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RIPERCUSSIONI LINGUISTICHE DELLA DOMINAZIONE NORMANNA NEL NOSTRO MEZZOGIORNO Normanni (Northmanni), cioé « uomini del Nord », furo- no dette, come € noto, quelle popolazioni_ germaniche settentrionali, abitanti i paesi scandinavi, le quali, fin dall’VIIT sec., animate da spirito di avventura, abbandonarono Ia pastorizia ¢ Vagricoltura per darsi alla navigazione a scopo di commercio 0, come pid frequente- temente accadeva, di pirateria, Arditi marinari ¢ coraggiosi guerrie- ri gid ai tempi di Carlomagno e dei suoi successori, fecero la loro comparsa sulle coste della Manica, risalendo anche i grandi_ frumi (Somma, Senna, Loira) ¢ sottoponendo tutto quel paese a periodiche incursioni e razzie, finch? nel gtr Carlo il Semplice ebbe la geniale idea di concedere loro quelle terre, che di fatto tenevano da tempo, lungo il corso inferiore della Senna, territorio che costitui i] nucleo di quel ducato che dal nome dei conquistatori fu detto Normandia. Divenuti legittimi padroni del paese, essi cbbero ogni interesse a ricostruire quanto avevano distrutto e, da ladroni di mare, si trasfor- marono in difensori del Regno. Il loro capo, il Duca Rollone, si converti al cristianesimo ¢ l’esempio fu seguito dai suoi seguaci, pri- mo passo verso quel proceso di assimilazione della lingua, della civilta ¢ delle istituzioni delle genti sottomesse che fece si che in due 0 tre generazioni i Normanni fossero del tutto romanizzati. Essi conservarono nondimeno i pregi ¢ i difetti del popolo da cui erano originati: forza, coraggio, faciliti di assimilare ogni forma di vita civile, uniti ad astuzia, avidita di guadagno e di dominio € specialmente gusto per le avventure ¢ per le imprese marinare. Infatti, dopo poco pid di un secolo dalla loro installazione in Nor- mandia, gruppi sparuti di avventurieri normanni si affermano nel nostro Mezzogiorno, mentre altri, guidati da Guglielmo il Conqui 193 Giovanni Alessio statore, sbarcano nel 1066 in Inghilterra, importando nell’uno ¢ nelPaltro paese la lingua ¢ la civiltA francesi (1). Come i Normanni siano apparsi sulla scena politica dell’Italia meridionale non é ben noto. Si narra di 40 pellegrini, reduci dalla Terra Santa, che nel 1016 sarebbero sbarcati a Salerno ed ivi avreb- bero liberato il duca longobardo Guaimaro III dall’assedio dei Sara- ceni, ma essi si presentano chiaramente come mercenari al soldo di Melo di Bari (a. 1017) nella rivolta dell’aristocrazia pugliese con- tro la dominazione bizantina. In quell’epoca il nostro Mezzogiorno si trovava diviso in nove staterelli, distinti non solo politicamente, ma anche linguisticamente, travagliati da crisi senza riparo € in pe- renne lotta tra di loro. Accanto ai principati longobardi di Bene- vento € di Salerno, alla contea di Capua, ai ducati di Napoli, Gaeta, Amalfi ¢ Sorrento, che facevano parte del dominio linguistico ro- manzo, la Calabria ¢ la Puglia, sottomesse all’Impero romano d’O- riente, ¢ la Sicilia, tenuta dai Musulmani, erano, almeno in parte, linguisticamente alloglotte, essendo le lingue dei dominatori il bi- zantino ¢ rispettivamente I’arabo. Tali condizioni politiche, che si ripercuotevano nell’intolleranza c avversione delle popolazioni in- digene contro il dominio straniero, erano particolarmente favore- voli all’assoldamento di truppe mercenarie, ¢ ne approfittarono i nomadi avventurieri per offrire i loro servigi a chi meglio li ricom- pensasse, ¢, in un secondo tempo, consci delle proprie qualiti di in- nati guerrieri, per impadronirsi senza troppi scrupoli, del potere ¢ con- quistare terre per proprio conto. Come in Inghilterra, anche nel- V'Italia meridionale veniva cosi costituendosi un regno normanno. Si ripeteva a distanza di millenni la gesta delle genti indoeuro- pee, che, spinte da un ereditario spirito d’avventura, da nomadi pastori delle steppe euro-asiatiche, attirati dalla civilta mediterra- nea, si erano trasformati in mercenari per giungere gradualmente alla conquista del potere ¢ per finire con Vimporre il proprio domi- nio ¢ la propria lingua alle popolazioni sottomesse (2). Se tra l'impresa dei Normanni ¢ quella degli Indocuropei esi- (1) La bibliografia essenziale sui Normanni & raccolta_nell'articolo di E, Ponttert, in Enciclopedia Italiana, XXIV, p. 934 sgg. Cfr. anche W. Waxraurc, Evolution et structure de la langue francaise’, Berne 1946, p. sgg-i Reto R. Bezzota, Abbozz0 di una storia dei gallicismi italiani nei primi secoli (750-1300). Saggio storico linguistico, Heidelberg 1925, p. 35 98g. (2) Cir. G. Atessio, Le lingue indocuropee nell'ambiente mediterranco, Bari 1954-55. P- 246 sag. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ecc. 199. stono alcune innegabili affinita, le ripercussioni linguistiche dell’una e dell’altra presentano delle differenze notevoli, giaccht mentre le diverse lingue indocuropee finirono col trionfare su gli idiomi del sostrato mediterraneo, il francese si conservd solo per un certo tem- po come lingua della corte ¢ della nobilta feudale per poi soccom- bere dinanzi alla lingua del popolo, langlosassone in Inghilterra ¢ il romanzo italiano meridionale in Italia, pur arricchendo l’una € Valtra lingua di elementi lessicali_ francesi. In Inghilterra l’anglo- normanno fece sentire il suo influsso finché quel paese ¢ la Norman- dia furono riuniti sotto lo stesso re, cio’ fino all’inizio del XIII sec., ma poi il suo prestigio comincid a diminuire, bench? 'anglo-nor- manno si mantenesse forse fino al XV sec. come lingua dell’am- ministrazione (3). Nell’Italia meridionale le continue relazioni con la Francia ¢ i non infrequenti matrimoni degli appartenenti alla casa reale ¢ alla nobilt normanna con nobili di Francia (4) resero anche qui note- vole influsso francese nella lingua, rafforza‘o dal fatto che, dopo un breve intervallo di settant’anni di dominazione sveva, nel paese si stabili la dinastia francese degli Angioini, che vi rimase per circa due secoli (1266-1435). In Inghilterra il normanno, come si 2 detto, si sovrappose all’anglo-sassone, lingua germanica, ed & quindi facil- mente distinguibile, mentre in Italia l'affinita originaria esistente tra [italiano meridionale ¢ il francese, entrambi lingue neolatine, rende tale distinzione non sempre cost agevole, anche a causa di al- cune concordanze nell’evoluzione fonetica del latino della Gallia ¢ e di quello dell’Italia meridionale (5). In due lingue che si somiglia- (3) vos: Warracre. op. cit. p. 88 sg. (4) Bezzota, op. cit. p. 37 © m4. (5) Per esempio nel trattamento delle labiali (p, b, v) + js eft. fr. seeh it. merid, sccia, siccia « sepia» (sé pia), fr. rage: it, merid. réggia « rab- TEs), fr. cage: it. merid. ydggia « gabbia» (cavea). Voei i re» 0 picciuni (e piciuni), che bia » (rabi ane meridionali del tipo cungiari_« cambi foneticamente potrebbero poggiare sui lat. cambidre (Avviste) ¢ pipid (Lampuivio), sono molto veroximilmente dei francesismi (changer © pigeon, questultimo da una forma dissimilata * pibi), per il fatto che la prima voce & di origine celtica ¢ la seconda (nella forma dissimilata) & prettamente di area romanza occidentale (contro il toscano pippione), passata, come pre- tito, nello. sp. pichdn, «la cui probabilmente dipendono tanto Tit. lett. pic- Gone (XVI sec.), quanto Tit. merid, picciuni © piciuni. Con lo sp. pichén, picha « penis» (Wacxex, in « RPE.» XI, p. 278) vanno anche tarant. pie- Cidné « parte sessuale femminile » (De Viscentits, p. 140), otrant. pieci_n. a weib, Geschlechtsteil » (Routes, EWaGr, 2662: tra le voci di etimo ignoto), Giovanni Alessio no, le contaminazioni, come é risaputo, sono pil frequenti che tra due lingue che appartengono a gruppi linguistici differenti (6). Ma su questo problema torneremo pitt avanti, quando avremo meglio chia- rito il titolo della nostra comunicazione. Parlando di ripercussioni linguistiche della dominazione nor- manna nel nostro Mezzogiorno non ci siamo voluti riferire soltanto all’eflettivo apporto di elementi lessicali franco-normanni, benché questo non sia sempre facilmente valutabile, ma anche alle riper- cussioni linguistiche determinate dall’unificazione politica di un va- sto territorio, nel quale, anteriormente all’avvento dei Normanni, si parlavano tre lingue diverse, il romanzo, il bizantino ¢ l’arabo. Come prima conseguenza di tale evento politico va quindi consi- derata la ripresa del romanzo locale ai danni delle lingue introdotte dalla dominazione straniera, il bizantino ¢ l’arabo, non solo per- ché i Normanni si presentano in veste di liberatori del paese dagli odiati dominatori, i Bizantini e i Saraceni (si pensi agli episodi a cui abbiamo accennato a proposito della liberazione di Guaimaro III ¢ alla rivolta di Melo di Bari), ma anche perché era pitt facile in- tendersi_ coi nuovi padroni parlando il romanzo locale che il bi- zantino o l’arabo. Il problema dell’influsso linguistico normanno rientra dunque in un problema di pit: vasta portata, che & quello della neoroma- nizzazione di alcune plaghe del nostro Mezzogiorno, nelle quali lo strato linguistico che legittimamente continuava il latino era stato, almeno in parte, sopraffatto dalla lingua introdotta con la domi- nazione bizantina e con quella musulmana. A tale problema Gerhard Rohlfs aveva dato una soluzione inac- cettabile. Infatti, nell’Imtroduzione al suo Dizionario dialettale delle tre Calabrie (1932 sgg.)s p- 15, per ribadire la tesi da lui sostenuta di un’ininterrotta grecitd nella Calabria meridionale (« tutto fa sup- porre che il predominio della lingua greca in questa regione si sia protratto fina al tardo medioevo senza soluzione di continuita... »), giungeva alla seguente affermazione: « La Calabria del Sud ¢ la calabr. picciune m., piccionné {.. piciunnu (su cunnu, da cunnus) « geni- tale della donna» (Rontes I, p. 138; senza etimologia). (6) Il latino che si & sovrappesto all'e:rusco (lingua prein:ocuropea) 0 al messapico (lingua indoeuropea del gruppo satam) si & mantenuto pid puro di quello sovrapposto al celtico 0 all'osco-umbro (lingue indoeuropee del grup- po centum, come il latino), come si pud constatare dai continuatori_ moderni, il toscano ¢ il salentino, contro i dialetti galle-romanzi ¢ quelli centro-meri- dionali d'Italia. Ripercussioni linguistiche della dominazione normunna ccc 201 Sicilia manca del tutto di un fondo latino antico ed originario. Da cid risultano i seguenti notevoli fatti: i dialetti della Calabria meri- dionale ¢ della Sicilia non si connettono affatto con la romanizza- ione intrapresa dai Romani nell’antichita, bensi esi costituiscono il risultato di una nuova romanizzazione avvenuta nel medioevo. Quando dal X sec. in poi nella Calabria meridionale ed in Sicilia decaddero le lingue coli dominant, cioé il greco ¢ V'arabico, si an- dd sostituendo al loro posto la lingua romanza. Ma l'idioma roman- zo che da questo momento in poi prese la supremazia, non era gia il dialetto della Calabria settentrionale, bensi la lingua letteraria italiana medioevale, solo superficialmente intaccata da elementi idio- matici_meridionali... ». Non é questa la sede adatta per ripetere gli argomenti con i quali, mostrata Verroneita della tesi_rohlfsiana, abbiamo sostenuto che la grecit’ italiana meridionale @ di origine bizantina e che, an- teriormente alla dominazione bizantina, Calabria settentrionale ¢ Sicilia avevano un fondo latino antico ed originario comune, il che, in parole povere, significa che l'uniti Linguistica italiana meridio- nale era stata in effetti spezzata dall'invasione linguistica bizantina, ciot a partire dal VI sec. (7). ma vogliamo sottolineare il fatto che anche sotto la dominazione dei Bizantini ¢ degli Arabi il romanzo si conservo, almeno come lingua del focolare, accanto alle lingue dei nuovi dominatori, che erano anche quelle dell'amministrazione della Chiesa. A quesa simbiosi linguistica accennano i prestiti nel bizantino locale di voci di origine latina (8), ed anche araba (9), ¢ nel romanzo locale gli adattamenti di voci bizantine ed arabe che Ci sono giunte con accento ¢ con morfologia romanze (10). II Rohlfs (7) Cfr. Atessto, Il sostrato latino nel lessico € nellepo-toponomastica della Calabria