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parallelismo
Nella poetica di accezione moderna e di marca jakobsonia-
na, figura dominante e definitoria della struttura della poe-
sia. Il → verso stesso non sarebbe che una «figura fonica rei-
terativa» e la → rima non altro che un caso particolare, ma
intensissimo per occhio e per orecchio, di parallelismo.
Jakobson [Closing Statements: Linguistics and Poetics, in Th.
A. Sebeok (a cura di), Style in Language, Wiley, New York
- London 1960, pp. 350-77 (trad. it. Linguistica e poetica,
in Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, Milano 1966, pp.
181-218)] si rifaceva ai saggi di G. M. Hopkins che fin dal
1865 aveva intuito la peculiare struttura del discorso poeti-
co [cfr. Hopkins G. M., The Journals and Papers of Gerard
Manley Hopkins, a cura di M. House, Oxford University
Press, London 1959]. Precorrendo i formalisti (→ metrica;
ritmo; verso), Hopkins sostenne che ogni forma di artificio
della poesia poggia sul parallelismo. Un parallelismo conti-
nuo caratterizza le varie occorrenze storiche: i parallelismi
tecnici (per iterazioni di → colon) della poesia ebraica, le an-
tifone della musica liturgica e il complesso della metrica gre-
ca, latina, italiana o inglese. Il ritmo, il → metro, l’→ allit-
terrazione, l’→ assonanza, la rima, sarebbero dunque le in-
carnazioni principali del principio del parallelismo. Il pa-
rallelismo formale (fonico, grafico) suscita poi un paralleli-
smo nelle parole e nel pensiero (parallelismo del senso): per
cui si ha parallelismo anche nel campo retorico (metafora,
similitudine, parabola, antitesi, ecc.). Jakobson sviluppò il
concetto per cui l’equivalenza del suono implica inevitabil-
mente equivalenza semantica, fino a elaborare il «principio
pastorella
pentametro
piede
Nella metrica greca e latina, gruppo unitario di due o più
sillabe brevi o lunghe riunite sotto un → ictus. Nel piede
si distingue l’→ arsi, l’elemento forte, segnato dall’ictus, e
la tesi, l’elemento debole dove la voce si abbassa. Tale grup-
po costituisce l’elemento basilare di un metro o di un rit-
mo; e designa l’arte medesima: «pedibus claudere verba»
per dire «scrivere versi», (Orazio, Satire). Dentro il piede
l’unità di misura è la breve (chrónos prôtos ‘tempo primo’;
in lat. mora). Generalmente vale l’equazione = ^ ^, in
quanto la lunga viene considerata di durata doppia della bre-
ve. Quanto al numero dei tempi primi i piedi principali si
distinguono così: 1) di due tempi: pirrichio (^ ^); 2) di tre
tempi: → giambo (^ ⁄ ), → trocheo (⁄ ^), tribraco (^ ^ ^);
3) di quattro tempi: → spondeo (⁄ ), → dattilo (⁄ ^ ^),
→ anapesto (^ ^ ⁄ ), → anfibraco (^ ⁄ ^), proceleusmati-
co (^ ^ ^ ^); 4) di cinque tempi: baccheo (^ ⁄ ), cretico
(⁄ ^ ), palimbaccheo ( ⁄ ^), peone (in quattro forme:
⁄ ^ ^ ^, ^ ⁄ ⁄
\
^ ^, ^
\
^ ^, ^⁄ ^ ^ ); 5) di sei tempi: i due
\ \
pitiambica/-o
Nella metrica classica, sistema strofico → distico, in due
versioni. La prima:
I)
⁄ ^
^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _.
^ ⁄ , ⁄ ^ _
^ ^ .
cioè un → esametro dattilico+un → dimetro giambico aca-
talettico (→ dimetro; giambo; catalessi); usato da Archilo-
co poi da Orazio:
Nòx eràt et caelò fulgèbat lùna serèno
inter minòra sı̀dera
(Orazio, Epodi, 15, vv. 1-2).
L’altra:
II)
⁄ ^
, ⁄ ^
^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ ^ ^ , ⁄ _.
