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Premessa

L’uomo ha sempre cercato, tramite l’uso della ragione, di distinguersi tra gli esseri
viventi delle altre specie. Sin dall’alba della sua esistenza, ha voluto trovare un modo
di comunicare con i propri simili nonché dare alle nomi che lo circondavano. La lingua
serve proprio a questo.
Ma la lingua è un sistema, e nessun sistema sarebbe completo senza un insieme di
regole. Così, ogni lingua ha un’ortografia, che è la corretta scrittura delle parole, la
fonetica, cioè la pronuncia dei suoni e quindi delle parole che da tali suoni sono
composte, la grammatica, che serve alla flessione dei vocaboli, se questi cambiano in
qualche modo, la sintassi, che regolamenta l’ordine delle parole in una frase, e così
via. L’insieme delle parole di una lingua, invece, si chiama lessico o vocabolario, e di
solito viene considerato la parte più importante di una lingua.
Ovviamente, esistendo nel mondo migliaia di lingue (e molti più dialetti), tutte queste
componenti cambiano dall’una all’altra, ma in molti casi sono simili. Una lingua viene
chiamata morta se non ha più parlanti madrelingua, ma ne sono derivate altre lingue.
L’esempio che di solito viene in mente quando si parla di lingua morta è il latino, da
cui, nella forma volgare (da vulgus, “popolo”, quindi parlata dalla gente comune, detta
così per contrapporla a quella classica, parlata dai ceti più alti), sono derivati l’italiano,
il francese, lo spagnolo, il portoghese, il catalano ecc. Oggi il latino viene utilizzato
nell’amministrazione della Città del Vaticano, ma non solo: viene ancora oggi
attivamente insegnato nei licei e nelle università e utilizzato tra gli appassionati della
linguistica o dello stesso latino. Invece, se una lingua, oltre a non essere parlata più da
nessuno come lingua madre, non ha generato altre lingue, allora viene chiamata lingua
estinta. Oggi una lingua estinta è la lingua etrusca, parlata dagli Etruschi, un antico
popolo che viveva in una regione chiamata Etruria (pressappoco l’attuale Toscana) tra
il IX e il I secolo a. C.
Queste lingue non cambiano (se si esclude l’importazione nella lingua latina di termini
inerenti a oggetti e realtà sconosciuti agli antichi Romani, come ad esempio
telephonum “telefono”), mentre quelle vive, parlate (e non soltanto studiate)
attivamente ancora oggi, evolvono nel tempo: un parlante attuale avrebbe poche o
nessuna possibilità di capire la sua stessa lingua così come veniva parlata sette secoli

1
fa, così come tra sette secoli suonerà piuttosto strano il modo in cui la parliamo noi
oggi.
I cambiamenti che le lingue subiscono - in tutte le loro componenti - sono dovute sì al
passare del tempo, ma anche e soprattutto al fatto che nascono nuovi oggetti, ai quali
bisogna dare un nome, e poi anche a ragioni politiche, soprattutto la conquista di uno
Stato da parte di un altro, che ne influenza la lingua.
In relazione a questo, i linguisti utilizzano di solito tre termini: sostrato, cioè una
situazione nella quale una lingua, introdotta in un nuovo territorio, inizia a venir
parlata, almeno in parte, secondo le regole di quella che prima si parlava in quel
territorio; superstrato, che è la situazione opposta, e adstrato, cioè quando uno Stato
conquista un altro e la lingua parlata nel primo influenza quella parlata nel secondo,
senza però imporsi completamente. Tali situazioni vengono dette interferenze
linguistiche.
Le lingue vengono classificate in gruppi linguistici o famiglie linguistiche, a seconda del
loro antenato comune. Per esempio, le lingue neolatine o romanze derivano, come
abbiamo già detto, dal latino (nella forma volgare), le lingue germaniche dall’antico
germanico e le lingue slave, di cui ci occuperemo nel presente lavoro, dall’antico slavo.
Queste lingue appartengono a una macrofamiglia, quella delle lingue indoeuropee,
anche se l’elenco non è completo: indoeuropee sono anche le lingue elleniche (di cui
la più, se non l’unica conosciuta, è il greco), le lingue indoiraniche (l’hindi, il persiano
ecc.), mentre l’albanese è una lingua indoeuropea isolata, cioè non ne è stata
dimostrata l’affinità con nessun’altra lingua.
A loro volta, le lingue indoeuropee vengono classificate anche in lingue centum e
lingue satem, di queste ultime fanno parte anche le lingue slave. Entrambi i termini,
centum e satem, significano “cento”, rispettivamente in latino e in aramaico, e la
differenza principale è che nelle lingue centum è avvenuta la fusione delle velari e
labiovelari indoeuropee, mentre le lingue satem hanno subito la trasformazione delle
palatoalveolari in affricate e fricative. Prima e dopo questo fenomeno, inoltre, sono
accaduti molteplici cambiamenti, il che rende ormai poco ovvio - a un utente medio di
lingue - che, ad esempio, le lingue romanze e quelle slave avessero un antenato
comune.

2
Dovresti indicare da dove hai tratto la parte che precede, di quali libri ti sei servito
Ogni lingua ha una moltitudine di dialetti. I dialetti sono varietà della stessa lingua,
intelligibili tra loro in misura variabile, limitati a un certo territorio e differenti tra loro
sia per il lessico sia per la fonetica, e talvolta anche per la grammatica.
Questo lavoro non va utilizzato come un manuale per lo studio completa della filologia
slava, ma piuttosto vuole dare un’idea a chiunque sia interessato nelle lingue slave o
nella loro derivazione.

DEVI dire come è strutturata la tesi e qual è il tuo scopo, che so, mostrare i rapporti
tra le lingue slave attuali, le loro diverse evoluzioni dallo slavo comune…

3
1. Cenni generali sugli Slavi

Per Slavi si intendeva, in origine, un grande popolo indoeuropeo che nel VI secolo d.
C. si stanziò nell’Europa orientale, nei territori liberati dalle popolazioni barbariche che
avevano portato alla fine dell’Impero Romano d’Occidente, e diviso in varie tribù:
Drevljani, Dregovici, Severjani, Anti, Poliani, Croati bianchi, Voliniani e numerosi altri.
Il termine Slavi deriva dal latino sclavus, che a sua volta procede del greco bizantino
sklabos, che risale al paleoslavo *slovo (parola, discorso). A quanto pare, il vocabolo
italiano schiavo la stessa origine. Max Vasmer, uno degli studiosi più importanti
dell’etimologia slava, rigetta l’ipotesi secondo la quale detto termine sarebbe derivato
da *slava (gloria), riconoscendo però il legame di quest’ultima parola con il suffisso -
slav presente in alcuni nomi di persona (Vladislav, Miroslav, Jaroslav, Rostislav etc.)1
Della stessa etimologia sono anche i nomi di due Paesi slavi, la Slovacchia e la Slovenia,
nonché la Slavonia, regione storica della Croazia.
Interessante è notare il nome con cui i popoli slavi chiamano i Tedeschi, ossia немцы
(nemcy) in russo e in bielorusso, німці (nimci) in ucraino, Niemcy in polacco, Němci in
ceco, Nemci in slovacco e in sloveno, Nijemci in serbocroato, немци (nemci) in bulgaro.
L’antenato comune di queste denominazioni è il proto-slavo *němьcь, da *němь
(muto). Gli Slavi, quindi, sono coloro che fanno uso della parola, mentre i tedeschi
sono muti (cioè, in un certo senso, barbari).
Il luogo d’origine degli Slavi, anche oggi, è oggetto di numerose dispute, poiché non si
hanno fonti che ne testimonino in modo chiaro la provenienza.

• Il monaco Nestor, autore della Cronaca degli anni passati, fonte più importante
della storia della Rus’ di Kiev (viene introdotta dal racconto della spartizione
del mondo tra i figli di Noè e narra la storia del principato kieviano, fondato nel
882 dal variago Rurik, scandendo in particolare le vite dei principi, fino all’anno
1118), fu uno dei primi a interessarsi alla questione, proponendo come

1
http://www.etymonline.com/word/slav , 12 febbraio 2021

4
protopatria degli Slavi il bacino del Danubio, un fiume che nasce in Germania
e attraversa una serie di Stati nell’Europa centrale e orientale.
• Gli slavisti cechi e polacchi affermano che gli Slavi siano nati tra i fiumi Vistola
e Oder.
• Altri studiosi, invece, fanno derivare gli Slavi dagli Sciti, ipotesi comunque
rigettata2, o addirittura da popolazioni nomade asiatiche, oppure sostengono
che gli Slavi siano giunti in Europa insieme agli Unni.
• Lo studioso russo Aleksaj Šachmatov era sostenitore della teoria baltica,
secondo la quale gli Slavi si sarebbero formati nei pressi della Dvina
Occidentale. Il suo pensiero, comunque, era di natura puramente linguistica e
non teneva conto dei dettagli archeologici.
• Verso la fine del Novecento, Oleg Trubačëv espose una teoria a favore di quella
di Nestor, che giustificò soprattutto dal fatto che tutte le tribù slave parlavano
del Danubio nel loro racconti, anche quelle che non l’avevano mai visto. Il
pensiero di Trubačëv, però, non ebbe molto seguito, anche a causa delle scarse
prove archeologiche della possibile origine degli Slavi nel bacino del Danubio.
• I sostenitori della teoria carpatica, tra cui l’ucraino Vjačeslav Ivanov presentano
come argomento principale gli idronimi e i toponimi carpatici; tuttavia,
vengono contestati dalle prove storiche e archeologiche che dimostrano che
secoli fa gli Slavi non abitavano nelle zone carpatiche.3

Gli Slavi avevano due termini per riferirsi al concetto di isola, ostrovŭ e otokŭ;
quest’ultimo è imparentato con il verbo teči (scorrere). Dal punto di vista etimologico,
questi termini indicano un’isola fluviale e non marina, e se ne può dedurre, quindi, che
gli Slavi, inizialmente, non conoscevano il mare, e solo successivamente si spostarono
verso di esso.4
Nell’Asia Minore, verso il IV secolo a. C. si consolidarono i Tripoljani, che
successivamente si espansero verso il Dniepr, ma non erano diretti antenati degli Slavi:

2
http://indicator.ru/humanitarian-science/tajna-proishozhdeniya-skifov-03-03-2017.htm , 12
febbraio 2021

3
V. V. Lučyk, Vstup do slovjans’koji filologiji, Kiev, 2008, pp. 109-110
4
http://www.treccani.it/enciclopedia/slavi_%2BEnciclopedia-Italiana%29/ , 12 febbraio 2021

5
secondo la maggior parte degli studiosi, avevano uno stile di vita mediterraneo,
differente da quello degli Slavi. Gli Ucraini, come pure gli Slovacchi, i Serbi, i Croati, gli
Sloveni ed i Montenegrini, sono il risultato della fusione dei Tripoljani con gli Ariani
nell’Europa orientale; lontani parenti degli Slavi sono i Balti (Lettoni e Lituani).
I popoli germanici e celtici chiamavano gli Slavi con il termine wenedi o venedi,
probabilmente della stessa origine del finlandese Venäjä (russi) e del latino Veneti
(nome di una provincia a settentrione del Mar Adriatico, da cui sarebbe poi derivato il
nome della città di Venezia).5
In ogni caso, i territori abitati da queste tribù non erano puramente slave: spesso vi si
trovavano anche i celti, i goti, i valacchi, i turchi, i magiari, e altri. La successiva
espansione degli Slavi fu tale da influenzare molte province romane (Tracia, Mesia,
Dacio, Macedonia, Pannonia, Istria, Dalmazia e così via). La convivenza degli Slavi con
altri popoli si riflette anche nel lessico. Per esempio, *govędo “bue, vacca” è stato
sostituito dal celtismo *korva, considerato più adatto per indicare un animale
utilizzato più per il latte che non per la carne. I termini *bogъ “dio”, *raj “paradiso”,
*toporъ “ascia” sono tutti di origine iranica.6 Dalle tribù semitiche sembrano essere
stati presi in prestito vocaboli quali *vino (vino), *vъlbǫdъ (cammello), invece
*tъlmačь “interprete” è di origine turca. 7

Interessanti sono i nomi di alcuni idronimi: ad esempio, il fiume Pripjat’ deve il suo
nome al verbo *pripęti “forte corrente”, che contiene la radice indoeuropea *pęt-
“muoversi velocemente”; Vistola, o Visla nelle lingue slave, viene fatta derivare dalla
maggior parte degli etimologi da *vis- “spandersi, fluire”. Ci sono numerosi altri
esempi di fiumi i cui nomi hanno derivazione indoeuropea.
Anche nelle altre lingue si possono trovare influenze slave: ad esempio, il termine
proto-slavo *mačka “gatta” ha generato non solo il croato mačka, ma anche
l’ungherese maczka (la pronuncia è pressoché la stessa); mentre il verbo *l’ubiti
“amare” è diventato iubi in rumeno. Le città greche come Zagora od Ozeros hanno
nomi slavi, e significano rispettivamente “oltre le montagne” e “lago”. Anche la

5
V. V. Lučyk, op. cit, p. 132
6
V. V. Lučyk, op. cit., p. 155
7
V. V. Lučyk, op. cit., p. 156

6
capitale tedesca, Berlino, ha un nome slavo: sta per “palude”.8
Gli Slavi erano dediti soprattutto all’agricoltura e all’allevamento. Coltivavano, in
particolare, grano, orzo e miglio, che venne soppiantato nel X secolo in parte e nel XI
completamente dalla segale, mentre il frumento non riuscì mai ad imporsi.
9 Allevavano bovini e suini, praticavano anche la caccia, la pesca e l’apicoltura.
Utilizzavano i cavalli non solo per scopi militari, ma anche nella lavorazione della terra,
insieme a strumenti come la falce, l’aratro e (specie negli orti) la zappa. Dal latte
ricavavano burro e formaggio. Costruivano le case in legno, interrandole per metà,
uccidevano gli animali e utilizzavano le loro pelli per cucirsi gli indumenti, oppure
esportavano tali pelli nei territori arabi e bizantini. Nel centro della casa veniva
collocato un forno che serviva per riscaldarsi e preparare il cibo, e distingueva gli Slavi
dai popoli vicini nomadi.
Gli Slavi avevano numerose usanze, allineate alle stagioni prese nel contesto
dell’agricoltura: durante l’inverno ci si preparava a un nuovo raccolto, durante la
primavera se ne ponevano le basi, durante l’estate lo si coltivava e infine durante
l’autunno lo si raccoglieva. Come presso i Romani, anche presso gli Slavi l’anno iniziava
in primavera, a marzo.10
Presso gli Slavi orientali esisteva, inoltre, il bagno, una specie di sauna menzionata da
Nestor nella sua Cronaca, che serviva a lavarsi e a riscaldarsi.
Dal punto di vista sociale, le famiglie degli Slavi erano raggruppate in rod, in base a un
criterio di comune origine (similmente a quanto accadeva nel caso delle gentes
romane o dei clan celtici).
Dal punto di vista ammministrativo, gli Slavi erano divisi in città-stato, ognuna delle
quali aveva un principe, detto knęz, termine etimologicamente correlato a king e
König, che significano entrambi “re”, rispettivamente in inglese e in tedesco. La linea
di successione dei principi era solitamente agnatica, ovvero, se un principe aveva un
fratello, questi diventava il suo successore. Spesso i sovrani slavi sposavano

8
V. V. Lučyk, op. cit., p. 147

9
M. Garzaniti, Gli slavi, Carocci editore, s. l., s. a., p. 51

10
V. V. Lučyk, op. cit., p. 198

7
principesse straniere e viceversa, creando così alleanze (uno degli esempi più noti è
quello del matrimonio tra il principe di Kiev, Vladimiro il Grande, e la principessa Anna,
sorella dell’imperatore bizantino Basile II, in seguito alla conversione forzata
dell’intero popolo al cristianesimo, avvenuta nel 988). Effettuarono una serie di
spedizioni, molte delle quali avevano come obiettivo Costantinopoli, capitale
dell’Impero bizantino, chiamata dagli Slavi Cargrad (Città dell’Imperatore), oggi
Istanbul in Turchia. Sottoponevano le popolazioni conquistate (che potevano anche
essere altre tribù slave) al pagamento delle tasse.
Gli Slavi venivano spesso invasi da tribù nomade turche (peceneghi, cumani, kazari),
da cui si vedevano costretti a difendersi. Nel 1240, il khan mongolo Batij, nipote di
Genghis Khan, conquistò Kiev e altri territori slavi orientali, espandendo il proprio
impero, chiamato Orda d’oro. D’allora in poi, i principi dei territori conquistati
dipendevano di fatto dal khan mongolo; tale espansione, inoltre, comportò una
massiccia migrazione verso l’est, facendo così nascere, nel 1263, l’Impero di Mosca, la
cui capitale, Mosca appunto, era stata fondata nel 1147 dal principe Jurij, detto
Dolgorukij, ossia “dalle mani lunghe”. La minaccia mongola cessò solo nel 1478, e
molte usanze mongole vennero ereditate dall’Impero di Mosca.
La lingua ha una base sociale, ossia riflette il ruolo dell’uomo nel complesso. Per
questo, i pronomi personali sono tra le prime parole create: quelli utilizzati per parlare
di sé stessi, *azъ (io) e *my (noi); quelli utilizzati per rivolgersi agli altri, *ty (tu) e *vy
(voi) e quelli utilizzati per indicare altre persone, *jь (lui), *ja (lei), *onъ (esso), *ona
(essa), *ono (esso, in senso neutro).11
Tali parole, però, non bastavano a rappresentare le caratteristiche dell’io o il rapporto
con gli altri uomini e con l’ambiente. Per questo, i Proto-slavi si servivano di sostantivi,
aggettivi, numerali e verbi.
L’uomo aveva una visione di sé come di un corpo (il concetto di anima è di gran lunga
successivo), come testimoniato dai vocaboli *tělo (corpo), *plъtь (carne), *škora
(pelle), *golva (testa), *životъ (pancia, ma anche vita, quindi “ciò di cui vive il corpo”),
*sьrdьce (cuore), *lice (viso), *mozgъ (cervello), *oko (occhio), *uxo (orecchio), *usta
(labbra), *nosъ (naso), *lъbъ (fronte), *rъtъ (bocca), *zǫbъ (dente), *ęzykъ (lingua),

11
V. V. Lučyk, op. cit., p. 157

8
*pьrstъ (dito), *rǫka (mano, braccio), *noga (piede, gambe) e altri legati all’anatomia
del corpo, molti di essi di origine strettamente indoeuropea.
Importante era il rapporto dell’uomo nell’ambito famigliare. Per indicare i propri
parenti stretti, i Proto-slavi ricorrevano a termini come *mama (mamma), *tata
(papà), *děda (nonno), *bratrъ (fratello), *sestra (sorella), *baba (nonna), *synъ
(figlio), *dъkterъka (figlia), *dětę (bambino), *vъnǫkъ (nipote) e così via. Esistevano
anche i termini per le persone fidanzate che stavano per sposarsi e creare una famiglia:
*ženixъ per il maschio e *nevěsta (letteralmente, sconosciuta) per la femmina; dopo
il matrimonio, diventavano rispettivamente *mǫžъ (o *sǫprǫgъ) e *žena (o sǫprǫga).
Gli uomini scapoli venivano chiamati con il termine *xolstъ, mentre chi aveva perduto
la propria moglie o il proprio marito veniva detto, rispettivamente, *vьdovьcь e
*vьdova.
Una volta unita in matrimonio, le famiglie della coppia si fondevano. Così si sentì la
necessità di creare termini per indicare nuovi parenti, cosa estranea per la società
proto-indoeuropea. Gli uomini chiamavano i loro suoceri *tьstь e *tьstja, mentre le
donne dicevano *svekrъ e *svekra; i suoceri chiamavano lo sposo della figlia con il
termine *zętь e la sposa del figlio con il termine *nevěsta; quest’ultima, con il tempo,
diventava *snoxa. C’erano numerosi vocaboli per indicare i cognati: *šurinъ (fratello
della sposa), *děverь (fratello dello sposo), *zъlъve (sorella dello sposo), mentre il
termine generale era *svojakъ. I genitori di uno dei due sposi si riferivano ai genitori
dell’altro con i vocaboli *svatъ e *svatьja (o *svaxa).12
Da discutere a parte è l’etimologia della parola *medvědь, con cui in proto-slavo si
indicava l’orso. Il termine indo-europeo era *h2rtkos, da cui sarebbero poi derivati, tra
gli altri, il latino ursus e l’antico greco αρκτος (arktos). Gli Slavi, non potendo, per la
loro natura superstiziosa, indicare l’animale con questo termine per timore di venirne
attaccati, dovettero creare un nuovo vocabolo. Gli osservatori più attenti notarono
che l’orso cercava sempre in miele, detto med: quindi *medvědь, in origine medъjedь,
ossia “mangiatore di miele”.
Come si è detto, il principe Vladimir convertì nel 988 il suo popolo al cristianesimo.
Prima di allora, gli Slavi erano politeisti e professavano il paganesimo. La loro divinità

