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Teoria Musicale

Il Manuale Completo per Comprendere la Musica; Tutti Gli Elementi


Musicali, il Ritmo, la Melodia, l’Armonia, i Modi, La Composizione e
Molto Altro!
Table Of Contents
1. Introduzione
2. Il suono
3. Teoria Musicale
4. Scale e modi
5. Melodia e armonia
6. Usare la teoria musicale per scrivere musica
7. Conclusione
1. Introduzione
È difficile trovare qualcuno al mondo che non ami la musica o
che affermi di non ascoltarne affatto. A tutti, in misura maggiore o
minore, piace la musica. “La musica colpisce i centri emotivi profondi
del cervello”, afferma Valorie Salimpoor, neuroscienziata della McGill
University che studia il cervello in relazione alla musica. “Un singolo
suono non è veramente piacevole di per sé, ma se questi suoni
vengono organizzati nel tempo in una sorta di arrangiamento, ciò
che ne risulta è incredibilmente potente.”
Proprio perché la musica ci colpisce nel profondo, suscitando in
noi emozioni o richiamando alla mente particolari momenti vissuti,
avremo senz'altro anche noi fantasticato sul mettere in musica un
pensiero, una poesia, un testo che ci è venuto in mente e che
abbiamo velocemente appuntato su un foglio svolazzante, per
catturare quel lampo di ispirazione. Chi di noi non ci ha pensato
almeno una volta?
Il problema qui sorge quando siamo degli autodidatti che
conoscono solo le basi minime - o nulla - di teoria musicale. Sono
tanti gli autodidatti che procedendo per tentativi, o affidandosi ad un
manuale pratico, o – come si suol dire – andando “ad orecchio”, si
sono più o meno avvicinati alla padronanza di uno strumento
musicale. Tanti iniziano suonando la chitarra “da spiaggia”,
imparando i principali accordi maggiori, minori e di settima, per
accompagnare gli amici che cantano una canzone famosa; altri si
avventurano nello studio del pianoforte acquistando un manuale
pratico o seguendo video tutorial su YouTube.
Man mano che prendiamo confidenza con i suoni prodotti dalle
successioni di accordi, o più ascoltiamo e tentiamo di riprodurre delle
canzoni che ci piacciono, sorge in noi l'aspirazione a provare a
comporre qualcosa di nostro. Non appena tentiamo, ci rendiamo
però conto di avere dei limiti, di non essere certi che un determinato
passaggio sia esatto e che suoni gradevole all'orecchio, e sorgono in
noi dei dubbi.
A questo punto è bene affidarsi ad un manuale che spieghi le
basi della teoria musicale in modo chiaro e semplice, e che non si
limiti ad illustrarci la teoria musicale di per sé, al solo fine di
impararla, ma che compia un salto in avanti, avviandoci alla scrittura
di brani musicali e canzoni. Il manuale sarà anche ricco di
approfondimenti pratici e di immagini che facilitino la comprensione
dell'astratta teoria. Molti saranno i suggerimenti utili per passare
dalla teoria alla pratica, per mettere insomma in atto quel che viene
spiegato a parole.
Al termine della lettura di questo manuale, avremo compreso i
concetti di base della teoria musicale e, soprattutto, saremo in grado
di applicarli alla stesura di melodie ed armonie gradevoli all'ascolto,
e di usare le scale, gli accordi e il circolo delle quinte per scrivere
musica. Disporremo degli strumenti adeguati per portare a un livello
concreto i nostri pensieri, i nostri ricordi, le nostre emozioni, e per
lasciare spaziare la nostra vena artistica e creativa.
Nessuno dovrà pensare di non essere all'altezza. Questo
manuale è infatti rivolto ai principianti e a chi ha poche conoscenze
in ambito di teoria della musica. Iniziamo subito.
2. Il suono
Lo sentiamo sempre nominare, ma ci siamo mai chiesti davvero
cosa sia il suono?
Partiamo dalla considerazione che, a differenza degli occhi, non
possiamo decidere di chiudere le orecchie e di smettere di sentire,
quindi possiamo affermare che l'udito è uno dei nostri sensi più
importanti. Siamo continuamente sottoposti ad un numero enorme di
suoni di diversa natura. Alcuni sono piacevoli e desiderabili, come la
parola e la musica, mentre altri sono sgradevoli e fastidiosi, come
quelli prodotti dai macchinari e dal traffico.
Ma cos'è il suono? Come viene prodotto? E come siamo
effettivamente in grado di percepire un suono?
Il suono – dal latino “sonus”, ovvero la “sensazione percepita
dall'udito” - è il prodotto delle vibrazioni regolari di corpi elastici.
Qualsiasi suono, qualunque esso sia, è innescato da qualcosa che
vibra, e che si muove avanti e indietro, in modo più o meno regolare,
attorno alla posizione che normalmente occupa quando è a riposo.
La fonte del suono può essere il motore di un'auto, un antifurto o il
canto di un uccello. Qualunque essa sia, è indispensabile che una
parte di essa vibri per poter produrre il suono.
Il modo più semplice e immediato per rilevare le vibrazioni di una
sorgente sonora è quello di toccarci la gola mentre cantiamo o
parliamo. Subito percepiremo le vibrazioni delle nostre corde vocali.
Allo stesso modo, un altoparlante hi-fi vibra fortemente, soprattutto
quando alziamo il volume. Toccando leggermente il cono
dell'altoparlante, potremo percepire le sue vibrazioni come un lieve
formicolio sulla punta delle dita.
Affinché tali vibrazioni siano udibili come suono, deve esserci un
mezzo attraverso il quale esse possano viaggiare dalla sorgente
vibrante all'orecchio. Ad esempio, il suono viaggia attraverso l'acqua
- come qualsiasi nuotatore potrebbe testimoniare - e viaggia anche
particolarmente bene attraverso il metallo. La maggior parte dei
suoni che sentiamo, tuttavia, vengono trasmessi attraverso l'aria.
Le vibrazioni della sorgente sonora fanno sì che le molecole
d'aria vicine vengano alternativamente premute insieme e poi
allontanate. In questo modo si genera una serie di compressioni –
zone con maggiore pressione - e rarefazioni – zone con minore
pressione - che si allontanano man mano dalla sorgente vibrante.
Quest'alternanza di compressioni e rarefazioni è ciò che
comunemente chiamiamo onda sonora.
Quando sentiamo un suono, ciò che le nostre orecchie stanno
effettivamente facendo è convertire quell'onda sonora in impulsi
neurali. Vediamo come ciò accade. Anzitutto, l'orecchio esterno
convoglia le onde sonore, attraverso il condotto uditivo, fino
all'orecchio medio. Nell'orecchio medio le onde sonore incontrano la
membrana timpanica e la fanno vibrare. I tre ossicini presenti
nell'orecchio medio – martello, incudine e staffa – trasmettono quella
vibrazione timpanica all'orecchio interno. Qui, la coclea converte la
vibrazione stessa in impulsi nervosi, i quali verranno trasmessi al
cervello grazie al nervo uditivo. È infine nel cervello che gli impulsi
vengono interpretati e tradotti come suoni.
Le proprietà del suono sono: altezza, intensità, timbro e durata.
Vediamole una per una.

Altezza (pitch)
Per comprendere il concetto di altezza dobbiamo prima
brevemente passare per quello di frequenza. La frequenza di
un'onda sonora – che, ricordiamolo, è l'alternanza di compressioni e
rarefazioni delle molecole d'aria indotte dalla vibrazione di un
oggetto - è quante volte l'onda stessa vibra in 1 secondo. La
frequenza viene misurata in Hertz (Hz).
Veniamo ora all'altezza del suono. Essa è essenzialmente una
descrizione della frequenza del suono stesso. Dunque, diverse
altezze – o pitch - corrispondono a diverse frequenze. Ecco perché il
concetto di frequenza è propedeutico a quello di altezza. Un pitch
alto significa alta frequenza, e un pitch basso significa bassa
frequenza.
L'altezza è, in definitiva, la qualità di un suono, che ci porta ad
etichettarlo come “più alto” o “più basso” all'ascolto. Un ascoltatore
con orecchio assoluto – avremo senz'altro sentito nominare
quest'espressione in ambito musicale – è colui che ha un orecchio
così sintonizzato da poter identificare esattamente una nota
ascoltandola. I musicisti particolarmente talentuosi possono persino
suonare un intero brano musicale dopo averlo ascoltato una sola
volta!

Come fa una cantante d'opera a rompere un bicchiere con la sua


voce? Proviamo a colpire un bicchiere: esso emetterà un suono
unico in quanto a timbro, altezza ed intensità. Proprio come la nostra
voce, un bicchiere, se colpito, produce onde sonore caratteristiche in
base alla sua forma e alla sua grandezza. Ora, nel caso la cantante
riuscisse a cantare una nota avente esattamente la stessa frequenza
di quella prodotta dal bicchiere, e a mantenere tale nota a lungo nel
tempo e con sufficiente potenza, il vetro inizierebbe a vibrare ad
un'ampiezza crescente, tale che, a un certo punto, inevitabilmente si
frantumerebbe.
Quindi, in uno strumento musicale, così come nella laringe, le
onde sonore stazionarie creano una nota o un suono specifico,
corrispondente a una certa frequenza di vibrazione.
In inglese si usa dire che un cantante è “pitchy” quando non sta
cantando bene le note ed esse risultano piatte - leggermente troppo
basse secondo il parametro dell'altezza – o, al contrario, acute -
leggermente troppo alte. In sostanza, “pitchy” è la definizione meno
estrema dell'essere stonato, che, come sappiamo, significa non
riuscire a prendere affatto nessuna delle note.

Intensità
I suoni possono variare in quanto a volume e sembrarci più o
meno alti, o bassi. Il volume è determinato dall'intensità delle onde
sonore. Ma che cos'è l'intensità? L'intensità è la quantità di energia
impressa nelle onde sonore. Essa si misura in decibel (dB).
Quanto più aumentano i livelli di decibel, tanto più intense
saranno le onde sonore, e, di conseguenza, i suoni. Ad esempio, per
ogni aumento di 10 decibel dell'intensità del suono, il volume sarà di
10 volte maggiore. Pertanto, una stanza “silenziosa” di 30 decibel è
in realtà dieci volte più rumorosa di un sussurro da 20 decibel, e una
pioggia “leggera” di 40 decibel è ben cento volte più forte del
sussurro!
Come sappiamo, i suoni ad alto decibel sono pericolosi. Possono
danneggiare gravemente l'udito fino a causarne la totale perdita.
Diamo un'occhiata all'immagine qui sotto.

Abbiamo dunque compreso come l'intensità delle onde sonore


determini il volume dei suoni. Ma cosa determina l'intensità? Essa
deriva da due fattori: l'ampiezza delle onde sonore (vedi l'immagine
sopra) e la distanza che hanno percorso dalla sorgente originaria del
suono.
L'ampiezza misura la dimensione delle onde sonore e dipende
dalla quantità di energia che le ha generate. Man mano che si
allontanano dalla loro sorgente, le onde disperdono sempre più
energia, e aumenta l'area che esse vanno a coprire. La stessa
quantità di energia viene distribuita su un'area maggiore, e di
conseguenza l'intensità e il volume del suono diminuiscono. Questo
spiega perché anche i suoni molto forti svaniscono man mano che ci
si allontana dalla sorgente.
Lo spettro del suono varia, per esempio, a seconda degli
strumenti musicali, motivo per cui la stessa nota suona diversa in
base allo strumento che la produce.

Timbro
Anche se a scuola abbiamo imparato che il suono è un'onda,
quest'onda non ha una forma sinusoidale così uniforme come
appare nei libri. Ogni onda sonora ha una forma caratteristica, che
dipende dal materiale che ha prodotto il suono. Questo è ciò che
definisce il timbro del suono.
Il timbro – detto anche colore o qualità del tono - è ciò che
differenzia due suoni della stessa frequenza, ossia la stessa nota.
Ad esempio, la nota DO suonata sulla chitarra suona molto diversa
dalla nota DO suonata sul piano o sul flauto. Ciò significa che questi
strumenti hanno timbri diversi.
Nell'immagine qui sotto vediamo alcuni esempi di forme d'onda
prodotte da diversi strumenti.
Come possiamo notare, le onde sonore prodotte da clarinetto e
tromba sono alquanto irregolari.

Più pratica ed esperienza sviluppa un musicista, più raffinato


sarà il suo orecchio per distinguere il timbro peculiare di ogni
strumento. Anche due chitarre dello stesso modello e dello stesso
produttore possono avere timbri diversi. Un solo millimetro di
differenza nel posizionamento o nell'adattamento di un pezzo
cambia il timbro di uno strumento acustico e, molte volte, questi
dettagli passano inosservati anche alla maggior parte dei musicisti.
Negli strumenti elettronici, le differenze di timbro sono dovute al
modo di fabbricazione di altoparlanti, cavi, porte logiche ed altri
elementi che compongono i circuiti di questi strumenti.
Per allenare il nostro orecchio a diventare sensibile a timbri
diversi, proviamo a suonare strumenti simili apportando alcune
modifiche, come, ad esempio, cambiare le corde su strumenti a
corda, come una chitarra. Analizziamo poi le differenze di suono che
ne derivano.

Durata
La definizione di durata è piuttosto intuitiva. Essa indica la
permanenza di un suono per un certo un lasso di tempo.
L'altezza di un'onda sonora ha una durata che controlliamo
volutamente per creare il ritmo. Un'onda sonora inizia e prosegue il
suo percorso finché non la fermiamo. Alleniamo la nostra bocca e le
nostre dita per far sì che intervengano nel momento esatto. Le dita
premono più di un tasto alla volta, le corde vocali si riadattano, i
percussionisti suonano la batteria secondo una certa sequenza, e i
suonatori di ottoni azionano dita e labbra in modo tale da allungare o
accorciare la durata di una nota. Pensiamo anche ai tromboni e ai
flauti a coulisse, che scorrono avanti e indietro per cambiare
gradualmente una colonna d'aria.

La durata di ogni onda può essere la stessa, ma l'energia per


mantenerla varia. Le onde inferiori sono meno compresse, e
richiedono più energia per mantenerne attiva la durata. Nel caso
suonassimo uno strumento, quindi, dovremmo soffiare o pizzicare
più forte per supportare l'altezza di una nota bassa per la durata
desiderata.
Anche i materiali di cui gli strumenti sono fatti influiscono sulla
lunghezza delle vibrazioni da loro emesse, a causa della loro diversa
densità di massa. La materia che li costituisce dona loro tratti
particolari che riusciamo a riconoscere ed individuare, un po' come
le qualità distintive dei cantanti che attraggono i loro fan.
3. Teoria Musicale
Esamineremo ora le singole componenti della teoria musicale
partendo dalle basi. Alla fine di questo capitolo, saremo in grado di
leggere correttamente le note sul pentagramma. I concetti di scala e
tonalità, leggermente più complessi, saranno poi affrontati nel
capitolo successivo.

