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CANTO 17

Argomento del Canto

Ancora nel V Cielo di Marte. Dante chiede all'avo Cacciaguida notizie sulla sua vita futura: profezia dell'esilio da
Firenze. Profezia sulle gesta di Cangrande Della Scala. Dubbi di Dante e dichiarazione della sua missione poetica.

Dante chiede a Cacciaguida notizie sulla sua vita futura (1-30)

Dante si sente come Fetonte quando si rivolse alla madre Climene per avere notizie certe su suo padre Apollo, il che
è avvertito da Beatrice e dall'anima dell'avo Cacciaguida. La donna invita Dante a manifestare il suo pensiero, non
perché le anime non possano conoscere i suoi desideri, ma affinché il poeta si abitui a esprimerli liberamente così
che vengano esauditi. Dante si rivolge allora a Cacciaguida e gli ricorda, come lui ben sa leggendo nella mente di Dio,
che guidato da Virgilio egli ha udito all'Inferno e in Purgatorio delle oscure profezie sul suo conto, per cui il poeta
vorrebbe avere maggiori ragguagli in merito: benché, infatti, egli sia preparato ai colpi della sorte, una sciagura
prevista è più facile da affrontare. Dante in questo modo obbedisce a Beatrice e rivela ogni suo dubbio all'anima del
suo antenato.

Cenni di Cacciaguida alla prescienza divina (31-45)

Cacciaguida risponde splendendo nella sua luce, con un discorso chiaro e perfettamente comprensibile e non con le
espressioni tortuose e oscure proprie degli oracoli delle divinità pagane: il beato spiega che tutti i fatti contingenti,
presenti e futuri, sono già scritti nella mente divina, il che non implica che debbano accadere necessariamente, come
l'occhio che osserva una nave scendere la corrente di un fiume sa che questo avverrà, ma non lo rende per ciò
inevitabile. Allo stesso modo, spiega Cacciaguida, egli prevede il tempo futuro di Dante, come la dolce musica di un
organo giunge alle orecchie umane.

L'esilio di Dante (46-69)

Dante, profetizza l'avo, dovrà abbandonare Firenze allo stesso modo in cui Ippolito dovette partire da Atene per la
malvagità della sua matrigna. Questo è voluto e cercato già nell'anno 1300 da papa Bonifacio VIII, nella Curia dove
ogni giorno si mercanteggia Cristo: la colpa dell'esilio verrà imputata ai vinti, così come di solito avviene, ma ben
presto la punizione verso i Fiorentini dimostrerà la verità dei fatti. Dante dovrà lasciare ogni cosa più amata, ciò che
costituisce la prima pena dell'esilio, quindi proverà com'è duro accettare il pane altrui mettendosi al servizio di vari
signori. Ciò che gli sarà più fastidioso sarà la compagnia di altri fuorusciti, sempre pronti a mettersi contro di lui,
tuttavia saranno loro e non Dante ad avere le tempie rosse di sangue e di vergogna nella battaglia della Lastra. Le
conseguenze del loro comportamento dimostreranno la loro follia, così che per Dante sarà stato molto meglio fare
parte per se stesso.

Profezie su Cangrande Della Scala (70-99)

Dante troverà anzitutto rifugio a Verona, sotto la protezione di Bartolomeo Della Scala che sullo stemma della casata
reca l'aquila imperiale: egli sarà così benevolo verso il poeta che gli concederà i suoi favori senza bisogno di ricevere
richieste. A Verona Dante vedrà colui (Cangrande) che alla nascita è stato fortemente influenzato dal pianeta Marte,
così che le sue imprese saranno straordinarie. Nessuno se n'è ancora accorto perché molto giovane, avendo egli solo
nove anni, ma prima che papa Clemente V inganni Arrigo VII di Lussemburgo il suo valore risplenderà chiaramente,
mostrando la sua noncuranza per il denaro e gli affanni. Le sue gesta saranno così illustri che i suoi nemici non
potranno tacerle, quindi Dante dovrà attendere il suo aiuto e i suoi favori, dal momento che Cangrande ha
generosamente mutato le condizioni di molte persone, trasformando i mendicanti in ricchi e viceversa. Cacciaguida
aggiunge altri dettagli relativi alle future imprese di Cangrande, imponendo però il silenzio a Dante che ascolta
incredulo quanto riferito dall'avo. Cacciaguida conclude dicendo a Dante che non dovrà serbare rancore verso i suoi
concittadini, poiché la sua vita è destinata a durare ben oltre la punizione che li colpirà.

