Altezza (pitch)
Per comprendere il concetto di altezza dobbiamo prima
brevemente passare per quello di frequenza. La frequenza di
un'onda sonora – che, ricordiamolo, è l'alternanza di compressioni e
rarefazioni delle molecole d'aria indotte dalla vibrazione di un
oggetto - è quante volte l'onda stessa vibra in 1 secondo. La
frequenza viene misurata in Hertz (Hz).
Veniamo ora all'altezza del suono. Essa è essenzialmente una
descrizione della frequenza del suono stesso. Dunque, diverse
altezze – o pitch - corrispondono a diverse frequenze. Ecco perché il
concetto di frequenza è propedeutico a quello di altezza. Un pitch
alto significa alta frequenza, e un pitch basso significa bassa
frequenza.
L'altezza è, in definitiva, la qualità di un suono, che ci porta ad
etichettarlo come “più alto” o “più basso” all'ascolto. Un ascoltatore
con orecchio assoluto – avremo senz'altro sentito nominare
quest'espressione in ambito musicale – è colui che ha un orecchio
così sintonizzato da poter identificare esattamente una nota
ascoltandola. I musicisti particolarmente talentuosi possono persino
suonare un intero brano musicale dopo averlo ascoltato una sola
volta!
Intensità
I suoni possono variare in quanto a volume e sembrarci più o
meno alti, o bassi. Il volume è determinato dall'intensità delle onde
sonore. Ma che cos'è l'intensità? L'intensità è la quantità di energia
impressa nelle onde sonore. Essa si misura in decibel (dB).
Quanto più aumentano i livelli di decibel, tanto più intense
saranno le onde sonore, e, di conseguenza, i suoni. Ad esempio, per
ogni aumento di 10 decibel dell'intensità del suono, il volume sarà di
10 volte maggiore. Pertanto, una stanza “silenziosa” di 30 decibel è
in realtà dieci volte più rumorosa di un sussurro da 20 decibel, e una
pioggia “leggera” di 40 decibel è ben cento volte più forte del
sussurro!
Come sappiamo, i suoni ad alto decibel sono pericolosi. Possono
danneggiare gravemente l'udito fino a causarne la totale perdita.
Diamo un'occhiata all'immagine qui sotto.
Timbro
Anche se a scuola abbiamo imparato che il suono è un'onda,
quest'onda non ha una forma sinusoidale così uniforme come
appare nei libri. Ogni onda sonora ha una forma caratteristica, che
dipende dal materiale che ha prodotto il suono. Questo è ciò che
definisce il timbro del suono.
Il timbro – detto anche colore o qualità del tono - è ciò che
differenzia due suoni della stessa frequenza, ossia la stessa nota.
Ad esempio, la nota DO suonata sulla chitarra suona molto diversa
dalla nota DO suonata sul piano o sul flauto. Ciò significa che questi
strumenti hanno timbri diversi.
Nell'immagine qui sotto vediamo alcuni esempi di forme d'onda
prodotte da diversi strumenti.
Come possiamo notare, le onde sonore prodotte da clarinetto e
tromba sono alquanto irregolari.
Durata
La definizione di durata è piuttosto intuitiva. Essa indica la
permanenza di un suono per un certo un lasso di tempo.
L'altezza di un'onda sonora ha una durata che controlliamo
volutamente per creare il ritmo. Un'onda sonora inizia e prosegue il
suo percorso finché non la fermiamo. Alleniamo la nostra bocca e le
nostre dita per far sì che intervengano nel momento esatto. Le dita
premono più di un tasto alla volta, le corde vocali si riadattano, i
percussionisti suonano la batteria secondo una certa sequenza, e i
suonatori di ottoni azionano dita e labbra in modo tale da allungare o
accorciare la durata di una nota. Pensiamo anche ai tromboni e ai
flauti a coulisse, che scorrono avanti e indietro per cambiare
gradualmente una colonna d'aria.
Pentagramma
Il rigo musicale è la base per la notazione musicale, costituito da
un insieme di cinque linee orizzontali e dai quattro spazi che si
trovano tra le linee. È detto “staff” in inglese americano, “stave”
nell'inglese britannico, “portée” in francese “Notensystem” in
tedesco.