meridionale, in « L'Italia Dial. » X (1934) p. 111-100; Nuovo contributo al problema della greciti dell'Italia meridionale, in « Rend, Ist Lomb. » LXXIL (1938-39). p. 109-137: 137172: LXXIV (1ogo-gt). p. 63 EXXVIT (1943-44). pe 617-708; LXXIX (1945-46). p- 65-42 (contin.), con tutta la bibliografia sull'argomento; Sulla latiniti della Sicilia, Palermo 1947. p. 1-309; Il fondo latino nei dialetti romanzi del Salento, in « Ann. Facolth di Lett. e Filos. Universita di Bari », 1 (1955). p- 3-443 La Calabria preisto rica € storica alla luce dei suoi aspetti linguistic’, Napoli 1956 (Liguori). (8) Atessio, Gli imprestiti dal latino nei relitti bizantini dei dialetti del Italia meridionale, in « Studi Bizant. ¢ Neoellen. » V_ (193). p. 341-390. Cfr. anche Calchi linguistic grecolatini nell'antico territorio della Magna Grecia, in « Atti dell'VIT Congresso di Studi Bizantini » VIL, p. 237-299, (9) Atessio, La Calabria, cit. p. 62 sg. (10) Del tipo calabr. merid. crapa gléupa, crupa ldpica wcapra variopinta » Giovanni Alessio poi dimentica di dirci che il decadimento del bizantino ¢ dell’ara- bo, agli albori dell’X{ sec., va messo proprio in relazione con la conquista normanna, che segna il punto di partenza della riscossa del romanzo locale, che lentamente riprende il suo sopravvento sul- le lingue dei precedenti_ dominatori. Anche in un successivo articolo su La struttura linguistica d'Ita- lia, Lipsia 1937. p- 17 sgg. il Rohlfs ritorna sullidea di una neoro- manizzazione della Calabria meridionale ¢ della Sicilia ad opera di un‘ipotetica lingua letteraria italiana medioevale, supposizione tanto pid assurda in quanto questa viene riferita al X sec., in un’e- poca nella quale si scriveva ancora in latino ¢ quando i dialetti ro- manzi d'Italia dovevano essere ormai fissati da tratti essenziali che li rendevano inconfondibili, come @ facile desumere anche dai do- cumenti, redatti in basso latino, che risalgono a quel secolo. La ripresa del romanzo locale ai danni del bizantino ¢ dell’s bo non basta comunque da sola a spiegare I’aspetto che offre il les- sico di alcune regioni del nostro Mezzogiorno, specialmente la Ca- labria meridionale ¢ la Sicilia, dove accanto ad elementi romanzi antichi ed indigeni, che risalgono al latino regionale, ne compaiono altri pitt recenti ¢ di fonetica non meridionale (11). Questi ultimi vanno attribuiti ad un superstrato. che potremmo teoricamente sud- dividere in: gallo-romanso, cui appartengono prestiti dalla lingua d'oil (nor- manno , francese), dalla lingua d’oc (provenzale) ¢ dal francopro- venzale (quest’ultimo importato da colonic italiane settentrionali di area occidentale); ne teniamo distinto il ramo gallo-italico della Pianura padana; tusco-romanzo (12). cui appartengono prestiti dalla lingua lette- ae contro il sinonimo bovese 2¢a layopi, che presuppone un bizant.aiye “Zeeyerah -capra che ha Faspetto (il colere) della lepre »: Ronnies, EWaGr. ago (con spie: pazione erronea), 1208; Atessto, in « L'ftalia Dial.» XI, p. 68; « Rend, Ist. Lomb.» LXXVII, p. 666; Calchi, cit. p. 274. Qui all'accento ossitono del bizantino il romanzo contrappone un accento proparossitono, col prevalere dell al'uscita del femminil in cento secondarie su quello principal si contrappone Vuscita del femminile romanzo in ~«. (11) Si pensi, per citare un solo esempio, al fenomeno della lenizione, pe- culiare del gallo-romano, in centrapposto alla conservazione delle occlusive sorde intervocaliche nel territorio italiano centro-meridionale, Anche nel lessico esistono notevoli divergenze tra le due zone. (12) Ci sia permessa la creazione di questa voee, dove tuseo ha un valore principalmente geografico, ciot dialetto romanzo della Tu seia «Toscana », come del resto gull ¢ ibera-, rispettivamente della Gallia e del ibe ria. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ecc 203 raria italiana di base toscana (13), il cui influsso, per ragioni stori- che, non pu farsi risalire anteriormente al Trecento; ibero-romanzo, cui appartengono prestiti dal catalano ¢ dallo spagnolo. La pertinenza dei prestiti all’uno a all’altro gruppo basata prin- cipalmente su criteri fonetici, ma questi non sempre ci permettono di stabilire con sicurezza se una data voce, per esempio gallo-roman- Za, rappresenti un accatto diretto o indiretto, per il tramite cioé del toscano, del catalano o dello spagnolo. In altri casi non & nean- che del tutto agevole distinguere tra elementi importati (gallo-ita- lico). Per ogni voce occorrerebbe rifare la storia della sua penetra- zione, il che @ praticamente difficile. Sempre il Rohlfs, nella citata Introduzione, p. 13. sg., segnala alcuni casi di concordanze tra voci del calabrese meridionale e del- la lingua letteraria italiana, in contrapposto a voci calabresi setten- trionali, che concordano invece con quelle della rimanente regione italiana meridionale. Egli non prende in considerazione invece il fatto che tali concordanze possono essere puramente casuali, in quan- to, tanto la lingua letteraria, quanto il calabrese meridionale ¢ il siciliano, possono aver ricevuto indipendentemente le stesse voci dal allo-romanzo. Esaminiamo qui alcuni degli esempi studiati dal Rohlfs, ag- giungendo le corrispondenti voci siciliane e francesi antiche, che rappresentano i continuatori di voci latine meno antiche (qui scrit- te in tondo spaziato) di quelle documentate rel resto dell’Italia me- ridionale (qui scritte in maiuscoletto): acus ::acticula Calabr. sett. aew f. ec. ::sic., calabr. merid. ageigghia — fr. ant. aguille (XII sec.) ~ it. lett. aguglia. acnus : :agnellus Calabr. sett. deunu, dmunu, dgunu, luc. diné, salent. deunu, camp. din’, abr. djéné ::sic.. calabr. merid. agneddu fr. ant. agnel (XIE sec.) > it. lett. agnello. cAPUT : i testa Tose. il capo, laz., salent. Ju cap ¢ (col genere del gr. weyaii £.) (13) Ma con numerosi prestiti dal gallo-romanzo dal gallo-italico (con mo, come si & detto, il galloromanzo dell'Italia set- Gallia Cisalpina). Tra questi due elementi_ non & a distinzione, giacch? nel’antico italiano settentri ntichi prestiti dal gallo-romanzo transalpino. questo termine indichia tentrionale, anti sempre possibile una a nale non sono infrequenti 204 Giovanni Alessio abr. sett. a capu, luc. a cap, a cip, pugl. a capé, a chépé, camp. a capa, sic. (Piazza Armerina) a capa (14) ::sic., calabr. merid. testa fr. ant. teste (XI sec.) it. lett, testa. pies ::diurnum |tempus| Sic., calabr. centro-merid. dia (15) :: sic, calabr. jornw — fr. ant. jorn (XI sec.) — it. lett. giorno. watare : sbataculire Calabr. sett. alare, ec. ::sic. Badagghiari, baddgghiu, calabr. merid. sbadagghiari, sbaragghiari, |sbadigghiari|, sbarégghiu, baddgghiu, barigghiu, \sbadigghiu| fr. ant. baaillier (XII sec.), baail it. lett. ()badigliare, (s)badiglio (da cui le forme calabresi con -i-) (16). suuuta 2: francone * alisma (cfr. ted. dial. Else) (17). Calabr. sett. siigghia, ece., ma anche sic, sgghiu (raro)(18) +: sic. calabr. merid. [sina fr. ant. alesne (XID sec.) it, lett. lesina. Tali innovazioni possono si aver sostituito anteriori grecismi © bizantinismi (1g): per «ago» il bovese ha celdni n. —— Bekivioy (gr. ant. petsivy f.); per « agnello » arnt iov (gr. ant. dyeriy Ggviz). accanto ad arnisca « pecora di un anno », prestito dal ca- labr, centro-merid. arnisca, rinisea, sic. ant. arnisca (a. 1348, Seni- inisca, che rappresenta un lat. regionale * arniscu s. non documentato), su cui é en sio}, sic. (da un diminutive. greco di & (14) Tratsa, Pecubolarietio.... pe 112. (5) La forma pis & presupposta anche dal macedo-rum, dewid, prov.. catal.. sp.. port, dia (it. ant. dia). MH genere femminile di digs ¢ del rum, sf campid. di. e digs tertia é richiesto dal calabr. sett. ditersa, disteraa « avan tieri» (Routes Tp. 277) luc. ad@Pre (Lavsnees. p. 194). fr, inoltre i cognomi merid, Beivadue (a, 1160), Boudin (a. 1163), Trrvertera, Syllabus Graccarum membranarom, Napoli #21, p. 212, 215, che fa il paio cole . di origine bizantin LESSIO, gneme Calimera, da xahypéye «buon gicrno in « Rend. Ist. Lomb.» LXXIV, p. 667. (16) Per il ripristino di -d- itervocalico, si tenga presente che pud tra tarsi anche di una consonante epentetica per evitare lo iato © essere sorto per analogia. Vedi comunque pitt avanti il bar. ant. vidunda — fr. ant, viande, da vivenda, deve il dileguo di -v- intervocalico sarh devuto a dissimilazione. (17) Voce certamente antica del superstrato francone (quindi del gallo-ro- mano), giacché di sfiseta maneano riflessi in Francia: vedi REW. 8403 (ma galiz, olla). (18) AIS. Ic. 208, p. 824 (ay) Per le voci romaiche qui cita Atassto, Sulla latinith, cit., po 1yy. . rimandiamo al Routes, EWuGr , s. vv. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna eve 205 foggiato anche *chordiseus (20); per « capo» cefali, ciofalé f. xe che, per incontro con capur, spiega il regg. chieppalu « vertice del capo » (21) (quindi carur era anche della Calabria me- per « sbadigliare » il ca ridionale); per « giorno » im?ra labrese centro-meridionale ha derivati. di jiowy © yiounjya « sba- diglio » (catanz. fare i zasmemati « sbadigliare »), non rappresentati doveva avere surli (ogi » spie- «, prestito dal latino). nel bovese; per « lesina» il bove do»), come Potrant. sali aanyiiwv (da oo Ma tale supposizione non & perd necessaria, giacch? nulla ci vieta di pensare che il francesismo abbia soppiantato, in pit di un caso, una pura voce latina (cfr. caput, pies ¢ suavta, documentati anche in Sicilia). Lipotesi che agigghia, agneddu, testa, jornu, (s\badagghiari e lésina rappresentino accatti dalla lingua letteraria italiana, e non francesismi indipendenti, & assolutamente gratuita. Il soprannome Gidadytéotas “oli in testa’, documento per il 1133 (22). in contrap- posto all'anteriore 0 xuayyeuaus, row xurnyeuou del 1015 (23), sem- bra assicurarci della penetrazione nell’Italia meridionale del fr. ant. teste, anteriormente alla diffusione dell’it. lett. festa, mostran- doci inoltre che il genere femminile di carur (la caps, la capa) (24) & effettivamente dovuto ad influsso del gr.xewaii(25) ¢ non del (20) Atessio, in « Riv, Filol, Class», ms. XVIL p. 159 sggi « Rend. Ist. Lomb. » LXXIV, p. 662, 6743 Sulla latiniti, cit, p. 28; Concordance lessicali tra i dialei rumeni e quelli calabresi, in « Annali Facolti di Lett. € Filos, Universit’ di Bari», 1 (1954). p- 12: Calchi, cit. ps 242, 257 56° (21) Atzssio, in « Rend, Ist. Lomb. » LXXIV, p. 662; LXXVIL, p. 641. Il Ronurs, Dis. 1, p. 193 ricostruiva un gr. “#wahos, anche foneticamente esclu- so, per la mancata palatalizzazione- (22) Trinciiera, op. cits, p. 151) Avessto, in « Rend. Ist. Lomb. » LXNIV, p. 667. (23) Trinciteea, op. city p. 16. 