12
V. V. Lučyk, op. cit., p. 160

9
principale fu Perun13 , il dio del tuono. Il suo nome era etimologicamente legato a
quello proto-indoeuropeo della quercia, alla quale invece gli Slavi assegnarono il
termine *dǫbъ, solitamente correlato al celtico dab “oscuro”. Gli veniva contrapposta
la betulla, *berza, da *bher- “splendido”.
Altri dei importanti erano Svarog (dio dell’arte fabrile), Daždbog (dio del bene e della
ricchezza), Bělobog (dio della prosperità e padre di Perun), Stribog (dio del vento). Gli
Slavi sacrificavano agli dei buoi e galli, come provato dai resti di tali animali, trovati
dagli archeologi. La parola *korva, con cui venivano indicate le mucche, deriva, a detta
del linguista ucraino Vitalij Skljarenko, proprio dalla radice proto-indoeuropea *ker-
(sacrificare). I sacrifici venivano organizzati da quelli che venivano chiamati *žьrьcь,
che ha la stessa etimologia di *žьrtva (appunto, “sacrificio”, ma anche “vittima”),
correlata forse al lituano girti “lodare”, forse alla radice proto-indoeuropea *ger-
“ardere”.
Nel centro dell’altare veniva disposta una colonna chiamata idolo, che serviva per
accedere il fuoco sacro e veniva circondato da due colonne più piccole.
Gli Slavi cremavano i morti. 14 Rappresentavano i propri antenati defunti come se
fossero vivi, ma attribuivano loro caratteristiche tali da renderli pericolosi ogni qual
volta qualcuno faceva qualcosa di sgradevole. Consideravano comunque la morte una
cosa positiva, come testimoniato dalla stessa parola *sъmьrtь, il cui prefisso *sъ- sta
per “buono”.
Sentivano uno stretto contatto con la natura, come testimoniato dal Cantar delle
gesta di Igor, dove il protagonista, il principe severjano Igor appunto, vede un’eclissi
solare sin dall’inizio della propria spedizione contro i Cumani, eclissi che predice una
sciagura, che sembrano suggerire anche gli animali, gli uccelli e addirittura gli alberi.
La natura, così, ammonisce il principe affinché rinunci al proprio obiettivo, che
potrebbe rivelarsi (e si rivelerà) alquanto pericoloso, ma Igor non l’ascolta e procede.
A un certo punto, il sole viene coperto con una grande nube e tutti i testimoni
rimangono nella totale oscurità; Igor viene catturato dai Cumani e a casa, la sua sposa

13
http://www.slavabogam.ru/slavyanskii-bog-perun.html , 3 febbraio 2021

14
http://life.ru/p/1315071 , 11 febbraio 2021

10
Jaroslavna (probabilmente Efrosinja, ma nel testo viene chiamata per patronimico)
piange la sua assenza, insieme al sole e alla luna, che sembrano quasi assecondare alle
preghiere della donna e partecipare al suo dolore. Questo fenomeno, conosciuto
come agerarchia (assenza di livelli, quindi di discriminazione uomo/natura) si osserva
spesso nel folklore (racconti popolari) slavo. Vi si possono trovare personaggi quali il
fuoco-madre, la principessa-rana, l’uomo-pietra e altri. Tuttavia, con il tempo si creò
una visione gerarchica del mondo, nella quale le divinità erano al primo posto, seguite
dall’uomo, poi dagli animali, dalle piante, e infine dalla natura inorganica.
Nel folklore slavo si possono trovare anche vari spiriti, che spesso contattavano con
l’uomo, anche in modo indiretto.
Il domovoj è uno spirito domestico (da *domъ “casa”), che a volte aiuta il padrone,
portandogli prosperita, ma più spesso gli nuoce. Può trasformarsi in gatto, cane,
serpente.15
Il lěšij, da *lěsъ (bosco), è uno spirito che ha il potere su gli animali selvaggi. Spesso
inganna le persone, apparendo loro con le sembianze di un animale o di un amico,
talvolta di una fanciulla (dea del bosco).
Il polevoj e il vodjanoj sono simili al lěšij, ma vivono rispettivamente nei campi o nelle
steppe (da *pole “campo”) e nelle acque (da *voda “acqua”), i secondi vengono spesso
associati ai morti annegati.16
Affine al vodjanoj è il bolotnoj (da *boloto “palude”), spirito che vive nella palude e ivi
annega gli uomini.
La rusalka (propr. “sirenetta”) è uno spirito che ha la sembianza di una fanciulla con la
coda di pesce, morta prematuramente senza ricevere il battesimo, se già era stato
introdotto.

15
http://www.atlasobscura.com/articles/how-to-appease-household-spirits-across-the-world , 16
febbraio 2021

16
https://licey.net/free/3-mify_narodov_mira/8-mify_narodov_evropy_i_ameriki/stages/163-
86_dobrye_i_zlye_duhi.html, 2 marzo 2021

11
La mavka è un tipo particolare di rusalka, con la parte posteriore del corpo
trasparente.17

1.2. Cirillo e Metodio

Non si hanno molte fonti sulla vita dei fratelli Costantino e Metodio, figli del drungario
Leone. Anche quelle disponibili (la più importante delle quali sono probabilmente le
Vite) spesso non sono esaustive e si contraddicono tra loro18.
Nacquero entrambi a Tessalonica, detta anche Salonicco, città greca ma con
popolazione slava, creatori di due alfabeti, il glagolittico e il cirillico, entrambi
adoperati per scrivere il paleoslavo (il termine “protoslavo” viene da molti linguisti
considerato un sinonimo di questo per considerare una lingua ricostruita che era
l’antenato delle odierne lingue slave; il termine “slavo ecclesiastico”, invece, indica la
lingua attestata).
Metodio era il secondo di sette fratelli e nacque nel 815, mentre Costantino era
l’ultimo fratello e nacque nel 826. Costantino, in giovinezza, era un brillante alunno,
soprattutto in astronomia, musica, retorica, lettere, teologia e filosofia, tanto da
venire soprannominato il Filosofo. Parlava non solo lo slavo e il greco, ma anche il
siriaco, l’arabo e l’ebraico.
Durante un viaggio in Crimea, i due fratelli salvarono gli Slavi della minaccia dei kazari,
popolo nomade di origine turca che stava cercando di espandersi sempre di più. In
seguito, due principi slavi, Rostislav e Svetopluk, mandarono un’ambasceria a
Costantinopoli per avere un vescovo capace di spiegare le leggi cristiane nella lingua
slava19, perché non ne avevano uno, ma soprattutto perché temevano l’espansione
tedesca in Moravia.20
L’imperatore Michele II affidò ai due fratelli questa missione, dicendo che, essendo di
Tessalonica, conoscevano perfettamente la lingua slava e quindi erano in grado anche

17
V. V. Lučyk, op. cit., p. 195

18
N. Marcialis, Introduzione alla lingua paleoslava, Firenze University Press, Firenze, 2007, p. 5

19
http://lnx.nereoachilleo.it/joomla/la-voce-del-parroco/869-santi-cirillo-e-metodio-2 , 20 febbraio
2021

20
V. V. Lučyk, op. cit., p. 209

12
di creare un alfabeto per questa lingua. I due creano l’alfabeto glagolittico attorno al
863, ispirandosi forse alle lettere semitiche. Tuttavia, alla scrittura glagolittica venne
attribuito questo nome solo nel XII secolo, da uno studioso croato (glagol, nell’antico
slavo, significa “parola”), e venne successivamente soppiantata da quella cirillica (da
Costantino, fattosi monaco con il nome di Cirillo, prima di morire), creata sempre dai
due fratelli. Le lettere cirilliche derivano, come forma, da quelle greche e latine,
mentre i nomi sono parole che, lette in ordine, formano intere frasi. In particolare, le
prime tre lettere dell’alfabeto cirillico sono az, buki e vedi, che insieme significano “io
conosco le lettere”.
In seguito, dall’alfabeto cirillico venne eliminata la lettera djerv (che rappresentava
l’affricata postalveolare sonora). In entrambi gli alfabeti, la maggior parte delle lettere
aveva anche un valore numerico, che però non sempre corrispondeva: per esempio,
buki, la seconda lettera di entrambi gli alfabeti, aveva il valore 2 nell’alfabeto
glagolittico, mentre in quello cirillico non ne aveva alcuno; per questa ragione, la
lettera successiva, vedi, corrispondeva al numero 2 nell’alfabeto cirillico e al 3 in quello
glagolittico.
I due fratelli tradussero la Bibbia nella lingua slava; la loro fama fu tale che il principe
pannoniano Vocel affidò loro 50 ragazzi da educare e loro adempirono con successo
anche a questo compito.
Ciò che loro fecero non piacque ai vescovi romani e germanici, che riconoscevano solo
tre lingue come adatte ai testi sacri: l’ebraico, il greco e il latino. Nel 867, il papa Nicola
I li chiamò a Roma affinché si giustificassero, ma mentre erano in viaggio, lui morì. Il
suo successore, Adriano II, affermò che il greco e il latino erano sì le lingue principali
riguarda i testi sacri, ma che ogni cristiano doveva poter leggerli nella propria lingua
madre, perché tutti i popoli sono uguali e non ha senso discriminarne alcuni a favore
degli altri, neanche per quanto riguarda le Sacre Scritture (non tutti comprendevano
il latino e il greco; la gente comune di solito capiva solo la propria lingua).
Costantino morì nell’869 (poco prima della morte si fece monaco con il nome di Cirillo,
da cui trae il nome l’alfabeto cirillico) 21 , mentre Metodio, che era stato nominato
anche vescovo di Roma, si spense nell’885.

21
http://www.santiebeati.it/dettaglio/22825 , 7 febbraio 2021.

13
Oggi, solo sei lingue slave vengono scritte in caratteri cirillici (il russo, l’ucraino e il
bielorusso, il serbo, il macedone e il bulgaro, come vedremo più avanti; durante
l’Impero di Mosca, anche la Polonia, che ne faceva parte, utilizzava una variante
dell’alfabeto civile creato da Pietro il Grande).

2. Evoluzione delle lingue slave


2.1. Proto-slavo. Leggi grafico-fonetiche

14
Il proto-slavo è una lingua di derivazione indoeuropea. Ciò si può notare, per esempio,
nei termini di stretta parentela, ad esempio *bratъ “fratello”, che deriva dal proto-
indoeuropeo *bhreh2ter, come pure il latino frater e il proto-germanico *brōþer.
Nel passaggio dal proto-indoeuropeo al proto-slavo, venne effettuata una serie di
modifiche grafico-fonetiche, la più importante delle quali era la legge della sillaba
aperta, che affermava che ogni sillaba doveva terminare in una vocale (appunto,
essere aperta)22. Spesso, per rispettare tale legge, la lingua slava ricorreva a due suoni
vocalici “indistinti”, rappresentati dalle lettere jer duro (come nella parola *gordъ
“città” e jer molle (o jer’, ad esempio in *matь, “madre”), derivati rispettivamente da
-us e -is, la cui pronuncia, tuttavia, cessò verso il XIV secolo. Esiste anche un’ipotesi
secondo la quale gli jer servivano anche per segnalare la fine di una parola, dato che
nella scrittura slava, così come in altre lingue, spesso non si utilizzavano gli spazi.
Nel caso una sillaba finisse con la consonante nasale m o n, questa si fondeva con la
vocale che le precedeva, formando così le vocali nasali. L’antico slavo ne conosceva
due: la e nasale, codificata dalla lettera conosciuta come jus piccolo, e la o nasale, alla
quale corrispondeva lo jus grande. Ad esempio, il Proto-Indoeuropeo *ponteh1s
“strada” generò, nell’antico slavo, il termine pǫtĭ “percorso”, così come, in latino, pons
“ponte”.
Le occlusive sonore aspirate bh, dh, gh persero l’aspirazione. Per esempio, il termine
*dhugh2ter “figlia” divenne *dъчь, ma generò anche *dъtъ “bambino”, termine neutro.
Viene chiamata prima palatalizzazione la trasformazione dei suoni velari g, k e h
rispettivamente in dž, č e š prima delle vocali e e i.23 Un esempio è la parola proto-
indeuropea *gweneh2 “donna”, da cui deriva *žena. Tale cambiamento era giustificato
dal fatto che la consonante doveva avere la stessa sonorità della vocale che la seguiva,
e le vocali e e i erano anteriori.
Per seconda patalalizzazione si intende la trasformazione delle stesse velari
rispettivamente in dz, c e s davanti alle stesse vocali24, dopo essere passate attraverso

22
M. Garzaniti, op. cit., p. 82

23
M. Garzaniti, op. cit., p. 88

24
M. Garzaniti, op. cit., p. 89

15
una iodizzazione25 (l’aggiunta, cioè, del suono jod); ciò accadeva, per esempio, nel
dativo e nel locativo dei sostantivi il cui tema finiva in velare, come *noga che in
entrambi i casi faceva *nodzě, mentre a livello etimologico, questo fenomeno si può
osservare nel caso del vocabolo *cělъ, derivato da *koylos.
La terza palatalizzazione è una generalizzazione della prima, e avviene quando la
velare viene seguita da qualunque vocale risalente alla *i indoeuropea. Tuttavia, essa
riguarda non tanto il proto-slavo in sé quanto le lingue moderne che ne derivano. Per
esempio, “pecora” in Indo-europeo si diceva *h3ewis, da cui sarebbe derivato, in
proto-slavo, *ovьka, e da quello овца (ovca) in russo, in bulgaro e in macedone, owca
in polacco, ovce in ceco, ovca in slovacco, in sloveno e in serbo-croato.
A causa delle tre patalazzizazioni, le lingue slave vengono classificate come lingue
satem, in contrapposizione alle lingue centum (entrambi i vocaboli significano “cento”,
rispettivamente in aramaico e in latino).
Quando viene iodizzata una labiale (b, p, v, m), tra questa e la vocale che la segue viene
inserita la lettera l, cosa che si può vedere soprattutto nei verbi, come ad esempio
*l’ubiti (amare), che alla prima persona singolare diventava *l’ublǫ, mentre a livello
etimologico, può trattarsi della parola *zeml’a “terra”, che deriva da *dheghom.
Un fenomeno piuttosto interessante è la metatesi delle liquide. Le liquide sono le
consonanti l e r, e siccome, per la loro natura, queste sono vicine alle vocali, i nessi ol
e or vengono detti anche dittonghi in liquida. In seguito, questi nessi diventano lo e
ro in alcune regioni, la e ra in altre, ola e ora in altre ancora (questo fenomeno viene
comunemente conosciuto con la parola TORTA).

2.1. Le lingue slave moderne

Nella comunicazione quotidiana, veniva di fatto utilizzato non lo slavo standard


(basato, a quanto pare, sulla parlata bulgaro-macedone), ma la parlata locale, che
cambiava da regione a regione e differiva nel lessico nonché nella pronuncia di alcuni
suoni. Non si sa quante fossero le parlate né quando acquisirono carattere ufficiale.
Inoltre, il copista, in assenze di norme stabilite, scrivendo un testo per la regione dove

25
Molti usano il termine “palatalizzazione” in luogo di “iodizzazione”, ma noi preferiamo distinguere
questi due vocaboli onde evitare confusione.

16
si trovava, doveva adattarsi alla parlata di quella regione, cosa spesso resa complicata
dalle limitazioni etimologiche.26
Oggi si ha un numero di lingue slave variabile a seconda di cosa esattamente s’intende
per lingua (per alcuni, una lingua è un insieme di vocaboli con una scrittura e delle
regole predefinite, mentre per altri una lingua, per essere tale, deve anche essere
parlata e riconosciuta a livello nazionale). Le lingue slave sono tradizionalmente
classificate in tre grandi gruppi a seconda delle caratteristiche comuni:

⚫ le lingue slave orientali sono il russo, l’ucraino e il bielorusso; a volte viene


considerata tale anche la lingua rutena, parlata in alcune regioni carpatiche
dell’Ucraina;

⚫ le lingue slave occidentali sono il polacco, il ceco e lo slovacco; spesso vengono


incluse in questo gruppo anche altre lingue minori parlate in Polonia, come il
casciubo (parlato nella regione della Pomerania), il sorabo, diviso in superiore o
inferiore (parlato al confine tra Germania e Polonia) e il polabo, parlato in
Germania;

⚫ le lingue slave meridionali sono lo sloveno, il serbo, il croato, il bosniaco, il


montenegrino, il bulgaro e il macedone. Spesso al serbo, al croato, al bosniaco e
al montenegrino ci si riferisce con il termine serbo-croato, rendendo quindi le
quattro lingue varietà di una stessa lingua.

Il fatto che non si sappia con certezza quante siano le lingue slave (ovvero se siano
lingue o meno il ruteno, il casciubo, il sorabo e il polabo) dipende innanzitutto dal fatto
che la loro scrittura non differisce molto da quella utilizzata per scrivere la lingua
principale del Paese dove vengono parlate (l’ucraino nel caso della prima, il polacco
nel caso delle tre seguenti; il sorabo e il polabo vengono parlati anche in Germania,
dove la lingua ufficiale è il tedesco, lingua comunque non slava) e poi dal fatto che non
è chiaro se i popoli che parlano tali lingue debbano essere propriamente chiamati così,
dato che non hanno una propria nazione. Tuttavia, anche i popoli slavi su cui si ha
questa certezza non sono sempre stati tali. Per esempio, i Macedoni, costituitisi nel

26
N. Marcialis, op. cit., p. 50

17
VII secolo quali discendenti degli Smoljani, degli Strumeni, dei Berziti e altre tribù slave
provenienti da quella zona, che si erano mescolati con i Greci e gli Illiro-Traci
romanizzati, non avevano un loro Stato prima del XX secolo; i Serbi, i Croati e i Bosniaci,
nel 1459, vennero conquistati dagli Ottomani 27 , tanto che i Bosniaci crearono una
variante araba dell’alfabeto della loro lingua (variante conosciuta come arebica o più
comumente matufovica), ai tempi ancora non divisa, e i Bosniaci risultarono essere il
popolo più musulmanizzato dei tre, anche nelle usanze (ancora oggi metà della
popolazione bosniaca è musulmana). Nel secolo scorso, i tre Paesi slavi orientali -
Russia, Ucraina e Bielorussia - facevano parte dell’Unione Sovietica, che si dissolse nel
1991 (da notare, comunque, che la Russia è solo parzialmente slava, in quanto abitata
da numerose popolazioni, molte di origine turca, come i Tatari, i Baschiri, i Ciuvasci, i
Komi, in seguito conquistate e spesso addirittura assimilate), ragione per cui, ancora
oggi, numerosi ucraini e bielorussi utilizzano de facto la lingua russa nella
comunicazione quotidiana, anziché, rispettivamente, l’ucraino e il bielorusso.
Pertanto, il numero dei madrelingua russi è di gran lunga superiore a quello dei nati in
Russia. Comunque, dell’Unione Sovietica facevano parte anche la Lettonia e la Lituania,
le cui lingue, rispettivamente il lettone e il lituano, sono lingue baltiche, lontane
parenti delle lingue slave (il loro antenato comune viene chiamato proto-baltoslavo),
la Moldavia, l’Armenia e il Tagikistan, le cui lingue, rispettivamente il moldavo,
l’armeno e il tagiko, sono lingue indo-europee (per “moldavo” si intende il romeno
parlato in Moldavia e scritto, tra il 1926 e il 1991, con i caratteri cirillici, poi venne
ripristinata la scrittura latina; con il termine “tagiko” ci si riferisce al persiano scritto in
caratteri cirillici, per distinguerlo dal persiano scritto in caratteri arabi, di solito
chiamato farsi in ambito iraniano e dari in quello afgano), l’Estonia, che parla estone,
una lingua di provenienza ugro-finnica (imparentata con il finlandese), la Georgia, la
cui lingua, il georgiano, è una lingua cartvelica, e il Kazakistan, il Kirghizistan,
l’Uzbekistan e il Turkmenistan, le cui lingue, il kazako, il kirghizo, l’uzbeko e il turkmeno
rispettivamente, sono lingue turche. La Repubblica Ceca e la Slovacchia, fino al 1993,
erano unite sotto il nome di Cecoslovacchia, Stato costituitosi nel 1918, con la fine

27
http://www.associazionefabiovitanelmondoonlus.org/notizie-dalla-bosnia-erzegovina/storia-della-
bosnia/ , 15 febbraio 2021

18
della Prima guerra mondiale e la dissoluzione dell’Impero austro-ungarico, di cui quei
territori facevano parte, insieme alle attuali Slovenia, Croazia e Ucraina occidentale).
Oltre all’Unione Sovietica, nel XX secolo esisteva anche la Jugoslavia, di cui facevano
parte gli Stati slavi meridionali: la Slovenia, la Serbia, la Croazia, la Bosnia e la
Macedonia (la Bulgaria, invece, era formalmente al controllo dall’Unione Sovietica,
come pure la Polonia, la Cecoslovacchia e l’Ungheria, quest’ultima nazione comunque
non slava). Fino al 2006, il Montenegro faceva parte della Serbia (che si chiamava,
appunto, Serbia e Montenegro), per poi ottenere indipendenza con Podgorica quale
capitale. Nel 2008, il Kosovo, un territorio abitato, da secoli, principalmente da
musulmani di lingua albanese, dichiarò la propria indipendenza dalla Serbia,
indipendenza tuttavia non pienamente riconosciuta.
Spesso una nazione veniva divisa tra più Stati. È il caso dell’Ucraina, che prima
dell’inizio della Seconda guerra mondiale era divisa tra Polonia (parte occidentale),
Romania (Bucovina settentrionale e Bessarabia meridionale) e Cecoslovacchia
(Ucraina transcarpaziana); il resto dell’Ucraina, come si è già visto, faceva parte
dell’Unione Sovietica. La Polonia nel XIX era divisa tra Russia, Austria-Ungheria e
Prussia, la regione più grande della Germania; quest’ultima divideva inoltre, con la
Sassonia, altra regione della Germania, i Sorabi. Pertanto, la situazione politica non
solo non coincide con quella linguistica, ma spesso ne è anzi l’esatto contrario.
Nel 1054 si ebbe l’evento conosciuto dagli storici come Grande Scisma, ovvero la
divisione della Chiesa cristiana nella Chiesa ortodossa (a oriente), considerata
portatrice della vera dottrina cristina, come suggerito dall’etimologia greca del
vocabolo, e in quella cattolica (a occidente). Oggi, tra i popoli slavi, quelli orientali sono
ortodossi, come anche i serbi, i bulgari e i macedoni, mentre gli altri sono cattolici;
tuttavia, non è sempre stato così. Per esempio, come si è già detto, i Serbi, i Croati e i
Bosniaci erano musulmani; come i Bulgari lo erano stati in origine e metà della
popolazione bosniaca ancora oggi lo è (i musulmani bosniaci vengono detti
bosgnacchi); l’Ucraina occidentale era occupata dalla Polonia e quindi cattolica (molti
dei suoi abitanti lo sono tuttora); le odierne Bielorussia e Repubblica Ceca erano un
tempo protestanti: la prima calvinista, la seconda hussita (da Jan Hus, teologo e
creatore dell’alfabeto ceco). Oggi, la maggioranza relativa (34% circa) della
popolazione ceca non professa alcuna religione.