Il pentagramma può essere pensato come un grafico musicale su
cui vengono posizionate note musicali, pause e simboli musicali per
indicare al lettore l'altezza specifica di una nota. Le note sono scritte
sopra e fra i righi del pentagramma, ma quando escono dai righi che
lo compongono, vengono posizionate sui tagli addizionali che si
trovano sotto e sopra il rigo. Approfondiremo il tema dei tagli
addizionali in un paragrafo successivo.
Quando si contano i righi e gli spazi su un pentagramma, si parte
sempre dalla riga più in basso, che è indicata come la prima riga,
mentre la riga più in alto di tutte è la quinta.
Note
Il termine “nota” in musica descrive l'altezza e la durata di un
suono. Qual è l'altezza di una nota musicale? L'altezza cambia a
seconda della frequenza delle vibrazioni, o onde sonore, emesse.
Maggiore è la frequenza dell'onda, maggiore sarà l'altezza della
nota. In musica ci sono altezze specifiche che caratterizzano note
standard.
La maggior parte dei musicisti usa uno standard chiamato scala
cromatica. Nella scala cromatica ci sono 7 note musicali principali
chiamate Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si. Ognuna rappresenta un'altezza
diversa. Ad esempio, la nota La centrale ha una frequenza di 440 Hz
e la nota Si centrale ha una frequenza di 494 Hz.
Ci sono variazioni di ciascuna di queste note, chiamate diesis e
bemolle. Per ora useremo un linguaggio più semplificato, e ci
basterà sapere che un diesis è “mezzo passo” verso l'alto, e un
bemolle è “mezzo passo” verso il basso. Ad esempio, un “mezzo
passo” avanti di Do sarebbe il Do diesis.
Quella introdotta è la notazione musicale classica sillabica,
utilizzata principalmente da italiani, portoghesi, greci, francesi, russi,
fiamminghi, rumeni, spagnoli, ebraici e turchi. Tuttavia, al giorno
d'oggi tende ad essere universalmente più usata la nomenclatura
americana, o alfabetica, tipica della musica jazz.
Per allenarci a leggere e riconoscere le note nel pentagramma,
basterà semplicemente prima leggerle in successione, osservando
bene la loro collocazione, e poi, coprendo le lettere con la mano o
con un foglio, provare ad associare a ciascuna nota il suo nome
corretto. Nella seguente immagine ci sono entrambe le
nomenclature, quella italiana e quella americana.
Chiavi
Abbiamo già accennato alle chiavi di violino e di basso. Esistono
anche le cosiddette chiavi antiche - soprano, mezzosoprano,
contralto e tenore – tutte sintetizzabili sotto la chiave di Do. Essa si
traccia sulla terza linea del pentagramma. Attualmente è utilizzata
per viola, viola d'amore, viola da gamba, trombone contralto e
mandola. È anche associata alla voce del controtenore e talvolta
chiamata appunto “chiave del controtenore”. Occasionalmente
appare nelle sinfonie e nella musica per tastiere. Tuttavia, come
avremo intuito, queste chiavi di Do non sono indispensabili al fine
che ci preponiamo in questo libro, e dunque non le approfondiremo.
La chiave di violino è usata negli spartiti per pianoforte (mano
destra), chitarra, violino, flauto, oboe, clarinetti, sassofoni, corno,
tromba ed altri. Essa permette di annotare anche i suoni molto acuti.
Per i cantanti, la chiave di violino è usata con le seguenti voci:
tenore, contralto, mezzosoprano, soprano. Questa chiave si traccia a
partire dalla seconda linea del rigo musicale, quindi la nota musicale
sulla seconda riga è proprio un Sol. Il Do centrale è annotato sul
primo taglio addizionale sotto al pentagramma contrassegnato da
questa chiave.
La chiave di basso è usata negli spartiti per pianoforte (mano
sinistra), violoncello, contrabbasso, basso, fagotto, trombone, tuba,
timpani, et similia. Essa permette di annotare con facilità i suoni
gravi. Anche il baritono e la voce di basso usano la chiave di basso.