Pentagramma
Il rigo musicale è la base per la notazione musicale, costituito da
un insieme di cinque linee orizzontali e dai quattro spazi che si
trovano tra le linee. È detto “staff” in inglese americano, “stave”
nell'inglese britannico, “portée” in francese “Notensystem” in
tedesco.
Il pentagramma può essere pensato come un grafico musicale su
cui vengono posizionate note musicali, pause e simboli musicali per
indicare al lettore l'altezza specifica di una nota. Le note sono scritte
sopra e fra i righi del pentagramma, ma quando escono dai righi che
lo compongono, vengono posizionate sui tagli addizionali che si
trovano sotto e sopra il rigo. Approfondiremo il tema dei tagli
addizionali in un paragrafo successivo.
Quando si contano i righi e gli spazi su un pentagramma, si parte
sempre dalla riga più in basso, che è indicata come la prima riga,
mentre la riga più in alto di tutte è la quinta.

Qual è lo scopo del pentagramma nella notazione musicale?


Ogni riga o spazio in esso presente indica un'altezza specifica,
correlata alla chiave che si trova all'inizio del pentagramma, a
sinistra. Le diverse chiavi poste all'inizio del pentagramma fanno sì
che i righi e gli spazi abbiano significati diversi in quanto ad altezza.
Il pentagramma più comunemente usato e conosciuto è quello
impiegato nella musica per pianoforte. Esso è composto da due
parti, al fine di accogliere l'ampia gamma di note del pianoforte. Il
pentagramma superiore e quello inferiore sono uniti da una
parentesi graffa per indicare che le due parti funzionano come
un'unità.
Allo stesso modo, la linea verticale tracciata su entrambi i
pentagrammi crea un “sistema”, indicando ancora una volta che le
due parti devono essere suonate come un'unità musicale.

Come avremo già notato dall'immagine, i righi musicali superiore


ed inferiore uniti presentano due chiavi diverse. Il pentagramma che
ne risulta può contenere un'ampia gamma di altezze disponibili da
suonare al pianoforte.
Il pentagramma superiore è contrassegnato dalla chiave di
violino, detta anche chiave di Sol. Le sue note sono tipicamente
suonate sul pianoforte con la mano destra. Il pentagramma inferiore
del rigo è invece contrassegnato dalla chiave di basso, o chiave di
Fa, e le sue note vengono suonate con la mano sinistra.

Note
Il termine “nota” in musica descrive l'altezza e la durata di un
suono. Qual è l'altezza di una nota musicale? L'altezza cambia a
seconda della frequenza delle vibrazioni, o onde sonore, emesse.
Maggiore è la frequenza dell'onda, maggiore sarà l'altezza della
nota. In musica ci sono altezze specifiche che caratterizzano note
standard.
La maggior parte dei musicisti usa uno standard chiamato scala
cromatica. Nella scala cromatica ci sono 7 note musicali principali
chiamate Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si. Ognuna rappresenta un'altezza
diversa. Ad esempio, la nota La centrale ha una frequenza di 440 Hz
e la nota Si centrale ha una frequenza di 494 Hz.
Ci sono variazioni di ciascuna di queste note, chiamate diesis e
bemolle. Per ora useremo un linguaggio più semplificato, e ci
basterà sapere che un diesis è “mezzo passo” verso l'alto, e un
bemolle è “mezzo passo” verso il basso. Ad esempio, un “mezzo
passo” avanti di Do sarebbe il Do diesis.
Quella introdotta è la notazione musicale classica sillabica,
utilizzata principalmente da italiani, portoghesi, greci, francesi, russi,
fiamminghi, rumeni, spagnoli, ebraici e turchi. Tuttavia, al giorno
d'oggi tende ad essere universalmente più usata la nomenclatura
americana, o alfabetica, tipica della musica jazz.
Per allenarci a leggere e riconoscere le note nel pentagramma,
basterà semplicemente prima leggerle in successione, osservando
bene la loro collocazione, e poi, coprendo le lettere con la mano o
con un foglio, provare ad associare a ciascuna nota il suo nome
corretto. Nella seguente immagine ci sono entrambe le
nomenclature, quella italiana e quella americana.

Chiavi
Abbiamo già accennato alle chiavi di violino e di basso. Esistono
anche le cosiddette chiavi antiche - soprano, mezzosoprano,
contralto e tenore – tutte sintetizzabili sotto la chiave di Do. Essa si
traccia sulla terza linea del pentagramma. Attualmente è utilizzata
per viola, viola d'amore, viola da gamba, trombone contralto e
mandola. È anche associata alla voce del controtenore e talvolta
chiamata appunto “chiave del controtenore”. Occasionalmente
appare nelle sinfonie e nella musica per tastiere. Tuttavia, come
avremo intuito, queste chiavi di Do non sono indispensabili al fine
che ci preponiamo in questo libro, e dunque non le approfondiremo.
La chiave di violino è usata negli spartiti per pianoforte (mano
destra), chitarra, violino, flauto, oboe, clarinetti, sassofoni, corno,
tromba ed altri. Essa permette di annotare anche i suoni molto acuti.
Per i cantanti, la chiave di violino è usata con le seguenti voci:
tenore, contralto, mezzosoprano, soprano. Questa chiave si traccia a
partire dalla seconda linea del rigo musicale, quindi la nota musicale
sulla seconda riga è proprio un Sol. Il Do centrale è annotato sul
primo taglio addizionale sotto al pentagramma contrassegnato da
questa chiave.
La chiave di basso è usata negli spartiti per pianoforte (mano
sinistra), violoncello, contrabbasso, basso, fagotto, trombone, tuba,
timpani, et similia. Essa permette di annotare con facilità i suoni
gravi. Anche il baritono e la voce di basso usano la chiave di basso.
Essa si traccia a partire dalla quarta riga del pentagramma, dunque
la nota musicale sulla quarta riga è un Fa. Il Do centrale è annotato
sul primo taglio addizionale sopra al pentagramma contrassegnato
da questa chiave.
Inizialmente basterà imparare a leggere le note sul pentagramma
in chiave di violino. La lettura delle note sul pentagramma in chiave
di basso sarà, almeno all'inizio, meno immediata.

Battute
La battuta, detta anche misura, è sostanzialmente la divisione di
un pezzo musicale in parti della medesima durata.
Questa divisione è indicata mediante piccole barre verticali scritte
sul pentagramma, che si chiamano stanghette. La battuta contiene
un certo numero di tempi, o movimenti, che si susseguono
ciclicamente, seguendo un ordine di tempi forti – sui quali cade
l'accento – e di tempi deboli – sui quali non cade l'accento. All'inizio
del pentagramma c'è una frazione che indica, appunto, questi tempi.
Essa si trova dopo la chiave e dopo le possibili alterazioni che
denotano la tonalità del pezzo, e che possono trovarsi sia a inizio
pentagramma, sia nel corso del brano stesso.
Nella frazione a inizio pentagramma, il numeratore indica il
numero di tempi che troveremo nella battuta, mentre il denominatore
indica il valore di ciascuno di questi tempi. Se, ad esempio, troviamo
come frazione ¾, significa che la battuta è composta da tre tempi di
¼ ciascuno, come indicato nell'immagine qui sotto. Naturalmente,
nella battuta troviamo anche le pause: l'essenziale è che tutti i valori
contenuti nella battuta, note e pause, se sommati, non diano un
risultato superiore al valore della frazione di partenza. Più avanti
approfondiremo sia il valore delle note che delle pause.

Le battute sono classificabili in: binarie, se la battuta è composta


da due tempi – i quali, ricordiamolo, sono indicati al numeratore della
frazione - ad esempio 2/4 e 2/8; ternarie, se la battuta è composta
da tre tempi, ad esempio 3/2 e 3/8.
Inoltre, le battute possono essere semplici o composte. Nel primo
caso, intendiamo quelle in cui ogni tempo è costituito da un valore
semplice, ad esempio, quando la frazione ha 2, 3 o 4 come
numeratore; nel secondo caso, invece, il tempo non è semplice,
poiché è divisibile per tre; ad esempio, possiamo dividere il
numeratore nella frazione 9/8 per tre (9:3 = 3), ma non possiamo
fare altrettanto con 2/4, poiché due non è divisibile per tre. Riguardo
alle battute con il 3 al numeratore può sorgere un dubbio, quindi è
bene chiarire che anche se 3 è divisibile per 3, esse sono semplici.
Per ottenere da una misura semplice la misura composta
corrispondente, basta moltiplicare per tre il numeratore e per due il
denominatore, ad esempio, alla battuta semplice ¾ corrisponde la
battuta composta 9/8.
Possiamo anche trovare battute miste, formate dall'unione di
semplici e composte. Le più comuni sono quelle da 5 o 7 tempi,
dette, rispettivamente, battuta quinaria e settenaria.

Tagli addizionali
Essi vengono utilizzati nella notazione musicale occidentale per
annotare altezze che eccedono al di sopra o al di sotto delle linee e
degli spazi del pentagramma regolare. Potremmo dunque definirli
come un'estensione del pentagramma stesso.
Una linea leggermente più lunga della testa della nota – la parte
a cerchietto, per intenderci - viene tracciata parallelamente al rigo,
sopra o sotto, mantenendo la stessa distanza che hanno fra loro le
linee all'interno del pentagramma.
Possiamo tracciare infiniti tagli addizionali? All'incirca tre o
quattro sono il massimo per la maggior parte degli spartiti che
vengono utilizzati per l'esecuzione di un brano. Più righe vengono
utilizzate, più difficile sarà la lettura per i musicisti.

Per essere in grado di leggere la musica, dobbiamo iniziare con


una chiave specifica ed impararla molto bene. Ciò significa imparare
a identificare le note che corrispondono a ciascuna riga o spazio sul
pentagramma. Inoltre, dobbiamo anche memorizzare alcune righe di
tagli addizionali. La maggior parte della musica ne utilizza almeno
alcune, quindi dovremmo essere preparati a saperle leggere.
Altrimenti, sarebbe un po' come imparare a leggere senza
conoscere lettere come q, w, z e x. Certo, potremmo cavarcela
capendo alcune parole - probabilmente anche molte - ma trovandoci
poi davanti una parola complessa, saremmo in difficoltà.
Torniamo a guardare l'immagine qui sopra e facciamo una prova:
che nota è quella che poggia sul terzo taglio addizionale? Un Fa. La
prima nota che “eccede” dal pentagramma in alto? Un Sol.
Possiamo verificare che si tratta di un Sol enunciando le note a
partire dal terzo spazio del pentagramma – ricordiamoci di partire
sempre dal basso! – dove sappiamo esserci il Do. Dunque: Do, Re,
Mi, Fa, Sol; e, da quest'ultimo, sempre proseguendo verso l'alto,
arriviamo al Fa.

Tono e semitono
Per comprendere il concetto di tono e semitono, prendiamo in
esame la scala musicale di Do maggiore. È la classica scala che più
o meno tutti già conosciamo: Do, Re, Mi, Fa, Sol, La, Si, Do.
Osserviamo poi la tastiera di un pianoforte e portiamo
l'attenzione sui tasti neri che stanno fra quelli bianchi. La distanza tra
ciascuno di questi tasti bianchi ed il tasto nero adiacente è detta
“semitono”. Se pigiamo tutti i tasti del pianoforte, bianchi e neri, a
partire dal Do - Do, Do #, Re, Re #, Mi, e così via - sia in ordine
ascendente che discendente, stiamo proprio suonando dei semitoni.
Il semitono è la distanza minima fra due tasti del pianoforte. Due
semitoni formano un tono. Il semitono è anche noto come mezzo
tono.
A partire da questa definizione, evinciamo che tra il Do e il Do #
c'è un semitono, tra il La e il La # un semitono, tra il Fa e il Sol un
tono, tra il Sol e il La un tono, e via dicendo. Quando prendiamo in
considerazione due tasti del pianoforte adiacenti fra loro, otteniamo
quindi un semitono. Come già detto, questo vale sia in ordine
ascendente che discendente, dunque, se suoniamo un Re, avremo
una distanza di un semitono sia suonando un Re # - il tasto dopo –
sia suonando un Do # - il tasto prima. Guardiamo l'immagine qui
sotto. La distanza tra il Mi e il Fa sarà di un tono o di un semitono?

La risposta esatta è: di un semitono. Infatti, notiamo che fra i due


tasti del Mi e del Fa non compare un tasto nero.
Fra un tasto bianco e il seguente c’è sempre un intervallo di un
tono, ad eccezione dell'intervallo tra il Mi e il Fa, e tra il Si e il Do.
Questo semitono, che si trova fra due tasti bianchi adiacenti, è detto
semitono naturale.
In tutte le scale musicali ci sono toni e semitoni. A seconda della
scala in questione, la disposizione dei semitoni sarà differente, ad
esempio, nelle scale minori essa cambia. Comunque, ci limiamo per
ora alla scala di Do maggiore, e più avanti vedremo come
funzionano le altre scale. Ricapitolando: nella scala di Do maggiore -
Do Re Mi Fa Sol La Si Do – troviamo i semitoni naturali tra la terza e
la quarta nota, e tra la settima e l'ottava nota.

Diesis e Bemolli
Cosa sono i diesis in musica?
Le note alla cui sinistra compare il simbolo del diesis (#) sono
note che suonano un semitono più alte delle note che compaiono
sulle linee e sugli spazi di un rigo musicale. Ad esempio, la nota Sol
è collocata sulla seconda linea del pentagramma in chiave di violino,
e la nota Sol diesis sarà semplicemente indicata con la stessa nota,
più il simbolo # posto alla sua sinistra.
Il simbolo # indica universalmente una nota in diesis, ossia una
nota di un semitono più alta. Ad esempio, l'immagine seguente
indica la nota Do diesis sul pentagramma in chiave di violino.

Una nota che è già diesis può essere ulteriormente alzata


utilizzando il simbolo di doppio diesis, indicato nella scrittura digitale
con una “x”.
Sulla tastiera di un pianoforte, tutti i tasti neri possono essere
contrassegnati come “diesis”, e possono anche essere
contrassegnati come “bemolli”. In realtà, qualsiasi nota può essere
diesis o bemolle, anche i tasti bianchi del pianoforte. Ad esempio, la
nota Fa, corrispondente a un tasto bianco sul pianoforte, può anche
essere notata come Mi diesis. La nota Re, anch'essa corrispondente
ad un tasto bianco sul pianoforte, può essere notata come Do
doppio diesis.
Cosa sono le note bemolli in musica?
Sono note che suonano un semitono più basse delle note che
appaiono sulle linee e sugli spazi di un rigo musicale. Ad esempio, la
nota Si è collocata sulla linea del rigo musicale in chiave di violino.
La nota Si bemolle verrà indicata con la stessa nota, più il simbolo ♭
posto alla sua sinistra.
Il simbolo ♭ indica universalmente una nota bemolle. Ad
esempio, l'immagine seguente indica la nota La ♭ sul pentagramma
in chiave di violino.

