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XXXV
Vicedirettore
Paolo Orvieto
Comitato scientifico
Stefano Carrai, Raffaella Castagnola,
Emanuele Cutinelli-Rèndina, Sebastiano Gentile,
Enrico Malato, Jean-Jacques Marchand, Paola Ventrone,
Paolo Viti, Raffaella Maria Zaccaria
Comitato di redazione
Stefano U. Baldassarri, Armando Bisanti, Sondra Dall’Oco,
Enrico De Luca, Elisabetta Guerrieri, Nicoletta Marcelli,
Maria Domenica Muci, Maria Agata Pincelli, Alessandro Polcri
issn 0392-0224
isbn 978-88-6973-259-1
Tutti i diritti riservati - All rights reserved
Copyright © 2017 by Salerno Editrice S.r.l., Roma. Sono rigorosamente vietati
la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per
qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, senza la preventiva autorizzazio-
ne scritta della Salerno Editrice S.r.l. Ogni abuso sarà perseguito a norma di
legge.
ERASMO E L’UMANESIMO ITALIANO
NEL CICERONIANUS*
* Il saggio recupera e rielabora alcune parti della mia Introduzione a Erasmo da Rot-
terdam, Il Ciceroniano, a cura di F. Bausi e D. Canfora, con la collaborazione di E. Ti-
nelli, Torino, Loescher, 2016, pp. 7-59, per gentile concessione della casa editrice e del
direttore della collana « Corona Patrum Erasmiana », Renato Uglione; da questa edizio-
ne sono tratte anche le citazioni, e ad essa fa riferimento la paragrafatura del testo. Nelle
note adotto le seguenti sigle: ASD = Desiderii Erasmi Roterodami Opera omnia, Am-
sterdam-Leiden, North Holland Publishing Company-Brill, 1969-; EE = Desiderii Era-
smi Roterodami Opus epistolarum, ed. P.S. Allen, H.M. Allen, H.W. Garrod, 12 voll.,
Oxford, Clarendon Press, 1906-1958.
1. P. Mesnard, Introduction a Desiderius Erasmus Roterodamus, Ciceronianus, ed.
P.M. (ASD, i.2, 1971), pp. 584-96, alle pp. 593-94.
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
2. Come risulta dalla lettera di Leonard Casembroot a Erasmo, Padova, 6 giugno 1526
(EE, vi pp. 355-56, a p. 356).
3. EE, vii pp. 191-95. Per questa lettera vd. anche infra, p. 254 n. 70.
4. La lettera è anche in EE, vii pp. 325-27.
5. Per la storia redazionale del dialogo e per le quattro stampe curate da Erasmo vd. la
Nota al testo, da me redatta, nella cit. ed. Bausi-Canfora, pp. 60-76.
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francesco bausi
6. Ciceronianus, parr. 258-62. Identica polemica nel Moriae encomion (1511), dove vengo-
no ridicolizzati dapprima quei retori che impiegano trent’anni a scrivere un discorso
(mentre la Moria afferma: « Mihi porro sempre gratissimum fuit, o{ttiken ejp’ ajkairivman
glw'ttan e[lJh/ », cioè ‘dire tutto quello che viene sulla punta della lingua’) e poi quei let-
terati che rielaborano senza sosta i loro scritti (Moriae encomion, ed. C.H. Miller, in ASD,
iv.3, 1979, risp. pp. 74 e 140-42).
7. Rispetto a Orazio e al suo labor limae, Erasmo si pone, con autoironia, quale novello
Lucilio: se questo infatti era in grado di scrivere in un’ora duecento versi stando su un
solo piede (cfr. Hor., Sat., i 4 9-10), l’Olandese è capace di comporre un libro in un solo
giorno (cosí nella lettera al Vergara del 15 ottobre 1527: vd. supra, p. 229).
8. Ciceronianus, par. 1465.
9. « Utilitas commendat etiam mediocrem eloquentiam », si legge nel passo del Cice-
ronianus di cui alla nota precedente.
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
10. Adagia, iii, pars prior, ed. F. Heinimann and E. Kienzle, in ASD, ii.5, 1981, pp. 34-35
e 38-39 (miei, qui e sempre, i corsivi nelle citazioni). Allo stesso modo, nell’ “adagio” 219
(Manum de tabula), egli riferisce il noto detto del pittore greco Apelle – che si riteneva
superiore al collega Protogene solo in una cosa, nel fatto cioè di saper togliere, a differen-
za di lui, la mano dal quadro, ponendo cosí fine alla diuturna rielaborazione delle proprie
opere – agli scrittori che per « nimia diligentia » continuano ad accanirsi sulle loro pagine,
sempre aggiungendo, togliendo e cambiando, e che proprio in questo sbagliano, nel
cercare di non sbagliare mai niente (Adagia, ii, pars prior, ed. M. Szymanvski, in ASD, ii.1,
2005, p. 334).
11. Cosí leggiamo in due fondamentali epistole erasmiane, la lettera-catalogo a John
Botzheim del 20 gennaio 1523 e l’epistola a Haio Herman di Emden del 31 agosto 1524
(EE, risp. i pp. 2-3 e v p. 516).
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francesco bausi
12. Per queste accuse rivolte alla filologia erasmiana vd. ad es. B. Clausi, Ridar voce
all’antico padre. L’edizione erasmiana delle ‘Lettere’ di Gerolamo, Soveria Mannelli, Rubbettino,
2000, pp. 70-71 e 170-76.