Essa si traccia a partire dalla quarta riga del pentagramma, dunque
la nota musicale sulla quarta riga è un Fa. Il Do centrale è annotato
sul primo taglio addizionale sopra al pentagramma contrassegnato
da questa chiave.
Inizialmente basterà imparare a leggere le note sul pentagramma
in chiave di violino. La lettura delle note sul pentagramma in chiave
di basso sarà, almeno all'inizio, meno immediata.
Battute
La battuta, detta anche misura, è sostanzialmente la divisione di
un pezzo musicale in parti della medesima durata.
Questa divisione è indicata mediante piccole barre verticali scritte
sul pentagramma, che si chiamano stanghette. La battuta contiene
un certo numero di tempi, o movimenti, che si susseguono
ciclicamente, seguendo un ordine di tempi forti – sui quali cade
l'accento – e di tempi deboli – sui quali non cade l'accento. All'inizio
del pentagramma c'è una frazione che indica, appunto, questi tempi.
Essa si trova dopo la chiave e dopo le possibili alterazioni che
denotano la tonalità del pezzo, e che possono trovarsi sia a inizio
pentagramma, sia nel corso del brano stesso.
Nella frazione a inizio pentagramma, il numeratore indica il
numero di tempi che troveremo nella battuta, mentre il denominatore
indica il valore di ciascuno di questi tempi. Se, ad esempio, troviamo
come frazione ¾, significa che la battuta è composta da tre tempi di
¼ ciascuno, come indicato nell'immagine qui sotto. Naturalmente,
nella battuta troviamo anche le pause: l'essenziale è che tutti i valori
contenuti nella battuta, note e pause, se sommati, non diano un
risultato superiore al valore della frazione di partenza. Più avanti
approfondiremo sia il valore delle note che delle pause.
Tagli addizionali
Essi vengono utilizzati nella notazione musicale occidentale per
annotare altezze che eccedono al di sopra o al di sotto delle linee e
degli spazi del pentagramma regolare. Potremmo dunque definirli
come un'estensione del pentagramma stesso.
Una linea leggermente più lunga della testa della nota – la parte
a cerchietto, per intenderci - viene tracciata parallelamente al rigo,
sopra o sotto, mantenendo la stessa distanza che hanno fra loro le
linee all'interno del pentagramma.
Possiamo tracciare infiniti tagli addizionali? All'incirca tre o
quattro sono il massimo per la maggior parte degli spartiti che
vengono utilizzati per l'esecuzione di un brano. Più righe vengono
utilizzate, più difficile sarà la lettura per i musicisti.
Tono e semitono
Per comprendere il concetto di tono e semitono, prendiamo in
esame la scala musicale di Do maggiore. È la classica scala che più
o meno tutti già conosciamo: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do.
Osserviamo poi la tastiera di un pianoforte e portiamo
l'attenzione sui tasti neri che stanno fra quelli bianchi. La distanza tra
ciascuno di questi tasti bianchi ed il tasto nero adiacente è detta
“semitono”. Se pigiamo tutti i tasti del pianoforte, bianchi e neri, a
partire dal Do - Do, Do #, Re, Re #, Mi, e così via - sia in ordine
ascendente che discendente, stiamo proprio suonando dei semitoni.
Il semitono è la distanza minima fra due tasti del pianoforte. Due
semitoni formano un tono. Il semitono è anche noto come mezzo
tono.
A partire da questa definizione, evinciamo che tra il Do e il Do #
c'è un semitono, tra il La e il La # un semitono, tra il Fa e il Sol un
tono, tra il Sol e il La un tono, e via dicendo. Quando prendiamo in
considerazione due tasti del pianoforte adiacenti fra loro, otteniamo
quindi un semitono. Come già detto, questo vale sia in ordine
ascendente che discendente, dunque, se suoniamo un Re, avremo
una distanza di un semitono sia suonando un Re # - il tasto dopo –
sia suonando un Do # - il tasto prima. Guardiamo l'immagine qui
sotto. La distanza tra il Mi e il Fa sarà di un tono o di un semitono?
Diesis e Bemolli
Cosa sono i diesis in musica?