19
Queste sono alcune delle più importanti caratteristiche delle lingue slave; le altre
verranno presentate quando si approfondirà meglio ciascuna lingua.

⚫ le lingue slave orientali (ruteno compreso), così come il serbo-croato, il bulgaro e


il macedone, utilizzano l’alfabeto cirillico, le altre l’alfabeto latino;

⚫ il russo ha annullato, nella flessione dei sostantivi e degli aggettivi, la prima e la


seconda palatalizzazione: per esempio, il dativo singolare di рука (ruka, “mano”)
è руке (ruke) e non руце (ruce); tuttavia, ci sono eccezioni, ad esempio, un
vocabolo come ухо (uho, orecchio), al nominativo plurale fa уши (uši).

⚫ nel bielorusso e nel polacco, le consonanti alveolari occlusive d e t (nell’alfabeto


cirillico, д e т) si sono trasformate rispettivamente in дз (dz) e ц (c) e in dź e ć
prima delle vocali e e i;

⚫ il polacco è l’unica lingua slava ad aver mantenuto le vocali nasali, rappresentate


delle lettere ą e ę asssieme alle altre lingue minori parlate in Polonia, considerate
comunque in origine dialetti della lingua polacca;

⚫ l’ucraino, il bielorusso, il ceco e lo slovacco hanno la fricativa glottale sonora,


rappresentata dalla lettera г (h nella versione latina), come anche alcuni dialetti
meridionali della lingua russa, le altre lingue slave no;

⚫ nel bielorusso, a fine di sillaba, si può trovare la semiconsonante ў, che ha lo stesso


suono della ł polacca, una specie di w;

⚫ il polacco ha sempre l’accento sulla penultima sillaba;

⚫ il ceco e lo slovacco hanno sempre l’accento sulla prima sillaba; inoltre, a


differenza delle altre lingue slave, hanno vocali lunghe (rappresentate
dall’accento acuto ´) e brevi;

⚫ il polabo, essendo una lingua parlata in Germania e quindi fortemente influenzata


dal tedesco, ha le vocali anteriori aperte, rappresentate dalle vocali ö e ü;

⚫ le lingue slave occidentali hanno mantenuto il nesso consonantico dl,


semplificatosi in l nelle altre;

20
⚫ l’ucraino, il bielorusso, il polacco e il serbo-croato hanno mantenuto il caso
vocativo, le altre slave no (il russo ha qualche parola storicamente vocativa, come
per esempio Боже! (Bože!, “Oddio!”), considerata comunque un’esclamazione
più che un sostantivo);

⚫ lo sloveno ha mantenuto il numero duale (che indica due persone o cose);

⚫ il ceco, lo slovacco e il serbocroato ammettono nessi di tre consonanti di cui la


seconda è r o, più raramente, l (l’accento tonico cade sulla prima);

⚫ il ceco e lo slovacco formano il tempo passato tramite l’ausiliare byt’ (essere);


nelle lingue slave meridionali, tale perifrasi convive con l’aoristo, mentre il futuro
viene formato utilizzando un ausiliare che è una sorta di contrazione del verbo
volere;

⚫ il bulgaro risente di un forte sostrato turco, dato il contatto tra i due popoli; 28

⚫ il bulgaro e il macedone hanno totalmente perso i casi, ma hanno sviluppato


l’articolo determinativo, che viene posposto al sostantivo cui si riferisce e scritto
con esso come una sola parola; i verbi non hanno l’infinito.

Tra gli alfabeti latini delle lingue slave ci sono differenze, poche ma sostanziali. Per
esempio, la lettera q in quest’ambito è limitata solo alle lingue ceca e slovacca e
comunque solo ai prestiti. La lettera w si usa solo nella lingua polacca - che non utilizza
la lettera v e la sostituisce foneticamente - e nei prestiti cechi di origine tedesca. La
lettera y si usa solo in polacco, in ceco e in slovacco; nelle lingue slave meridionali,
dove non esiste il fono da essa rappresentato, questa lettera non si utilizza. Per quanto
riguarda i diacritici, come si è già visto, il polacco utilizza le vocali nasali ą ed ę, oltre
alla consonante ł, e il polabo le consonanti anteriori ö e ü; inoltre, tipiche dello
slovacco sono la vocale ä e la consonante ŕ, mentre dalla consonante ř e dalla vocale
ů si può riconoscere con certezza la lingua ceca, la quale, inoltre, condivide con quella

28
http://myfilology.ru/slavyanskaya_philologiya/osnovnye-etapy-razvitiia-bolgarskogo-literaturnogo-
iazyka/, 18 febbraio 2021

21
slovacca le consonanti ť e ď, versioni iodizzate delle loro controparti non diacritiche; il
serbocroato, infine, si distingue per la consonante đ. In ceco, in slovacco, in sloveno e
in serbocroato si utilizzano le consonanti č, š e ž, mentre in polacco i loro rispettivi
suoni vengono rappresentati da cz, sz e ż e, in versione iodizzata, da ć (condivisa anche
dal serbocroato), ś e ź. In polacco, il nesso consonantico rz rappresenta lo stesso suono
della consonante ż (o del nesso sz se preceduto dalle consonanti k, p o t) e la scelta
dell’una o dell’altra grafia è una questione puramente morfologica oppure etimologica.
Anche tra gli alfabeti cirillici delle lingue slave ci sono delle differenze. Se si prende a
modello la variante utilizzata per scrivere la lingua russa, la quale ha 33 lettere, anche
quella ucraina ne ha 33, ma le lettere в, г, е, и, щ vengono pronunciate in maniera
differente (anche se la pronuncia storica della щ russa è l’unione delle consonanti ш
+ ч, come oggi in ucraino, e così è la traslitterazione scientifica); nel russo sono assenti
le lettere ґ (temporaneamente abolita anche dall’alfabeto ucraino nel secolo scorso e
ivi rimpiazzata con la lettera г, che in russo ha lo stesso valore fonico, ma che in ucraino
rappresenta la fricativa glottale sonora, la cui controparte sorda in entrambe le lingue
è к), є, і, ї, mentre l’ucraino non adopera le lettere ё, ъ, ы, э. Il bielorusso ha 32 lettere,
tra cui la già vista semivocale ў, oltre alle vocali ё, і, ы, э (ma non ґ, є, ї). Il serbocroato
(nella variante cirillica) utilizza la variante russa dell’alfabeto senza le lettere й
(sostituita da ϳ), ъ, ы, ь (che compare invece solo come componente di due simboli, љ
e њ, nella versione latina rispettivamente lj e nj), э (il cui valore fonetico viene
rappresentato dalla lettera е, anche all’inizio di parola), oltre alle vocali iodizzate ё, ю,
я (rappresentate però come ϳ + vocale non iodizzata, quindi ϳо, ϳу, ϳа). Inoltre, utilizza
le consonanti ђ, ћ e џ, che nella versione latina vengono scritte rispettivamente come
đ, ć e dž. Le lettere j, љ, њ, џ figurano anche in macedone, che utilizza inoltre le lettere
ѓ e ќ, risultati della seconda palatalizzazione delle loro controparti non diacritiche,
quindi corrispondenti rispettivamente dei caratteri serbocroati ђ e ћ. Il bulgaro utilizza
la variante russa, alla quale sono state tolte le lettere ё, ы, э, mentre le lettere е e щ
vengono pronunziate in maniera differente: la prima come in ucraino, la seconda
come l’unione dei suoni ш + т. Il grafema ь, utilizzato fino agli anni ‘70 del secolo
scorso in russismi come царь, oggi compare invece solo come parte del digramma ьо.

1.1. Caratteristiche distintive delle lingue slave moderne

22
Le lingue slave orientali sono il russo, l’ucraino e il bielorusso.

Il russo è la lingua slava più parlata al mondo. È lingua ufficiale della Russia, ma trova
anche molti parlanti tra gli abitanti dei Paesi dell’ex Unione Sovietica. Il toponimo
Russia (Россия, Rossija) deriva dalla stessa radice di Rus’, parola con la quale veniva
conosciuto l’impero medievale attorno a Kiev, ed è correlata, dal punto di vista
etimologico, a Ruotsi, termine con cui i Finlandesi si riferiscono alla Svezia, nonché al
nome della tribù dei Ruteni.
Il russo non aveva una tradizione letteraria vera e propria fino al Seicento, epoca nella
quale la lingua scritta si è cominciata ad adattare a quella parlata; i primi dizionari
vennero stampati solo verso il Settecento. La lingua russa come la conosciamo adesso
venne ideata dal poeta Aleksandr Puškin; degni di nota sono anche i contributi di
Antioch Kantemir e Vasilij Trediakovskij. Altri scrittori illustri erano Fëdor Dostoevskij,
Lev Tolstoj, Ivan Turgenev, Ivan Gončarov, Michail Lermontov, Nikolaj Gogol’, Michail
Bulgakov, Marina Cvetaeva, Aleksandr Solženicyn, Evgenij Evtušenko e altri.
Come dizionario più importante della lingua russa viene considerato il dizionario di
Vladimir Dal’, redatto nel 1863 nella sua prima edizione; nel secolo scorso vennero
anche stampati il dizionario di Sergej Ožegov e quello di Dmitrij Ušakov, oltre a molti
altri.
Viene scritto con i caratteri cirillici.

Da dove hai preso queste notizie? Scrivilo in nota


Per russo standard si intende quello formatosi sulla base dei dialetti russi medi di
Mosca. Esso ha le seguenti caratteristiche:

⚫ riduzione delle vocali atone, per esempio nella parola вода (voda) “acqua” la
vocale о, che è atona, non viene pronunciata come o, ma piuttosto come una a
non molto chiara, diversa dalla a propria alla fine della parola; per sapere quale
vocale scrivere (о oppure а), si deve cercare una forma dove la vocale sia
accentata e quindi pronunciata normalmente oppure, se ciò non è possibile,
semplicemente imparare l’ortografia della parola);

23
⚫ pronuncia sorda delle consonanti sonore in fine di parola, per esempio l’ultimo
suono di друг (drug) “amico” non è g ma k, anche se la pronuncia sonora ritorna
nella flessione;

⚫ assenza del caso vocativo (anche se nella lingua parlata si sentono forme che si
possono considerare vocative, come мам (mam) per мама (mama) “mamma”
oppure Сань (Sanj) per Саня (Sanja), variante diminutiva del nome maschile di
persona Александр (Aleksandr, in italiano Alessandro), Боже (Bože), che
storicamente era il vocativo di Бог (Bog), ora è considerata piuttosto
un’esclamazione con il significato di “oddio”;

⚫ frequente utilizzo di participi attivi, come ad esempio пылающий (pylajuščij)


“ardente, che arde” e presenti passivi, come обсуждаемый (obsuždaemyj)
“discusso, che viene discusso”.

I dialetti russi vengono solitamente classificati in tre grandi gruppi:

1. Gruppo settentrionale, a nord e a nord-est della linea che passa per città quali San
Pietroburgo, Nižnij Novgorod, Kostroma, Jur’jevec ecc.

2. Gruppo meridionale, a sud e a sud-ovest della linea che passa più a nord di città
come Sebež, Belyj, Vjaz’ma, Medin’, Kolomna, Rjazan’, Tambov.

3. Gruppo medio, attorno alla linea Pskov - Tver’ - Mosca - Vladimir - Nižnij Novgorod.
A livello fonetico e lessicale il gruppo medio è una via di mezzo tra quello
settentrionale e quello meridionale.29

La lingua ucraina è la lingua ufficiale dell’Ucraina, ma viene parlata anche da comunità


di ucraini sparse per il mondo (uno dei Paesi con il maggior numero di ucraini è il
Canada).
Il nome dell’Ucraina (Україна, Ukrajina) proviene da un’espressione traducibile come
“al (o presso il) margine”. Viene menzionato per la prima volta nella cronaca ipaziana
del 1187, ma allora significava un territorio di gran lunga meno esteso di quello che

29
V. V. Lučyk, op. cit., pp. 40-43

24
s’intende oggi.
Alla formazione della lingua ucraina hanno contribuito codici e testi creati nella Rus’
di Kiev, quali il Vangelo di Ostromir, gli Insegnamenti del principe Vladimir Monomach,
il Cantar delle gesta di Igor, la Verità russa, la Cronaca degli anni passati
tradizionalmente attribuita al monaco kieviano Nestor, che ancora oggi viene
utilizzata in tutte le scuole ucraine e russe, e numerosi altri. Nel 1584 viene redatta la
prima grammatica della lingua ucraina. Tuttavia, tutti questi codici, così come i testi di
Grigorij Skovoroda, Metelij Smotrickij, Ivan Veličkovskij, rimasero ciroscritti e non
favorirono la popolarizzazione della lingua ucraina. Ciò avvenne solo con Ivan
Kotljarevskij, che a cavallo tra il Settecento e l’Ottocento pubblicò il poema Eneide,
propria interpretazione dell’omonimo poema epico virgiliano.
Alcuni tra gli scrittori e i poeti più illustri che hanno contribuito allo sviluppo della
lingua ucraina sono Taras Ševčenko, Grigorij Kvitka-Osnovjanenko, Ivan Franko,
Maksym Ryl’skyj, Pavlo Tyčyna, Maksym Kocjubynskij, Marko Vovčok, Boris Olijnik,
Pavlo Zagrebelnyj, Lesja Ukrajinka e numerosi altri.
Per quanto riguarda la lessicografia, nel 1596 venne dato alle stampe il Lessico di
Lavrentij Zyzanij. Da allora, uscirono svariati dizionari della lingua ucraina, tra cui è
degno di nota quello di Boris Grinčenko, nonché numerosi dizionari russo-ucraini.
Anche l’ucraino utilizza la scrittura cirillica.
Per ucraino standard si intende l’insieme dei dialetti meridionali e orientali parlati a
nord del Dniepr. Ha le seguenti caratteristiche:

⚫ La vocale iniziale i viene spesso eliminata in parole come гра (gra) “gioco”, ma
riappare nelle forme plurali della stessa parola, ad esempio nel nominativo ігри
(igry), oppure nel sostantivo derivato іграшка (igraška) “giocattolo”.

⚫ La vocale е o о spesso diventa і in sillaba chiusa, come in віл (vil) “toro” o ячмінь
(jačmin’) “orzo”; in sillaba aperta viene altresì ripristinata la vocale originale, ad
esempio i due sostantivi precedenti al genitivo singolare fanno rispettivamente
вола e ячменю.

⚫ Il genitivo singolare di sostantivi maschili che terminano in consonante può uscire


sia in -а, come nel caso di син (syn) “figlio”, che diventa сина (syna) (tutti i nomi

25
propri di persona e di luogo, nonché i termini scientifici, prendono questa
desinenza), sia in -у, come nel caso di світ (svit) “mondo”, che fa світу (svitu).

⚫ Il dativo/locativo singolare degli stessi sostantivi può uscire ugualmente in -у o in


-ові, -еві, per esempio дід (did) “vecchio, nonno” può fare sia діду (didu) sia дідові
(didovi); la prima forma, tuttavia, è sconsigliata quando potrebbe confondersi con
il vocativo;

⚫ la presenza della forma sintetica del futuro imperfettivo in contrapposizione a


quella anatalica; per esempio, il verbo читати (čytaty) può fare читатиму
(čytatymu) oppure буду читати (budu čytaty).

I dialetti ucraini si possono suddividere in tre grandi gruppi:

1. Dialetti settentrionali, che passano per la linea Volodymyr-Volyns’kyj - Luc’k - Rivne


- Novgorod-Volyns’kyj - Kyjiv - Konotop, arrivando quasi a toccare la Bielorussia.

2. I dialetti meridionali e occidentali, che attraversano la linea Tal’noe -


Novoarchangel’s’k - Pervomajs’k - Rozdil’na, arrivando a toccare altri Paesi, tra cui la
Polonia, la Slovacchia, la Moldavia e la Romania.

3. I dialetti orientali sono meno numerosi in termini di quantità, ma coprono un’area


molto più estesa, soprattutto al confine con la Russia.30
Il bielorusso è la lingua ufficiale della Bielorussia, anche se de facto molti suoi abitanti
utilizzano il russo nella comunicazione quotidiana.
Il nome Bielorussia significa letteralmente “Russia Bianca”, per distinguerla dalla
Russia Nera, come veniva chiamata nei testi occidentali la Galizia, regione storica al
confine tra l’Ucraina e la Polonia.
Il creatore della cultura e della filologia bielorussa è Francysk Skaryna, che redasse la
prima Bibbia in questa lingua intorno all’anno 1517, mentre qualche decennio dopo i
fratelli Mamonyč pubblicarono la prima grammatica bielorussa. L’evoluzione della
lingua bielorussa fu favorita dall’annessione della Bielorussia da parte del Granducato
di Lituania, come pure quella della lingua ucraina occidentale, ma nel 1569 la

30 V. V. Lučyk, op. cit., pp. 36-40

26
Bielorussia entrò a far parte della Rzecz Pospołyta (termine polacco che indica una
repubblica), mentre dalla fine del XVIII all’inizio del XX faceva parte dell’Impero Russo,
che non riconosceva la lingua bielorussa e ne bloccava l’evoluzione.
La letteratura bielorussa fu in parte salvata nella metà del XIX secolo da un movimento
nazionalista a cui appartenevano esponenti come Wincenty Dunin-Marcinkiewicz, Jan
Čačot, Konstanty Kalinowski e altri. Nel 1905 la lingua bielorussa venne riconosciuta
legittima dallo zar Nicola I, per poi essere approvata dall’Unione Sovietica.
Nel XX secolo alcuni degli scrittori bielorussi più importanti erano Petrus Browka,
Zmitrok Biadula, Ivan Šamiakin, Kandrat Krapiva.
Viene considerato bielorusso standard quello formatosi sulla base dei dialetti centrali,
che fondono in sé le caratteristiche dei dialetti sudoccidentali e di quelli nordorientali.
In particolare:

⚫ in posizione atona, viene scritta la lettera а anziché о, per esempio вада (vada)
“acqua”, cioè come viene pronunciata in russo;

⚫ la consonante r non è mai iodizzata: рака (raka) “fiume”, mentre in russo e in


bielorusso si dice rispettivamente река (reka) e річка (rička);

⚫ non esistono i participi presenti passivi, che vengono dunque sostituiti da perifrasi
relative.

Sono due i gruppi principali in cui si è soliti classificare i dialetti bielorussi:

1. I dialetti nordorientali si estendono lungo il confine con la Russia, con la Lettonia e


parzialmente con la Lituania;

2. I dialetti sudoccidentali si estendono lungo il confine con la Polonia e la Lituania e


attraversano anche la città di Gomel’, nella Bielorussia orientale.

Da notare come il bielorusso, pur essendo una lingua slava orientale, è foneticamente
più vicino al polacco che non al russo e all’ucraino.

Il secondo gruppo numeroso sono le lingue occidentali, ovvero il polacco, il ceco e lo


slovacco. Talvolta in questo gruppo vengono incluse anche altre lingue, come il

27
casciubo, il sorabo (superiore e inferiore), il polabo (parlato principalmente sul
territorio tedesco); talatra, invece, queste lingue vengono considerate semplici dialetti
della lingua polacca. Anche il dialetto silesiano è talmente diverso dalla lingua polacca
che i suoi parlanti ne rivendicano la ricognizione come lingua autonoma.
La lingua polacca è la lingua ufficiale della Polonia, mentre le altre lingue sono
regionali: il casciubo viene parlato nella Pomerania, il sorabo al confine con la
Germania (e anche nella Germania stessa, da popolazioni che non si sottoposero alla
colonizzazione).
Come lingua parlata si è sviluppato attorno al X secolo31, ma i primi scritti in lingua
polacca risalgono al XIII secolo. Lo sviluppo della letteratura polacca fu lento a causa
delle colonizzazioni da parte della Russia, della Prussia e di altri imperi, che
assorbirono totalmente l’utilizzo ufficiale della lingua polacca. Nel XIX secolo si hanno
esponenti come Henryk Sienkiewicz, Eliza Orzeszkowa, Stefan Żeromski, mentre nel
XX secolo si hanno Jan Iwaszkiewicz, Leon Kruczkowski, Maria Dąbrowska.
Assieme allo sviluppo della letteratura polacca si ha anche avuto lo sviluppo del
materiale lessicografico polacco.
Il polacco standard è quello formatosi sulla base dei dialetti polacchi grandi e piccoli,
ed è caratterizzato dai seguenti aspetti:

⚫ le fricative possono essere palatalizzate e non;

⚫ gli aggettivi non hanno forme brevi;

⚫ nella declinazione viene tenuto conto dell’animatezza del sostantivo e


dell’aggettivo che gli si riferisce;

⚫ si sono mantenute le vocali nasali ą e ę, ragion per cui il polacco è una delle lingue
slave con il maggior numero di vocali (ne ha 10).