13. « Nec ista molimur absque veterum exemplarorum praesidiis, ubi nancisci licuit:
ne errent qui me nihil aliud putant quam divinatorem » (EE, v p. 517, a Haio Herman).
14. Considerazioni analoghe anche nella lettera al Botzheim (EE, i p. 15).
15. Ivi.
16. « Nec ullos patimur iudices iniquiores quam istos qui nihil omnino aedunt, ac ne
docent quidem, velut invidentes utilitati publicae » (ivi).
17. Ivi.
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
possunt sine dedecore, quod etiam quibusdam, qui festinatius sua im-
pressere, accidisse certum est »), che poco dopo l’edizione della prima
centuria dei Miscellanea (1489) ne aveva stampato e diffuso una lista di
emendationes,18 e che in calce all’edizione bolognese della selva Ambra (Pla-
tone de’ Benedetti, giugno 1492) aveva inserito un corposo errata corrige
relativo alla selva Nutricia, pubblicata a Firenze l’anno precedente per i
tipi del Miscomini.19
Replicando allo Scala, Poliziano rifiutava di condividere la tesi secon-
do cui solo chi non dà alle stampe le proprie opere scrive correttamen-
te: poiché tenersi lontano dai torchi significa seppellire i frutti del pro-
prio lavoro, chi pubblica non è da considerarsi arrogante o temerario,
né correggersi è disonorevole, visto che lo fecero Ippocrate, Cicerone e
Agostino, e che la loro fama non è minore per questo. Infine, mostran-
do di avere ben compreso dove il cancelliere intendeva andare a parare,
l’Ambrogini passa senz’altro al proprio caso personale: « Me vero nec
pudeat emendare sequentibus scriptis, si quid in prioribus quandoque
delinquerim, quo videlicet, ut quidam inquit, et scribendo proficiam, et
proficiendo scribam ».20 La citazione finale è ricavata non casualmen-
te dall’appena menzionato Agostino, e in particolare dall’epistola 143 a
Marcellino (« Ego proinde fateor me ex eorum numero esse conari, qui
proficiendo scribunt, et scribendo proficiunt »: par. 2), in cui il vescovo di Ippo-
na, riferendosi a certi dubbi sollevati dal suo De libero arbitrio, afferma
18. V. Fera, Il dibattito umanistico sui ‘Miscellanea’, in Agnolo Poliziano poeta scrittore filologo.
Atti del Convegno di Montepulciano, 3-6 novembre 1994, a cura di V.F. e M. Martelli,
Firenze, Le Lettere, 1998, pp. 333-59, a p. 343.
19. F. Bausi, Nota al testo a Angelo Poliziano, Silvae, a cura di F.B., Firenze, Olschki,
1996, pp. xlv-xlviii.
20. I due passi in Angeli Politiani Liber epistolarum, v 2-3, in Id., Omnia opera, Venetiis,
In aedibus Aldi Romani (rist. anast. Roma, Bibliopola, 1968), risp. ff. f6r (Scala) e f8r (Po-
liziano, la cui lettera non è datata). L’intera polemica fra i due umanisti occupa le epistole
1-6 del libro quinto (ff. f3v-g1v). È interessante osservare che pochi anni piú tardi lo Scala
chiuderà la stampa della sua Apologia contra vituperatores civitatis Florentiae (Firenze, Misco-
mini [?], non prima del 6 ottobre 1496) con un’epistola ai lettori in cui la decisione di
pubblicare l’opera a tamburo battente – secondo un costume da lui solitamente biasima-
to – viene giustificata con ragioni di necessità politica, che lo hanno indotto ad anteporre,
ai propri, gli interessi della città (B. Scala, Essays and Dialogues, translated by R. Neu
Watkins, Introduction by A. Brown, Cambridge [Mass.]-London, Harvard Univ. Press,
2008, p. 278).
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francesco bausi
che anche i propri errori sono utili, se, una volta corretti, permettono
agli altri di non errare a loro volta.21 Erasmo, che ben conosceva la po-
lemica fra i due umanisti fiorentini, sapeva dunque di avere come pre-
cursore nientemeno che l’amato Poliziano, e nel Ciceronianus anche per
questo inseriva un paragone fra l’Ambrogini e lo Scala (che si credeva
un fedele seguace dell’Arpinate e che si permetteva di criticare il Poli-
ziano perché poco ciceroniano), concludendolo con un giudizio impie-
toso: « ego malim somnia Politiani, quam quae Scala sobrius summo-
que studio elaboravit ».22
Come in tutte le polemiche erasmiane, anche in questa giocano un
ruolo rilevante motivi personali, che spingono l’umanista a calcare la
mano, con compiaciuta auto-ironia e apparente deminutio di se stesso,
sul proprio ritratto di letterato “barbaro”, in confronto ai piú raffinati
colleghi italiani.23 Ma, ancora una volta, non solo di questo si tratta. Era-
smo, nuovamente, difende la letteratura in cui crede, che per poter
incidere sulla realtà e sulla storia ha esigenze di rapidità: rapidità di scrit-
tura, e rapidità di diffusione. Erasmo è il poligrafo che lavora per l’hic et
nunc, non l’umanista sedentario che può permettersi di non staccare
mai la penna dal foglio e che preferisce, al rischio della tipografia, la
rassicurante dimensione del manoscritto. La finalità in senso lato “pe-
dagogica” è centrale in tutta la sua opera;24 e questa finalità esige il pron-
to raggiungimento di un largo pubblico internazionale, grazie a un’abi-
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
25. In casi come questo indico sempre, salvo diverso avviso, la data della prima stampa
dell’opera in questione. Cfr. al riguardo J. Glomski-E. Rummel, Annotated Catalogue of
Early Editions of Erasmus, Toronto, Centre for Reformation and Renaissance Studies, 1994.