17; ALEsst0, op. cit, p. 666. La forma maschile & rappresentata dal cognome abr. Cupograssi ¢ da Capugrasso, a. 1044, CDCav. VI, p. 250. Ricordiamo qui anche il cognome calabr. capraruba (a 1303), TRincHtna, op. cit. p. 503, certamente da un anteriore * caparubra « testa rossa » ALESSIO, op. cit, p. 646, da ruber « rosso», che ha continuatori meri Uionaly, ctr, calabr- centromerid, luori pl. « lentiggini », calabr. liiv(u)ru, Iivaru, sic. livaru, iuru, nap. livaré «un pesce, pagello (pagellus ery. thrinus) », gid nelle glosse rubrus: Fevdoivos O inde (C.GL Lat. L314, 55): Ausssto, in « L'talia Dial. », XU, p. 69; Sulla datinita, cit. p. 173. (24) Anche nel veglioio kup & femminile. Abbiamo detto altrove (in « Rend. Ist. Lomb. » LXXIV, p. 639 sggei Concordanze, cit., p. 9 sg.) quanto il la tino baleanico sia debitore di quello dell’antica Magr (25) Per altri evempi del _genere, cfr. dopo il Barton, Ist. Lomb.» LXXIV, p. 663. Grecia. Atassto, in « Rend. 206 Giovanni Alessio lat. testa, che sopravvive come voce indigena nel nostro Mezzo- giorno soltanto in un significato pit vicino a quello originale, ciot “vaso da fiori» (26), Similmente il soprannome wuyyeupie, do- cumentato per il 1140 (27), corrispondente al Pappaboe del CDCar. IV, p. 167, € in contrapposto al javdous del 1228 (28), forma ab- breviata del tipo settentrionale Menduca-bafa,-caseum, ecc. (29), ci convince che lit. merid. mangiari, sic. manciari rappresenta lo stesso fr. ant. mangier, che ha dato Vit. lett. mangiare, in sostituzione dei riflessi indigeni di mandtcare, conservati nel calabr. sett. (ant.) manécdé « mangiare », luc. manécatér « ghiottone », corso mandica, logud. man(dygare (30). Il sic. (gerg.) cumisari « mangiare » pud continuare benissimo un pit antico lat. *comésare, iterativo di comedere, conservatosi questo nello sp., port. comer « mangia- re» (1). Tra gli esempi di concordanze del siciliano ¢ calabrese meridio- nale con T'italiano letterario @ annoverato anche: NUDIUS TERTIUS abante-heri Calabr. sett. nustierzu, ecc. ::sic., calabr, merid. aeantéri < fr ant. avant-hier (XII sec.) it. lett. avantieri (non documentato pri- ma del XVI sec., Machiavelli!), nel senso del tosc. ieri V'altro, che & Pespressione indigena italiana (32). Il napoletano dice l'até judrné *Valtro giorno’. In altri casi il Rohlfs ritiene erroneamente che il calabrese set- tentrionale abbia un termine pid antico di quello meridionale, per esempio titiddu «ascella» (da titillus), innovazione, come il tosc. ditello, contro il classico axilla, conservato dal sic. scid- da (33) € dal calabr. merid. mascidda, con m- per contaminazione (26) Tale significato & anche del calabr, sett. testa (Rommues I, p. 328). in concorrenza, nel nostro Mezzogiorno, col grecismo gastra- Per levoluzione semantica, vedi Wanpr-Hormaxs, LEW. I, p. 675 9g. (27) Trinciera, op. cit, p. 164. (28) Trixcnera, op. cit, p. 384. (29) D. Onivtent, / cognomi della Venesia Euganea, in « Bibl. Arch, Rom.» se IL, n. VI, p. 190 n. 1; Atzssto, in « Rend. Ist. Lomb. » LXXIV, p- 668. (Go) Atessio, Sulla latiniti, cit., p. 119. (31) Ibid., p. 52. (32) Anche ‘alsroieri, Valtvieri, che potrebbe essere un francesismo (autrier), ma anche rum. alaltdieri. Antico cd indigeno sembra invece il regg.. mess. postri, pustri id. (Routes Il, p. 159; Tratwa, Vocabolurietto..., p. 340), abr. piidieré id. (Bielli, p. 265) da post) her; cfr. anche catal. despusuhir. (33) Tuatsa, Vocubolurietto.... pe 3 Ripercussioni linguistiche della daminazione normunna eee 207 col bizant. puoxizn ( bov. mascali, pascali) (34), mentre altri dialetti. meridionali hanno scidda nel senso di «ala» (axilla é un diminutivo di ala), ¢ il salentino ha conservato 41a anche nel senso di « ascella » (35). Questi ed altri rilievi si potevano gid leggere nel mio lavoro Nuovo contributo al problema della grecitd dell’Italia meridionale, in «Rend. Ist. Lomb. » LXXIV (1940-41), p- 662 sgg., dove non mancavo di additare nel gallo-romanzo la causa di alcune innova- zioni del siciliano ¢ del calabrese meridionale. ‘A conclusioni sostanzialmente non dissimili e, come pare, in- dipendentemente dal mio citato lavoro, @ giunto anche Giuliano Bonfante, il problema del siciliano, in « Bollettino del Centro di Studi Filologici e Linguistici Siciliani » I (1953), p- 45 Sg8-» portato anche lui a sottolineare l'apporto del gallo-romanzo nel processo di neoromanizzazione della Sicilia, benché poi concluda « che la que- stione del siciliano non @ ancora chiusa, ¢ che richiede ulteriori ac- curati studi » (p. 58). Non staremo qui a mettere in rilievo in quali particolari le nostre vedute discordano da quelle del Bonfante, che limita il suo esame al materiale dell’A/S, insufficiente alla bisogna, ¢ le erronee interpretazioni dovute ad una poco profonda conoscenza dei problemi linguistici italiani meridionali, perch non vogliamo allontanarci, pit: del necessario, dal tema della nostra comunicazione. Dobbiamo perd riconoscere onestamente come il Bonfante sia riu- scito a mostrare l’assurdita di una lingua letteraria comune a tutta I'Italia «che non era meridionale, ma presumibilmente toscana o toscaneggiante », da attribuire niente di meno che al X secolo. Una netta posizione contro il Rohlfs, su questo particolare pro- blema, aveva gid preso Antonino Pagliaro, Latinita di Sicilia, in « Presenza » (1947), p- 290 sgg-, quando scriveva: « II Rohlfs @ trop- po buon conoscitore della dialettologia centromeridionale d'Italia € di quella della Sicilia, per poter pensare che la presunta neoroma- nizzazione potesse venire dalle colonie lombarde; ¢ ne attribuisce invece la paterniti alle genti latine provenienti da ogni parte del continente, le quali sarebbero state, se intendo bene la lettera del testo, in possesso di una lingua letteraria, Ci vuol poco a obiettare che la lingua letteraria ancora nella Penisola non c’era ¢ percid non poteva essere importata in Sicilia: se mai, essa in Sicilia si formava, (34) Romurs, EWuGr., 1340; Avessto, in « Rend. Wa, Lomb. », L.XXIV, p. 653 sg.i LXXVIL, p. 683. (5) Atessto, I fondo latino, cit, p. 8 208 Giovanni Alessio alla corte di Re Federico, attingendo spiriti ¢ forma dalla tradizione curiale, oltre che dai modelli poetic provenzali (p. 291) » (36). La posizione del Rohlfs rimase Imente immutata fino al 1949, al tempo cio’ della pubblicazione dell’ Historische Gram- matik der italienischen Sprache \, p. 177 (¢ eft. 1, p. 156 n. 1), quan- do, ignorando le critiche nostre ¢ quelle del Pagliaro, allude ad una lingua amministrativa ¢ letteraria italiana sviluppatasi ai tempi del- Vimpero di Federico Barbarossa (1152-1190), ma ha buon giuoco il Bonfante (op. cit., p. 61 n. 2) ad obiettargli che tale lingua non pote- va essere in quel tempo che il latino. Successivamente il Rohlfs sem- bra mutare direzione. Infatti_nell'articolo Colonizzazione gallo-ita- lica nel Meazogiorno d'Italia, in Mélanges offerts 2 M. Roques 1 (Baden - Paris 1950), p- 253-253. aflerma che alle colonic gallo-ita- liche & dovuto il carattere moderno siciliano, « che, si pud dire, & meno meridionale dei dialetti del Mezzogiorno ». Questo apporto viene, non a torto, minimizzato dal Bonfante, il quale, dopo una minuta analisi del materiale studiato dal Rohlfs, crede di poter con- dludere (op. cit., p. 63) che «gli clementi galloitalici, all’infuori delle colonie seitentrionali e delle loro immediate vicinanze, sono rari, dubbi, di limitata estensione. Parole come esta, fino a prova in contrario, devono senz’altro essere considerate come gallo-roman- ze, non gallo-italiche ». Col Bonfante, ripetiamo, siamo qui in perfetto accordo In una vecchia recensione al lavoro di Alfredo Cavaliere, La « Quaedam Profetia ». Poesia siciliana del XIV sec., in « Arch. Rom. » XX (1436). p. 1-48, inviata a Giulio Bertoni perch la pubblicasse nella stessa rivista € poi andata smarrita per eventi bellici, avevamo, (36) Del Pacttaro vedi inoltre gli articoli Sulla latinity della Sicilia, Bo- logna 1934 (estr. agli « Atti del IIT Congreso Incernaz. dei Linguisti », Roma 193); Aspetti della storia ling:istica della Sicilia, in « Arch, Roman. », XVII, p- 355 sgg- In quest'ultimo, tentando, in base al fonetismo, di fare una strati- ficavione dell’clemento greco nel siciliano, non sempre riesce a distinguere il fondo originario di questo dialeto dal suo superstrato romanzo, cone quando, a proposito del sic. ura «ora», contro sic, Ord, wora avy, «ora, adesso», entrambi risalenti al lat, hora (gr. Gee}, non si rende conto che, mentre la prima voce ¢ indigena, dra & un accatto (cfr- it. dr(a), dal fr. ant. or(es), prov. ora id.), insieme con adora (cfr. pad. ant. aora, sp-, port. agora), facendo M'Italia meridionale parte dell’area di modo (mo); Arsssto, in « Rend. Ist. Lomb. », LXXVI, p. 28; Sulla latinita, cit. p. 5 n. 3. Errori del genere hon sono infrequenti in altri linguisti che si sono occupati di siciliano (Dr Gre- Gonto, ece.), © purtroppo vengono ripetuti nei recenti studi del Trerka, pub- blicati nel « Bollettino » (cit. Ripercussioni linguistiche della dominasione normanna ece 200 attraverso un‘accurata analisi, messo in rilievo quanti elementi non indigeni, in parte gallo-romanzi, fossero contenuti in quell’antico poema siciliano. Ad identiche conclusioni si pud giungere oggi leg- gendo gli studi di Palma M. Letizia Rizzo, Influssi provenzali ¢ francesi nella lingua poctica siciliana, in « Convivium », 1943, p. 740-748; Elementi francesi nella lingua dei poeti siciliani della « Magna Curia», in « Bollettino (cit.)» 1, p. 114-129; II (1954). p- 93-151, che rappresentano i lavori pitt recenti e pit completi sul- Vargomento. Da questi perd si pud rilevare il carattere del tutto letterario dei prestiti, che hanno avuto scarsa ripercussione sulla koiné siciliana ¢ italiana meridionale in genere, per cui possiamo avere soltanto una pallida idea dell'effettivo influsso linguistico gallo-ro- manzo sulla lingua del popolo, a partire dalla costituzione del regno normanno. In breve ci domandiamo: quante di quelle voci usate da poeti siciliani, che leggevano con disinvoltura la lingua d’oil ¢ la lingua d’oc, correvano sulla bocca del popolo siciliano? Comunque, accettabili ci sembrano le conclusioni a cui é giunta la Rizzo, tendenti a dimostrare « che in generale i termini, che si possono considerare veri e propri provenzalismi, sono espressioni tecniche dello scelto frasario della lirica amorosa, ¢ di essi_ non ri- scontriamo esempi nella lingua di altri documenti dialettali prima noti, estranei all’influsso letterario; mentre sono in genere i veri francesismi (quelli cio? di cui abbiamo accertato Vorigine francese) ei termini di origine dubbia (quelli cioé che possono derivare tanto dal francese quanto dal provenzale) che circolano ancora fuori della lirica ¢ nella lingua d’uso. La controprova di questo asserto ci viene dal vocabolario siciliano: molti di questi termini incerti sono rima- sti tuttora, laddove non rimane alcuna traccia della maggior parte dei provenzalismi tecnici della poesia di corte ». E soggiunge: « Po- tremo dimostrare che i francesismi della lingua dell’uso continuano nel *300, come si pud ricavare dai testi di archivio, nonché da altri documenti letterari minori; ma questo é, almeno per ora, fuori dei limiti del nostro lavoro » (II, p. 151). In attesa che la Rizzo possa, in un prossimo futuro, dimostrare quanto sostiene, noi faremmo delle riserve sull’effettiva vitalita nella lingua popolare di francesismi (e provenzalismi) che appaiono nei ti siciliani del "200, tanto pitt che una buona parte di questi sono assenti dalla poesia del secolo successivo, che pare, per di piil, avulsa dalla tradizione precedente. Nell’Introduzione al volume Poesie siciliane dei secoli XIV € XV, acura di G. Cusimano, I (Palermo 1551), p. 9. infatti si legge: 14, Archivio Storico Pugliese. Anno XT, fase, TV 210 Giovanni Alessio «Viene spontanco alla mente di chi si accinge alla lettura di rime siciliane del "300 il ricordo della peesia del tempo del grande Fe- derico ¢ della scuola poetica che dal suo regale solium trasse Vim- pulso ¢ il nome. Ed invece nessuna continuita, nessuna reminescenza degli aulici predecessori. Pare che la poesia trecentesca compaia non soltanto distanziata da un secolo di silenzio dall’altra che fiori sotto gli Svevi, ma ignori anche le esperienze letterarie di quei poe- ti insigni ». Piu avanti si sottolinea la « diversita d’interessi, di lin- gua, di stile ¢ d’ambiente » che distacca i nuovi poeti dai lirici fri- dericiani. Nel Trecento il centro culturale ¢ letterario della Penisola si & ormai trasferito da Palermo a Firenze. In questo secolo si pud effettivamente parlare della formazione di una lingua letteraria ita- liana, a base toscana, che fa sentire il suo influsso anche sulla lon- tana Sicilia. Recensendo, in « La Bibliografia» LXIII, p. 158 sgg., Vopera di Ettore Li Gotti, Volgare nostro siculo. Crestomazia dei testi si- ciliani del sec. XiV, non mancavamo di mettere in rilievo come la lingua di quei testi, a parte la patina dialettale ¢ i francesimi pecu- liari della Sicilia, non fosse sostanzialmente diversa dalla lingua con- temporanea di altri centri italiani del Continente, « una lingua cioé che risente fortemente del latino cancelleresco usato in periodi an- teriori, come mostrano fra l’altro i crudi latinismi ¢ |’uso frequen- tissimo della grafia etimologica ». Non c’era inoltre sfuggito che le concordanze con Ia lingua letteraria toscana si manifestavano prin- cipalmente in clementi che nel toscano non sono indigeni, ma di provenienza padana, per la presenza della Ienizione (sonorizzazio- ne delle sorde intervocaliche), che é un fenomeno di sostrato celtico