Si hanno quattro gruppi di dialetti polacchi.

31
http://www.todaytranslations.com/about/language-history/polish-language-history , 13 maggio
2021.

28
1. I dialetti maggiori, ossia quelli che comprono Poznań nonché parte della Polonia
nordoccidentale.

2. I dialetti minori, che sono quelli che si possono sentire in Cracovia, nella parte
sudorientale della Polonia e al confine con la Slovacchia e l’Ucraina.

3. I dialetti masoviani, che partono dalla Polonia nordorientale e si estendono fino al


confine con la Bielorussia.

4. I dialetti silesiani, che partono da Breslavia e arrivano al confine con la Repubblica


Ceca.

Fino al 2005 veniva considerato un dialetto della lingua polacca anche il casciubo,
parlato nel voivodato (ossia regione) di Pomerania, che ha per capitale Danzica.
Alcuni studiosi, inoltre, considerano un gruppo i dialetti misti, parlati a Scettino, nella
parte nordoccidentale della Polonia.
Il sorabo superiore e il sorabo inferiore vengono parlati al confine tra la Germania e
la Polonia, dove convivono con le rispettive lingue ufficiali, almeno nei contesti
domiciliari e famigliari. In Germania queste lingue vengono rappresentate da una
minoranza che nei secoli ha mantenuto la propria identità slava e quindi anche la
propria lingua. Risente di un forte influsso tedesco sia nel lessico sia nella pronuncia.
Una volta venivano considerati dialetti germanizzati della lingua polacca, come anche
il polabo, parlato però interamente in Germania.
La prima grammatica soraba superiore venne stampata nel 1679 da Xaver Jakub Ticin,
mentre nel XIX apparvero le poesie di Handrij Zejler, fondatore della tradizione
letteraria soraba. Lui e altri contribuirono al riconoscimento della lingua soraba nei
contesti ufficiali, tuttavia, ciò fu difficile a causa del fatto che i Sorabi non avevano una
propria nazione.
La lingua soraba superiore si è formata sulla base dei dialetti di Bautzen ed è
caratterizzata, in particolare, dai seguenti aspetti:

⚫ la sostituzione del fonema/grafema g con h;

⚫ viene scritto or dove in alcune lingue si scriverebbe r tra due consonanti;

29
⚫ si sono conservati i tempi aoristo e imperfetto.

La lingua soraba inferiore nacque in Prussia, la cui situazione militarizzata ne impediva


lo sviluppo letterario. Nel 1640 Jan Chojnan pubblicò la prima grammatica soraba
inferiore e all’inizio del XX secolo Arnošt Muka stampò il primo vocabolario. Dopo la
Seconda guerra mondiale le condizioni divennero più favorevoli per lo sviluppo della
lingua letteraria soraba inferiore, ma i serbi lusaziani andavano oramai
irreversibilmente scomparendo.
La lingua soraba inferiore si è formata sulla base della parlata degli antichi serbi
lusaziani ed ha le seguenti caratteristiche:

⚫ la conservazione del fonema/grafema g;

⚫ le consonanti t e d, patalizzate, diventano rispettivamente ś e ź;

⚫ la consonante c in sostituzione di č;

⚫ la pronuncia di š al posto di r dopo le sorde occlusive;

⚫ la forte irregolarità dell’aoristo e dell’imperfetto;

⚫ la conversazione del supino.

La lingua ceca viene parlata nella Repubblica Ceca (colloquialmente detta Cechia),
storicamente divisa in Boemia e Moravia.
I primi scritti di carattere ufficiale in lingua ceca apparvero già nel XII secolo, ma la
tradizione letteraria si consolidò solo alla fine del XIII secolo. Il teologo Jan Hus (1371-
1415) creò un alfabeto e tradusse la Bibbia. L’annessione della nazione ceca da parte
dell’Impero austro-ungarico bloccò (ma non soppresse) la tradizione letteraria ceca,
che venne accelerata a partire dal 1918, quando terminò la Prima guerra mondiale e
l’Impero austro-ungarico si dissolse, permettendo la nascita della Cecoslovacchia, che
nel 1993 si divise in Repubblica Ceca e Slovacchia.

La lingua ceca standard è quella formatasi sulla base dei dialetti medi ed è
caratterizzata da alcuni aspetti tra cui:

⚫ la presenza di vocali lunghe e brevi;

30
⚫ il permanente accento sulla prima sillaba;

⚫ l’assenza dei tempi passati semplici;

⚫ l’alternanza delle vocali brevi con le lunghe (quest’ultime indicate con l’acuto) e
con i dittonghi;

⚫ un’innumerevole quantità di declinazioni e coniugazioni.

Per convenzione, i dialetti cechi vengono classificati in tre grandi gruppi:

1. I dialetti cechi propriamente detti coprono la Repubblica Ceca occidentale,


compresa Praga. Talvolta vengono suddivisi in dialetti centrali, orientali, occidentali e
meridionali.

2. Il dialetti moravi, con centro a Brno.

3. I dialetti silesiani, al confine con la Polonia.

Alcuni studiosi distinguono anche i dialetti moravo-slovacchi, che altri affermano


essere un sottogruppo dei dialetti moravi.
La lingua slovacca è piuttosto intelligibile (ovvero comprensibile senza essere
conosciuta e parlata) con quella ceca, si formò nel XIII secolo, ma l’annessione della
Slovacchia da parte del Regno d’Ungheria fu sfavorevole alla circolazione dei testi in
lingua slovacca. Solo nell’ottocento L’udovit Štúr insieme a Jan Hurban creò una
grammatica slovacca, permettendo una nuova corrente i cui rappresentati erano Jan
Kral’, Samo Chalupka, Pavol Hviezdoslav.
La lingua slovacca standard è quella basata sui dialetti slovacchi centrali. Rispetto al
ceco, è presente il grafema ä, che indica un suono intermedio tra a ed e, inoltre sono
frequenti i dittonghi ascendenti (che si alternano, rispettivamente in sillaba chiusa e
in sillaba aperta, alle vocali semplici), mentre è assente il caso vocativo (che viene
sostituito dal nominativo, come nelle altre lingue che non lo hanno).
I dialetti slovacchi vengono classificati in tre grandi gruppi:

1. I dialetti occidentali, con centro a Bratislava, che si estendono lungo la Slovacchia


meridionale nonché la Repubblica Ceca orientale.

31
2. I dialetti centrali, con centro a Banska Bastrica.

3. I dialetti orientali, con centro a Košice, che giungono al confine con l’Ucraina.

Le lingue slave meridionali sono lo il serbo, il croato, il bosniaco, il montenegrino, lo


sloveno, il bulgaro e il macedone. Le prime quattro vengono spesso riunite sotto un
unico nome, il serbo-croato, di cui le quattro lingue quindi diventano varietà. Molti
linguisti, inoltre, pur distinguendo il serbo e il croato, non considerano né il bosniaco
né il montenegrino lingue autonome.
Tutte queste quattro lingue vengono scritte con l’alfabeto latino, anche se il serbo si
può scrivere con l’alfabeto cirillico (che prevale), mentre per scrivere il bosniaco
veniva impiegata una variante dell’alfabeto arabo, detta arebica, nel periodo in cui gli
Stati balcanici facevano parte dell’Impero Ottomano.
Il Montenegro è diventato nazione autonoma soltanto nel 2006 (prima d’allora faceva
parte della Serbia), quindi la lingua montenegrina è stata creata a partire da quel
momento.
Il bulgaro e il macedone, per contro, vengono scritti esclusivamente con i caratteri
cirillici.
La lingua slovena è principalmente la lingua ufficiale della Slovenia, ma viene anche in
parlata in piccole comunità fuori da questo Paese. Per esempio, se ne possono trovare
parlanti a Trieste, capoluogo del Friuli Venezia-Giulia, regione italiana, appunto, al
confine con la Slovenia.
Inizialmente, la Slovenia faceva parte di uno Stato chiamato Carinzia, che era
germanizzato dal punto di vista letterario e culturale. Successivamente, il territorio
viene diviso in più parti: Carinzia, Štiria, Krajna e altri, che entrarono a far parte del
Sacro Romano Impero. Quindi, la lingua che prevalse nella letteratura fu il latino, che
non venne soppiantato dalla conquista della Slovenia da parte degli Asburgo austriaci.
Il contesto storico della nascita della lingua slovena fu la diffusione del
Protestantesimo. Nella metà del XVI secolo, Primož Trubar pubblicò un libro in cui
descrisse gli aspetti fondamentali della vita cristiana; in seguito, nel 1584, Juraj
Dalmatin pubblicò la prima Bibbia in lingua slovena, mentre Adam Bohorič pubblicò la

32
prima grammatica slovena. Nei secoli successivi, la letteratura slovena si andava
sempre più evolvendo.
Le carattertistiche fondamentali della lingua slovena sono:

⚫ la distinzione tra vocali lunghi e breve, e nei dialetti centrali anche quella tra
accento ascendente e discendente;

⚫ la pronuncia indistinta delle vocali atone, almeno nella lingua parlata;

⚫ la presenza di parole che contengono la liquida r tra due consonanti; alcune di tali
parole non contengono nessuna vocale, come ad esempio trg “mercato”;

⚫ la trasformazione della sillaba že in re dopo una vocale: morem (posso);

⚫ l’assenza del caso vocativo;

⚫ la presenza del duale;

⚫ la presenza del supino.

I dialetti sloveni, per ragioni storiche (la Slovenia ha conosciuto un periodo in cui
alternava in modo equo la lingua slovena, tedesca e latina) e geografiche (la Slovenia
è quasi tutta coperta di montagne), sono talmente tanti e si differiscono talmente
tanto tra di loro che è molto difficile classificarli in modo oggettivo, tanto che vari
linguisti individuano da sei a dieci gruppi. Convenzionale, comunque, è la seguente
distinzione:

1. I dialetti della Krajna inferiore, che si estendono a sud-est di Lubliana.

2. I dialetti della Krajna superiore, che copre Lubliana e le terra a nord-ovest.

3. I dialetti di Rovtar, a est di Lubliana.

4. I dialetti di Krašir, al confine con l’Italia.

5. I dialetti štiriani, tra i fiumi Sava e Drava.

6. I dialetti pannoni, a nord-est del fiume Drava.

33
7. I dialetti štiriani occidentali, una sorta di continuazione di quelli kajkavi della lingua
serbocroata.

8. I dialetti notrani, diffusi nella Slovenia meridionale ed intelligibili con quelli čakavi
della lingua serbocroata.

9. I dialetti carinziani, al confine con l’Austria.

La lingua serbo-croata viene distinta in quattro varietà: serbo, croato, bosniaco e


montenegrino, parlate rispettivamente in Serbia, in Croazia, in Bosnia ed Erzegovina
e nel Montenegro.
Nel 1389 la Serbia venne assoggettata dalla Turchia e pertanto la lingua serba perse il
suo valore letterario e culturale, mentre la Bosnia ed Erzegovina venne
musulmanizzata. La letteratura serba nacque verso l’Ottocento, con Dositej Obradović
quale fondatore, mentre l’alfabeto viene normalmente attribuito a Vuk Karadžić, che
pubblicò sia la prima grammatica sia il primo vocabolario serbo. Per quanto riguarda
la Croazia, venne conquistata dagli Stati dell’Europa occidentale nel XIV secolo.
Successivamente appartenne alla Repubblica di Venezia, all’Ungheria e alla Turchia, di
cui era feudo. Dal XIX secolo entrò a far parte dell’Impero asburgico. Il primo poeta a
scrivere in corato fu Marko Marulić, conosciuto in italiano con il nome di Marco
Marulo; tra gli esponenti della letteratura croata troviamo anche Ivan Gundulić
(Giovanni Gondola). La variante croata dell’alfabeto latino viene detta gajevica, dal
nome del filologo Ljudovit Gaj, che la ideò.
Il termine “serbo-croato” o, per estensione, “bosniaco-croato-serbo-montenegrino”,
venne introdotto nel 1824 dal tedesco Jacob Grimm32, conosciuto soprattutto per aver
collezionato - e reso famose in tutto il mondo - le fiabe popolari tedesche, assieme al
fratello Wilhelm.
Per ragioni politiche (in particolare i conflitti tra la Serbia e la Croazia), molti parlanti
della lingua serbo-croata tendono a chiamarla con il nome della loro varietà e
sostengono che le altre sono lingue assolutamente differenti.
Di natura politica è anche la questione kosovara. Il Kosovo dichiarò unilateralmente la

32 http://www.britannica.com/topic/Bosnian-Croatian-Montenegrin-Serbian-language , 13 maggio 2021.

34
propria indipendenza della Serbia nel febbraio del 2018, ma molti Paesi, compresa la
Serbia stessa, non riconoscono tale indipendenza. Tuttavia, nel Kosovo il serbo convive
con l’albanese (di fatto parlato dalla maggioranza della popolazione), che non è una
lingua slava.
La lingua serbocroata è caratterizzata da:

⚫ la consonante r sillabica: prst “dito”;

⚫ la o in fine di parola al posto dell’antica l: dao “diede” < *dalъ;

⚫ il nesso consonantico cr al posto di čr: crny “nero” < *čьrnъ;

⚫ la presenza del caso vocativo;

⚫ l’accento musicale, soprattutto nella variante serba, la quale distingue tra vocali
brevi e lunghe.

La lingua serbo-croata viene distinta in tre varianti, che traggono il loro nome dalla
traduzione del pronome interrogativo “che cosa?”: la variante štokava, la variante
kajkava e la variante čakava. La prima viene utilizzata principalmente in Serbia, nella
Croazia nordorientale e in Bosnia ed Erzegovina, nonché nel Kosovo nordoccidentale;
invece, le altre due riguardano per lo più la lingua croata.
La variante štokava, inoltre, viene ulteriormente divisa in tre sottovarianti: ekava
(orientale), ijekava (meridionale, riguarda la lingua bosniaca e montenegrina) ed ikava
(occidentale, ha influenzato anche le parlate serbe sudorientali e quelle kosovare).
Prendono il loro nome dall’esito della vocale jat’ e quella ekava prevale nella variante
serba.
Tra il vocabolario serbo e quello croato ci sono alcune differenze, per esempio, nei
nomi dei mesi (il serbo utilizza i termini latini mentre il croato quelli slavi ecclesiastici,
con alcune modifiche); inoltre “edificio” in croato viene detto zgrada e “settimana”
viene detta sedmica (dalla parola che significa “sette”, quindi “sette giorni”), mentre
in serbo queste parole si dicono rispettivamente zdanje e nedelja. Il numero mille, in
Croazia, viene chiamato tisuća (termine etimologicamente correlato agli altri
equivalenti slavi) e non hiljada (che deriva invece dal greco).
La lingua bulgara è la lingua ufficiale della Bulgaria, territorio occupato nell’anticità

35
dai Traci, assimilati in seguito dagli Anti. Per quanto riguarda il nome della Bulgaria,
esso deriva dai Bulgari, una tribù turca che vi fondò nel 681 il Primo impero bulgaro, il
quale durò fino al 1018. La capitale del Primo impero bulgaro fu Pliska e, in seguito,
Preslav. Raggiunse il massimo splendore tra il IX e il X secolo con il re Simeone, il quale
introdusse il cristianesimo. Vennero stampati i primi testi bulgari, principalmente di
carattere religioso. In seguito all’invasione della Bulgaria da parte dei Turchi nel 1396,
la lingua e la cultura bulgara persero il loro valore; lo recuperarono nella metà del XVIII
secolo anche grazie al presbitero Paisij di Hindelar. Dopo le rivolte nazionalistiche negli
anni ‘70 del XIX secolo e la vittoria dell’esercito russo nella guerra del 1877-1878 lo
sviluppo della lingua letteraria bulgara venne accelerato. Alcuni esponenti sono Elin
Penin, Jordan Jovkov, Georgi Karaslavov, Ljudmil Stojanov.
La lingua bulgara standard venne formata nel XIX secolo e basata sulle parlate
nordorientali, ma risente anche di quelle occidentali. Utilizza l’alfabeto cirillico e la
variante adoperata differisce da quella russa per la diversa pronuncia delle lettere е,
щ, ъ, quest’ultima considerata a tutti gli effetti una vocale e l’assenza delle lettere ё,
э, ы; la lettera ь, inoltre, oggi viene usata esclusivamente nel digramma ьо, anche se
fino ad alcuni decenni veniva utilizzata per scrivere parole prese in prestito dalla lingua
russa, come царь.
La lingua bulgara risente di un forte sostrato fracio, turco e illirico; alcune delle sue
caratteristiche distintive sono:

⚫ la perdita totale dei casi e il conseguente utilizzo delle preposizioni: Къщата на


този човек (Kăščata na tozi čovek) “la casa di quest’uomo”;

⚫ la duplicazione dei pronomi oggetto (prima del verbo), usati prima nella forma
forte e poi in quella debole: Него го арестуваха за убийство (Nego go
arestuvaha za ubijstvo) “È stato arrestato per omicidio”;

⚫ l’assenza dell’infinito, che viene sostuito dalle forme personali: Искам да спя
(Iskam da spja) “Voglio dormire”;

⚫ le forme verbali utilizzate per riferire fatti sentiti da altre persone;

36
⚫ la presenza dell’articolo determinativo (-ът, -та, -то, -ти), posposto al
sostantivo;

⚫ l’utilizzo del prefisso по- nella formazione del grado comparativo;

⚫ la presenza di numerosi tempi passati, quelli più usati sono l’aoristo e il perfetto;

⚫ l’utilizzo della perifrasi няма да (letteralmente, “non c’è che”) per formare il
futuro.

La lingua bulgara viene distinta in due dialetti: uno orientale e l’altro occidentale, che
differiscono principalmente per l’esito della vocale jat’: rispettivamente а ed е.
La lingua macedone è la lingua ufficiale della Macedonia del Nord. Una volta questo
Paese si chiamava semplicemente Macedonia, ma il nome venne cambiato in seguito
a una rivendicazione da parte della Grecia, dove c’è una regione chiamata Macedonia.
L’attuale Macedonia del Nord è stata, nel tempo, abitata da vari popoli: Greci, Illiri,
Traci, in seguito tutti conquistati e assimilati dagli Slavi. Nel 681 entrò a far parte del
Primo impero bulgaro e, come conseguenza, si andò adottando la scrittura slava. Nel
XIX secolo si creò la lingua macedone letteraria, che però non ebbe molto esito, perché
la Macedonia era divisa tra Bulgaria e Turchia. Questa situazione durò fino al 1943, ai
tempi della Jugoslavia, quando venne proclamata l’uguaglianza dei popoli slavi
meridionali. Allo sviluppo della lingua macedone letteraria contribuirono, in particolar
modo, Kočo Racin, Venko Markovski, Slavko Janevski, nonché Blaže Koneski, autore
della prima grammatica della lingua macedone e la prima storia della Macedonia.
Il macedone adopera una variante cirillica basata su quella serba, ma le consonanti ђ
e ћ sono sostituite rispettivamente da ѓ e ќ. La variante standard si è formata sulla
base delle parlate occidentali ed ha le stesse caratteristiche della lingua bulgara, alle
quali si aggiunge alla r (р) sillabica (che in polacco viene invece preceduta dal segno ъ)
e ci sono molti più articoli che in macedone.
I dialetti della lingua macedone vengono classificati in tre gruppi:

1. Il gruppo settentrionale, che arriva al confine con la Serbia e con il Kosovo;

2. Il gruppo occidentale, fino al confine con l’Albania e con la Grecia;

37
3. Il gruppo orientale, che arriva fino al confine con la Bulgaria.

MEGLIO STACCARE con un po' di spazio ciò che segue

Nella seguente tabella vengono riassunte le principali trasformazioni grafico-fonetiche


subite dalle varie lingue slave:

Orientali Occidentali Meridionali

Prima Esiste. Esiste solo nella Nella morfologia


palatalizzazione morfologia flessiva è presente
derivativa. solo in serbo-
croato.

Seconda Nella lingua russa, Esiste. Esiste solo in


palatalizzazione l’unico esempio è serbo-croato.
la parola друг
“amico”, che al
plurale diventa
друзья e viene
declinato come

38
tale; da notare,
comunque, che
ormai si tratta di
una seconda
palatalizzazione
impropria, vista
l’articolazione dei
due suoni (nei
dialetti meridionali
invece il suono г ha
l’odierna
pronuncia
ucraina).