^ ⁄ ^ , ^ ⁄ ^ , ^ ⁄ ^ _.
polimetro
Componimento poetico costituito di versi di differente mi-
sura senza uno schema regolare neppure nelle rime; oppure
costituito di diversi organismi metrici regolari in sequenza
irregolare (→ tradizione astrofica; isometrico). Tipica la pro-
pensione alla polimetria della versificazione ‘bucolica’ già
quattrocentesca (ad esempio La notte torna e l’aria e ’l ciel
s’annera nella Bella mano di Giusto de’ Conti), e poi negli
esiti per la scena del genere, il dramma pastorale, come l’A-
minta del Tasso o il Pastor fido di G. B. Guarini, che pre-
sentano i tradizionali endecasillabi e settenari nelle azioni e
forme liriche, inclusa la canzone petrarchesca nei cori («O
bella età dell’oro» nell’Aminta, schema identico a Chiare fre-
sche et dolci acque; abC : abC; cdeeDfF per cinque stanze
più congedo). Così poi, con aggiunta dei metri brevi del-
l’ode-canzonetta, nel melodramma metastasiano. Più in-
tensa la polimetria dell’opera lirica moderna. Nel libretto
della Butterfly di Puccini, Illica e Giacosa usano, isometri-
camente o in combinazione con altri versi, tutte le misure
canoniche dal trisillabo al doppio settenario, e poi: versi
lunghi nei recitativi (→ aria) per esigenze di avvicinamen-
to alla prosa della conversazione, frattura ad libitum dei ver-
si nelle battute dialogiche, ecc. [cfr. Mengaldo P. V., Que-
stioni metriche novecentesche, 1989, in Id., La tradizione del
Novecento. Terza serie, Einaudi, Torino 1991, pp. 27-74].
prosa ritmica
Greci e Romani si studiarono di produrre il numerus o rit-
mo nella prosa grazie a opportune scelte di vocaboli con ac-
centi calcolati, → allitterazioni, ecc. Sarà meglio chiamar-
la, non ritmica né poetica, ma prosa metrica: (→ clausola;
cursus). Per la prosa ritmica italiana in tempi recenti, no-
vecenteschi, si possono fare tre esempi: 1) le figure ritmi-
co-sintattiche dell’ultima prosa dannunziana, più intimi-
stica, ma anche quella ufficiale (i discorsi di Fiume: «certe
cadenze, certe clausole mi balenavano dentro come quei
baleni che appariscono a fior del metallo strutto, ai margi-
ni della fossa fusoria», così il Vate nel Libro segreto [cfr.
Beccaria G. L., L’autonomia del significante. Figure del rit-
mo e della sintassi. Dante, Pascoli, D’Annunzio, Einaudi, To-
rino 1975]); 2) il Boine dei Frantumi: «Quándo la séra rincá-
so e mi séggo all’accéso camíno…», con ritmo ternario (dat-
tilico; → dattilo; novenario), e si vedano anche altri vocia-
ni sempre a cavallo tra prosa e poesia [cfr. Bertone G., Il
lavoro e la scrittura. Saggio in due tempi su Giovanni Boine,
il Melangolo, Genova 1987]; 3) Pavese: «Cosí, il giórno
che salímmo insiéme sulle cóste áride délla collína, di frón-
te – príma, nelle óre bruciáte, avevámo battúto il fiúme e
i cannéti – non so béne se fóssimo sóli» (Il nome, Feria d’A-
gosto), su ritmi, non regolarissimi, dell’→ anapesto di La-
vorare stanca (perfetto invece l’ultimo membro; → decasil-
labo anapestico).
prosimetro
(lat. prosimetrum ‘prosa e versi’). Opera letteraria in cui la
prosa è alternata, in misura maggiore o minore, ai versi.
Esempi di prosimetro sono già nella letteratura latina clas-
sica (ad esempio gli esametri inseriti nel Satyricon di Petro-
nio), ma è nel Medioevo che la forma si impone con la Con-
solatio Philosophiae di Boezio e con le opere dei poeti-filo-
sofi della scuola di Chartres (Alano di Lilla, Bernardo Sil-
vestre). Nella tradizione italiana il primo prosimetro è la Vi-
prosodia
(gr. prosodía ‘accento, modulazione della voce’, prós ‘ac-
canto, verso’+odé ‘canto’). In origine il termine indicava
i modi della disposizione delle parole del canto. Fu tradot-
to esattamente dai latini con accentus (ad-cantus) e impie-
gato per designare l’accento, ma anche la quantità (→ ac-
centuativa/quantitativa, metrica; metrica; metro), l’aspira-
zione e altri fattori della distinzione delle parole poetico-
me-lodiche. In generale prosodia divenne il nome dell’in-