estraneo all’italiano centro-meridionale, quindi anche al toscano, per esempio in voci del tipo di dutia (37) « bottega » (da apothe- (37) Compromesso con Vindigeno puti(g)a, che, come abbiamo fi detto, presuppone un lat apothéga, cfr. lat. incite ga: machinula in qua con- stituebatur in convivio vini amphora, de qua subinde deferruntur vina, Pav Fesr. 107, adattamento del gr. fryvidixn. secondo il Ketter, Volasetym., p. 82, con raccostamento paretimologico a tegere (Watne-Hormans, LEW. 1. p. 690), che a noi sembra escluso dalla quantita di @-, bensi forma gid greca, ef. iin + ig (Hes.). L'ipotesi del Routes, EWuGr., 177, di un gr. “zor. (sic), con metatesi di aspirazione, non risolve la questione, perch’, se la voce tosse antica, € quindi di tramite latino, avremmo comunque occlusive sorde, ¢ non pud essere di tramite bizantino, perché il tipo ¢ difluso anche al difuori dell'area dei bizantinismi Ripercussioni linguistiche della dominasione normanna cece, 214 ca), pagari « pagare » (da pacare), pudiri « podere » (da potere, per posse) ¢ simili. Concladevamo con le parole: « Si pud ben dire che nel Trecento il siciliano aveva assunto quell’aspetto "moderno’ che lo distingue tra gli altri dialetti meridionali, a parte la conservazione di preziosi arcaismi ». Questo aspetto moderno del siciliano si rileva anche nel Declarus di A. Senisio (38), a cui si assegna la data del 1348, e anche qui, tra le voci padane (ciot gallo-italiche), possiamo segnalare, per lo meno, budellu « budello » (da botellus), che sopravvive nel sic., calabr. budeddu, rudeddu, gudeddu, voce propria della Romania occidentale (fr. ant. boel, prov. budel, sp. budillo) (39), e rizaglu « rete da pesci e da uccelli» (da rétiadculum), conservato dal sic. rizzdgghiu « giacchio » « quaglieraio », anch’esso proveniente dall’Italia setten- trionale (cfr. genov. resigiu, venez. rizajo, rizdgio, trevis. rezdgio), contro calabr. sett. rizzdechiu, tarant. rusdcchié, ragus. recijak, istr. rasécio (40). Orbene, mentre budellu potrebbe essere di tramite toscano, non lo sembra rezaglu, giacché il pis., livorn. rezzdglio rap- presenta un adattamento non antico (a quanto ci risulta) della for- ma ligure (41). Si deve presumere che la voce sia giunta in Sicilia direttamente dall’Italia del Nord, e, trattandosi di un termine ma- rinaro, ci sembra che difficilmente esso possa essersi diffuso dalle cosi dette «colonic lombarde » della Sicilia, che si fanno risalire (38) Possiamo adesso utilizzare il recente Dal « Declarus» di A. Senisio i vocaboli siciliani, a cura di A. Mariyoxt, Palermo 1955, lavoro diligente ¢ utilissimo, anche se non vi manca qualche errore di lettura o di interpretazione. (39) Anche botulus appartiene alla stessa area (cfr. lomb, 462, engad. bal’, fr. ant, bueilles, fr. occid. béi, bei, REW. 1244). Generalmente si ritiene che la voce sia di origine osca (Ernovr-Met.tet, Waupt-Hormann), da un *gwor- (cfr. got. gibus m. « stomaco », ecc.), ma In sua relativamente tarda at- testazione (la voce sarebbe stata usata per la prima volta da Laperto, I sec. a. Cr, al posto del lat. farcimeny cfr. Aut. Geut. XVI 7,11), larea di dif fusione dei riflessi romanzi, la connessione con voci del gruppo germanico, rendono, a nostro giudizio, pid probabile l'ipotesi di un accatto dal celtico. Si noti infine che una delle commedie di Laverto aveva per titolo letnico Galli. Come Vosco-umbro anche il celtico & lingua labializzante. Il termine in- digeno per «budella », nel nostro Mezzogiorno, & stentina, cio® il lat. tardo stentina, metatesi di intestina n.pl. 1 nostri documenti_medioevali settentrionali hanno budellus, budella, almeno dal XII sec. (Se114). (40) Cf. nelle carte medioevali di Parenzo (a. 1266) retis... retiaculis, SeLLa, Gloss. lat: it., cit., p. 483. (q1) Tratsa, Vocabolarietto.... p. 360; Routes I, p. 201; De Vincentus, p. 1625 Matacotr, Voc. pis., p. 3303 REW. 7257. Lo Zicarsts conosee anche una forma femminile reseaglia 212 Giovanni Alessio al XII sec., tanto pitt che rétiaculum (Vulgata) non pare docu- mentato nel lombardo (¢ nel piemontese). Esempi del genere mo- strerebbero come voci settentrionali potevano raggiungere |'Italia meridionale, fino alla Sicilia, indipendentemente dalla lingua lette- raria toscana. E non si tratta di casi isolati, anche se non sempre ci @ dato di poter datare tali_prestiti dallitaliano settentrionale, come per i calabr. timpiatu, tempiatu, tambiaté m., timpiata, tem- piata, tampiata, timpiara £. « soffitto di legno, soppalco, soffitta » (Rohlfs II 330), che hanno riscontro nel comasco tempid « tra- vette dell’armatura in legno di un tetto», che, con l’antico tem- piare « ricoprire il tetto con ossatura di legname » (XIV sec., Gui- do delle Colonne volgar.), risale al lat. templum « trave oriz- zontale del tetto» (Alessio, in DEI. V, p. 3746), dove il prestito settentrionale € mostrato non solo dal trattamento del nesso -p|- (cfr calabr. dcchiu « oppio, acero campestre », da lat. opulus, ecc.), ma anche dalla forma timpiara, che presuppone un sett. *Zem- piada, con lenizione (42). Vedremo pit avanti quale interpretazione si possa dare a tale fenomeno. (42) Il problema dell'influsso italiano settentrionale sul siciliano & stu diato adesso dal Boxranre, Il siciliano ¢ i dialetti dell'Italia settentrionale, in « Bollettino » (cit.), IV, 1956, p. 265-309, il quale cerca di dimostrare che « ill siciliano concorda quasi sempre col galloromanzo, € non con il gallo-italico » (p. 297), ma anche qui faremmo delle riserve sul metodo seguito per la dimo- strazione di questo asserto. Per quel che riguarda il sic. beccu va rilevato che la voce @ documentata gia nel Senisio (becchus) € sostituisce lantico grecismo “c(h)imarus (giwayos), che ha dato zimmaru; Avessto, in « L'ltalia Dial. » XII, p. 151; «Rend. Ist. Lomb.» LXXI, p. 178 sgg. Il caso di sic., calabr. sdggiru « suocero » & foncticamente identico a quello di sic., calabr. diggin wacero» (sic. ant. ager, nel Senisio), entrambi prestiti da forme padane del tipo der, der, dove -3- & reso col fonema pitt vicino del calabro-siculo. Essi sostituiscono i riflessi del lat. socrus (rifatto su socra, iscriz,) nella Cala bria sett. (svocru) ¢ del bizant, ovaé(v)iegos nella Calabria merid. (sum pessaru), € quelli di * acinus (sic., calabr. deinu « acero »), dal lat. acer, modellato su carpinus, ecc. Per quel che riguarda rizedgyhiu non verremmo neanche escludere che possa essere stato introdotto come voce della lingua della Chiesa (¢ qui do- vremmo fare un lungo discorso sul monachesimo latino che scstituisce nel nostro Mezzogiorno quello bizantino (Basiliani) ¢ sull'influsso dei predicatori, venuti dal Nord, sulla lingua dell'epoca), tenendo presente il lemma del Senisio: wreciaculum... quod dicitur rizaglu, unde Psalmus: 'Cadent in reciaculo eius peccatores’ ». Bastino questi esempi a mostrare la complessiti dei problemi relativi alla neoromanizzazione dell’ltalia meridional. Se poi si potesse mostra re che, nel piano, rizzaglio & antico, potrebbe essere di tramite pisano, in quanto Ripercursioni linguistiche della dominazione normanna ecc. 213 Ritornando all’elemento gallo-romanzo dell’italiano meridionale, abbiamo visto come lo spoglio delle carte dell’AIS., effettuato dal Bonfante, ¢ quello dei testi letterari siciliani antichi, intrapreso dalla Rizzo, sono del tutto insufficienti a darci un’idea dell’effettivo ap- porto gallo-romanzo nella lingua popolare del nostro Mezzogiorno. Invece da una nostra raccolta (43), anche se incompleta ¢ non defi- nitiva, degli clementi gallo-romanzi dei nostri dialetti_meridionali, fatta attraverso un necessariamente rapido spoglio dei pitt noti di- zionari dialettali italiani meridionali (specialmente siciliani € cala- bresi), l’entita delle mutuazioni dal gallo-romanzo @ veramente no- tevole, ¢ questa sarebbe notevolissima se, come nei casi sopra stu- diati di sesta © di mangiari, si potesse mostrare che sono prestiti di- retti anche quelli che figurano nella lingua letteraria toscana. Solo in casi eccezionali alcune divergenze fonetiche ci possono fornire la dimostrazione dell'indipendenza di forme italiane meridionali da Pisani si trovavano in Sicilia gid all’epeca delleccupazicne normanna ¢ gli stessi ebbero strette relazioni con ['Isola dopo il Vespro.siciliano. Si prospetta quindi la possibilita che voci toscane siano giunte in Sicilia, anche prima del Trecento, movendo da Pisa. Non sappiamo se fosse documentato anche a Pisa, ma certamente a Lucea, ¢ gid nel XIV sec., la voce empiata (in Jacopo di Coluccino Ponavia), che ha riscontro, oltre che in dialetti settentrionali (cfr. com. tempida « travette de'Tarmatura in legne di un tetto »}, anche nel calabr. tempiata, -w « soffitta », vere certamente non ind'gena, per il trattamento del nesso -p |, risalendo essa, attraverso fémpia « asse, travicello » (a. 1334, ad Orvieto), tempiare « ricoprire il tetto con ossatura di legname » (XIV sec., Guido delle Colonne volgar.), al lat. templan, pl di templum «trave orizzontale del tetto» (ALEssI0, in DEI. V. p. 3746). Unraltro caso di lenizione avremmo anche in prediela « sgabello », docu mentato nel 1065 a Bari (CDBar. IV, n. 42), cui fa riscontro it. ant. predula (XV sec., Ciriffo Calvaneo), tose. prédela, calabr. pritdula, pritgula « sgabello, predella, scannetto rustico », abr. prétéla « sgabello », lat. medioev. predula we sgabello » (a. 1311, 1330, a Roma), Seuta, Gloss. lat. it., cit., ps 459. riportati ad un longob. pretil, REW. 12y4 a, 2, cfr. sass. ant., anglosass. bred, alto ted. ant. brét (ted, Brett), da un i. -e. * bhretém (Kivor-Gorze), se non sorgesse il dubbio che la forma base sia invece * predil. (43) Ancora inedita, perché. mclti problemi sono tuttora per noi insoluti, ma che varrebbe la pena di pubblicare cos! come si trova, per il ricco materiale che offrirebbe agli studios. E notevole il fatto che voci_meridionali ci permettano di ricostruire formebasi francesi che non sembrano documentate, per ¢s., sic. cwvircieri «velo nero, trea» (TRatxa, p. 159) che presuppone un fr. ant. cuevre-chier «copriviso». formato come cuevrechief « copricapo »; Auassio, in DEL. Il, Pe Tyg. 214 Giovanni Alessio quelle della jingua letteraria in antichi prestiti dal gallo-romanzo, del tipo di fr. ant. Aache (XII sec.), dal francone * hapja, che ha dato Vit. lett. accia (cfr. acia, XIII sec., in Salimbene), da un lato, cil calabr. ydccia, fdccia, gdccia « scure », dall’altro, dato che in questo dialetto, abituato alla pronunzia del 7 bizantino, l’acca aspirato del francese antico é stato a questo conguagliato. Di minore importanza sono invece i prestiti dall’ibero-romanzo (apporto quest'ultimo ri- tenuto erroncamente di poco conto dal Bonfante). Nell’elemento gallo-romanzo le mutuazioni dal provenzale sono trascurabili, men- tre l’elemento franco-provenzale sembra limitato ad alcune colonie gallo-italiche provenienti dall’Italia nord-occidentale (44). Gli clementi della lingua d’oil penetrati nel nostro Mezzogior- no si possono teoricamente dividere in tre strati: a) elemento normanno; b) elemento angioino; ¢) elemento francese moderno. Distinguere quest’ultimo dai precedenti (si tratta di francesi- smi posteriori alla Rivoluzione e in massima parte ottocenteschi: ter- mini di moda, ecc.) é facilissimo, specialmente in base a considerazio- ni di ordine fonetico, E indubitato, per es., che il sic. gatto « frittata ripiena, dolce » (Traina, p. 191), calabr. gaitd « dolce di pasta, cre- ma ¢ frutta» (Marzano, p. 157), abr. gatfd « torta col ripieno » (Bielli, p. 151), nap. gaz#d « torta, timballo di patate lesse con latti cini ¢ salumi, dolce nuziale » (Altamura, p. 125) ¢ anche sardo gattd «dolce di mandorle » rappresenta il fr. mod. gdteau « dolce », dal fr. ant. gastel, wastel id. (XII-XIII sec., a sua volta dal francone * wastil « nutrimento »; cfr. sass. ant. wist), dal quale derivano il sic. ant. guastella « focaccia» (a. 1348, Senisio), sic. guastedda « pagnotta, pantondo, schiacciata unta » (Traina, p. 201), calabr. gua- stella, guastedda, vastedda « focaccia» (Rohlfs I, p. 3593 Il, p. 350). abr. ant. guastella « specie di focaccia » (-as de pane, XIV sec., ad Antrodoco; a. 1387-88, a Celano), gastellus id. (XVI sec., a Te- ramo) (45). Il genere femminile ¢ dovuto probabilmente ad influsso di Focacia. Ci domandiamo adesso se guastella, che non sem- bra documentato anteriormente al XIV sec., & da considerare pre- stito del periodo normanno o di quello angioino. Ma anche que- (44) Cfr. Roniurs, in « Bollettino » (cit.), IV. (1956), p. 388-391: M. Mrtttto, Il tesoro franco-provenzale odicrno di Faeto ¢ Celle, in provincia di Foggia, in « Ltalia Dial. », XX1 (1956), p. 4y-128. (45) Setta, Glossario latino italiano, Citta del Vaticano 1944. p. 660, 661. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ece. 215 sta volta, in base al criterio fonetico, siamo portati a considerare guastella come voce introdotta dai Normanni, in quanto il fr. ant. gastel (XII sec.) era pronunziato nel secolo precedente guastel, co- me si pud stabilire dall’etimologia della voce e dalla forma parallela (di fonetica piccardo-vallone) wastel (cfr. rouchi watiau). Aggiun- giamo che nella seconda meta del XIII sec., quando ha inizio la dominazione angioina, non ¢ improbabile che gastel si pronunziasse ormai [gatell, col dileguo della consonante s dinanzi ad occlusiva sorda, fenomeno che si compie entro il XIII sec. Invece le differenze fonetiche che caratterizzano il normanno rispetto al francico o francien sono ben poche (46). Nel consonan- tismo segnaliamo la conservazione delle mediopalatali (c, g + 4), palatalizzate in francese (canter = fr. chanter, cose = fr. chose (47), gambe = fr. jembe, gardin (48) = fr. jardin). ¢ Yevoluzione di ¢, tj + i, each (chiel = fr. ciel, rachine = fr. ant. racine (49), cachier = fr. ant. chacier, fr. mod. chasser, muchier fr. ant. mucier, fr. mod. dial. musser); nel vocalismo la conservazione del dittongo -¢i-, evoluto ad of nel francien (teile = fr. toile). Ma (46) vos: Wantrc, op. cit, p. 88. (47) Lit. merid, cosa ¢ un prestito. Da causa invece derivano il regg. caraa « causa» (Routes IL, p. 438) ¢ Votrant. caved « causa» (Tot, p. 71), ate traverso un'elaborazione fonetica bizantina (kaesa); Avessto, in « Rend. Ist. Lomb. » LXXVI, p. 59. (48) La forma nermanna sembra attestata dal gardinum (a, 1116) del CD Bar. VUL, accanto a iardinus (a. 1160 © 1236), ib MI, p. 109, 40; 257, 40 iurdino nel 1159. 1195 in Sicilia (cfr. Rocco Pirro, Sicilia Sacra, p. 98, 614). ¢ foi in Cielo d’Aleamo, gerdinus (a, 1104, 1122) nella Carta Rossunese, e cfr. jardino in carte latine di Genova (X-XII sec.); Bezzoua, 09. cit, p. 145 98. € nn, Oggi si ha sic.. calabr. jurdinu © giardinu, pugl. sciardiné (con % continua- tore dij), con adattamento fenetico, come nel sic., calabr. jiffula « ceffone ». dal fr. giflle (giffe, XII sec.) che non pud essere molto antico, Notevole il fatto che. anteriormente alla dominazione angioina, il fr. jardin (XILXIIL sec.) si sia imposto sul norm. gardin, ma si pud sempre pensare che i Normanni siano stati accompagnati da parlanti la lingua francien. In Fr la voce (derivata dal fr. ant. jart, dal irancone * garde, cfr. ted. Garten, ecc.) appare gid ai tempi di Carlo il Calvo (gardinium, a. b4g). (4y) I sic. razzina « barbata delle piante » (Tratxa, p. 350) sari quindi di origine francese ¢ non normanna. Invece il sic., calabr. racing « uva » (che il Renters H, p. 182, trae dal prov. razim, foneticamente difficile) rappresentera un norm. rachin = fr. racin (XIE XIII sec.), dal lat. tardo racimuy (per- Emus), col genere di iva (clr. Sopra guustedda). La forma racena del Sexisto sari ipercorretta, del tipo del top. calabr, Radicena (dial, ima) dal lat. raidicina, © simili, 216 Giovanni Alessio tali differenze non sono sempre facilmente individuabili per il fatto che voci straniere, prese in prestito, vengono adattate alla fonetica della lingua che le recepisce, nella quale, stabilite alcune corrispon- denze fonetiche, un fonema straniero pud essere sostituito da uno in- digeno etimologicamente equivalente. Presi isolatamente, i meridionali cacciari « cacciare » ¢ (a)m- mucciari_« nascondere » potrebbero ben rappresentare le voci nor- manne cachier ¢ muchier, di identico significato, ma bisognerebbe dimostrare (come abbiamo fatto per testa ¢ mangiare) la loro indi- pendenza dai tosc. cacciare e (ant.) mucciare « nascondersi, fug- gire » « far beffa » (XIII-XIV sec.), che si considerano, non a torto, adattamenti toscani (ipercorretti, con sostituzione di -cc- a -zz-) delle antiche forme gallo-italiche cagar ¢ mugar (50). rispettiva mente dalle basi galloromane * captiare (da captus, cape- re) e *miiciare (di origine celtica, cfr. irl. ant. méchaim « na- scondo»). Per V'indipendenza di (a)mmucciari, parlerebbe il sic. ant. amuchagla « nascondimento » (a. 1348, Senisio), sic. ammuc- ciégghia, -u « nascondiglio» (Traina, p. 62), che presuppone un norm. muchaille = fr. ant.mugaille f. « cachette » (Godefroy); cfr. anche fr. ant. amusser «cacher », con identica composizione. Qui il derivato verbale col suffisso -aille (tipo di formazione estranea allitaliano meridionale) ci assicura del prestito diretto; cfr. anche sic., calabr. ndivindgghia «indovinamento », it. ant. indovinaglia, indivinaglia (XIV sec.), dal fr. ant. endevinaille £. « divination, pré- diction », da endeviner (Godefroy); sic. pinndgghia, -u « ciondolo » «bargiglio del gallo» « pendenti» « frangia» « penerata» (Trai- na, p. 322). calabr. penddgghiu « pendolo » (Rohlfs Il, p. 131), it. pendaglia, -o « cid che pende » « forca, uomo malvagio » « pendente » (XIV sec.), dal fr. ant pendaille £, « canaille digne d’étre pendue », da pendre (Godefroy) (51); catanz. affiddgghia « fede, anello che a Io sposo alla sposa » (Rohlfs I, p. 71), dal fr. ant. afiailles « fian- aailles », da afier « asstirer, promettre, jurer » « se fiancer avec, don- ner sa foi a, etc. » (Godefroy), con cui va il cosent. affida rifl. « spo- sarsi» (Rohlfs I, p. 71); calabr. attaccdglia, -dgghia « legaccia, na- stro » (Rohlfs I, p. 123), sic. attaccdgghia « legaccia, legacciolo » « cal- (50) W. Mever-Lipxe, Grammaricu storica della lingua italiana ¢ dei dia letti toscani, riduz. traduz. di M, Baxtott ¢ G. Bravy, Torino, p. 108 sg. (51) Atessio, in DEI, IV, p- 2831. I] D’Ovipro, in « Arch. GI. It», XIII, P. 412, pensavaerroneamente ad un influsso di seandaglio, spiegazione accettata nel REW, 6383. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ece 217 zina che si mette ai polli per distinguerli» (Traina, p. 83), da un norm. atacaille = fr. ant. atachail « attache, lacet », da atachier «attaccare » (Godefroy) ¢ simili. Notiamo infine che i verbi cac- ciari ¢ ammucciari (detto della selvaggina che elude il cacciatore, nascondendosi nel bosco o rintanandosi) si comprenderebbero molto bene come termini della caccia introdotti dai Normanni, tanto pit che nomi di animali (quadrupedi ¢ uccelli) cacciati, nei nostri dia- letti meridionali, sono prestiti gallo-romanzi. Dal francese (habit de) chasse « abito da caccia » deriva invece il sic., calabr. sciassa, -i, -u, irp., map. sciassa « giubba lunga, frac», che un prestito ottocen- tesco. Di origine normanna potrebbe essere il calabr. centro-merid. falésa, fi-, fo- « frana, smottamento di terra» (donde anche il bo- vese filésa, felésa), dal fr. ant. faleise (XII sec.), fr. mod. falaise « di- rupo, costa dirupata», accanto al coevo faloise, che spiega bene Virpino fildscia «balza» (Nittoli), da ascrivere al periodo an- gioino (52). Quando il criterio fonetico non & decisivo, per stabilire con qual- che certezza se un prestito dal gallo-romanzo vada ascritto al pe- riodo normanno, ¢ non a quello angioino, pud valere il criterio cro- nologico, I'attestazione cicé della voce nei nostri documenti meri- dionali (redatti in latino o in bizantino) anteriormente al 1266, data che segna l’inizio della dinastia angioina nel nostro Mezzogiorno. Da uno spoglio metodico dei documenti: medioevali della no- stra Penisola potrebbe risultare, ¢ risulta infatti, la prioritd dell’at- testazione di voci gallo-romanze nel nostro Mezzogiorno rispetto all’Italia_centro-settentrionale. Ne citiamo qui di séguito alcuni esempl caratteristici: (52) Il Resturs, EWuGr. 2316, per spiegare il bo. filésa, cee un gr. *yidijau (che poi ascriveva agli elementi autoctoni della grecith italiana meridionale), non solo campato in aria, ma anche morfolog’camente incon- cepibile © foncticamente insufficiente; Aurssio, in « Arch, St. Calabria Luca nia» Hep. 459 sget« L'ftalia Dial.» X, p. 113: « Rend, Ist. Lomb. » LXXIV. p. 635. La voce & documentata anche toponomasticamente in Calabria (Filesi, le Filese, Filessa rossa), Atrssto, Saggio di toponomastica calabrese, Firenze 1939. N. 1334. € cfr. il cognome calabr. Fulese. Forse appartiene qui anche il top. corso Falesa, che G. Borricuiont, Elementi prelatini nella toponomastica corsa (in « L'talia Dial. », Suppl. 1). p. 93. preferisce riportare al personale ctr. - lat. Falesia, Per la fonetica dell irp. fildscia, cfr. calabr. frambdscia, dal fr. framboise, posa « lagioli », dal fr. pois [non da un posa « fondamento del cibo», come voleva il Ronurs I, p. t5y]. it. ant. cervogia « birra », dal fr. cervoise, ¢ simili. ricostruiva 218 Giovanni Alessio fr. ant. biset, diminutive di bis « bigio » (Godefroy), donde il nome di una stoffa bigia, « bigello », documentato nel 1192 a Terlizzi (CDBar. Ul, n. 157): mantellum de bisetto, mentre nell’Italia set- tentrionale non compare prima dell’inizio del XIII sec.: guarna- tiam agnellinam cohopertam de bixetto (a. 1206, a Rimini), pellem variam cohopertam de bixetto (ib.), ecc., a stare al Sella, Gloss. lat. emil., p. 40, 173, 259- fr. ant. blond « biondo » (XII sec., Chanson de Roland), docu- mentato come dlundo nel 1193 a Salpi (CDBar. VIII, n. 168), blondo nei pocti della Scuola siciliana (Bezzola, op. cit., p. 17) ¢ in Dante, accanto a biondo (XIV sec.), conservato nel sic. brunnu « biondo » (Traina, p. 99). calabr. brundu, crundu, vrunnu «biondo» « pu- lito, liscio, netto» « vegeto», pani brundu «pane di granone » (Rohlfs II, p. 394), contro Virpino junno « biondo » (Nittoli), che mostra un trattamento indigeno del nesso b I-. La base * blund- sembra di origine germanica, ma comunque importata in Italia (la voce manca nei due glossari del Sella) dalla Francia. Invece diret- tamente dal germanico deriva bianco, it. merid. jancu dal germ. blanc-, che poirebbe essere notevolmente antico, come brtinus (Gloss. Reichenau), per cui vedi Ernout-Meillet, Dict. étym. de la langue latine, p. 136. fr. ant destrier « cheval de bataille » (XII sec.) (da dextrarius), documentato gii nel 1130. in Sicilia, © successivamente a Milano (a. 1160), Pisa (a. 1171), ece. (53). fr. ant. grange 0 granche « métairie », grangier, granchier » mé- tayer» (XID sec.) (da granmica, Lex Bajuc.), attestati dal 1190 in documenti dell’abbazia di Casanova in Abruzzo (monasterium et grangias ipsius) ¢ rispettivamente nel XIII sec. in Salimbene (grantias monasterit) ¢ nel XIV sec. nel Chron. Parmense (grancias corum spoliando), mentre il derivato appare ancora nel 1507 a Fermo (grancerii et bubulci, custos seu grancerius bestiarum) (54); vivo nel sic. e(ringia, gancia, « magazzino di granaglie » (Gioeni, p. 129; Trai- na, App., p. 14). abr. rdncié f. « piccolo convento, cremitaggio » (Biclli, p. 286), oltre che nella toponomastica (55). Cfr. norm., champ. granche. (53) Brzzora, op. cit., p. 165. con bibliogratia. (54) Setta, Gloss, lat. it., cit, p. O61; Gloss. lat. emil., cite. p. 167 (55) Cir. G. D. Serna, in « Dacoromania », HI (1424). p. 948, che afferma che Grancia & uno dei nomi, di origine francese, atti a e i limiti del- Pinfluenza degli ordini monastic’ benedettini e cistercensi. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ecc. 219 fr. ant. passage « droit de passage » « droit qui se percevait sur la laine, la toile, etc. » « dazio di passaggio » « pedaggio » (XII sec.), documentato gid nel 1130 € nel 1178 nella Sicilia sacra di Rocco Pirro, e, solo nel secolo successivo, nell’Italia centro-settentrio- nale (56). fr. ant. viande « nourriture » (XII sec.) (da vivenda), docu- mentato a Bari come vidanda nel 1167 (CDBar. V 125, 79), prece- duto solo dal rianda (aa. 1164, 1210) di Genova, ecc. (57). Altre voci sono particolarmente notevoli non solo per la loro antichita, ma anche per il loro isolamento, come pessina, documen- tato nel 1181 a Mondpoli (CDBar. 