazione genica
L’associazione genica costituisce l’eccezione sostanziale alle leggi di Mendel. Un incrocio tra
due individui AABB e aabb (genotipi parentali), con A e B associati, produce individui di F1
secondo la prima legge di Mendel. Tuttavia alla meiosi degli individui di F1, se si verifica un
crossing-over fra i due loci A e B (sinistra), saranno prodotte combinazioni di alleli
non presenti negli individui parentali, Ab e aB, dette ricombinanti.
Se A e B sono distanti, la probabilità di crossing-over sarà alta, fino al 100%, e le
frequenze dei gameti ricombinanti, come nella indipendenza mendeliana, saranno uguali a quelle
dei gameti parentali (0,5).
Se A e B sono vicini, la probabilità di crossing-over sarà bassa, fino allo 0%, e si otterranno solo
gameti parentali come nell’incrocio monoibrido mendeliano.
Frequenze di ricombinazioni intermedie (espresse in centiMorgan) danno una indicazione di quanto
distanti sono i due loci su una mappa cromosomica.

Ereditarietà autosomica dominante


Con il termine ereditarietà autosomica dominante si fa riferimento alla trasmissione di un carattere
mendeliano dominante, portato da un autosoma.
Esempi sono la Corea di Huntington, l’esadattilia, l’acondroplasia.
Il carattere si manifesta in tutti i portatori, sia eterozigoti che omozigoti, maschi e femmine.
Gli omozigoti per malattie genetiche autosomiche dominanti sono rarissimi.
Ereditarietà autosomica recessiva
Malattie umane autosomiche recessive (es.: talassemia beta, fibrosi cistica,
fenilchetonuria, etc) colpiscono individui figli di genitori solitamente non affetti,
ma definiti portatori asintomatici o con lievi sintomi. Vi è un'aumentata incidenza
di consanguineità tra i genitori. Colpisce entrambi i sessi. Dipende da entrambi i
genitori.

Ereditarietà X-linked recessiva


Con il termine ereditarietà X-linked recessiva si fa riferimento alla trasmissione di un
carattere recessivo portato da un cromosoma X (ad es. il daltonismo, l’emofilia, la distrofia
muscolare di Duchenne). Sono colpiti prevalentemente i maschi. La madre degli
individui affetti è portatrice sana. Le figlie della portatrice possono essere sane o
portatrici a loro volta. Solo un padre affetto e una madre portatrice sana possono avere una
figlia affetta (50% dei casi). Un padre affetto non avrà mai un figlio maschio affetto.

Ereditarietà X-linked dominante


Con il termine ereditarietà X-linked dominante si fa riferimento alla trasmissione di un carattere
dominante portato da un cromosoma X (es. la sindrome di Rett). Sono colpite le figlie femmine di
padri affetti (emizigoti), figli maschi e e femmine di madri affette (eterozigoti). Un padre affetto
non avrà mai un figlio maschio affetto.

Ereditarietà Y-linked
Con il termine ereditarietà Y-linked si fa riferimento alla trasmissione di un carattere portato dal
cromosoma X sempre espresso nel fenotipo. Un quadro di ereditarietà di questo tipo segue una
discendenza esclusivamente maschile, da padre a figlio.
Mutazioni genetiche
L’esistenza di alleli diversi per la maggior parte dei nostri geni è dovuta alla insorgenza di
mutazioni del DNA. Il materiale genetico di qualunque organismo pur essendo fedelmente replicato
e stabilmente trasmesso da una generazione all’altra, muta nel tempo per cause diverse. Le
mutazioni che insorgono nelle cellule germinali possono avere effetti sul fenotipo della progenie.
Invece, quelle delle cellule somatiche possono portare alla morte di queste o alla formazione di
tumori ma non sono trasmesse alla progenie. Variazioni di sequenza nel DNA coinvolgono tratti
cromosomici brevi, fino a un solo nucleotide (mutazioni genetiche) o lunghi, fino a un intero
cromosoma (mutazioni genomiche). In questa lezione e nella prossima analizzeremo le principali
tipologie e le conseguenza delle mutazioni geniche e genomiche e analizzeremo i polimorfismi del
DNA e il loro interesse negli studi genetici.

Conseguenze fenotipiche delle mutazioni


Nel corso della replicazione, il DNA non è sempre copiato fedelmente poiché la DNA polimerasi
commette degli errori (anche se rari). La presenza di mutageni chimici o fisici può aumentare la
frequenza di errore. Ogni errore di copiatura trasmesso alle cellule figlie da una cellula madre o
trasmesso alla progenie da un individuo è una mutazione genetica. Le mutazioni che si verificano
all’interno di sequenze geniche possono avere conseguenze fenotipiche perché le proteine codificate
possono risultare diverse da quelle prodotte “prima” delle mutazioni. Le mutazioni producono alleli
diversi per uno stesso gene. Quando ciò accade, la forma originale, desunta dai confronti tra specie
e dall’attività della proteina codificata, è chiamata selvatica (wild-type); gli altri alleli acquisiscono
nomi differenti, spesso legati a caratteristiche biochimiche delle proteine codificate.

Tipi di mutazioni puntiformi


Le mutazioni puntiformi sono piccoli cambiamenti di sequenza del DNA, limitati anche a un solo
nucleotide, generalmente introdotte per errori di appaiamento delle basi nel corso della replicazione
del DNA. Si verificano o per sostituzione o per inserzione/delezione di base. La maggior parte delle
mutazioni di questo tipo è rimossa da sistemi di correzione degli errori, ma alcune sono trasmesse
alle cellule figlie. Se una mutazione puntiforme si verifica nella regione codificante di un gene
strutturale, può avere conseguenze fenotipiche diverse, attutite in molti casi dalla degenerazione del
codice genetico. Proteina wild type Proteina con cambiamento di AA Proteina non modificata

Polimorfismi del DNA


Se nella popolazione si osserva per un certo gene la presenza di diversi alleli, ciascuno dei quali con
una frequenza maggiore di quella attesa in base all’effetto di semplici mutazioni casuali (1%), si
parla di polimorfismo. Il locus è definito polimorfico. Questo genera variabilità genetica. La
differenza tra due individui, in media, è di 1 ogni 1000 nucleotidi. In una popolazione esiste quindi
grande diversità genetica. I loci polimorfici sono quelli dovuti a mutazioni neutre o con effetto
fenotipico moderato che non causano perciò malattie genetiche. Molti geni polimorfici influenzano
le attività neuronali ed hanno effetti sul comportamento Alleli con una frequenza inferiore all’1%,
costituiscono varianti rare. È il caso della maggior parte delle mutazioni letali che causano malattie
genetiche, alcune già descritte.

Tipi di polimorfismi
1 - Restriction Fragment Length Polymorphisms (RFLP)
2 - Single Nucleotide Polymorphisms (SNP)
3 - Variable Number of Tandem Repeats (VNTR) e Short Tandem Repeats (STR)

Per la nostra trattazione sarà sufficiente considerare ulteriormente gli SNP e i VNTR/STR.
Polimorfismi a singolo nucleotide
Single Nucleotide Polymorphisms (SNP)
Sono variazioni di una singola coppia di basi nel genoma che costituiscono polimorfismi biallelici:
ad es. in una certa posizione all’interno di una sequenza genica, un allele porta la base A, l’altro
allele la base G. Sono presenti in numero elevato nel genoma umano, almeno 3 milioni. Possono
essere identificati mediante Polymerase Chain Reaction (PCR) e successiva analisi per gel
elettroforesi. Oppure mediante sequenziamento diretto. Sono tra le mutazioni più frequenti nei geni
studiati per la possibile associazione a disturbi comportamentali o a tratti di personalità, ad es. i geni
che codificano i recettori della dopamina (DRD1-5), i recettori della serotonina (5-HTR), il gene
COMT, il gene BDNF.

Polimorfismi a ripetizione di sequenze


Variable Number of Tandem Repeats e Short Tandem Repeats
Sono polimorfismi dovuti alla presenza di un numero vario di ripetizioni in tandem, testa-coda, di: -
minisatelliti ipervariabili (ripetizioni di 6-50 nucleotidi) - VNTR - microsatelliti (ripetizioni di 2, 3,
4 basi come AC, CAG, AAAT) - STR Si identificano utilizzando la PCR e successivamente enzimi
di restrizione che tagliano esternamente alle sequenze ripetute e generano un frammento di
lunghezza dipendente dal numero di ripetizioni presenti in un certo allele. Oppure mediante
sequenziamento diretto. Sono polimorfismi multiallelici, essendo variabile il numero di ripetizioni
presenti in vari individui. È molto improbabile che due individui non imparentati abbiano genotipi
uguali. Perciò lo studio di questi polimorfismi è utile in medicina legale e per l’analisi di paternità.
Sono anch’essi frequentemente studiati per la possibile associazione a disturbi comportamentali, ad
es. i geni DRD3, DRD4, DAT, 5-HTT, AR, ERbeta, CYP. 9

Conseguenze della presenza di sequenze ripetute


Sequenze ripetute nel DNA, sia di tipo VNTR che di tipo STR, causano un erroneo appaiamento
dei cromosomi omologhi alla meiosi e un successivo crossing over ineguale che porta all’ulteriore
aumento delle ripetizioni. L’espansione delle ripetizioni può diventare patologica e produrre
condizioni anche gravi, come la sindrome dell’X-fragile o la corea di Huntington. L’identificazione
di questi polimorfismi, compresi gli SNP, è fondamentale per gli studi di ereditarietà di caratteri
complessi come quelli comportamentali e la costruzione di mappe genetiche nella nostra specie.
Infatti, le sequenze polimorfiche rappresentano marcatori molecolari di regioni cromosomiche da
studiare nell’ereditarietà di famiglie con individui portatori di una qualunque condizione genetica,
da una caratteristica fisica a un tratto comportamentale o una patologia psichiatrica, per la
localizzazione di loci ad essa associati. In questo modo può essere effettuata un’analisi di linkage
che può portare alla definizione di sequenze di alleli associati o aplotipi. Il sequenziamento del
nostro genoma, completato nel 2003, permette di confrontare le mappe così prodotte con le reali
posizioni dei geni contenuti nelle regioni di interesse e di associare uno o più geni alla condizione
genetica in analisi. Ciò è importante per comprendere in maniera sempre più dettagliata il rapporto
che esiste fra genotipi e fenotipi complessi.

Mutazioni genomiche
Comprendono anomalie strutturali dovute a rotture della doppia elica e ad eventuali
rimaneggiamenti originati nei processi di riparazione, che sono anche definite aberrazioni
cromosomiche.
Come per le mutazioni genetiche, agenti chimici e radiazioni possono aumentare la
frequenza con la quale si verificano.
Possono verificarsi in cellule somatiche e germinali durante i processi mitotici e meiotici. Le
prime possono essere trasmesse alla progenie e alcune di esse sono compatibili con la vita.
Le seconde possono essere associate all’insorgenza di patologie come quelle tumorali.
Comprendono:
1. Delezioni (perdita di frammenti cromosomici)
2. Duplicazioni (comparsa di frammenti cromosomici aggiuntivi)
3. Inversioni (rotazione di 180° di frammenti cromosomici)
4. Traslocazioni (trasferimento di interi cromosomi o di loro frammenti su altri cromosomi)

Anomalie numeriche del cariotipo:

Aneuploidie
Sono note diverse alterazioni del normale assetto cromosomico, che producono condizioni
patologiche incompatibili con la vita oppure sindromi ben definite. Frequenti alterazioni del
normale assetto cromosomico sono dovute a errori nella divisione meiotica, sia maschile che
femminile.
Questi errori possono produrre le seguenti condizioni: Nullisomie - nelle quali mancano ambedue i
cromosomi di una coppia. Sono totalmente incompatibili con la vita e producono aborti molto
precoci.
Monosomie - nelle quali manca un cromosoma di una determinata coppia. Sono incompatibili con
la vita con l’eccezione della: monosomia del cromosoma X (45, X), sindrome di Turner.

Trisomie
Trisomie – Consistono nella presenza di tre copie di un determinato cromosoma invece di due
(polisomie). La maggior parte è incompatibile con la vita, producendo aborti spontanei. Alcune
permettono la vita per un tempo molto limitato dopo la nascita. Quando le trisomie non sono letali,
producono difetti fisici di vario grado che possono colpire più organi e apparati.
Spesso esse sono anche causa di deficit cognitivi, ritardo mentale e anomalie comportamentali.
Queste trisomie producono sindromi con fenotipi caratteristici: Trisomia 21 o Sindrome di Down
(47, +21) Trisomie degli eterocromosomi: sindrome di Klinefelter (47, XXY) superfemmina (47,
XXX)(48, XXXX) supermaschio (47, XYY)

Trisomie e aborti spontanei


La presenza di aneuploidie, e di trisomie in particolare, sembra essere una condizione molto
frequente negli aborti spontanei analizzati, come mostrato dal seguente grafico. Eppure, le trisomie
sono le aneuploidie più compatibili con la vita.

Epigenetica
Dall’originale significato del termine coniato dal biologo britannico Conrad Waddington fin dal
1942 (epigenesi), il termine epigenetica intende oggi una serie di effetti fenotipici inspiegabili
attraverso la genetica mendeliana e attribuibili a modificazioni ereditabili del DNA e/della
cromatina che però lasciano inalterate le sequenze nucleotidiche, perciò non ascrivibili a mutazioni
del DNA. Queste modificazioni consistono nella metilazione/demetilazione del DNA,
nell’acetilazione/deacetilazione degli istoni, processi già descritti nella lezione 8_2 e includono,
secondo osservazioni più recenti, altri meccanismi post-trascrizionali della regolazione
dell’espressione genica, compreso il controllo della traduzione da parte di RNA non codificanti,
quali microRNA e long-non coding RNA, dei quali si è fatto un accenno nella lezione 9_1.
L’epigenetica attrae oggi un grande interesse nello studio del nostro comportamento poiché
l’espressione di geni neuronali è sottoposta al controllo epigenetico e può essere modificata in
maniera stabile dalle interazioni gene x ambiente.
Metilazione del DNA
La metilazione del DNA è catalizzata da una serie di enzimi denominati DNA metiltransferasi che
agiscono su residui di citosina contenuti nelle isole CpG.
Questi enzimi sono regolati:
1. Alcuni di essi durante il ciclo cellulare assicurando il mantenimento del pattern di metilazione
attraverso ogni fase S.
2. Alcuni sono attivati da specifici stimoli ambientali in vari tessuti, comprese le cellule neuronali,
modificando la metilazione e conseguente espressione di specifici geni.

La metilazione del DNA è il processo molecolare identificato come responsabile del fenomeno
dell’imprinting genomico, che caratterizza le sequenze di alcuni geni e attraverso il quale questi
geni sono espressi nelle cellule dell’organismo durante lo sviluppo e per tutta la vita, solo se
derivati in maniera corretta da uno o dall’altro genitore. Errori in questi meccanismi o mutazione in
diversi geni di una regione del cromosoma 15 umano sottoposta ad imprinting genomico producono
condizioni patologiche come la sindrome di Prader-Willi e quella di Angelmann, ambedue causa di
ritardo mentale.

Metilazione del DNA e ritardo mentale


La sindrome dell’X-fragile è dovuta a una ipermetilazione della regione promotrice del gene FMR1,
X-linked, conseguente a una mutazione genica da espansione di triplette CGG (Short Tandem
Repeats, STR, descritte nella lezione 13_3) dovuta a crossing over ineguale. L’espansione delle
triplette produce un’isola CpG metilata. Il gene FMR1 non è espresso nei maschi affetti (la
sindrome è recessiva) e ciò provoca fra l’altro ritardo mentale. Anche la sindrome di Rett è causata
dalla mutazione di un gene che codifica una proteina che lega le isole CpG e recluta la DNA
metiltransferasi. La mutazione è X-linked dominante e gli individui affetti sono mutanti, essendo la
loro patologia causata da mutazioni sporadiche che avvengono nelle cellule geminali parentali. Ciò
porta alla ipermetilazione di diversi geni che causano difetti nel neurosviluppo, sintomi dello spettro
autistico e ritardo mentale

Modificazioni degli istoni


Le proteine istoniche possono essere modificate mediante acetilazione, come già visto, con
variazione del loro legame al DNA ed effetti sull’attività trascrizionale. L’acetilazione favorisce la
trascrizione La deacetilazione impedisce la trascrizione Sono note altre modificazioni delle proteine
istoniche, quali la fosforilazione, la metilazione, fino alla ubiquitinazione (l’ubiquitina è stata
descritta nella lezione 9_1).
Specifiche proteine istoniche presentano numerosi residui amminoacidici normalmente sottoposti a
una delle modificazioni su elencate e ciò rappresenta un codice nel quale diverse combinazioni delle
varie modificazioni possono modulare finemente il grado di espressione dei geni compresi nei tratti
nucleosomici interessati, con conseguenze sul differenziamento tissutale e sullo sviluppo in
generale.

Inattivazione del cromosoma X


La genetista britannica Mary Lyon scoprì il fenomeno dell’inattivazione di uno dei due cromosomi
X nelle cellule femminili, nel 1961. Il fenomeno, conosciuto come Lyonizzazione, porta alla
formazione di eterocromatina sesso-specifica detta corpo di Barr e descritta nella lezione 13_4.
Questo fenomeno si verifica nell’embrione preimpianto nei cui blastomeri uno dei due cromosomi è
sottoposto a inattivazione casuale per metilazione e deacetilazione degli istoni. Come conseguenza,
metà delle cellule di un embrione femmina esprimerà uno dei due cromosomi X, metà l’altro, e
questa condizione sarà mantenuta per tutta la vita della donna (le donne sono perciò definite
mosaici fenotipici.
L’eterocromatizzazione del cromosoma X è iniziata in una regione detta centro di inattivazione del
cromosoma X (Xic). Qui è presente il gene Xist, che produce un trascritto specifico del cromosoma
X inattivo, un RNA lungo non codificante (lncRNA), che ricopre tutto il cromosoma e ne causa le
modificazioni molecolari responsabili della sua inattivazione.
Il cromosoma X inattivato continuerà ad essere inattivo in tutte le cellule discendenti di quella nel
quale è stato inattivato in origine.

RNA non codificanti


Gli RNA non codificanti comprendono i microRNA che regolano negativamente l’espressione di
geni specifici attraverso la degradazione o l’inattivazione della traduzione dei loro messaggeri, e i
lncRNA, che modificano a più livelli l’espressione di geni specifici, ad es. contrastando la
metilazione del DNA o interagendo con intensificatori e fattori di trascrizione, sequestrando
microRNA o formando duplex con mRNA. La funzione del lncRNA di Xist è stata già descritta.
È oggi noto che molti processi neuronali sono sottoposti a meccanismi di regolazione di espressione
genica che coinvolgono i microRNA. Questi processi vanno dall’allungamento degli assoni e dei
dendriti, alla sinaptogenesi, fino alla morte cellulare per apoptosi. È facile capire come la
comprensione di questi meccanismi possa influenzare radicalmente lo studio dell’eziologia di
sintomi psicologici e patologie psichiatriche.

Genetica di popolazione
1. Studia le differenze genetiche tra gli individui di una popolazione, i fenomeni che tendono a
mantenere costanti le frequenze alleliche di determinati polimorfismi e a farle variare nel tempo.
2. Riconosce le spinte evolutive che possono modificare omogeneamente gli individui di una
specie.
3. Permette di comprendere perché nel tempo sono mantenute nella popolazione le varianti rare,
generalmente causa di malattie genetiche anche letali.

Definizioni di base:
1. Specie: insieme di individui che vivono in qualunque parte del mondo e sono fra loro
interfecondi, possono cioè accoppiarsi producendo prole fertile.
2. Popolazione: insieme di individui appartenenti alla stessa specie che occupano la stessa area
geografica e possono accoppiarsi liberamente fra loro.

Frequenze alleliche nella popolazione


La genetica di popolazione può applicarsi allo studio delle caratteristiche di qualunque sistema
allelico della popolazione analizzandone in particolare le frequenze. L’insieme degli alleli in un
dato locus rappresenta il pool genico della popolazione e corrisponde statisticamente all’insieme dei
gameti aploidi prodotti da tutti gli individui, con le relative frequenze. La distribuzione degli alleli
nella popolazione corrisponde perciò a quella dei gameti e ogni individuo, diploide, è considerato
come l’incontro di due gameti e quindi di due alleli. In un sistema biallelico, considerato un certo
locus genico, il calcolo delle frequenze alleliche, ad esempio di un SNP, si effettua definendo
dapprima le frequenze dei genotipi degli individui in esame, mediante un’analisi per PCR e
digestione con un enzima di restrizione o sequenziamento, come visto in precedenza:
Calcolo delle frequenze alleliche
Le frequenze alleliche si calcolano a partire da quelle genotipiche, sommando il numero di alleli
dello stesso tipo. n A = n AA x 2 + n Aa n a = n aa x 2 + n Aa
I valori ottenuti sono poi divisi per il numero totale di alleli, cioè il numero di individui x 2. La
somma di queste frequenze è sempre uguale a 1. Le procedure qui descritte sono denominate conta
diretta.

Legge di Hardy-Weinberg
Il calcolo appena effettuato può essere utilizzato per prevedere quali saranno le frequenze dei
genotipi nelle generazioni successive a partire dalla popolazione in esame. Infatti queste frequenze
dipendono esclusivamente dalle frequenze dei gameti della popolazione iniziale. Questa previsione
si ottiene con una formula proposta da Hardy e Weinberg all’inizio del 1900 con gli assunti che: 1.
la popolazione sia sufficientemente grande (infinita) 2. tutti gli individui abbiano la stessa
probabilità di riprodursi 3. l’accoppiamento fra individui sia casuale 4. la popolazione sia statica 5.
non si verifichino mutazioni che producano nuovi alleli.

Genetica di popolazione
Con questa lezione chiudiamo il nostro corso. Restano da analizzare il test di Hardy-Weinberg di
una popolazione in esame, che ha lo scopo di permettere un’analisi delle sue dinamiche genetiche,
come vedremo tra poco, e le condizioni che causano deviazioni dall’equilibrio e che sono alla base
dei fenomeni evolutivi. Selezione naturale ed evoluzione chiuderanno gli argomenti

Agenti che modificano l’equilibrio di Hardy-Weinberg


La legge di Hardy-Weinberg non trova applicazione quando anche una sola delle condizioni di
esistenza non sia rispettata. Esistono degli fattori dovuti al verificarsi di fenomeni casuali o a
processi migratori, che modificano le frequenze genotipiche e alleliche in una popolazione facendo
sì che i sistemi allelici evolvano nel tempo e con essi popolazioni e specie.
L’accoppiamento non casuale, l’opposto della panmissia, anche detto accoppiamento assortativo
(matrimonio fra persone affini o appartenenti a piccole comunità), o l’inincrocio (accoppiamento fra
parenti, anche autoimpollinazione nelle piante), portano all’aumento delle frequenze degli
omozigoti (seconda legge di Mendel) e della variabilità genetica. La deriva genetica è una
fluttuazione casuale delle frequenze alleliche che si osserva nelle piccole popolazioni (ad esempio
isolate geograficamente) per accoppiamenti non casuali.
Nella piccola popolazione le frequenze di una coppia di alleli possono variare di molto (un allele
può anche scomparire rapidamente) rispetto a quella del resto della popolazione. L’effetto del
fondatore, il collo di bottiglia, la migrazione modificano ugualmente le frequenze di coppie di alleli
perché coinvolgono piccoli gruppi che poi possono espandersi producendo frequenze finali molto
diverse da quelle della popolazione originale.

Charles Darwin e la selezione naturale


Il fattore geneticamente più rilevante ai fini dell’evoluzione è, comunque, la selezione naturale che
vaglia direttamente le qualità fenotipiche degli individui ed è strettamente legata all’ambiente.
Charles R. Darwin nel suo libro Origine delle specie (1859) riportò le osservazioni naturalistiche
compiute durante un lungo viaggio intorno al mondo, che rappresentarono una svolta per la
comprensione delle dinamiche evolutive di tutte le specie viventi. Darwin comprese che in una
popolazione naturale non tutti gli individui hanno la stessa probabilità di riprodursi dando alla luce
lo stesso numero di figli. Infatti ogni individuo interagisce continuamente con l’ambiente che ne
influenza la probabilità di riprodursi, e questa varia da individuo a individuo. L’insieme delle spinte
naturali che agiscono su tutti gli individui favorendone alcuni rispetto ad altri costituisce la
selezione naturale e l’indice biologico che misura la capacità riproduttiva di un individuo è definito
fitness

Charles Darwin e la selezione naturale


Grazie alle sue osservazioni, Darwin concluse che:
1. poiché le risorse a disposizione di una popolazione non sono infinite, non tutti gli individui si
riproducono;
2. qualunque variazione genetica in un individuo in grado di migliorare la sua fitness, cioè il suo
adattamento all’ambiente, migliora la sua capacità riproduttiva e sarà trasmessa alla progenie la
quale la trasmetterà a sua volta alla propria;
3. nel tempo, perciò, la popolazione si arricchirà di individui con le nuove caratteristiche,
soppiantando infine gli altri.

In questo modo le caratteristiche delle popolazioni cambiano in funzione degli ambienti e se gli
individui di due popolazioni inizialmente uguali accumulano variazioni genetiche che li fanno
diversificare al punto da essere più di essere interfecondi, le due popolazioni diverse diventano
specie diverse (speciazione). Questi processi sono alla base dell’evoluzione biologica degli
organismi

Darwinismo e neodarwinismo
Inizialmente, il Darwinismo fu osteggiato dai sostenitori del creazionimo e ignorato per decenni
fino all’inizio del 1900, quando il lavoro di altri genetisti permise di riscoprire l’opera di Mendel. I
meccanismi genetici proposti da Mendel rappresentarono il substrato molecolare che spiegava le
intuizioni di Darwin sulla natura della variabilità genetica. L’integrazione delle scoperte di Darwin,
quelle di Mendel, le acquisizioni delle genetica molecolare e di popolazione e le evidenze della
paleontologia portarono nel corso del secolo scorso alla definizione del neodarwinismo, la teoria
evoluzionistica oggi più accreditata.

Selezione direzionale e polimorfismo bilanciato


La selezione naturale modifica le frequenze alleliche agendo sulla fitness. Alcuni modelli sono
esemplificativi di questo concetto:
1. Selezione direzionale - opera contro un allele causa di una patologia letale. L’effetto varia in caso
di dominanza o recessività dell’allele: nel primo caso esso è eliminato immediatamente, nel secondo
caso la selezione contro l’allele è molto lenta perché esso sopravvive negli eterozigoti. La selezione
a favore di un allele che porta un vantaggio è rapida e fa diffondere velocemente l’allele nella
popolazione.
2. Polimorfismo bilanciato – se la selezione penalizza entrambi gli omozigoti, gli eterozigoti sono
favoriti e la frequenza dell’allele meno diffuso risulta più alta di quanto non sarebbe se la selezione
agisse solo sugli individui per esso omozigoti. Questa condizione mantiene nel tempo una elevata
variabilità nella popolazione. Il classico esempio è fornito dall’anemia falciforme, una patologia
autosomica recessiva dovuta a una mutazione missenso della catena beta dell’emoglobina, una
condizione letale. Nonostante l’allele recessivo letale rappresenti una variante rara, nelle
popolazioni subsahariane nelle quali è ancora presente la malaria la sua frequenza è insolitamente
elevata poiché gli eterozigoti, portatori del tratto falciforme, sono più resistenti all’infezione e
hanno un vantaggio riproduttivo, quindi fitness più elevata rispetto agli omozigoti dominanti. Anche
la beta talassemia è più diffusa nelle zone mediterranee per lo stesso motivo

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