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Petrarca, Francesco -
Posteritati
Appunto di letteratura italiana sulla lettera
"Posteritati" di Francesco Petrarca. Vengono
…Scopri di più
riportate alcune parti del testo e analizzate in

di Agataventu
17' di lettura
(1493 punti)

Video appunto: Petrarca, Francesco - Posteritati

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Melinda Val Di Non


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Francesco Petrarca -
Posteritati (Alla posterità)
Forse di me avrai sentito dir qualcosa;
quantunque poi sia dubbio che un nome
piccolo e oscuro come il mio possa essere
giunto così lontano nello spazio e nel tempo. E
probabilmente ti piacerà sapere che uomo io
fui o quale fu la ventura delle opere mie:
innanzitutto quelle la cui fama sia pervenuta
!no a te o anche quelle che avrai sentito
appena nominare.

Ovviamente Petrarca non è davvero


modesto, perché se scrive una lettera ai
posteri è perché sa che il suo nome rimarrà
famoso nei secoli.

Sul primo punto, di sicuro, molte saranno le


voci e le opinioni; ognuno tende infatti a parlare
non per amor di verità ma come gli aggrada: e
non c’è misura né per le lodi né per il vituperio.

Forse avrai sentito dire qualcosa di me, ma


forse non in bene, perché ognuno parla
come gli aggrada e non per verità.

Io fui, in realtà, uno dei vostri: un piccolo uomo


mortale, dai natali non proprio nobili ma
neppure plebei; di famiglia antica, come
avrebbe detto di sé Cesare Augusto; d’animo
per natura non malvagio e né protervo, se non
lo avesse contagiato un certo generale
malcostume.

Il padre di Petrarca era sir Pietro, detto


“Petracco” (da cui deriva “Petrarca”) ed era
originario di una famiglia di notai, di Incisa in
Val d’Arno.

La giovinezza mi ingannò, la maturità mi


catturò, la vecchiaia in!ne mi corresse,
dimostrandomi con l’esperienza quanto fossero
vere le cose che un tempo avevo letto e riletto:
cioè che i piaceri degli anni giovanili sono una
cosa vana.

Dice che la sua vita ha avuto uno sviluppo: da


giovane si è lasciato andare ai piaceri, ma poi
la maturità e la vecchiaia gli hanno insegnato
come questi piaceri giovanili siano una cosa
vana.

E anzi meglio me lo dimostrò Colui che è al


fondamento di tutte le stagioni della vita e di
tutti i tempi, che a tratti concede ai miseri
mortali, gon! di nulla, di smarrire la loro
strada, a"nché poi riescano a capire i propri
errori e a conoscere se stessi.

È stata anche la religione, la fede a riportarlo


sulla diritta via.

Da giovane mi era toccato un corpo non tanto


forte ma molto agile. Certo, non posso vantarmi
di un aspetto eccezionale, ma di un aspetto che
poteva piacere negli anni migliori: colore pieno
di vita tra il bianco e il bruno, occhi vivissimi e
vista per lungo tempo acutissima, tranne che,
contro ogni aspettativa, essa mi piantò dopo i
sessant’anni, sino a rendermi indispensabile,
con disappunto, l’uso degli occhiali. Un corpo
che era stato sanissimo per tutta la vita fu
in!ne assalito dalla vecchiaia, che lo strinse
d’assedio con la sua solita schiera di malanni.

Non ha un corpo robusto, ma agile. Non è


bellissimo, ma poteva piacere negli anni della
sua giovinezza.

Più di tutto disprezzai la ricchezza: non perché


non la desiderassi, ma perché odiavo la
so#erenza e gli a#anni che immancabilmente si
accompagnano al benessere. Non ebbi mai
su"cienti disponibilità per laute mense, ove
mai una tal cosa mi potesse stare a cuore:
mentre con un’alimentazione sobria e cibi
semplici vissi più soddisfatto […]
In gioventù so#rii d’un amore tremendo, ma
irripetibile e onesto: e più a lungo ancora avrei
so#erto se una morte acerba e benigna non
avesse completamente spenta una !amma
ormai languente.

Allude prima di tutto al disprezzo per la


ricchezza, perché un’accusa che gli era stata
rivolta era quella di essere interessato al
lusso, ai banchetti, alla ricchezza. Poi ci parla
del tremendo amore per Laura, incontrata il
6 Aprile del 1327 nella chiesa di Santa Chiara,
ad Avignone, nel sud della Francia. E avrebbe
continuato a so!rire, se Laura non fosse
morta.

Senza dubbio desidererei potermi dire privo di


libidine (passione); ma se lo dicessi, mentirei.
Questo con certezza posso dirti: nonostante
fossi attratto ad essa dal fervore degli anni e del
temperamento, esecrai pur sempre nell’animo
mio una simile pochezza.

Da una parte è attratto dalla sensualità,


dall’amore carnale, anche se capisce nel suo
animo che è da esecrare.

