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Modulo 7
In letteratura i generi letterari adottano il verso o la prosa in base ad una
convenzione letteraria, data da una determinata cultura che ammette
variazioni nel tempo.
La lirica trova nel verso la sua espressione ideale, ma dal secondo ottocento ha
impiegato come veicolo anche la prosa, ne è un esempio Baudelaire con la
raccolta “Petits poemes en prose”.
Il romanzo e il racconto (la narrativa) hanno la loro origine in generi medievali
in versi, ma ai giorni nostri troviamo poemetti in versi e racconti in versi.
POESIA: termine che deriva dal latino “POESIS” e che a sua volta veniva dal
greco “poieis”, dal verbo “poiein” che significa “fare, creare” qualcosa che
prima non esisteva.
Per i greci, la poesia era oggetto estetico ed aveva delle caratteristiche tecniche
ben precise che la distinguevano dagli altri oggetti. La poesia
veniva cantata dai greci con l’accompagnamento del suono della lira
(strumento a corde), da qui ne deriva una prima definizione di poesia lirica.
Una seconda definizione di poesia lirica che nasce tra la fine del ‘700 e l’inizio
dell’800 (periodo del Romanticismo) è intesa nel senso di poesia affettiva, nella
quale prevale l’espressione della pura soggettività del poeta (l’io lirico).
La poesia lirica è intesa come la libera e immediata espressione del mondo
interiore (sentimenti, passioni…) del poeta, cioè l’“io poetico” (io= autore).
La poesia è caratterizzata dalla composizione in versi ed è definibile come “un
discorso che ritorna sempre su sé stesso”, definizione che deriva
dall’etimologia di “verso”.
Il verso può essere quindi considerato come un insieme di parole con una
precisa struttura ritmica, costituita da alcuni accenti fissi o strutture fisse. É
una struttura metrica di sillabe e accenti che si ripetono.
Nella poesia si ripete una struttura ritmica in maniera costante in due modi:
la durata: è la quantità sillabica (metrica quantitativa)
l’accento ritmico: è l’intonazione
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A differenza della poesia, che è un discorso che torna su stesso, la prosa è un
discorso continuato.
Una definizione formale della poesia non potrebbe esistere senza considerare
il verso e dalla la componente metrica è quindi impossibile.
Possiamo dire che poesia e prosa vanno considerate come due forme
autonome di espressione, ciascuna delle quali corrisponde alle proprie forme e
convenzioni.
IL METRO E IL RITMO
*METRICA: dal latino “metrum”, solo nel significato di “misura del verso”.
La tecnica della versificazione, cioè il complesso delle leggi che regolano la
composizione dei versi e delle strofe; lo studio delle forme attraverso cui si
stabilisce e si evolve la tecnica della poesia; e anche l’insieme dei vari sistemi
metrici propri di una lingua, di una letteratura, di un’epoca storica, o di un
determinato poeta.
Il metro è la misura ritmica di un testo poetico ed è la combinazione di qualità
sillabica (la durata) e l’intonazione (gli accenti ritmici) in un verso.
In sintesi, il metro misura il verso e calcola il numero delle sillabe metriche.
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Gli elementi costituitivi del verso italiano sono la posizione, ovvero la sillaba
metrica, e l’ictus cioè l’accento metrico.
Il numero delle posizioni determina la struttura metrica, mentre la struttura
ritmica è data dalla presenza di ictus in determinate posizioni, secondo uno
schema fisso o variabile in certi aspetti.
Chiamiamo forti le posizioni marcate da un ictus (P+), e deboli le altre (P-).
FIGURE METRICHE
Le figure metriche sono gli artifici che riguardano la costruzione del verso.
Esse regolano la divisione sillabica del verso e intervengono sulla
configurazione prosodica, cioè sulla distribuzione degli accenti.
Le figure metriche sono la sineresi e la dieresi, la sinalefe e la dialefe:
SINERESI: è una figura metrica per cui due sillabe vicine formate da due
vocali vengono contate come se fossero una sola.
Esempio: il termine italiano parea conta tre sillabe grammaticali (pa-re-
a) ma spesso in poesia viene trattato come se contasse solo due sillabe
metriche (pa-rea).
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Sineresi e dieresi, sinalefe e dialefe sono quindi figure di segno opposto il cui
impiego varia a seconda del costume metrico dell’epoca e a seconda dello stile
individuale.
Queste incongruenze possono essere spiegate in termini di “memoria ritmica”
se la stessa figura metrica compare associata a determinati schemi
grammaticali.
L'accento dell'ultima parola del verso può modificare il conteggio delle sillabe:
se è piana (accento sulla penultima sillaba), il verso ha il numero preciso
di sillabe indicato dal suo nome
esempio: in/ for/ma/ dun/que/ di/ can/di/da/ ro/sa : endecasillabo 11s
ENDECASILLABO
Perché un endecasillabo sia tale occorre che la decima posizione sia marcata
da un ictus/accento metrico ai fini della struttura ritmica.
Esempio: Mi/ ri/tro/vai/ per/ u/na/ sel/va o/scù/ra : 11 sillabe, accento sulla
decima posizione (scù).
