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CAPITOLO VI: LE LINGUE E I DIALETTI NEOLATINI

Il Latino,nucleo centrale formatore delle lingue romanze,aveva già in sé, nonostante


l’apparente uniformità,i germi di differenziazioni dialettali dovute a causa geografiche,
storiche e sociali.L’espansione del Latino dal suo primitivo piccolo centro sulla riva sinistra
del Tevere, dapprima in Italia e poi nel territorio che formò la Romània, la sua
sovrapposizione alle diverse lingue dei popoli assoggettati, dovevano aver creato, già nel V
secolo d.C., quando l’Impero Romano d’Occidente cedette alle pressioni dei barbari, non
poche differenze regionali che si accrebbero quando i legami politici e amministrativi che
riunivano le varie parti dell’impero vennero allentandosi e poi sciogliendosi e le singole
regioni vissero relativamente isolate l’una dall’altra, entro l’ambito di diverse organizzazioni
statali barbariche. Le cause delle formazioni delle lingue romanze e della loro progressiva
differenziazione sono molteplici.
Nessuna lingua si trova mai in equilibrio stabile; anche se non intervenissero fenomeni
estranei, anche se una lingua potesse trovarsi completamente isolata, essa subirebbe
fenomeni di trasformazione dovuti a ragioni interne, a tendenze fonetiche, morfologiche,
sintattiche che modificherebbero il primitivo aspetto.Fino a quando la forza centripeta,
rappresentata dalla capitale dell’Impero, agì permettendo che all’unità politica
corrispondesse anche una unità linguistica, le varietà dialettali della koinè latina non
uscirono mai dai limiti di differenze regionali. Allentandosi i vincoli dell’unità imperiale, anche
l’unità linguistica fu scossa. All’unico centro politico rappresentato da Roma vennero
sostituendosi altri agglomerati politici. E se la forza centripeta rappresentata da Roma (fulcro
tradizionale e centro della Cristianità) permaneva, sia pure indebolita, altri centri iniziarono
una loro attrazione; sia centri politici sia religiosi; si assiste così a una lotta fra la vecchia
forza centripeta e nuove forze centrifughe, dalle risultanti della quale sorge l’armonia del
nuovo mondo linguistico neolatino.La filologia romanza è una disciplina di carattere
medievalistico: il sorgere e l’affermarsi dell’individualità delle lingue neolatine avvenne infatti
in pieno Medioevo.Ma per quanto noi possiamo individuare le più antiche attestazioni di
ciascuna varietà romanze, ci dobbiamo limitare ad esaminare i monumenti scritti, i quali,
proprio per il persistere della tradizione culturale latina in occidente, sono certo posteriori alla
formazione delle stesse varietà neolatine come lingue familiari e parlate. La ricostruzione
dell’aspetto parlato delle singole lingue neolatine nel periodo delle origini non è talvolta
possibile neppure con l’aiuto del metodo storico-comparativo.
La linguistica storica ha ormai messo da parte i criteri di classificazione morfologici e
psicologici e si serve unicamente del criterio della parentela o affinità genealogica. È stato
questo il maggior merito della glottologia degli inizi dell’Ottocento, di quella glottologia che si
affermò come grammatica comparata di un gruppo di lingue genealogicamente affini.Per il
criterio della parentela genealogica si considerano affini o parenti due o più lingue quando
sono la continuazione di una sola lingua più antica.Le lingue neolatine, per la loro grande
somiglianza reciproca e per il fatto che il Latino è una lingua nota e conservata,
rappresentano l’ideale di un gruppo di lingue geneticamente affini e la parentela di alcune di
queste lingue fra loro, nonché la comune discendenza dal Latino, fu già intravista molti
secoli prima che sorse la linguistica storica, anche se con errori di prospettiva.
Finché si credeva che la lingua fosse una specie di organismo vivente e che la
classificazione delle lingue potesse farsi con gli stessi criteri usati nelle scienze naturali per
gli animali e le piante, si costituì una specie di albero genealogico per cui da un ramo
comune (lingua madre) si staccavano alcuni rami (lingue figlie) che a loro volta si dividevano
in rami secondari.
Ma, al criterio dell’albero genealogico, troppo semplicistico e meccanico, si venne
sostituendo, specie in grazia delle esperienze compiute in territorio romanzo, innovazioni
linguistiche si propagano a guisa di onde. Quindi vari cerchi che, partendo da centri diversi,
si intersecano fra loro come quelli prodotti da una manciata di sassi lanciati in uno specchio
d’acqua.
FEDERICO DIEZ distingueva solo 6 lingue neolatine: l’Italiano e il valacco che formavano la
sezione orientale,il Portoghese e lo Spagnolo che formavano quella occidentale e il
Provenzale e il Francese che formavano una sezione nord-occidentale.
Diez, che fu prevalentemente filologo, stabilì questa classificazione più su basi filologiche
che glottologiche,egli considerò infatti solo quelle lingue neolatine che avevano o avevano
avuto una tradizione letteraria. Diez tenne in scarsa considerazione i dialetti e,nella
Prefazione alla sua Grammatica comparata delle lingue romanze, accenna appena alla
necessità di servirsi qualche volta dei più importanti dialetti, limitatamente ai loro caratteri
fonetici. Anche se con lui era già cessata l’erronea concezione per cui si consideravano i
dialetti come “corruzioni” della lingua, anche se egli vedeva già correttamente che i singoli
dialetti neolatini erano evoluzioni parallele, altrettanto antiche quanto le lingue letterarie, e
che queste non erano anzi, nella maggior parte del casi, che singoli dialetti assurti alla
dignità di lingue nazionali e letterarie, i criteri prevalentemente filologici consigliavano di dare
maggior peso a quelle lingue che si erano manifestate attraverso la scrittura e che avevano
dato luogo ad una letteratura. Ma proprio nel dominio romanzo si è venuta affermando,
come disciplina scientifica, la DIALETTOLOGIA.
L’ASCOLI nei suoi Saggi ladini che aprivano la serie dell’Archivio Glottologico Italiano
(1873),non solo dette un esempio di trattazione dialettologica con profondo senso geografico
e storico, ma cercò di fissare la posizione di un gruppo di parlate neolatine che, a suo
avviso, dovevano formare un’unità in seno alla Romània linguistica,e cioè il Ladino.
● L’Ascoli riunì sotto questo nome tre gruppi di dialetti separati fra loro e non formanti
né un’unità geografica, né storica né politica e cioè le parlate romance del Canton
dei Grigioni, alcuni dialetti dell’Alto Adige (Ladino dolomitico) e il Friulano.
L’opera di Ascoli rappresentò, specie dal punto di vista metodologico, un grande
progresso.Per fissare l’unità linguistica ladina, egli si basò sulla presenza in questi dialetti di
un certo numero di fenomeni fonetici e morfologici che li caratterizzano e li distinguono dalle
parlate circonvicine.Non è dunque più il concetto filologico della presenza o dell’assenza di
una letteratura, non è neppure il concetto della “comprensibilità fra parlanti”, né quello
politico di “lingua nazionale”, che induce alla formazione di un’unità linguistica, ma sono
argomenti interni, esclusivamente glottologici.
Qualche anno dopo,lo stesso Ascoli tento di isolare un altro gruppo di parlate romanze: il
Franco-Provenzale. Egli riunì sotto questo nome i dialetti della Svizzera romanda e alcune
varietà dialettali della Francia sud orientale e della val d’Aosta che presentano caratteristiche
comuni e si differenziano sia dai dialetti provenzali sia sa quelli francesi. Per quanto contro
l’indipendenza del Ladino, come unità linguistica,si ha la voce di parecchi glottologi contro
l’unità franco-provenzale e si pronunció PAUL MEYER.
Il principio fissato dall’Ascoli si impose anche al di fuori del campo neolatino.La costruzione
di un’unità linguistica indipendente in seno alla famiglia neolatina non modifica notevolmente
i risultati acquisiti dalla grammatica comparata delle lingue romanze, ma può modificare i
concetti che si hanno dei rapporti di parentela reciproci fra le singole varietà neolatine.
W. Meyer Lubke, nella terza edizione, del 1920, della sua opera,distingue, nella famiglia
neolatina, 9 unità che enumera, seguendo l’ordine geografico, da Oriente a Occidente
1. Rumeno;
2. Dalmatico;
3. Retoromanzo (Ladino);
4. Italiano;
5. Sardo;
6. Provenzale;
7. Francese;
8. Spagnolo;
9. Portoghese.

Il Catalano viene riunito qui, come già da Diez, al Provenzale mentre vengono considerati
indipendenti il ladino o Retoromanzo, il Dalmatico e il Sardo. Il franco-provenzale, invece,
non gode, secondo MEYER-LUBKE,di una posizione indipendente.
Ma anche qui i criteri non sono del tutto giustificati. Il Catalano, per esempio, ha minore
individualità del Ladino o del Dalmatico? La risposta a queste domande non è mai decisiva.
Già Hugo Schuchardt aveva negato la possibilità di una classificazione scientifica dei dialetti
neolatini.
Anche se ci basiamo, come l’Ascoli, su criteri linguistici, cioè sulla convergenza e divergenza
di fenomeni linguistici, morfologici ecc., difficilmente si arriva a tracciare confini netti tra le
lingue genealogicamente affini;un confine sicuro di avrà solo tra lingue di carattere
considerevolmente diverso, mentre, appartenenti alla stessa famiglia, il passaggio fra le
singole varietà dialettali è insensibile. Inoltre, la geografia linguistica ha dimostrato che
piuttosto che parlare di “linee” di demarcazione di fenomeni linguistici, bisogna parlare di
“fasce” in quanto,anche fenomeni fonetici e morfologici più importanti non hanno le stesse
linee di confine in tutti gli esempi. La stessa difficoltà di dare una classificazione scientifica e
non empirica delle lingue e dialetti neolatini si rivela quando si vogliano stabilire maggiori
punti di contatto fra due unità del mondo romanzo. Se prendiamo in esame il Rumeno che,
per il suo isolamento geografico e per le vicende storiche, è rimasto appartato dal mondo
neolatino occidentale ed ha, dal punto di vista linguistico, un aspetto e una fisionomia
particolari e vogliamo vedere con quali lingue e dialetti neolatini in Occidente esso presenti
più concordanze, troviamo che ari studiosi hanno dato maggiore risalto a concordanze ora
con l’una ora con l’altra delle lingue neolatine in Occidente: col Ladino (Ascoli), coi dialetti
italiani meridionali, specie col Siciliano, col Provenzale, con lo Spagnolo, col Sardo.
Tenendo conto della ripartizione geografica, dei sostrati e di molti altri criteri, possiamo
dividere le 11 varietà neolatine:
1. Balcano-romanzo: Rumeno
2. Italo-romanzo: dalmatico,italiano,sardo,ladino
3. Gallo romanzo:francese,franco-provenzale,provenzale (e guascone),Catalano
4. Ibero-romanzo:spagnolo,portoghese
Questa divisione presenta dei difetti. Il dalmatico,per esempio viene posto nel gruppo
Italo-romanzo e viene coordinato all’italiano al pari del ladino e del sardo.. Ora, è indubbio
che il Dalmatico presenta molti punti di contatto con l’Italiano (con i dialetti meridionali,
specie abruzzesi e pugliesi, e con il Ladino), ma è sicuro che il Dalmatico rappresenta
piuttosto una continuazione della romanità orientale e, pur essendo nettamente distinto dal
Rumeno, concorda mirabilmente, per parecchi tratti essenziali, col Rumeno come ponte di
passaggio fra il Balcano-romanzo e l’Italo-romanzo, analogamente al Catalano, che, pur
riunito a Galloromanzo (Provenzale), segna il passaggio fra questo e l’Ibero-romanzo.La
transizione fra un gruppo e l’altro è però, graduale. Fra l’Italo-romanzo e il Galloromanzo
abbiamo il gruppo dei dialetti gallo-italici,i quali, pur appartenendo al sistema linguistico
italiano, formano un ponte fra l’Italo-romanzo e il Galloromanzo, ed anzi, per certe
caratteristiche, concordano forse più con quest’ultimo.
Anche la differenza fra lingua e dialetto è un problema di indole pratica e non scientifica e
può essere la conseguenza di fattori storici e politici. Anche qui influiscono considerazioni di
ordine politico, mutevoli secondo i tempi. Un esempio è quello della pretesa lingua moldava;
se si ammette che il Moldavo, praticamente uguale al di qua e al di là del Prut, è una varietà
romanza parallela ma indipendente dal Rumeno, a maggior ragione si dovranno ritenere
lingue romanze orientali indipendenti l’Arumeno, il Meglenoromeno e l’Istrorumeno.

RUMENO
Nel dominio Balcano-romanzo o Romanzo orientale una sola varietà neolatina è giunta fino
a noi: il Rumeno [Coloro che considerano il Moldavo come unità indipendente ammettono
l’esistenza di due lingue romanze orientali, si giunge così a riconoscere l’indipendenza del
rumeno propriamente detto (dacorumeno) anche dall’Arumeno, Meglenorumeno e
Istrorumeno. Ma la pretesta lingua moldava non è altro che il Rumeno letterario, scritto con
alfabeto russo leggermente modificato (cioè in cirillico moderno) con alcune concessioni a
forme dialettali moldave, non ignote del resto entro i confini della Romania].
La denominazione di Balcano-romanzo è applicabile nella sua interezza al Rumeno solo se
si ammette la teoria della reimmigrazione. Resti del Romanzo orientale si trovano anche
negli elementi latini dell’Albanese, del Neogreco e, in parte minore, delle lingue slave
meridionali.
Anche il Dalmatico rappresenta forse la continuazione del Latino orientale, ma formandone
l’estremità più occidentale ed essendo geograficamente più vicino all’Italia, mostra anche
molti punti di contatto con l’Italo- romanzo.
Il Rumeno si divide in 4 principali dialetti:
1. Il DACORUMENO, parlato nel territorio odierno della Romania, nella Bessarabia e parte
della Bucovina
annesse all’URSS durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale, nonché in parte del Banato
appartenente all’ex Jugoslavia, in qualche villaggio della Bulgaria e dell’Ungheria, vicino al
confine Rumeno. Esso si suddivide in molte varietà dialettali sulla riva sinistra del Danubio e
solo in piccola parte sulla destra (parte del Banato Jugoslavo). La lingua letteraria rumena si
basa sulla varietà della Valacchia, ma vi sono scrittori, anche classici, che non disdegnano
l’uso di peculiarità dialettali moldave;
2. Il MACEDORUMENO o ARUMENO, parlato dagli Arumeni (o Zingari) sparsi un po’
dappertutto nella Penisola Balcanica (in Grecia, Tessaglia, Epiro, Albania, ex Jugoslavia,
specie in Macedonia, e in Bulgaria)
3. Il MEGLENORUMENO o MEGLENITICO, parlato da qualche migliaio di uomini in una
zona a Nord-Est di
Salonicco, intorno alla cittadina di Nanta e da gruppi di emigrati in Dobrugia e nell’Asia
Minore;
4. L’ISTRORUMENO, parlato da circa 1500 persone, ormai tutte BILINGUI, in Istria, in un
piccolo territorio
intorno al Monte Maggiore, non lontano da Fiume, che appartenne all’Italia dal 1918 al 1945.
Per quanto le differenze fra i 4 dialetti siano considerevoli, pur tuttavia essi presentano un
gruppo notevole di caratteristiche comuni le quali si debbono a innovazioni
PROTO-RUMENE. Esse risalgono quindi al periodo nel quale i progenitori del Rumeni si
trovavano ancora riuniti in una regione più o meno vasta, prima che cominciasse la diaspora
che li doveva portare in terre lontane fra loro, dalla Macedonia alla Transilvania, dal Golfo di
Salonicco all’Istria. Uno dei compiti che si sono proposti i rumenisti è quello di ricostruire il
Proto- rumeno. Si possono quindi elencare i principali fenomeni che si attribuiscono al
Proto-rumeno, tanto più che la questione del Proto-rumeno riguarda anche il luogo di
formazione della lingua rumena.
Caratteristiche anteriori e che si possono far risalire al LATINO BALCANICO:
1. VOCALISMO TONICO: SISTEMA VOCALICO RUMENO. Il Latino Balcanico ha
partecipato alla riduzione di ē, ĭ in e però non ha partecipato alla riduzione di ō, ŭ in o. In tal
modo il Rumeno e l’Albanese, nonché il Dalmatico nelle sole sillabe chiuse, hanno un
diverso trattamento di ō e ŭ, mentre le altre lingue romanze hanno un unico esito. Le poche
eccezioni probabilmente indicano il principio di una innovazione che,partendo dal centro
della Romània, non è riuscita a svilupparsi nella periferia orientale.
2. Altro tratto che si può riportare al Latino Balcanico è la RIDUZIONE DEI NESSI:
- -CT->-PT-
- -CS-(x)>-PS-
(gli elementi latini in Albanese volgono i nessi -ct > -ft- e -cs- > -fsh-).
3. Probabilmente si deve a un adattamento del Latino Balcanico, dovuto a un influsso di
sostrato, anche la POSPOSIZIONE DEL DETERMINATIVO ILLE, che ha portato in Rumeno
all’ARTICOLAZIONE POSPOSITIVA: fratre illu > fratele; omo illu > omul. La presenza di un
articolo pospositivo anche nell’Albanese e nel Bulgaro fa di questo fenomeno una
caratteristica degli idiomi balcanici.
4. Risale a un’epoca anteriore al proto-rumeno anche la formazione del FUTURO col verbo
VOLO (voiu-cinta o cinta-voiu) che è, in parte, comune al Dalmatico.
5. Anche nel LESSICO vi sono molte parole latine sconosciute alle lingue romanze
occidentali.
6. Un problema ancora dibattuto è quello dell’indipendenza della palatalizzazione delle velari
in Rumeno. Nel Dacorumeno letterario si hanno ʧ e dʒ rispettivamente dal latino c,g + i, e,
come in Italiano; nell’Arumeno si ha invece ts, e dz > c,g + e, i; nel Meglenorumeno ts e z
nelle stesse condizioni ecc. Secondo alcuni autori, il Latino balcanico, ancora all’epoca del
distacco della parte occidentale dell’Impero, non avrebbe avuto la palatalizzazione delle
velari. È noto che gli elementi Latini dell’Albanese e parzialmente del Dalmatico presentano
le velari intatte; in tal modo alcuni autori traggono la conclusione che anche il Protorumeno
avesse mantenuto le velari intatte e che quindi la palatalizzazione del Rumeno sia
indipendente da quella delle altre lingue romanze. L’indipendenza della palatalizzazione non
è inverosimile, dato che il fenomeno è uno dei più generali e può produrre medesimi risultati
anche in territori diversi e a distanza di secoli. È ovvio però ammettere che la
palatalizzazione delle velari sia avvenuta ancora in epoca Protorumena, resta sempre il
problema della spiegazione dei risultati diversi del Dacorumeno e del Meglenorumeno; va
supposta la presenza di una tappa intermedia comune. Altro problema non ancora risolto è
quello dell’intacco delle labiali, il quale però non è prerumeno e probabilmente neanche
protorumeno.
Trai i fenomeni PROTORUMENI:
1. La riduzione di a > ă in sillaba atona; questo passaggio fonetico è stato messo in rapporto
con la riduzione di a > ё in sillaba atona in Albanese. In ogni modo, la presenza di una
vocale indistinta, corrispondente al rumeno ă, in Albanese e in Bulgaro, potrebbe essere
anche dovuta all’influsso del sostrato.
2. Il passaggio di a + n > în, sia dinanzi a vocale sia dinanzi a consonante e a + m +
consonante > îm (manum > mina). Questo passaggio, che ha corrispondenze in Albanese, è
molto antico: è certamente precedente al rotacismo, perché nei più antichi testi rotacizzanti
si hanno forme come lira > lana. L’antichità del
passaggio appare anche dal fatto che gli elementi slavi non vi partecipano.
3. Il passaggio (intervocalico) -l- > -r-. questo passaggio si trova solo negli elementi latini ed
è quindi
preslavo, ma è più recente del passaggio lj > l’/j giacché familia da femeie “donna” e non da
*femere.
4. Il passaggio qu > p; gu > b (aqua > apa). Questo passaggio è parallelo a quello del
SARDO LOGUDORESE (lingua > limba), ma le condizioni sono assai differenti (cinque >
rum. cinci (con perdita dell’elemento laciale della labiovelare qu), ma sardo > kimbe).
5. La METAFONESI di e e o tonici, condizionata dalla presenza nella sillaba seguente di -ă
(-a), -e in finale assoluta (soare < solem).
6. Cl + vocale e gl + vocale > chi, ghi.
7. Rotacismo di -n- è ignorato dal Macedorumeno e dal Meglenorumeno.
8. Anche per l’intacco delle labiali, fenomeno fonetico raro, per cui p + i > ki, pki; b + i > ghi,
bghi; m + i > ni,
mni ecc., rimane aperta la questione se questo processo si sia sviluppato
indipendentemente nel Dacorumeno o se sia geneticamente comune con lo stesso
fenomeno dei dialetti rumeni transdanubiani. Sta di fatto che oggi troviamo l’intacco e
mutamento delle labiali nella massima parte del territorio dacorumeno quantunque in
condizioni diverse su un così vasto territorio. Nel Meglenorumeno le labiali possono essere
alterate o intatte, per quest’ultime va ammesso un processo di depalatalizzazione.
L’Istrorumeno non conosce il fenomeno. Il Macedorumeno è l’unico in cui l’intacco delle
labiali è generale.
9. Fra le caratteristiche MORFOLOGICHE si nota:
- la conservazione del VOCATIVO in -e nei nomi maschili della II declinazione , ma
che potrebbe spiegarsi anche come influsso slavo;
- Solo il rumeno conserva la forma del dativo dei femminili della I e della III
declinazione,che prende poi anche la funzione di Genitivo.
10 Il LESSICO si distingue per la conservazione di elementi latini sconosciuti alla Romània
occidentale e per innovazioni semantiche in elementi latini viventi anche in altre lingue
romanze. Fondamentale il diverso carattere degli influssi di adstrato e superstrato.
Uno dei problemi della filologia Rumena è il luogo di formazione del Rumeno. I fenomeni
comuni d’innovazione, più che quelli di conservazione, dei 4 dialetti rumeni sono tanti e di
tale importanza che non si possono attribuire al caso, come sarebbe se i quattro dialetti si
fossero svolti nelle zone occupate attualmente non aventi comunicazioni dirette fra loro;
occorre invece ammettere che il Protorumeno si sia formato in una regione più o meno
estesa, ma unitaria. Gli argomenti filologici portano a ritenere che il Protorumeno si sia
sviluppato sulla riva destra del Danubio. Portano a questa conclusione le concordanze con
l’Albanese, il carattere Bulgaro degli antichi elementi slavi del rumeno, la mancanza di
elementi germanici antichi. La questione è stata complicata da questioni politiche. Quasi tutti
gli studiosi rumeni, anche se non negano l’origine a Sud del Danubio, ammettono anche
l’esistenza di un centro di vita rumena a Nord del Danubio stesso; e ciò per confermare la
teoria della continuità che è sostenuta da tutti gli storici rumeni e insegnata in tutte le scuole.
Senza negare la possibilità di resti di popolazione romana a Nord del Danubio, ormai la
maggior parte dei filologi stranieri riconosce il luogo di formazione della lingua rumena
presso la Serbia storica.
IL DALMATICO
Col nome di Dalmatico si intende l’idioma neolatino preveneto, oggi estinto , formatosi lungo
la costa dalmata, dalla spontanea e diretta continuazione del Latino. Le nostre conoscenze
del Dalmatico sono limitate; esso si estendeva, una volta, da Segna (a Sud di Fiume) a
Settentrione, fino ad Antivari a Sud. Già gli storici della Crociate e i viaggiatori accennano,
dal XII secolo in poi, al “Latino” o “Romanzo” o “Franco” della Dalmazia, specie delle città di
Zara, Spalato, Ragusa, Antivari e l’isola di Veglia.
Il Dalmatico ebbe la forza di resistere in quei territori in cui la sua vita era meno minacciata
dall’espansione dello Slavo, cioè nelle città della costa. La lingua dalmatica si ridusse quindi
ad essere parlata in poche oasi ed anche in queste si venne spegnendo. Quanto più forte fu
l’influsso veneto, tanto più rapida fu la scomparsa del Dalmatico. È certo che a Zara il
Dalmatico tramontò molto presto, mentre a Ragusa si spense solo nel XV secolo. In un’area
appartata dell’isola di Veglia, presso una parte del popolo minuto, il Dalmatico si conservò
fino al XIX secolo. L’ultimo conoscitore dell’antico Vegliotto, ANTONIO UDINA detto
BURBUR, morì nel 1898. Le fonti per la conoscenza del Dalmatico sono di 2 tipi:
1. Fonti dirette, costituite dal materiale documentario fornitoci dagli archivi dalmati e i saggi
di dialetto raccolti da vari studiosi (Bartoli) sulla bocca degli ultimi parlanti Dalmatico. Questi
saggi sono limitati, purtroppo all’Isola di Veglia;
2. Le fonti indirette sono costituite dalla toponomastica e dagli elementi dalmatici incorporati
negli idiomi che si sono sovrapposti (Veneto e Croato).
Possiamo distinguere due rami o dialetti del Dalmatico:
1. Uno settentrionale, il VEGLIOTTO, di cui abbiamo più informazioni;
2. Uno meridionale, il RAGUSEO.

CARATTERISTICHE DEL DALMATICO:


1. VOCALISMO: ricchezza delle DITTONGAZIONI. Non solo le vocali aperte del Latino
volgare, ma anche
le chiuse, e perfino a, si dittongano in sillaba libera e le vocali aperte, nonché a, si
dittongano anche in posizione. A Veglia a in sillaba libera dà wo, nelle parole ossitone u; in
posizione e nel proparossitono wa. A Ragusa si ebbe probabilmente a > e.
2. Il DITTONGO au SI CONSERVA: pauk < paucum.
3. CONSONANTISMO:
- C, g mantengono la pronuncia velare dinanzi ad e, dinanzi a i e je, il Vegliotto
presenta le palatali ʧ e dʒ.
- Manca il fenomeno della lenizione delle sorde intervocaliche.
- Nei nessi cl, gl, pl, fl, bl, si conserva, in generale, L inalterato.
- Gli esiti di CT non possono essere stabiliti con certezza.
- Anche fra gli esiti di GN si hanno risultati duplici.
4. Nella MORFOLOGIA si nota:
- La presenza del latino mene > main in funzione di accusativo del pronome di 1°
persona singolare (rum. mine).
- La presenza del comparativo maior > mawro.
- Nel verbo si sono conservate,come in rumeno e in italiano,le 4 congiunzioni latine.Il
tema del presente è spesso amplificato da due infissi -ej- ed -esk- rispettivamente
per Vegliotto e Raguseo.
- Fondamentale è L’ASSENZA DEL FUTURO PERIFRASTICO del tipo cantare habeo
e l’uso, in sua vece, di CONTINUATORI DEL FUTURO ANTERIORE LATINO del tipo
cantavero > kantwora. La stessa forma ha anche significato di condizionale, ma ciò si
dovrà alla convergenza dell’esito latino cantaveram.
5. LESSICO: esso si distingue per una spiccata conservatività dell’elemento latino. Notevoli
sono le concordanze col Rumeno e gli elementi latini dell’Albanese, con i quali vi sono
concordanze anche nella conservazione di fasi arcaiche e nella struttura della lingua.
Per riconoscendo le concordanze del Dalmatico con il Rumeno e con l’Albanese Matteo
Bartoli, maggiore studiosi di questa lingua, ha cercato di dimostrare che il Dalmatico ha
stretti rapporti con l’Italiano meridionale, specie coi dialetti della zona abruzzese-pugliese,
che geograficamente si trovano di fronte alla Dalmazia. Questo risultato sarebbe per lui
confortato dal fatto che in ambedue le regioni si trova un sostrato illirico e che, prima che
Venezia diventasse dominatrice dell’Adriatico, le colonie militari e le merci dirette verso
l’Illiria partivano dall’Italia meridionale. I risultati di Bartoli sono per lo più accettati, ma C.
Merlo si è opposto e ha cercato di dimostrare che il vocalismo e specialmente il
consonantismo del Dalmatico concordato con il Ladino. Sia Bartoli che Merlo ammattono gli
stretti contatti col Rumeno, ma il Bertoli vede nel Dalmatico un membro di quella parte della
Romània “appennino-balcana” e che congiunge l’Italiano centro-meridionale al Rumeno, il
Merlo pensa di vedervi un anello di quella catena che riunirebbe il Ladino al Rumeno.

IL LADINO
Con Ladino o Retoromanzo si designa un complesso di varietà neolatine parlate nella
regione alpina centrale, occidentale e orientale. Il nome di Latino non è indigeno che in una
piccola parte del territorio (Val Badia e parte dell’Engadina) ed è una regolare continuazione
di latunus; il termine introdotto da Haller nel 1832 è stato specialmente usato dai linguisti
italiani, ma non è esente da equivoci, giacché il termine ladino è anche il termine che
designa il Giudeo-spagnolo dei Balcani. I linguisti tedeschi preferiscono retoromanzo, ma
anche questo termine, dall’origine erudita, non è esatto; infatti solo la parte più occidentale
delle varietà ladine ha per sostrato il retico e si parla in un territorio appartenuto alla Rezia,
mentre la parte più orientale del dominio oggi ladino apparteneva al Norico e il Friuli faceva
parte dell’Italia.
Il ladino si divide in tre sezioni, separate l’una dall’altra da parlate neolatine o varietà
alloglotte: 1. Occidentale;
2. Centrale;
3. Orientale.
La SEZIONE OCCIDENTALE comprende le parlate romance del Cantone dei Grigioni
(Svizzera) e cioè della Sopraselva, dell’Engadina; il punto più orientale è formato dalla Val
Monastero, ma prima doveva estendersi anche oltre, nella Val Venosta, la cui
germanizzazione è relativamente recente. Nei Grigioni alcune varietà dialettali sono anche
state usate a scopi letterari, specie dopo la Riforma luterana. Dal 1938 il Romancio è
diventato la quarta lingua nazionale della Confederazione Elvetica, ma non essendo mai
assurto a lingua letteraria unitaria per la configurazione geografica del terreno che divide con
alte catene le singole valli, per la mancanza di un centro culturale comune, sia anche perché
i Grigioni sono divisi in due gruppi religiosi, protestanti e cattolici, vengono ora usate almeno
nella stampa e nell’insegnamento le due principali varietà (Soprasilvano ed Engadinese).
La SEZIONE CENTRALE è formata da alcuni dialetti della regione dolomitica che hanno per
centro il massiccio della Sella. Le valli ancora ladine sono: Fassa, Badia, Livinallongo,
Ampezzo, Comelico ecc. Ancor più a Oriente si trovava quella che era considerata l’estrema
propaggine del Ladino centrale nella Valle del Vajont sulla sinistra del Piave.
La SEZIONE ORIENTALE è formata dal Friulano e va dai confini del Comelico fino alle porte
di Trieste. Trieste e Muggia erano una volta Ladine, ma il Veneto si è sovrapposto all’antica
parlata. Fra la sezione orientale e quella centrale il Veneto si è incuneato lungo la valle del
Piave e fra quella centrale e occidentale vi è una larga zona linguisticamente tedesca.
Queste infiltrazioni riducono il dominio a tre tronconi; nelle zone intermedie il sostrato ladino
può essere rivelato ormai solo dalla toponomastica. Il Ladino non ha netti confini verso il Sud
e cioè verso il dominio alto- italiano; i dialetti della Val Bregaglia, Poschiavo, di alcune valli
del Canton Ticino segnano una transizione tra il Ladino e il Lombardo. Dall’atra parte il
Ladino si sbiadisce sempre più verso i dialetti di tipo trentino (veneto- lombardo). Parimenti
nella valle del Piace e suoi affluenti, i dialetti segnano un lento passaggio dal Ladino al
Veneto. L’ammettere, come fece Ascoli, che in tutti questi casi ci fosse una sovrapposizione
di due strati cronologicamente diversi non spiega tutte le difficoltà.
L’Ascoli considerava i tre gruppi ladini come tre oasi affioranti da una più antica unità ormai
sparita. Battisti, già nel 1910, negò l’esistenza di una vera e propria unità ladina. Fra tutti gli
studiosi che si sono opposti all’unità ladina, il più reciso è stato il Battisti: egli non solo nega
l’esistenza di un’unità linguistica ladina in seno alla famiglia romanze, ma non ammette
neppure una particolare unità storica e genetica fra le tre sezioni. Per il Battisti i dialetti dei
Grigioni sono direttamente congiunti coi dialetti della Lombardia; i dialetti delle sezioni
centrali e orientali sarebbero invece la continuazione diretta di quelli veneti.
Il Ladini, pur avendo una sua innegabile unità, è strettamente connesso con l’Alto-Italiano.
● Lo studioso PULT, in uno dei suoi scritti, sembrava ammettere che le caratteristiche
fonetiche e morfologiche retoromanze presentassero maggiori concordanze col
Galloromanzo che con l’Italo-romanzo.
Anche altri linguisti svizzeri, come WALTHER VON WARTBURG sembrano ammettere
maggiori contatti fra il Ladino e il Galloromanzo che fra il Ladino e l’Italo-romanzo. Ma, in
realtà, i contatti del Ladino col galloromanzo non sono più numerosi di quelli dei dialetti
gallo-italici col Galloromanzo stesso. Alcune caratteristiche ladine concordanti col
Galloromanzo e discordanti dall’Italiano sembrano dovute ad evoluzioni indipendenti nei due
domini:
- Il volgere di ca e ga in ʧa e d3a nel ladino è stato confrontato con l’analogo
passaggio nel francese. Dal punto di vista dell’estensione geografica si può subito
notare che nelle varietà poste all’estremità occidentale del dominio ladino, e cioè in
quelle più vicine al territorio francese, la riduzione della velare in palatale è molto
rara. Che la palatalizzazione sia relativamente recente nelle varietà grigionesi è
provato anche dal fatto che vi partecipano, nell’Engadina, i più antichi prestiti
alemannici. Che la fase più antica fosse ka è rivelato anche dalla toponomastica.
1. Nel ladino centrale osserviamo la palatalizzazione di ca e ga in quasi tutto il dominio; ma
che il fenomeno è più recente lo dimostra la toponomastica delle regioni che furono ladine e
che ora sono germanizzate. In Francese, invece, la palatalizzazione, pur essendo posteriore
alla riduzione dei più antichi elementi franconi, che vi partecipano, è anteriore alla riduzione
di au > o, quindi probabilmente ha avuto luogo fra il VI e l’VIII secolo. In tal modo, la
differenza cronologica vieta di ritenere la palatalizzazione di ca, ga come un fenomeno
comune al Ladino e al Francese; si tratta di un’evoluzione parallela avvenuta
indipendentemente in due periodi diversi.
2. Un’altra presunta analogia fonetica fra il Ladino e il Galloromanzo sarebbe il passaggio di
l+dentale > u. In francese l’evoluzione ha inizio tra III e V secolo. Nel ladino, invece,
l’evoluzione deve essere più recente. Essa manca completamente nella sezione orientale e
anche nei grigioni il passaggio l > u non è di molto anteriore al XVI secolo. Non vi è dunque
nessun rapporto cronologico fra la velarizzazione di l del Francese e quella del Ladino.
3. Anche il passaggio a > e, uno dei tratti caratteristici del Francese e che è certo
considerevolmente antico, non può avere alcun rapporto cronologico con il passaggio a > e
che si osserva in parte del territorio ladino e specie nel Ladino centrale. Battisti è riuscito a
dimostrare che l’evoluzione a>e nel Ladino centrale è provocato dall’allungamento della
vocale e perciò subentra solo in determinati casi. Dai sostantivi e dai toponimi passati nei
dialetti tedeschi dell’Alto Adige appare che l’evoluzione deve aver avuto luogo nel Ladino
centrale abbastanza tardi, verso il XVI secolo. Anche qui, dunque, cade ogni rapporto
cronologico. Del resto sia nel dominio ladino sia in quello francese, il passaggio a>e è
sempre posteriore alla palatalizzazione di ca, ga.
4. Ancor minor pesa ha la concordanza fra Ladino e Francese nella conservazione dei nessi
di consonante + l. la trasformazione dei nessi cl, bl, pl ecc. nell’Italia settentrionale è
avvenuta relativamente tardi e i più antichi testi dialettali lombardi e veneti ci danno ancora
forme con l conservato. Non è dunque un tratto fonetico che unisce il Ladino al
Galloromanzo e lo separa dall’Italiano.
5. Anche la conservazione di -s finale nella maggior parte dei dialetti ladini può essere un
segno distintivo solo di fronte all’Italiano letterario e ai dialetti italiani centro-meridionali, ma
non di fronte ai dialetti alto- italiani, che, nelle loro fasi più antiche, conservano -s.

IL SARDO
Nella sezione dell’Italo-romanzo vi è il Sardo, col nome di Sardo si intendono le varietà
dialettali della Sardegna con esclusione di Alghero, isola linguistica catalane, e di Carloforte
(isola di San Pietro) e Calasetta (isola di S. Antioco), isole linguistiche genovesi.
Il Sardo ha una sua fisionomia e individualità che lo rende il più caratteristico degli idiomi
neolatini; e questa speciale individualità del Sardo, come lingua di tipo arcaico e con una
fisionomia inconfondibile, traspare dai più antichi testi.
Il Sardo si suddivide in 4 varietà dialettali:
1. Il Logudorese, parlato nel centro dell’isola, nella regione del Logudoro;
2. Il Campidanese, nella parte meridionale dell’isola;
3. Il Gallurese, nella parte nord-orientale dell’isola;
4. Il Sassarese, nella città di Sassari e immediate adiacenze.
Il Logudorese si può dire il Sardo per eccellenza e fu usato dagli scrittori e dai poeti della
Sardegna come una specie di volgare illustre. Campus ne distingueva tre varietà:
a) La varietà meridionale che abbraccia la regione sud-ovest del Logudoro con centro
Nuoro;
b) La varietà centrale che ha per centro Bonova e abbraccia il sud-est del Logudoro;
c) La varietà settentrionale che ha per centro Ozieri.
Una differenza fondamentale vi è fra il Logudorese e il Campidanese da una parte e il
Sassarese-Gallurese dall’altra.
Mentre il Campidanese, pur conservando i tratti caratteristici del Sardo, si avvicina più ai
dialetti italiani di tipo centro-meridionale, i dialetti di tipo gallurese-sassarese si avvicinano
molto ai dialetti corsi i quali, sono di tipo toscano, ma sviluppati su un sostrato simile a quello
del Sardo. I dialetti gallurese e sassarese si differenziano per molte innovazioni:
- j>dʒ
- nj > ŋ, come in Italiano;
- cl, gl, pl, bl, fl si semplificano;
- le desinenze del plurale cadono.
Sembra giustificata l’opinione degli studiosi che separano dal Sardo propriamente detto
questi dialetti, considerandoli come un’appendice dei dialetti italiani di terraferma, anche se
le condizioni attuali sono il risultato di un processo storico che ha modificato le primitive
condizioni linguistiche.
FRA LE CARATTERISTICHE DEL SARDO:
1. VOCALISMO TONICO SARDO: mantenimento della distinzione fra le continuazioni di ē, ĭ
e di ō, ŭ (pilum > pilu; bucca > bukka), il mantenimento di j.
2. Mantenimento del valore VELARE di c dinanzi a vocali palatali in Logudorese, Nuorese e
Campidanese (centum > kentu).
3. I nessi cl, pl, bl, fl sono conservati nei dialetti del Centro dell’isola e nel Campidanese; in
gran parte del territorio però l>r.
4. Lo sviluppo dell’elemento labiale di qu, gu > b può ricordare quello simile del Rumeno (qu
> p, gu > b); si tratta quasi certamente, però, di due evoluzioni parallele ma indipendenti.
5. Anche l’evoluzione del nesso gn >nn ricorda quello del rumeno in cui gn > mn, ma esiti
simili si trovano anche nei dialetti italiani meridionali.
6. Un altro tratto arcaico è il MANTENIMENTO DELLE SORDE INTERVOCALICHE;
probabilmente la conservazione delle sorde intervocaliche era un tempo assai più estesa e
la lenizione, che appare in molte varietà dialettali, è un’innovazione indipendente dalla
lenizione dell’Italia settentrionale, della Gallia e della Spagna.
7. L’ARTICOLO DETERMINATIVO è su, sa, sos, sas e continua il latino volgare ipsu, ipsa,
ipsos, ipsas, differenziandosi dunque altri articoli determinativi romanzi che derivano da illu.
8. Il PLURALE dei sostantivi maschili e femminile esce in -S, come nelle lingue romanze
occidentali, -s finale si conserva anche nei NEUTRI SINGOLARI DELLA TERZA
DECLINAZIONE tempus “tempo, pegus “campo di bestiame”.
9. Nella coniugazione si nota la prevalenza della III sulla II.
10. Il Sardo antico conserva ancora il PIUCCHEPERFETTO indicativo che però uscì
dall’uso. L’imperfetto
congiuntivo aveva desinenze -aret, -eret, -iret. Anche il perfetto indicativo aveva, nel Sardo
antico, forme molto simili a quelle latine; troviamo infatti le desinenze: -avi, -asti, -avit,
-avimus, -astis, -arun per la I coniugazione; più tardi il -v- scomparve e abbiamo oggi le
desinenze in -ai, -ait ecc.
11. Nel Sardo antico non vi è traccia del piuccheperfetto congiuntivo, di cui fa le veci
l’imperfetto congiuntivo.
12. Anche dal punto di vista del LESSICO, il Sardo è estremamente conservativo. Il Sardo,
allo stato presente delle nostre conoscenze, conserva parole latine assenti da tutte le altre
lingue romanze: sa domo “la casa”. Sempre nel lessico si notano concordanze con la
Romània orientale, si tratta di concordanze nella conservazione di voci arcaiche sparite dalle
altre lingue romanze.
13. Anche dal punto di vista del superstrato, il Sardo ha una posizione particolare: mancano
quasi completamente gli elementi germanici, per quanto la Sardegna sia stata dal 455 al 534
sotto il dominio del Vandali e appena un anno sotto gli Ostrogoti (552-53), quasi tutti gli
scarsi elementi germanici del Sardo provengono attraverso l’Italiano o risalgono al Latino
volgare. Le parole arabe, non molto numerose, provengono quasi tutte attraverso lo
Spagnolo e il Catalano. Più importanti sono gli elementi greci, benché alcune voci
greco-bizantine possano essere entrate anche attraverso il Latino. Ma fra gli elementi dovuti
a superstrati, sono senza dubbio quelli catalano e spagnoli che hanno maggiormente
influenzato il Sardo. Il dominio degli Spagnoli è durato in Sardegna circa 4 secoli
(1327-1720); gli Aragonesi importarono il Catalano, ma accanto a questa lingua si
introdusse anche il Castigliano. Fino al 1764 lo Spagnolo fu la lingua ufficiale dei tribunali e
delle scuole. I vocaboli iberici abbondano soprattutto nella terminologia dell’amministrazione
e della Chiesa. Notevole è stato poi sul Sardo l’influsso dell’Italiano che viene sempre più
aumentando.

L’ITALIANO
La parte principale del dominio linguistico Italo-romanzo è costituita dall’Italiano. La Penisola
Italica ha una geografia ben netta, alla quale, corrisponde un’unità linguistica, poiché nel
complesso sono di scarsa importanza le isole e penisole alloglotte.
Aree Alloglotte
▪ Gli slavofoni d’Italia sono rappresentati:
1. dalla piccola isola linguistica serbo-croata di Acquaviva,collecroce e San felice slavo
e montemitro nel MOLISE;
2. dai dialetti sloveni di tipo arcaico della Val di Resia (UDINE);
3. dai dialetti sloveni dell’alta valle del Torre e del Natisone, dell’alto Isonzo e del
Goriziano e dalle minoranze slovene di TRIESTE e del retroterra triestino.
▪ Le penisole tedesche sono due:
- L’ALTO ADIGE (dal Brennero a Salorno);
- Val Canale presso UDINE (Friuli Venezia Giulia).
▪ Isole linguistiche tedesche:
- nelle Alpi e Prealpi dalla VALLE D’AOSTA ALLA CARNIA;
- InTRENTINO;
- Nei 13 comuni del veronese ;
- Nei 7 comuni del vicentino ;
- Tre isolette in FRIULI
▪ PIEMONTE: due penisole, una franco-provenzale con centro Aosta e l’altra provenzale con
centro Torre Pellice.
▪ Dialetti albanesi (giunti in Italia per la richiesta d’aiuto di Alfonso I d’Aragona a Demetrio
Reres):
- ITALIA MERIDIONALE: Villa Badessa (Pescara, Abruzzo), MOLISE, PUGLIA
(estremità settentrionale della provincia di Foggia), BASILICATA (Potenza); San
Marzano e Roccaforzata in provincia di TARANTO; CALABRIA (provincia di
Cosenza).
- SICILIA: Piana degli Albanesi (prima Piana dei Greci).
▪Dialetti greci:
- PROVINCIA DI REGGIO CALABRIA: comuni intorno a Bova;
- TERRA D’OTRANTO: a Sud di Lecce (Puglia): il Greco qui è più vitale che in
Calabria.
▪ Isola Catalana:
- ALGHERO:Sardegna.

L’Italiano è parlato entro i confini dell’odierna Repubblica Italiana e, fuori dai confini politici:
1. Nella Repubblica di San Marino (dialetto romagnolo);
2. Nella Svizzera Italiana (Canton Ticino e Poschiavo nel Canton dei Grigioni);
3. In Corsica (dialetti di tipo toscano);
4. Nelle regioni della Venezia Giulia e dell’Istria passate dopo la seconda guerra mondale
sotto il controllo o addirittura il dominio della ex Jugoslavia;
5. Nelle principali città della costa dalmatica (specie Zara);
6. Da un certo numero di abitanti della regione nizzarda e del Principato di Monaco;
7. Come lingua di cultura nell’isola di Malta;
8. Da numerosi italiani stabiliti nelle ex colonie e all’estero (attualmente l’Italiano serve in
Libia come
“lingua franca” fra Europei e Arabi).

Possiamo distinguere nel dominio linguistico italiano tre grandi suddivisioni dialettali:
1) DIALETTI ALTO-ITALIANI O SETTENTRIONALI;
2) DIALETTI CENTRO-MERIDIONALI;
3) DIALETTI TOSCANI (ivi compresi i dialetti della Corsica).
Col nome di dialetti settentrionali o alto-italiani intendiamo i dialetti gallo-italici, il Veneto e
l’Istriano e a questo gruppo maggiormente si avvicina il Ladino.
Qualche glottologo ha tenuto separati i dialetti Gallo-italici dal Veneto, ma molti li hanno
riuniti in un unico gruppo di valore più elevato.
I dialetti gallo-italici comprendono 4 sezioni differenziate tra loro:
a) Dialetti piemontesi;
b) Dialetti lombardi;
c) Dialetti liguri;
d) Dialetti emiliano-romagnoli.
Il nome di gallo-italici fu dato a questi dialetti da BIONDELLI e fu accettato dall’Ascoli e dai
dialettologi moderni, anche se il sostrato gallico è anche di parte del Ladino, del Francese,
del Franco-Provenzale e del Provenzale.
Fra le CARATTERISTICHE generali dei dialetti settentrionali:
1. Lo scempiamento delle consonanti lunghe e geminate (che può talvolta giungere al
dileguo);
2. La LENIZIONE (sonorizzazione) delle sorde intervocaliche (-p- > -b- > -v-; -c- > -g-);
l’ultima fase della lenizione può anche essere il dileguo (-t- > -d- > 0);
3. Passaggio da Cl,Gl a č,ğ
4. assibilazione di c e g davanti a e,i
5. passaggio da Ct a It nel piemontese e da Ct a č nel Lombardo
6.passaggio da a ad e,soprattutto nei dialetto i romagnoli
7. Caduta delle vocali finali,tranne -a
8. Caduta delle finali protoniche nel piemontese e nell’ emiliano-romagnolo,e post toniche
nel Lombardo.
9. Metafonesi provocata da -i finale
10. Perdita dei pronomi personali soggetti nelle forme toniche,sostituti da pronomi obliqui

Per quanto riguarda il Veneto, esso si suddivide in: Veneziano, Veronese,


Vicentino-Padovano-Polesano, Trevigiano, Feltrino-Bellunese, Triestino e Veneto-giuliano.
Fra le caratteristiche del Veneto ricordiamo:
- assenza di Metafonesi
- Mancanza di vocali turbate
- Fermezza delle vocali finali
- Mantenimento dei dittonghi ie e uo (>io in veneziano)
- Conservazioni delle vocali in sillaba accentata con tendenza ad apertura in a davanti
a r (es cenere>senare)
Per queste caratteristiche si avvicina molto al Toscano. Per altre invece, ai dialetti
gallo-italici: lenizione delle sorde intervocaliche (come nei gallo- italici), che può arrivare al
dileguo, es. catena > ven. kaèna; scempiamento delle geminate; assibilazione di ce, ci, ge,
gi.

I DIALETTI CENTRO-MERIDIONALI
I dialetti centro-meridionali formano il maggior nucleo dell’Italia dialettale. Essi possono
essere dividi in 3 sezioni:
1) Sezione marchigiano-umbro-romanesca;
2) Sezione abruzzese-pugliese settentrionale-molisano-campano-lucana;
3) Sezione salentina e calabro-sicula.
Tutti questi dialetti presentano caratteristiche comuni, le quali possono essere attribuite al
SOSTRATO ITALICO come:
- nd>nn, mb>mm; o mj>ññ;
- br-,-rb->v;
- pl>ʧ;
- bl>dʒ.
Vi sono alcuni tratti fonetici, morfologici e lessicali di tipo schiettamente meridionale che non
giungono sopra una LINEA IDEALE CHE DA POCO PIU’ A SUD DI ANCORA SCENDE FIN
SOTTO ROMA.
Vi sono anche altre isoglosse che congiungono l’Italia settentrionale con Roma, attraverso la
parte nord delle Marche e l’Umbria (seguendo le vie Flaminia e Salaria) lasciando fuori la
Toscana. Le vie Flaminia e Salaria ebbero poi importanza durante il dominio pontificio come
principali arterie fra Roma e i territori politicamente dipendenti più a Nord. Vi si vede, fra
l’altro, come il termine adesso (< ad ipsum (tempus) o ad id ipsum) caratterisrico dell’Italia
settentrionale e del dominio galloromanzo, si estenda verso Roma in una fascia di territorio
che segue l’andamento delle due vie, lasciando fuori la Toscana con ora e l’Italia meridionale
con mo (<modo).
ROMANESCO
La penetrazione toscana, iniziata presto, le varie vicende storiche che spopolarono quasi, a
più riprese, l’urbe e le successive immigrazioni, hanno fatto sì che l’antico romanesco
autoctono venisse sopraffatto da una nuova varietà, formatasi dal Toscano sovrapposto a un
sostrato romanesco.
CARATTERISTICHE DEI DIALETTI ITALIANI CENTRO-MERIDIONALI
1. due tipi di METAFONESI: napoletana, in cui vengono chiuse le vocali e ed o in i e u
quando le vocali atone
finali siano, o siano state, Ī, Ŭ; nelle stesse condizioni le vocali toniche ĕ, ŏ danno luogo a
dittonghi vari. Ciociaresca o arpinate, la quale concorda con il tipo napoletano per il
trattamento delle vocali chiuse, ma riduce le vocali aperte ĕ, ŏ alle vocali chiuse e, o.
- Dopo la caduta o la riduzione delle vocali finali la METAFONESI ha assunto valore
MORFOLOGICO: nell’Italia settentrionale oppone, nei maschili, i singolari e i plurali;
nell’Italia centro-meridionale indica un’opposizione di genere.
2. Riduzione -LL-> -DD-, propria anche del Sardo.
DIALETTI ABRUZZESI-PUGLIESI SETTENTRIONALI-MOLISANI-CAMPANI-LUCANI
Questi dialetti sono caratterizzati dalla riduzione delle vocali di sillaba debolmente accentata
alla vocale indistinta.
L’estrema sezione dei dialetti meridionali è formata dal gruppo CALABRO-SICULO:con
questo gruppo va anche il Pugliese meridionale e cioè il gruppo di parlate che si estendono
lungo la Penisola Salentina, a Sud di una linea che va DA TARANTO A BRINDISI.
CARATTERISTICHE:
1. Assenza vocali indistinte;
2. VOCALISMO TONICO SICILIANO: riduzione di e (ĭ, ē) ed o (ŭ, ō) in i e u;
3. Nella maggior parte della regione non si ha neppure -MB- > -MM-; -ND-> -NN-.
Vi sono differenze tra la Puglia settentrionale e meridionale e la Calabria a Nord e a Sud
della linea Nicastro- Catanzaro: le cause sono da ricercare nel diverso sostrato, ITALICO a
Nord e GRECO a Sud.
DIALETTI SICILIANI
Picciotto ha proposto una bipartizione tra i dialetti occidentali, più conservativi e che non
conoscono la metafonesi, e i dialetti orientali, più recenti e con dittonghi metafonetici.
I dialetti siciliani, rispetto ai dialetti meridionali del Continente, mostrano una relativa
modernità.
DIALETTI TOSCANI
I dialetti toscani possono essere divisi in quattro sezioni:
1. Sezione centrale o fiorentina;
2. Sezione occidentale (Pisa, Lucca, Pistoia);
3. Sezione senese;
4. Sezione aretino-chianaiola.
CARATTERISTICHE GENERALI:
1. Rj> j (-ARUS > AIO);
2. Assenza della metafonesi;
3. ʧ (affricata palatale sorda)> ʃ (fricativa palatale sorda); dʒ > ʒdavanti a vocali palatali;
4. GORGIA di -C-, a cui fa eco, in un’area più ristretta, quella di -T- e -P-.
Ai dialetti toscani si legano i dialetti della CORSICA, che si dividono in due sezioni:
1. CISMONTANO, dialetto a Nord-Est rispetto alla catena montuosa;
2. OLTREMONDANO, dialetto a Sud-Ovest rispetto alla catena montuoso.
Il dialetto oltremondano ricorda le condizioni del dialetto Sardo: mantiene distinti Ĭ e Ŭ da Ē
ed Ō (segue il SISTEMA VOCALICO TONICO SARDO) e riconduce -LL- > -DD-.
Il dialetto cismontano (dialetti corsi) occupa la maggior parte dell’isola, è di tipo nettamente
toscano: rappresenta le condizioni toscane arcaiche.
CONSIDERAZIONI FONETICHE E MORFOLOGICHE PER DIMOSTRARE CHE IL FIORENTINO
STA ALLA BASE DELL’ITALIANO LETTERARIO:
1. E, O del Latino volgare dinanzi a ɲ, λ, skj o a un nesso consonante+palatale o
consonanre+velare, si
chiudono, nel Fiorentino, in i, u, mentre nelle altre varietà dialettali, anche toscane,
rimangono e, o.
2. Il passaggio rj>j, come in area (arja)> aia. Nelle altre parlate d’Italia rj>r.
3. La desinenza -IAMO della 1° persona plurale del presente indicativo di tutte le
coniugazioni.
4. La desinenza -ɛi della 1° persona singolare del condizionale presente (in italiano alla base
del condizionale
si ha, cantare habui> *hebui che dovrebbe dare canterebbi, la forma in -ei è analogica.
CARATTERISTICHE DELL’ITALIANO (che lo differenziano dalle altre lingue romanze):
1. La mancanza di vocali turbate ed evanescenti;
2. L’assenza della metafonesi;
3. La conservazione delle vocali finali e la scomparsa di tutte le consonanti finali del Latino;
tutte le parole
italiane escono in vocale;
4. La presenza di consonanti lunghe e geminate (doppie), accanto a consonanti semplici; fra
consonanti
scempie e geminate esiste opposizione fonologica (fato-fatto);
5. La libertà di posizione dell’accento, che può stare su qualunque sillaba;
6. La libertà della sintassi del periodo.

IL PROVENZALE (con una letteratura fiorente dall’XI al XIV secolo) (e il GUASCONE)


All’interno del gruppo Galloromanzo possiamo riconoscere due sole unità linguistiche e
dialettali, cioè il Francese (lingua d’oil) e il Provenzale (lingua d’oc), o 3, aggiungendovi il
Franco-provenzale, o addirittura 4, considerando il Catalano separato dal Provenzale, o
forse anche 5, dando una sua indipendenza anche al Guascone. Ma il Catalano, ed
eventualmente anche il Guascone, sia che venga considerato coordinato al Provenzale, sia
che venga posto tra le lingue Ibero-romanze, rappresenta, in ogni modo, il naturale
passaggio fra il galloromanzo e l’Ibero-romanzo, come il Dalmatico segna il passaggio fra il
Balcanoromanzo e l’Italoromanzo.
Seguendo la riviera ligure, troviamo il dominio Provenzale.
● Qui, il confine politico attuale fra l’Italia e la Francia coincide, press’a poco, con
quello linguistico. Ventimiglia, stazione di confine italiana, parla un dialetto
nettamente ligure; Nizza, pochi km più a Occidente, parla già un dialetto
prevalentemente provenzale, dove però non mancano influssi italiani; Mentone, la
prima stazione francese sulla linea Genova-Marsiglia, ha un dialetto di transizione fra
il Provenzale e il Gallo-italico, mentre Monaco era un’antica isola linguistica ligure.
La corrispondenza fra confine politico, confine geografico e confine linguistico non si ha più
se, lasciando la costa, si segue lo spartiacque alpino. Fra Provenzale e Ligure (e più a Nord
fra Provenzale e Piemontese) come tra Franco-provenzale e Piemontese a Nord-Est, le Alpi
non segnano un confine linguistico. Qui le condizioni linguistiche non sono provocate dal
confine geografico, ma da profonde ragioni storiche. Territori cisalpini e transalpini
appartennero, per secoli, a una sola unità politica; sotto una sola unità politica; sotto Casa
Savoia, la lingua dell’amministrazione, dei tribunali ecc. era il Francese, che si estese anche
al piemontese dove, solo nel XIX secolo, l’Italiano riconquistò terreno.
Al di qua del confine politico con la Francia, in territorio italiano, troviamo numerose
propaggini dei dialetti provenzali:
- I più importanti centri provenzali sono quelli VALDESI di Val Pellice.
- Una colonia valdese, probabilmente originaria di Bibbio Pellice, nel XV secolo migrò
in CALABRIA a Guardia Piemontese (Cosenza) dove conserva ancora il suo dialetto,
con caratteristiche arcaiche.
- Altra propaggine provenzale si trova nelle provincie occidentali di TORINO E
CUNEO.

● Il confine linguistico fra il Provenzale e il Francese si è spostato nel corso dei tempi e
sempre in favore del Francese che da secoli è, anche per i Provenzali, lingua
nazionale e letteraria.
Ronyat distingue 5 gruppi di dialetti:
1. Gruppo provenzale;
2. Gruppo linguadociano-guinnese;
3. Gruppo aquitano;
4. Gruppo alverniate-limosino;
5. Gruppo alpino-delfinatese.
Egli non comprende, nella sua classificazione, il Catalano, ma vi include il Guascone (nel
gruppo aquitano).
I dialetti provenzali, che hanno ristretto il loro territorio sotto la spinta della lingua nazionale,
sono in continuo regresso; specie il confine settentrionale, che non può essere
rappresentato da una linea, ma piuttosto da una fascia, si è spostato verso Sud. Oggi, nella
città si ode poco il Provenzale.
I dialetti provenzali odierni, escluso il Guascone, presentano una notevole omogeneità:
1. -a finale > -o (Mireio, titolo dell’opera di Mistral);
2. Rarità della dittongazione di ĕ ed ŏ, la dittongazione è solo condizionata da -i della sillaba
seguente
(metafonetica) e assenza assoluta della dittongazione di e e di o;
3. Il mantenimento di a tonico, che in Francese, in sillaba libera, passa ad e;
4. La conservazione del dittongo au;
5. La resistenza delle vocali postoniche.NO sincope;
6. La conservazione di c, g dinanzi ad a nella maggior parte del territorio.NO
palatalizzazione in ch come in Francese;
7. Una morfologia conservativa.
I dialetti provenzali, sviluppatisi in latino volgare, cominciarono ad essere ben attestati presto
e dettero luogo a una fiorente letteratura medievale; poi l’uso letterario diventò sempre più
raro e tramontò del tutto, finché non risorse, più che altro in funzione di letteratura regionale,
nel XIX secolo.

GUASCONE
Il Guascone ha una tale individualità linguistica da poter essere anche considerato come
unità a sé, coordinata al Provenzale. Già per i Provenzali antichi il Guascone era sentito
come una lingua straniera, come dicono anche le Leys d’Amors. Il Guascone si differenzia
dal Provenzale anche per il suo SISTRATO IBERICO e concorda in molti punti con
l’Ibero-romanzo; numerose anche le concordanze fra Guascone e Catalano e fra Guascone
e Aragonese. Il confine attuale del Guascone coincide con quello del sostrato iberico della
Gallia sud-occidentale; la Garonna formò un tempo il confine fra la Gallia propriamente detta
e il territorio dell’Aquitania ed anche oggi il confine del Guascone costeggia per lungo tratto
la Garonna. Il Guascone si distingue per alcuni tratti fonetici:
1. F > h (dovuto probabilmente al sostrato iberico);
2. -ll- > r;
3. -ll > -t, -ʧ (gall > gat Gillieron);
4. -n->0;
5. In una parte del territorio Guascone si conservano le SORDE INTERVOCALICHE e in
questa conservazione il Guascone concorda con alcuni dialetti aragonesi.
6. La MORFOLOGIA è molto conservativa e il LESSICO possiede una serie di parole
caratteristiche.
IL FRANCO-PROVENZALE
Da Torino verso la valle d’Aosta, notiamo che i dialetti piemontesi lasciano il passo a varietà
dialettali non italiane, concordanti con le transalpine, ma non più provenzali, come quelle più
a Sud, e neppure del tutto francesi.
L’Ascoli, nei suoi Schizzi franco-provenzali (1878), con gli stessi criteri unicamente linguistici
già usati per riconoscere l’indipendenza e l’unità delle parlate ladine, costituì un nuovo
gruppo di varietà romanze che chiamò franco-provenzale, il quale insieme riunisce, con
alcuni suoi caratteri specifici, più altri caratteri, che parte son comuni al francese, parte lo
sono al provenzale, e non proviene già da una tarda confluenza di elementi diversi, ma
bensì attesta la sua propria indipendenza storica, dissimile da quella per cui fra di loro si
distinguono gli altri principali tipi neolatini.
Col nome Franco-provenzale si intende un gruppo di varietà dialettali che occupa la parte
sud-orientale della Francia, la Svizzera romanda e una parte delle valli alpine entro i confini
dell’Italia. I limiti del Franco- provenzale sono incerti, specie verso Nord.
Il limite fra Provenzale e Franco-provenzale è ancor più difficile da stabilire per quanto ora
siamo assai meglio informati.
Nella SVIZZERA ROMANDA, che è certo il territorio più vasto e compatto dove si parlano
dialetti Franco- provenzali, il Franco-provenzale confina, verso oriente, con dialetti
alemannici, cioè tedeschi.
Anche qui la linea di confine ha subito mutamenti anche nel corso degli ultimi decenni. È
opportuno però osservare che, mentre nella parte tedesca della Svizzera i dialetti alemannici
sono vitali anche fra le persone colte, nella Svizzera romanda, specie nella città, l’uso del
dialetto è in continua diminuzione. Avviene così che quando vi è un guadagno di territorio da
parte di una lingua romanza, questo è a vantaggio del Francese, lingua di cultura insegnata
a scuola.
CARATTERISTICHE:
1. VOCALISMO molto affine a quello provenzale e il CONSONANTISMO più concordante
con quello francese.
2. A tonico si conserva come nel provenzale, ma passa ad e per influsso di palatale;
3. -u ed -o finali rimangono come -o.
4. Nel consonantismo, caratteristiche le palatalizzazioni: c + a > ts; g + a > dz.
5. Il LESSICO è molto conservativo; trattandosi per la massima parte di dialetti di territori
alpini non
meraviglierà trovarvi parecchi relitti preromani.
6. Anche da punto di vista del SUPERSTRATO germanico vi sono nel Franco-provenzale
elementi
caratteristici di origine burgunda.
7. La divisione in sottodialetti è difficile (si può stabilire una divisione fra il dominio
franco-provenzale
settentrionale e meridionale); il frazionamento è molto forte ed ogni vallata ha una sua
individualità linguistica. Ciò dipende in buona parte da una mancata unità stoica e politica
(Lione fu un tempo il centro linguistico del dominio franco-provenzale); il dialetto di Ginevra
fu per qualche tempo lingua ufficiale dell’antica repubblica ginevrina, ma fu poi abbandonato
volontariamente in favore del Francese; anzi, esso sopravvive solo nei comuni rurali.
IL FRANCESE
❖ FRANCESE ANTICO: XII-XIII secolo;
❖ MEDIO FRANCESE: XIV-XVI secolo.Il Franciano inizia ad imporsi;
❖ FRANCESE MODERNO: dal XVII secolo in poi.

Le condizioni linguistiche attuali del Francese corrispondono solo in minima parte a quelle
più antiche, giacché, specie dal XV secolo, l’azione delle città, e soprattutto di Parigi, ha
alterato i dialetti della lingua d’oil. In un’area vastissima intorno a Parigi i dialetti sono
scomparsi e il Francese comune, proveniente dalla capitale, ha preso il loro posto32;
naturalmente anch’esso ha iniziato a frazionarsi; ha dato luogo così a quella varietà che i
linguisti francesi chiamano francese regionale e che si è diffusa attorno alla capitale, d’altro
canto anche innovazioni partite dalla campagna si sono introdotte a Parigi e sono entrate a
far parte della lingua nazionale. È certo che il numero maggiore di innovazioni è però partito
da Parigi.
CARATTERISTICHE:
1. La tendenza alla perdita delle consonanti finali;
2. La tendenza all’eliminazione di -e muto;
3. Il passaggio en > a si è diffuso partendo dal centro dell’Ile de France;
4. ll>y;
5. oi > oe >oé > wa, attestato presso il basso popolo parigino fino al XVI secolo, si è fatta
strada solo con
la Rivoluzione francese che ha portato al potere le classi proletarie e da Parigi si è diffusa
tutt’intorno.
Fra i dialetti a Sud di Parigi che ancora conservano alcune caratteristiche ed oppongono
resistenza alla penetrazione del Francese comune, si possono ricordare il Pittavino nel
Poitou e più a Sud il Santongese nella Saintonge. In Poitou e in Saintonge il vocalismo è più
conservativo, questi dialetti stanno guadagnando terreno, ma subiscono nel tempo stesso
l’influsso delle parlate meridionali confinanti (limosine).
Dialetti molto più caratteristici e meglio conservati solo quelli della costa settentrionale della
Francia e specie il Normanno33 e il Piccardo. La più importante caratteristica del Normanno
e del Piccardo è il MANTENIMENTO DI C VELARE DINANZI AD A.
Un dialetto conservativo e tipico è il Vallone che rappresenta la parlata familiare della parte
linguisticamente francese del Belgio. Il territorio vallone è limitato a Nord e a Est dalla
frontiera linguistica romanzo-germanica; a Occidente confina con il Piccardo, da cui è
distinto da alcune isoglosse. Verso Sud, il limite meridionale del Vallone segue la valle del
Mosa, lungo il confine franco-belga. Il Vallone, che ha una letteratura regionale abbastanza
notevole, si distingue per alcune caratteristiche, come:
1. la conservazione di u < ū;
2. e < en;
3. il mantenimento di s dinanzi a una consonante sorda;
4. il mantenimento di h e w germanici;
5. la dittongazione di ĕ, ŏ in sillaba chiusa.
6. La vicinanza del Neerlandese e del tedesco ha introdotto nel Vallone un numero
considerevole di
elementi germanici.
Verso Sud troviamo il Lorenese, che presenta anch’esso tratti conservativi, ha in comune
con il Piccardo e il Vallone la dittongazione di tonico libero in ei, ma il lorenese dittonga
anche in sillaba chiusa.
I dialetti della Franca Contea e della Borgogna troviamo delle particolarità che ricordano il
Franco-provenzale. Notevole nel Borgognone la labializzazione di ei in oi; anche ē del latino
volgare passa a oi.
I dialetti della Champagne sono in piena dissoluzione.
Al centro troviamo il Francien, cioè il dialetto dell’Ile de France, reso relativamente unitario
dall’influsso della capitale; è difficile farsene dei limiti precisi.
Questo Francien o Francico sta alla base della lingua letteraria Francese, giacché Parigi era
divenuta ben presto la capitale del regno; Ugo Capeto fu il primo re che ignorava il Francone
germanico e parlava unicamente il Francico romanzo.
Il BASCO si parla nelle tre provincie di Labourd, Basse Navarre e Soule nei Bassi pirenei, il
BRETONE nella parte occidentale della Bretagna (Basse Bretagne), il FIAMMINGO nei
circondari di Hazenbrouck e di Dankerque e il TEDESCO in buona parte dell’Alsazia e della
Lorena.
La Francia, per ciò che concerne le parlate neolatine, si può dividere in 3 gruppi:
1. Dialetti settentrionali o d’oil;
2. Dialetti meridionali o d’oc (Provenzali);
3. Dialetti sud-orientali o franco-provenzali.
CARATTERISTICHE DEL FRANCESE
1. Ci presenta un minor grado di romanizzazione e il massimo di germanizzazione; le vocali
larghe e
strette si dittongano in sillaba libera;
2. a>e;
3. le sorde intervocaliche si sonorizzano fino al dileguo;
4. ca, ga si palatalizzano, salvo nel Normanno e nel Piccardo.
La tesi delle differenziazioni dialettali causate in Francia dal superstrato germanico è stata
ripresa da W. VON WARTBURG, Morf invece insisteva sull’impertanza delle circoscrizioni
ecclesiastiche. Per MERLO invece le differenziazioni attuali della Francia si devono solo al
sostrato.

IL CATALANO
Con il catalano si esce dalla Gallia per passare alla penisola Iberica. Attualmente il catalano
è parlato in Francia solo nel Rossiglione; è la lingua ufficiale della Repubblica di Andorra e in
Spagna è la lingua non solo della Catalogna storica, ma anche di una striscia di territorio di
Aragona ai confini con la Catalogna, di gran parte delle regioni di Valencia e Alicante, delle
isole Baleari. Esso fu importato ad ALGHERO in Sardegna.
Si divide in diverse varietà dialettali, le principali sono due, una orientale e una occidentale;
inoltre di sono i dialetti: delle Baleari, Valenziano e Rossiglionese. L’estensione verso Sud
del catalano si deve alla reconquista sugli Arabi, specie per ciò che concerne Valencia, in cui
una parte è linguisticamente ancora Catalana e quella che su riconquistata sa Aragonesi è
invece aragonese, cioè spagnola. Il Catalano è parlato da circa 4 milioni di individui.
CARATTERISTICHE:
1. la mancanza di ü > ū;
2. la mancanza dei dittonghi succedanei di ĕ, ŏ;
3. CT > IT, come in Francese e in Portoghese;
4. Vi è la SINCOPE sia in protonia che in postonia;
5. Le vocali finali cadono sempre, tranne -a, che in parte del dominio di conserva e in parte
passa ad -
e;
6. Caratteristica la palatizzazione di l- iniziale (ll-) che inizia però solo nel XVI secolo;
7. F- iniziale si conserva;
8. C davanti a vocali palatali passa a s e g, j, nelle stesse condizioni, passano a j;
9. -n finale tende a cadere;
10. I nessi pl, cl, fl si conservano;
11. Mb> m;
12. MORFOLOGIA: articolo determinativo es, sa, sos, sas (<ipsu,a).
Uno dei problemi è fissare la posizione linguistica del Catalano. W. MEYER-LUBKE è
propenso a mettere in evidenza le differenze rispetto alle lingue romanze della Penisola
Iberica e le somiglianze col Galloromanzo, ALONSO invece vede nel Catalano un idioma
Ibero-romanzo.
Dunque il Catalano è Gallo-romanzo per la sue origini ma non può essere classificato come
dialetti provenzale; è Ibero-romanzo per la sua posizione geografica, ma per i suoi caratteri
peculiari e per ragioni storiche non può essere considerato fra le lingue Ibero-romanze.

LO SPAGNOLO (CASTIGLIANO)
Due principali varietà neolatine ci si presentano nella Penisola Iberica (che conserva anche
un nucleo di parlanti un idioma preromano nei BASCHI), lo Spagnolo e il
Gallego-portoghese.
Lo Spagnolo è parlato nella Repubblica Spagnola con eccezione della parte Nord-orientale
che parla il Catalano, deve provincie basche dove si parla ancora il Basco e di quattro
provincie Nord-occidentali dive si parla il Gallego.
Se è relativamente facile fissare il confine linguistico con Basco, idioma non romanzo e anzi
anario, non è semplice fissare esatti confini linguistici col Catalano e con il Gallego e il
Portoghese, trattandosi di varietà neolatine che degenerano facilmente l’una nell’altra.
Siccome però una delle caratteristiche distintive dello Spagnolo è la DITTONGAZIONE di ĕ
ed ŏ anche in sillaba chiusa, si può fissare questo criterio come distintivo per riconoscere le
varietà spagnole.
Anziché lengua espanola si usa dire correttamente lengua castellana; fu infatti il Castigliano,
parlato nella regione centrale della Spagna, che divenne lingua letteraria e si estese con la
Reconquista dei territori dominati dagli Arabi. La scoperta dell’America e la sua
colonizzazione dovuta per massima parte agli Spagnoli estesero questa lingua in gran parte
del Nuovo Mondo e le dettero un’espansione maggiore di quella di qualsiasi altre lingua
neolatina.
CARATTERISTICHE:
1. La dittongazione di ĕ ed ŏ in sillaba aperta e chiusa (per influsso di fonemi adiacenti, i
dittonghi possono poi ridursi (ie > i ̧ ue >e);
2. Le vocali finali sono ben conservate come nel Toscano;
3. Nel CONSONANTISMO le iniziali sono generalmente ben conservate, ma f- > h, oggi
muto (pur
conservandosi dinanzi al dittongo ue);
4. I nessi consonante + l tendono a ridursi a ll (clamare > llamar);
5. Le consonanti sorde intervocaliche subiscono la LENIZIONE e diventano, nella pronuncia,
fricative;
6. Le consonanti lunghe e geminate si scempiano ma non si sonorizzano;
7. Ll e nn passano alle palatali > ŋ, λ;
8. Il nesso CT > it > CH (palatale);
9. Il nesso lj > j;
10. Molto conservativa la morfologia.
Fra le varietà dialettali Spagnole vi è il Leonese, i cui limiti attuali non coincidono con l’antico
regno di Leon né con l’odierna provincia di Leon. Esso presenta caratteristiche che in parte
lo avvicinano al Gallego- portoghese:
1. Ou > ao; al- + consonante;
2. Si conserva if-;
3. Si perde ogni -n- intervocalico;
4. L passa a r dopo consonante sorda.
Un altro importante dialetto è l’Aragonese che deve, in parte, le sue premesse storiche al
vecchio regno di Aragona e di Navarra, ma che fu molto influenzato dal Castigliano. Oggi si
parla nella provincia di Huesca e sotto i Pirenei.
● I dialetti della Spagna meridionale, come l’Andaluso, non sono che frazionamenti del
Castigliano,importato al Sud dalla Reconquista. Fra i dialetti medievali merita una
menzione il Mozarabe. Le condizioni dialettali della Spagna medievale sono
ricostruibili con grande difficoltà perché la Reconquista e il concentrarsi del potere
nelle mani dei Re di Castiglia provocarono movimenti che separarono dialetti
confinanti. Importante è anche il Giudeo-spagnolo.

IL PORTOGHESE
Il Portoghese è parlato in Portogallo, in qualche punto della Spagna presso la frontiera
portoghese, negli arcipelaghi delle Azzorre e di Madera, nel Brasile e infine, più o meno
modificato in numerose varietà creole, in molti punti dell’Africa e dell’Asia.
Si distinguono nella storia del Portoghese due periodi:
1. Il periodo arcaico, dal XII secolo fino alla metà del XVI;
2. Il periodo moderno, dalla metà del XVI ad oggi.
Il Portoghese arcaico è intimamente connesso con il Gallego, ossia con l’idioma della
Galizia. Questo periodo, che comprende le prime fasi delle due varietà neolatine
strettamente affini fra loro, si chiama periodo gallego-portoghese.
Il gallego-portoghese si venne formando nella Lusitania settentrionale. La parte meridionale
della Lusitania dal secolo VIII al secolo XIII era occupata dagli Arabi, ma in essa, si era
formata una varietà neolatina che non sappiamo quanto fosse simile al portoghese e che si
è certamente mantenuta durante il dominio arabo. Dopo le conquiste di Alfonso Henriques
(dalla metà del XII secolo), il Portoghese arcaico, formatosi nel nord, si propagò anche al
Sud e si fuse con l’idioma neolatino del Sud, di cui però restano tracce nella toponomastica
e nell’onomastica dell’Estremadura, di Alentejo e Algarve, sia nei dialetti di queste regioni.
Tracce di questo neolatono della Lusitania meridionale, chiamato romanço mozarabico,
sarebbero i nomi di luogo Defesa, Cacela, castro-Verde, Fontanas ecc.
Prescindendo da questo idioma, va considerata come base del Portoghese letterario odierno
il neolatino formatosi nella Lusitania settentrionale che i linguisti chiamano
Gallego-portoghese, mentre i contemporanei lo chiamavano semplicemente romanço, cioè
romanzo.
CARATTERISTICHE:
1. VOCALISMO TONICO: modificazioni delle vocali per influsso di una nasale e
modificazioni dovute alle semivocali j, w.
2. Notevole la METAFONESI di e, o toniche in voci proparossitone: e ed o sono chiuse se
nella sillaba finale si trova una vocale velare (-o, -u), aperte se si trova una vocale palatale
(-e, -i) o una -a. questi spostamenti metafonetici hanno importanza teorica e pratica perché
creano opposizione fonologica.
3. Mutamenti dovuti all’apofonia, che non è quantitativa come in italiano ma qualitativa.
4. Passaggio del dittongo latino au > ou che, nella lingua moderna, si pronuncia o ed alterna
con oi.
5. Nel CONSONANTISMO si nota la lenizione delle sorde intervocaliche.
6. Fra le consonanti intervocaliche cadono -d- ed -l-.
7. -n- nasalizza la vocale precedente e, in alcuni casi, scompare.
8. -g- intervocalico sovente cade, specie se seguito da vocali palatali.
9. Gruppi consonantici:
o PL->CH- o -PL->-LH- o FL->CH- o CL->CH- o -CL->-LH-
10. MORFOLOGIA: mantenimento del piuccheperfetto indicativo latino come nello Spagnolo
e nel Provenzale.
11. Distinzione fra infinito personale o flesso e infinito impersonale.
12. Il futuro indicativo e il condizionale che, anche in Portoghese, continuano condizioni
latine volgari di composti dell’infinito del verbo più habeo, hanno la possibilità di separate
l’infinito dall’ausiliare con un PRONOME ATONO.
13. Nella SINTASSI è caratteristica la collocazione dei pronomi atoni che in Portogallo (ma
non in Brasile) non stanno mai all’inizio di una proposizione.
14. Il LESSICO: i relitti del sostrato iberico sono comuni agli altri idiomi della Penisola Iberica
e sono scarsi e malsicuri. L’influsso germanico è rilevante nell’onomastica e nella
toponomastica. Come nello Spagnolo, notevole l’influsso arabo. Vi sono poi nel lessico molti
elementi francesi, spagnoli e anche italiani. Nucleo importante è formato dalle parole
esotiche Africane e Asiatiche, che poi sono entrate, spesso, a far parte della cultura
europea.
Il Portoghese, parlato in 4 parti del mondo, ha molte varietà dialettali. Si distinguono
dapprima due sezioni:
● Portoghese propriamente detto;
● Co-dialetti portoghesi.
Il Portoghese propriamente detto è diviso in 4 grandi gruppi.
1. Dialetti continentali;
2. Dialetti insulari;
3. Dialetti d’oltremare;
4. Dialetti degli Ebrei.
I co-dialetti portoghesi sono distinti in 4 gruppi:
1. Gallego;
2. Riodonorese;
3. Guadramilese;
4. Mirandese.
Lisbona ha un dialetto composito, a causa dell’urbanesimo e della tendenza livellatrice
esercitata dalle classi superiori. I dialetti insulari, specie quello delle Azzorre, dimostrano di
provenire dal Portogallo meridionale. Tutte le varietà d’oltremare sono creole o creolizzanti.
Il Portogallo degli Ebrei (parallelo al Giudeo-Spagnolo) è quasi completamente spento.

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