Anzi, non appena cominciai ad avvicinarmi ai


quarant’anni, quando pure nel sangue vi
sarebbero ancora state abbastanza forze e
calore, io presi a disprezzare non soltanto quel
fatto osceno, ma addirittura ogni suo ricordo,
come se non avessi mai visto una femmina:
cosa che ora annovero tra le mie prime felicità,
ringraziando Iddio di avermi a#rancato da una
schiavitù così bassa, e a me sempre odiosa,
quando ero ancora nel pieno vigore degli anni.

Durante la gioventù si era lasciato andare


all’amore e alle passioni, ma arrivato a
quarant’anni, anche il ricordo di questi amori
passionali gli dava noia.

La superbia la sperimentai negli altri, non in


me; e benché io sia stato un piccolo uomo, a
mio parere fui sempre più piccolo. La mia ira
poté spesso nuocere a me, agli altri mai. A testa
alta mi vanto, sapendo di dire il vero, di un
animo prontissimo allo sdegno, ma altrettanto
capace di dimenticare le o#ese, sempre
memore dei bene!ci ricevuti. Desiderai
intensamente e coltivai con tenace fedeltà le
amicizie leali.

È un uomo portato alla solitudine, anche


quando vive ad Avignone, città sede della
corte papale, caratterizzata quindi da una
vita di banchetti, feste mondane … (la corte
papale non era tanto diversa dalla corte
dell’imperatore, il papa non aveva tutta
questa spiritualità. Anche Dante lo accusava,
insieme all’intera curia di degenerazione, di
essersi allontanati dalla povertà evangelica).
Petrarca e suo fratello Giovanni (a cui era
molto legato) ad Avignone parteciparono a
questa vita, alle feste, ai banchetti, durante la
loro spensierata vita giovanile. Ma poi
Petrarca si stancò di questo tipo di vita e si
rifugiò in una casa di campagna solitaria e
isolata a Valchiusa (nella campagna vicino ad
Avignone), vicino ad un "ume. Questa casa
diventa il suo rifugio, in cui può dedicarsi ai
suoi studi e all’inizio vi si reca per brevi
periodi di tempo, poi per periodi sempre più
lunghi. Amava quindi la riservatezza, ma era
una persona che manteneva le amicizie a
lungo. La più signi"cativa fu quella con
Boccaccio. I due morirono ad un anno di
distanza l’uno dall’altro e Petrarca in#uenzò
notevolmente Boccaccio. Boccaccio scriveva
novelle licenziose, spesso a sfondo erotico,
che inneggiavano all’uomo, alla voglia di
vivere e alle sue potenzialità, ma dopo
l’amicizia con Petrarca si dedicò a opere di
stampo decisamente diverso. Si dedicò per
esempio alla "lologia classica. Fu quindi
notevolmente in#uenzato dalla poesia di
Petrarca, tanto da modi"care in maniera
quasi netta la sua produzione letteraria.
Passerà da opere come il Decameron a
opere di critica "lologica, di ricerca, a testi
classici e opere di spessore decisamente
diverso.

Ma il tormento di chi invecchia è questo: dover


piangere molto spesso la morte delle persone
care.

Allude agli amici che erano morti prima di lui,


anche perché nel 1348 c’era stata la peste.
Anche Laura era morta nel 1348 di peste
probabilmente.

Ebbi tanti e tali rapporti di familiarità con


principi e sovrani e di amicizia con i nobili, da
far morir d’invidia.

Petrarca infatti viene prima indirizzato dal


padre agli studi giuridici, ma non ne è
soddisfatto, e ha invece una propensione
verso quelli letterari. Si dedicherà infatti a
questi, e grazie ad essi e alle sue prime
produzioni otterrà immediatamente una
grandissima fama di poeta e di letterato. Agli
ambiva infatti decisamente alla gloria
poetica. Voleva avere un riconoscimento,
essere considerato un letterato a tutti gli
e!etti, e quindi aveva deciso di sottoporsi ad
un esame presso il re di Napoli. Egli lo
esaminò per una settimana intera e poi gli
conferì la corona d’alloro, riconoscimento
u$ciale della gloria letteraria. Nello stesso
tempo però lo stesso riconoscimento gli era
stato o!erto anche a Roma, proprio grazie
alle sue opere e alla fama che aveva
raggiunto. Egli decise allora di farsi
incoronare a Roma, che era la sede più
prestigiosa, rispetto al regno di Napoli. È
proprio durante il viaggio verso Roma che
conosce Boccaccio. Proprio grazie alla sua
fama letteraria viene ospitato da molte
famiglie aristocratiche e anche presso corti di
principi e imperatori. Il suo ruolo era quello
di una sorta di ambasciatore, doveva
compiere delle missioni diplomatiche,
oppure tenere dei discorsi in particolari
circostanze. La presenza di un letterato di
così grande fama inoltre dava ovviamente
lustro alla corte. È vero quindi che strinse
amicizie con principi e sovrani. Tra questi c’è
per esempio Roberto d’Angiò, sovrano del
regno di Napoli che lo sottopose a questo
esame, l’imperatore Carlo IV, il re di Francia
Giovanni VII…

Nondimeno, evitai molti di quelli che pur


fortemente amavo: l’amore per la libertà mi fu
infatti così connaturato, che schivavo con ogni
accortezza persino il nome di chi avesse potuto
sembrarle contrario.