Terza Esiste.
palatalizzazione

Jat’ In russo viene resa In polacco, In serbo-croato, si


con е, in ucraino solitamente si ha a può rendere
con і, in bielorusso in sillaba chiusa ed distintamente con
con я (oppure con e in sillaba aperta; e, ije (je in
а dove я non si può in ceco si ha ě posizione debole)
scrivere). (oppure e dove ě o i, a seconda che
non si può si utilizzi la
scrivere); in variante ekava,
slovacco si può ijekava o ikava;
avere e o ie. nelle altre lingue si
ha e, ma in bulgaro
diventa я in sillaba
chiusa.

Jer In posizione Ha come esito la In serbo-croato, ha


intervocalica, ha vocale e, che cade come esito la

39
come esito la quando l’eufonia vocale a, che cade
vocale о, che cade lo permette. quando l’eufonia
quando è seguita lo permette; in
da una sillaba macedone о e in
aperta; in ucraino bulgaro ъ.
si ha anche і, che in
dette condizioni
diventa o. Veniva
anche scritto in
fine di parola,
almeno in russo,
sino al secolo
scorso, quando
venne abolito in
quella posizione
perché non
indicava alcun
suono.

Jer’ Ha come esito la Ha come esito la In serbo-croato, ha


vocale е, che cade vocale e, che cade come esito la
quando è seguita quando l’eufonia vocale a, che cade
da una sillaba lo permette. In quando l’eufonia
aperta. In ucraino polacco, si ha ie, e lo permette; in
si ha anche і, che in se tale grafema è macedone e in
dette condizioni preceduto dalle bulgaro, invece, si
diventa е. In consonanti d o t, ha е.
bielorusso, se esse vengono
preceduto dalla palatalizzate e
vocale д o т, diventano
questa viene rispettivamente dz
patalizzata o c, ma tale

40
rispettivamente in palatalizzazione
дз e ц, ma tale viene eliminata
palatalizzazione dove è assente la
viene eliminata sua causa.
dove è assente la
sua causa.

Jus grande Ha dato come esito In ceco e slovacco In serbo-croato ha


la vocale у. ha dato come esito generato u, in
Tuttavia, nel caso la vocale u. In bulgaro ъ, in
strumentale si ha polacco, unica macedone а.
solo in ucraino, e in lingua slava ad
quel caso viene aver mantenuto le
scritta ю. vocali nasali (oltre
al casciubo e al
sorabo), si è
evoluto nella
vocale ą.

Jus piccolo Ha dato come esito In ceco viene In tutte le lingue


la vocale я. In generalmente reso slave meridionali
ucraino, questa con la vocale á, genera e, con
vocale viene mentre in slovacco eccezioni in
preceduta da un diventa a breve. In bulgaro quali част
apostrofo se si polacco, unica (parte) < *čęstь.
trova dopo una lingua slava ad
labiale, a meno che aver mantenuto le
questa non sia a vocali nasali (oltre
sua volta al casciubo e al
preceduta da una sorabo), si è
consonante. trasformato in ę,
L’apostrofo indica ma si può

41
che la labiale che la incontrare anche
precede non è ą.
iodizzata, mentre
la vocale я
rappresenta un
dittongo.

Gruppo ъl Lo jer ha dato In ceco e in In serbo-croato si


come esito la slovacco, nella ha la vocale u, il
vocale о in tutte le maggior parte dei macedone si
tre lingue, mentre casi si ha la l comporta come il
la l è diventata, in sillabica, mentre in russo, il bulgaro ha
russo, in ucraino e polacco abbiamo il ъл.
in bielorusso, nesso ół.
rispettivamente л,
в e ў.

Presenza della l Esiste. Non esiste. Non esiste.


postlabiale Tuttavia, in ceco, il
nesso mě viene
pronunciato mně.

Metatesi delle In ucraino si ha - In polacco si ha ło, Tutte le lingue


liquide оло-, -оро-, che mentre in ceco e in slave meridionali
esiste anche in slovacco si ha la. condividono la
russo nonostante i grafia -la-, scritta -
nessi -ла-, -ра- ла- nella versione
siano abbastanza cirillica.
frequenti (a volte
c’è una differenza
di significato:
глава “capitolo”
vs. голова “testa”,

42
altre volte le
varianti con -ла-, -
ра- sono
antiquate: ad
esempio,
гражданин
“cittadino” viene
da град “città”,
nonostante oggi si
dica город. In
bielorusso, la -о- se
atona diventa -а-.

3. Sistema verbale

3.1. Sistema verbale nella lingua proto-slava

Il sistema verbale slavo si reggeva sui seguenti parametri: tempo (presente, passato o
futuro), aspetto (perfettivo o imperfettivo), persona (prima, seconda o terza), e
numero (singolare, duale o plurale). C’erano poi forme nominali, come il supino e il
participio (che è dodtao anche della categoria del genere, maschile, femminile o
neutro), mentre la “forma zero”, conosciuta come infinito (o “forma indeterminata”),
finiva in -ti (possibile rimando a un antico dativo singolare33), ad esempio: *molviti
(parlare), *pisati (scrivere), *spati (dormire), ed era invariabile, come anche il supino,
mentre il sostantivo verbale veniva declinato come un sostantivo normale. La

33
N. Marcialis, op. cit., p. 196

43
categoria del modo e della diatesi, invece, non è chiaramente espressa.34
La distinzione tra perfettivo e imperfettivo non è tipica della lingua italiana, pertanto
va chiarita: l’aspetto perfettivo indica che l’azione è stata compiuta, mentre quello
imperfettivo indica che è ancora in corso di svolgimento oppure è stata interrotta.
Quindi si può dire che in italiano l’imperfetto è un tempo imperfettivo mentre il
passato è un tempo perfettivo. Il passaggio dall’aspetto imperfettivo a quello
imperfettivo (e viceversa) avveniva ora con l’aggiunta di un prefisso, ora con
l’inserzione o il cambio di un suffisso (di solito a, ma anche ě, ua oppure oua), e anche
oggi si ha questa situazione nella maggior parte delle lingue slave. Si ha anche l’aspetto
stativo (che, come dice il nome, indica uno stato), frequentativo (che indica un’azione
che si ripete) e fattitivo (che indica un’azione fatta fare a qualcuno o qualcos’altro)35.
Ci sono due coniugazioni: la prima ha l’infinito in -ati e l’altra ha l’infinito in -ěti -iti, ma
la coniugazione cui appartiene un verbo non dipende tanto dall’infinito, quanto dalle
desinenze personali.
È possibile dividere i verbi slavi in due gruppi: quelli atematici e quelli tematici.
I verbi atematici sono *dati (dare), *jesti (mangiare), *věděti (sapere) e *byti (essere).
È atematica anche la prima persona del verbo *imati (avere), che fa *imamĭ.
Invece, quelli tematici si possono dividere in quattro gruppi, ognuno dei quali può a
sua volta dividersi in sottogruppi. Di solito si indica con un numero romano seguito da
una lettera minuscola dell’alfabeto.
Il gruppo I ha vocale tematica e oppure o, e il suffisso dell’infinito è -a- oppure non si
ha proprio.

⚫ Il sottogruppo Ia non è produttivo e include solo pochi verbi. Si tratta di: verbi con
radice in occlusiva o fricativa, che presentano assimilazione, dissimilazione o
caduta della consonante radicale, come nel caso di *vesti (condurre), che alla
prima persona singolare del presente diventa *vedu, in caso di alternanza vocalica

34
N. Marcalis, op. cit., p. 161

35
N. Marcialis, op. cit., p. 157

44
radicale, si ha anche apofonia radicale36; verbi con radice in liquida o nasale, che
non presentano alternanza vocalica radicale, ma si caratterizzano per metatesi
delle liquide, formazione di vocali nasali e monottongazione di dittonghi (si tratta
di verbi primitivi durativi); e infine, verbi irregolari come *sěsti, *iti, *žiti.

⚫ Il sottogruppo Ib ha sempre il tema dell’infinito bisillabo. Nell’infinito compare il


suffisso -a-, che non si ha nel tema del presente. Si tratta di verbi primitivi durativi.
A questo gruppo appartengono: verbi con radice in -r, -n e alternanza vocalica
radicale; verbi con radice in -ĭ; verbi con apofonia radicale i/ěj; e infine verbi come
*zŭvati (chiamare)-

I verbi del gruppo II sono quasi tutti non durativi e molti di essi sono controparti
perfettive di verbi imperfettivi. Sono caratterizzati dal suffisso -nǫ-, che
occasionalmente si alterna con -nu-.

⚫ Il verbi del gruppo IIa hanno la radice in consonante. Possono mantenere oppure
perdere il suffisso, ma l’aoristo, il participio passato e il sostantivo verbale si
formano senza.

⚫ I verbi del gruppo IIb hanno la radice in vocale. Conservano sempre il suffisso,
l’unica eccezione è *stati (diventare), che alla prima persona singolare del
presente e dell’aoristo fa rispettivamente *stanǫ e *staxŭ.

Il gruppo III è, forse, il gruppo più produttivo e numeroso. Viene diviso in due
sottogruppi:

⚫ Il sottogruppo IIIa è a sua volta diviso in due sottotipi: del sottotipo IIIa1 fanno
parte i verbi *mlěti (macinare), *klati (sgozzare), *brati (lottare), *žati (mietere) e
*obrěsti (trovare). Questi verbi sembrano appartenere alla classe Ia, ma in realtà
seguono la I coniugazione. Allo stesso sottotipo appartengono anche verbi
primitivi con radice in vocale e tema dell’infinito coincidente con la radice. Del
sottotipo IIIa, invece, fanno parte verbi derivati, che presentano il suffisso -ě- (che

36 Per apofonia si intende, nella linguistica tradizione, il cambio di vocale tra una forma e un’altra. Lo
stesso fenomeno si può indicare anche con la parola tedesca ablaut ed è riscontrabile, per esempio, in
alcuni verbi inglesi, come drink-drank-drunk.

45
serve a formare verbi denominali come *uměti “essere capace”, da *umŭ
“mente”), -a- (che serve a formare verbi denominali come *dělati “fare”, da *dělo
“affare”) oppure -va- (che serve a formare varianti frequentative di verbi
imperfettivi e quelle imperfettive di verbi perfettivi senza allungamento della
vocale radice; tale allungamento si ha invece nel caso di verbi con il suffisso -a-).

⚫ I verbi del gruppo IIIb sono tutti accomunati dal fatto di fomare l’infinito con il
suffisso -a- e perderlo nel presente. In particolare, si tratta di: verbi con radice in
occlusiva o fricativa come *glagolati “parlare” oppure *sŭlati “mandare”; radici
con apofonica radicale; verbi del tipo *kajęti sę “pentirsi”; e infine verbi
denominali con il suffisso -ova, quest’ultimo sottotipo l’unico abbastanza
produttivo.

Anche il gruppo IV è piuttosto produttivo.

⚫ Il sottogruppo IVa comprende i verbi fattitivi, frequentativi e denominali, che


hanno -i- come suffisso dell’infinito. Tuttavia, la formazione di fattitivi e
frequentativi tramite questo suffisso non è produttiva, al contrario di denominali.

⚫ Il sottogruppo IVb comprende i verbi primitivi il cui tema dell’infinito si forma con
il suffisso -ě- oppure -’a- (ossia a preceduta da una consonante iodizzata) e quello
del presente con il suffisso -i-. Dello stesso sottogruppo fa parte anche il verbo
*bojati sę “temere”, nonché i verbi *xotěti “volere” e *dovŭlęti “bastare”, che
hanno coniugazione mista.37

Si hanno due tipi di desinenze: quelle primarie e quelle secondarie.

⚫ Le desinenze primarie servono a formare il tempo presente. Esse sono: nel


singolare, -an (-mĭ per i verbi atematici), -ši (-si per i verbi tematici), -tŭ; nel duale,
-ve, -ta, -te; nel plurale, -mŭ, -te, -ntŭ.

37
N. Marcialis, op. cit., pp. 165-169

46
⚫ Le desinenze secondarie servono a formare l’imperfetto, l’aoristo e l’imperativo.
Nel singolare sono -m, -s, -t, mentre nel duale e nel plurale coincidono con quelle
primarie.38

Il tema del presente si forma con la vocale ě (o nella prima persona singolare e nella
terza persona plurale) nei verbi della prima coniugazione, mentre nei verbi della
seconda coniugazione si forma con la vocale i. A volte la vocale tematica della prima
coniugazione può essere preceduta dalla consonante n oppure j. Queste vocali
tematiche compaiono anche nei tempi passati, ma in quel caso sia la prima persona
duale sia la prima persona plurale hanno o anziché e39.
Ci sono vari tempi passati. Uno dei più utilizzati è l’aoristo, che indica un’azione già
compiuta, ma può anche avere valore del tempo presente, e in questo caso indica un
fatto generalmente vero. Ci sono due tipi di aoristo: quello forte e quello debole.
L’aoristo forte, a sua volta, poteva essere atematico oppure tematico. Quello
atematico si usava come versione non durativa del presente e si formava aggiungendo
alla radice dei verbi non durativi le desinanze secondarie, che nel singolare erano -n, -
s, -t, rispettivamente per la prima, seconda e terza persona, mentre nel duale e nel
plurale coincidevano con quelle primarie. È attestato solo nella seconda e nella terza
persona singolare di verbi come dati, jesti e byti, nonché alcuni verbi del sottogruppo
Ia: viti (torcere), piti (bere), pěti (cantare), načati (iniziare) e altri; nelle altre persone
questi verbi hanno le desinenze dell’aoristo sigmatico (da sigma, nome greco della
consonante s, che compare nella desinenza, alternandosi con la x 40 ). Per contro,
l’aoristo forte tematico si forma unendo la vocale tematica alle desinenze secondarie,
i verbi con il suffisso -nǫ lo perdevano.
L’imperfetto è un tempo di derivazione probabilmente dialettale, che risente di un
forte influsso da parte dell’aoristo sigmatico. La maggioranza dei verbi con il tema in -
a oppure -ě lo forma con il suffisso -ax. Se la vocale tematica è un’altra, al suffisso
viene anteposta la vocale -e (a volte -a).

38
N. Marcalis, op. cit., p. 162

39
N. Marcalis, op. cit., p. 163

40
Per seconda palatalizzazione.

47
L’aoristo sigmatico I (chiamato così per distinguerlo dall’aoristo sigmatico II, che
troviamo in epoca più tarda) si forma dai verbi durativi del gruppo Ia, aggiungendo alla
consonante radicale il suffisso *s (al quale a sua volta viene aggiunta la vocale *o nella
prima persona dei tre numeri) e le desinenze secondarie. All’inizio, questo tipo di
aoristo era limitato a verbi con radice in fricativa, sonante41 oppure occlusiva, ma
successivamente si estese anche ad altri verbi, durativi e non, e alla fine a tutti i verbi
che presentino una vocale nel tema dell’infinito.
L’aoristo sigmatico II viene ottenuto aggiungendo il suffisso -s/-x all’aoristo forte
tematico (che non ce l’ha), preceduto dalla vocale o. Questo è l’unico aoristo che
risulta produttivo.42
L’imperfetto è un tempo di origine probabilmente dialettale, che risente di un forte
influsso da parte dell’aoristo sigmatico. Viene formato con il suffisso -ax se il tema
dell’infinito esce in -a oppure -ě o in -eax se questa situazione non si verifica oppure si
verifica in seguito a cambiamenti come la metatesi, la monottongazione oppure la
formazione di vocali nasali. Nel caso dei verbi del gruppo IVa, aventi il tema in -i-, il
loro imperfetto è lo stesso dei loro corrispondenti frequentativi. Il verbo *biti (essere)
forma l’imperfetto con la radice *bě.43
I participi si comportano come gli aggettivi, ossia sono dotati della categoria del caso,
del genere e del numero. Si possono quindi considerare una via di mezzo tra il verbo
e l’aggettivo. In protoslavo, il participio può essere presente o passato, attivo o passivo;
esiste anche il participio perfetto, per un totale di cinque tipi.
Il participio presente attivo si forma aggiungendo al tema del presente in suffisso -nt-
(ereditato dai casi obliqui del latino), con vocale tematica o (alla quale può essere
anteposta la consonante n oppure j, in quest’ultimo caso la vocale viene sostituita con
e) per i verbi atematici e quelli della prima coniugazione, i per quelli della seconda.
Dove il suffisso -nt- viene seguito da una vocale, la consonante t si iodizza.44

41
Nello studio delle fonetiche slave, una consonante sonante o sonorante è una consonante sonora
non dotata di corrispettivo sordo.

42
N. Marcialis., op. cit., pp. 177-184

43
N. Marcialis, op. cit., pp. 184-185

44
N. Marcialis, op. cit., pp. 187-188

48
Il participio presente passivo viene formato dal tema del presente tramite il suffisso -
m- Le vocali tematiche sono le stesse del participio presente attivo.45
Il participio presente passivo viene formato tramite l’aggiunta del suffisso -m al tema
del presente; per il resto è come il participio presente attivo, compresa la comparsa
della semiconsonante j prima di vocale.46
Il participio passato attivo si forma con il suffisso -ŭs se il verbo appartiene al
sottogruppo Ia o IIa. Se il tema dell’infinito esce in vocale, tra detto tema e il suffisso
viene inserita una -u. Come per i participi presenti, nella coniugazione la consonante
del suffisso si iodizza prima di una vocale.47
Il participio passato passivo si forma tramite le consonanti t (per i verbi del
sottogruppo Ia aventi infinito monosillabo) oppure n (con il tema dell’infinito in -a
oppure -ě), seguite dalle vocali tematiche. I verbi del sottogruppo Ia e dei gruppi II e
IV hanno -en; quelli del sottotipo IIIa1 possono formare il participio passato passivo
indifferentemente con -n (dal tema dell’infinito) e in -en (dal tema del presente)48.
Il participio perfetto viene formato dal tema dell’infinito con il suffisso -l. Non ha
valore autonomo, ma si usa solo in funzione predicativa al nominativo; serve inoltre a
formare i tempi composti49.
Questi tempi sono: il perfetto, il piuccheperfetto (che può corrispondere, in italiano,
al trapassato prossimo oppure indicare un’azione che di fatto non è mai avvenuta,
anche se avrebbe dovuto) e il futuro anteriore. Si formano coniugando l’ausiliare *byti,
rispettivamente, al presente, imperfetto (piuccheperfetto I), perfetto
(piuccheperfetto II) e futuro; il verbo principale, invece, assume la forma del participio
perfetto50.
A differenza dell’italiano, il condizionale, in protoslavo, non è propriamente un modo:

45
N. Marcialis., op. cit., pp. 190-191

46
N. Marcalis., op. cit., pp. 190

47
N. Marcialis, op. cit., pp. 189-190

48
N. Marcialis., op. cit., pp. 191-192

49
N. Marcialis., op. cit., pp. 192-193

50
N. Marcialis., op. cit., p. 194

49
non si hanno, cioè, suffissi e desinenze per esprimerlo. Viene formato tramite
l’ausiliare byti, in un tempo fuori uso, che risale forse all’antico ottativo: *bimĭ, *bi,
*bi, *bimǫ, *biste, *bǫ51 (le ultime tre valgono sia per il duale sia per il plurale), che
successivamente si sono fuse con quelle dell’aoristo; a queste forme viene aggiunto il
participio perfetto. Può corrispondere, in italiano, tanto al condizionale quando al
congiuntivo52, come anche per il congiuntivo latino.
L’imperativo deriva dall’ottatito indoeuropeo e si forma dal tema del presente tramite
le desinenze secondarie. I verbi tematici aggiungono alla vocale tematica del presente
il suffisso -i-, ereditato, appunto, dall’ottativo. Questo suffisso viene aggiunto anche
nei verbi atematici tranne la seconda e la terza persona singolare, dove si ha invece -
jĭ.
Il verbo byti ha, nell’imperativo, la radice bǫd- (come nel futuro), e si declina così:
*bǫděmĭ, *bǫdi, *bǫdi, *bǫděvě, *bǫděta, *bǫděte, *bǫděmǫ, *bǫděte, *bǫdǫ.
In ogni modo, le uniche forme attestate nei testi e nei codici sono la seconda persona,
singolare, duale e plurale, mentre le altre venivano sostituite con la congiunzione *da
(traducibile con “che”) seguita dal presente indicativo (formando così una perifrasi
esortativa).
In protoslavo esiste anche il cosiddetto supino, oggi perso nella maggior parte delle
lingue slave (eccettuando quella slovena). In origine era un nome; rispetto all’infinito,
finisce in -tŭ (possibile rimandato a un antico accusativo singolare) e indica lo scopo di
un’azione53.
L’infinito in -ti è solo quello che dipende da un altro verbo. Dove in italiano si usa
l’infinito sostantivato, in protoslavo si può avere la particella *ježe oppure un
sostantivo deverbale; quest’ultimo viene formato dal participio passato passivo
tramite la iodizzazione della consonante formante del participio e il suffisso -j-. Molti
sostantivi deverbali vengono utilizzati come sostantivi veri e propri, ad esempio da
*znati “sapere, conoscere” si ha *znanĭje, che significa “conoscenza”.

51
Cfr., per esempio, l’utilizzo dell’ausiliare would per formare il condizione nella lingua inglese.

52
N. Marcialis, op. cit., p. 154

53
Corrisponde, dunque, al supino attivo latino.

50
3.2. Sistema verbale nelle lingue slave moderne

Nelle grammatiche delle lingue slave moderne, la suddivisione in gruppi e sottogruppi


vista sopra di solito non viene utilizzata. Tuttavia, noi la adopereremo ove lo riteniamo
conveniente per scopi illustrativi.