Una nota che è già bemolle può essere ulteriormente alzata


utilizzando il simbolo di doppio bemolle ( ♭♭ ).
Ribadiamo il discorso già fatto per i diesis, che vale anche per i
bemolle, ovvero: sulla tastiera del piano, tutti i tasti, sia bianchi che
neri, possono essere annotati come “bemolle”, ed al tempo stesso
come “diesis”. Ad esempio, la nota Si, corrispondente ad un tasto
bianco sul pianoforte, può anche essere notata come Do bemolle. La
nota Re, anch'essa corrispondente ad un tasto bianco sul pianoforte,
può essere notata come Mi bemolle.
Qual è la differenza tra diesis e bemolli?
Entrambi rientrano nella categoria musicale delle alterazioni,
poiché portano ad un'alterazione di note “naturali”, come Do, Re o
Si. Le alterazioni possono essere momentanee o permanenti. Le
alterazioni momentanee sono poste a sinistra di una singola nota ed
hanno valore solo all'interno della battuta in cui la nota è compresa.
Le alterazioni permanenti, invece, sono poste all'inizio del
pentagramma – la cosiddetta “armatura in chiave” - e indicano che le
note ad esse corrispondenti andranno alterate per tutta la durata del
brano, pur non essendoci alterazioni davanti alle note. Di seguito
l'armatura in chiave.
Tra le alterazioni in musica, importante è anche citare il bequadro
( ♮ ) che serve ad annullare ogni altra alterazione. Lo troviamo
nell'immagine qui sopra a destra.
Ci sono due modi per pensare ai diesis e ai bemolle:
acusticamente e in termini di teoria musicale. Come esempio,
consideriamo due note posizionate nella quarta ottava del piano. -
Che cos'è l'ottava? Semplice: È quell'intervallo che intercorre tra due
note che distano fra loro 8 tasti. Il caso più banale è quello
dell’ottava che va da un Do all'altro, tuttavia un’ottava può anche
andare da un Si all’altro, da un Sol all'altro, e via discorrendo. - Ora,
tornando alle nostre due note, esse sono: Re#4 - l'altezza Re# nella
quarta ottava sul piano - e Mi ♭ 4 - l'altezza Mi ♭ nella quarta ottava
sul piano. Acusticamente, Re#4 e Mi ♭ 4 sono la stessa nota.
Entrambe rappresentano onde sonore che vibrano a una frequenza
di 311,13 Hz nell'accordatura standard dello strumento. Pertanto, se
suonassimo un Re#4 e un Mi ♭ 4 al piano, staremmo praticamente
suonando lo stesso identico tasto. Nemmeno una persona con
orecchio assoluto sarebbe in grado di dire se una nota suonata sia
un Re# oppure un Mi ♭ , poiché, anche se nella teoria sono due note
differenti, acusticamente, le due note sono identiche.
In termini di teoria musicale, una nota verrebbe chiamata Re
diesis o Mi bemolle a seconda della tonalità in cui appare. Ma
dell'argomento della tonalità parleremo nel capitolo successivo.
In definitiva, è più importante l'acustica o la teoria musicale?
L'acustica, poiché è ciò che sperimenteranno gli ascoltatori. A un
ascoltatore non importa se su uno spartito c'è scritto Re#4 o Mi ♭ 4:
egli sentirà esattamente la stessa frequenza audio dal suo posto in
platea.
Valori delle note
Dopo aver compreso cos'è il rigo musicale e come si leggono le
note in esso scritte, dobbiamo capire i valori delle note. Il valore della
nota viene rappresentato mediante un criterio grafico, che indica
quanto la nota deve durare nel tempo. Essa può durare 4/4, 2/4, e
così via. I valori portano nomi diversi in base alla loro durata, e sono
contraddistinti da simboli diversi. Ecco la diversa durata delle note,
con relativa nomenclatura:
- Semibreve, 4/4
- Minima, 2/4
- Semiminima, ¼
- Croma, 1/8
- Semicroma, 1/16
- Biscroma, 1/32
- Semibiscroma, 1/64

È essenziale studiare anche il simbolo grafico corrispondente alla


durata, o valore, delle note.
Questi sono i valori di base delle note musicali, che possono
anche essere aumentati scrivendo uno, due o tre punti a destra della
testa della nota.
Un solo punto aumenta il valore della nota della metà del suo
valore di partenza; il secondo punto aumenta il valore della nota
della metà di quello del primo punto; il terzo punto aumenta il valore
della nota della metà di quello del secondo punto.
Se non ci è ancora molto chiaro, guardiamo l'immagine
seguente, dove da una minima si passa a una semiminima, a una
croma e infine ad una semicroma, aggiungendo tre punti a destra
dell'iniziale nota minima.

Battito, tempo e ritmo


Partiamo dal battito: esso è definito come “un impulso regolare e
ripetitivo che è alla base di uno schema musicale”. Ne abbiamo uno
che corre dentro di noi proprio in questo momento, il nostro battito
cardiaco. È la misura di base del tempo. Quando si ascolta della
musica, le persone battono il piede a tempo con il ritmo e i musicisti
contano questa misura quando eseguono le loro tracce. Il battito ha
altre definizioni nella musica, come “un pattern o un ritmo suonato
dalla batteria”, tuttavia, per ora ci concentreremo sulla prima
definizione. Il battito può spesso essere confuso con il tempo,
tuttavia i due sono fondamentalmente diversi.
Il tempo è l'unità di misura dei battiti. Ad esempio, 120 battiti al
minuto è il tempo, e il tempo viene dunque misurato come se
includesse 120 battiti in un minuto. Pensiamolo come la velocità alla
quale una certa musica viene riprodotta.
Sappiamo già che, per determinare la durata di ciascuna battuta,
si mette all'inizio del brano una frazione, subito dopo la chiave. Ecco,
quella frazione indica il tempo in cui il brano andrà eseguito.
Tutto questo ci appare comprensibile a livello teorico, ma un po'
meno a livello pratico. Non è forse così? Ecco perché è importante
introdurre ora la nozione di solfeggio. Il solfeggio è un importante
esercizio che consiste nella lettura ad alta voce della musica, e che
implica la scansione ritmica delle note e delle pause. Anche in caso
di spartiti molto complessi, solfeggiare ci aiuta a “sentire” e ad
assimilare la suddivisione del tempo, e a scandire ogni tipo di
battuta: come? Grazie al movimento delle mani e alla lettura ad alta
voce di ogni nota, che avvengono in contemporanea. In musica il
tempo si batte con movimenti regolari della mano. Svolgiamo il
semplice esercizio di pronunciare la nota di Do in un tempo di 4/4,
battendo la mano su un tavolo e sollevandola 4 volte, a tempo, in
questo modo: Do-o / o-o / o-o / o-o, compiendo 4 movimenti totali
della mano. I movimenti della mano verso il basso e verso l'alto sono
chiamati in musica “Battere” (B) e “Levare” (L). Quando pronunciamo
la prima “o”, spingiamo più a fondo con la voce, poiché questo è il
movimento del Battere. La seconda “o” è invece il movimento del
Levare, e la pronunceremo in modo più lieve. Due suddivisioni B-L
caratterizzano i tempi semplici. Il concetto di battere e levare è molto
intuivo, e lo vediamo illustrato nell'immagine seguente; è inoltre
consigliabile guardare qualche video per essere sicuri di svolgere
l'esercizio del solfeggio nel modo giusto.

Ripassiamo quanto già appreso nella sezione dedicata alla


battuta, ed integriamolo con la nuova nozione di tempo. I tempi
semplici sono frazioni indicanti al numeratore il numero dei
movimenti, e al denominatore il valore di ciascuno di essi. Ad
esempio: 4/4 sono quattro movimenti del valore di ¼ ciascuno, 2/2
sono due movimenti del valore di ½ ciascuno, e ¾ sono tre
movimenti del valore di ¼ ciascuno.
I tempi composti sono invece frazioni indicanti al numeratore il
numero delle suddivisioni del movimento e al denominatore il valore
di ciascuna di esse. Essi derivano dalla moltiplicazione di un tempo
semplice per la frazione 3/2. Facciamo qualche esempio: 2/4 * 3/2 =
6/8; oppure 4/4 * 3/2 = 12/8. Dunque, 6/8 e 12/8 sono tempi
composti.
Il ritmo è “il posizionamento dei suoni nel tempo, in uno schema
regolare e ripetuto”. Esso è un modello ordinato di elementi alterni –
accenti forti ed accenti deboli - e consiste nel numero di battiti
all'interno di una misura.
Ma che cosa sono i battiti? Sono semplicemente il numero di
movimenti presenti nella battuta, indicati all'inizio del pentagramma
accanto alla chiave, e più precisamente al numeratore della frazione.
Nella musica abbiamo tre tipi fondamentali di ritmo: binario,
caratterizzato da due battiti; terziario, caratterizzato da tre battiti;
quaternario, con quattro battiti. Ciò che contraddistingue il ritmo è
l'accentazione dei battiti stessi. In questo senso, definiamo il ritmo
anche come una sequenza regolare di accenti forti e deboli che si
susseguono in più battute.
L'accento serve a mettere in risalto un suono, accrescendone
l'intensità. Sul piano concreto, ciò significa che ogni qualvolta in un
brano musicale si incontri un tempo con l'accento forte, le note di
quel tempo andrebbero suonate con più enfasi delle altre, che
portano invece l'accento mezzoforte o debole. Più che suonate,
queste note andrebbero in realtà “pensate” come più forti o più
deboli, poiché, in effetti, quella che si ricava dagli accenti è più una
sorta di informazione stilistica, un andamento ritmico in cui è
impressa l'originale intenzione del compositore. Non si tratta quindi
di un andamento che deve essere eseguito con il deliberato intento
di marcare i diversi accenti. Gli accenti vanno sostanzialmente “fatti
intendere” all'ascoltatore.
In relazione ai tre tipi fondamentali di ritmo, avremo il seguente
schema:

In Italia l'accento forte tende a cadere sul battere; in Africa,


invece, sul levare. Nell'immagine qui sotto vediamo un
esempio di come gli accenti sono distribuiti nel ritmo sincopato, che
studieremo qualche paragrafo più avanti. Osserviamo la posizione
delle note e degli accenti: la prima e la terza nota portano l'accento,
la seconda e la quarta no. Perché? Perché la prima e la terza nota
sono più corte – due note da 1/8 ciascuna - quindi la seconda e la
quarta – due note da ¼ ciascuna - vengono suonate in anticipo.

Ripensiamo all'analogia del battito cardiaco fatta in precedenza:


in questo contesto, il tempo del nostro battito cardiaco è il nostro
personale tempo, e il suono “duh-dum-duh-dum” che esso produce è
il ritmo. È lo schema della musica nel tempo ed è l'unico elemento
indispensabile della musica. Il ritmo può esistere anche senza
melodia, ad esempio il ritmo di una batteria, ma la melodia non può
esistere senza ritmo. Mozart disse che “la musica è ritmo realizzato
per mezzo del suono”.

Legatura
La legatura di valore è una linea curva che unisce due o più note
della stessa altezza; il suono si prolunga, oltre il valore della prima
nota, anche per il valore delle note legate. La seconda nota è
sostanzialmente una continuazione della prima.

La legatura mostrata qui sopra a sinistra collega una nota da ¼ –


semiminima - a una nota da un 1/16 – semicroma – creando una
nota di cinque volte più lunga rispetto a una nota da 1/16, che di per
sé suona molto breve. In alcuni casi, possiamo trovare due note
legate ma contenute in battute diverse, quindi separate tra loro da
una stanghetta, come nell'immagine in alto a destra.
La legatura di frase – o legatura di portamento – è invece una
linea curva che abbraccia più suoni di diversa altezza, e che serve
per definire la frase musicale. Essa viene indicata con una linea
curva generalmente posta sopra le note, se i gambi sono rivolti verso
il basso, e sotto di essi, se i gambi puntano verso l'alto.

Interessante anche vedere come le legature significhino cose


diverse per strumenti diversi. Per gli strumenti ad arco, le note
devono essere suonate con un colpo di arco. Per gli strumenti a
corde pizzicate, come le chitarre, le note devono essere suonate
senza pizzicare le singole corde. Per gli strumenti a fiato, le note
devono essere suonate senza riarticolare ciascuna nota con la
lingua, ad eccezione del trombone. Nel canto, le legature di frase
vengono solitamente utilizzate per contrassegnare le note cantate in
una singola sillaba – tecnica detta “melisma”.
Una legatura può essere estesa su molte note, a volte
comprendendo diverse battute. In casi estremi, i compositori sono
noti per scrivere legature di frase che sono quasi impossibili da
riprodurre; in tal caso l'intento del compositore è di sottolineare che
le note dovrebbero essere eseguite nel modo più legato possibile.

Pause
Una pausa in musica è un tipo di simbolo che indica che il
musicista non dovrebbe suonare e che dovrebbe esserci silenzio.
Ogni tipo di nota, come semiminime, minime, eccetera, ha un
corrispondente simbolo di pausa, che ha lo stesso valore di tempo. I
tipi di pausa sono:

Semibreve, o pausa della nota intera. Viene disegnata come un


piccolo rettangolo che pende dalla quarta linea del pentagramma.
Ha un valore di 4/4, lo stesso di una nota semibreve.
Minima, o pausa di metà nota. È un piccolo rettangolo molto
simile alla pausa semibreve ma, invece di pendere dalla quarta
linea, si trova sulla riga centrale del pentagramma. Ha un valore di
2/4, lo stesso di una nota minima.
Notiamo bene: per ricordare la differenza tra una pausa
semibreve e una minima pensiamo che la pausa semibreve sia più
grande - dura più a lungo - di una minima e quindi, poiché è “più
pesante”, pende dalla quarta linea del pentagramma.
Semiminima, o pausa della nota da ¼. È piuttosto complicata da
disegnare. Sembra una lettera “z” storta con una piccola lettera “c” in
basso. È disegnata proprio al centro del pentagramma, tra le linea
superiore e quella inferiore del pentagramma. Ha un valore di 1/4, lo
stesso della nota corrispondente.
Croma, o pausa della nota da un 1/8. Assomiglia a un piccolo
numero sette con un piccolo rigonfiamento all'estremità. Come la
pausa semiminima, si trova proprio al centro del pentagramma,
appoggiata sulla seconda linea. Ha il valore della metà di ¼, dunque
1/8, lo stesso di una nota croma.
Semicroma, o pausa della nota da 1/16. È molto simile alla pausa
croma, ma è leggermente più alta e ha due rigonfiamenti. Poggia
sulla linea di fondo del pentagramma, la prima linea. Ha un valore di
un quarto di ¼, ossia 1/16, lo stesso di una nota semicroma.
Proprio come possiamo avere note col punto, che prolungano la
nota della metà del suo valore temporale, possiamo anche avere
pause col punto, che fanno allungano la pausa della metà del suo
valore temporale. Una cosa da notare però è che il punto si trova
sempre nel terzo spazio (ovviamente, dal basso).
Sottolineiamo che, a differenza delle note normali che possono
essere legate insieme, le pause non presentano legature. Piuttosto,
si scrive semplicemente un'altra pausa.
Che pausa usare, invece, per un'intera battuta di silenzio? Si usa
sempre una pausa semibreve, anche se l'indicazione del tempo è
2/4 o 3/4.
Sincope
La sincope è lo spostamento dell'accento ritmico dal tempo forte
al precedente tempo debole. Cos'è quest'accento? Come nel
linguaggio parlato e in poesia gli accenti ritmici sottolineano sillabe
pronunciate con una certa enfasi, determinando una sequenza
ritmica di suoni, allo stesso modo in musica gli accenti non cadono
mai a caso. Una sequenza di accenti ritmici marcati e ravvicinati
genera un ritmo incalzante, invece, se gli accenti ritmici sono fra loro
distanti, produrranno un effetto più solenne e più lento.
Normalmente, il suono in musica segue l'accento ritmico, e si
attacca a suonare, o a cantare, sul movimento forte. Con la sincope,
invece, abbiamo uno spostamento del consueto accento ritmico: il
suono attacca quindi sul movimento debole e si prolunga sul
movimento forte. La sincope si riconosce facilmente quando
abbiamo una sequenza di questo tipo: una nota di una certa durata,
una o più note di durata doppia e una nota di durata uguale alla
prima. In questo caso si dice regolare.