Le note alla cui sinistra compare il simbolo del diesis (#) sono
note che suonano un semitono più alte delle note che compaiono
sulle linee e sugli spazi di un rigo musicale. Ad esempio, la nota Sol
è collocata sulla seconda linea del pentagramma in chiave di violino,
e la nota Sol diesis sarà semplicemente indicata con la stessa nota,
più il simbolo # posto alla sua sinistra.
Il simbolo # indica universalmente una nota in diesis, ossia una
nota di un semitono più alta. Ad esempio, l'immagine seguente
indica la nota Do diesis sul pentagramma in chiave di violino.
Legatura
La legatura di valore è una linea curva che unisce due o più note
della stessa altezza; il suono si prolunga, oltre il valore della prima
nota, anche per il valore delle note legate. La seconda nota è
sostanzialmente una continuazione della prima.
Pause
Una pausa in musica è un tipo di simbolo che indica che il
musicista non dovrebbe suonare e che dovrebbe esserci silenzio.
Ogni tipo di nota, come semiminime, minime, eccetera, ha un
corrispondente simbolo di pausa, che ha lo stesso valore di tempo. I
tipi di pausa sono:
Contrattempo
Il contrattempo, come la sincope, è lo spostamento dell'accento
ritmico, solo che in questo caso il suono invece di prolungarsi sul
movimento forte viene troncato da una pausa. In pratica, è la
comparsa di silenzi nelle parti normalmente accentate della battuta -
o del tempo - che si alternano ai suoni che caratterizzano le parti
non accentate. Il non-prolungamento del suono nel tempo, o la
suddivisione del tempo forte, è ciò che differenzia il contrattempo
dalla sincope.
Quando si tratta di queste due peculiarità ritmiche - sincope e
contrattempo – è interessante sottolineare che gli strumenti musicali
a percussione, idiofoni e membranofoni, poiché non sono in grado di
emettere suoni prolungati, possono eseguire solamente il
contrattempo, il quale tra l'altro apparirà più marcato e netto.
4. Scale e modi
Ora che abbiamo appreso i concetti base della teoria musicale, in
particolare pause, note ed il loro valore, possiamo passare alle scale
e ai modi.
Scale
Una scala è una sequenza ordinata di note. Ad esempio: Do, Re,
Mi, Fa, Sol, La, Si, Do... e così avanti verso l'ottava successiva.
Ricordiamo che la spiegazione di ottava si trova nel paragrafo sui
diesis e i bemolli. Su questa scala, iniziamo con la nota Do e
seguiamo una sequenza di intervalli ben definita, fino a ritornare alla
nota Do.
Questa sequenza di intervalli è precisamente: tono, tono,
semitono, tono, tono, tono, semitono, per poi ripetere il ciclo.
Ricordiamo che nell'intervallo tra il Mi e il Fa e tra il Si e il Do sulla
tastiera del pianoforte manca il tasto nero, giusto? Ecco dunque
perché nella sequenza appena vista in terza e settima posizione
abbiamo un semitono.
Questa scala è chiamata “scala maggiore”. Possiamo usare la
stessa sequenza della scala maggiore anche partendo da una nota
diversa dal Do, ad esempio partendo dal Sol. La scala sarebbe
quindi: Sol, La, Si, Do, Re, Mi, Fa #, Sol.
Le note nelle scale si chiamano “gradi”. Possiamo dunque dire
che, in questa scala, il settimo grado è in diesis. Ci staremo ora
chiedendo: perché il settimo grado, ovvero il Fa, è diesis? Perché è
stata seguita la stessa logica - tono, tono, semitono, tono, tono, tono,
semitono – anche nella seconda scala che parte dal Sol. Nel primo
caso, abbiamo formato la scala maggiore di Do, nel secondo, la
scala maggiore di Sol. L'immagine qui sotto ci chiarirà le idee.
Seguendo la stessa logica, possiamo costruire la scala maggiore
di tutte le 12 note – diesis compresi! - che conosciamo. Facciamolo
come esercizio, e poi diamo un'occhiata a questa tabella, che
mostra la scala maggiore delle 7 note di base:
Tonalità
La tonalità è la scala su cui si sviluppa un brano musicale.
Stabilito che ogni grado della scala può essere il punto di partenza,
cioè la nota tonica di una nuova scala, e sapendo che la scala
cromatica dispone di 12 suoni, avremo in tutto dodici tonalità
maggiori ed altrettante tonalità minori, in tutto 24.