Dubbi di Dante (100-120)

Dopo che il beato ha terminato di parlare, Dante torna a rivolgersi a lui in quanto desidera ricevere una spiegazione e
un conforto, certo di trovarsi di fronte a un'anima sapiente, virtuosa e amorevole. Dante dichiara di rendersi conto
che lo aspettano aspre vicissitudini, per cui è bene che sia previdente e che non si precluda il possibile rifugio in altre
città a causa dei suoi versi, visto che dovrà lasciare Firenze. All'Inferno, in Purgatorio e in Paradiso il poeta ha visto
cose che, se riferite dettagliatamente, suoneranno sgradevoli a molti; tuttavia, se egli non dirà tutta la verità della
visione, teme di non ottenere la fama destinata a renderlo famoso presso le generazioni future.

La missione poetica di Dante (121-142)

La luce che avvolge Cacciaguida risplende come uno specchio d'oro colpito dal sole, quindi l'avo risponde dicendo
che i lettori con la coscienza sporca per i peccati propri o di altri proveranno fastidio per le sue parole, e tuttavia egli
dovrà rimuovere ogni menzogna e rivelare tutto ciò che ha visto nel viaggio ultraterreno, lasciando che chi ha la
rogna si gratti. Infatti i suoi versi saranno sgradevoli all'inizio, ma una volta digeriti saranno un nutrimento vitale per
le anime. Il grido di Dante sarà come un vento che colpisce più forte le più alte cime, il che non è ragione di poco
onore, e per questo nei tre regni dell'Oltretomba gli sono state mostrate solo le anime note per la loro fama: il
lettore non presterebbe fede ad esempi che fossero oscuri e non conosciuti da tutti, né ad altri argomenti che non
fossero evidenti di per sé.