26. Manil., Astron., iii 39, cit. da Giovanni Pico nel proemio del De ente et uno (1490-’91:
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francesco bausi
ed. a cura di R. Ebgi e F. Bacchelli, Milano, Bompiani, 2010, p. 204) e da Poliziano nel
coevo Panepistemon (Opera, Basileae, Henricus Petri, 1553 [rist. anast. a cura di I. Maïer,
Torino, Bottega d’Erasmo, 1971], p. 462) in riferimento all’inopportunità di ricorrere ad
ornamenti stilistici e retorici in opere di carattere tecnico e filosofico.
27. Le epistole “de imitatione” di Giovanfrancesco Pico della Mirandola e di Pietro Bembo, a
cura di G. Santangelo, Firenze, Olschki, 1954, p. 74.
28. Cosí ad es. nel De conscribendis epistolis, ed. J.-C. Margolin, in ASD, i.2, 1971, p. 218
(« Et merito ridentur hoc nostro seculo quidam Apuleiani, et obsoletae antiquitatis affec-
tatores»); e nel Moriae encomion (ed. C.H. Miller, in ASD, iv.3, 1979, pp. 76 e 138). Che l’a-
puleianesimo costituisca per certi aspetti l’altra faccia del ciceronianesimo dimostra del re-
sto l’esistenza di una linea apuleiana anche all’interno dell’umanesimo romano.
29. Erasmus, De recta latini graecique sermonis pronuntiatione, ed. M. Cytowska, in ASD,
i.4, 1973, p. 99: « Nunc quibusdam putet quicquid in libris Ciceronis non deprehenditur.
Rursus alii, si quam scripturam in cariosa charta, aut in saxo vetustate semeso, aut in no-
mismate pervetusto reperiunt, eam vocant in exemplum dicendi scribendique ». Visto
che nel De recta pronuntiatione « viene formulata in modo diverso la stessa dottrina del Ci-
ceronianus » (M. Fumaroli, L’età dell’eloquenza. Retorica e “res literaria” dal Rinascimento alle
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
soglie dell’epoca classica, trad. it., Milano, Adelphi, 2002, p. 87), probabilmente l’accostamen-
to delle due opere in un medesimo volume da parte di Froben nel marzo 1528, benché
sgradito a Erasmo, non fu casuale.
30. Per il De copia cfr. ASD, i.6, 1988 (ed B.I. Knott), p. 34 (ivi, pp. 40 e 68, si sostiene
che « ex omni scriptorum genere verba quam optima seligenda; deinde qualiacunque
erunt, tamen in congeriem addentur, neque vox ulla reiicienda, quae modo apud scrip-
torem non omnino pessimum reperiatur », e che « neque enim ullum verbum nobis vi-
deri debet durum aut obsoletum, quod apud scriptorem probatum reperiatur », sulla
scorta di Quint., x 1 8-9); per la prefazione alla prima edizione degli Adagia vd. EE, i pp.
291-93; per il De ratione studii cfr. ASD, i.2, 1971 (ed. J.-C. Margolin), pp. 115-17; per il De
recta pronuntiatione vd. ASD, i.4, p. 100. Anche nel Ciceronianus, parr. 794-95, si afferma che,
per trattare argomenti non affrontati da Cicerone, è giocoforza servirsi di vocaboli di altri
autori (ad es., Tertulliano, Gerolamo e Agostino, qualora si parli del matrimonio; o Vir-
gilio, Catone, Varrone e Columella, se ci si occupi di agricoltura). Un analogo canone
“eclettico” si compone elencando gli autori latini da Erasmo curati e/o commentati: a
parte Cicerone (De officiis, De amicitia, De senectute, Paradoxa, Tusculanae, Somnium Scipionis)
e i cristiani (Cipriano, Prudenzio, Girolamo, Ilario, Ambrogio, Ireneo, Agostino, Euche-
rio, Arnobio), troviamo Plauto, Terenzio, Orazio, Plinio il Vecchio, Seneca, Svetonio,
Curzio Rufo, i Disticha Catonis.
31. V. Fera, Dionisotti e il ciceronianesimo, introduzione a C. Dionisotti, Gli umanisti e il
volgare fra Quattro e Cinquecento, a cura di V.F., con saggi di V.F. e G. Romano, Milano, 5
Continents Editions, 2003 (19681), pp. vii-xxxv, a p. xxiv.
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francesco bausi
32. Fumaroli, L’età dell’eloquenza, cit., pp. 90-95. Va detto tuttavia che nel De conscriben-
dis epistolis Erasmo non approva la varietas e l’inaequalitas stilistica e linguistica dei Miscella-
nea, ritenendole piú idonee al genere epistolare (ASD, i.2, p. 223, dove la critica coinvolge
anche le Noctes Atticae di Gellio). Del resto, l’ammirazione erasmiana per lo stile del Po-
liziano riguarda principalmente l’epistolografia, benché egli definisse l’Ambrogini « vi-
rum modis omnibus et incomparabilem et inimitabilem » (Adagia, 1801, in ASD, ii.4, 1987
[ed. F. Heinimann and E. Kienzle], p. 216; passo aggiunto nell’ed. 1515).
