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CANTO 15, PARADISO

Ancora nel V Cielo di Marte. Apparizione dell'avo Cacciaguida, che saluta Dante. Cacciaguida si rivela, parlando
dell'antica Firenze e della sua vita. Cacciaguida parla della sua partecipazione alla seconda crociata.
È l'alba di giovedì 14 aprile (o 31 marzo) del 1300.
Silenzio dei beati. Apparizione dell'avo Cacciaguida (1-30) Gli spiriti combattenti della croce mettono fine al
loro canto melodioso, spinti dalla loro volontà di fare il bene e consentire a Dante di esporre i suoi desideri, fino a quel
momento simili a una lira celeste che la mano di Dio suona armoniosamente. Come possono le anime beate, si chiede
Dante, essere sorde alle preghiere degli uomini, visto che quegli spiriti tacciono per consentirgli di parlare? È giusto che
arda tra le fiamme dell'Inferno colui che, per amore di beni effimeri, non obbedisce all'amore per i beni celesti.
Uno dei lumi dei beati della croce si muove lungo il braccio destro verso il centro e poi verso il basso, simile a una stella
cadente che d'improvviso attraversa il cielo sereno, salvo che chi guarda non vede sparire nessun astro dal firmamento.
Il beato non abbandona la croce ma si muove lungo questa, proprio come una fiamma che traspare dietro una parete di
alabastro. Dante paragona la devozione di quest'anima a quella di Anchise, quando accolse il figlio Enea nei Campi Elisi,
quindi il beato (l'avo Cacciaguida) si rivolge al poeta parlando latino e manifestando la sua gioia per il fatto che a Dante,
suo discendente, è stata aperta per due volte la porta del Paradiso.
Cacciaguida invita Dante a parlare (31-69)
 
Dante rivolge la sua attenzione al beato che ha finito di parlare, quindi guarda Beatrice e rimane doppiamente
stupefatto, per le parole dello spirito e per l'ardente bellezza degli occhi della donna. Cacciaguida riprende poi a parlare
e dice cose tanto profonde che Dante non può capirle, non perché egli voglia celarne il senso ma in quanto il concetto
espresso va oltre le umane capacità dell'intelletto del poeta. Quando il beato torna a parlare in modo comprensibile a
Dante, questi sente che l'avo benedice Dio per la grazia dimostrata al suo discendente, poi Cacciaguida si rivolge al
poeta dicendogli che attendeva da lungo tempo il suo arrivo, preannunciatogli dalla mente divina, e ora che Beatrice lo
ha condotto fin lì ciò gli procura immensa gioia. Dante, continua Cacciaguida, sa che il beato legge il suo pensiero nella
mente di Dio e perciò il poeta non formula alcuna richiesta; egli conferma l'esattezza della convinzione di Dante,

Tuttavia invita il suo discendente a domandare per consentire al suo ardore di carità di manifestarsi compiutamente.

Dante chiede allo spirito di manifestarsi. Cacciaguida si presenta (70-96)

Dante rivolge lo sguardo a Beatrice, la quale intuisce la sua richiesta e gli dà un cenno d'assenso. Allora il poeta dice al
beato che nelle anime del Paradiso il sentimento è pari all'intelligenza, poiché così ha voluto Dio quando li ha elevati a
una tale altezza; ma per i mortali imperfetti non è così, quindi Dante ringrazia lo spirito solamente con il proprio cuore per
la festosa accoglienza ricevuta e lo supplica di rivelargli il proprio nome. Lo spirito risponde presentandosi come suo
antenato e affermando che il proprio figlio, Alighiero I, è da più cento anni in Purgatorio, nella I Cornice; questi è stato
bisnonno di Dante e Cacciaguida invita il poeta a pregare per abbreviare la sua permanenza nel secondo
regno.Cacciaguida rievoca la Firenze antica (97-129) Al tempo di Cacciaguida Firenze era ancora circondata
dalla vecchia cinta muraria, presso la quale si trova ancora la chiesa di Badia, ed era assai più sobria della città attuale.
La popolazione non ostentava gioielli e monili sfarzosi, né le donne indossavano abiti alla moda per rendersi più
appariscenti. La figlia, nascendo, non faceva paura al padre per l'uso di sposarsi precocemente e l'ampiezza della dote;
in città non vi erano case troppo grandi e vuote per il lusso, né i cittadini si davano alla lussuria imitando Sardanapalo
come nella Firenze attuale. Il monte Uccellatoio non aveva ancora sormontato Monte Mario a Roma, per l'imponenza
degli edifici cui seguirà un rapido declino. Cacciaguida vide Bellincione Berti, illustre fiorentino, andare in giro vestito in
modo semplice, mentre sua moglie non si ricopriva il volto di belletti; altri illustri cittadini si accontentavano di vesti di
pelle, mentre le loro spose stavano in casa a lavorare al telaio. Le donne di Firenze a quel tempo erano certe di non
morire in esilio, né alcuna era abbandonata dal marito che andava in Francia a commerciare; esse si dedicavano ad
allevare i figli, a filare la lana, a raccontare le leggende della fondazione di Firenze da parte dei Romani. A quei tempi,
conclude Cacciaguida, certe sfacciate donne fiorentine dei tempi di Dante avrebbero fatto stupire tutti, come oggi
farebbero personaggi quali Cincinnato e Cornelia.
Cacciaguida rivela il proprio nome e la sua storia (127-148) Il beato rivela di essere nato in quella città,
partorito dalla madre che nelle doglie invocava il nome di Maria, quindi battezzato nel Battistero di Firenze col nome di
Cacciaguida. Ebbe due fratelli di nome Moronto ed Eliseo e sposò una donna proveniente dalla Valpadana, il cui
cognome è quello portato da Dante, Alighieri. In seguito Cacciaguida seguì l'imperatore Corrado III nella seconda
Crociata, dopo che il sovrano per il suo retto operare lo aveva investito cavaliere; andò dunque a combattere gli infedeli
in Terrasanta, usurpata dai popoli islamici a causa della trascuratezza dei papi. Dagli infedeli fu ucciso in battaglia e da
quella morte giunse alla pace del Paradiso.