Interpretazione complessiva

Il Canto chiude il «trittico» dedicato all'incontro con l'avo Cacciaguida e alla definizione della missione poetica di
Dante, dopo il XV in cui l'antenato si era presentato rievocando l'antica Firenze del XII sec. e dopo il XVI in cui, dopo
l'analisi delle cause della decadenza morale della città, c'era stata la rassegna delle principali famiglie fiorentine
cadute poi in declino. Firenze è ancora al centro del Canto XVII, poiché Dante chiede all'avo spiegazioni circa l'esilio
che gli è stato più volte preannunciato nel corso del viaggio ultraterreno, il che indurrà poi il poeta a manifestare i
suoi dubbi circa l'adempimento della missione: lo stile è retoricamente elevato, già in apertura con il paragone fra
Dante e Fetonte che si rivolse alla madre Climene per avere rassicurazioni sul fatto che Apollo fosse suo padre,
mentre qui il poeta vuole avere conferma circa le parole spesso malevole che ha udito contro di sé (anche Fetonte,
secondo il mito classico, aveva subìto lo scherno di Epafo che non credeva fosse figlio di Apollo). È molto evidente
poi il parallelismo, come nel Canto XV, fra Dante e Enea che incontra il padre Anchise nel libro VI dell'Eneide, in
quanto Cacciaguida profetizza a Dante l'esilio e lo investe dell'alta missione poetica che gli ha affidato la Provvidenza,
proprio come Anchise preannunciava al figlio le guerre che lo attendevano nel Lazio e la missione provvidenziale
della fondazione di Lavinio, da cui avrebbe avuto origine la stirpe romana. La stessa rassegna delle antiche famiglie di
Firenze nel Canto XVI si rifaceva alla presentazione da parte di Anchise dei futuri eroi di Roma, mentre in questo
episodio tutto è centrato su Dante destinato a lasciare la sua città in seguito alle vicende politiche del 1301-1302 e,
come esule sconfitto politicamente, ad adempiere all'altissimo incarico di cui è investito: il discorso di Cacciaguida è
chiaro e privo di ambiguità, diverso dunque dalle velate allusioni di personaggi come Farinata, Brunetto Latini e
Oderisi da Gubbio che avevano predetto l'esilio in modo oscuro, ma diverso anche dai responsi oracolari degli dei
pagani che si prestavano a doppie interpretazioni (il riferimento è anche alla Sibilla cumana, che Enea incontra nel
suo antro e alla quale chiede espressamente una profezia, prima di compiere la discesa agli Inferi dietro la sua
guida). Dopo l'accenno al delicato problema della prescienza divina, che non determina in modo necessario gli eventi
pregiudicando così il libero arbitrio, Cacciaguida annuncia a Dante che dovrà lasciare Firenze per la malvagità dei suoi
concittadini, come Ippolito fu costretto a lasciare Atene per la perfidia della matrigna Fedra (il parallelo Firenze-
Atene era quasi un classico nella letteratura del Due-Trecento, già visto in Purg., VI, 139, sia pure in chiave ironica).
Più che alle beghe cittadine tra le opposte fazioni di Guelfi Bianchi e Neri, l'avo riconduce la questione dell'esilio alla
caparbia volontà di papa Bonifacio VIII di favorire la parte Nera in combutta con la monarchia francese e Carlo di
Valois, per cui la vicenda personale di Dante si inserisce in un più ampio contesto politico che va oltre la prospettiva
comunale di Firenze e riguarda il conflitto tra potere papale e autorità imperiale, fonte secondo Dante dei mali poltici
dell'Italia. Cacciaguida predice a Dante le amarezze e le sofferenze del suo girovagare di città in città, accusato di falsi
crimini dai suoi ex-concittadini e in contrasto con gli altri fuorusciti destinati ad essere sconfitti nella battaglia della
Lastra, costretto infine a mendicare il pane dai signori che gli offriranno protezione e rifugio: tra questi spiccano
naturalmente gli Scaligeri di Verona, soprattutto quel Cangrande che sarà il principale protettore del poeta e al quale
Dante dedicherà proprio il Paradiso, indirizzandogli anche la famosa e discussa Epistola XIII che sarà fondamentale
per l'interpretazione del poema. Cangrande si colloca al centro della profezia dell'esilio, in quanto Cacciaguida ne
traccia un piccolo panegirico e lo presenta come personaggio destinato a grandi imprese, che mostrerà il suo valore
militare e politico disdegnando le ricchezze e soprattutto tenterà di ristabilire l'autorità imperiale in Italia del Nord:
non a caso egli è stato identificato sia col «veltro» di Inf., I, 101 ss., sia col «DXV» di Purg., XXXIII, 37 ss., e non è da
escludere che proprio la sua azione sia da mettere in rapporto con la prossima punizione di Firenze che è
preannunciata qui da Cacciaguida e altrove dallo stesso Dante, essendo legata probabilmente al rovesciamento del
governo dei Neri da parte di un vicario imperiale destinato a ristabilire la legge e la giustizia, sia questi Cangrande o
un altro personaggio. Naturalmente questo resterà un sogno mai realizzatosi, così come anacronistica e non in linea
con i tempi era la posizione politica di Dante relativamente al ruolo dell'Impero in Italia, ma l'attesa fiduciosa di un
personaggio in grado di porre fine ai soprusi e alle ingiustizie politiche attraversa vivissima l'intero poema ed è lo
sprone che induce Dante a compiere la sua missione poetica fino in fondo, senza mostrare mai il minimo cedimento
o timore.