Anche se studieremo gli accordi in un paragrafo successivo
esclusivamente ad essi dedicato, li useremo ora come punto di
partenza concreto per comprendere il concetto di tonalità. Gli accordi
di una certa tonalità sono insiemi di note estrapolate da una data
scala. Prendiamo la scala di Do maggiore come esempio: Do, Re,
Mi, Fa, Sol, La, Si.
Per ogni nota di questa scala, formeremo un accordo. Pertanto,
avremo sette accordi, che saranno gli accordi della tonalità di Do
maggiore. Ma come formarli? Per ogni nota della scala, il rispettivo
accordo sarà formato usando il 1°, il 3° e il 5° grado, contati a partire
da quella nota, andando avanti nella scala.
Cominciamo dalla nota Do. Il 1° grado è, appunto, Do; il 3°
grado, contando dal Do, è Mi; il 5° grado, sempre contando dal Do, è
Sol. Il primo accordo della tonalità di Do maggiore è quindi formato
dalle note Do, Mi, Sol. Notiamo che questo è l'accordo di Do
maggiore, e non semplicemente di Do. L’accordo di Do minore è
invece Do, Mib, Sol
Ora costruiamo l'accordo della nota successiva sulla scala, che è
Re. Il 1° grado è Re, il 3° grado, contando da Re su questa scala è
Fa; il 5° grado, sempre contando da Re, è La. Quindi, il secondo
accordo è formato dalle note Re, Fa e La. Notiamo che questo è
l'accordo di Re minore, perché la nota Fa è la terza minore di Re.
Ci saremo già resi conto che stiamo formando gli accordi di triadi
– tre note – ed usando solo le note che compaiono sulla scala in
questione, in questo caso, la scala di Do maggiore. È un buon
esercizio quello di provare a formare gli accordi rimanenti in chiave,
o tonalità, di Do.
Fantastico: abbiamo appena imparato a formare gli accordi di
una tonalità. Ma a che scopo? Ebbene, gli accordi di una certa
tonalità servono a molte cose, ed in primis servono ad impostare la
tonalità di una canzone o di un brano. Probabilmente avremo sentito
dire, parlando di musica, che una canzone è in una certa tonalità, o
chiave. Ecco, la tonalità di una canzone dipende dagli accordi in
essa presenti. Se un brano utilizza gli accordi formati dal 1°, 3° e 5°
grado della scala di Do maggiore, significa che quel brano è nella
tonalità di Do maggiore.
Detto questo, sappiamo che la scala da usare per fare un assolo,
improvvisare, creare riff, eccetera sulla canzone in questione sarà
ancora la scala di Do maggiore. Pertanto, conoscere gli accordi di
una tonalità è di grande utilità: questa conoscenza ci permette di
sapere quali note possiamo usare per fare gli arrangiamenti su una
certa canzone. Se conosciamo bene le caratteristiche della scala,
nulla ci impedisce di creare assoli e arrangiamenti in automatico,
abilità nota come “improvvisazione”.
Rivolti
Da quanto appreso finora, andiamo avanti e vediamo che ogni
accordo formato da tre note può essere suonato in stato
fondamentale. – quindi partendo dal 1°, al 3° fino al 5° grado -
oppure in primo rivolto, nell'ordine 3°, 5° e 1° grado, o ancora in
secondo rivolto, nell'ordine 5°, 1°, 3° grado. Ad esempio, l'accordo di
Do maggiore (Do-Mi-Sol) in primo rivolto sarebbe formato dalle note
Mi, Sol, Do, mentre in secondo rivolto dalle note Sol, Do, Mi.