1, n. 57), spiegabile col fr. ant. pesne «mantile, asciugamano» (Du Cange), voce che manca nel Godefroy, ma che rimanderemmo col lat. pedinus « penero » (cfr. boulogn. pien, vend. pen, REW. 6354), con l'evoluzione fo- netica che appare nel fr. ant. resne (fr. mod: réne « retina ») da retina, ecc., con ogni verosimiglianza giunto dalla Normandia allorquando s si conservava dinanzi a consonante sonora (ancora nella prima meta dell’XI sec.) (58). Prendendo lo spunto dal lavoro di Antonino De Stefano, La cultura in Sicilia nel periodo normanno, Palermo 1938, Francesco Ribezzo, nell’importante articolo L’elemento normanno nella lette- ratura ¢ nella lingua della Sicilia ¢ della Puglia durante il Medioevo, in « Bollettino » (cit.) 1 (1953). p- 107-114, ha richiamato Vatten- zione degli studiosi sui nomi dei peccatori, scritti in greco, ma di provenienza normanna, che si leggono sul dipinto del Giudizio Uni- yersale nella chiesa di Santo Stefano di Soleto (Lecce), opera di artisti del XII sec. (59). Qui appaiono denominazioni francesi di nomi di mestiere, che (56) Bezzota, op. cit. p. 66 € n. 2. La voce vive nei dialetti:meridionali anche nella frase pigliarsi un passaggio « teccatina a parti di corpo femminile » (Atramuea, p. 172). quando le donne passano nella folla, quasi « riscuotere il pedaggio ». (57) Bezzota, op. cit., p. 149. La forma vidanda, con -d- epentetico ad evi- tare lo iato, si ritrova in documenti del 1307 della Curia romana; Seuta, Gloss lat. it., cit, p. 622. Altei casi di -d- epentetico nel calabrese sono regg. adimaria: cat, aimaria « avemmaria » (Routes 1, p. 70, 78). calabr., sic. striidiri « consu- mare», dal lat, déstruere, ec. (58) Atessio, Grammatica storica francese, | (Bari 1951), p- 229 sg., 232 S8- (59) Ch. Dien, Liat bycuntin dans U'Italiemeridionale, Paris 1894, Pe 93) 12. 220 Giovanni Alessio sopravvivono nei dialetti meridionali, come 6 poorségt2 = fr. ant. bouchier (XII sec.), fr. mod. Boucher « beccaio, macellaio », donde sic, calabr. buccéri, ruccéri, pugl. ucceri, ecc.; 6 zovpieates = fr. ant. corvetsier, cortoisier, corvisier « condonnier, savetier » (Go- defroy) (60). che vive nel sic. ant. cureiséri « calzolaio » (Traina, App., p- 12), con cui si ricoliegano i cognomi it. merid. Corbisieri, Cor- tisieri ¢ il toponimo tarantino Cortista (Cur-), come abbiamo mo- strato altrove (61). I] Ribezzo ritiene che I’adozione di queste voci « pitt che alcun mutamento nella struttura demografica ¢ sociale della popolazione latina, indica che gid al tempo dei primi Nor- manni si era provveduto in Puglia, forse con una legislazione spe- ciale, al riordinamento delle corporazioni d’arti e mestieri, sempre vive nella tradizione, con le loro speciali divise », ma noi non sia- mo dello stesso parere. Infatti, anche se si tratta di denominazioni ufficiali, dovute ai nuovi dominatori della Puglia, il fatto che queste vengano non solo scritte in greco, ma siano adattate anche gram- maticalmente, foneticamente e morfologicamen‘e alla lingua locale. cio? al bizantino, denunzia, a nostro giudizio, 'adozione di questi termini da parte della popolazione del luogo, confermata dalla loro flare fino ai nostri giorni. Abbiamo inoltre mostrato come la spiegazione da noi data del top. tarant. Corvisea (col dileguo di r per dissimilazione) & sorretta dal nome di luogo Battendiéri (dial. Vattiniéré) della stessa Taranto, che rappresenta il fr. ant. baten- dier «celui qui exploite un moulin a battre la chanvre » (Littré, Supplément), voce che ha riflessi lessicali ¢ toponomastici in Calabria ¢ in Sicilia (62). Il caso di poorségte ¢ di zovgpeoé rende non inverosimile Vipotesi che altre voci gallo-romanze, documentate nel bizantino (¢ nel greco moderno), si siano potute diffondere dalle regioni del- VItalia meridionale sottomesse ai Bizantini, piuttosto che essere at- tribuite a contatti franco-bizantini all’epoca delle Crociate, e poi importate in Italia. Segnaliamo qui esempi come: Buyézinoy (gr. mod. payéi(2)0) « barile », adattamento del fr. ant. (60) Cfr. vallone ant, corbesier, REW. 2230. (61) Atessio, in « Arch. St. Pugl.», VI (1953). ps 234. La voce dovette appartenere anche al calabreve antico, giaeché con questa va il corbestiere [leggi sciere| « pellaio » della Vita di S. Francesco di Paola (Vu Cancer): cir. Avessio, in DEI. Ul, p. 1103, 1197. (62) Atessto, in « Arch, Stor. Pugh», VI (1953). pe 2343 Saygio di topo nomastica calabrese, Firenze 1939. nn. 48% b, 4ogo. a Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ece 221 baril (XU sec.), conservato nel boy., otrant. eareddi id. Cfr. inoltre pugikivor in Cusa, I diplomi..., p. 300, che spiega il calabr. centro - merid. raviddi (63). duvigww (gr. mod, vrvigr) « denaro », dal fr. ant. denier (X sec.). che ci permette di renderci conto del bov. dinéri id., che non pud continuare dyviiov. come vorrebbe il Rohlfs, EWuGr. 535 (64)- yiuriu « peplum, velum muliebre» (Du Cange), dal fr. ant. guimple, wimple (XII sec.) « ornament de téte » « sorte de coiffure qui couvrait la face » (Godefroy), fr. mod. guimpe (donde il piem. ghem « gorgieretta di velo») (65), la stessa voce da cui proviene il sic. ant. glimpa «velo muliebre per il capo» « velo per coprire » (a. 1299, 1323; anche nel Senisio, a 1348), laz. ant. vimpa (a. 1303. 1361, a Roma), vivo ancora nel sic. limpia (grimpia nel XVI sec.) «il velo di Sant’Agata » (66), ¢ forse anche nell’abr. limbé, limmé, rimbé £, « buccia, velo di cipolla » (67), sic. grima «velo da capo da donna, di seta» (Traina, p. 199). La voce francese presuppone un francone * wim pil (cfr. ted. Wimpel « pennone »). yuauo «fanciullo nato dal matrimonio di un franco con una romea» «bastardo», di origine sconosciuta per il Rohlfs, EWuGr. 416 (68), dal fr. ant. guasmul (69), alla lettera « quasi mulo », da mul « mulei » (cfr. anche gr. mod. uovio: « bastardo »), formato come fr. ant. gascru « presque cru», gascort «un peu court » (Godefroy), donde venez. ant. gesmulli over bastardi (70), sic. ant. casmulu « hinnulus, burdo » (XVI sec., Scobar), sic. cas(a)- mulu «animale nato di cavallo ed asina» « mulettino, mulotto » (63) Routes, EWuGr., 308; Auessio, in « Rend. Ist. Lomb. » LXXTV, p 684. La pitt antica documentazione della voce & il barriclos del Capit. de Villis (VIII sec.), con cui connesso anche il nap. varrécchia « barilotto, barilozz0 » (Atramena, p. 261), che presuppone un * barricula, (64) Atessio, Gli imprestiti, cit., p. 363 sg. con bibliografia, (65) Artnso Levi, Disionaric erimologica del dialetto piemontese, Torino 1927. p- 136. (66) Fuuivea Trarant, Gli antichi vocabolari siciliani (Senisio, Valla, Sco bar), Palermo 1941, p. 199 sgg.s Seti, Gloss. lat. it., cit, p. 623. (67) La voce sembra perd contaminata con altra, cfr, abr. ant. «guscio di cuscino, federa», che presuppone un *il@ma -atis (gr. * -aro®). come ho detto in DEI. Ul, p. 2199. (68) Qui & respinta la spiegazione quasi milus del De Grecorio, in «St. Glott. It.» VIL, p. 303- (69) Yuue Cor. Henry, The book of ser M. Polo..., London 1871. 1, P. 255 SB ; (70) M. Poto, I Milicne (a cura di D. Ontvteet), Ba 1a, p. 72. 222 Giovanni Alessio (Gioeni, p. 79), calabr. merid. casmulu, zasmulu id., sammulu « be- nedetto, cattivo » (71). Negli ultimi due casi sopra studiati meno sicuro che il bizan- tino abbia fatto da tramite tra il gallo-romanzo e Vitaliano meridio- nale, anche per il fatto che le voci non risultano documentate nelle oasi linguistiche romaiche di Bova e di Terra d’Otranto (72). La metatesi della liquida (del tipo sic. crapa « capra», ecc.) nel sic. ant. glimpa (da guimple) non ci permet:e di stabilire con certezza se nella voce francese la labiovelare avesse 0 non conservato I'ele- mento labiale, per cui ci viene a mancare un criterio fonetico per sta- bilire la maggiore 0 minore antichita del prestito. La constatazio- (71) Atessio, in « Rend. Ist. Lomb. », LXXIV, p. 691. Cfr. anche nel Proias: yaowoihos xai pac é Pydyzow xargs xai Ekkyvidos jteds yew Il prefisso fr. ant. g(u)as- poggera sul lat. quasi, di tradizione semidotta, REW. 6937; cfr. la pronunzia guasi di alcuni dialetti italiani (per es. l'umbro). Composti del genere sono gii it. ant. guascotto «mezzo cotto », guascappa (XIV sec.; -0, a. 1242) « sorta di capa», ¢ il guasflore (plaviale de samito gua- sflore laboratum ad acum) di un documento di Assisi del 1327, rimasto oscuro al Seuta, Gloss. lat. it., cit., p. 282, 448, da Fl0s (0 fldreus « fiorito»), con allusione ad ornamentazioni floreali, cfr. pluviale de examito rubeo... cum cir- culis in quibus sunt... rose et alii flores (a. 1295, a Roma), SELLA, op. cits, p- 448- (72) Questo perd non & un argemento decisive. Non vi & nessuna dif- ticoltd fonetica a supporre che il sic. ant. glimpa poggi su vivthu, con meta- tesi li -2-, cfr. bov. flaca, da qiziu, Rowtrs, EWuGr. 2289, ¢ simili. Non ri- teniamo invece opportuno separare glimpa dal vimpa del romanesco antico, an- che se non si pud escludere che questo rappresenti un prestito seriore (cfr. fr. mod. guimpe). Nell’otrantino vivono altri antichi francesimi, come abledda « kleines Ger- stenbrot » (Routes, EWuGr. 2677; tra le voci di etimo ignoto), dal fr. ant. oublée « petit ghteau dont on se servait pour (office divine, et qu'on y con- sacrait, Phostic avant d’étre consacrée» «sorte de patisserie tres légere » (Godefroy); dal lat. oblata, REW. 6012; col suffisso -edda, Atessto, in «L'ltalia Dial.» XU, p. 72; cfr. anche il dalm, oblija « specie di pane che si offre ai defunti», che ha la stessa origine; Vaposst, in « Arch. Gl. It.» XXX, P. 72, a cui possiamo adesso aggiungere il benev. ant. oblea « cialda » (nebu- lis sive obleis), per anno 1330; Ses, Gloss. lat. it., cit. p. 387, che ci docu- menta la voce anche per il Nord del nostro Mezzogiorno; otrant. tristeddi n., tristeddia n. pl. « banchi da letto », M. Cassont, Hellas otrantina, p. 137 (senza etimo), anche gr. mod. dyruoréiue n, pl. « cavalletti da letto » (Bricuentt), dal fr. ant. trestel (XII sec.), fr. mod, tréteau « cavalletto » « trespolo », pas- sato anche ad altri dialetti meridionali, cfr. calabr. sett, trastiellé m. pl. «i ca- valletti di ferro del letto » (Routes Il, p. 337: senza etimo), tarant, sristitddi m, pl. « scanni o panchetti di ferro ¢ legno per letto » (De Vincentuts, p. 206). Ripercussioni linguistiche della dominasione normanna ece. 22% ne perd che la stessa voce & passata anche nell'inglese (imple « pez- zuola da collo ») é favorevole all'ipotesi che essa sia stata diffusa dai Normanni. Infatti la conferma dell’origine normanna di una voce italiana meridionale potrebbe venirci dal fatto che la stessa é rappre- sentata anche in inglese. Potrebbe essere il caso dell'it. merid. (sic., calabr., luc., abr., camp.) marvizzu, -a « tordo », dal fr. ant. mauviz, fr. mod. mauvis (XII sec.) id., cfr. vall. mdei, norm. mauvi « merlo », passato all’ingl. matvis «tordo» «allodola» e anche allo sp., galiz. malvis, port. malviz « uccello simile al tordo, ma un poco pit piccolo », per cui non sappiamo se la voce é giunta da noi nella forma preletteraria malviz 0 se, piuttosto, la sostituzione fonetica di « con la / etimo- logica (73) & dovuta alla coscienza della corrispondenza fonetica, co- me per es. nel calabr. farvetta, fravetta, sarvetta « beccafico », luc. falébett, dal fr. ant. faueette (XIII sec.}, tracto da falve, faure (a. 1100, Chanson de Roland), 0 nel sic., calabr., ecc. scarfari « riscaldare », che presuppone una forma normanna escalfer = fr. ant. eschalfer (XII sec., Fsautier de Cambridge), fr. mod. échauffer, dal lat. ex ¢ a- lefacere (74), 0 infine nel calabr. gurpigghiu, -c, « grossa vol- pe» (Rohlfs I, p. 363), sic. eurpigghiuni « volpe » (Traina, App., (73) L'ctimologia della voce incerta (vedi i lessici etimologici), in quanto un rapporto col medio brett. milhuit, brett. milfid « allodola» non spiega la vocale protonica. Poco probabile anche un lat, milvaceus (da mtlvus -a wnibbio ») con metatesi recipreza dele due vocali, per influsso di malv a, dato il colore clivastro o verdegiallognelo dell'ucccllo: Autssio, in « Rev. Ling. Rom.» XVI, p. 72 sgg. Piuttesto :ark un derivate coi suffisso -iceus da malva(_. fr. mauve), cfr. malviceus, cca cllusione al colore, del tipo it. branchiccio, rossiccio, ecc.; cfr. anche fr. ma:ve « color malva» ¢ il gr. - lat. molochitis «pietra preziosa del color della malva (joh6m)» — (Plin., N. H. XXXVII 114). (74) Indizio del prestito sono la sincope e la constatazione che l'italiano me- ridionale ha fdciri, da face re, non fare (probabile rifacimento sull'imperativo fac wfan). I verbo sealfare in un documento della Curia romana del 1338 (fenum... quod scalfabatur et pro solelhaudo (-ando!)