Mentre è irregolare quando le due note sono di valore diverso.

L'indicazione del tempo di un brano musicale identifica un


modello coerente di battiti forti e deboli. Un ritmo sincopato sposta
questo pattern, enfatizzando i movimenti deboli in levare invece dei
forti in battere. Ad esempio, i brani con un'indicazione di tempo 4/4
di solito sottolineano il primo e il terzo movimento. Tuttavia, un ritmo
sincopato può enfatizzare il secondo e il quarto movimento, o note
tra loro compresi.
La sincope conferisce emozione e concitazione alla musica,
andando contro alle nostre aspettative su come dovrebbe suonare il
ritmo. Essa attira l'attenzione e sorprende l'orecchio, giocando sulla
nostra familiarità e sulle nostre aspettative sui ritmi regolari.
Cambiare inaspettatamente il pattern o accentuare gli elementi
insoliti aggiunge variazione, carattere e groove alla musica.
La sincope darà anche alla musica una qualità più “umana”. La
musica che viene riprodotta solo a ritmo può sembrare statica,
noiosa e digitalizzata. Manca di aspetti imperfetti che rendono la
musica riconoscibile. Usando la sincope, gli artisti fanno suonare
bene quell'imperfezione.
Un tipo di sincope è quella sospesa, la quale sostiene i battiti
deboli attraverso i battiti forti. Invece di suonare i battiti forti, si
mantengono i battiti deboli per una durata maggiore, “sospendendo”,
dunque, l'idea musicale. Questo crea una sensazione ritmica più
dinamica, e consente inoltre una maggiore creatività, pur rimanendo
in linea col ritmo principale.
Nella sincope del “missed beat”, del “battito mancato”, si
sostituisce un accento forte in una battuta con una pausa. Come la
sospensione, il battito mancato enfatizza i battiti deboli piuttosto che
quelli forti. Tuttavia, c'è una differenza principale nella sincope del
battito mancato. Il silenzio sostituisce l'accento forte, non una nota
debole sostenuta attraverso il battito. Inserendo queste pause in
momenti strategici, possiamo enfatizzare i battiti deboli in modo più
evidente che con la sospensione. La tecnica funziona anche alla
grande per aumentare la tensione o impostare il ritorno a un ritmo
regolare.
Anche la sincope della nota pari si basa sui tempi in chiave con
un numero pari di battiti, come 2/2, 2/4 e 4/4, che costituiscono
l'indicazione del tempo di gran lunga più comune nella musica
occidentale. Di solito, i ritmi standard sottolineano i battiti dispari.
Con la sincope delle note pari, si enfatizzano i battiti 2 e 4 in una
battuta standard, che, tradizionalmente, sono i battiti deboli,
considerando che 1 e 3 sono i battiti forti.
I generi musicali come la musica dance elettronica, il reggae, il
jazz, la musica funk e il rap utilizzano una forte sincope. Ascoltiamo i
nostri brani preferiti di questo genere e prestiamo attenzione a come
gli artisti usano la sincope. Un orecchio allenato è uno dei modi
migliori per apprendere la sincope. Proviamo ad imparare i diversi
tempi in chiave ed alleniamo l'orecchio a identificare i battiti forti e
deboli per ogni indicazione di tempo. Questo approccio aiuterà a
dare più senso ai ritmi sincopati.

Contrattempo
Il contrattempo, come la sincope, è lo spostamento dell'accento
ritmico, solo che in questo caso il suono invece di prolungarsi sul
movimento forte viene troncato da una pausa. In pratica, è la
comparsa di silenzi nelle parti normalmente accentate della battuta -
o del tempo - che si alternano ai suoni che caratterizzano le parti
non accentate. Il non-prolungamento del suono nel tempo, o la
suddivisione del tempo forte, è ciò che differenzia il contrattempo
dalla sincope.
Quando si tratta di queste due peculiarità ritmiche - sincope e
contrattempo – è interessante sottolineare che gli strumenti musicali
a percussione, idiofoni e membranofoni, poiché non sono in grado di
emettere suoni prolungati, possono eseguire solamente il
contrattempo, il quale tra l'altro apparirà più marcato e netto.
4. Scale e modi
Ora che abbiamo appreso i concetti base della teoria musicale, in
particolare pause, note ed il loro valore, possiamo passare alle scale
e ai modi.

Scale
Una scala è una sequenza ordinata di note. Ad esempio: Do, Re,
Mi, Fa, Sol, La, Si, Do... e così avanti verso l'ottava successiva.
Ricordiamo che la spiegazione di ottava si trova nel paragrafo sui
diesis e i bemolli. Su questa scala, iniziamo con la nota Do e
seguiamo una sequenza di intervalli ben definita, fino a ritornare alla
nota Do.
Questa sequenza di intervalli è precisamente: tono, tono,
semitono, tono, tono, tono, semitono, per poi ripetere il ciclo.
Ricordiamo che nell'intervallo tra il Mi e il Fa e tra il Si e il Do sulla
tastiera del pianoforte manca il tasto nero, giusto? Ecco dunque
perché nella sequenza appena vista in terza e settima posizione
abbiamo un semitono.
Questa scala è chiamata “scala maggiore”. Possiamo usare la
stessa sequenza della scala maggiore anche partendo da una nota
diversa dal Do, ad esempio partendo dal Sol. La scala sarebbe
quindi: Sol, La, Si, Do, Re, Mi, Fa #, Sol.
Le note nelle scale si chiamano “gradi”. Possiamo dunque dire
che, in questa scala, il settimo grado è in diesis. Ci staremo ora
chiedendo: perché il settimo grado, ovvero il Fa, è diesis? Perché è
stata seguita la stessa logica - tono, tono, semitono, tono, tono, tono,
semitono – anche nella seconda scala che parte dal Sol. Nel primo
caso, abbiamo formato la scala maggiore di Do, nel secondo, la
scala maggiore di Sol. L'immagine qui sotto ci chiarirà le idee.
Seguendo la stessa logica, possiamo costruire la scala maggiore
di tutte le 12 note – diesis compresi! - che conosciamo. Facciamolo
come esercizio, e poi diamo un'occhiata a questa tabella, che
mostra la scala maggiore delle 7 note di base:

Per le altre scale avremo altre sequenze da seguire, quindi altri


tipi di intervalli. Per la scala minore, ad esempio, applicheremo la
seguente sequenza: tono, semitono, tono, tono, semitono, tono,
tono.
Quindi, costruiamo la scala minore di Do, seguendo la nuova
sequenza a partire dalla nota di Do, in questo modo: Do, Re, Re #,
Fa, Sol, Sol #, La #, Do. Le note Re #, Sol # e La # sono equivalenti,
rispettivamente, a Mib , Lab e Sib. Potremmo quindi riscrivere la
sequenza sopra anche così: Do, Re, Mib, Fa, Sol, Lab, Sib , Do.
Notiamo che la scala è assolutamente la stessa; l'unica
differenza è che prima è scritta con i diesis e poi con i bemolli. Di
solito la scala minore di Do è scritta nel secondo modo e non nel
primo. Perché? Semplicemente perché è meglio che tutte e 7 le note
appaiano all'interno di essa - con o senza alterazioni – e, nel primo
caso, le note Mi e Si non ci sono. Inoltre, la preferenza per la
seconda descrizione ha anche lo scopo di facilitare l'osservanza
delle funzioni armoniche, ma di questo ci occuperemo più avanti.
Confrontiamo la scala maggiore e minore di Do sulla tastiera del
piano.
Scala maggiore di Do
Scala minore di Do

Tornando all'argomento: ci saremo forse chiesti perché una scala


è detta “maggiore” e l'altra “minore”. Si tratta solo di una definizione.
La differenza tra queste scale sta nel terzo, sesto e settimo grado.
Nella scala maggiore questi gradi sono, appunto, maggiori, mentre
sulla scala minore essi sono minori. Ecco spiegato il perché della
loro denominazione. Poiché esistono altri tipi di scale maggiori e
minori, queste scale di base che abbiamo appena visto sono
chiamate “scale naturali”, in quanto sono le più basilari e primitive
nello studio della musica.
Le scale maggiore naturale e minore naturale sono anche
chiamate “scala diatonica maggiore” e “scala diatonica minore”. Il
sostantivo “diatonico” significa “muoversi con la (nota) tonica”. Ogni
volta che usiamo il termine “diatonico” o i termini “nota diatonica”,
intendiamo dire che questa nota appartiene alla tonalità naturale,
cioè fa parte di una scala naturale maggiore o minore.
In musica esiste anche la scala cromatica. Essa si serve di tutti i
gradi musicali, per cui non risulta più composta da 5 toni e 2
semitoni – come la scala maggiore e minore – ma da 12 semitoni,
più la ripetizione del primo suono. Eccola illustrata:

Avendo accennato alle tonalità, è ora il momento di studiarle.

Tonalità
La tonalità è la scala su cui si sviluppa un brano musicale.
Stabilito che ogni grado della scala può essere il punto di partenza,
cioè la nota tonica di una nuova scala, e sapendo che la scala
cromatica dispone di 12 suoni, avremo in tutto dodici tonalità
maggiori ed altrettante tonalità minori, in tutto 24.
Anche se studieremo gli accordi in un paragrafo successivo
esclusivamente ad essi dedicato, li useremo ora come punto di
partenza concreto per comprendere il concetto di tonalità. Gli accordi
di una certa tonalità sono insiemi di note estrapolate da una data
scala. Prendiamo la scala di Do maggiore come esempio: Do, Re,
Mi, Fa, Sol, La, Si.
Per ogni nota di questa scala, formeremo un accordo. Pertanto,
avremo sette accordi, che saranno gli accordi della tonalità di Do
maggiore. Ma come formarli? Per ogni nota della scala, il rispettivo
accordo sarà formato usando il 1°, il 3° e il 5° grado, contati a partire
da quella nota, andando avanti nella scala.
Cominciamo dalla nota Do. Il 1° grado è, appunto, Do; il 3°
grado, contando dal Do, è Mi; il 5° grado, sempre contando dal Do, è
Sol. Il primo accordo della tonalità di Do maggiore è quindi formato
dalle note Do, Mi, Sol. Notiamo che questo è l'accordo di Do
maggiore, e non semplicemente di Do. L’accordo di Do minore è
invece Do, Mib, Sol
Ora costruiamo l'accordo della nota successiva sulla scala, che è
Re. Il 1° grado è Re, il 3° grado, contando da Re su questa scala è
Fa; il 5° grado, sempre contando da Re, è La. Quindi, il secondo
accordo è formato dalle note Re, Fa e La. Notiamo che questo è
l'accordo di Re minore, perché la nota Fa è la terza minore di Re.
Ci saremo già resi conto che stiamo formando gli accordi di triadi
– tre note – ed usando solo le note che compaiono sulla scala in
questione, in questo caso, la scala di Do maggiore. È un buon
esercizio quello di provare a formare gli accordi rimanenti in chiave,
o tonalità, di Do.
Fantastico: abbiamo appena imparato a formare gli accordi di
una tonalità. Ma a che scopo? Ebbene, gli accordi di una certa
tonalità servono a molte cose, ed in primis servono ad impostare la
tonalità di una canzone o di un brano. Probabilmente avremo sentito
dire, parlando di musica, che una canzone è in una certa tonalità, o
chiave. Ecco, la tonalità di una canzone dipende dagli accordi in
essa presenti. Se un brano utilizza gli accordi formati dal 1°, 3° e 5°
grado della scala di Do maggiore, significa che quel brano è nella
tonalità di Do maggiore.
Detto questo, sappiamo che la scala da usare per fare un assolo,
improvvisare, creare riff, eccetera sulla canzone in questione sarà
ancora la scala di Do maggiore. Pertanto, conoscere gli accordi di
una tonalità è di grande utilità: questa conoscenza ci permette di
sapere quali note possiamo usare per fare gli arrangiamenti su una
certa canzone. Se conosciamo bene le caratteristiche della scala,
nulla ci impedisce di creare assoli e arrangiamenti in automatico,
abilità nota come “improvvisazione”.

Rivolti
Da quanto appreso finora, andiamo avanti e vediamo che ogni
accordo formato da tre note può essere suonato in stato
fondamentale. – quindi partendo dal 1°, al 3° fino al 5° grado -
oppure in primo rivolto, nell'ordine 3°, 5° e 1° grado, o ancora in
secondo rivolto, nell'ordine 5°, 1°, 3° grado. Ad esempio, l'accordo di
Do maggiore (Do-Mi-Sol) in primo rivolto sarebbe formato dalle note
Mi, Sol, Do, mentre in secondo rivolto dalle note Sol, Do, Mi.
Questo non deve portarci erroneamente a credere che i rivolti si
limitino solo ed esclusivamente alle semplici inversioni di note
sopracitate. Essi indicano, invece, tutti i diversi modi possibili in cui
le note possono essere disposte nell'accordo. Quest'ultimo è
paragonabile a un’addizione, dove anche cambiando l’ordine degli
addendi il risultato resta invariato. Se cambiamo l’ordine delle note al
suo interno, l’accordo manterrà comunque il medesimo valore, dal
punto di vista dell'armonia. Facciamo l'esempio della triade di Re
minore: Re, Fa, La. Se suoniamo il Re un’ottava più alta, la nota più
bassa sarà il Fa, e la triade diventa: Fa, La, Re, quindi terza, quinta,
fondamentale. In sostanza, dal punto di vista dell’armonia, nulla è
cambiato. Abbiamo ancora un accordo di Re minore, solo che
abbiamo invertito l' “ordine degli addendi”. Ciò non significa che
anche a livello sonoro l'accordo resterà invariato, infatti, una delle
note al suo interno sarà più alta di un'ottava, producendo un output
diverso a livello di suono.
Quando la nota più bassa è la fondamentale dell'accordo,
diciamo che esso è “in posizione diretta”. Se la nota più bassa è,
invece, la terza, diciamo che l’accordo è “in posizione di 1° rivolto”.
Se invece la nota più bassa è la quinta, diciamo che l’accordo è “in
posizione di 2° rivolto”.
Quando si studiano i rivolti in un corso di musica, ad esempio,
imparando uno strumento, può capitare che lo studente si senta
scoraggiato, poiché pensa: “Ho già fatto fatica a memorizzare le note
di ciascun accordo, ora mi tocca anche memorizzarle in ordine
inverso?”. È utile allora puntualizzare l’importanza, la convenienza
ed anche la rapidità dei rivolti, se concepiti nel modo giusto.
Innanzitutto, quando è opportuno usare i rivolti? Sempre. Il
motivo per cui essi vengono usati è quello di avvicinare accordi
altrimenti troppo distanti fra loro, sfruttando le note che hanno in
comune, altrimenti tali accordi, suonati così come sono,
genererebbero passaggi scomodi da suonare e non gradevoli
all'udito. Ogni accordo sarà accomunato al seguente da almeno una
nota, o perlomeno la nota sarà distante solo un tono o un semitono.
Ed inoltre, dove usare i rivolti? Abbiamo visto come le note in
comune permettano di eludere i salti, o passaggi scomodi, e il
risultato di ciò sarà che in una canzone gli accordi occuperanno un
minor intervallo di frequenza, producendo un accompagnamento più
lineare. Sfruttando sapientemente la tecnica dei rivolti, si possono
suonare tutti gli accordi mantenendosi nella stessa ottava.