Questa missione è poi solennemente dichiarata da Cacciaguida a Dante nella seconda parte del Canto, dopo che il
poeta ha espresso i suoi dubbi che nascono proprio dalla profezia dell'esilio delineatasi finalmente con chiarezza:
Dante sa che è chiamato dalla Provvidenza a rivelare tutto ciò che ha visto nel corso del viaggio, ma sa anche che i
suoi versi riusciranno sgraditi a molti e quindi teme di precludersi possibili aiuti e protezioni se dirà tutta la verità,
rischiando in caso contrario di scrivere un'opera di poco peso e, quindi, di non ottenere la fama imperitura. La
risposta di Cacciaguida è tale da non lasciare incertezze ed è una chiara esortazione a non essere timido amico della
verità, poiché proprio questo è il compito di Dante: nei tre luoghi dell'Oltretomba gli sono stati mostrati exempla di
anime dannate o salve secondo il criterio della notorietà, poiché solo attraverso personaggi conosciuti il lettore ne
sarà colpito al punto di modificare la sua condotta, dunque sarebbe una grave mancanza da parte di Dante omettere
qualche particolare della «visione» o tacere i nomi di quei personaggi da cui potrebbe attendersi ostilità o ritorsioni.
Il valore del poema è allora soprattutto quello di un'alta denuncia contro i mali dell'Italia del tempo, che sono legati
all'assenza di una autorità centrale in grado di garantire le leggi, alla corruzione diffusa capillarmente nella Chiesa,
più in generale all'avidità di guadagno che è dovuta alla diffusione del denaro: Dante non dovrà tirarsi indietro
rispetto a tale compito e dovrà quindi riferire fedelmente tutto ciò che gli è stato mostrato, ovvero la condizione
delle anime post mortem che secondo la finzione del poema (e in base a quanto Dante stesso afferma nell'Epistola
XIII) gli viene fatta conoscere da vivo in virtù di un altissimo privilegio e in considerazione dei suoi meriti poetici. Il
discorso di Cacciaguida è perciò stilisticamente solenne, ma non rinuncia talvolta ad espressioni crude e di
immediata evidenza, come la frase lascia pur grattar dov'è la rogna che rende bene l'idea della missione affidata a
Dante, quella cioè di dire la verità anche quando questa suonerà sgradevole alle orecchie dei potenti (in XXVII, 22-27
san Pietro userà parole ancor più dure contro Bonifacio VIII, colpevole di aver trasformato il Vaticano una cloaca /
del sangue e de la puzza); del resto la voce del poeta sarà simile a un vento che colpirà maggiormente proprio le
cime più alte, ovvero i personaggi più illustri del tempo che erano più di altri responsabili della decadenza morale e
politica dell'Italia, per cui solo in tal modo Dante potrà legittimamente aspettarsi la fama eterna dal poema sacro al
quale, come lui stesso dirà, hanno cooperato Cielo e Terra. Il solenne ammonimento di Cacciaguida assume dunque
lo stesso valore della missione di Enea nelle parole di Anchise alla fine del libro VI dell'Eneide, quando affidava al
figlio il compito di gettare le basi della stirpe romana destinata a dominare il mondo e ad assicurare pace e giustizia
sotto l'Impero di Augusto: come il pius Aeneas nemmeno Dante si sottrarrà al suo dovere e farà davvero manifesta
tutta la sua visione, mostrando casi clamorosi e inattesi di personaggi dannati all'Inferno (si pensi a Guido da
Montefeltro, a Branca Doria che addirittura include fra i traditori degli ospiti di Cocito quand'era ancora vivo) e
altrettanti esempi di salvezze imprevedibili in Purgatorio (Catone, Manfredi) e in Paradiso (Traiano, Rifeo), il cui
scopo ultimo è affermare l'infallibilità della giustizia divina, anche al di là delle capacità di comprensione umana.
L'episodio di Cacciaguida si colloca dunque al centro esatto della Cantica e del poema in ragione dell'alto valore
morale di questa investitura, che è poi la spiegazione essenziale del successo della Commedia destinato a durare
assai più della breve vita del suo autore: la differenza tra quest'opera e le scialbe descrizioni dell'Oltretomba di
scrittori precedenti non è solo nella novità della rappresentazione, ma soprattutto nel coraggio della denuncia contro
i mali religiosi, politici, sociali del mondo del suo tempo, che acquista tanto maggiore rilievo quando si pensi alle
oggettive difficoltà di Dante bandito in esilio dalla sua città, costretto a elemosinare l'aiuto dei potenti, esposto alle
possibili vendette dei suoi nemici vecchi e nuovi, e nonostante tutto privo di dubbi nel portare a termine quella che
considerava una missione irrinunciabile. Ciò rende il Canto XVII del Paradiso uno dei momenti più alti e sentiti della
poesia di Dante in assoluto e acquista un valore che va molto al di là della vicenda personale e biografica del poeta, il
quale forse sottolinea i propri meriti come rivalsa nei confronti dei suoi ingrati concittadini, ma dimostra una
coscienza morale e un coraggio non comuni al suo tempo come nel mondo presente.