3.2. Morfologia verbale nelle lingue moderne

3.2.1. Morfologia verbale nella lingua russa

In russo, l’infinito della maggior parte dei verbi finisce in -ть (-t’); l’infinito in -ти (-ti)
è ormai desueto, cioè si può trovare solo nei testi antichi; se si usa adesso, è al solo
scopo di dare al proprio discorso una connotazione patetica oppure ironica. Ci sono,
tuttavia, alcuni verbi che finiscono in -ти (-ti), quali: везти (vezti, trasportare), вести
(vesti, condurre), войти (vojti, entrare), идти (idti, andare), мести (mesti, spazzare),
нести (nesti, portare), прийти (prijti, venire), спасти (salvare), уйти (ujti,
andarsene). Tutti questi verbi hanno l’accento sul suffisso dell’infinito e quindi
sull’ultima sillaba. C’è inoltre, un limitato elenco di verbi che ha invece l’infinito in -чь
(-č’), ossia: беречь (bereč’, custodire), жечь (žec’, bruciare), извлечь (izvleč’, estrarre),
лечь (leč’, coricarsi), мочь (moč’, potere), отвлечь (otvleč’, distrarre), печь (peč’,
cuocere), сечь (seč’, tagliare), стричь (strič’, tagliare i capelli), увлечься54 (uvleč’sja,
“essere talmente preso da un’attività senza quasi accorgersi di nient’altro”). Se si
guardano le coniugazioni di questi verbi, diventa piuttosto evidente che la ч è in realtà
una fusione della velare к oppure г con la т. Sia i verbi del primo elenco sia i verbi del
secondo elenco fanno parte del sottogruppo Ia.
Per quanto riguarda la vocale che precede il suffisso -ть (oppure -чь), la situazione
generale è la seguente: se tale vocale è а, о oppure у, allora si tratta di un verbo della

54
-ся (-sja) è la particella riflessiva, che nelle lingue slave è sempre la stessa, indipendentemente
dalla persona e dal numero. In questo lavoro non verrà trattata ma solo citata quale parte di alcuni
esempi, pertanto basti sapere che la vocale è, in tutte le lingue, l’esito dello jus piccolo (anche se in
russo sempre, e in ucraino talvolta, la particella da -ся diventa -сь dopo una vocale, mientre in
bielorusso i verbi riflessivi finiscono in -цца (-cca), dove la prima ц è, come vedremo in seguito, quella
dell’infinito normale e la seconda è un’assimilazione della с, e la grafia della vocale а invece che я è
dovuta al fatto che quest’ultima non è ammessa in bielorusso dopo la consonante ц) e che in tutte le
lingue slave, tranne quelle orientali, la particella si scrive separata dal verbo (quindi si può mettere
prima oppure dopo).

51
prima coniugazione; se, invece, la vocale è е oppure и, allora il verbo appartiene alla
seconda coniugazione. Tuttavia, non è la vocale che precede il suffisso dell’infinito,
bensì le desinenze al presente, a stabilire a quale coinugazione appartiene un verbo.
Tali desinenze sono55:

⚫ per la prima coniugazione, -у56, -ешь57, -ет, -ем, -ете, -ут;

⚫ per la seconda coniugazione, -у, -ишь, -ит, -им, -ите, -ат58.

Prendiamo, ad esempio, il verbo спать (spat’, dormire), un verbo del gruppo IVb.
Avendo la vocale а prima del suffisso -ть, sembra appartenere alla prima
coniugazione (cfr. il verbo знать, znat’ “sapere, conoscere”, che si coniuga così: я
знаю, ты знаешь 59 etc.). Tuttavia, se si guarda la sua coniugazione al presente,
diventa chiaro che è, in realtà, un verbo della seconda coniugazione: я сплю60, ты
спишь etc.
La consonante in cui esce il tema può, poi, subire un’alternanza. In particolare:

⚫ La consonante с diventa, per terza palatalizzazione, ш. Ad esempio, il verbo del


sottotipo IIIb3 писать (pisat’, scrivere) si coniuga così: я пишу, ты пишешь, ecc.

55
Come abbiamo già detto, l’unica lingua ad aver conservato il numero duale è lo sloveno. Quindi,
per tutte le altre lingue, verranno elencate, per ogni tempo, sei desinenze anziché nove.

56
La vocale у diventa ю se la consonante che la precede si iodizza, a meno che tale consonante non
sia ч oppure щ. Questo vale sia per la prima persona singolare delle due coniugazioni, sia per la
terza persona plurale della prima coniugazione.

57
La vocale е diventa ё se accentata. Questo vale per tutte le persone la cui desinenza inizia con
questa vocale.

58
La vocale а diventa я se la consonante precedente si iodizza, a meno che tale consonante non sia ч
oppure щ.

59
Qui e in seguito, per semplicità, i paradigmi verbali non verranno traslitterati.

60
Da notare la l postlabiale prima della desinenza. Essa non compare in nessun’altra voce ed è
presente, ad esempio, anche nel verbo любить (ljubit’, amare), che è chiaramente un verbo della
seconda coniugazione, oltre che un verbo del sottogruppo IVa: я люблю, ты любишь etc; nonché nel
verbo del sottogruppo IVb терпеть (terpet’, sopportare): я терплю, ты перпишь etc.

52
⚫ La consonante к, per lo stesso motivo, diventa ч. Ad esempio, il verbo del
sottotipo IIIa3 плакать (plakat’, piangere) si coniuga così: я плачу, ты плачешь,
etc.

Esistono anche verbi in cui l’alternanza non riguarda tutte le persone: ad esempio, nel
verbo del sottogruppo IVa платить (platit’, pagare), alla prima persona singolare, la
consonante т diventa ч: я плачу61; nelle altre viene invece mantenuta intatta: ты
платишь, он платит ecc. Lo stesso succede anche con il verbo лететь (letet’,
volare), che appartiene al sottogruppo IVb: я лечу, ma ты летишь, он летит etc.
Sempre del sottogruppo IVb fa parte il verbo хотеть (hotet’, volere), che subisce la
trasformazione della consonante т in ч nel singolare mentre nel plurale non la subisce:
я хочу, ты хочешь, он, она, оно хочет, мы хотим, вы хотите, они хотят62.
Se il tema finisce in postlabiale, allora alla prima persona singolare viene aggiunta la
consonante л. Ad esempio, l verbo della prima coniugazione любить (ljubit, “volere
bene”) fa я люблю, ты любишь, он, она, оно любит ecc.
Il verbo жечь (žeč’, bruciare) ha la vocale г nella prima persona singolare e nella terza
persona plurale e ж nelle altre (seguita da ё): я жгу, ты жжёшь, он, она, оно жжёт,
мы жжём, вы жжёте, они жжут63. Si comporta allo stesso modo il verbo печь (peč’,
“farcire”): я пеку, ты печёшь, он, она, оно печёт, мы печём, вы печёте, они
пекут, mentre il verbo лечь (leč’, coricarsi) presenta anche il cambio della vocale e
pertanto si ha я лягу, ты ляжешь, он, она, оно ляжет, мы ляжем, вы ляжете,
они лягут.
I verbi in -овать appartengono alla prima coniugazione e hanno la pecularità di
cambiare il suffisso -ов- in -у-. Ad esempio, существовать (suščestvovat’, esistere)

61
Da notare come questa forma sia, almeno nello scritto, uguale a quella analoga del verbo плакать
(plakat’). Per evitare confusione, “piango” si dice con l’accento sulla vocale а, mentre “pago” si dice
con l’accento sulla vocale у (e quindi sulla desinenza), anche se nelle altre voci, dove il rischio di
confusione viene meno, ritorna l’accento sulla а.

62
Хотеть può essere pertanto considerato un verbo di coniugazione mista, nel senso che al
singolare assume le terminazioni della prima coniugazione mentre al plurale assume quelle della
seconda.

63
Da notare la perdita della vocale е, che si ha anche nel caso, per esempio, del verbo тереть
(teret’, strofinare), del sottogruppo IVb: я тру, ты трёшь e così via.

53
si coniuga così: я существую, ты существуешь, он, она, оно существует, мы
существуем, вы существуете, они существуют.
Il verbo идти (idti, andare) appartiene alla prima coniugazione e al sottogruppo Ia ed
ha la particolarità di conservare la consonante д: я иду, ты идёшь ecc.
I verbi in -ить, ossia: бить (bit’, battere), вить (vit’, torcere), пить (pit’, bere), шить
(šit’, cucire), appartengono anch’essi alla prima coniugazione e al sottogruppo Ia. Essi
contraggono la и in ь: я бью, ты бьёшь, e così via. Fa eccezione solo il verbo жить
(žit’, vivere), che conserva la vocale e inserisce una в tra quest’ultima e la desinenza:
я живу, ты живёшь ecc., comportandosi dunque come il verbo плыть (plyt’,
nuotare), mentre il verbo ныть (nyt’, piagnucolare) fa così: я ною, ты ноешь, он
ноет ecc.
Il verbo давать (davat’, dare), verbo della prima coniugazione e del sottitipo IIIa2,
perde il suffisso -ва-: я даю, ты даёшь ecc.
Il verbo atematico есть (jest’, mangiare) si coniuga così: я ем, ты ешь, он, она, оно
ест, мы едим, вы едите, они едят.
Il verbo быть (byt’, essere) ha la stessa forma in tutte le persone del presente: есть.
Tale forma, però, viene normalmente omessa, ad esempio, per dire “Alisa è una
commessa”, un russo non dirà Алиса есть продавщица (Alisa jest’ prodavščica) bensì
Алиса продавщица (Alisa prodavščica); nello scritto si può inserire una linea tra i due
elementi: Алиса — продавщица. La forma есть viene altresì utilizzata per indicare
una cosa presente in un certo luogo o posseduta da una certa persona, con l’accento
posto su tale cosa, ad esempio В этой коробке есть много яблок (V etoj korobke
jest’ mnogo jablok, “In questa scatola ci sono molte mele”) oppure У Димы есть две
дочери (U Dimy jest dve dočeri, “Dima ha due figlie”64).
Nella lingua russa non si fa più distinzione tra i vari tipi del passato tipici di quella
protoslava. L’unico passato che si utilizza è quello che ha la forma dell’antico participio
perfetto (o in altre parole, dell’antico perfetto/imperfetto senza l’ausiliare essere65),
in altre parole si forma dall’infinito sostituendo -ть con -л, senza tenere conto né della

64
Letteralmente si avrebbe: “Presso Dima ci sono due figlie”.

65
Quest’osservazione è importante, perché nelle lingue slave occidentali e meridionali la forma in -l
viene considerata participio perfetto a tutti gli effetti.

54
coniugazione né del gruppo: летать (letat’, “volare abitualmente”) -> я, ты, он
летал, спать (spat’, dormire) -> я, ты, он спал, хотеть (hotet’, volere) -> я, ты,
он хотел.
Al femminile singolare viene aggiunta una а: я, ты, она летала, спала, хотела.
Al neutro singolare viene aggiunga una о: оно летало, спало, хотело.
Al plurale viene aggiunta una и: мы, вы, они летали, спали, хотели.
Se l’infinito ha il suffisso -ти preceduto da una consonante, allora viene
semplicemente tolto. Ad esempio il passato di нести (nesti, portare) è нёс (da notare
anche il cambio della vocale е in ё dovuto al fatto che la sillaba è accentuata, essendo
l’unica). La л, tuttavia, viene recuperata quando si aggiunge una vocale e pertanto la
coniugazione completa al passato è: я нёс, несла, ты нёс, несла, он нёс, она несла,
оно несло, мы несли, вы несли, они несли66. Della stessa natura è il verbo умереть
(umeret’, morire): умер, умерла, умерло, умерли. Il verbo идти (idti, andare) ha la
seguenti forme: шёл, шла, шло, шли; i verbi in -йти, che sono suoi composti, come
ad esempio войти (vojti, entrare), пойти (pojti, “andare da qualche parte”), прийти
(prijti, venire), уйти (ujti, “andare via”) si coniugano allo stesso modo. Il verbo упасть
(upast’, cadere) perdere la с e pertanto fa упал, упала, упало, упали. I verbi in -чь
finiscono, al passato, nella vocale che si era fusa con la т per ottenere la ч (quindi г
oppure к) e anch’essi recuperano la л quando viene aggiunta una vocale. Ad esempio,
лечь (leč’, coricarsi) ha le forme лёг, легла, легло, легли. Il verbo жечь (žeč’ bruciare)
ha inoltre la particolarità di perdere la vocale е (ё): жёг, жгла, жгло, жгли. I composti
di questo verbo che iniziano con un prefisso che termina in consonante, come
поджечь (podžeč’, “dar fuoco”) o сжечь (sžeč’, “bruciare completamente”)
aggiungono, per ragioni eufoniche, una о dopo il prefisso in tutte le forme del passato,
tranne il maschile singolare: поджёг, подожгла, подожгло, подожгли; сжёг,
сожгла, сожгло, сожгли.
Il verbo есть (jest’, mangiare) perde la с: ел, ела, ело, ели.
In russo ci sono due tipi di futuro: quello sintetico e quello analitico.

66
Come si può chiaramente intuire, in questo caso la vocale che viene aggiunta è accentata, cosa che
non succede nei primi tre verbi portati come esempi. In russo l’accento è mobile, e la sua posizione
non è un qualcosa che può essere ricavato da fattori conosciuti bensì deve essere memorizzata.

55
Il futuro sintetico è quello con valore perfettivo, e si ottiene dal presente. Ad esempio,
se il verbo смотреть (smotret’, “guardare”) al presente si coniuga così: я смотрю,
ты смотришь, он, она, оно смотрит, мы смотрим, вы смотрите, они
смотрят, il suo perfettivo посмотреть (posmotret’) si coniuga così: я посмотрю,
ты посмотришь e così via.
Per ragioni eufoniche, dopo il prefisso può essere aggiunta una о. Ad esempio,
тереть (teret’, strofinare) fa я тру, ты трёшь, он, она, оно трёт, мы трём, вы
трёте, они трут, mentre стереть (steret’, cancellare) fa я сотру, ты сотрёшь
ecc.
I verbi in -йти mantengono la й (che in questo senso può considerarsi una contrazione
della vocale и del verbo идти, dal quale derivano). Ad esempio, войти (vojti, entrare)
si coniuga così: я войду, ты войдёшь, он, она, оно войдёт, мы войдём, вы войдёте,
они войдут.
Il verbo умереть (umirat’ morire), della prima coniugazione, perde la е: я умру, ты
умрёшь, он, она, оно умрёт, мы умрём, вы умрёте, они умрут.
Il verbo принять (prinjat’, accogliere) appartiene alla seconda coniugazione e cambia
la н in м: я приму, ты примешь, он, она, оно примет etc.
Il verbo дать (dat’, dare), atematico, ha la seguente coniugazione al futuro: я дам,
ты дашь, он, она, оно даст, мы дадим, вы дадите, они дадут67.
Il futuro analitico, invece, è quello che ha valore imperfettivo: indica, cioè, un’azione
che si prolungherà nel tempo o si ripeterà regolarmente. Si forma coniugando al
futuro l’ausiliare быть (byt’, essere), così: я буду, ты будешь, он, она, оно будет,
мы будем, вы будете, они будут68; a tali forme viene aggiunto l’infinito del verbo.
Ad esempio, da ждать (ždat’, aspettare) si ha я буду ждать, ты будешь ждать
ecc.
Il condizionale si forma tramite la particella бы (by) a cui viene aggiunto il verbo,

67
Possiamo affemare, pertanto, che la coniugazione del verbo дать al futuro è analoga a quella del
verbo есть al presente, tranne per le seguenti particolarità: 1) Il verbo дать, rispetto a есть, non ha
la с nell’infinito, ma la recupera nella terza persona singolare; 2) La terza persona singolare del verbo
дать è дадут, con la vocale у tipica della prima coniugazione e quindi anomala rispetto alle due
persone (che infatti hanno и della seconda coniugazione); ciò non succede con il verbo есть.

68
Lo si può quindi considerare un verbo della prima coniugazione.

56
coniugando al passato. La particella può seguire il verbo o precederlo, ma non può
trovarsi all’inizio della frase. Prendiamo, ad esempio, il verbo сыграть 69 (sygrat’,
giocare, “prendere parte a una partita”): al condizionale fa сыграл бы, сыграло бы,
сыграла бы, сыграли бы.
L’imperativo ha solo due persone: la seconda singolare e la seconda plurale. Al tema
del presente (o del futuro, se il verbo è perfettivo) viene aggiunta la vocale и oppure
la semiconsonante й: ждать (ždat’, aspettare) -> жди, сказать (skazat’, dire) ->
скаж- -> скажи, петь (pet’, cantare) -> по- -> пой70. Nella seconda persona plurale,
viene aggiunta la desinenza -те: ждите, скажите, пойте.
Per tradurre la prima persona plurale dell’imperativo, in russo si può utilizzare la
perifrasi давайте + infinito oppure ricorrere alla prima persona plurale del futuro: ad
esempio, писать (pisat’, scrivere) -> давайте писать; написать (napisat’) ->
напишем. Per il verbo идти (idti, andare) si può utilizzare la forma идёмте (idjomte),
come anche per i suoi composti.
Il participio presente attivo si forma a partire della terza persona singolare del
presente: la consonante finale -т viene sosituita con -щ e a questa vengono aggiunte
le desinenze dell’aggettivo. Ad esempio: прыгать (prygat’, saltare) -> прыгают ->
прыгающий. Будущий (buduščij), per quanto sembri il participio presente attivo del
verbo быть (byt’, essere), è un aggettivo a tutti gli effetti, con il significato di futuro
(e la sua forma neutra, будущее “buduščeje”, è anche un sostantivo).
Il participio presente passivo si forma sostituendo alla desinenza della terza persona
plurale il suffisso -ем- (per la prima coniugazione) oppure -им- (per la seconda), al
quale vengono aggiunte poi le desinenze dell’aggettivo: читать (čitat’, leggere) ->
читают -> читаемый; платить (platit’, pagare) -> платят -> платимый. Il verbo
давать (davat’, dare) recupera il suffisso -ва- che aveva perso e pertanto il suo
participio presente passivo è даваемый e non даёмый.
Il participio passato attivo si forma sostituendo al suffisso -ть dell’infinito il suffisso -

69
L’imperfettivo è играть (igrat’) e la trasformazione di и in ы viene affettuata per evitare la
iodizzazione della consonante che la precede, ma tale fatto è irrilevante per coniugazione.

70
Invece la forma пей (pej), sebbene abbia la stessa vocale, è in realtà l’imperativo di пить (pit’,
bere). Tuttavia, anche questa forma non è immediata, dato che, al presente, il verbo пить ha il segno
ь.

57
вш-, al quale vengono poi aggiunte le desinenze dell’aggettivo, per esempio: сидеть
(sidet’, “stare seduto”) -> сидевший.
Se l’infinito finisce in -ти preceduta da consonante, la в scompare: везти (vezti,
trasportare) diventa вёзший. Due eccezioni: вести (vesti, condurre) diventa
ведший71 mentre идти (idti, andare) diventa шедший. Si comportano allo stesso
modo i loro composti.
Il participio passato passivo viene formato dai verbi perfettivi tramite i suffissi -нн-, -
енн- (-ённ-) se accentato oppure -т; a questi suffissi vengono poi aggiunte le
desinenze dell’aggettivo. Ad esempio, написать (napisat’, scrivere) -> написанный;
просмотреть (prosmotret’, guardare, “dare una breve occhiata”) ->
просмотренный; замкнуть (zamknut’, “chiudere a chiave”) -> замкнутый.
Tuttavia, bisogna distinguere i participi passati passivi con la doppia нн dai
corrispondenti aggettivi con la н semplice, dato che questi ultimi non hanno prefisso
e indicano uno stato e non un’azione. Ad esempio: варёное яйцо (varjonoje jajco) e
сваренное яйцо (svarennoje jajco) possono entrambi essere tradotti come “uovo
cotto”, ma il primo si riferisce allo stato corrente dell’uovo (cioè al suo essere cotto),
mentre il secondo pone l’accento sul fatto che qualcuno ha cotto l’uovo. Anche la
forma contratta (o predicativa) del participio passato passivo ha una sola н e quindi
“L’uovo è stato cotto” si dice Яйцо сварено (Jajco svareno).
I verbi russi hanno anche una forma sconosciuta al protoslavo, chiamata gerundio72.
Questa forma è invariabile.
Il gerundio presente, che in russo può essere solo imperfettivo, viene formato a partire
della terza persona singolare del presente, alla quale viene tolta la desinenza e
sostituita con il suffisso -я (oppure -а dove la vocale я non è ammessa). Ad esempio,
prendiamo il verbo мечтать (mečtat’, “sognare ad occhi aperti”): la terza persona
singolare del presente sarà мечтают, pertanto il gerundio presente sarà мечтая.

71
In questo caso, si può dire che il participio viene ottenuto dal tema del presente, che è appunto
вед-.

72
Se si prende a modello la grammatica latina, allora il termine “gerundio” è impreciso, dato che in
latino, il gerundio rappresentava il verbo sostantivato e pertanto da questo punto di vista, il gerundio,
ad esempio, di учить (učit’, imparare) dovrebbe essere учение. Ciò che noi qui chiamiamo gerundio
corrisponde al caso strumentale del gerundio latino.