...); SeLta, Gloss, lat. it, cite p. 508, che ricostruisce uno sealfabare (21), non ha valore per noi, perché il documento & provenzale (come mostra solelh «sole »). Lo stesso diremo per escalphatorium «scaldino » (a. 1346, Curia rom.); Setta, op. cit., 223, cui corrisponde lo scalfatorium (duas concas et tres pelves, tria scalfatoria) di Bo- logna (a. 1334), rimasto oscuro per il Setta, Gloss. lat. emil., cit, p. 310. Il verbo, che & documentato gia nel poeta siciliano Guido delle Colonne (XIII sec.), & di area nettamente romanza occidentale, Che possa trattarsi di voce indigena (REIW. 2947; Avessto, Sulla latiniti, cit. p. 67: Bartist, in DEI, V. p. 3365) pare dunque escluso. Giovanni Hessio p. 31). dal fr. ant. goupil{le), goupillon (Godefroy), accanto a gor- Pil worpil, werpil (XII sec.) con r per dissimilazione, voce nata dal- Vincontro di vulpiculus (Marc. Emp.), per il classico vul p& cula, col francone *h wel p «il giovane degli animali da preda ». Invece poco ci pud dire sull’eventuale origine normanna la con- cordanza di significato tra il sic. sastari « assaggiare, gustare » ¢ il sinonimo inglese to taste id., dal fr. ant. taster (XII sec.), fr. mod. tater, che non sembra documentato, nello stesso significato, ante- riormente al XIV sec., perché tale accezione appare anche nel prov. ant. tastar, friul., triest. tast47, piacent., valses. tast? e perfino nel logud. attastari, donde tastu « gusto », ed @ implicita nell’etimologia della voce, se questa deriva, come anche noi pensiamo, da un in- contro di tangere con gustare (75). Con maggior sicurezza potremo attribuire al normanno il sic. viscardu, b- « astuto » (Traina, p. 95), calabr. biscardu « astuto, scal- tro, falso» (Rohlfs II, p. 380), dal fr. ant. guiscart (guisch-) « fin, rusé, astucieux, avisé » (Godefroy), dal nord ant. wiskr id., men- tre il sic. eiscusitati « astuzia» (Traina, p. 95) presuppone un ag- gettivo * viscusu, che rappresenta il fr. ant. gaiscos « rusé, mauvais, méchant » (Godefroy), tratto dalla stessa base, ma con altro suffisso (sus). Il soprannome di Roberto il Normanno, detto il Guiscardo, conferma la nostra ipotesi. Unendo insieme i criteri su esposti, ¢ non trascurando, nello stesso tempo, la cronologia, cioé la maggiore o minore antichita delle attestazioni, in molti casi sara abbastanza facile determinare con sicurezza l’epoca della penetrazione di voci gallo-romanze nel no- stro Mezzogiorno. Occorre perd raccogliere prima tutto il materiale, antico e moderno, dai documenti, dai testi, dai lessici, ecc., senza tralasciare la toponomastica ¢ l’onomastica (cfr. quanto si é detto a proposito dei top. tarant. Corrista e Battendieri). Aggiungiamo qui qualche altro esempio. Nel Catanzarese, tra Martirano e Soveria Mannelli, il paesctto di Decollatura (ant. Decolaturd) mi parve inseparabile dal lat. de- (75) REW. 855, dove & scartata la spiegazione * taxitare (da ta- xHre), ammessa da altri (Gamiitscues, Davzat), per ragicni morfelegiche, fonetiche ¢ semantiche. Per contam'nazione con palpare & stato spiegato il calabr. sett. paspare « palpare, tastare, andare al tasto» (Rontrs II, p. 126), come arbed. paspd, valblen. taspd, REW.. 6175, ma cfr. anche gr. mo:l.xaaxar ret « tastare, palpare, brancicare, brancolare » « frugare, scrutare » (BriGHeNT!), che non sappiamo in che rapporto fud stare con queste voci. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ecc. 225 collare « decapitare », nonostante qualche difficolta di ordine mor- fologico (76). Questa spiegazione non piacque al Rohlfs (77), che ne suggeri un’altra del tutto inaccettabile (78). Storici locali avevano messo il nome in relazione ad una presunta battaglia tra i Romani ¢ l'esercito di Pirro « sui piani di Decollatura, la quale ebbe tal no- me dal numero dei nemici che vi furono decollati ». Pil attendibile é invece l’informazione che dobbiamo al cosentino Domenico Mar- tire (79), del quale riportiamo il brano seguente: « Altri Calabresi uccisi in odio della fede-.. aprile (1058?). Ai 16 detto mese fu ucciso dai Saraceni il Vescovo di Tiriolo, ivi con molta gente, in quel luogo che dal macello fatto ne rimase il nome di Decolatura... ». Dato che in quel torno di tempo quel territorio era stato occupato dai Nor- manni, ci sembra evidente che Decolatura (-ll-) rappresenta un adat- tamento dal fr. ant. decoleiire « décollation, décapitation » (Godefroy), passato ad indicare un luogo di supplizio capitale, col suffisso fran- cese sostituito da quello corrispondente dell’italiano meridionale. Ne avremmo conferma nei nomi di origine francese dei casali vicini, chiamati Costizio, dal fr. ant. costiz, costis «coteau», la Motta, situato su una collina, dal fr. ant. mote « tertre, colline, élevation, monticule » (80), ¢ Verdesca, dal fr. ant. bretesche £. « parapet cré- nelé, chateau de bois qui surmonte les murs, etc. » (Godefroy), fr. mod. éretéche, quest’ultimo confermato dal calabr. sett. verdesca «bertesca, feritoia» (Rohlfs II, p. 370), sic. virdisca « bertesca » (Traina, p. 480), sic. ant. virdischa « propugnaculum de lignis fac- tum » (a. 1348, Senisio), teram. ant. verdisca « bertesca» (a. 1440) (76) Auessio, Saggio top. calabr., cit., n. 1155. (77) Studien zur romanischen Namenkunde, Miinchen 1956, p. 186. (78) Egli ricostruisce un * décollire « hiigelartigabfallen », tratto ir- regolarmente da collis «colle» (tema in -i), donde un ipotetico derivato decollatura « Hiigellandschaft », appena immaginabile, e comunque non docu- mentato. (79) Calabria sacra e profana, MI, p. 29, citato da E. Borretto, Martirano, Monografia storica, Milano 1958, p. 17- (80) Documentato nel XIII sec. nell'ltalia sett., cfr. una mota cum domo (a, 1289, a Treviso), Seita, Gloss. lat. it, cit., p. 375; motas, butifreda et alias fortilicias (a. 1270, a Modena); facere unam bonam motam cum palancato et pontibus levatoriis (a- 1327, a Modena), Setta, Gloss. lat. emil., cit, p. 230, ¢ per la toponomastica, vedi ID. Otiviert, Topon. lomb., p. 375. La stessa ori- gine hanno il calabr. mosta « zolla di terra» (Rontrs, II, p. 54), che ha ri- scontro nel piem. muta id. (Levi, p. 181), e i top. calabr, Motta, Motticella, Atessio, Saggio di toponomastica calabrese, Firenze 1939, n. 2631- 18, - Archivio Storico Pugliese, Anno XI, fase, 1-1V 226 Giovanni Alessio (81), che fanno capo al lat. tardo brittisca (XI sec.), con rac- costamento paretimologico a verde o all’it. merid. eirdisca « squa- lo verdesca ». In Sicilia Misterbianco, reso con Monasterium album in docu- menti medioevali, ¢ certamente un fr. ant. mostier blanc, da mos tier (XII sec.), fr. mod. moutier, che poggia sul lat. tardo mo- nistérium (per monastérium). Tra gli agionimi menzioniamo un Portus Sancti Amatoris, come localita della Piana di Santa Eufemia in Calabria, ricordato in un diploma di Roberto il Guiscardo del 1062, che si ricollega forse con Amator, vescovo di Auxerre (IV-V sec.), agionimo che non ricorre altrove nella nostra toponomastica (82). Anche il nome di localita San Metaro, nella Calabria nord-orientale, ripetera il no- me di Medardus (fr. ant. Medart), vescovo di Noyon (V-VI sec.), come il San Medaréushof (TCI, Trento, 5 A 3) della regione alpina (83). Ricca messe di elementi francesi si pud cogliere dal- Vonomastica. Basti pensare ai nomi germanici con evoluzione fo- netica francese cui risalgono molti cognomi meridionali. ‘Anche in questo campo occorrerebbe fare degli spogli sistema- tici e possibilmente datare le forme raccolte, per poterle confron- tare con l’onomastica francese contemporanea. Ne avremmo istrut- tivi insegnamenti. Istruttivo sarebbe inoltre uno studio della formazione dei to- (81) Seta, Gloss, lat. it, p. 680. Clr. anche il prov. bertresea, donde Tit. ant. beltresca; cfr. Bezzota, op. cit., p. 193 € note. In Francia Bretesche & pure nome locale (ibid.. n. 4). Va tuttavia rilevato che la voce & documentata in Halia fin dal X sec., cfr. fossatis et bertissis atque celatis, CPad. 1 48 (a. 907, a Padova), Skrta, Gloss. lat. it., cits, p. 143. (82) Vedi adesso Atrssio, La sivena ¢ 'antica Terina, in « Almanacco Calabrese », Roma 1958, p. go ¢ n. 39. Nell’onomastica meridionale, cfr. Ama- tor, CDCav. V1, n. $82, p. 21, documentato per il 1034, € il cognome Ama- turo, a Bari. La forma francese ant. Amedour potrebbe essere continuata dai cognomi ¢ toponimi calabresi Ameduri, Meduri, ¢ dal cognome siciliano Midurr (cfr. Atessio, Saggio topon. calubr., n. 2474, sv. Medurius). A proposito del nome di Amator va aggiunto che leggende medioevali francesi lo attribuiscono a Zacchaeus, protagonista di un episodio della vita di Cristo (Luca XIX 1-10), che sarcbbe emigrato in Francia, ove avrebbe predicato il cristianesimo sotto questo nuovo nome, nel luogo chiamato oggi Roc-Amadour presso Cahors (cfr. Acta Sanctorum, agosto, IV, 4, 18). (83) Difficilmente va col sic. Sammataru « caciaio» (di origine araba), che non & voce di quell’area, cfr. Atessio, Saggio top. calabr., cit., n. 4214. Comunque occorrerebbero nuove ricerche per confermare lorigine francese. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ece 227 ponimi ¢ dei cognomi meridionali di origine francese. Il tipo pu- gliese Francavilla ripete quello francese Francheville « citta franca », anche sintatticamente non italiano, come il calabr. Aspromon- te (84), cui fa riscontro l’Aspremont delle nostre Alpi occidentali. Similmente i cognomi del tipo Larussa, cosi frequenti nel nostro Mezzogiorno, sono modellati su cognomi francesi_ matronimici (Larousse). L’avvento dei Normanni nell’Italia meridionale non ebbe sol- tanto come effetto I’unificazione politica di un vasto territorio an- teriormente diviso anche etno-linguisticamente, provocando insie- me un’azione di riscossa del romanzo locale, a scapito del bizan- tino ¢ dell’arabo, ed un arricchimento dello stesso di elementi gal- loromanzi, ma apri le porte alla civilti francese in quella parte della nostra Penisola « che dall’invasione franca era rimasta quasi del tutto risparmiata » (85). Sotto i Normanni I’Italia meridionale € specialmente la Sicilia risorsero dalla depressione economica, frut- to della cattiva amministrazione dei loro predecessori, ¢ con V’in- cremento del commercio divennero piti attivi anche gli scambi lin- guistici tra l'una e Valtra regione del Mezzogiorno (86) ¢ la ri- manente Italia centro-settentrionale. Palermo divenne uno dei centri culturali pit fulgenti dell’Europa contemporanea. Coi Nor- manni fu introdotto il feudalismo (cfr. sic., calabr. feu, fegu «feudo», dal fr. ant. fiew) (87) ¢ i feudi furono assegnati ai grandi vassalli, che erano tutti normanni. Le corti di questi divennero a loro volta tanti focolai di diffusione della lingua e della civiltd francesi. (84) A torto il Routes pensava che si trattasse di un composto col gr. mod, daxgos «bianco» (quindi un ibrido), del tipo del top. gr. mod. Aspro-Vuné (Attica); vedi Atessio, Saggio top. calabr., cit, n. 393, per la bibliografia. (85) Bezzoua, op. cit, p. 38. (86) Per questo proceso si diffondono anche voci bizantine ed arabe so- pra un territorio pid vasto di quello originario. Si pensi alla diffusione in Si- cilia ¢ in Calabria dei bizantinismi xeqamide « tegola» ¢ hazragiba « pipi- strello » (gr. ant-fvmregi ), gii documentati nel Sentsto (a. 1348) come chia- ramita e tallarita’(sic. mod. ciaramita e taddarita), 0 agli arabismi di Cala- bria, evidentemente introdotti dalla Sicilia. (87) Cfr. fevo nella Carta rossanese del 1104-22, ecc.; Bezzoun, op. cits p- 99 n. 1, Aggiungi: Hugolinus... tenet in fegum... petiolas terre (XI sec. 2 Farfa); exceptis equitum fegis sive beneficiis (a. 1097, a Farfa), Seva, Gloss. lat, it., cit., p. 238. Nei documenti bizantini di Calabria: qiov acc. (a. 1176), wiowgen. (a, 1188, 2 Oppido, Trincuers, Syllabus..., cit, p. 246, 296). Per i riflessi toponomastici, vedi Auessio, Saggio topon. calabr., cit-, n. 1391. 