33. R. Cardini, Antichi e moderni in Paolo Cortesi, in « La Rassegna della Letteratura Ita-
liana », viii 1991, pp. 20-28, alle pp. 26-27; e anche Dionisotti, Gli umanisti e il volgare, cit.,
pp. 48 e 70-71; V. Fera, Il problema dell’ “imitatio” tra Poliziano e Cortesi, in Vetustatis indagator.
Studi offerti a Filippo Di Benedetto, a cura di V.F. e A. Guida, Messina, Centro Interdiparti-
mentale di Studi Umanistici, 1999, pp. 155-81, alle pp. 178-81.
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
Sono, non per nulla, gli autori dai quali Erasmo ricava molti dei suoi
adagia, come egli stesso scrive nella prefazione alla prima stampa della
raccolta, dove l’elenco comprende Plauto, Terenzio, Varrone, Catullo,
Orazio, Marziale, Persio, Ausonio, Plinio il Vecchio, Gellio, Macrobio,
Donato, Gerolamo, e i “moderni” Pico, Barbaro e Poliziano.
Ciò conferma, una volta di piú, come dietro la testa di turco del cicero-
nianesimo si nascondano, per l’umanista di Rotterdam, nodi ben piú
rilevanti di una semplice questione linguistica e stilistica. In gioco c’era-
34. Allo stesso modo, in un importante scritto contiguo al Ciceronianus come la prefa-
zione alla seconda edizione senechiana (1529), Erasmo, dopo aver proclamato la grande
utilità – anche per i cristiani – degli scritti del filosofo di Cordova, replica alle critiche
mossegli da Quintiliano in fatto di stile osservando che, se un pensiero è eccellente, poco
importa come venga espresso: « Quod quum sit optimum, quid refert qua phrasi id effi-
cias? » (EE, viii p. 33).
35. EE, v pp. 518-19. Ma fin dalla prima stesura del già citato Herculei labores possiamo
trovare considerazioni di questo genere, accompagnate ancora dalla polemica anticicero-
niana (Adagia, iii, pars prior, in ASD, ii.5, pp. 35-36).
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francesco bausi
36. Sul Pontano, Erasmo si pronuncia negativamente piú volte, nel Ciceronianus e al-
trove (vd. infra, n. 70). In particolare, nel dialogo torna la riduzione della poesia pontania-
na a un mero « vocum tinnitus » (par. 1479: « verborum dulce quiddam resonantium amae-
no tinnitu demulcet aures »), espressione che nell’ “adagio” Herculei labores era stata impie-
gata a proposito dello stile dei ciceroniani (Adagia, iii, pars prior, in ASD, ii.5, pp. 35-36); e
si sostiene inoltre che nei suoi trattati morali il Pontano affronta temi quali la fortezza,
l’ubbidienza e lo splendore in modo tale « ut aegre possis agnoscere christianus fuerit
necne » (par. 1482).
37. Su quest’ultimo aspetto hanno insistito in particolare J.F. D’Amico, Renaissance
Humanism in Papal Rome: Humanists and Churchmen on the Eve of the Reformation, Baltimore,
The Johns Hopkins Univ. Press, 1983, pp. 115-43; e L. D’Ascia, Erasmo e l’umanesimo roma-
no, Firenze, Olschki, 1991, soprattutto alle pp. 173-207.
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
38. Anche se nel Ciceronianus il suo alter ego Buleforo afferma di essere stato in passato
affetto dal morbo del ciceronianesimo, e di esserne guarito in virtú del piú efficace dei
medici, la ragione (parr. 1039-51).
39. Vd. infra, p. 244 e n. 49. Per Seneca vd. Epist. ad Luc., lxxxiv; per Quintiliano, x 2
21-23 e xi 1 1-15.
40. Cfr. D’Ascia, Erasmo e l’umanesimo romano, cit., pp. 111-39, con la precisazione di
Fera, Dionisotti e il ciceronianesimo, cit., p. xii: « Erasmo si inseriva nella quaestio prescinden-
do dalla drammatica situazione linguistica della penisola e senza interrogarsi su cosa in
realtà si celasse dietro lo scontro di quaranta anni prima tra i due [scil. Poliziano e Cortesi]
sul terreno di Cicerone; ormai l’umanesimo era sganciato dalla realtà italiana e dietro
Cicerone si profilavano altri nodi di un dibattito anche piú drammatico e lacerante: l’or-
todossia, il rinnovamento religioso, la nuova pedagogia destinata a formare l’uomo mo-
derno ».
41. Vd. in particolare il primo Antidotum, in Laurentii Vallae Opera, Basileae, Hen-
ricus Petri, 1540 (rist. anast. Torino, Bottega d’Erasmo, 1962, con una premessa di E. Ga-
rin, vol. i), pp. 259-63.
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francesco bausi
42. Poliziano, Liber epistolarum, cit., v 1, f. f4r. Non meraviglia che l’Ambrogini appa-
risse ad Erasmo maestro sommo di stile epistolare: cfr. ad es. De conscribendis epistolis, in
ASD, i.2, p. 226; Ciceronianus, par. 1595; De pueris statim ac liberaliter instituendis, ed. J.-C.