Come colui (Fetonte) che ancora oggi induce i padri a non essere condiscendenti, andò dalla madre Climene per avere
rassicurazioni su quanto aveva udito contro di sé, così ero io, e così ero percepito sia da Beatrice sia dalla santa luce
(Cacciaguida) che prima aveva cambiato posizione per me. Perciò la mia donna mi disse: «Manifesta il tuo desiderio,
così che esso sia espresso secondo i tuoi pensieri; non perché noi abbiamo bisogno delle tue parole per conoscerlo,
ma affinché tu ti abitui a manifestare i tuoi desideri, in modo che essi siano esauditi». «O caro mio capostipite, che ti
innalzi a tal punto che, come le menti terrene vedono che in un triangolo non possono esserci due angoli ottusi, così
vedi le cose contingenti prima che avvengano, osservando il punto (la mente di Dio) in cui è un eterno presente;
mentre io ero guidato da Virgilio, salendo lungo il monte che purifica le anime (il Purgatorio) e scendendo nel mondo
dei morti (nell'Inferno), mi furono dette parole gravi sulla mia vita futura (l'esilio), anche se io mi sento ben preparato
a reggere i colpi della sventura; dunque desidero sapere quale destino mi attende; infatti, una freccia prevista arriva
più lentamente». Così io dissi a quella stessa luce che prima mi aveva parlato; e il mio desiderio fu espresso, proprio
come volle Beatrice. Quel padre amorevole mi rispose non con parole tortuose, in cui i pagani si invischiavano ben
prima che fosse crocifisso l'Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo (Cristo), ma con parole chiare e con un
discorso limpido, avvolto e splendente nella luce del suo sorriso: «Gli eventi contingenti, che non si estendono al di
fuori del vostro mondo terreno, sono tutti dipinti nella mente di Dio: essi però non sono per questo necessari, come
non lo è il fatto che una barca scenda la corrente solo perché qualcuno la osserva. Da lì (dalla mente divina) viene a
me il tempo che si prepara per te, come la dolce armonia di un organo viene all'orecchio. TI sarà inevitabile lasciare
Firenze, come Ippolito lasciò Atene a causa della spietata e perfida matrigna (Fedra). Si vuole questo e si cerca di
attuarlo, e verrà presto compiuto, da chi (Bonifacio VIII) pensa a ciò là (nella Curia papale) dove si mercifica Cristo (le
cose sacre) ogni giorno. La colpa verrà addossata alla parte sconfitta attraverso la fama, come di solito accade; ma la
prossima punizione di Dio renderà evidente a tutti la verità, dispensata da Dio secondo giustizia. Tu lascerai ogni cosa
che ami di più; e questa è la pena che l'esilio fa provare per prima. Tu proverai come è amaro il pane altrui, e come è
duro salire e scendere le scale altrui (accettare l'aiuto dei potenti). E ciò che ti sarà più fastidioso sarà la compagnia
malvagia e folle con cui dovrai condividere l'esilio (gli altri fuorusciti); infatti essa diventerà tutta ingrata, stupida e
ingiusta contro di te; ma, poco dopo, saranno loro e non tu ad avere le tempie rosse (di sangue e vergogna). Quello
che accadrà loro dimostrerà la loro follia; cosicché sarà stato un bene, per te, essertene separato. Il tuo primo rifugio
e la tua prima dimora sarà la cortesia del gran Lombardo (Bartolomeo Della Scala) che sulla scala del suo stemma