Questo non deve portarci erroneamente a credere che i rivolti si
limitino solo ed esclusivamente alle semplici inversioni di note
sopracitate. Essi indicano, invece, tutti i diversi modi possibili in cui
le note possono essere disposte nell'accordo. Quest'ultimo è
paragonabile a un’addizione, dove anche cambiando l’ordine degli
addendi il risultato resta invariato. Se cambiamo l’ordine delle note al
suo interno, l’accordo manterrà comunque il medesimo valore, dal
punto di vista dell'armonia. Facciamo l'esempio della triade di Re
minore: Re, Fa, La. Se suoniamo il Re un’ottava più alta, la nota più
bassa sarà il Fa, e la triade diventa: Fa, La, Re, quindi terza, quinta,
fondamentale. In sostanza, dal punto di vista dell’armonia, nulla è
cambiato. Abbiamo ancora un accordo di Re minore, solo che
abbiamo invertito l' “ordine degli addendi”. Ciò non significa che
anche a livello sonoro l'accordo resterà invariato, infatti, una delle
note al suo interno sarà più alta di un'ottava, producendo un output
diverso a livello di suono.
Quando la nota più bassa è la fondamentale dell'accordo,
diciamo che esso è “in posizione diretta”. Se la nota più bassa è,
invece, la terza, diciamo che l’accordo è “in posizione di 1° rivolto”.
Se invece la nota più bassa è la quinta, diciamo che l’accordo è “in
posizione di 2° rivolto”.
Quando si studiano i rivolti in un corso di musica, ad esempio,
imparando uno strumento, può capitare che lo studente si senta
scoraggiato, poiché pensa: “Ho già fatto fatica a memorizzare le note
di ciascun accordo, ora mi tocca anche memorizzarle in ordine
inverso?”. È utile allora puntualizzare l’importanza, la convenienza
ed anche la rapidità dei rivolti, se concepiti nel modo giusto.
Innanzitutto, quando è opportuno usare i rivolti? Sempre. Il
motivo per cui essi vengono usati è quello di avvicinare accordi
altrimenti troppo distanti fra loro, sfruttando le note che hanno in
comune, altrimenti tali accordi, suonati così come sono,
genererebbero passaggi scomodi da suonare e non gradevoli
all'udito. Ogni accordo sarà accomunato al seguente da almeno una
nota, o perlomeno la nota sarà distante solo un tono o un semitono.
Ed inoltre, dove usare i rivolti? Abbiamo visto come le note in
comune permettano di eludere i salti, o passaggi scomodi, e il
risultato di ciò sarà che in una canzone gli accordi occuperanno un
minor intervallo di frequenza, producendo un accompagnamento più
lineare. Sfruttando sapientemente la tecnica dei rivolti, si possono
suonare tutti gli accordi mantenendosi nella stessa ottava.
Intervalli
L'intervallo in musica è la distanza in altezza tra due suoni.
Possiamo usare questo termine per indicare l'intervallo di un tono o
l'intervallo di un semitono, ad esempio; in breve, qualsiasi distanza
tra due note è un intervallo. Esso ha sempre a che fare con i gradi
delle scale, come vedremo.
Ripensando ai gradi, avremo notato di aver finora menzionato
solo 7 note usate nella musica occidentale, ovvero: Do, Re, Mi, Fa,
Sol, La, Si. Ma cosa succederebbe se volessimo associare i gradi
anche alle altre note, cioè Do #, Re #, Fa #, Sol #, La #? Per far ciò,
esiste una definizione più completa, come vedremo ora.
La prima nota è rappresentata dal primo grado, come abbiamo
già visto. Questo grado può anche essere chiamato il primo grado
maggiore. Prendiamo Do come esempio di primo grado. In questo
caso, la nota Re è il secondo grado, chiamato anche il secondo
grado maggiore. La nota Do # (o Reb ), in questo caso, è minore di
secondo grado. La terminologia “secondo grado minore” e “secondo
grado maggiore” è generalmente abbreviata in “seconda maggiore”
e “seconda minore”, e lo stesso vale per gli altri gradi maggiori e
minori. Questa nomenclatura - “maggiore” e “minore” - esiste per
indicare se l'intervallo, cioè la distanza tra le note, è breve o lungo.
Gli intervalli maggiori sono lunghi e gli intervalli minori sono brevi.
Si noti che, nell'esempio precedente, il “secondo grado maggiore”
rappresentava l'intervallo di un tono intero - perché Re è due
semitoni sopra il Do - e il “secondo grado minore” rappresentava
l'intervallo di un semitono - Re bemolle è un semitono sopra il Do.