Margolin, in ASD, i.2, p. 76.
43. Su questo punto vd. S. Rizzo, Il latino nell’Umanesimo, in Letteratura italiana, dir. A.
Asor Rosa, vol. v. Le questioni, Torino, Einaudi, 1986, pp. 379-408, alle pp. 385-86.
44. E vd. i parr. 794-807. Per simili idee in altre opere erasmiane cfr. il De copia (in ASD,
i.6, pp. 40 e 68), il De conscribendis epistolis (ivi, i.2, pp. 218-19) e il De recta pronuntiatione (ivi,
i.4, pp. 34 e 99-100).
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
Ben nota a Erasmo era anche la polemica fra Poliziano e Cortesi (1489-
’90), riassunta con larghezza nel Ciceronianus.45 Nella breve ma densa let-
tera polizianesca, l’Olandese poteva trovare vigorosamente ribadite la
piena valorizzazione delle specifiche qualità individuali; l’idea dello sti-
le come creazione personale, prodotta e quasi “fermentata” da « recondi-
ta eruditio, multiplex lectio, longissimus usus »; l’esortazione a cammi-
nare con le proprie gambe e a nuotare senza salvagente, anziché preoc-
cuparsi di seguire strade da altri tracciate e di andare mendicando paro-
le e iuncturae dai libri degli autori; insomma, l’invito deciso a mettere da
parte il feticismo ciceroniano, la «sollicitudinem […] illam morosam ni-
mis et anxiam […] effingendi tantummodo Ciceronem », esaurendo in
essa tutte le proprie forze e capacità.46 Spunti presenti anche in un altro
scritto polemico dell’Ambrogini conosciuto e utilizzato dall’Olandese
nel Ciceronianus, ossia la praelectio al suo primo corso universitario (1480),
la Oratio super Fabio Quintiliano et Statii Silvis, in cui viene rivendicata con
forza la pari dignità culturale e scolastica degli autori “non canonici”, e
viene al tempo stesso riproposta, con le consuete argomentazioni, la li-
nea eclettica in materia di imitazione.47
Ma è soprattutto la disputa tra Giovan Francesco Pico e Bembo
(1512-’13) che lascia le maggiori tracce in Erasmo. Pico, infatti, pone alla
base del suo anticiceronianesimo un’argomentata teoria filosofica fon-
data sulla singolarità irripetibile di ogni umano carattere,48 dalla quale
243
francesco bausi
Parole, come si vede, che fanno posto anche alla nozione di aptum e di
decorum (« accommoda materiae quae tractaretur »), presentandola, co-
me avviene in Erasmo, alla stregua di un corollario della molteplicità
infinita delle nature individuali. Affinità ancora maggiori il Ciceronianus
rivela però con il terzo e ultimo testo della disputa, la contro-replica pi-
chiana, dove troviamo, fra l’altro, la descrizione di un patologico “cice-
roniano” che anticipa quella di Nosopono:
Ac memini olim me hospitio ad multos menses quendam excepisse virum
doctum alioqui, nec malorum ut videbatur morum; sed tanta in effingendo
Cicerone cura, ne insaniam dixerim, laborabat, ut semetipse dum quod vole-
bat omnino non posset assequi, pene cruciaret: quapropter saepe quae compo-
suerat dum recitaret, ut qui se filium esse non nosset, exclamabat identidem
repetebatque « Audite simiam Ciceronis! ».50
49. Le epistole “de imitatione”, cit., p. 27; e nella contro-replica, ivi, p. 63: « nihilo tamen
minus genium invertendum non esse penitus admonebam, sed dirigendum esse filum
orationis ad cognatam animi propensionem ideamque dicendi ». Cfr. in merito Cic.,
Orat., 70-74, in partic. 70 (« Ut enim in vita sic in oratione nihil est difficilius quam quid
deceat videre. Πρέπον appellant hoc Graeci, nos dicamus sane decorum. […] est autem
quid deceat oratori videndum non in sententiis solum sed etiam in verbis »); e anche De
orat., iii 210: « id quidem perspicuum est, non omni causae neque auditori neque personae
neque tempori congruere orationis unun genus » (nonché Quint., x 2 21-23; xi 1 1-15).
50. Le epistole “de imitatione”, cit., p. 71.
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
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francesco bausi
Siamo davvero sulla stessa linea del dialogo di Erasmo: non a caso, l’ul-
tima lettera pichiana si chiude nel segno della medesima triade umani-
stica “anticiceroniana” (Ermolao Barbaro, Giovanni Pico, Angelo Poli-
ziano, con l’aggiunta di Teodoro Gaza, apprezzatissimo però anche dal-
l’Olandese), che anche per Giovan Francesco comprende i migliori scrit-
tori contemporanei.