Per utilizzare i rivolti in musica, non bisogna necessariamente


impararli a memoria – per esempio la sequenza Do, Mi, Sol / Mi, Sol,
Do / Sol, Do, Mi. Basta essere sicuri di quali siano le 3 o 4 note che
formano gli accordi in questione, poi guardare il proprio strumento
musicale e domandarsi: “dove trovo le note desiderate spostando il
meno possibile le mie dita?”. Ad esempio, nel caso lo strumento
fosse un piano, noteremo che sarà sempre facile trovare una nota
vicina, dal momento che ci sono solo 7 note in un'ottava e l’accordo
ne include 3 o 4.
Oltre a quanto detto è utile sapere che l’orecchio umano
recepisce meglio la nota più bassa e la nota più alta di un accordo.

Intervalli
L'intervallo in musica è la distanza in altezza tra due suoni.
Possiamo usare questo termine per indicare l'intervallo di un tono o
l'intervallo di un semitono, ad esempio; in breve, qualsiasi distanza
tra due note è un intervallo. Esso ha sempre a che fare con i gradi
delle scale, come vedremo.
Ripensando ai gradi, avremo notato di aver finora menzionato
solo 7 note usate nella musica occidentale, ovvero: Do, Re, Mi, Fa,
Sol, La, Si. Ma cosa succederebbe se volessimo associare i gradi
anche alle altre note, cioè Do #, Re #, Fa #, Sol #, La #? Per far ciò,
esiste una definizione più completa, come vedremo ora.
La prima nota è rappresentata dal primo grado, come abbiamo
già visto. Questo grado può anche essere chiamato il primo grado
maggiore. Prendiamo Do come esempio di primo grado. In questo
caso, la nota Re è il secondo grado, chiamato anche il secondo
grado maggiore. La nota Do # (o Reb ), in questo caso, è minore di
secondo grado. La terminologia “secondo grado minore” e “secondo
grado maggiore” è generalmente abbreviata in “seconda maggiore”
e “seconda minore”, e lo stesso vale per gli altri gradi maggiori e
minori. Questa nomenclatura - “maggiore” e “minore” - esiste per
indicare se l'intervallo, cioè la distanza tra le note, è breve o lungo.
Gli intervalli maggiori sono lunghi e gli intervalli minori sono brevi.
Si noti che, nell'esempio precedente, il “secondo grado maggiore”
rappresentava l'intervallo di un tono intero - perché Re è due
semitoni sopra il Do - e il “secondo grado minore” rappresentava
l'intervallo di un semitono - Re bemolle è un semitono sopra il Do.
Pertanto, questi nomi sono stati dati solo per dare un'indicazione
della distanza tra le note.
Espandendo il concetto a tutte le note, partendo dal Do, abbiamo
quanto segue:

Per comodità riportiamo quest’immagine.


Probabilmente ci staremo chiedendo cosa stiano a significare le
denominazioni “aumentata”, “giusta” e “diminuita”. Anzitutto, esse
sono solo definizioni nel linguaggio che troveremo in qualsiasi libro
di teoria musicale o libro di canzoni. La logica è la stessa che
abbiamo visto per le denominazioni “maggiore” e “minore”. La
denominazione “aumentata” indica un intervallo più lungo, e
“diminuita” indica un intervallo più breve. “Giusta” sta nel mezzo tra
questi due.
Ma non potremmo semplicemente usare i nomi “maggiore” e
“minore” per tutte le note invece di usare anche “diminuita”,
“aumentata” e “giusta”? Sì, potremmo. Allora perché ci sono altre
denominazioni? Negli argomenti più avanzati capiremo che questo
risulta essere abbastanza utile per facilitare le cose. Per ora,
memorizziamo solo queste nomenclature e ciò che rappresentano.
Eserciteremo ora questa nomenclatura partendo da altre note
oltre al Do, già visto nella tabella sopra. Creiamo dunque gli intervalli
di tutti e 12 i gradi della scala cromatica. Partendo da Do #, avremo:
Do #, Re, Re #, Mi, Fa, Fa#, Sol, Sol #, La, La #, Si, Do
Continuiamo da soli con i gradi successivi: Re, Re#, Mi, Fa...
eccetera. Verifichiamo confrontando con la tabella qui sotto.

Ok, ora parliamo dell'utilità pratica di questa notazione che


abbiamo appena visto:
possiamo fare riferimento a qualsiasi nota, sulla base di qualche
nota di partenza. È in sostanza lo stesso principio spiegato nella
sezione sulle scale, che qui si completa. Prima, infatti, abbiamo
lavorato solo sulla scala di Do maggiore, dicendo solo “3° grado”, “6°
grado” non stavamo specificando se il grado fosse maggiore,
minore, giusto, diminuito o aumentato. Pertanto, i gradi erano in
dipendenza dal formato della scala di Do maggiore. Ora non sarà più
necessario collegarsi a una scala, poiché specificheremo
separatamente ogni grado. Di seguito, alcuni esempi che fungono da
esercizi. Aiutiamoci a rispondere con la tabella mostrata in
precedenza.
Qual è il terzo grado minore di Do? Per semplificare, nel
linguaggio musicale si dice “la terza minore” di Do. Quindi,
riformulando la domanda: qual è la terza minore di Do? La risposta
è: Re #.
Qual è la settima minore di Sol? Fa
Qual è la seconda minore di Re? Re #
Qual è la quinta aumentata di Re? Sol #
Qual è la quarta giusta di La? Re
Qual è la quinta diminuita di Si? Fa.
Facciamo attenzione: per ora stiamo parlando solo di note, non di
accordi. Le denominazioni “aumentata” e “diminuita”, così come le
denominazioni “maggiore” e “minore” compaiono anche negli
accordi, ma questo è un altro approccio. Attenzione a non
confondere le cose, qui si parla solo di note e della loro
nomenclatura isolata. Quando si tratta di accordi, la nomenclatura ha
un altro scopo. Dunque questa distinzione è importante.

Modo
Cosa sono i modi musicali? Sono un tipo di scala con
caratteristiche melodiche distinte. I 7 modi - ionio, dorico, frigio, lidio,
misolidio, eolio e locrio - provengono dalle prime forme di musica
occidentale. Prima di capire la matematica per dividere l'ottava in 12
toni uguali, ci siamo dovuti accontentare di un sistema imperfetto. I
modi erano la soluzione. Invece di usare una scala che poteva
essere trasposta in chiavi diverse, c'erano 7 modi che avevano
ognuno la propria struttura.
In che modo essi sono utili per scrivere canzoni? Ogni modo ha il
suo colore e il suo umore unico. Le loro impronte melodiche possono
portare molta drammaticità o freschezza al suono del brano. In
pratica, partendo da note diverse, muta la sensazione che ci
trasmette il suono, e mutano gli intervalli delle note. Se attacchiamo
con il Do, avremo senz'altro una melodia allegra, ma se cominciamo
dal Re, la melodia sarà più mesta. Come costruire i modi? Il loro
particolare suono proviene dalle loro costruzioni uniche, e dall'ordine
ben preciso che seguono. Ogni modo può essere costruito a partire
dalla scala di Do maggiore. Prendiamo come esempio il secondo di
essi, il dorico, giusto per farci un'idea di cosa si tratta.
Scriviamo la scala di Do maggiore, ma invece di fermarci
all'ottava (Do), scriviamo il grado della scala successivo (Re), come
se stessimo continuando l'ottava. Se cancelliamo il Do con cui
abbiamo iniziato, ora abbiamo una scala di 8 note che va da Re (1) a
Re (2). Questo è il secondo modo, abbastanza vicino alla scala di
Re minore, alla quale assomiglia, ma con alcune differenze
importanti. Il 6 ° grado è naturale, ma il 7 ° è bemolle. Questo modo
ha una sonorità cupa e malinconia, ed è dunque molto usato nelle
ballads. Di seguito lo vediamo illustrato.

Ed ancora: il modo ionio è la scala maggiore più importante, che


parte dal Do e finisce con il Do all'ottava successiva. Lo schema per
ricavarla è T T S T T T S, dove “T” sta per tono e “S” per semitono. È
assai usato nel genere pop e commerciale, per il suo tono allegro e
vivace.
Proseguendo, abbiamo il modo frigio, una scala minore, che
parte da Mi e finisce col Mi all'ottava successiva. Il suo schema è: S
T T T S T T. Ha una caratteristica peculiare, ossia il semitono
all’inizio tra il 1° e il 2° grado. Conferisce al brano un sapore a metà
fra il latino e il balcanico, ed è tipico del flamenco.
Poi il modo lidio, una scala maggiore che va dal Fa al Fa
dell'ottava successiva, caratterizzato da una sonorità positiva, come
quella che troviamo nella musica popolare. Segue lo schema T T T
S T T S.
Il modo misolidio, anch'esso una scala maggiore, parte da Sol e
si chiude col Sol all'ottava successiva. Il suo schema è T T S T T S
T. È peculiare del blues e del rock and roll. Il modo eolio parte dal La
e si chiude al La dell'ottava seguente, è una scala minore, dal sound
più malinconico, che segue la successione T S T T S T T. E per
concludere, il modo locrio, che va dal Si al Si dell'ottava successiva,
secondo lo schema: S T T S T T T. È una scala che suona come
“incompiuta”, conferendo sospensione ed ambiguità alla sonorità del
brano.
Più in generale, ricordiamo che i modi con gradi di scala più bassi
sono più scuri; i modi con gradi di scala più alti suonano più
luminosi. Quindi, in base a ciò che intendiamo comporre, possiamo
servirci del modo più adatto.

Il circolo delle quinte


Non è altro che una sequenza di note separate da intervalli di
quinte giuste. Andiamo a rivedere il paragrafo sugli intervalli se la
dicitura “quinte giuste” non ci dice nulla.
Guardiamo l'immagine seguente:

Questo è il circolo delle quinte, una rappresentazione grafica


delle tonalità – o chiavi - che ci sono in musica. Partendo dall'alto
dalla tonalità di Do maggiore, il circolo si divide fra i diesis, a destra,
e i bemolli, a sinistra. Usiamo come punto di riferimento il Do
centrale sul piano per procedere in avanti, con le note maggiori sul
lato destro. Questo schema è detto “circolo delle quinte” perché le
chiavi sono separate tra loro dallo spazio di un quinto intervallo –
osserviamo nell'immagine che da Do a Sol lo spazio è una quinta.
Iniziamo dal Do maggiore. Dal momento che non ci sono diesis
nella scala di Do maggiore, le note in essa presenti sono: Do, Re,
Mi, Fa, Sol, La, Si. Ora procediamo col Sol, il tasto successivo.
Vediamo nella parte esterna del circolo che compare un diesis, il
quale nel pentagramma è nella posizione di un Fa, quindi le note
nella scala di Sol maggiore sono: Sol, La, Si, Do, Re, Mi, Fa #. La
scala di Do non ha diesis, quella di Sol ne ha uno, quella di Re ne ha
due, e così via proseguendo nella lettura del cerchio. Un diesis in più
appare per ogni nuova quinta, andando in giù fino alla fine del
semicerchio destro. Passando al semicerchio sinistro, vediamo che
si tratta stavolta dei bemolle, solo che invece di aggiungerne uno
ogni volta, in senso orario ne scompare uno con ogni nuova chiave.
Il modello prosegue fino a tornare al punto di partenza in cima col Do
maggiore, che di nuovo non ha bemolli o diesis.
Una volta analizzate le chiavi maggiori, quelle minori saranno
altrettanto semplici. Ricominciamo dalla cima del cerchio interno con
il La minore. Il modello delle quinte e l’aggiunta di un diesis funziona
in modo analogo. Non a caso, la chiave di La minore è conosciuta
come la minore relativa di Do maggiore. Dal disegno vediamo che il
La minore non ha alterazioni, procedendo avanti di una quinta
troviamo: il Mi minore, con un solo diesis, cioè il Fa #; il Si minore
con le alterazioni Fa # e Do #; il Fa# minore che ha tre diesis, cioè
Fa #, Do # e Sol #; ed ancora il Do# minore con ben quattro diesis,
ossia Fa #, il Do #; il Sol # e il Re #; e così via, andando avanti a
leggere lo schema e i diesis contenuti nel piccolo pentagramma.
Tuttavia, ci staremo ancora chiedendo: e a che serve tutto
questo? Oltre ad individuare le alterazioni bemolle e diesis sulle
varie scale, serve anche a costruire accordi di base. Proviamo a
formare un paio di accordi base servendoci del circolo delle quinte
punto di partenza. Sappiamo già che gli accordi principali si formano
con la nota fondamentale della scala - il 1° grado - la terza maggiore
e la quinta giusta. Dato che stiamo parlando del circolo delle quinte,
la nostra quinta giusta si troverà in un punto collocato in senso orario
a partire dall'alto. Per esempio, la quinta giusta di Do è Sol, perché
sappiamo che lo spazio tra una chiave è l'altra è un intervallo di
quinta. Dunque sappiamo già due note che formano l’accordo di Do
maggiore, Do e Sol. Ma come troviamo il terzo grado della triade?
Muoviamoci ancora verso il basso a partire dalla nostra quinta giusta
e contiamo tre posizioni: troveremo un Mi. Infatti, Do Mi Sol è
l'accordo di Do maggiore. Lo stesso metodo è applicabile su tutto il
circolo per tutti gli accordi maggiori.
Per gli accordi minori, lo schema da seguire è sempre molto
semplice, ma diverso. Si prendono la nota fondamentale e la sua
quinta giusta, ad esempio, per l'accordo di Do minore avremo
naturalmente il Do, e poi, ancora una volta, il Sol. La restante nota
che forma gli accordi minori è una terza minore. Per trovarla, basta
contare tre posizioni in senso antiorario a partire dalla fondamentale.
Così, nel caso di Do minore, la terza minore sarà Mi b. Dunque,
l'accordo di Do minore è: Do, Mi b, Sol.
A questo punto, se ci è tutto chiaro, scegliamo una nota dal
circolo e costruiamo i nostri accordi di base, poi verifichiamo che le
triadi di note siano corrette.
5. Melodia e armonia
La stragrande maggioranza dei brani è composta da melodia e
armonia, le quali spesso vengono anche confuse. Questo capitolo
servirà a spiegarle entrambe, a capire in che cosa differiscono, per
giungere infine agli accordi.