Il concetto di essere libero era per lui


fondamentale. Lo dice perché era stato
accusato, anche dallo stesso Boccaccio, di
farsi ospitare a volte in corti ostili a quelle
che dovrebbero essere per lui le città più
care, come Firenze per esempio. Lui nasce
infatti ad Arezzo (questo è importante perché
Foscolo nei “Sepolcri” parlerà proprio della
nascita di Petrarca ad Arezzo), ma in realtà è
"orentino, perché suo padre era stato
esiliato insieme a Dante nel 1302, quando i
guel" bianchi erano stati scon"tti dai guel"
neri. Boccaccio allora lo accusa di essere
stato ospitato in corti ostili a Firenze. Lui dice
però che non si era venduto a queste corti
ostili, ma aveva semplicemente amato la
libertà.
La sua vita quindi, come quella di dante è
una vita di continuo movimento. Lui si sposta
in continuazione, da Arezzo ad Avignone e
poi girerà per le corti italiane e straniere
(Francia, Germania, Inghilterra…). Può essere
considerato uno dei primi uomini
cosmopoliti, perché girò davvero tutta
l’Europa.

Ma la mia passione esclusiva, fra le tante, fu di


cercare notizie dell’antichità, perché mi fu
sempre sgradita la presente stagione; tanto che
se l’a#etto per i miei cari non mi avesse
motivato diversamente, avrei sempre preferito
d’esser nato in una qualsiasi altra epoca, e
dimenticarmi di questa, intimamente
desideroso di trasferirmi in altre. Fu per tale
motivo che lessi con diletto gli storici; e
rimanendo tuttavia parimenti turbato dalla
loro discordanza, nell’incertezza mi orientai
dove poteva spingermi o la verisimiglianza dei
fatti o l’autorità di determinati scrittori.

Questo passo è molto importante, perché


Petrarca fu il primo umanista. Egli si va in
realtà a collocare tra due periodi storici
molto diversi: il Medioevo e l’Umanesimo. Il
termine “umanesimo“ deriva da “uomo”. Al
centro non è più Dio come nel periodo
medievale, non c’è più la visione teocentrica
che eliminava tutto ciò che è terreno. Nel
medioevo le cose terrene, le passioni,
l’amore, la natura viene denigrato, viene
sentito come qualcosa di impuro, di
imperfetto, che ostacola l’uomo nel suo
arrivare a Dio. Bisogna tendere a Dio e a una
grande spiritualità. Tutto ciò che è corporeo e
terrestre, che riguarda l’uomo, viene
denigrato, accantonato, schiacciato.
Nell’umanesimo siamo invece in una
condizione diametralmente opposta: non è
Dio al centro, ma l’uomo. Si rivaluta la nostra
corporeità, si rivalutano i sentimenti umani
ciò che è terreno, la bellezza della natura,
tutto ciò che non è attinente esclusivamente
alla sfera spirituale. Esso quindi è
caratterizzato anche da una ricerca storica,
dall’andare alla ricerca delle proprie radici e
di un contatto con la classicità. Sono molti i
letterato umanisti che girano nei vari
monasteri europei per cercare i manoscritti
delle opere antiche. C’è una ripresa della
classicità: nel mondo greco e latino infatti
l’uomo era messo al centro.
Petrarca per esempio, nel 1333, spinto da
questo amore per i classici, con il permesso
del cardinale Giovanni colonna, presso la cui
corte lavorava in qualità di ambasciatore, si
recò in nord in Europa e a Liegi trovò
un’opera di Cicerone ancora sconosciuta, la
“Pro Archia”. Al suo interno c’è un
grandissimo elogio alla poesia. Nel 1345 nella
biblioteca Capitolare di Verona scoprì invece
le lettere scritte da Cicerone al suo amico
Attico e a Quinto. Sono le cosiddette lettere
“Ad familiares“. È proprio Petrarca che le
scopre, perché erano manoscritti che si
pensavano andati perduti, dopo essere "niti
in queste immense biblioteche. La scoperta
di questo epistolario di Cicerone lo spingerà
a scrivere anche lui un epistolario, nel quale
c’è appunto la Posteritati, indirizzata ai
posteri.

Nacqui in esilio ad Arezzo, di lunedì, all’alba del


20 agosto dell’anno 1304 del Signore da onesti
genitori di origine !orentina. Questi, esiliati
dalla loro patria, possedevano una certa
fortuna che veramente s’andava ormai
volgendo in indigenza.

In queste righe Petrarca sottolinea


fortemente l’idea dell’esilio. Lo fa per istituire
un collegamento con Dante. Vuole risultare
come lui un poeta esiliato, un poeta minato
dalle so!erenze dell’abbandono della propria
patria. Si presenta come si presentava Dante,
per mettersi sul suo stesso livello. Anche lui
ha subito la profonda so!erenza dell’esilio,
anche se in realtà nasce in esilio.

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