È vero che Erasmo menziona la disputa Pico-Bembo solo a partire
dalla terza edizione del Ciceronianus (ottobre 1529), e che nella lettera a
Vlatten del 24 gennaio 1529, pubblicata in calce alla seconda edizione,
afferma di esserne venuto a conoscenza solo molto tempo dopo la pri-
ma pubblicazione del dialogo;54 né può negarsi che, essendo le argo-
mentazioni di Giovan Francesco intessute di « motivi generici in difesa
dell’eclettismo »,55 le analogie fra le sue due epistole al Bembo e il dia-
logo erasmiano possono ricondursi in buona parte alle comuni ascen-
denze culturali e letterarie. Nondimeno, su alcune questioni la dipen-
denza di Erasmo da Pico sembra piú diretta, e l’umanista di Rotterdam
potrebbe averla a bella posta occultata sia al fine di far meglio risaltare
la forza e la peculiarità della propria posizione, sia allo scopo di non
urtare il Bembo, che egli astutamente, nel dialogo, sgancia dal novero
dei ciceroniani “estremisti”, ascrivendolo – col Sadoleto – a quello dei
ciceroniani “moderati” e presentandolo quindi come un suo alleato.56
Una simile ipotesi è resa plausibile da due elementi: il fatto che le tre
epistole di cui consta la disputa fossero state edite proprio da Froben a
Basilea nel 1518, e che per questo fin dal 1519 esse risultino note nell’am-
nell’età della Rinascenza, Torino, Loescher, 1885, p. 63, e da M. Pomilio, Una fonte italiana del
‘Ciceronianus’ di Erasmo, in « Giornale Italiano di Filologia », viii 1955, pp. 193-207.
54. La lettera è anche in EE, viii pp. 17-21.
55. D’Ascia, Erasmo e l’umanesimo romano, cit., p. 139.
56. Cosí anche nella tarda Responsio ad Petri Cursii defensionem (1535), in Desiderii Era-
smi Opera omnia, studio et opera J. Clerici, 10 voll., Lugduni Batavorum [Leiden], Pieter
van der Aa, 1703-1706 [rist. anast. Hildesheim, Olms, 1961-1962], vol. x coll. 972-1026, alla
col. 1751. Calde lodi del Bembo (e di altri italiani favorevoli a Erasmo, quali Giovan Bat-
tista Egnazio, Andrea Alciato e Jacopo Ceratino) si leggono anche nell’epistola a Karel
Uutenhove del 1° settembre 1529, non a caso aggiunta in appendice nella terza edizione
del Ciceronianus (ottobre 1529): vd. la mia Nota al testo nella cit. ed. Bausi-Canfora del
Ciceronianus, p. 62.
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
57. G. Santangelo, Introduzione a Le epistole “de imitatione”, cit., pp. 1-19, alle pp. 9-10 e
16-18; D’Ascia, Erasmo e l’umanesimo romano, cit., pp. 138-39.
58. Questa tesi si trova, attribuita a Nosopono, anche nel Ciceronianus (par. 647), in un
passo, non a caso, aggiunto nella seconda stampa del dialogo (marzo 1529), in appendice
alla quale Erasmo accluse la lettera al Vlatten datata 24 gennaio 1529.
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forte aut Ciceroni exciderunt multa scribenti, aut vitio temporum fuere in eius
libros introducta, adeo ut si ab inferis excitaretur, a se prompta negaret, gestien-
tes surripiant.59
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
62. Fera, Dionisotti e il ciceronianesimo, cit., p. xix. Per un’essenziale storia del dibattito
italiano ed europeo sul ciceronianesimo da Petrarca al ’500, oltre al classico Sabbadini,
Storia del ciceronianismo, cit., e a A. Gambaro, Il ‘Ciceronianus’ di Erasmo, introduzione a Era-
smo da Rotterdam, Il Ciceroniano o dello stile migliore, testo latino critico, trad. italiana,
pref., intr. e note a cura di A. Gambaro, Brescia, La Scuola, 1965, pp. ix-cxii, alle pp. xxxii-
xlix, rimando a Fumaroli, L’età dell’eloquenza, cit., pp. 67-115, a D’Ascia, Erasmo e l’uma-
nesimo romano, cit., pp. 105-59, e a F. Tateo, Ciceronianismus, in Historisches Wörterbuch der
Rhetorik, hrsg. von G. Ueding, ii, Tübingen, De Gruyter, 1994, pp. 225-39; per il XV e il
XVI secolo cfr. F. Bausi, Poésie et imitation au Quattrocento, e P. Galand-Hallyn - L. Deitz,
Poésie et imitation au XVIe siècle, in Poétiques de la Renaissance. Le modéle italien, le monde franco-
bourguignon et leur héritage en France au XVIe siècle, sous la direction de P. Galand-Hallyn
et F. Hallyn, Genève, Droz, 2001, risp. pp. 438-62 e 462-88.
63. L. D’Ascia, Introduzione a Erasmo da Rotterdam, Per una libera educazione, a cura
di L.D’A., Milano, Rizzoli, 2004, pp. 5-26.
64. Cfr., anche per l’edizione del testo, E. Barbaro-G. Pico della Mirandola, Filo-
sofia o eloquenza?, a cura di F. Bausi, Napoli, Liguori, 1998, pp. 36-65.
65. Cfr. S. Seidel Menchi, Alcuni atteggiamenti della cultura italiana di fronte a Erasmo
(1520-1536), in Eresia e riforma nell’Italia del Cinquecento. Miscellanea i, Firenze-Chicago, San-
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francesco bausi
soni, The Newberry Library, 1974, pp. 71-133, alle pp. 86-89, dove viene ricondotto all’e-
pistola pichiana anche il tema tipicamente erasmiano del “sileno”.