Cos'è la melodia
La melodia è una piacevole serie di note che insieme
costituiscono la parte principale di una canzone o di un brano
musicale. Probabilmente saremo in grado di identificarla quando
ascoltiamo una canzone: le nostre orecchie sono infatti naturalmente
predisposte per percepire i toni alti meglio di quelli bassi, motivo per
cui molte canzoni sono costruite con la melodia ad un'altezza
maggiore rispetto agli altri elementi. Kliewer afferma che “gli
elementi essenziali di qualsiasi melodia sono durata, altezza e
qualità (timbro), consistenza e volume. Sebbene la stessa melodia
possa essere riconoscibile quando suonata con un'ampia varietà di
timbri e dinamiche, quest'ultima può comunque essere considerata
un ‘elemento di ordine lineare.” La ragione per cui la melodia è così
importante è che essa è la parte di una canzone che le persone
ricorderanno. Quando qualcuno dice “ho questa canzone in testa”,
quello che vuole veramente dire è “non riesco a smettere di pensare
a quest'orecchiabile melodia!”.

Vari tipi di melodie


Innanzitutto facciamo distinzione tra due tipi principali di melodie:
melodia strofica, o chiusa, e melodia infinita. Il primo tipo comprende
due sottogruppi, sui quali ci focalizzeremo in questo paragrafo: la
melodia strumentale e la melodia vocale. In teoria, non dovrebbe
esserci molta differenza tra le due. In particolare nei generi pop,
entrambi i tipi di melodie solitamente mostrano le seguenti
caratteristiche:
- Di solito si spostano principalmente “per gradi”, comprendono
cioè note adiacenti in una scala, con occasionali salti;
- Spesso avranno un picco, o climax, ad un certo punto della
canzone;
- Le loro note, in particolare le note che si ripetono sul battere,
saranno supportate dall'accordo suonato in quel momento;
- Una buona melodia fa tipicamente uso della ripetizione, sia
esatta che più approssimativa.
Dunque, queste caratteristiche tendono ad essere presenti nelle
melodie indipendentemente dal fatto che esse vengano suonate con
gli strumenti o cantate. È per questo che di solito possiamo prendere
una melodia vocale e suonarla, cosa che spesso accade all'interno
della stessa canzone: ascoltiamo la versione dei Byrds di “Turn!
Turn! Turn!” per capire meglio a cosa ci stiamo riferendo.
Detto questo, ci sono differenze evidenti tra le melodie create
appositamente per essere cantate e quelle fatte per essere suonate.
Non prendiamo l'esempio - abbastanza estremo - di un assolo
strumentale improvvisato, che già sappiamo essere notevolmente
diverso da una melodia cantata. È palese che, ad esempio, i riff di
chitarra di apertura di “Spirit of Radio” dei Rush sarebbero
improbabili, o alquanto comici, da cantare. Prendiamo un esempio
dal rock classico: la melodia di flauto solista in “California Dreamin'”
di The Mama e Papa. Esso ha tutte le caratteristiche di base sopra
elencate, ma in aggiunta, ascoltandolo, noteremo che ha un
carattere più “errante” e un approccio più libero al ritmo che
renderebbe un po' difficile tramutarlo in parole. Inoltre, la maggior
parte degli strumenti ha una sorta di flessibilità che consente loro di
spostarsi da un'ottava all'altra con molta più facilità rispetto alla voce.
Dunque, un assolo che salta dalle ottave basse a quelle alte, e
viceversa, è previsto nelle melodie strumentali e non richiede molto
sforzo. Saltare tra ottave alte e basse nelle melodie vocali richiede
invece un alto livello di tecnica, e spesso non suona nemmeno così
bene.
È bene anche fare un'ultima considerazione riguardo la struttura
delle melodie. Esse sono composte da frasi. Una frase musicale è in
realtà molto simile a una frase grammaticale, ad esempio “nella
foresta oscura e profonda”, o “sotto quel libro pesante”, sono
stringhe di parole che esprimono un'idea definita, ma che, tuttavia,
non hanno molto senso di per sé, non formano cioè una frase
completa. Analogamente, una frase melodica è un gruppo di note
che insieme esprimono una precisa “idea”, ma ce ne vogliono più di
una per formare una melodia completa e finita. Come si individua
una frase in una melodia? Proprio come spesso mettiamo una pausa
fra le diverse parti di una frase - ad esempio, se pronunciamo le
parole “ovunque tu vada, eccomi” - la melodia, di solito, presenta
una piccola pausa alla fine di ogni frase. Nella musica vocale, le frasi
musicali tendono ad andare di pari passo con le frasi del testo. Ad
esempio, ascoltiamo le frasi musicali della melodia di “The Riddle
Song” e notiamo come esse combaciano con le quattro frasi del
testo.

Cos'è l'armonia
L'armonia è il prodotto dell'unione di singole voci musicali che
formano un insieme coeso. Pensiamo ad un'orchestra: il suonatore
di flauto può suonare una nota, il violinista suonarne una diversa, e il
trombonista un'altra ancora, ma quando ascoltiamo queste singole
voci sommate, esse generano armonia.
Come viene rappresentata l'armonia in musica? Generalmente
come una serie di accordi. In quest'ipotetica orchestra, diciamo che il
flautista suonava un La alto, il violinista un Do # e il trombonista un
Fa #. Insieme, queste tre note costituiscono una triade minore di Fa
#. Pertanto, anche se ogni strumentista stava suonando una singola
nota, insieme stavano in realtà producendo un accordo minore di Fa
#. In particolare:
- Quando tutti gli strumenti in un insieme suonano note in linea
con lo stesso accordo, questo sarà chiamato “accordo
consonantico”.
- Quando, invece, i musicisti utilizzano una linea melodica che
non si adatta a un determinato accordo - come un oboista che suona
un Si b mentre il resto dell'orchestra sta suonando i toni di una triade
di Re maggiore – questo sarà noto come “accordo dissonante”.
Come viene usata l'armonia in musica? Essa può essere
completamente scritta dal compositore, oppure può essere delineata
dal compositore e interamente eseguita dai musicisti. Lo scenario
orchestrale sopra descritto è un esempio di armonia strettamente
scritta dal compositore, il quale ha assegnato note specifiche a
diversi strumenti, note che si combinano a formare accordi. Questa è
una pratica comune nella tradizione europea della musica classica.
Vediamo ora invece un esempio più popolare di armonia. Un altro
modo comune ai compositori di esprimere l'armonia è scrivere una
particolare progressione di accordi per poi consentire ai musicisti di
creare le proprie parti, adattandole più liberamente a quella
progressione. Per esempio, ascoltiamo la canzone “Down on the
corner” dei Creedence Clearwater Revival: essa è scritta nella
tonalità di Do maggiore, ed utilizza una progressione di accordi
comune a quella particolare tonalità, pertanto ci si aspetta che gli
strumentisti utilizzino la scala di Do maggiore per creare parti che si
adattino alla progressione di accordi. Nell'intro della canzone, Stu
Cook stabilisce una linea di basso composta principalmente da note
singole, il chitarrista ritmico esegue accordi a 5 e 6 note e l'altro
chitarrista, John Fogerty, suona una melodia basata sulla scala di Do
maggiore, il tutto accompagnato dal batterista. Tutti suonano in
armonia, seguendo sia la progressione di accordi sia la tonalità
complessiva di Do maggiore.

Accordi
Abbiamo già visto come formare gli accordi di una tonalità
usando le triadi. Ora estenderemo questo concetto alle tetradi. La
regola usata per formare gli accordi, per ricapitolare, era quella di
prendere il 1°, il 3° e il 5° grado della scala in questione. Adesso
faremo la stessa cosa, ma includendo anche il 7° grado, che
caratterizza una tetrade.
Analizzando la stessa scala di Do maggiore, a partire dalla nota
di Do, sappiamo che il 7° grado della scala, contando dal Do, è Si,
ed abbiamo già visto gli altri gradi. Pertanto, il primo accordo sarà
formato dalle note Do, Mi, Sol e Si. Questo è l'accordo di Do settima
maggiore - solitamente indicato con la nomenclatura americana
come Cmaj7 (dove “maj” sta per major), poiché Si è la settima
maggiore di Do.
Applicando la stessa regola alla nota successiva, il Re, vedremo
che il 7° grado è Do, quindi l'accordo sarà formato dalle note Re, Fa,
La, Do. Questo è l'accordo di Re minore settima (Dm7). Notare che
qui abbiamo la settima minore di Re, quindi usiamo il simbolo “m7”,
invece di “maj7” che caratterizzerebbe la settima maggiore.
Forse ci staremo chiedendo quale sia la differenza, dal punto di
vista pratico, tra questi due tipi di accordi che abbiamo formato, le
triadi e le tetradi. L'unica differenza è che, nel secondo tipo,
l'accordo contiene una nota in più, il che lo rende più “pieno” a livello
del suono. Invece, quando si tratta di scoprire la tonalità della
canzone, non cambia nulla.
Finora abbiamo usato la scala maggiore di Do come esempio.
Invece di specificare la tonalità - come per esempio Do maggiore -
ora rendiamo il tutto un po' più generico: parliamo degli “accordi di
una tonalità maggiore”, perché se applichiamo questa regola alla
scala maggiore di Sol, alla scala maggiore di La, o alla scala
maggiore di qualsiasi altra nota, avremo sempre una cosa in
comune, ossia che gli accordi di settima seguiranno la formazione
seguente, dove i numeri romani indicano i gradi della scala:
I maj7, II min7, III min7, IV maj7, V 7, VI min7, VII min7
Possiamo verificarlo formando gli accordi delle altre tonalità, oltre
al Re. Prendiamo la scala maggiore di Mi e gli accordi ad essa
associati, ad esempio:

Per comodità riporto ancora la seguente immagine:


Notiamo come il primo grado si trasforma in settima maggiore, il
secondo grado in settima minore, eccetera. Questo ci semplifica di
molto il lavoro, poiché significa che memorizzando solo la sequenza
qui sopra, conosceremo già gli accordi di qualsiasi tonalità maggiore.
Basterà collocare le rispettive note della scala maggiore in questione
al posto dei gradi. Ad esempio: quali sono gli accordi della tonalità di
Re? Dmaj7, Emin7, F# min7, Gmaj7, A7, Bmin7, C# min7.
Notiamo che la scala maggiore di Re che fa da punto di partenza
è: Re, Mi, Fa #, Sol, La, Si, Do #.
Come esercizio, proviamo a formare gli accordi di tutte le tonalità
di settima maggiori. In generale, quando si parla di accordo di una
nota si intende la triade con quella come nota fondamentale, più il 3°
e il 5° grado.

Differenze fra la melodia e l'armonia


Quando ascoltiamo una canzone, possiamo pensare di separare
la melodia dall'armonia, e magari le confrontiamo per vedere quale
delle due prevale. Tuttavia, sia la melodia che l'armonia giocano un
ruolo chiave nello sviluppo di qualsiasi brano musicale. È la melodia
su cui spesso ci concentriamo per prima, la qualità vocale di una
canzone o di un brano. Tuttavia, è l'armonia - le note e gli accordi in
musica - che regge la melodia e che rende la canzone un successo.
Le melodie sono costituite in sostanza dalle abilità musicali della
persona che canta la canzone. Tale persona utilizzerà una
combinazione di tono ed intonazione per completare l'armonia di una
canzone. È l'armonia che crea l'“atmosfera”, il “mood” di una
canzone: essa è sviluppata da una o più combinazioni di strumenti,
ed utilizza ritmo e accordi per impostare il tono di una canzone. La
melodia è spesso descritta come la parte orizzontale di una
canzone, mentre l'armonia come la parte verticale.
Quando si crea una melodia, è importante incorporare forma e
movimento. La forma è l'architettura con cui il brano si articola, e che
comprende suddivisioni e strutture ritmiche; l'estensione è l'intervallo
di altezze che un certo strumento musicale può eseguire - per la
voce si parla di estensione vocale. Queste due caratteristiche
consentono a una melodia di spaziare tra diverse note, essendo già
di per sé un'espressione indipendente della canzone, non
necessariamente legata a schemi temporali precisi. Un'armonia,
invece, non deve per forza incorporare una vasta gamma di note,
ma deve mantenere un unico flusso fluido per tutta la canzone.
Una melodia può essere utilizzata per trasmettere qualsiasi
messaggio, poiché i testi possono rappresentare esattamente ciò a
cui sono destinati. Essi possono direttamente catturare l'attenzione
del pubblico scelto. Un'armonia è in grado di fare lo stesso, ma in
modo meno ovvio. Le armonie sono composte da varie note le quali
possono creare l'atmosfera e il tono di un brano musicale. Ci sono
persino canzoni che vengono create senza una melodia,
concentrandosi sull'armonizzazione reciproca degli strumenti al
punto da riuscire a raccontare una storia al pubblico.
Di solito, le melodie non vengono suonate da sole da uno
strumento solista o da un gruppo di strumenti che suonano la stessa
cosa. Molto spesso ci sono strumenti “solisti” che suonano melodie,
come la voce, strumenti a fiato, eccetera, e, allo stesso tempo, altri
strumenti che li accompagnano facendo qualcos'altro. Questa
relazione tra diverse note suonate allo stesso tempo è ciò che
chiamiamo armonia. A volte questo può essere realizzato da uno
strumento come la chitarra o il pianoforte, ma altre volte da più
strumenti, come gli ensemble di ottoni.
Le differenze tra armonie e melodie sono numerose, tuttavia
quando le due vengono create allo scopo di completarsi a vicenda, i
risultati possono essere ottimi.