58
Una nota sull’uso di alcuni gerundi: Хотя (hotja), per quanto formalmente si possa
considerare il gerundio presente del verbo хотеть (hotet’, volere), in realtà si usa
come congiunzione concessiva con il significato di “sebbene”, “nonostante”; un suo
sinonimo è la congiunzione несмотря (nesmotrja), che viene scritta come una sola
parola per distinguerla da не смотря, negazione di смотря, gerundio presente del
verbo смотреть (smotret’, guardare); tuttavia, anche смотря spesso si adopera con
il significato di “a seconda di”.
Il participio passato, sia quello perfettivo sia quello imperfettivo, viene formato a
partire dall’infinito: al suffisso -ть viene sostituito il suffisso -в: ad esempio, сказать
(skazat’, “dire”) -> сказав oppure приехать (prijehat’, “arrivare con un veicolo”) ->
приехав.
Se l’infinito finisce in -чь, allora il suffisso da utilizzare per il participio passato è -ши,
in quale viene aggiunto alla consonante (к oppure г) che si è unita con la -т. Ad
esempio, жечь (žeč’, bruciare) -> жёгший; печь (peč’, farcire) -> пёкший. Anche il
verbo идти (idti, andare) forma il gerundio passato allo stesso modo e cioè шедши.
Per i suoi composti, le forme пришедши, вошедши e altre sono ammesse, ma poco
usate: si preferisce formare questi gerundi come se fossero presenti, dunque si ha
придя e войдя.
I verbi riflessivi formano il gerundio passato con entrambi i suffissi -в- e -ши-, che
vanno entrambi proprio in quest’ordine e precedono la particella riflessiva -сь. Per
esempio, da проснуться (prosnutsja, “svegliarsi”) si ha проснувшись73.
Dove oggi il russo utilizza il gerundio, il protoslavo utilizzava il particio attivo (presente
oppure passato).
Il supino è, oggi, totalmente scomparso in russo, se con questo termine vogliamo
indicare una forma verbale; tuttavia, si può considerare tale l’infinito quando
rispondere alla domanda “per fare che cosa?”, come nella seguente frase:

73
Tutto sommato, si può anche derivare il gerundio passato dal nominativo maschile singolare
participio passato attivo, così: se l’infinito finisce in -чь oppure si tratta dal verbo идти (idti,
“andare”), allora viene tolta l’ultima lettera, й; questo accade anche con i verbi riflessivi, oltre alla
sostituzione della particella riflessiva -ся con la sua forma -сь; se si tratta di un composto del verbo
идти, allora il gerundio si forma come se fosse un gerundio presente; in tutti gli altri casi, vengono
tolte le ultime lettere ший. In effetti, alcuni libri della grammatica russa lo descrivono così; tuttavia, il
metodo da noi presentato ci sembra più preciso ed esaustivo.

59
Павел поехал в Мурманск навестить свою бабушку.
Pavel pojehal v Murmansk navestit’ svoju babušku.
Pavel è partito per Murmansk a visitare la propria nonna.
Prima dell’infinito utilizzato con questa funzione si può mettere la congiunzione
чтобы (čtob’, “per”), obbligatoria altresì nella forma negativa:
Вера закрыла окно, чтобы не слышать крики соседей.
Vera zakryla okno, čtoby ne slyšat’ kriki sosedej.
Vera ha chiuso la finestra per non sentire le grida dei vicini.

3.2.2. Morfologia verbale nella lingua ucraina


Forse per il fatto che entrambe sono lingue slave orientali, forse per la vicinanza
geografica, forse per il fatto che entrambe le lingue sono interconnesse per quanto
riguarda la storia della loro evoluzione, ma la morfologia verbale della lingua ucraina
è, per molti versi, simile a quella russa. Pertanto, nel fare un percorso della morfologia
verbale ucraina, verranno marcate le differenze con quella russa.
In ucraino, l’infinito dei verbi finisce con il suffisso -ти, che può essere accentato
oppure no, ad esempio спати (spaty, dormire) oppure тягти (tjahty, tirare). Come
in russo, i verbi possono essere perfettivi oppure imperfettivi.
Sempre come in russo, i verbi si possono dividere in due coniugazioni. Per determinare
a quale coniugazione appartiene un verbo in ucraino, lo si deve coniugare al presente.

⚫ le desinenze della prima coniugazione sono: -у74, -еш75, -е, -емо, -ете, -уть;

⚫ le desinenze della seconda coniugazione sono: -у, -иш76, -ить, -имо, -ите, -ать77.

74
Sia per i verbi della prima sia per quelli della seconda coniugazione, la vocale diventa ю dopo
un’altra vocale o dopo consonante iodizzata. Questo vale anche per la terza persona plurale dei verbi
della prima coniugazione.

75
La vocale diventa є dopo un’altra vocale o dopo consonante iodizzata. Questo vale anche per le
altre persone le cui desinenze iniziano con questa vocale.

76
La vocale diventa і dopo consonante iodizzata e ї dopo un’altra vocale. Questo vale anche per le
altre persone le cui desinenze iniziano con questa vocale.

77
La vocale diventa я dopo consonante iodizzata oppure dopo un’altra vocale.

60
Nella terza persona singolare dei verbi della prima coniugazione, sono state perdute
le lettere -ть (ad esempio il verbo чути čuty, sentire fa чує e non чуєть); tuttavia,
riappaiono nella forma riflessiva: ad esempio, per il verbo митися (mytysja, lavarsi) si
ha митися.
Sul presente vanno fatte alcune osservazioni. Innanzitutto bisogna menzionare le
alternanze consonantiche, dovute alla seconda e alla terza patalizzazione, come per
esempio in писати (pysati, scrivere): я пишу, ти пишеш, він, вона, воно пише, ми
пишемо, ви пишете, вони пишуть; oppure in un altro verbo della prima
coniugazione, quale хотіти (hotity, volere): я хочу, ти хочеш, він, вона, воно хоче
etc.
Nel verbo della seconda coniugazione платити (platyty, pagare), l’alternanza si ha
solo alla prima persona singolare: я плачу. Inoltre, nello stesso verbo il tema si iodizza
alla terza persona plurale: вони платять. Le altre persone invece sono regolari a tutti
gli effetti: ти платиш, він, вона, воно платить, ми платимо, ви платите. Allo
stesso modo si comporta anche il verbo просити (prosyty, “chiedere di fare”),
anch’esso appartenente alla seconda coniugazione: я прошу, ти просиш, він, вона,
воно просить, ми просимо, ви просите, вони просять.
Se il tema finisce in postlabiale, si aggiunge una л, ma solo alla prima persona singolare
e alla terza plurale: ad esempio, il verbo della seconda coniugazione любити (ljubyty,
“amare”) viene coniugato così: я люблю, ти любиш, він, вона, воно любить, ми
любимо, ви любите, вони люблять78.
Il verbo брати (braty, prendere), che appartiene alla prima coniugazione, inserisce
una е tra le prime due consonanti: я беру, ти береш, він, вона, воно бере, ми
беремо, ви берете, вони беруть.
Nel caso del verbo сипати (sypaty, versare), appartenente alla prima coniugazione,
la л compare in tutte le forme: я сиплю, ти сиплеш, він, вона, воно сипле, ми
сиплемо, ви сиплете, вони сиплять.
Il verbo молоти (moloty, macinare) appartiene alla prima coniugazione ed ha la
pecularità di cambiare la vocale о in е: я мелю, ти мелеш, він, вона, воно меле, ми
мелемо, ви мелете, вони мелять.

78
In altre parole, la consonante л è iodizzata.

61
Il verbo іти (ity, andare) si coniuga così: я йду79, ти йдеш, він іде, вона, воно йде,
ми йдемо, ви йдете, вони йдуть.
Il verbo гнати (hnaty, “far correre”), appartiene alla prima coniugazione ed ha la
particolarità di cambiare la г iniziale in ж:
Il verbo давати (davaty, dare), appartiene alla prima coniugazione e perde il suffisso
-ва-: я даю, ти даєш, він дає, ми даємо, ви даєте, вони дають.
Il verbo їсти (jisty, mangiare), atematico, si coniuga nel seguente modo: я їм, ти їси80,
він їсть, ми їмо, ви їсте, вони їдять81.
Infine, il verbo бути (buty, “essere”) ha al presente, in tutte le persone, la stessa
forma: є. Questa forma, tuttavia, viene solitamente omessa oppure sostituita con un
trattino; viene altresì usata nel significato di “c’è/ci sono”, per esempio:
В холодильнику є морква.
V holodyl’nyku je morkva.
Nel frigorifero c’è una carota.
La negazione del verbo є utilizzato in questo senso è немає (nemaje, “non c’è/non ci
sono”), scritto talvolta нема (nema) e distinto da не має, negazione di має, terza
persona singolare del verbo della prima coniugazione мати (avere).
Proprio come in russo, in ucraino esiste un solo tipo di passato se si guarda alla sua
formazione, oppure due se si guarda al significato nel contesto della frase. Infatti, sia
il passato perfettivo (che indica un’azione conclusa) oppure il passato imperfettivo
(che indica un’azione interrotta, ripetuta o mai messa in atto) si formano come l’antico
participio perfetto; tuttavia, l’ucraino ha, al maschile singolare, в anziché л. Ad
esempio, le forme del passato del verbo малювати (maljuvaty, “disegnare”) sono:
малював, малювала, малювало, малювали.

79
L’alternanza tra і e й, così come quella tra у e в, è abbastanza frequente nella lingua ucraina. Le due
varianti ortografiche non hanno nessuna differenza a livello semantico, ma viene preferita una
piuttosto che l’altra per ragioni eufoniche: cioè, si sceglie la vocale se prima c’è una consonante e la
semiconsonante se prima c’è una vocale: pertanto, sia la forma я іду sia la forma він йде, benché
accette dal punto di vista grammaticale, sono sconsigliate.

80
Da notare l’assenza della consonante ш alla fine.

81
Da notare come la consonante д compaia solo nella terza persona plurale, a differenza del russo
dove compare in tutte e tre le persone del plurale.

62
Se il suffisso -ти dell’infinito viene preceduto da una consonante, allora il passato si
ferma a questa consonante: ad esempio, il verbo пасти (pasty, “mandare al pascolo”)
fa così: пас, пасла, пасло, пасли. Allo stesso modo si comporta anche il verbo нести
(nesty, “portare”), che però ha anche la particolarità di cambiare la vocale е con і al
maschile singolare: ніс, несла, несло, несли.
Il verbo іти ha le seguenti forme: йшов, йшла, йшло, йшли.
Il futuro, in ucraino, può essere perfettivo oppure imperfettivo. Il futuro perfettivo è
la variante perfettiva del presente: ad esempio, se il verbo казати, della prima
coniugazione, si coniuga al presente я кажу, ти кажеш, він, вона, воно каже, ми
кажемо, ви кажете, вони кажуть, il suo perfettivo сказати, al futuro, si coniuga
così: я скажу, ти скажеш, він, вона, воно скаже, ми скажемо, ви скажете, вони
скажуть.
Il verbo взяти (vzjaty, “prendere”), perfettivo di брати, appartiene alla prima
coniugazione e ha le seguenti forme: я візьму, ти візьмеш, він, вона, воно візьме,
ми візьмемо, ви візьмете, вони візьмуть.
Il verbo дати, atematico, si coniuga così: я дам, ти даси, він дасть, ми дамо, ви
дасте, вони дадуть.
Il futuro imperfettivo ha due forme in ucraino: quella sintetica e quella analitica. Le
due forme sono intercambiabili a livello di significato, ma la loro formazione è
differente.
Il futuro imperfettivo sintetico si forma a partire dall’infinito, al quale vengono
aggiunte le forme del presente del verbo йняти (jnjaty, forma antiquata o letteraria
per брати, “prendere”)82, che appartiene alla prima coniugazione: я йму, ти ймеш,
він, вона, воно йме, ми ймемо, ви ймете, вони ймуть; nella formazione del futuro
imperfettivo sintetico, però, a tali forme viene tolta la й iniziale. L’accento tonico
rimane sempre sulla stessa sillaba dell’infinito.
Ad esempio, il verbo гуляти (huljaty, passeggiare), si coniuga così: я гулятиму, ти
гулятимеш, він, вона, воно гулятиме, ми гулятимемо, ви гулятимете, вони
гулятимуть.

82
Oggi questo verbo non si utilizza più nel linguaggio corrente, ma sopravvive nei suoi composti quali
прийняти (pryjnjaty, accettare, accogliere) oppure вийняти (vyjnjaty, estrarre).

63
Il futuro imperfettivo analitico viene formano coniugando al futuro il verbo ausiliare
бути (buty, lett. essere), che appartiene alla prima coniugazione: я буду, ти будеш,
він, вона, воно буде, ми будемо, ви будете, вони будуть. A queste forme viene
aggiunto poi l’infinito del verbo da coniugare.
Tra il futuro sintetico e quello analitico non ci sono differenze, sono intercambiabili,
pertanto “passeggeremo” si può dire sia гулятимемо sia будемо гуляти.
Il condizionale viene formato in modo analogo al futuro: al passato (perfettivo o
imperfettivo) si aggiunge la particella б (dopo una vocale) oppure би (dopo una
consonante). Questa particella può, indifferentemente, precedere o seguire il verbo,
ma non può trovarsi all’inizio della frase. Ad esempio, prendiamo il verbo сміятися
(smijatysja) “ridere”. Al passato, la sua forma singolare femminile è сміялася.
Aggiungendo la particella б, otteniamo сміялася б (lei riderebbe).
L’imperativo in ucraino, ha, rispetto al russo, anche la prima persona singolare (come
in italiano “andiamo!”). Viene formato dal tema della terza persona singolare del
presente, al quale vengono aggiunte le seguenti desinenze:

⚫ alla seconda persona singolare -и;

⚫ alla prima persona plurale -імо;

⚫ alla seconda persona plurale -іть.

Le vocali iniziali di queste desinenze sono accentate oppure seguono direttamente un


gruppo consonantico. Altrimenti cadono, e l’imperativo si forma così:

⚫ alla seconda persona singolare, la consonante finale del tema viene iodizzata, se
possibile;

⚫ alla prima persona plurale viene aggiunta la desinenza -мо;

⚫ alla seconda persona plurale viene aggiunta la desinenza -те.

Ad esempio, il verbo поставити (postavyty, “mettere”), che alla terza persona


singolare del presente fa поставить, nell’imperativo ha le seguenti forme: постав,
поставмо, поставте.
L’imperativo della terza persona (singolare e plurale) non esiste come voce verbale.

64
Per esprimerlo (con valore ottativo) si può ricorrere alle particelle хай (chaj) e нехай
(nechaj).
Il participio presente attivo viene formato a partire dalla terza persona plurale, alla
quale vengono tolte le ultime due lettere, -ть, e sostituite con il suffisso -ч-. Alla fine,
vengono aggiunte le desinenze dell’aggettivo. Come esempio, prendiamo il verbo
слухати (sluchaty, “ascoltare”). Si tratta di un verbo della prima coniugazione e
pertanto la terza persona plurale del presente è слухають; dunque, il participio
presente attivo sarà слухаючий (“ascoltante”, “che ascolta”).
A differenza del russo, in ucraino i participi presenti attivi sono pochi usati e
solitamente vengono sostituiti con frasi relative o altre perifrasi. Questo significa che,
ad esempio, per dire “l’uomo che vive di fronte a me è un macellaio”, si preferisce
esprimere così questa frase:

Чоловік, що живе напроти мене, м’ясник.


Čolovik, ščo žyve naproty mene, mjasnyk.

anziché così:

Чоловік, живучий напроти мене, м’ясник.


Čolovik, žyvučyj naproty mene, mjasnyk.

Ci sono parole come зрячий (zrjačyj), стоячий (stojačyj), лежачий (ležačyj) e altre,
che storicamente erano participi, ma adesso si utilizzano con puro valore
aggettivale83.
Il participio presente passivo viene formato a partire dall’infinito: viene tolto il
suffisso -ти-, che si sostituisce con il suffisso -н-; a questo poi vengono aggiunte le
desinenze dell’aggettivo. Si può formare solo da verbi imperfettivi.
Ad esempio, prendiamo il verbo порівнювати (porivnjuvaty, “comparare”). Il suo
participio presente passivo è порівнюваний.
Bisogna tuttavia osservare che, come succede per il participio presente attivo, il

83
La situazione, è, dunque, analoga a quella della lingua italiana, dove i participi presenti sono da
linguaggio burocratico, mentre nella lingua quotidiana vengono utilizzati come aggettivi oppure
sostantivi (cantante, corrente, ecc.)

65
participio presente passivo è pressoché inutilizzato in ucraino; si preferisce ricorrere
a frasi relative o altre perifrasi. Ad esempio, la frase “La carne venduta in questo
negozio è molto deliziosa” si dice

М’ясо, яке продається в цій крамниці, дуже смачне.


Mjaso, jake prodajet’sja v cij kramnyci, duže smačne.

anziché

М’ясо, продаване в цій крамниці, дуже смачне.


Mjaso, prodavane v cij kramnyci, duže smačne.

Un’alternativa, tipica della lingua parlata, è quella di mettere il verbo della subordinata
alla terza persona singolare (che in questo caso ha valore impersonale):

М’ясо, що його продають у цій крамниці, дуже смачне.


Mjaso, ščo joho prodajut’ u cij kramnyci, duže smačne.

Il participio passato attivo viene formato a partire dal tempo passato, al quale vengono
aggiunte le desinenze dell’aggettivo (alla consonante -л e non -в). Si può ottenere
solo dai verbi perfettivi.
Per esempio, il particio passato attivo del verbo почервоніти (počervonity, arrossire)
è почервонілий.
Nota: сталий (stalyj), pur essendo formalmente il particio passato attivo di стати
(staty, fermarsi), viene invece adoperato come un aggettivo con il significato di
“costante” (ad esempio, in senso matematico oppure economico).
Il participio passato passivo viene formato a partire dal tema del presente di verbi
perfettivi, tramite il suffisso -ут- oppure -ен-, al quale vengono poi aggiunte le
desinenze dell’infinito. Ad esempio, спекти (spekty, “cuocere nel forno”) ha come
participio passato passivo спечений (da notare anche l’alternanza к - ч, per seconda
palatalizzazione). Il verbo замкнути (zamknuty, “chiudere a chiave”) può fare sia
замкнений sia замкнутий, anche se la prima forma è più comune.
Nota: bisogna distringuere i participi dagli aggettivi. Ad esempio, mentre спечений
implica un’azione di cottura già avvenuta, печений, che sembra il participio
dell’imperfettivo пекти, è in realtà un aggettivo, ossia indica uno stato.

66
Il gerundio può essere presente oppure passato. Il gerundio presente si forma
togliendo al participio presente attivo l’ultima lettera й. Ad esempio, il verbo співати
(spivajučyj, cantare), il cui participio presente attivo è співаючий, al gerundio
presente farà співаючи.
Il gerundio passato viene formato aggiungendo il suffisso -ши al passato. Per esempio,
il verbo нести, avendo come passato ніс, al gerundio passato farà нісши.
A differenza del gerundio passato, il gerundio presente si può formare solo a partire
da verbi imperfettivi. Inoltre, entrambi i gerundi sono invariabili.
Il supino in quanto forma verbale non esiste nella lingua ucraina moderna; tuttavia,
si può considerare tale l’infinito nella frase

Він пішов до крамниці купити м’яса.


Vin pišov do kramnyci kupyty mjasa.
È andato al negozio a comprare della carne.

3.2.3. Morfologia verbale nella lingua polacca. INDICA in NOTA da DOVE PRENDI le
notizie sul polacco
In polacco, l’infinito dei verbi finisce di solito in -ć, ma tre verbi finiscono invece in c:
biec (correre), móc (potere) e żec (bruciare).
I verbi si suddividono in due coniugazioni e per stabilire a quale coniugazione
appartiene un verbo, occorre coniugarlo al presente:

⚫ i verbi della prima coniugazione hanno desinenze -m, -sz, -84, my, -cie, -ją; questo
è il modello seguito dalla maggior parte dei verbi in -ać oppure -ieć;

⚫ i verbi della seconda coniugazione hanno desinenza ę alla prima persona singolare
e ą alla terza plurale, mentre le desinenze delle altre persone sono uguali a quelle
della prima coniugazione.

Il verbo brać, della seconda coniugazione, è peculiare nelle sue forme: ja biorę, ty
bierzesz, on, ona, ono bierze, my bierzemy, wy bierzecie, oni85, one biorą. Sono, dunque,

84
Desinenza nulla.

85
Indica un gruppo di persone tutte di sesso maschile.

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due aspetti: nella coniugazione compare il dittongo io alla prima persona singolare e
alle terza plurale e ie in tutte le altre, e in queste persone r diventa rz.
Il verbo iść (andare) è della seconda coniugazione, e figura la consonante d che si
alterna al gruppo consonantico dzi (seguito da una vocale, la e, e quindi pronunciato
dź): ja idę, ty idziesz, on, ona, ono idzie, my idziemy, wy idziecie, oni, one idą.
Si possono trovare anche altre alternanze, ad esempio s - sz (come in pisać, scrivere).
Di solito i verbi in -kać appartengono alla prima coniugazione; tuttavia, płakać
(piangere) è della seconda, oltre a subire il cambio della consonante k in cz: ja płaczę,
ty płaczesz, on, ona, ono płacze, my płaczemy, wy płaczecie, oni, one płaczą. La prima
persona è diversa da quella del verbo płacić (pagare), che è regolare almeno a livello
ortografico: ja płacę.
Il verbo riflessivo bać się (temere) ha le desinenze della prima coniugazione, ma
bisogna prestare attenzione alle sue forme: ja boję się, ty boisz się, on, ona, ono boi
się, my boimy się, wy boicie się, oni, one boją się.
Il verbo chcieć, della seconda coniugazione, (volere) è della seconda coniugazione e la
consonante ci (che prima di una vocale vale ć) perde la iodizzazione e anche la
palatalizzazione: ja chcę, ty chcesz, on, ona, ono chce, my chcemy, wy chcecie, oni, one
chcą.
I tre verbi il cui infinito finisce in -c appartengono tutti alla seconda coniugazione e due
di essi sono accomunati da uno stesso fattore: l’alternanza consonantica g - ż, nonché
e come vocale tematica. Tuttavia, ciascuno di questi verbi riserva anche una
particolarità a sé:

⚫ il verbo móc cambia la ó (che si pronuncia “u” e si scrive così per ragioni
etimologiche) in o: ja mogę, ty możesz, on, ona może, my możemy, wy możecie,
oni, one mogą;

⚫ il verbo żec perde la consonante: ja żgę, ty żżesz, on żże, my żżemy, wy żżecie, oni,
one żgą.

Il verbo biec non subisce l’alternanza g - ż, ma prende il suffisso -n-, che si iodizza in
tutte le persone tranne la prima singolare e la terza plurale: ja biegnę, ty biegniesz, on,
ona, ono biegnie, my biegniemy, wy biegniecie, oni, one biegną.

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Il verbo mieć (avere), della prima coniugazione, è regolare (tranne il cambiamento del
dittongo ie nella vocale a, che avviene in tutte le persone). Tuttavia, la coniugazione
della terza persona singolare, nie ma, ha anche un’altro significato, quello di “non
c’è”/”non ci sono”, con il soggetto al gentivo86. Ad esempio, “non c’è tempo” si dice
nie ma czasu.
Il verbo jeść (mangiare) è atematico e si coniuga così: ja jem, ty jesz, on, ona, ono je,
my jemy, wy jecie, oni, one jedzą.
Questa è, infine, la coniugazione del verbo być “essere”: ja jestem, ty jesteś, on, ona,
ono jest, my jesteśmy, wy jesteście, oni, one są.
Anche il polacco ha un solo tempo passato (che viene formato ugualmente sia per i
verbi perfettivi sia per quelli imperfettivi), ma rispetto alle lingue slave, viene declinato
anche per persona. Viene formato a partire dal participio perfetto, che si forma
sostituendo il suffisso -ł al -ć dell’infinito. A questo, poi, vengono aggiunte le seguenti
desinenze, nel singolare:

⚫ al maschile, -em, -eś, -;

⚫ al femminile, -am, -aś, -a;

⚫ il neutro invece ha solo la terza persona, la cui desinenza è -o.

Al plurale viene altresì fatta un’altra distinzione:

⚫ le desinenze virili (che si hanno quando i soggetti sono tutti animati e tutti di
genere maschile) sono -iśmy, -iście, -i (avviene anche il cambio di ł in l, dovuto al
fatto che la consonante ł non può essere iodizzata);

⚫ le desinenze non-virili sono -yśmy, -yście, -y.

Non ci sono molte osservazioni da fare sul passato. Tuttavia, i tre verbi che hanno
l’infinito in -c (biec, móc, żec) ripristinano la consonante g (e quindi hanno gł), mentre
mieć cambia la vocale e in a (la m resta iodizzata), tranne le forme virili al plurale (che
quindi fanno my mieliśmy, wy mieliście, oni mieli).

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Al genitivo si usa anche il complemento oggetto di un verbo coniugato nella forma negativa,
mentre in quella affermativa si usa tradizionalmente l’accusativo.

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Il verbo iść ha la seguente particolarità: le forme maschili al singolare sono ja szedłem,
ty szedłeś, on szedł, ma nelle altre il tema si riduce a szł-. Per il resto la coniugazione è
regolare.
Come le altre lingue, il polacco ha due tempi per il futuro: uno è quello sintetico, che
ha valore perfettivo e viene ottenuto coniugando al presente i verbi perfettivi. In
questo rispetto andrebbe forse segnalato il verbo stać (diventare), che inserisce la
consonante n, iodizzata in tutte le persone tranne la prima singolare e la terza plurale
ed ha le desinenze della seconda coniugazione (il suo composto zostać, oltre al suo
significato principale di “restare”, viene adoperato nella forma passiva laddove le altre
lingue slave utilizzano il loro equivalente di “essere”), nonché l’atematico dać (dare),
che ha le seguenti forme: ja dam, ty dasz, on, ona, ono da, my damy, wy dacie, oni,
one dadzą.
L’altro tempo futuro, invece, è analitico ed ha valore imperfettivo. Si forma
coniugando al futuro l’ausiliare być, così: ja będę, ty będziesz, on, ona, ono będzie, my
będziemy, wy będziecie, oni, one będą. A queste forme poi si può aggiungere l’infinito
del verbo principale oppure il suo passato (che andrà sempre nella terza persona,
indipendentemente dal soggetto, per esempio la forma “io camminerò”, detta da una
ragazza, è ja będę chodziła e non ja będę chodziłam). Tre verbi modali, chcieć, musieć
e móc, nella formazione del futuro vanno sempre al passato, per evitare due infiniti
consecutivi.
Il condizionale si ottiene coniugando il verbo al passato (sempre nella terza persona,
indipendentemente dal soggetto, con il quale però la forma va concordata nelle altre
categorie), al quale vengono aggiunte, in posizione enclitica, le seguenti forme del
verbo być: ja bym, ty byś, on, ona, ono by, my byśmy, wy byście, oni, one by.
L’imperativo ha solo tre persone: la seconda singolare e le prime due plurali. La forma
dell’imperativo della seconda persona singolare non è altro che il tema del presente
del verbo per i verbi della seconda coniugazione, mentre per quelli della prima si
ottiene sostituendo il suffisso -ć dell’infinito con -j, come czytać (leggere) che diventa
czytaj. Alla prima e alla seconda persona plurali, vengono aggiunte rispettivamente le
desinenze -my e -cie.
Il verbo być ha le seguenti forme all’imperativo: bądź, bądźmy, bądźcie.
Le forme di cortesia, in polacco, sono: pan (rivolto a un uomo), pani (rivolto a una

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donna), panowie (rivolto a più uomini), panie (rivolto a più donne), państwo (rivolto a
un gruppo in cui sono presenti sia uomini che donne). Queste forme si utilizzano con
la terza persona, singolare o plurale (państwo prende la terza persona plurale, pur
essendo singolare come sostantivo) e quindi è necessario anche l’imperativo alla terza
persona. E si ottiene utilizzando la particella ottativa niech e coniugando il verbo al
presente o futuro (un po’ come succede in italiano, dove l’imperativo alla terza
persona viene espresso con il congiuntivo presente.
Il participio presente attivo si può formare solo a partire da verbi imperfettivi, e viene
ottenuto aggiungendo alla terza persona plurale del presente il suffisso -c- e le
desinenze aggettivali.
Il participio presente passivo si ottiene tramite il suffisso -n- e la desinenza aggettivale.
Il participio passato attivo si può formare solo per i verbi perfettivi, e si ottiene
togliendo il suffisso -ć all’infinito e sostituendolo con -wsz-, seguito dalla desinenza
aggettivale. Il participio passato attivo di pojść (andare) è poszedłszy, e gli altri
composti di iść si comportano allo stesso modo.
Il participio passato passivo anch’esso si ha solo per i verbi perfettivi, si forma tramite
i suffissi -n- oppure -t-, ai quali vengono poi aggiunte le desinenze dell’aggettivo. A
volte si hanno casi di alternanze vocaliche, ad esempio zamknąć (chiudere a chiave)
diventa zamknięty.
Il gerundio ha valore presente per i verbi imperfettivi e valore passato per quelli
perfettivi. Nel primo caso, si forma aggiungendo il suffisso -c alla terza persona
singolare del presente 87 , mentre nel secondo è rappresentato dal particio passato
attivo, lasciato sempre invariato, al nominativo maschile singolare.
Il supino come forma verbale è assente. Si rende con l’infinito preceduto dalla
particella żeby (per), come nel seguente esempio:

Michał poszedł do swojego przyjaciela, aby zwrócić mu książkę.


Michał andò da un suo amico per restituirgli il libro.

87
In altre parole, possiamo dire che il participio presente attivo si forma aggiungendo le desinenze
aggettivali al gerundio presente, oppure che il gerundio presente è il tema del particio presente
attivo.

71
3.2.4. Morfologia verbale nella lingua serbo-croataINDICA in nota da dove prendi le
norizie
Come sappiamo, il termine “serbo-croato” è una generalizzazione delle seguenti
lingue: serbo, croato, bosniaco e montenegrino. Tra queste quattro varietà si hanno
delle differenze, ma sono occasionali e pertanto possono semplicemente essere
indicate eventualmente, che è ciò che noi faremo. Inoltre, utilizzeremo la scrittura
latina, perché è condivisa da tutte le quattro varianti e quella cirillica non è utilizzata
nella variante croata.
In serbocroato, l’infinito dei verbi termina in -ti. Dovresti dire che in serbo, a differenza
del croato, non si usa quasi mai la forma dell’infinito, sostituito da una locuzione,
similmente al bulgaro e macedone. E’ un fatto di ‘lega linguistica balcanica’.Alcuni
verbi, invece, finiscono in -ći, ossia: ići (andare), leći (coricarsi), moći (potere), peći
(“cuocere nel forno”), reći “dire”, s(j)eči88 (tagliare).
Di solito, i verbi al presente hanno le seguenti desinenze: -m, -s, -, -mo, -te, -aju
(oppure -e se il suffisso -ti dell’infinito è preceduto da una vocale diversa da a; una
quantità limitata di verbi ha invece -u).
Il verbo brati (prendere) inserisce la vocale e nella coniugazione al presente: ja berem,
ti bereš, on, ona, ono bere, mi beremo, vi berete, oni beru. Una cosa simile succede nel
verbo mleti (macinare), che ha tema melj-.
I verbi a tema monosillabico inseriscono una j tra il tema e le desinenze. Un esempio
è il verbo čuti (sentire), che viene coniugato in questo modo: ja čujem, ti čuješ, on, ona,
ono čuje, mi čujemo, vi čujete, oni čuju.
Alcuni verbi subiscono nel tema alcune alternanze consonantiche dovute al processo
di palatalizzazione cui sono andati incontro: è il caso, ad esempio, del verbo pisati
(scrivere), che si coniuga così: ja pišem, ti pišeš, on, ona, ono piše, mi pišemo, vi pišete,
oni, one pišu; oppure del verbo plakati (piangere), che cambia la consonante k in č.
Un altro verbo che subisce una simile alternanza consonantica è ht(j)eti, che però ha

88
La grafia (j) oppure (ij) tra parentesi indica che questa è la variante ortografica ijekava, tipica, come
sappiamo, della Croazia e della Bosnia ed Erzegovina. Di conseguenza, nella variante ikava si usa la
vocale i al posto della e, quindi in questo caso si avrebbe sići.

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altre due particolarità: in primo luogo, inserisce la vocale o; in secondo luogo, la
desinenza della prima persona singolare è diversa: non -m ma -u. La coniugazione
completa al presente di hteti è: ja hoću, ti hoćeš, on, ona, ono hoće, mi hoćemo, vi
hoćete, oni, one, ona hoće.
Hanno la prima persona singolare in -u anche due dei tre verbi che finiscono in -ći (per
questi due verbi, la prima persona singolare è esattamente uguale alla terza persona
plurale). Più precisamente, il verbo ići ha tema id-, il verbo moći sia alla prima persona
singolare sia alla terza persona plurale fa mogu mentre nelle altre la consonante g si
palatalizza davanti alla vocale e e diventa ž. Il verbo leći, invece, ha la prima persona
singolare che esce in -em, ma si coniuga con la consonante ž, che alla terza persona
plurale diventa g (oni, one, ono legu). Anche i verbi peći, reći e seći hanno la prima
persona singolare in -em e si coniugano con la consonante č, che alla terza persona
plurale diventa k.
Il verbo imati (avere) è regolare nella sua coniugazione: ja imam, ti imaš, on, ona, ono
ima, mi imamo, vi imate, oni, one, ona imaju. Tuttavia, bisogna stare attenti a come si
costruisce la forma negativa di questo verbo: mentre la maggior parte dei verbi serbo-
croati ricorre alla particella ne (non), il verbo imati cambia la i in ne: ja nemam, ti
nemaš ecc. Alla terza persona singolare, il verbo imati può anche corrispondere
all’italiano “esserci”, e così anche la sua negazione (il primo si usa con il genitivo, la
seconda con il negativo). Ad esempio:

Na stolu ima kniga.


Sul tavolo c’è un libro.

Na stolu nema knigi.


Sul tavolo non c’è un libro.

Il verbo jesti (mangiare) è atematico, e si coniuga nel seguente modo: ja jedem, ti jedeš,
on, ona, ono jede, mi jedemo, vi jedete, oni, one, ona jedu.
Il verbo biti (essere) si coniuga così: ja sam, ti si, on, ona, ono je, mi smo, vi ste, oni,
one, ona sut. La forma negativa di questo verbo si ottiene con il prefisso ne-: ja nisam,
ti nisi ecc. Tuttavia, quest’osservazione vale solo per il tempo presente.
Un altro significato del verbo biti è “battere”. Allora diventa regolare: ja bijem, ti biješ,

73
ecc.
Il serbo-croato ha quattro tempi passati. Il più utilizzato di fatto è quello condiviso
anche dalle lingue precedentemente discusse (che chiameremo perfetto per
distinguerlo dagli altri e per una compatibilità con la grammatica verbale proto-slava),
che consiste nel tempo presente dell’ausiliare biti combinato con il participio perfetto
del verbo principale, che si ottiene sostituendo il suffisso -ti dell’infinito con il suffisso
-o. Al femminile singolare, si aggiunge la desinenza -a; al neutro singolare, si aggiunge
la desinenza -o; al plurale, si aggiungono rispettivamente le desinenze -i, -e, -a, tutto
questo dopo aver cambiato la o in l. Alla terza persona, sia singolare sia plurale,
l’ausiliare viene omesso.
Il participio perfetto di ići è išao. Anche gli altri verbi in -ći hanno il participo perfetto
in -ao, e lo formano dal tema della terza persona singolare (leći, ad esempio, fa legao).
Quando bisogna aggiungere una vocale, oltre a trasformare la o in l la a viene perduta.
Gli altri tre tempi passati, invece, non sono molto utilizzati nella lingua parlata, e sono
tipici soprattutto della Bosnia ed Erzegovina. L’imperfetto si forma utilizzando le
seguenti desinenze:

-h, -še, -še, -smo, -ste, -hu.

Queste desinenze vengono aggiunte immediatamente alla vocale che all’infinito


precede il suffisso -ti, ma se al presente compare la semiconsonante j (tipica dei verbi
a tema monosillabico), questa viene mantenuta. Per esempio, il verbo čuti si coniuga
nel seguente modo: ja čujah, ti čujaše ecc. Da questo punto di vista, l’imperfetto del
verbo biti è regolare: ja bijah, ti bijaše, on, ona, ono bijaše, mi bijasmo, vi bijaste, oni
bijahu.
Il verbo hteti può formare l’imperfetto dal tema del presente (hoć-), oppure, in
alternativa, può utilizzare il suffisso htij- (talvolta si inserisce una o, soprattutto in
Serbia).
L’aoristo (utilizzato solitamente come controparte perfettiva dell’imperfetto, ma si
può formare anche da verbi imperfettivi), anche questo un tempo poco utilizzato nella
lingua parlata ma molto diffuso in quella letteraria, si forma con le seguenti desinenze:

-h, -, -, -smo, -ste, -še.

74
Ci sono verbi che prima della desinenza aggiungono la vocale o (tranne alla terza
persona plurale), mentre la desinenza della seconda e terza persona singolari diventa
e. Tali sono, in particolare, i verbi che terminano in -ći, che utilizzano la consonante g
o k tranne alla seconda e terza persona singolari, dove la consonante si palatalizza
davanti a e e diventa rispettivamente ž oppure č.
Il verbo ići forma l’aoristo con đ (ja iđoh, ti iđe ecc.), e lo stesso vale anche per i suoi
composti perfetti, come poći (andarsene), prići (venire), doći (arrivare) ecc.
Il verbo hteti può formare l’aoristo in modo regolare, utilizzando le desinenze del
primo gruppo; oppure può inserire una consonante d e utilizzare le desinenze del
secondo gruppo, così: ja htedoh, ti htede, ecc.
In generale, si può dire che tutti i verbi in serbo-croato hanno l’aoristo sigmatico.
Il piuccheperfetto si forma con il perfetto del verbo biti e il participio perfetto del
verbo principale.
Il serbo-croato ha due tempi futuri, utilizzati sia con i verbi perfetti sia con i verbi
imperfetti.
Il primo, detto a volte futuro primo, corrisponde in italiano al futuro semplice e si
forma con il presente dell’ausiliare hteti (a cui viene tolta la prima sillaba ho, quindi
diventa: ja ću, ti ćeš, ecc.) e l’infinito del verbo principale. L’ausiliare può anche essere
posto dopo il verbo; in questo caso, la i dell’infinito viene perduta, ad esempio
“penserò” si dice ja ću misliti oppure ja mislit ću. Nella pronuncia, la t dell’infinito viene
perduta, e quindi il tutto diventa ja misliću: questa è proprio l’ortografia tipica della
Serbia. Nella forma negativa, all’ausiliare viene anteposto il prefisso ne-: pertanto,
“non giocheremo” sarà mi nećemo igrati.
L’altro, che si chiama futuro secondo, rappresenta invece il futuro anteriore. Viene
formato tramite le seguenti forme dell’ausiliare biti: ja budem, ti budeš, on, ona, ono
bude, mi budemo, vi budete, oni budu. A queste viene aggiunto il participio perfetto
dal verbo da coniugare89.
L’imperativo ha solo tre persone: la seconda singolare e le prime due plurali.

89
Sebbene questo tempo si formi come il futuro nella lingua polacca, non c’è equivalenza totale tra i
due. Per esempio, in polacco Moja siostra będzie śpiewała (oppure: będzie śpiewać) significa “Mia
sorella canterà”, mentre in serbo-croato Moja sestra bude p(j)evala significa “Mia sorella avrà
cantato” (prima che succeda qualcos’altro).

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La seconda persona singolare viene formata dal tema del presente: se c’è la
semiconsonante j, ci si ferma a quella, altrimenti viene aggiunta. I verbi in -ći hanno
l’imperativo in i, ma rispetto alla regola appena descritta, di questi solo ići è regolare
(idi!) Gli altri invece, hanno una consonante che è in risultato della seconda
palatalizzazione (ad esempio, leći fa lezi!, mentre reći fa reci!) Hanno l’imperativo in -i
anche alcuni verbi con l’infinito in -ti, tra cui platiti (pagare) oppure pisati, che però,
come nelle altre lingue slave, subisce la prima palatalizzazione e fa quindi piši! Alla
prima e alla seconda persona plurali vengono aggiunte le stesse desinenze usate per
il presente.
Il verbo biti, quando significa essere, fa così all’imperativo: budi! budimo! budite!
Quando invece significa battere, è regolare: bij! bijmo! bijte!
Alla terza persona si può usare la particella ottativa neka.
Il condizionale può essere semplice oppure composto. Il procedimento per formare il
condizionale semplice in serbo-croato è il seguente: si coniuga l’ausiliare biti all’aoristo
e si aggiunge il participio perfetto; tuttavia, alla terza persona plurale la forma
dell’ausiliare è bi e non biše (che è considerata ipercorretta).
Il condizionale composto, poco usato nella lingua parlata, viene formato con il
condizionale semplice dell’ausiliare biti e il participio perfetto del verbo principale.
Il participio passato passivo viene formato a partire dal tema dell’infinito con il suffisso
-n-, al quale vengono aggiunte le desinenze degli aggettivi. I verbi in -liti formano il
participio in -ljen, mentre quelli a tema monosillabico (čuti, miti ecc.) hanno -ven. I
participi attivi non si usano in serbo-croato.
Il gerundio si forma aggiungendo -ći alla terza persona plurale del presente, ma ormai
questa forma è pressoché desueta. In suo luogo si utilizzano proposizioni subordinate
oppure il nome deverbale al caso strumentale.
Il supino non esiste come forma verbale; per esprimere la funzione che aveva nel
proto-slavo si utilizza la congiunzione da con il verbo coniugato al presente oppure al
passato (e alla stessa persona del verbo nella frase principale).

Probudili smo se rano da bismo otišli do Željkove kuće.


Ci siamo svegliato presto per andare a casa di Željko.

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Bibliografia
V. V. Lučyk, Vstup do slovjans’koji filologiji, Kiev, 2008
M. Garzaniti, Gli slavi, Carocci editore, Roma 2013
N. Marcialis, Introduzione alla lingua paleoslava, Firenze University Press, Firenze,
2007

Sitiografia
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