66. In Barbaro-Pico, Filosofia o eloquenza?, cit., p. 42. Da questa epistola Erasmo ricava
anche (parr. 670 e 673-75) il paragone con le diverse acconciature e i diversi abiti che si
addicono alle diverse circostanze e alle diverse persone.
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
Sul tronco di questa tesi si innesta poi – come appare evidente già nel-
l’ultimo passo, estrapolato da un ampio brano in cui si biasima la troppo
classicheggiante poesia cristiana coeva – un rigorismo che potremmo
definire in senso lato “savonaroliano”, e che in realtà è il contrassegno
di una linea assai forte dell’umanesimo italiano quattrocentesco, da Gio-
vanni Dominici ad Antonino Pierozzi, da Ugolino Verino allo stesso
Giovanni Pico: la linea di quanti, religiosi o laici, rifiutavano il travesti-
mento paganeggiante e mitologico della materia sacra, giudicando in-
trinsecamente “pagani” gli ornamenti della retorica antica, e critican-
done l’uso da parte di poeti e letterati cristiani.67
Quando Erasmo (par. 1496) dichiara di preferire di gran lunga il bre-
ve e semplice inno composto da Prudenzio per il Natale di Gesú all’in-
tero De partu Virginis, cui rimprovera il pesante armamentario mitologi-
co col quale il Sannazaro ha voluto rivestire il medesimo argomento, le
sue parole non suonano diverse, neppure nei toni, da quelle scagliate da
67. Cfr. al riguardo due miei contributi: Poésie et religion au Quattrocento, in Poétiques de
la Renaissance, cit., pp. 219-38 e 286-91; Gli umanisti e la Bibbia, in La Bibbia nella letteratura
italiana, dir. P. Gibellini, v. Dal Medioevo al Rinascimento, a cura di G. Melli e M. Sipione,
Brescia, Morcelliana, 2013, pp. 363-98.
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68. Ciceronianus, par. 871: « per speciosi tituli [scil. ciceroniani] praetextum insidiae
tenduntur simplicibus et ad fraudem idoneis adulescentibus », e par. 1621: « caeterum
illud ante omnia providendum, ne simplex ac rudis aetas, ciceroniani cognominis prae-
stigio decepta, pro Ciceroniana fiat pagana ». L’affinità di queste posizioni con quelle
savonaroliane è segnalata già da A. Traina, La prima edizione e traduzione italiana del ‘Ci-
ceronianus’ (1966), in Id., Poeti latini (e neolatini). Note e saggi filologici, ii, Bologna, Pàtron,
1981, pp. 185-95. Va detto peraltro che in un luogo precedente del dialogo (parr. 806-7)
Erasmo sembra far sua una posizione piú sfumata, affermando di non convenire con
quanti credono che adottare lo stile di Cicerone significhi deturpare la maestà della fi-
losofia cristiana.
69. Cfr. Rico, Il sogno dell’Umanesimo, cit., pp. 86-88.
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70. Ricordo, fra le altre, la lettera a Philip Nicola del 29 aprile 1526, quella ad Andrea
Alciato dei primi di maggio del 1526 (che fa posto anche a una sintetica, esaustiva e lucida
enunciazione dei concetti di aptum e di decorum che saranno alla base del dialogo) e ancor
piú quella, già menzionata, del 13 ottobre 1527 al Vergara, autentica sinopia dell’ormai
imminente Ciceronianus, nella quale l’accento cade esplicitamente sul neo-paganesimo
dei moderni imitatori dell’Arpinate, e dove ritorna anche la polemica contro gli ammi-
ratori del Pontano, i quali « Pontanum in coelum tollunt laudibus, Augustinum et Hiero-
nymum fastidiunt ». Cfr. nell’ordine EE, vi p. 329; vi p. 336; vii pp. 193-94.
71. Cfr. ad es. J.-C. Margolin, Pétrarque et Erasme, in Id., Erasme: le prix des mots et de
l’homme, London, Variorum Reprints, 1986, pp. 184-97, a p. 197. Significativo quanto si
legge nella Responsio ad Petri Cursii defensionem, cit., col. 1755, dove pure Erasmo si profon-
de nelle lodi dell’umanesimo italiano: « iam fere quadragenarius Italiam adii, non discen-
di (iam enim serum erat), sed videndi gratia; et utriusque litteraturae plus habebam in-
grediens Italiam quam extuli, quamquam id omne fateor esse perquam exiguum ».
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Nota al testo alla cit. ed. Bausi-Canfora, pp. 60-62). Per l’elenco di letterati inserito nel
Ciceronianus, e per il criterio tendenzioso e spesso arbitrario con cui Erasmo lo ha redatto,
cfr. Knott, Introductory Note, cit., pp. 331-33. Altri nomi di umanisti tedeschi furono ag-
giunti nella lettera al Vlatten del 24 gennaio 1529.
77. Vd. parr. 1015 e 1016: « quatuor Italos, qui se nuper iactare coeperunt ciceronia-
nos »; « ut a quatuor ineptis Italis adolescentibus recipiaris in catalogum ciceronianorum ».
Quanto alla « sodalitas quaedam » (par. 1425), dovrebbe trattarsi in particolare dell’Acca-
demia romana.