CONCLUSIONEIl Canto apre il «trittico» dedicato al personaggio di Cacciaguida e inaugura l'importante discorso
relativo alla missione civile e poetica di Dante, in particolare questo primo episodio è caratterizzato da un linguaggio
solenne e stilisticamente prezioso, con una fitta serie di rimandi alla classicità e al testo biblico che innalzano
notevolmente il tono del dialogo fra il poeta e il suo avo. In apertura Dante descrive il silenzio dei beati con la similitudine
di una lira celeste che la mano di Dio allenta e tira, che smette di cantare spinta dall'amore che sempre si liqua («si
manifesta») in una volontà benevola, il che induce Dante ad affermare che le anime beate non possono essere sorde
alle preghiere dei vivi; poi l'apparizione di Cacciaguida è descritta come una stella cadente che d'improvviso attraversa il
quieto cielo nottuno.Cacciaguida si rivolge quindi a Dante senza fare il proprio nome, cosa che avverrà solo verso la fine
dell'episodio, dapprima paragonato all'ombra di Anchise che accoglie il figlio Enea nei Campi Elisi e poi mostrato mentre
parla al suo discendente in latino, chiedendosi a chi oltre che a Dante la porta del Cielo è stata aperta due volte. Il

   
doppio riferimento è ovviamente al viaggio di Enea nell'Ade, narrato da Virgilio nel libro VI dell'Eneide e in occasione del
quale l'eroe ascoltò dall'anima del padre il preannuncio dell'alta missione che lo avrebbe portato alla fondazione della

 
stirpe romana, ma anche a san Paolo che nella II Epistola ai Corinzi narrava di essere stato rapito al III Cielo, per cui la
domanda retorica di Cacciaguida sottintende che oltre a Dante la porta del Paradiso è stata aperta due volte solo al
santo. Il paragone tra Firenze e Roma è tanto più significativo, in quanto Dante riteneva che gli abitanti della sua città di
sangue «puro» discendessero proprio dai Romani, mentre quelli venuti da Fiesole e in seguito inurbatisi dal contado
avevano contaminato questa originaria purezza portando in città l'avidità di guadagno che tutto aveva corrotto (è la tesi
sostenuta da Cacciaguida nel Canto XVI, ma anche da Brunetto Latini in Inf., XV, 61-78). mentre il paragone implicito tra
le due città è evidente anche nell'accostamento tra Monte Mario (Montemalo) e l'Uccellatoio, col dire che Firenze ha
superato Roma nel lusso degli edifici ma sarà più rapida nella decadenza. Dante crea un parallelo tra l'evoluzione
politico-morale delle due città, in quanto entrambe hanno avuto un passato glorioso caratterizzato dalla vita austera e
dalla grandezza politica (Firenze aveva toccato il suo massimo splendore nella prima metà del Duecento), ma poi sono
cadute nella corruzione morale e nell'ambizione, finendo per declinare rapidamente: Roma in passato aveva visto il
crollo del suo Impero, poi ristabilito da Carlo Magno, Firenze vedrà assai presto la fine del proprio dominio politico ad
opera di un imperatore in grado di riportare la sua autorità in Italia, o almeno così si augura e profetizza Dante.

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