228 Giovanni Alessio Non fu naturalmente uno sparuto gruppo di pellegrini_nor- manni, provenienti da Gerusalemme, come dice la leggenda, a costituire quest’ordine nuovo. | Normanni non furono che dei pio- nieri che indicarono ad altre popolazioni della stessa Francia ¢ dell’Italia settentrionale una terra di conquista, dove si poteva in breve far fortuna, sia con le armi sia con il commercio. Come, pensiamo, l’esercito di Annibale, che varcd le Alpi per distruggere Fodiato nemico, non era composto di soli Cartaginesi, ma di una accozzaglia delle genti piti disparate, raccolte o assoldate durante il lunghissimo viaggio, allo stesso modo, ci sembra, le schiere di Nor- manni, che dilagarono in Italia, non provenivano soltanto dalla Normandia, giacché verosimilmente ad essi si unirono altre schiere di Francesi e di Italiani settentrionali (Lombardi), raccolte durante il cammino, ¢ gli uni ¢ gli altri dovettero di poi invitare parenti, amici, connazionali a raggiungerli per dar loro man forte, Si co- mincid fin d’allora a stabilire, lungo le cosi dette vie francigene, che univano I'Italia con i paesi transalpini della Francia, un afflusso continuo di avventurieri c di mercanti, in cerca di fortuna (88). L'Italia meridionale veniva cosi letteralmente colonizzata da clementi etnici, in prevalenza di lingua gallo-romanza e gallo-ita- lica, che finirono per dare una nuova fisionomia linguistica al paese. Il prestigio dei nuovi dominatori dovette infatti farsi sentire ben presto anche nel campo linguistico, sebbene i Normanni fossero estremamente tolleranti in fatto di lingua, di razza e di religione. Come accedere, per esempio, alle cariche pubbliche ignorando la lingua dei nuovi padroni? Ugo Falcando ci riferisce che Arrigo di Montescaglioso, fratello della regina Margherita di Navarra, avreb- be rifiutato la carica di reggente, durante la minoriti di Gugliel- mo II, perch, come diceva, ignorava il francese, lingua indispensabile alla corte reale (« se ignorare lingua Francorum quae maxime neces- saria esset in curia ») (89). Naturalmente non tutti gli indigeni si saranno trovati nella necesita di imparare il francese, essendo sufficiente per essi il com- prendere ¢ farsi comprendere, cosa del resto non eccessivamente difficile quando si adoperavano vocaboli risalenti alla stessa base latina, non essendo le divergenze tra l’evoluzione fonetica della lingua dei sopravenuti ¢ quella delle popolazioni romanze locali (88) Come orientamento su questo problema, si veda l'importante articolo di Inuvmiato Pent, Sull’elemento latino nella Sicilia normanna, in « Bollet- tino » (cit.), I, 1954, p- 349-366, ¢ la bibliografia addotta. (89) Brzzota, op. cit., p. 37 n. 3. Ripercussioni linguistiche della dominazione normanna ece. 29 tanto forti da impedire la comprensione di singole voci (poteva essere quasi indifferente indicare il « cavallo» con la forma indi- gena, cavallu, cavaddu, 0 con quella straniera caval, cheval, ca- vall(o), mentre soltanto i bilingui potevano comprendere le forme bizantine — aaoyos, conservato nel bovese dlogo (90), 0 iaaton(ov), rimasto all’otrant. «mpari (91), 0 infine quella araba, faras, che indicavano Videntico animale) o di intere frasi, ripetendosi press’a poco il fenomeno che avviene oggi discorrendo nella lingua lette- raria con i pastori analfabeti delle montagne calabro-lucane. Ne con- seguiva la necessiti di usare termini che potevano essere compresi da una cerchia sempre pit ampia di parlanti, cio’ quelli di origine latina, ¢ il bizantino © V’arabo avevano naturalmente la_peggio. Quando un termine straniero differiva notevolmente da quello lo- cale, esso poteva imporsi presso le classi sociali pitt elevate, per poi diffondersi_ nel popolo a scapito dei termini pit antichi, che non sempre finivano con lo scomparire del tutto. Vediamo cosi che i fr. ant. mangier 0 baai'lier non hanno soppiantato completamente i riflessi di lat. mandacare e halare (conservati nella Ca- abria settentrionale) ¢ quelli dei bizant. yayeiy € iow —(conser- vato il primo nel bovese ¢ il secondo nella Calabria centro-meri- dionale). Si impongono poi le voci di cultura. Il termine sic., calabr. firrizzu, che indica uno « scanno (usato dai contadini) fat- to coi fusti della ferula » (donde il nome), non basta pil a deno- minare la «séggiola» delle case signorili, ¢ cost troviamo nel siciliano ciera ¢ nel siciliano e calabrese seggia, rispettivamente dal fr. ant. cha(iere «chaise, sige» (XII sec.), da cathedra, e dall'it. ant. séggia, accanto a séggio, forse pur esso un francesismo (siege, XII see., da un * sedicum). Ha inizio cost quel processo di rinnovamento lessicale che pit tardi_provochera la sostituzione completa o parziale di tecnicismi locali con termini della lingua letteraria italiana, fenomeno che pud essere gid rilevato nel « Declarus» del Senisio. Quando questi, per citare un solo esempio, traduceva pessulum con « sera lignea, que dicitur salixindi vel suquaru», adoperava, accanto all’arabismo sukkara «cerradura» « chiavistello», limitato al siciliano (sée- chiaru, stirchiaru « paletto », Traina, p. 439. 442) € al calabrese centro-meridionale (séechiaru, sticchiuru, stirchiu, surcu « chiavi- (00) Ronuss, EWuGr., 08 (1) Cfr. anche ixadgt in documenti bizantini di Palermo (Cusa, I diplo- mi... 1, p. 22). La forma otramtina concorda col eret.drtiguy, cipr. draéeu (con assimilazione vocalica regressiva); Rontes, EWuGr., 822. 230 Giovanni Alessio stello, paletto », Roblfs II, p. 311) (92), un termine non indigeno, ma di pit: ampia diffussione, salixindi, ciot saliscendi, in uso nel Tre- cento, oltre che in Toscana, anche a Roma (salesciendi cum stan- ghetta, a. 1354, Curia Romana) (93), composto imperativale di salire ¢ scendere, cui corrispondono in Sicilia e in Calabria le forme dia- lettali nchianari ¢ calari, tanto che saliscendi & diventato, in Calabria, per etimologia popolare, calascindi, calascinné (Rohlfs I, p. 139), che ha l’apparenza di un composto tautologico. Per la stessa neces- siti di farsi intendere l’it. (sett.) padella (da pate!la) si diffondera dalla Padana alla Sicilia, ai danni di sartag0o, di cui rimangono trace sparute nell'Italia meridionale (94). Anche questa voce ¢ di (92) Cfr. A. Sreicen, Contribucin a la fonética del hispano-drabe y de los arabismos en el hibero-roménico y el siciliano, Madrid 1932, p. 208. Per questa ctimologia esiste tuttavia qualche difficoltd di ordine fonetico, ¢ poi il genere diverso ¢ anche lo spostamento di accento, che potrebbe far pensare ad un contaminazione tra la voce araba e riflessi indigeni del lat. surculus «ra- moscello, stecca, scheggia, ecc.», tanto pitt se il calabr. merid. suriceju « not- tolino di legno » (secondo il Routes Il, p. 316; « piccolo sorcio ») potesse con- tinuare il diminutive surcellus. Cfr. Atessio. in « Lingua Nostra», IX (1948), Pp. 24. (93) Seuta, Gloss. lat. it., cit., p. 499. (94) Avessto, Sulla latinita, cit., p. 179 sg. e per patella, p. 143 sg. (ma il raro sic, patedda « padella » sari un semplice adattamento dialettale di padella). In generale si pud dire che le voci italiane settentrionali, che sono entrate nella lingua letteraria, si ritrovano anche nel nostro Mezzogiorno. Andrebbe studiato se Paccettazione di queste da parte della lingua letteraria non si stata determinata proprio dal fatto che esse, in un'epoca in cui Firenze cos tuiva una zona arcaica ¢ conservativa, fossero diventate panitaliane a causa del- la loro importazione nel nostro Mezzogiorno. L'ipotesi, che avanziamo qui cautamente, & meno paradossale di quanto possa sembrare a prima vista. Sono invece scarse Je voci meridionali di cui si pud mostrare Porigine toscana in base a fatti fonetici caratteristici di quel dialetto (per es. Vevoluzione di rj a j) 0. 1 lo meno, il tramite toscano (per. ¢s. sic., calabr. giiccia, da it. goccia, de- verbale di gocciare, da un sett. ant. yorar (*guttiare) e sic. (v) ssciula «gottay da it. gécciola, contro Vindigeno sic., calabr. gutta, da gutta). Certo si & che una voce come meééo (lat. medius), di fonetica settentrionale, per il tratta- mento di -dj- (cfr. gli allotropi raggio /raS#o, da radius, oregyio/(oyrezéo, da *aurididre, tosc. gii/it. sett. ga, da jam), ha sostituito in parte i riflessi in digeni di mesos (gr. néo03) [a torto ritenuto osco (REW. 5462,2)], cfr. nay miesé, ece-, che pur doveva essere diffuso anche in Calabria ¢ Sicilia, dove oggi si ha mengu (con propagginazione della nasale). Notevole per l'eti della do- cumentazione, ed anche perch? probabilmente tautologico, & il cognome merid nertapéoay (a. 1133), TRINCHERA, op. cit., p. 151; Atessio, in « Rend. Ist. Lomb. » LXXIV, p. 666. Nessuna traccia invece di un * meju (come oj « oggi ». da hodia), ma medianus (ncus) & conservato nel top. pugl. Mesagne Ripercussioni linguistiche della dominuzione normanna ecc. 231 area romanza occidentale; cfr. fr. ant. pael()e (XII se della, sp. padilla, ecc. Con la conquista normanna ha quindi inizio un rinnovamento del lessico italiano meridionale, che lentamente si adegua al lessico della restante Penisola, specialmente in quegli elementi che sono peculiari del vocabolario gallo-romano. Con la calata di Carlo d’Angid, che venne accompagnato da un numerosissimo séguito di vassalli e di clienti, ¢ la permanenza degli Agioini in Italia per la durata di quasi due secoli, si riversd da noi una nuova ondata di voci gallo-romanze. anche per il fatto che, almeno nei primi tempi, 'amministrazione angioina non usd altra lingua che il fran- cese. Tale rinnovamento lessicale si manifestd principalmente in Si- cilia, pili aperta per ragioni storiche ¢ geografiche, agli influssi culturali, da qualsiasi parte essi venissero, di altre regioni del nostro Mezzogiorno, culturalmente pit arretrate e di conseguenza pitt con- servative (95). La neoromanizzazione della Calabria meridionale dipende probabilmente da quella siciliana (96). Non é questa la sede adatta per trattare, anche di sfuggita, degli altri due superstrati romanzi, quello che abbiamo chiamato tusco-romanzo (lingua letteraria italiana di base toscana che fa sen- tire il suo influsso gid nella prima met& del XIV sec.) (97) € Vibero- prov. pa- (dial. Mesciagné, con -% da -); Ausssto, in « lapigia », XIIT (1942), p. 182, Inve- ce il bov., otrant. misd «mezzo» non poggia sul gr. wéoo? (Ronurs, EWuGr., 1364), ma su un corrispondente del gr. mod. ¢ (gr. ant. fptave ); ALEssio, in « Rend Ist. Lomb. », LXXVIL, p. 685. (5) Come la Calabria settentrionale ¢ la Lucania; cfr, Heiwricn Lavsserc, Die Mundarten Siidl::kaniens, Hatte 1939. A proposito della Sicilia, cos si esprimeva il Pacttaro, Latiniti di Sicilia, cit., p. 292: « il siciliano ha in com- plesso carattere di grande varieta, in cui l'elemento arcaico preariocuropeo, gre- co antico € latino, viene a trovarsi accanto al greco bizantino, all'arabo, al fran- cese, al provenzale, allo spagnolo, ¢ soprattutto agli elementi della lingua co- mune italiana; la Sicilia nella sua storia linguistica riflette la sua posizione di area assai esposta ed & soprattutto dominata dalla tendenza verso una koiné, che si manifesta gia nella oiné dorica di Sicilia, quindi nel latino, poi nel dia- letto romanzo che amalgama gli clementi pid diversi, in conformita al proprio ge- nio, come dicevano i nostri padri o, per dirla in termini glottologici, in confor- mith alla propria base d'articelazione ¢ alla propria forma interiore ». (96) II fenomeno per il quale la Calabria subiva Vinflusso Tinguistico della Sicilia si ripeteva nell’antichita per Ia doricizzazione classica e nel Medioevo per quelia bizantina (con l'introduzione di elementi dorici importati dai di- scendenti dei Laconi del Peloponneso, in Val Demone, in Sicilia); Atessto, La Calabria, cit. p. 47 sgB- (97) Va considerato a parte l'influsso della scuola, che ¢ un fenomeno re-

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