78. Erasmo, poco prima della morte, arriverà ad affermare che dietro l’agguerrita le-
gione dei suoi oppositori si cela addirittura Satana in persona (lettera a Filippo Melanto-
ne del 6 giugno 1536: EE, xi p. 334). Nella medesima lettera, egli imputa poi all’ex amico
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Girolamo Aleandro la colpa di aver suscitato contro di lui l’odio degli umanisti italiani;
da tempo, del resto, Erasmo era convinto che i capi della fazione italiana a lui avversa
fossero lo stesso Aleandro e Alberto Pio da Carpi.
79. EE, vii p. 16: « Iam quum in rhetorum praeceptionibus ferant “statum”, “finem”,
“superlationem”, “gradationem” aliasque voces innumerae, quae per se Latinis aut nihil
omnino declarant aut longe aliud declarant, non possunt perpeti “fidem”, “gratiam in
Domino”, et his similes aliquot voces linguae Scripturarum? Habent enim et hae suam
quandam linguam peculiarem ».
80. Ciceronianus, par. 1473.
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81. « Oportebat enim omnem Christianorum orationem resipere Christum, sine quo
nec suave, nec splendidum est quicquam, nec utile, nec honestum, nec elegans, nec fa-
cundum, nec eruditum » (par. 1513). Parole simili nella lettera a Germain de Brie del 6
settembre 1528: « Si sumus ex animo Christiani, nihil nobis eruditum, elegans aut venu-
stum videri debet quod non spiret Christum, quoties materia postulat » (EE, vii p. 491).
82. Come osserva J. Chomarat, Grammaire et rhetorique chex Erasme, 2 voll., Paris, Les
Belles Lettres, 1981, ii pp. 830-31, anche Erasmo in alcune sue opere aveva adoperato sino-
nimi o perifrasi – al fine di evitare termini sconosciuti al latino classico – per designare
realtà proprie della religione cristiana: ad es. nelle Paraphrases (1 Cor., 1 1) troviamo, in
luogo di apostolus, legatus, parola che nel Ciceronianus è invece inserita in una lunga lista di
termini il cui impiego è tacciato di fanatico ciceronianesimo (par. 772).
83. Cfr. M. Fois, Il pensiero cristiano di Lorenzo Valla nel quadro storico-culturale del suo am-
biente, Roma, Gregoriana, 1969, p. 528: « a Lorenzo Valla è sfuggito, almeno in massima
parte, il grande problema di questo linguaggio [scil. quello cristiano], che si pose ai primi
cristiani sia greci che latini, e la soluzione data a questo con una mutazione semantica del
lessico corrente, oppure creando vocaboli completamente nuovi, o infine mutuando
termini da un’altra lingua, come fece il latino dal greco. Queste due ultime soluzioni fu-
rono adottate nel primitivo latino cristiano, per la notevole forza creativa che può notar-
si nei primi traduttori della Bibbia, appunto per evitare parole del linguaggio classico ca-
riche di un contenuto pagano ».
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erasmo e l’umanesimo italiano nel ciceronianus
Francesco Bausi
Università della Calabria
fbausi@libero.it
84. Cfr. Ciceronianus, par. 752, dove Buleforo proclama Tommaso, Scoto e Durando di
San Porciano piú ciceroniani dei moderni seguaci di Cicerone, giacché sanno esprimersi
nel modo piú adeguato all’argomento di cui trattano; e par. 790, dove, partendo al solito
dal presupposto secondo cui « melius dicit qui dicit aptius », si afferma che trattando argo-
menti sacri è preferibile scrivere come Tommaso e Scoto, anziché cercare di riprodurre
lo stile di Cicerone. E vd. anche la lettera a Noël Béda del 15 giugno 1525: « Ego quemad-
modum nullum scriptorem soleo contemnere, ita in scholasticis istis quos vocant, praeter
orationis filum fere nihil humile video » (EE, vi p. 89).
85. È la vecchia tesi, fra gli altri, di B. Croce, Erasmo e gli umanisti napoletani, in Id.,
Aneddoti di varia letteratura, 3 voll., Napoli, Ricciardi, 1942, i pp. 131-40, a p. 135, e di J. Hui-
zinga, Erasmo, trad. it., Torino, Einaudi, 1941, p. 251, contro la quale vd. ad es. le argomen-
tazioni di Gambaro, Il ‘Ciceronianus’ di Erasmo, cit., pp. lxxix-lxxx e cix-cxii, e di F. De
Michelis Pintacuda, Tra Erasmo e Lutero, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2001,
pp. 154-55.
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Il saggio indaga le fonti umanistiche italiane del Ciceronianus di Erasmo, che de-
vono essere ricercate in primo luogo nelle polemiche sull’imitazione e negli scritti
degli umanisti “eclettici” (Poliziano e i due Pico, soprattutto); ed esamina il com-
plesso e contraddittorio rapporto, insieme di attrazione e di repulsione, che l’uma-
nista olandese intrattenne nei confronti della cultura italiana contemporanea e dei
suoi piú illustri esponenti, e che nel Ciceronianus emerge con particolare evidenza.
This essays investigates the Italian humanistic sources of Erasmus’ Ciceronianus, which are
mainly to be found in the polemics on imitation and in the writings by eclectic humanists (above
all, Poliziano and the two Picos). As such, it also examines the complex and contradictory rela-
tionship (of simultaneous attraction and repulsion) that this Dutch humanist had with the Ital-
ian culture of his time and its main representatives — a relationship that the Ciceronianus re-
veals in a particularly striking way.
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