Scrivere melodie piacevoli all'ascolto


È tempo di lanciarci ora nella pratica. Essendo la prima volta che
ci avviciniamo a questo campo, troveremo sicuramente che le
melodie vocali siano difficili da scrivere. Sarebbe bene allora
cominciare scrivendo semplici melodie strumentali. Non è
necessario che esse differiscano molto da ciò che potremmo
scrivere per la voce. Il vantaggio di scrivere prima una melodia
strumentale è che possiamo focalizzarci su come far funzionare la
relazione nota-accordo, senza preoccuparci - almeno all'inizio - di
quali parole scriveremo per quella melodia. Se poi ci accorgiamo che
la nostra idea di melodia strumentale ha prodotto qualcosa di adatto
alla chitarra o al piano, ma meno alla voce, possiamo ovviare in
questo modo: semplificando i ritmi melodici; concentrandoci
sull'utilizzo di più ripetizioni, che fungono da importante elemento
strutturale; evitando che la melodia “vaghi” troppo; ricordandoci che
una melodia che comprende più di un'ottava diventa difficile da
cantare. Sebbene le melodie possano essere create scrivendo note
in modo casuale, è consigliabile usare una struttura, il che non
significa mancanza di ispirazione, o noia e ripetitività, significa che
saremo in grado di creare un'idea musicale più rapidamente ed
efficacemente. Seguiamo questi step:
1. Scegliamo una scala. Iniziare con una scala limita la quantità
di note che possiamo utilizzare immediatamente, quindi non
perderemo tempo a mettere per iscritto le note a orecchio, o a
premere tasti a caso sulla tastiera.
2. Creiamo un ritmo. Dopo aver identificato la scala, dobbiamo
trovare il ritmo per la nostra melodia. Essa non è un mero
susseguirsi di note, è una successione ritmica di note. Potremmo
trovare utile usare una grancassa o un metronomo in questo caso. Il
metronomo è uno strumento utilizzato per indicare i vari gradi di
velocità del movimento musicale, utilissimo in primo luogo per
imparare a suonare a tempo. Possiamo procurarcene uno
elettronico.
3. Disegniamo un contorno. Ora che il ritmo è fissato, è il
momento di iniziare a disegnare il contorno della melodia: è qui che
usiamo davvero l'immaginazione. Possiamo disegnarne uno su
carta, o semplicemente dipingere un'immagine mentale nella nostra
testa, in modo molto astratto.
4. Scegliamo / creiamo un suono. Scrivere la melodia prima o
dopo il “sound design” dipende completamente da noi. Creare /
scegliere il suono prima può essere consigliabile poiché avere già un
buon sound influenzerà in positivo le successive decisioni di
scrittura.
5. Creiamo. A questo punto è il momento di fare riferimento al
contorno che abbiamo disegnato - o pensato – e di cambiare,
aggiungere, invertire le note, finché non troviamo il suono che sia
con noi all'unisono, che risuoni dentro di noi.
Se la melodia è carina, ma non eccezionale, forse serve
aggiungervi del “fascino”. Dopo aver creato qualcosa di semplice,
proviamo ad aggiungere note extra e a variarne la durata. La
melodia potrebbe mancare di profondità e potenza perché è a una
sola voce. A volte semplicemente ci sembra non funzionare.
Ritroviamo l'ispirazione seguendo dunque questi suggerimenti:
usiamo il silenzio; cambiamo lo strumento; alziamo o abbassiamo le
note di un'ottava; eliminiamo ogni seconda nota. Se, invece, stiamo
creando una melodia da una progressione di accordi, allora:
lavoriamo con il ritmo della progressione di accordi, se presente;
facciamo in modo di avere le note forti della melodia all'interno
dell'accordo, cioè se, ad esempio, il primo accordo è un Do
maggiore, usiamo come prima nota della melodia Do, Mi o Sol;
prestiamo particolare attenzione alla nota prima di un cambio di
accordo. Alcune cose da evitare sono girare e rigirare attorno alla
melodia, poiché una buona melodia si risolve in sé e si ripete, ed
anche la troppa variazione di intonazione e ritmo. La coerenza e la
semplicità sono la chiave.

Scrivere armonie piacevoli all'ascolto


Scrivere belle armonie è importante per rendere vive le melodie.
Queste ultime vengono infatti sostenute dalle armonie, sequenze
ben definite di accordi che vanno avanti per tutta la lunghezza del
brano. Partiamo dal presupposto che armonie maggiori creeranno
un suono di tipo allegro, armonie minori un suono più triste, ed
armonie diminuite suoneranno più discordanti. Immaginiamo di
scrivere armonie al piano, che come strumento potrebbe essere un
buon punto di partenza per buttar giù una prima bozza di brano
musicale, al quale poi aggiungere un testo. Prima di tutto, un ottimo
modo di armonizzare è quello di aggiungere nuove note alla nota
portante della melodia, a condizione però che quest'ultima rimanga
sempre la più acuta del brano.

Inoltre, quando un brano attacca in levare, dobbiamo armonizzare


sempre a partire dal battere. Facciamo l'esempio della nota canzone
“Tanti auguri”, in cui i primi due Do sono in levare e non vengono
sostenuti da nessun accordo. La terza nota, stavolta in battere, è un
Re, ed essendo la canzone in tonalità di Fa maggiore, il primo
accordo sarà quasi sicuramente di tonica, dunque un accordo di Fa
maggiore a cui si aggiunge la sesta, il Re appunto. Se possibile,
proviamo anche a mantenere la nota principale dell’accordo come
nota più bassa suonata con la mano sinistra. Siccome la nota più
bassa e la più alta sono quelle che il nostro udito recepisce
maggiormente, è consigliabile che si sentano in modo netto, pulito. È
importante che il basso e il soprano risaltino, mentre nel mezzo
possiamo inserire dissonanze ed altro.
Come ultimo consiglio, cerchiamo sempre di arricchire
l’armonizzazione. Lo spettro degli accordi utilizzabili è tanto vario
quanto complesso. Prendendo ancora il brano “Tanti auguri”, è
possibile arricchire la sua armonizzazione aggiungendo accordi
caratterizzati da dissonanze, come mostrato qui sotto.
Tuttavia, per saper creare arricchimenti come quelli mostrati in
figura, sono necessarie approfondite conoscenze dell’armonia che si
possono acquisire solo dopo anni di studio e di pratica.
6. Usare la teoria musicale per scrivere musica
Questo capitolo sarà un po' meno tecnico dei precedenti e, dopo
una prima metà riguardante la trasposizione delle emozioni in
musica, tratterà più in generale di come applicare le nozioni finora
apprese nella scrittura di brani musicali.

Le emozioni nella musica


La musica ha la capacità di evocare risposte emotive negli
ascoltatori, come brividi e sensazioni forti. Le emozioni positive
dominano le esperienze musicali. La musica piacevole può portare
al rilascio di neurotrasmettitori associati alla ricompensa, come la
dopamina, ed ascoltare musica è un modo semplice per migliorare
l'umore o alleviare lo stress. L'ascolto dell'inno nazionale
statunitense “Star Spangled Banner” suscita orgoglio, “The Shape of
You” di Ed Sheeran suscita gioia, ed indiscutibile è il potere seduttivo
di “Careless Whispers” di George Michael. Riportiamo a questo
proposito un interessante studio scientifico condotto dalla UC
Berkeley.
Gli scienziati della suddetta università hanno intervistato più di
2500 persone negli Stati Uniti e in Cina sulle loro risposte emotive a
queste e migliaia di altre canzoni di diversi generi, tra cui rock, folk,
jazz, classica, sperimentale e heavy metal. Il risultato è stato che
l'esperienza soggettiva della musica nelle diverse culture può essere
mappata entro almeno 13 sentimenti generici: divertimento, gioia,
erotismo, bellezza, rilassamento, tristezza, sogno, trionfo, ansia,
paura, fastidio, sfida e sentirsi “caricati”, motivati. “Immaginiamo di
organizzare una libreria musicale estremamente eclettica in quanto a
emozioni e di catturare la combinazione di sentimenti associati ad
ogni traccia. Questo è essenzialmente ciò che ha fatto il nostro
studio”, ha detto l'autore dello studio Alan Cowen, studente di
dottorato in neuroscienze alla UC Berkeley.
“Abbiamo documentato rigorosamente la più vasta gamma di
emozioni che sono universalmente provate attraverso il linguaggio
della musica”, ha detto l'autore senior del medesimo studio. Cowen
e altri ricercatori hanno tradotto i dati ottenuti in una mappa audio
interattiva in cui i visitatori possono spostare i loro cursori per
ascoltare uno qualsiasi dei migliaia di frammenti musicali disponibili
per scoprire, tra le altre cose, se le loro risposte emotive
corrispondono a quelle di persone di culture diverse dalla loro. Le
potenziali applicazioni di questi risultati di ricerca vanno dalla messa
a punto di terapie psicologiche e psichiatriche per evocare
determinati sentimenti, all'aiutare i servizi di streaming musicale -
come Spotify - a regolare i loro algoritmi allo scopo di soddisfare i
desideri musicali dei loro clienti.
Mentre i partecipanti allo studio sia statunitensi che cinesi hanno
identificato emozioni simili - come provare paura quando
ascoltavano la colonna sonora del film “Lo squalo” - le risposte
differivano nel momento in cui si andava ad indagare come quelle
stesse emozioni suscitate dai brani li facessero sentire. “Persone di
culture diverse possono sì concordare sul fatto che una canzone sia
'rabbiosa', o 'angelica', ma può differire il modo in cui essi
percepiscono quel sentimento, ossia in modo positivo o negativo”,
ha detto Cowen, osservando che i valori positivi e negativi - noti nel
gergo psicologico come “valenze” - sono più specifici da cultura a
cultura.
In tutte le culture, i partecipanti allo studio concordavano
grossomodo sulle caratterizzazioni emotive generali dei suoni
musicali, come rabbia, gioia e fastidio. Ma le loro opinioni variavano
a livello di “eccitazione”, che nello studio si riferiva al grado di calma
o stimolazione evocata da un brano musicale.
Come è stato esattamente condotto questo studio? Più di 2500
persone negli Stati Uniti e in Cina sono state reclutate tramite una
piattaforma di crowdsourcing. Innanzitutto, i volontari hanno
visionato migliaia di video su YouTube, alla ricerca di musica che
evocasse una certa varietà di emozioni. A partire da questi video, i
ricercatori hanno poi costruito una raccolta di clip audio da utilizzare
nei loro esperimenti. Successivamente, quasi 2000 partecipanti allo
studio negli Stati Uniti e in Cina hanno valutato circa 40 campioni
musicali, suddivisi secondo 28 diverse categorie di emozioni,
secondo una scala di positività e negatività e, infine, per livelli di
“eccitazione”. Sulla base di analisi statistiche, i ricercatori sono
arrivati a stilare 13 categorie generali di esperienza che ricorrevano
in tutte le culture, e che corrispondevano a sentimenti/aggettivi
specifici, come “deprimente” o “sognante”. Per garantire
l'accuratezza di questi risultati, in un secondo esperimento quasi
1000 persone provenienti da Stati Uniti e Cina hanno valutato oltre
300 ulteriori campioni di musica occidentale e tradizionale cinese,
specificamente mirati a evocare variazioni di valenza ed eccitazione.
Le loro risposte hanno convalidato le 13 categorie già trovate in
precedenza. Le “Quattro stagioni” di Vivaldi li facevano sentire pieni
di energia, “Rock the Casbah” dei Clash li caricava, come si suol
dire, ed ancora, “Let's stay together” di Al Green evocava in loro
sensualità, e “Somewhere over the Rainbow" di Israel
Kamakawiwoʻole suscitava grande gioia.
Allo stesso tempo, l'heavy metal era ampiamente percepito come
provocatorio e, proprio secondo intenzione del suo compositore, la
colonna sonora della scena della doccia di “Psycho” innescava
paura. I ricercatori riconoscono che alcune di queste associazioni
possano essere basate sul contesto, in cui i partecipanti allo studio
avevano precedentemente ascoltato, almeno una volta nella loro
vita, un determinato brano musicale, magari in un film o in un video
YouTube. Ma questo valeva sicuramente meno nel caso della
musica tradizionale cinese, con la quale i risultati sono stati di nuovo
convalidati.
Cowen e Keltner avevano precedentemente condotto uno studio
in cui erano giunti ad identificare 27 emozioni in risposta a video
YouTube visivamente molto evocativi. Per Cowen, che proviene da
una famiglia di musicisti, studiare gli effetti emotivi della musica
pareva il successivo passo logico da compiere. “La musica è un
linguaggio universale, ma non sempre prestiamo abbastanza
attenzione a ciò che dice e a come essi viene inteso. Volevamo fare
un primo passo importante verso la soluzione del mistero di come la
musica possa evocare così tante sfumature di emozioni.”
E a noi quale genere di musica piace ascoltare? Tendiamo
sempre allo stesso genere, o cambiamo a seconda dello stato
d'animo in cui vogliamo immergerci? Abbiamo mai pensato che forse
il nostro modo di essere, le nostre esperienze di vita, i nostri ricordi
influenzino il tipo di musica verso cui più spontaneamente tendiamo?