porta l'uccello sacro (l'aquila imperiale); egli avrà così benevolo riguardo nei tuoi confronti, che tra voi due i favori
precederanno le richieste, contrariamente a quanto accade. Insieme a lui conoscerai quello (Cangrande) che, alla
nascita, fu influenzato a tal punto da questo pianeta (Marte) che le sue imprese saranno straordinarie. Le persone
non se ne sono ancora accorte per la sua giovane età, perché questi Cieli hanno ruotato intorno a lui solo nove anni;
ma prima che il Guasco (papa Clemente V) inganni l'alto Arrigo VII di Lussemburgo, egli mostrerà scintille del suo
valore nella noncuranza di denaro e affanni. Le sue gesta saranno conosciute da tutti, al punto che i suoi nemici non
potranno negarle. Affidati a lui e ai suoi benefici; grazie a lui molta gente cambierà condizione, sia mendicanti sia
ricchi; e porterai scritto nella memoria queste cose sul suo conto, che non dovrai riferire»; e disse cose che saranno
incredibili anche a chi le vedrà di persona. Poi aggiunse: «Figlio, queste sono le spiegazioni di ciò che ti fu detto; ecco
le insidie che ti attendono nel giro di pochi anni. Non voglio però che tu serbi rancore ai tuoi concittadini, poiché la
tua vita è destinata a durare assai oltre la punizione che attende la loro perfidia» . Dopo che, tacendo, l'anima santa
mostrò di aver completato la trama in quella tela di cui le porsi l'ordito (dopo aver risposto alla mia domanda), io
cominciai, come colui che ha un dubbio e desidera un consiglio da una persona che vede, vuole e ama secondo
giustizia: «Io vedo bene, padre mio, che il tempo avanza velocemente verso di me per darmi un colpo tale, che è
tanto più grave quanto più uno si abbandoni ad esso; dunque è necessario che io mi armi di buona prudenza, così
che, se sarò allontanato dal luogo a me più caro (Firenze), io non perda gli altri a causa dei miei versi. Giù nel mondo
infinitamente amaro (Inferno), e lungo il monte dalla cui bella cima gli occhi della mia donna mi sollevarono
(Purgatorio), e in seguito in Paradiso, di Cielo in Cielo, ho appreso cose che, se le riferirò, avranno per molti un sapore
sgradevole; e se io sarò timido amico della verità (se ometterò dei particolari), temo di non avere la possibilità di
vivere tra coloro che definiranno antico questo tempo (tra i posteri)». La luce in cui brillava il mio tesoro
(Cacciaguida) che io trovai lì, dapprima si fece splendente, come uno specchio d'oro colpito dal sole; poi
rispose: «Una coscienza sporca per la colpa propria o di altri sentirà certo le tue parole come sgradevoli. Tuttavia,
rimossa ogni menzogna, rendi manifesto tutto ciò che hai visto, e lascia pure che chi ha la rogna si gratti (che chi ha
colpa ne paghi le conseguenze). Infatti la tua voce, se sarà spiacevole al primo assaggio, poi quando sarà assimilata
lascerà un nutrimento vitale. Questo tuo grido sarà come un vento che colpisce di più le cime più alte, e ciò non è
motivo di poco onore. Perciò in questi Cieli, in Purgatorio e nella dolorosa valle dell'Inferno ti sono mostrate solo le
anime che sono molto famose, poiché l'animo di colui che ascolta non dà retta e non presta fede a un esempio che
abbia la sua radice nascosta e sconosciuta (a esempi non noti), né a un altro argomento che non sia di tutta
evidenza».

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