Pertanto, questi nomi sono stati dati solo per dare un'indicazione
della distanza tra le note.
Espandendo il concetto a tutte le note, partendo dal Do, abbiamo
quanto segue:
Modo
Cosa sono i modi musicali? Sono un tipo di scala con
caratteristiche melodiche distinte. I 7 modi - ionio, dorico, frigio, lidio,
misolidio, eolio e locrio - provengono dalle prime forme di musica
occidentale. Prima di capire la matematica per dividere l'ottava in 12
toni uguali, ci siamo dovuti accontentare di un sistema imperfetto. I
modi erano la soluzione. Invece di usare una scala che poteva
essere trasposta in chiavi diverse, c'erano 7 modi che avevano
ognuno la propria struttura.
In che modo essi sono utili per scrivere canzoni? Ogni modo ha il
suo colore e il suo umore unico. Le loro impronte melodiche possono
portare molta drammaticità o freschezza al suono del brano. In
pratica, partendo da note diverse, muta la sensazione che ci
trasmette il suono, e mutano gli intervalli delle note. Se attacchiamo
con il Do, avremo senz'altro una melodia allegra, ma se cominciamo
dal Re, la melodia sarà più mesta. Come costruire i modi? Il loro
particolare suono proviene dalle loro costruzioni uniche, e dall'ordine
ben preciso che seguono. Ogni modo può essere costruito a partire
dalla scala di Do maggiore. Prendiamo come esempio il secondo di
essi, il dorico, giusto per farci un'idea di cosa si tratta.
Scriviamo la scala di Do maggiore, ma invece di fermarci
all'ottava (Do), scriviamo il grado della scala successivo (Re), come
se stessimo continuando l'ottava. Se cancelliamo il Do con cui
abbiamo iniziato, ora abbiamo una scala di 8 note che va da Re (1) a
Re (2). Questo è il secondo modo, abbastanza vicino alla scala di
Re minore, alla quale assomiglia, ma con alcune differenze
importanti. Il 6 ° grado è naturale, ma il 7 ° è bemolle. Questo modo
ha una sonorità cupa e malinconia, ed è dunque molto usato nelle
ballads. Di seguito lo vediamo illustrato.
Cos'è la melodia
La melodia è una piacevole serie di note che insieme
costituiscono la parte principale di una canzone o di un brano
musicale. Probabilmente saremo in grado di identificarla quando
ascoltiamo una canzone: le nostre orecchie sono infatti naturalmente
predisposte per percepire i toni alti meglio di quelli bassi, motivo per
cui molte canzoni sono costruite con la melodia ad un'altezza
maggiore rispetto agli altri elementi. Kliewer afferma che “gli
elementi essenziali di qualsiasi melodia sono durata, altezza e
qualità (timbro), consistenza e volume. Sebbene la stessa melodia
possa essere riconoscibile quando suonata con un'ampia varietà di
timbri e dinamiche, quest'ultima può comunque essere considerata
un ‘elemento di ordine lineare.” La ragione per cui la melodia è così
importante è che essa è la parte di una canzone che le persone
ricorderanno. Quando qualcuno dice “ho questa canzone in testa”,
quello che vuole veramente dire è “non riesco a smettere di pensare
a quest'orecchiabile melodia!”.
Cos'è l'armonia
L'armonia è il prodotto dell'unione di singole voci musicali che
formano un insieme coeso. Pensiamo ad un'orchestra: il suonatore
di flauto può suonare una nota, il violinista suonarne una diversa, e il
trombonista un'altra ancora, ma quando ascoltiamo queste singole
voci sommate, esse generano armonia.
Come viene rappresentata l'armonia in musica? Generalmente
come una serie di accordi. In quest'ipotetica orchestra, diciamo che il
flautista suonava un La alto, il violinista un Do # e il trombonista un
Fa #. Insieme, queste tre note costituiscono una triade minore di Fa
#. Pertanto, anche se ogni strumentista stava suonando una singola
nota, insieme stavano in realtà producendo un accordo minore di Fa
#. In particolare:
- Quando tutti gli strumenti in un insieme suonano note in linea
con lo stesso accordo, questo sarà chiamato “accordo
consonantico”.