Trasmettere le emozioni scrivendo musica


La composizione musicale non è mai qualcosa di univoco, bianco
o nero, del tipo “tonalità minore uguale triste, tonalità maggiore
uguale felice”. Ogni ascoltatore del mondo porta diverse soglie di
emozione nella propria esperienza musicale. In questo senso,
trasmettere emozioni tramite la musica è in un certo modo astratto,
fluido e suscettibile di molte interpretazioni. Come facciamo a
trasferire le emozioni nella nostra musica? Di seguito vediamo alcuni
stati d'animo e le progressioni, o accordi, che possono aiutarci a
riprodurli. È raccomandabile anche ascoltare le canzoni cui si fa
riferimento per renderci conto davvero di che cosa stiamo parlando.
- Misterioso: ci riferiamo a qualcosa di simile agli ultimi tre accordi
della sezione in La in “Naima” di John Coltrane: A maj9 + B maj9 +
A ♭ maj (ricordo che se non c’è un numero alla fine della sigla è una
triade). Non è chiaro fino alla fine dove la progressione stia andando,
dove ci voglia portare, e gli strani accordi aumentati con intervalli
maggiori di nona risultano enigmatici.
Una tecnica per portare mistero è quella di formare una
progressione utilizzando un solo tipo di accordo con centri chiave
diversi. Questi ultimi sono l'insieme di accordi che compongono una
determinata tonalità. Nell'esempio che segue, il tipo di accordo usato
è sempre lo stesso, quello di settima maggiore (maj7), ma i centri
chiave variano, infatti troviamo: Mi, Do, Si e Sol. La progressione
che prendiamo in esame è quella di “Havona” dei Weather Report,
che presenta la frase a quattro accordi: E maj7, C maj7, B maj7, G
maj7. Abbiamo quattro accordi principali di settima che formano una
matrice inquietante. La qualità dell'accordo in sé è felice, ma il
movimento è dissonante, pertanto si ha una progressione di accordi
che è sì bella, ma strana al tempo stesso, e che evoca un fantastico
senso di mistero.
- Trionfante: la progressione Fa, Sol, La è quella predefinita di
molti videogiochi degli anni '80 e dei primi anni '90 per segnalare una
vittoria. Essa ricorda i classici giochi di Mega Man e alcune varianti
della fanfara di vittoria di Final Fantasy; c'è qualcosa nel movimento
graduale del suono che ci fa sentire dei vincitori. La progressione è
di accordi maggiori in successione, come Do, Re, Mi, o come quella
vista sopra, e non deve essere necessariamente legata a una chiave
per funzionare. Inoltre, se aggiungiamo un Mi come nota di basso a
un accordo di Re maj9, si crea immediatamente quella sensazione
hippy anni '60 di riconquista della vita, qualcosa di euforico e di
spirituale che è più forte di qualsiasi negatività.
- Malinconico: “Scott Street” di Phoebe Bridgers ha in sé una
bellissima sensazione malinconica. Contiene per lo più accordi
maggiori nella strofa, ma su ogni accordo sono presenti un Si b
acuto e un Fa che lo trasformano in un accordo sospeso (sus2 o
sus4). Apriamo qui una parentesi per specificare che gli accordi
sospesi - o accordi sus - sono quelli che non contengono la terza di
una scala maggiore o minore. Sostituiscono ad essa la seconda
(sus2) o la quarta (sus4) della scala. Ascoltiamo il brano “Scott
Street”: quando il ritornello entra con “Do you feel ashamed...” c'è un
passaggio immediato a un accordo minore, ed il ritornello termina
anche su un accordo minore, il che fa percepire all'ascoltatore che
l'atmosfera e il messaggio della canzone sono tristi. Un altro modo
per creare malinconia è cospargere la canzone di accordi sospesi o
accordi con una leggera tensione. Gli accordi minori di settima o
add9 (cioè con l'aggiunta del 9° grado della scala) funzionano bene,
perché non sono apertamente oscuri, ma creano invece una sottile
tristezza che non può essere ottenuta con un accordo maggiore. Ad
esempio, le progressioni Fa minore, Re ♭ , oppure Re, Sol ♭ minore,
Mi, ricordano entrambe le frasi degli accordi delle canzoni pop degli
anni '80. Sono “sognanti” e invece che impegnarsi in un definito
centro tonale ci girano attorno. Non sono manifestamente né felici né
tristi, è come se stessero pensando da che parte stare.
- Felice: questo stato d'animo può essere facilmente espresso
con una triade in Re alla chitarra. La felicità è qualcosa di semplice e
senza complicazioni, come semplice è l'accordo di Re maggiore alla
chitarra. Lo possiamo suonare come un accordo esteso, e per
generare un senso di felicità ancora più grande, aggiungere la corda
di Re basso vibrante libera. Gli accordi maggiori generano una
sensazione calda e accogliente; il movimento graduale di ritorno
all'accordo fondamentale dopo una progressione varia di accordi
conferisce appunto questa tranquillità intrinseca. Ed ancora,
prendiamo un riff o una melodia che stiamo suonando in tonalità
minore per poi ripeterli alzati di una terza. Questo aprirà il suono,
cambiando il “sapore” della melodia o della progressione da oscuro
e triste a positivo e pieno di speranza.
Se usiamo tutti gli accordi maggiori per generare una sensazione
di gioia rischiamo di incappare nel banale, allora una buona idea è
quella di utilizzare i power chords o i toni guida invece della triade
completa. Cosa sono i power chords? Sono accordi molto suonati
alla chitarra nel genere rock, composti solo da due note che formano
intervalli giusti, a differenza dell'accordo classico che è un tricordo
composto da tre note, chiamate - come sappiamo - tonica, mediante
e dominante. In sostanza, nel power chord la nota mediante non è
presente. Ad esempio, mentre l'accordo di Mi maggiore è formato da
Mi, Sol # e Si, il power chord Mi5 è formato soltanto da Mi e Si, o da
Mi, Si e Mi all'ottava superiore, in ogni caso senza il Sol # mediante.
- Triste: in questo caso, pur avendo l'intenzione di convogliare
tristezza al brano, non dobbiamo comunque esagerare. Rendiamo
minore la nota tonica dell'accordo, usando una progressione di
accordi come La minore, Sol, Mi minore, La minore, presa in prestito
dalla tonalità di Do maggiore. Impiegando questa semplice
successione di accordi sono state scritte canzoni che hanno fatto la
storia.
E se volessimo esprimere in musica sentimenti più complessi?
Potremmo voler comporre un brano incentrato sulla complessità
dell'amore: scrivendo le progressioni di accordi, cerchiamo di
pensare a quali sentimenti abbiamo intenzione di trasmettere. Una
canzone di questo tipo potrebbe parlare dei sentimenti contrastanti
che si creano nei confronti di una/un ex amante quando la relazione
è finita, ma si cerca ancora di mantenere una sorta di amicizia. Per
tradurre in musica questa sensazione un po' strana e piena di
speranza possiamo usare una progressione incentrata sulla tonalità
di Si ♭ min. Ad esempio, nella strofa iniziale potremmo usare gli
accordi: B ♭ min9, F min9, E min9, D ♭ , B.
L'inclusione dell'accordo di Si maggiore - che non rientra nella
tonalità di Si ♭ minore - rappresenta quel poco di speranza in una
risoluzione pacifica a questi sentimenti “imbarazzanti”. Tuttavia,
l'accordo non dura a lungo: per la prima parte della canzone, la
sensazione è quella dell'amore che è finito, ma che ancora ritorna e
fa sì che la mente vaghi sui ricordi della relazione interrotta. La
seconda metà della canzone muta in un tono più riflessivo, in cui il
testo potrebbe esprimere il tentativo di fare del proprio meglio per far
funzionare ancora quell'amore. Per questa parte, cambiamo la
progressione in una sequenza di quattro accordi che spazia fra le
tonalità di Re bemolle e Re bemolle minore: B ♭ min9, D ♭ min, E,
A ♭ min9.
È proprio come se questa nuova progressione rappresentasse i
sentimenti discordanti che il cantante sta sperimentando, andando
avanti e indietro tra tonalità minori e maggiori. Man mano che la
canzone raggiunge il suo apice, questa progressione si trasforma
per riflettere stati d'animo diversi. La confusione e l'insicurezza sulla
scelta degli innamorati di dividersi è rappresentata dall'ambiguità
degli accordi verso la fine. L'ipotetica canzone potrebbe poi
terminare con una nota misteriosa, che non rientra nella tonalità
portante del brano, ad esempio con una terza maggiore rispetto a
quella di inizio brano, ossia da un Si ♭ minore a un Fa# minore.

Questo era solo un esempio-guida di una canzone che si


potrebbe scrivere su un tema piuttosto ricorrente in musica.
Seguendo poi i suggerimenti elencati in questo paragrafo, tanti altri
sono i temi che si potrebbe decidere di mettere in musica.

Come usare il circolo delle quinte per scrivere


musica
Ricapitoliamo: il circolo delle quinte è una rappresentazione
grafica delle tonalità – o chiavi - che ci sono in musica; in sostanza,
è una sequenza di note separate da intervalli di quinte giuste.
In particolare, memorizzarlo, o tenere una sua rappresentazione
grafica a portata di mano, ci è utile per capire immediatamente in
che tonalità è una determinata canzone. Basterà semplicemente
contare quanti diesis o bemolle ci sono nell'armatura di chiave ed
usare quello stesso numero di “passi” per procedere in avanti nel
cerchio, iniziando sempre dal Do. Quindi se, ad esempio, ci sono 3
diesis nell'armatura di chiave, contiamo 3 passi in senso orario, e
scopriremo che la canzone è evidentemente in La maggiore o Fa#
minore. Allo stesso modo, se ci sono 4 bemolle, deve essere in La
maggiore o in Fa minore.
Abbiamo anche visto come comporre accordi a partire dal circolo
delle quinte. È abbastanza ovvio, a questo punto, che esso sia
anche utile per scrivere musica. Se ci stiamo avvicinando al mondo
del “songwriting”, o se siamo già dei cantautori, probabilmente
avremo notato che le canzoni più popolari hanno progressioni molto
semplici e prevedibili. Per questo motivo, il circolo delle quinte è uno
strumento perfetto per creare melodie accattivanti e memorabili.
Possiamo creare una semplice progressione del circolo scegliendo
una tonalità e identificando i sette accordi che naturalmente fanno
parte di essa. Iniziamo la nostra progressione con l'accordo da noi
scelto, costruiamo poi il successivo sulla base dell'accordo che gli
sta accanto e le relative minori, più alte o più basse. Ad esempio,
potremmo scegliere la tonalità di Sol maggiore, con gli accordi Sol,
Mi min, Re, Do, La min, Si min, e così via.
Suonando questa progressione, noteremo un senso di
ripetizione, che offre proprio una struttura ideale per costruire la
nostra melodia. Una volta che avremo ben impresso il circolo delle
quinte nella nostra mente, ci accorgeremo che tutto il discorso sulle
scale si dispiegherà e sembrerà meno complicato, sia che stiamo
cercando di trovare la chiave migliore per riuscire a cantare una
canzone, sia che stiamo lavorando “ex novo” sulla nostra personale
composizione. Quindi stampiamone una copia e portiamola sempre
con noi!
Consigli per comporre musica
Ecco dei semplici consigli unici per pensare fuori dagli schemi e
per avvicinarci alla nostra personale idea di creatività.
1. La musica è arte che abbellisce il tempo. Pensiamo allo spazio
tra l'inizio e la fine del pezzo come ai bordi di una tela. Riempiremo
quello spazio con la musica. Proprio come esiste un universo infinito
di possibilità per mettere il colore sulla tela, non ci sono limiti ai modi
in cui la musica può inserirsi nello spazio che ci accingiamo a
riempire.
2. La musica non rappresenta altro che il significato che le diamo.
Il teatro, la pittura, la scultura e persino la danza possono creare
rappresentazioni inequivocabili di qualcosa di reale, ma in parole
povere, la musica no.
3. La musica è davvero brava ad esprimere le emozioni. Il
vantaggio che la musica ha sulla maggior parte delle altre forme
d'arte è che può creare una via di fuga genuina dal pensiero
cosciente e guidato dall'ego che tutti noi abbiamo, ed arrivare dritto
al centro del nostro sé emotivo. Pensiamo a questa informazione e
al suggerimento precedente: la combinazione consapevole di
entrambi può creare musica davvero d'impatto. Se ci sentiamo
bloccati o abbiamo difficoltà a tradurre in parole le emozioni che
stiamo cercando di evocare, ascoltiamo la musica di altri compositori
o cantautori che riescono a creare quelle emozioni. Come hanno
ottenuto ciò che stiamo cercando di ottenere? È nella melodia? È
negli strumenti che usano? Quali progressioni armoniche usa il
compositore?
4. Ascoltiamo, ascoltiamo... per poi rubare. È un cliché ma è
vero: un buon compositore prende in prestito, un grande
compositore ruba. Non possiamo sperare di diventare un
compositore migliore se non ascoltiamo criticamente le opere degli
altri. Troviamo uno o due compositori che amiamo e studiamo il loro
lavoro, quindi stiliamo bozze delle nostre idee sulla base di quanto
appreso.
5. Usiamo il ciclo creativo. Comporre un brano musicale può
richiedere del tempo e quando lavoriamo ad esso per un lungo
periodo, può essere difficile tenere sotto controllo il nostro obiettivo
finale. Stiamo creando qualcosa da zero, quindi abbiamo bisogno di
un piano di attacco, e il ciclo creativo è appunto quel piano. Ogni
volta che ci mettiamo a comporre, prendiamoci un momento per
pianificare gli obiettivi della giornata, e poi partiamo. Il giorno
successivo rivediamo ciò che abbiamo fatto e, in base a ciò,
prepariamo un nuovo piano. Scriviamo sempre il “ciclo” su carta,
all'interno di un diario: c'è qualcosa di potente nella scrittura a mano
delle idee, che è capace di trasformare pensieri nebulosi in voci
concrete all'interno di un elenco.
7. Esploriamo gli estremi. Tutti gli strumenti musicali hanno
estremi di registro. Se vogliamo creare qualcosa di davvero unico e
riconoscibile, usciamo dal rassicurante centro del pentagramma ed
esploriamo gli estremi degli strumenti. Non che non esista grande
musica scritta semplicemente al centro del rigo, ma non
allontanandoci mai da questa “ancora di sicurezza” ci perdiamo una
tavolozza sonora molto più ricca.
8. Non limitiamoci alle tonalità maggiori o minori. Non stiamo qui
parlando solo di scale diatoniche maggiori o minori, ma anche dei
modi. Ripensiamo tutto il nostro atteggiamento nei confronti della
tonalità in generale. Appurato che le scale maggiori siano “felici” e le
scale minori siano “tristi”, che cos'è in realtà che le rende tali? Non
sono i singoli toni che le compongono, perché se così fosse, ogni
singola scala maggiore e minore evocherebbe risposte emotive
molto diverse. Invece, sono le relazioni intervallate tra quelle note.
Una scala maggiore suona maggiore a causa della relazione tra il 3°
e il 6° grado della scala rispetto alla tonica, e per lo stesso motivo
una scala minore suona tale. Quindi la tonalità di un brano - e quindi
il mondo emotivo di quel brano stesso - è definita dalle relazioni
intervallate tra le altezze che usiamo al suo interno. Con questo in
mente, possiamo creare un senso di emozione molto sfumato se,
invece di usare semplicemente una scala maggiore o minore,
creiamo le nostre tonalità personalizzate ad uno scopo specifico.
7. Conclusione
Siamo giunti al termine di questo manuale di teoria musicale. È
stato un percorso tanto interessante quanto impegnativo. I concetti
finora studiati sono più o meno tecnici e complessi, e comunque
richiedono del tempo per essere assimilati e fatti propri.
A partire dal primo capitolo, abbiamo studiato le componenti
fondamentali del suono – altezza, intensità, timbro e durata – per poi
passare ai concetti più tecnici di teoria musicale, dal pentagramma,
alla scoperta delle note e dei loro valori, fino alla sincope e al
contrattempo. Col terzo capitolo ci siamo avventurati in argomenti
ancora più complessi, quali scale e tonalità. Dal quarto capitolo in
poi, invece, abbiamo iniziato un primo approccio alla scrittura di
brani musicali, per calarci sempre più nel vivo del “songwriting” con
gli argomenti contenuti nel capitolo conclusivo.
Se gli argomenti finora spiegati nel manuale sono stati compresi,
le immagini e le tabelle analizzate, e gli inviti all'ascolto dei brani
musicali raccolti, a questo punto la premessa iniziale del libro è stata
soddisfatta. Abbiamo assimilato i concetti base della teoria musicale:
sappiamo leggere e scrivere le note su un pentagramma, siamo in
grado di creare accordi a partire dal circolo delle quinte, sappiamo
come riconoscere la tonalità di una canzone, conosciamo le diverse
alterazioni e le scale musicali, e tanto altro ancora. E soprattutto,
siamo ora capaci di applicare tutto questo alla scrittura di semplici
brani musicali.
L'insegnamento prezioso che questo libro vuole trasmettere è,
oltre al contenuto didattico ed esplicativo, un incoraggiamento
sincero ad avvicinarsi al mondo della musica in un modo tutto nuovo,
non più da semplice ascoltatore passivo, ma da neofita che diventa
compositore, ascoltatore attivo. Il neo-compositore fruirà della
musica in modo consapevole, allo scopo di aumentare il suo
bagaglio culturale, per poter poi mettere a frutto ciò che ha imparato
nell'espressione dei suoi pensieri e delle sue emozioni. Il tutto in una
forma artistica nuova ed inaspettata, che ci può far scoprire tante
sfaccettature di noi stessi che nemmeno noi conoscevamo. Un
percorso di riscoperta di sé stessi tramite il libero fluire della nostra
creatività, che parte dalle semplici parole scritte in un libro. Buona
fortuna!

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