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ENDECASILLABO A MAIORE/ A MINORE
Per motivi legati alla sua genesi, l'endecasillabo nasce infatti dalla fusione di un
quinario e di un settenario, l'endecasillabo "canonico" prevede un accento
secondario sulla quarta o sulla sesta posizione; nel primo caso l'endecasillabo
si definisce a minore (quinario), nel secondo caso si definisce a maiore
(settenario).
RIMA
È una figura di suono che consiste nella ripetizione in due o più versi successivi
di un suono a partire dalla vocale accentata (o sillaba accentata).
La rima è un accidente fonetico, che dipende dal fatto che le combinazioni dei
fonemi di una lingua producono la ripetizione di certe sequenze.
Alla rima possono essere affidate in un componimento diverse funzioni:
demarca il verso, segnandone la fine.
Un cambiamento di rima coincide solitamente con l’inizio di un nuovo
periodo strofico;
organizza le partizioni interna delle stanze della canzone;
serve a mettere in evidenza, con la ripetizione fonica, la parola finale
della linea che è sottolineata dall’ultimo ictus (determinante dal punto di
vista ritmico) e dalla pausa che segue;
stabilisce un rapporto tra le unità verbali coinvolte.
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Possiamo individuare vari tipi di rima, sulla base di diversi criteri, distinguiamo:
rima piana (fra parole con accento sulla penultima sillaba);
rima tronca (fra parole con accento sull’ultima sillaba);
rima sdrucciola (fra parole con accento sulla terzultima sillaba);
rima bisdrucciola (fra parole con accento sulla quartultima sillaba).
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allitterazione: consiste nella ripetizione di uno o più fonemi o
sillabe in modo da produrre un suono percepibile.
Esempio: bello e buono (ripetizione del fonema “b”)
treman le spaziose atre caverne (ripetizione della sillaba “tre”)
COMBINAZIONI STROFICHE
STROFA: è un gruppo di versi, di numero e di tipo fisso o variabile che vengono
organizzati secondo uno schema (in genere ritmico) seguito da una pausa.
È nota anche con il nome di stanza, termine preferito per le canzoni.
Per poter definire i vari tipi di strofe occorre prendere in considerazione sia la
successione delle rime sia il numero dei versi.
La strofa può quindi essere considerata un sistema ritmico che viene stabilito
dalla combinazione delle rime e dalla struttura metrica dei versi che la
compongono.
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CANZONE
La stanza della canzone presenta una complessa articolazione interna data
dallo schema metrico e dall’organizzazione sintattica.
La prima parte della canzone è chiamata “fronte” e si divide in due “piedi”
uguali, la seconda parte invece è chiamata “sirma o coda” ed è a sua volta
divisibile in due “volte”.
Tra la fronte e la sirma può infiltrarsi un “verso di concatenatio”, che riprende
l’ultima rima della fronte e che può essere ripetuto alla fine o all’interno della
sirma.
SONETTO
Il sonetto è tra le forme più antiche della letteratura italiana.
È un’invenzione siciliana che si deve al poeta Giacomo da Lentini.
É connesso alla canzone, in quanto viene interpretato come una stanza isolata
di canzone con fronte e sirma bipartite.
Il sonetto è formato da 14 versi endecasillabi e si articola in due serie di rime:
due quartine (o quadernari) e due terzine (o terzetti).
Le quartine sono a rime alterne (ABAB- ABAB), abbracciate (ABBA- ABBA) o
un’unione di rime abbracciate e alterne (ABBA- ABAB-).
Le terzine invece hanno maggiore libertà, possono avere le rime alterne (CDC-
CDE) o tre (ripetendo nel secondo terzetto le rime del primo: CDE-CDE) o
inverso (CDE- EDC).
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RETORICA
La retorica è la scienza del discorso che studia la lingua e analizza le tecniche
per spiegare in maniera efficace la comunicazione linguistica.
Oltre ad occuparsi della costruzione del discorso, la retorica si interessa anche
allo studio degli ornamenti, e in particolar modo all'uso delle figure.
In particolare, a destare interesse sono le figure di significazione, altrimenti
dette tropi.
Τρόπος (trópos) in greco significa «direzione», ma il suo significato originario è
stato successivamente abbandonato per quello di «deviazione»,
«conversione».
Per tropo, infatti, si intende una variazione (mutatio) del significato di
un'espressione rispetto al suo significato originario.
I tropi sono figure retoriche che modificano alcune parole con il fine di
comunicare, e sono anche figure retoriche di sostituzione.
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Esempio: "ha una buona penna" / sa scrivere bene
"è sbiancato in volto" / "si è spaventato"
PERIFRASI: è una figura retorica che consiste nel sostituire una o più
parole in una frase con altre che ne richiamino il senso o lo veicolino in
modo più suggestivo o efficace.
Esempio: «re de l'universo»: per indicare Dio (Dante Alighieri, Inf. V, 91);
LITOTE: è una figura retorica che consiste nel dare un giudizio o fare
un'affermazione adoperando la negazione di un'espressione di senso
contrario. Si ha quando si sostituisce un'espressione troppo cruda con la
negazione del contrario. Può avere intento di attenuazione o enfasi, ma
anche di ironia.
Esempio: «Don Abbondio (il lettore se n'è già avveduto) non era nato
con un cuor di leone»
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