- Quando, invece, i musicisti utilizzano una linea melodica che
non si adatta a un determinato accordo - come un oboista che suona
un Si b mentre il resto dell'orchestra sta suonando i toni di una triade
di Re maggiore – questo sarà noto come “accordo dissonante”.
Come viene usata l'armonia in musica? Essa può essere
completamente scritta dal compositore, oppure può essere delineata
dal compositore e interamente eseguita dai musicisti. Lo scenario
orchestrale sopra descritto è un esempio di armonia strettamente
scritta dal compositore, il quale ha assegnato note specifiche a
diversi strumenti, note che si combinano a formare accordi. Questa è
una pratica comune nella tradizione europea della musica classica.
Vediamo ora invece un esempio più popolare di armonia. Un altro
modo comune ai compositori di esprimere l'armonia è scrivere una
particolare progressione di accordi per poi consentire ai musicisti di
creare le proprie parti, adattandole più liberamente a quella
progressione. Per esempio, ascoltiamo la canzone “Down on the
corner” dei Creedence Clearwater Revival: essa è scritta nella
tonalità di Do maggiore, ed utilizza una progressione di accordi
comune a quella particolare tonalità, pertanto ci si aspetta che gli
strumentisti utilizzino la scala di Do maggiore per creare parti che si
adattino alla progressione di accordi. Nell'intro della canzone, Stu
Cook stabilisce una linea di basso composta principalmente da note
singole, il chitarrista ritmico esegue accordi a 5 e 6 note e l'altro
chitarrista, John Fogerty, suona una melodia basata sulla scala di Do
maggiore, il tutto accompagnato dal batterista. Tutti suonano in
armonia, seguendo sia la progressione di accordi sia la tonalità
complessiva di Do maggiore.
Accordi
Abbiamo già visto come formare gli accordi di una tonalità
usando le triadi. Ora estenderemo questo concetto alle tetradi. La
regola usata per formare gli accordi, per ricapitolare, era quella di
prendere il 1°, il 3° e il 5° grado della scala in questione. Adesso
faremo la stessa cosa, ma includendo anche il 7° grado, che
caratterizza una tetrade.
Analizzando la stessa scala di Do maggiore, a partire dalla nota
di Do, sappiamo che il 7° grado della scala, contando dal Do, è Si,
ed abbiamo già visto gli altri gradi. Pertanto, il primo accordo sarà
formato dalle note Do, Mi, Sol e Si. Questo è l'accordo di Do settima
maggiore - solitamente indicato con la nomenclatura americana
come Cmaj7 (dove “maj” sta per major), poiché Si è la settima
maggiore di Do.
Applicando la stessa regola alla nota successiva, il Re, vedremo
che il 7° grado è Do, quindi l'accordo sarà formato dalle note Re, Fa,
La, Do. Questo è l'accordo di Re minore settima (Dm7). Notare che
qui abbiamo la settima minore di Re, quindi usiamo il simbolo “m7”,
invece di “maj7” che caratterizzerebbe la settima maggiore.
Forse ci staremo chiedendo quale sia la differenza, dal punto di
vista pratico, tra questi due tipi di accordi che abbiamo formato, le
triadi e le tetradi. L'unica differenza è che, nel secondo tipo,
l'accordo contiene una nota in più, il che lo rende più “pieno” a livello
del suono. Invece, quando si tratta di scoprire la tonalità della
canzone, non cambia nulla.
Finora abbiamo usato la scala maggiore di Do come esempio.
Invece di specificare la tonalità - come per esempio Do maggiore -
ora rendiamo il tutto un po' più generico: parliamo degli “accordi di
una tonalità maggiore”, perché se applichiamo questa regola alla
scala maggiore di Sol, alla scala maggiore di La, o alla scala
maggiore di qualsiasi altra nota, avremo sempre una cosa in
comune, ossia che gli accordi di settima seguiranno la formazione
seguente, dove i numeri romani indicano i gradi della scala:
I maj7, II min7, III min7, IV maj7, V 7, VI min7, VII min7
Possiamo verificarlo formando gli accordi delle altre tonalità, oltre
al Re. Prendiamo la scala maggiore di Mi e gli accordi ad essa
associati, ad esempio: