Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
03 SEMINARIO CASELLA
I testi di Tennenson, Matthew Arnold e George Meredith appartengono all’epoca vittoriana,
mentre quelli di Sassoon possiamo definirli come appartenenti ad un momento di transizione
mentre Pound ed Elliot sono due poeti americani che emigrano in Europa all’inizio del 900 e
che costituiscono il nucleo fondante del movimento letterario del modernismo, che
rappresenta la novità, l’innovazione e l’avanguardia in tutta la prima metà del 900 seguito poi
dal postmodernismo negli anni 50.
ETÁ VITTORIANA
Prende il nome dalla Regina Vittoria che regna dal 1837 al 1901. Le caratteristiche peculiari
dell’epoca vittoriana sono:
- Grandissima estensione sia dal punto di vista cronologico sia geografico, perché la
Gran Bretagna raggiunge l’apice della propria espansione attraverso l’impero che va
dalle colonie dell’India, una metà dell’Africa, Canada e Nuova Zelanda. Questo
provoca ed è provocato da una grandissima potenza e sviluppo economico, aiutato
anche dalla stabilità interna e dallo sviluppo che si verifica sul suolo britannico.
- Valori vittoriani: concetto di impegno nel lavoro (di chiara origine puritana e
anglocattolica dal punto di vista religioso), al senso del dovere personale e sociale, al
senso della rispettabilità e della sobrietà nei modi e nei comportamenti, al senso della
moralità soprattutto fondata su valori familiari. il modello della maggioranza dei
sudditi ammirato in epoca vittoriana è il modello della royal family, la regina Vittoria
e Prince Albert. Inoltre i ruoli ben precisi dei componenti familiari erano
fondamentali, con la differenza tra ruolo maschile e femminile, in cui prevale quello
maschile. Infatti, è proprio in epoca vittoriana in cui iniziano a presentarsi le prime
istanze di quello che poi sarebbe diventato il femminismo, anche se all’epoca non
aveva questa definizione.
Questo insieme di valori, in parte sicuramente positivi, sentiti e condivisi, caratterizzano tutto
l’arco dell’epoca vittoriana. Accade poi però che nella seconda metà dell’800 e soprattutto
negli ultimi 20/30 anni questi valori vengono meno, o più che altro fraintesi. Per cui la
rispettabilità era un valore in cui tutti i sudditi credevano e si adeguavano, diventa solo una
specie di ipocrisia di facciata, la moralità viene abbandonata, l’etica del lavoro viene imposta
solo alle classi meno abbienti e abbandonata progressivamente dalle classi dominanti.
Quindi, verso la fine dell’800 c’è un momento di crisi anche con il declino della figura della
regina la quale rimane priva del suo consorte e consigliere e quindi il suo ruolo e la sua
funzione diminuiscono progressivamente.
Nell’ambito delle tematiche meno positive che vengono tutt’ora additate come negative in
epoca vittoriana sono i tabú soprattutto inerenti alla vita privata sessuale delle persone.
Dal punto di vista della società, una progressiva diversificazione nelle classi sociali:
sappiamo che fino a buona parte dell’800 la società britannica aveva come classe dominante
l’aristocrazia. Gia dalla fine del 700 poi in epoca vittoriana iniziano ad emergere altre classi
che da un lato è quella commerciale e dei grandi proprietari terrieri, dall’altro con la
rivoluzione industriale emerge quella degli industriali, investitori, chiamati i capitalisti.
Capitalismo è un fenomeno socioeconomico che è diretta derivazione e al contempo causa
della rivoluzione industriale.
Si sviluppa questa classe di “nuovi ricchi” che hanno in mano i mezzi di produzione
industriale che spesso si mescola per ragioni di crescita del capitale con la precedente classe
dominante dei proprietari terrieri, e quindi si assiste ai matrimoni tra queste classi dominanti,
facilitate da un progressivo aumento di ricchezze di territori e proprietà dei mezzi di
produzione.
Dall’altra parte abbiamo il fenomeno dell’inurbamento delle classi agricole che lasciano le
campagne e si dirigono verso i grandi centri industriali, con tutta una serie di fenomeni dai
contraccolpi negativi quali il sovraffollamento delle città, condizioni sanitarie estremamente
negativi, peggioramento delle condizioni morali, mortalità infantile, malavita. I vari ministri
che si sono succeduti cercano di porre rimedio a questa situazione con tutta una serie di patti
legislativi:
- 1842: Mines Act, i bambini al di sotto dei 10 anni e le donne non possono lavorare in
miniera
- 1847: Factory Act/10 hours Bill, impone l’orario massimo di lavoro giornaliero
- 1848: Public Health Act, cerca di venire in contro alla scarsa igiene e alle varie
epidemie che affliggevano le classi meno abbienti
- 1864: Chimeny Act, si vieta l’utilizzo di bambini in questo tipo di attività
- Istruzione: si comprende che è doveroso fornire istruzione ai bambini. Fino a quel
momento era riservata o alle classi abbienti che potevano permettersi precettori,
scuole private e università, ma l’istruzione anche minima per eliminare
l’analfabetismo si può dire che nasca proprio in epoca vittoriana attraverso scuole di
natura ecclesiastico-religiosa (varie confessioni di origine cristiana che si sviluppano a
partire dalla riforma protestante sul suolo britannico) per iniziativa privata attraverso
la creazione di boarding schools e volontary schools. La monarchia e il governo si
rendono conto che l’alfabetizzazione deve essere messa in atto così nel 1870 viene
emanato l’Education Bill che promuove l’istruzione elementare per tutti, raggiunta in
maniera abbastanza soddisfacente alla fine del secolo
I contraccolpi in questo caso non possono che essere positivi perché se i bambini, anche
quelli delle classi povere, vengono tolti dalla strada e dall’obbligo di lavorare e vengono
progressivamente istruiti, non si potrà che aspettarsi un miglioramento della situazione
sociale.
- Diritto di voto: concezione e traguardo che viene raggiunto molto tardi. In tutta la
storia dell’umanità i governi si autoperpetuano, soprattutto le classi meno favorite non
avevano la possibilità di intervenire per modificare il corso degli eventi. Quindi, si
comprende che progressivamente che il suffraggio è un diritto dell’essere umano,
quindi già con il Reform Bill del 1832 (in anticipo, prima del regno di Vittoria) viene
ampliato sulla base del censo. In questa prospettiva è ancora molto discriminatorio,
però progressivamente queste regole vengono modificate. Nel 1838 si costituisce il
People’s Charter, la carta dei diritti dei cittadini, che spinge per avere il suffreggio
universale maschile. Nel 1868 con l’ennesimo Reform Bill viene concesso il voto alle
classi lavoratrici, e viene istituito il ballottaggio segreto (tra due candidati il
ballottaggio diventa segreto, non più pubblico). Infine, il voto universale compreso
quello femminile si ottiene nel 1928
- Donne: nel 1842 con il Mines Act si vieta il lavoro femminile in miniera, è un primo
passo. Le giovani donne o lavorano in fabbrica con un orario non superiore alle 10
ore, o si mettono al servizio domestico delle famiglie della borghesia che stava
aquisendo sempre maggior peso sociale o altri lavori artigianali. Se hanno avuto un
certo grado di istruzione possono accedere alla figura dell’istitutrice, cioè colei che
prende servizio in una famiglia di alta società e cura l’educazione dei figli, comunque
sono sempre ruoli sociali marginali e mai equiparati anche dal punto di vista
economico a quelli maschili
- Condizione matrimoniale: se una donna anche abbiente sposa un suo pari o un uomo
da altri strati sociali è privata di tutti i beni, i quali passano al marito. A questo si pone
rimedio nel 1882 con Married Woman’s Property Act si permette alla donna che si
sposa di mantenere la proprietà e l’amministrazione dei propri beni.
Inoltre, nel 1857 viene emanato il Matrimonial Causes Act che permette il divorzio
anche alla donna, in questo senso possiamo dire che la Gran Bretagna era molto
avanzata.
Altro aspetto estremamente importante in epoca vittoriana per tutto il mondo dell’epoca, è
quello della scienza e della filosofia. La scienza, soprattutto attraverso il metodo sperimentale
istituito da Bacone nel 17 secolo, continui sviluppi ed esplorazioni geografiche e nuove
formulazioni acquisisce un’importanza fondamentale. Ricordiamo la teoria di Darwin,
evoluzionismo il quale naturalista e scienziato sperimentale oltre che teoretico, dopo una
serie di viaggi per il globo e raccolta di reperti formula la teoria dell’evoluzione nella sua
opera sull’origine delle specie attraverso la selezione naturale e la sopravvivenza delle specie
più favorite nella lotta per la vita 1859. Darwin motiva attraverso tutta una serie di prove il
fatto che nei vari ambienti in cui si trovano più specie e nell’ambito delle stesse specie
animali sono favorite quelle che trovano soluzione di sopravvivenza. La teoria
evoluzionistica come primo effetto ha quello di porsi in contrapposizione con la teoria
predominante da 2000 anni cioè quella del creazionismo di natura religiosa.
Nell’ambito della filosofia, l’800 è un’epoca di grandissime formulazioni filosofiche, ma
quello che più importa in termini socioligici e alla luce della rivoluzione industriale è la
filosofia utilitaristica formulata da Geremy Benthon negli anni 80 e da John Stuart Mill nella
metà dell’800. Questi due filosofi, analizzando i rapporti sociali, il comportamento
dell’uomo, Benthon pubblica nel 1879 l’introduzione ai principi della morale e della
legislazione: il suo assunto è che una nazione è buona se utile e se produce il massimo grado
di felicità al maggior numero possibile di persone. Per felicità intende la presenza di piacere e
l’assenza di dolore, chiaramente dal piano individuale questo si proietta sul piano sociale e
sul piano economico, quindi l’azione che provoca il maggior grado di piacere e il minor
grado di dolore in economia sarà quella della libertà personale e dell’iniziativa economica
(che avrebbe dato luogo alla teoria del liberalismo economico). Inoltre, propugna la
separazione tra il potere statale e il potere ecclesiastico-religioso, la libertà di parola, la parità
dei diritti uomo-donna, i diritti degli animali, l’abolizione della schiavitù e delle punizioni
fisiche, diritto al divorzio, libero commercio, difesa dell’usura, istituzione di un ministero
della sanità e pubblica amministrazione, restrizioni sul monopolio statale e creazione di un
sistema pensionistico e di assicurazione sulla salute. Questi sono i punti fondamentali delle
teorie di Benthon, si capisce che alcuni sono completamente condivisibil, altri lasciano
perplessi come per esempio la difesa dell’usura.
John Stuart Mill nel 1848 pubblica i principi di economia politica nei quali si assiste ad una
specie di coesistenza tra una visione liberale e una socialista e gli assunti di Mill sono: la
proibizione della ricchezza non dovrebbe avere limitazioni, i singoli devono avere libertà
assoluta nella ricerca dell’utile e della felicità, c’è bisogno di una guida nel meccanismo
sociale e di leggi etiche per distribuire le ricchezze, la divisione della produzione e
distribuzione della ricchezza perché la ricchezza viene prodotta dai capitalisti (coloro che
investono grandi somme di denaro nella costruzione di fabbriche). Ma a Mill giunge anche
una componente socialista di ridistribuzione in modo che vi siano delle leggi di produzione
regolate e che tutto il bene e l’utile non cada solo nelle mani di chi già posseggano i mezzi di
produzione e quindi producono la ricchezza.
Nel 1859 Mill pubblica il saggio sulle libertà in cui enuncia che l’individuo è libero di
raggiungere la felicità come crede e senza costrizion esterne. L’unica eccezione è quella del
contrasto tra il perseguimento della libertà dell’individuo che può provocare danni alla libertà
altrui, in questo caso deve intervenire una regolamentazione di natura statale per impedire gli
eccessi. Ancora libertà di espressione e di opinione e tuttavia l’ammissione che non esistono
verità assolute ma che i concetti, le fedi, i punti di vista sono cambiabili, quindi questo ci
porta ad una visione relativistica. Anticonformismo e difesa di esso e dell’originalità. Quello
di Mill è un liberalismo abbastanza radicale che pone l’individuo al centro della sua visione.
Egli sostiene la libertà di coscienza e di espressione, di perseguire la propria felicità e quello
di associazione nel senso di permettere liberamente l’unione di gruppi e di individui per
perseguire determinati fini. Rimane però sempre il principio che la libertà individuale non
deve andare a cozzare contro la libertà degli altri individui.
Questo per dire che tra gli effetti della rivoluzione industriale, dell’investimento dei capitali
da parte dei capitalisti e dei vari effetti, abbiamo anche questi contraccolpi reciproci in
termini interattivi tra filosofia, modi di pensiero, dimensioni sociologiche e realizzazione
pratica nell’ambito della rivoluzione industriale.
Il pensiero politico è caratterizzato dalla formulazione del socialismo scientifico di Carl Marx
e Friedrich Hengels (tedeschi), i quali propugnano una teoria che si oppone al capitalismo,
che propugna la lotta di classe e progressivamente quella che viene definita la dittatura del
proletariato. Questo espresso nel libro “Das Kapital” 1867, preceduto da “La Situazione della
Classe Operaia in Inghilterra” di Hengels nel 1845. Il risultato non si ha tanto in Gran
Bretagna che non arriva mai ad una forma di governo ne comunista ne socialista, ma si
sarebbe ripercosso nell’Europa dei primi anni del 900 e in particolare in nazioni che
assumono il comunismo a bandiera della propria organizzazione sociale.
Per quanto riguarda il pensiero religioso, questo subisce grandi colpi innanzitutto dalla teoria
evoluzionistica di Darwin su quello che è lo sviluppo delle specie sulla terra e la nascita
dell’uomo (non più creazione ma frutto di un’evoluzione), quindi il racconto biblico viene
considerato come un mito. L’utilitarismo sostituisce una morale di tipo più caritatevole di
tipo cristiano perché proclama il diritto al perseguimento della felicità individuale e questo
porta a concezioni di natura ateistica o agnostica.
8.03
Monologo drammatico Ulysses e poemetto gemello I Lotofagi, si tratta di due poemetti
gemelli che modulano due temi complementari e antitetici.
Monologo drammatico: da un punto di vista delle forme poetiche è la vera grande
innovazione dell’epoca vittoriana. Se dovessimo catalogare l’epoca vittoriana per le
innovazioni da un punto di vista formale e tematico portate nell’ambito della poesia,
metteremmo sicuramente al primo posto il monologo drammatico.
Monologo è un’espressione verbale, un discorso tenuto da una sola persona. Drammatico
perché dervia etimologicamente dal termine “drama” che vuol dire agire. È una forma poetica
che deriva dal teatro, ispirato ai monologhi dei personaggi teatrali. I poeti vittoriani e
soprattutto Robert Browning e Alfred Tenninson sono i due massimi rappresentanti di questo
genere poetico.
La poesia vittoriana si rivolge al passato e si può rivolgere al passato classico, mitico,
medioevale, rinascimentale, per trovare occasioni/spunti e specchio della situazione propria
di quel preciso momento in cui si sta sviluppando e creare personaggi che possano incarnare
il punto di vista del poeta che li sta reinventando. Questo monologo intitolato Ulysses
costituisce uno degli esempi più emblematici del monologo drammatico così come è ricreato
da Alfred Tenninson.
Ulysses (1833)
Capiamo che il protagonista sta parlando e ad un certo momento rivela la sua identità.
Il monologo è diviso in tre parti: la prima introduttiva in cui l’eroe (rappresenta l’archetipo
dell’uomo che non si ferma mai, sempre alla ricerca di continua conoscenza/esperienza e
avventure). Tennynson è proprio colui che fa rinascere Ulisse in epoca ottocentesca, e la
causa personale che spinse Tennynson a inserire Ulisse in questo monologo fu la perdita di
un carissimo amico Arthur Halam, che lo lascia molto scosso. Quindi sicuramente parla lo
Ulysses omerico e anche quello dantesco, ma infondo a tutto ci sta lo stesso desiderio di non
darsi per vinto dell’autore: ha perduto l’amico più caro e quindi deve ripartire ed usa la
maschera (maschera in senso drammatico per assumere le fattezze di un determinato
personaggio) ed entra nel suo profondo, è un’azione quasi teatrale. È come se il poeta vestisse
i panni di un personaggio storico/immaginario/mitologico a cui fa capo e cercasse di
immedesimarsi in costui come fa un attore sulla scena quando interpreta un personaggio fino
infondo. Potremmo dire che i monologi drammatici di Tennynson e Brownie potrebbero
benissimo essere messi in scena rappresentando un momento particolare di un’opera teatrale.
L’Ulisse tennysoniano innanzitutto si proietta nella situazione attuale in cui si trova: è un
vecchio re, si trova vicino ad un focolare spento e si trova su scogliere desolate. È
accompagnato da una moglie vecchia (demitizza non poco l’immagine di Penelope) ed è
costretto ad elaborare e imporre leggi unequal ad una razza selvaggia. È innanzitutto la sua
visione dei suoi sudditi a Itaca, ma è anche la figura del poeta che si ritrova in una condizione
di non armonia con la sua epoca. Il poeta è come questo ulisse che deve cercare di dare non
tanto leggi, ma visioni dello spirito ad una savage race that hoard, and sleep, and feed and
know not me
Critica del poeta all’età vittoriana, cioè l’epoca in cui si trova a vivere. Una razza
(sembra quasi antipatriottico) selvaggia, i britons, che si riposano e si cibano e non
riconoscono l’autorità morale del poeta stesso.
Il poeta è rimasto solo, ha perduto uno spirito affine (quello del suo giovane amico e collega
di studi) si ritrova inascoltato e incompreso da una civiltà che in un certo senso non è la sua.
Proiettandosi nella figura del vecchio Ulisse che non si trova più a proprio agio sulla propria
isola di Itaca, che percepisce di non essere compreso dai suoi sudditi (che definisce savage
race), che accumula e si riposa e si nutre e non mi riconosce, è anche una metafora del poeta
stesso che si ritrova in una posizione di non comprensione.
Non posso smettere di viaggiare: travel non è il viaggio di piacere, turistico, ma è lla
proiezione del viaggio e dell’esplorazione mentale, intellettuale. Poi sintetizza la propria
esperienza: sono diventato un nome (quando parliamo di Ulisse/Odisseo pensiamo alla storia
di Nessuno, che però al contempo è anche tutti noi, o per lo meno tutti gli uomini che non
hanno mai smesso di cercare nuove mete e raggiungere nuovi traguardi nella coscienza.
Sta raccontando il proprio passato, perché come re e come esule che cerca di tornare in patria,
questo eroe protagonista sintetizza tutta la sua esperienza in questo monologo. Poi l’aspetto
eroico: sappiamo che la guerra di Troia dura 10 anni, l’assedio dei greci dura 10 anni e viene
risolta proprio dallo stratagemma inventato da Ulisse. Quindi in sintesi, in questi primi versi
l’eroe sintetizza tutta la sua esperienza.
I am a part of all that I have met: anche in questo caso è una autoraffigurazione di se stesso,
che cos’è l’uomo se non la somma d tutte le proprie esperienza? Non possiamo imparare la
vita sui libri, da un punto di vista psicologico dello sviluppo dell’essere umano dall’inizio
della sua parabola fino alla fine, sono le esperienze quelle che ci plasmano, che ci
construiscono i modi di interpretare la realtà.
Poi a proposito dell’esperienza, è una specie di arco/parabola oltre il quale riluce questo
mondo non ancora esplorato (untravelled world) i cui confini si allontatano man mano
sempre più che ci si avvicina => paradosso: più mi avvicino agli estremi confini (in questo
caso Ulisse non parla in termini geografici ma esperienziali), i confini si allontanano sempre
di più perché ci si proietta in una direzione infinita: l’infinito del pensiero e della sete di
conoscenza.
Rimane poco da vivere, ma proprio per questo non si lascia scoraggiare, si proietta in una
dimensione che non raggiungerà mai naturalmente ma alla quale comunque non rinuncia.
Ogni ora di vita è risparmiata dal silenzio eterno, è messaggero di cose nuove, sarebbe da vili
rimanersene fermi e ammassare (tornano i verbi usati per la savage race), io non sono fatto
come loro.
Poi abbiamo un’altra rappresentazione di se stesso: and this gray.., non ha senso fermarsi e
lasciare questo spirito che ci strugge nel desiderio e qui c’è la grande metafora della
conoscenza: seguire la conoscenza come una stella che declina, al di là degli estremi confini
del pensiero umano.
Che tipo di viaggio è quello che Ulisse si prefigura? Parte da una dimensione reale di viaggio,
esplorazione, ricerca di ulteriori nuovi confini ma sicuramente si proietta nell’ambito
dell’esperienza e della conoscenza.
Quindi questa è la prima parte, la parte introduttiva, chi sono io? Sono un nome, lo è
diventato perché quando sentiamo la parola Ulisse pensiamo immediatamente a questo
grande eroe della mitologia, che poi è stato rivisitato e reinventato da poeti nel corso della
cultura umana. Esempio: l’Ulisse dantesco viene incontrato da Dante all’inferno per due
ragioni ben precise. Primo perché la bolgia in cui si trova si puniscono i consiglieri
fraudolenti, coloro che con la loro astuzia hanno dato mali consigli ai propri simili. Ulisse
appunto suggerì vari stratagemmi, ultimo dei quali l’inganno del cavallo ma poi nella
prospettiva dantesca (prospettiva di una visione religiosa dell’esistenza del passato, presente e
futuro) Ulisse si è macchiato della colpa di aver osato trasgredire i limiti imposti all’uomo.
Materialmente varcando le colonne d’Ercole, ma soprattutto perché si spinge laddove nessun
uomo aveva mai osato spingersi. Varcate le colonne d’Ercole prosegue per l’alto mare aperto
finchè vede in lontananza una montagna che nessun uomo avrebbe mai potuto e dovuto
vedere perché si trattava della montagna del purgatorio. Questo vortice che si crea inghiotte
la nave di Ulisse, fine del racconto dell’Ulisse dantesco. Rappresenta la sete di conoscenza,
l’indomabilità dell’uomo che non si ferma davanti ai limiti ed ha il coraggio di pagare con la
propria vita questa audacia. In una prospettiva religiosa è un dannato.
Poi seguono pochi versi in cui il mologante sta parlando con tutti noi lettori e ci addita un
altro personaggio, suo figlio Telemaco e a lui lascia lo scettro e l’isola. Il sovrano sembra
“abdicare”, cedere il governo al figlio. Ne tesse le lodi, è l’erede ideale di questo grande
personaggio, ma c’è una differenza: è mio figlio, lo amo, ne tesso le lodi, ve lo presento e lo
lascio come nuovo sovrano ma lui segue la sua strada e farà le mie veci quando io me ne sarò
andato, io ho un’altra strada da seguire. Questo è il presente ma anche implicitamente il
futuro di Itaca.
Qui scatta la terza parte del monologo: lo sguardo di Ulisse e quello di tutti noi che lo
seguiamo si orienta su un’altra dimensione verso un’altra direzione: ecco il porto, il vascello
con le vele già gonfie e i mari profondi e oscuri. Comincia l’esortazione che per certi aspetti
ricorda la famosa orazion picciola dantesca con la quale Ulisse convince i propri compagni
ormai vecchi anche loro a continuare la loro navigazione fin dove sarebbero arrivati.
Definisce i marinai anime che hanno faticato e operato e pensato con me (nel crescendo il
temrine più importante è il pensiero), al di là degli estremi confini del pensiero umano =>
quella è la meta irraggiungibile ma ambita di questo grande eroe. Ancora ripercorre nel
ricordo tutte le esperienze vissute insieme: you and I are old, questa è la realtà e la vecchiaia
avrebbe già i suoi compiti.
Nonostante siamo già vecchi, abbiamo terminato la parabola della nostra vita ci aspetta
ancora qualcosa: da un punto di vista letterale è il ripartire per mare alla ricerca di nuove
terre, esperienze ma da un punto di vista metaforico è il non desistere mai dal desiderio di
conoscere sempre di più. Non ci dice cosa sta cercando questo Ulisse (saggezza, conoscenza,
ispirazione), ci dice solo, sin dalle prime battutte “i cannot rest from travel” e lo ribadisce in
questa terza parte con “varcare ogni confine, non fermarsi mai”, cercare di spingersi sempre
oltre il limite umano, ecco perché come già l’Ulisse dantesco o quello di Stevens degli anni
50 rappresenta la sete e il desiderio mai placato di conoscenza.
Death closes all: prospettiva chiaramente materialista, da un punto di vista filosofico pagana
ma al contempo eroica perché dice si può ancora fare qualcosa degno di nota che è
perfettamente in linea con uomini che hanno lottato con gli dei (nell’epica classica non di
rado gli eroi si trovano a combattere o affianco o contro gli dei).
Ancora una prospettiva sul qui e ora reale: è il presente sia dal punto di vista cronologico sia
spazio-temporale che sta a loro di fronte, queste luci che si accendono dalle scogliere, giorno
che svanisce, luna che lentamente si innalza nel cielo e mare che si lamenta con molte voci.
Altra variazione sul tema della conoscenza: non è mai troppo tardi per cercare nuovi mondi,
non è tanto il nuovo mondo geografico ma ancora una volta il mondo della conoscenza ma
per arrivarci bisogna adattarsi alla realtà. Questo Ulisse non si fa nessuna illusione, dice
andremo avanti finchè morirò (concezione stoica elevata a sistema di vita). Cosa potrà
accadere? Che verremo inghiottite dai gorghi, raggiungeremo le isole dei beati e troveremo
Achille che abbiamo conosciuto (non tornerà in patria). Ancora una volta una considerazione
molto realistica della loro realtà: anche se non abbiamo più quella forza che in passato
smuoveva cielo e terra, siamo quello che siamo (you and I are old). Ma cosa siamo? Qui
l’eroe fa leva sui sentimenti più alti ed eroici dei suoi compagni: è la conclusione, l’explicit
della orazion picciola non più dantesca ma tennynsoniana che l’eroe nel suo monolog
drammatico rivolge ai suoi compagni. Con questo crescendo non solo semantico ma
soprattutto retorico (sforzarsi, cercare, trovare e non cedere mai) che li spinge avanti e da
questo momento noi non sappiamo più nulla. Sappiamo sicuramente che come già l’Ulisse
dantesco, anche questi mariners faranno a loro volta ali .. ma in questo caso non abbiamo il
fine dell’avventura, è un finale aperto. Sono presentate delle ipotesi: può darsi che i vortici
marini li inghiottano, che approdano alle isole felici dei beati, ma rimangono solo ipotesi.
Con questo crescendo così eroico si chiude il monologo di Ulisse, versione che Tennynson da
alla luce delle sue conoscenze degli autori classici e medioevali (Omero e Dante) ma anche
alla luce della sua esperienza e del sentimento che lo anima, di non cedere ad un momento di
sconforto della propria esistenza e di continuare finchè gli sarà dato tempo di continuare.
Si proietta nella figura di questo grandissimo eroe, è come se si mettesse una maschera del
teatro greco e veste i panni di questo personaggio del passato, cercando di realizzare
un’esperienza di conoscenza interiore che gli è di grande sostegno in un momento così
difficile. Naturalmente non dobbiamo limitarci al lato biografico per sanare i propri guai
psicologici, questa è soltanto una delle chiavi di lettura.
I lotofagi
Deriva dalla mitologia da uno dei canti dell’Odissea, quando durante il ritorno verso Itaca
Ulisse e i suoi compagni giungono in questo paese leggendario, la terra dei lotofagi, e non
pochi compagni di Ulisse si lasciano convincere da questo strano popolo e rimangono a
vivere con loro in una condizione di sopore, di vita sospesa provocata dal nutrirsi dal fiore di
loto e che fa dimenticare le cure del mondo, le persone care e richiama soltanto questo
desiderio di oblio ed abbandono. Si capisce che lo spirito che anima questo testo è
esattamente il contrario dello spirito che anima Ulysses.
Ulysses non cessa mai di viaggiare, di affrontare nuovi pericoli, è consapevole che potrà
arrivare alla fine della propria esistenza ma non per questo rinuncia. Gli altri invece
desiderano fermarsi e non hanno più nessun desiderio, nessuna ambizione per continuare.
Carrage he said: sono le parole di Ulisse, sono stanchi, stremati dal viaggio e dalle avversità.
Age and faith, ma la prima parola che risuona sembra quasi riprendere il finale del monologo
precedente cioè courage, cioè il motto di questo Ulysses.
Rime iniziali estremamente melodiose ed incantatorie introducono al contesto: Ulisse e i suoi
marinai approdano in questa terra sconosciuta, la voce poetante ci descrive questo luogo così
magico, affascinante, seducente che spinge all’oblio, all’abbandono attraverso tutta una serie
di immagini naturali che potremmo definire magiche, incantatorie, soporifore che spingono
all’abbandono di tutto. Sequenza ininterrotta di paesaggi naturali, è un paesaggio idilliaco
(languido, atmosfera sognante, luna, fiumi che incantano, cime delle montagne innevate,
gocce di rugiada, tramonto charmed, vallette che serpeggiano una dopo l’altra). Ci da una
descrizione estremamente mutevole però ci dice che tutto sembra sempre lo stesso, quindi
una specie di fissità che si articola in tutta una serie di scene che si susseguono uno dopo
l’altro. Dopo averci descritto con tutta una serie di particolari e soprattutto con suoni, musica
incantevole questo paesaggio ecco che compaiono gli abitanti di questo luogo: dark faces…
sembra che compaiano dal nulla perché sono così silenzioni e impercettibili nei loro
movimenti che potremmo immaginarli come delle ombre che si materializzano e che si
avvicinano ai marinai di Ulisse. Qui accade l’incontro, un incontro senza parole, non c’è
dialogo, soltanto costoro che offrono questi frutti di cui cibarsi o di cui annusare il profumo
inebriante e chi se ne ciba/annusa si allontana progressivamente dalla realtà, o meglio la
percepisce come qualcosa che diventa lontano e alieno, anche le voci sono attitute, come se
provenissero dalla tomba (non accezione gotica, ma dimensione ormai distante e remota).
Profondamente addormentati e pure svegli e questa musica che non è altro che il loro cuore.
Si ricordano della madrepatria, dei figli, delle mogli e degli schiavi (erano nobili) ma tutto
sembra stanco, estenuato, lontano e metafora campi erranti di fiumi sterili (mari). La prima
voce che si sente risuonare in questa introduzione: noi non torneremo più. Questo si pone in
antitesi radicale con gli ultimi versi dello Ulysses.
Comincia poi questa seconda parte, canto corale, in cui risuonano le voci dei marinai di
Ulisse che si sono lasciati incantare, sedurre e che si sono abbandonati alla magia e
all’incantesimo del loto. Qui inizia, con rime concatenate che ci danno questa incessante
musica incantatoria che attraverso le parole e la tecnica esperta del poeta cerca di rendere
questa atmosfera così sospesa e incantatoria in cui si sono abbandonati i compagni di Ulisse.
Sweet dream… ridescrizione del paesaggio accentuandone ancora una volta tutte le
caratteristiche di piacevolezza, seduzione, abbandono, rinuncia alla prosecuzione del viaggio.
Ci sono muschi, edere, fiori, scogliere dove i papaveri reclinano il proprio capo (oppio,
oblio). Costoro si rendono conto di essere gravati da questa stanchezza e di essere stati
fiaccati da tutte le fatiche che hanno dovuto affrontare fino a quel momento, e al contempo si
rendono conto che tutto ha fine. Perché solo noi dovremmo faticare ancora? Noi che siamo
gli esseri più importanti (uomo). In questo caso c’è un rovesciamento implicito del pensiero
di Ulisse: sa di essere il primo non perché è un eroe o perché ha compiuto grandi gesta ma
perché non cede mai nel suo desiderio di ricerca. Questi al contrario sanno di esserei il
culmine del creato ma proprio per questo non hanno più nessuna intenzione di lottare e di
misurarsi con le fatiche che gli aspettano perché già ne hanno sperimentate a sufficienza.
Perché non dobbiamo chiudere le nostre ali e non dobbiamo cessare i nostri vagabondaggi?
Le ali implicitamente si collegano ad un altro personaggio della mitologia greca, Icaro, che
come Ulisse non vuole mai fermarsi. Il volo inoltre è sinonimo di libertà, di innalzarsi al di
sopra dei limiti e di volare verso la libertà. Ma se pensiamo ancora una volta alla storia di
Ulisse, in particolare quello dantesco, i remi che servono ai marinai diventano ali perché è
come se quella nave si staccasse da quelle acque, acque di un mare che ulisse sta solcando e i
cui confini vuole superare. Ecco perché da remi si trasformano metaforicamente in ali,
proprio per il folle volo nell’ottica dantesca. Invece, loro dicono che loro vogliono richiudere
le ali, quindi smettere la ricerca e ancora preferiscono rimanere in queste condizioni nel beato
balsamo del riposo e non c’è nessun altra gioia che nella quiete. Per ogni Ulisse la gioia non è
la calma, quindi vediamo chiaramente che questo poemetto è il controcanto dell’Ulysses,
sono le due facce della medesima medaglia: da un lato il desiderio insaziato e insaziabile di
esplorare, di cercare sempre, dall’altro l’abbandono, il dimenticare tutto, il non ambire più a
nulla in questo luogo ripiegati come la foglia che si piega sul bocciolo, i suoni incantatori, le
notte cosparse di rugiada, gli autunni che diventano gialli… il tutto in questa luce estiva così
dolce. Sono tutte immagini di declino: queste foglie che d’autunno diventano gialle e cadono
ondeggiando nell’aria, mele che maturano e cadono nelle notte silenziose d’autunno, anche il
fiore sboccia e poi sfiorisce e svanisce, tutto cade e non fa nessuna fatica. Questa è la
condizione a cui i marinai di Ulisse aspirano, non avere più da fare nessuna fatica, radicati
fissamente nel suolo che da frutti, tutto il contrario di Ulisse che non intende radicarsi da
nessuna parte. I marinai ne hanno avuto abbastanza di mari e di cieli, death is the end of life:
qui enuncia lo stesso concetto espresso da Ulisse ma lo declinano in maniera completamente
diversa. Qui dice la morte conclude tutto, perché la vita dovrebbe essere fatica? La
prospettiva è radicalmente antitetica a quella di Ulisse, la fine è la stessa (la morte) ma
mentre per l’uno prima della morte c’è tempo, non importa quanto, per continuare e per non
fermarsi, costoro invece si aspetta come le foglie che cadono, quel momento senza darsi la
fatica di continuare. Let us alone ripetuto tre volte, con chiarissima insistenza su questo
concetto.
Ancora immagini di tranquillità e inutilità di fare ulteriori sforzi. La dolcezza è questa, sentire
il mormorio lontano dei ruscelli con occhi semichiusi e cadere addormentati come in un
mezzo sogno, ancora sognare e sognare (esattamente il contrario di Ulisse) in queste luci così
soffuse, in questo bisbiglio di parole che non sono più le esortazioni di Ulisse ma
semplicemente sussurri di chi ha rinunciato a proseguire, continuando a cibarsi di questo cibo
magico che ti assopisce e ti incanta.
Si ci è caro il ricordo delle nostre vite da sposati, il ricordo degli utlimi abbracci delle nostre
mogli, ma tutto è cambiato: sicuramente adesso i focolari sono freddi, i nostri figli
erediteranno i nostri beni (son Telemacus, ricordiamo) o ci saranno dei principi audaci che si
sono impossessati delle nostre sostanze (ricordiamo implicitamente i proci che si
impossessano di Itaca).
Costoro preferiscono proiettarsi in questi letti di fiori così incantatori, corone di fiori, finchè
come se innalzassero un inno a questo fiore di loto. Ultima frase, esattamente contrario di
Ulisse: we will not wonder more. Antitesi completa da un punto di vista psicologico,
spirituale, interiore a quella che è stata l’esortazione finale di Ulisse.
15.03
De Profundis
È una poesia d’occasione scritta per la nascita del primo genito di Tenninson, chiamato
Alham in onore dell’amico di Cambridge mancato prematuramente e al quale era stato
dedicato Ulysses. È un testo estremamente personale e diretto, intimo e commosso, potrebbe
essere considerato un inno, una lode alla creatura appena nata e alla vita e alla nascita di un
nuovo essere unamo. Lascia trasparire un grande senso di tenerezza e consapevolezza del
mistero della nascita assieme agli auspici di un padre per la vita futura di colui che
rappresenta la sua discendenza diretta. C’è questa meraviglia nei confronti del miracolo della
nascita di un figlio ma anche della nascita della vita, della creazione e della continuità della
vita. I termini usati in questo senso “the spirit of God”, “that infinite one”, “his hool world
self”, rappresentano le varie modalità a cui il poeta fa ricorso da un punto di vista linguistico
per definire l’assoluto, il creatore, la divinità che trasmette e perpetua la vita nel mondo e
nell’universo. Si tratta anche di una meditazione filosofica e religiosa in una prospettiva
cosmica e visionaria.
With this last moon, this crescent—her dark orb Touch’d with earth’s light—thou comest,
darling boy;
Antitesi tra oscurità e luce e poi la seconda definizione alla propria creatura. Uso di “thou” al
posto di you: forma arcaica, quindi tono solenne del passo e del testo stesso. Questa volta il
“child” viene definito “darling boy”, termine che esprime tutto l’affetto e la tenerezza
paterna.
Questa volta al “my child” si sostituisce Spirit. La prospettiva è quindi ancora una volta
profondamente religiosa, ritorna quello spazio di tempo che abbiamo visto della luna (nove
mesi che rappresentano la gestazione). Prima la creatura era stata descritta mentre erompe
ridendo dall’oscurità, e ancora una votla come un sole nascosto lungo un mare oscuro giunge
il bambino. Questa volta la metafora è di natura astrale: il sole, le lune, queste profondità in
cui si muove lo spirito del divino a suo piacimento e questa nona luna oscura da cui sorge un
sole nascosto, cioè il bambino. Ancora una volta simbolismo, alto quoziente di poeticità, ma
anche senso del mistero e senso delle concezioni scientifiche dell’epoca. Non stiamo
parlando ancora di evoluzionismo ma di questo infinito, sconosciuto e insondabile
dell’universo da cui la vita proviene.
Anche la seconda parte della seconda strofa è ispirata a immagini e concetti di natura
religiosa e filosofica.
Questi sono concetti alti, astratti, filosofici che il poeta traduce in immagini attrverso il suo
linguaggio, pur non articolando teorie filosofiche.
Poesia che diventa più ardua nel finale: la seconda e la terza parte si misurano con concetti
più profondi che bisogna sciogliere per arrivare alla riflessione stessa del poeta su un evento
così naturale ma che implica anche concetti di natura religiosa e filosofica per nulla scontati.
Primi quattro versi: “we” è un collettivo che ci accomuna tutti quanti. Quando riflettiamo ad
occhi bassi entriamo in una condizione mentale di day-dreaming (sognare ad occhi aperti).
Stiamo rientrando in una dimensione più profonda di noi stessi, si capisce che è una
condizione di profonda intimità con se stessi, di profonda riflessione che ci porta nel finite
infinite time e space.
Seconda strofa: si parte da una condizione di riflessione interiore, si viene “risvegliati” da
eventi normalissimi, da azioni quotidiane, ma questo ci fa riflettere e ci trasporta ancora una
volta in una dimensione spazio-temporale (when, where) che non riusciamo a definire
esattamente; esperienza che in psicologia si chiama dejavú
Terza strofa: as when… so when concatenazione tra l’ottava e la sestina. Aggiunge un
“friend” perché in questo momento si sta rivolgendo a qualcuno. Se due specchi si mettono di
fronte riflettono la propria immagine infinite volte, se mettiamo qualcosa sarà quell’oggetto
che verrà moltiplicato.
Ultima strofa: sebbene non sapessi in quale tempo o in quale luogo (non fa altro che ripetere I
know not where or when, qui abbiamo i sostantivi corrispondenti), mi sembrava di averti
incontrato spesso e ciascuno di noi vive nella mente e nelle parole dell’altro.
Quindi il contenuto di questo dejavu introdotto dalla prima quartina, ulteriormente sviluppato
dalla seconda, viene esemplificato nella sestina finale. Condizione di stato meditabondo e
riflessivo, ritorno apparente in una vita precedente o in qualche sogno confuso ad occhi aperti
in stato di similitudine o analogia mistica (quindi al di fuori dell’esperienza concreta,
consueta, quotidinana che siamo soliti conoscere), poi evento quotidiano che non fa altro che
accrescere ancora di più questa condizione di mystical similitude, al punto che ci fa dire
“tutto questo è già accaduto, non so come, dove o quando”. Poi il dato esperienziale reale
sperimentato dal poeta, mentre prima era tutti noi poi diventa individuale (I looked upon your
face), i pensieri pensieri non possono rispondersi, ma possono comunicare oltre le parole tra
due persone. Poi metafora come due specchi che si riflettono l’uno nell’altro. Poi il non
riconoscere nella dimensione ordinaria dell’esperienza, dello spazio-tempo, quando però
sapere che in ogni caso che questo era già accaduto e che ciascuno viveva nella mente e nelle
parole dell’altro: atmosfera magica e mistica, è un’esperienza che va al di là dell’esperienza
quotidiana dei rapporti tra le persone, ma che ci dice dell’esistenza di una realtà più profonda.
In questo caso il tema è il sostantivo astratto che deriva dal termine “amore” (tema principale
dei sonetti), cioè amicizia. È un sonetto risalente al 1832, anno della scomparsa di Alham.
Inno all’amicizia che va al di là di quelle che sono le modalità consuetudinarie di questo
sentimento ma che ci disvela quali profonde ed inimmaginabili radici possa avere questo
sentimento che unisce due esseri umani.
29.03
I tre maggiori vittoriani sono: Lord Teninson, Robert Browning e Matthew Arnold.
Quindi le prime strofe sono tutte focalizzate sulla serenità, tranquillità e atmosfera idilliaca in
cui si trova a riposare.
Dover Beach
The sea is calm tonight.
The tide is full, the moon lies fair
Upon the straits;—on the French coast the light
Gleams and is gone; the cliffs of England stand,
Glimmering and vast, out in the tranquil bay.
Come to the window, sweet is the night-air!
L’esordio è una precisa descrizione del paesaggio. Incipit così preciso e dettagliato che ci da
alcune descrizioni del paesaggio e poi ci trasporta subito in un altro momento relazionale. Il
poeta ci fa subito vedere che siamo durante la notte e vicino al mare (abbiamo parlato prima
di notturno, quando tutto il mondo si placa, tutti gli elementi della natura tornano al riposo),
in più siamo in un preciso contesto geografico vicino al mare (genere marina). In questo
momento il poeto si sta rifacendo a due generi letterari, poetici e pittorici estremamente
precisi: il notturno e la marina al contempo. Siamo in alta marea e innalzando ancora lo
sguardo la luna scintilla sugli stretti (La Manica). Si avvicinano sempre più alla costa
dell’isola britannica, vedendo le scogliere.
Questo è lo scenario, poi si cambia prospettiva perché non si parla più di scenario ma adesso
si rivolge a qualcuna che è vicino a lui e ribadisce l’atmosfera abbastanza idilliaca del
momento.
5.04
Abbiamo visto che le tematiche fondamentali della poesia di Arnold non possono essere
serene o rasserenanti. La ragioni sono da ricercarsi fondamentalmente in due ordini di motivi:
- Da un lato l’aspetto biografico e la storia del personaggio, che per altro non è un poeta
emarginato, incompreso nella sua epoca ma che comunque si pone in una posizione
problematica
- Dall’altra, elemento ancora più incisivo e che determina la visione del mondo di
Arnold, la fase critica di passaggio di un momento storico che apparentemente parte
in maniera rassicurante e grandiosa per l’impero britannico, dall’altro lato invece i
grandi cambiamenti soprattutto di natura scientifica e filosofica che intercorrono a
cavallo della metà dell’800 e che mettono in discussione tutte le apparenti certezze e
la fede religiosa, fiducia in un mondo saldo e immutabile e che avevano caratterizzato
la cultura di tutto il mondo occidentale fino a quel momento.
Sommando questi due fattori è comprensibile perché la visione di Arnold non è delle più
ottimistiche, delle più rasserenate e delle più incoraggianti per l’autore e per i suoi lettori. È
un poeta molto problematico come lo saranno altri romanzieri, primo fa tutti Thomas Hardy.
È un testo più introspettivo perché parte da esperienze che tutti possiamo aver vissuto, ma
sono esperienze di tipo astratto.
But often, in the world’s most crowded streets,
But often, in the din of strife,
There rises an unspeakable desire
After the knowledge of our buried life;
A thirst to spend our fire and restless force
In tracking out our true, original course;
A longing to inquire
Into the mystery of this heart which beats
So wild, so deep in us, to know
Whence our lives come and where they go.
And many a man in his own breast then delves,
But deep enough, alas, none ever mines:
And we have been on many thousand lines,
And we have shown, on each, spirit and power;
But hardly have we, for one little hour,
Been on our own line, have we been ourselves;
Hardly had skill to utter one of all
The nameless feelings that course through our breast,
But they course on for ever unexpressed.
La strofa parte con due avversative identiche. L’immagine delle strade affollate ricorda
Kensington Gardens (huge world that roars) e lo stesso anche se non con la stessa
terminologia ma con un concetto analogo. Ecco che si palesa, anche se molto vagamente, un
desiderio indicibile (riporta alla incapacità del dire delle labbra che non possono dire la verità
del nostro io più profondo). Però c’è questo desiderio indicibile di conoscere la nostra vita
nascosta, segreta, non svelata. Il fuoco che ci anima e questa forza che non si stanca mai si
vogliono impiegare nel rintracciare il nostro corso (metafora del fiume) vero, autentico e
originale di questa stessa vita, cioè la sua direzione di cui solo in rari momenti comprendiamo
l’esistenza e cerchiamo di capire la direzione perché invece siamo costantemente distratti da
una serie di elementi che ci allontanano da quella vera dimensione.
Poi la domanda fondamentale: know ripete il sostantivo knowledge, quindi è comunque un
desiderio di conoscenza, di risalire all’origine di questo fiume che poi è la nostra vita e dove
questa ci porti. Questo tipo di domanda la possiamo definire “la” domanda.
Abbiamo questa intuizione (cercare di capire da dove veniamo e dove siamo diretti), come
metaforicamente il fiume che scorre nel più profondo del nostro essere. Poi
l’esemplificazione di questi concetti: più di un uomo si immerge nel proprio petto, ovvero
scruta nel più profondo di se stesso, ma nessuno scava fino in fondo.
Poi abbiamo le modalità di questo tentativo di entrare nel più profondo del nostro essere che
sono positive ma che non risolvono la domanda: autocommento ironico del poeta sul proprio
ruolo e sul ruolo dell’intellettuale, ci siamo soffermati su migliaia di versi o aver mostrato
l’un l’altro brillantezza di spirito e potenza, ma a malapena per un’ora abbiamo seguito la
nostra direzione, a malapena siamo stati noi stessi. Sta elencando alcuni esempi sicuramente
efficaci, ma non efficaci abbastanza per penetrare nel più profondo di noi stessi, e se anche
avessimo la capacità di esprimere una volta per tutte (voce e lips unchained) gli inesprimibili
sentimenti che si agitano nel nostro petto, essi comunque continuano a scorrere per sempre
inespressi o in maniera inesprimibile. C’è sempre questa dialettica irrisolta fra il cuore, la sua
capacità di penetrare in profondo innanzitutto di se stesso e poi la possibilità effettiva, verbale
di esprimere ciò che è stato percepito e intuito.
12.04
con le poesie filosofiche di Matthew Arnold abbiamo sottolineato che rappresentano già un
momento critico e di problematicità nei confronti della filosofia e scienza dell’epoca a lui
contemporanea. Non è una poesia encomiastica o celebrativa dell’epoca vittoriana, bensì che
mette in luce i contrasti e gli aspetti problematici rispetto ad un modo di vivere e vedere
tradizionali e classici. Abbiamo sottolineato le prime sottolineature marcate del tema
dell’incomunicabilità e della problematicità del vivere insieme degli esseri umani: Arnold
sottolinea l’essenzialità della coppia e del tentativo di comunicare tantomeno e almeno tra
due persone che si vogliono bene e che per altro comprendono la condizione tipica dell’essere
umano, cioè di solitudine e talvolta anche di incapacità di comunicare (ricordiamo il gesto di
guardarsi negli occhi, il prendersi per mano e il cercare simbolicamente di aprire il proprio
cuore all’altra persona).
Meredith ci porta un passo avanti rispetto ad Arnold, nel senso che nella sua raccolta
intitolata Modern Love e risalente al 1862, mette il dito nella piaga di una condizione ancora
più problematica e negativa dell’esistere umano e dei rapporti tra gli esseri umani, ovvero del
deterioramento, della corruzione e della conclusione dell’amore. Quindi questo Modern Love
è già di per sé un titolo ironico, è una sequenza poetica che ha un andamento narrativo
costituita da 50 poemetti i quali raccontano una storia d’amore che però non ha un esito
positivo, ma al contrario un esito negativo nella maniera più estrema di questa negatività. La
protagonista femminile che nella fiction poetica è la moglie del protagonista, dopo averlo
tradito con un altro, decide di farla finita e si suicida, anche se noi non vediamo l’atto finale
di questa storia.
Quella che avrebbe potuto essere tradizionalmente una storia d’amore che si articola e si
sviluppa attraverso le varie fasi di questo sentimento, si rovescia in una storia negativa
segnata da rari momenti felici ma soprattutto ben più frequenti momenti negativi, frustranti e
per certi aspetti contrassegnati dalla passione negativa, definibile come un rapporto teso,
problematico, polemico e per nulla costruttivo tra i due protagonisti. Tra loro si pone, anche
se pressochè invisibile e senza mai “il diritto di parola”, l’amante (colui che la sottrae al suo
legittimo consorte).
La struttura formale di questi poems è apparentemente quella del sonetto, con una differenza:
questi poemetti consistono di 16 versi anziché i tradizionali 14 versi che da sempre hanno
costituito la caratteristica irripetibile del sonetto. Tradizionalmente il tema principale del
sonetto è proprio il tema amoroso. Cosa si verifica se la forma utilizzata tradizionalmente per
cantare l’amore tra due esseri umani viene utilizzata per cantare la versione negativa
dell’amore? In più questi sonetti di Meredith hanno una peculiarità: sono più lunghi di due
versi rispetto al sonetto tradizionalmente codificato da sempre costituito da 14 versi suddivisi
in un’ottava e in una sestina o in due quartine e due terzine o in tre quartine e un couplet
finale.
L’effetto di una sequenza di sonetti che si intitolano Modern Love e che registrano il corso
negativo di questo sentimento che da sempre caratterizza il sonetto e il rapporto tra un uomo
e una donna e cosa si ricaverà dal fatto che questi sonetti si inseriscono in una tradizione ma
al contempo la alterano non solo per il corso della vicenda in essi trattato ma anche per il
fatto che esorbitano di due versi la forma tradizionale. Cosa vuole comunicarci il poeta
utilizzando la forma poetica per rappresentare una forma di non-amore? Sta utilizzando una
forma di satira, definito nel corso dei secoli “il genere dell’amante deluso”.
Naturalmente, il genere dell’amante deluso non vale solamente in un rapporto amoroso tra un
uomo e una donna. Sappiamo che fin dalla letteratura classica greca ma soprattutto latina, se
pensiamo ad Orazio (maestro acuto della satira) le sue satire non erano solo indirizzate alla
corruzione di un rapporto amoroso, ma soprattutto destinate o a personaggi illustri o a
situazioni sociali e politiche ingiuste, la satira rivolta al mal costume della società per mettere
allo scoperto una serie di errori voluti dalla società, dai singoli uomini, da chi governa, ma
sempre con un fine ben preciso: si fa satira su un governante, su un personaggio di molti
mezzi economici che si comporta in determinata maniera con una funzione didattica, di
correzione dei vari malcostumi siano essi individuali o collettivi.
Alla luce di ciò, l’effetto di Modern Love è anche di satira, ma anche una rappresentazione
autoironica del proprio sentimento riconoscendo (infatti ci sono spie ben precise) anche se
non esplicitamente, qualche errore da parte di se stesso. Tenendo presente il periodo storico e
il contesto sociale (1862), l’ironia e autoironia non soltanto a se stesso ma anche ad una
dimensione più vasta: coniugando ironia e satira nei confronti di se stesso e della propria
compagna e in una prospettiva più vasta nei confronti della società, andiamo a mirare verso
quella serie di ipocrisie, concetti comuni condivisi ma in realtà non vissuti autenticamente
che caratterizzano l’epoca vittoriana. La famiglia ha un suo valore positivo (famiglia reale, la
fedeltà di Vittoria non viene messa in dubbio), ma come ogni realtà umana c’è anche l’altro
lato: quella che potrebbe essere un’istituzione seria, costruttiva, positiva può allo stesso
tempo tradursi nel suo esatto contrario. Quindi la rispettabilità diventa soltanto ipocrisia, la
fedeltà diventa tradimento nascosto e celato e i buoni sentimenti si trasformano invece nel
loro contrario. Queste sono le linee portanti della raccolta Modern Love, nonché l’ironia
nemmeno tanto implicita dell’aggettivo che caratterizza il titolo, come a dire ecco quali sono
gli effetti della modernità su uno dei sentimenti più antichi che da sempre ha accompagnato
l’esistenza dell’uomo.
A proposito dell’autoironia della voce parlante e la figura femminile: possiamo incontrare (a
causa di un modo di pensare tipico dell’epoca) una certa dose di misoginia. Chi tradisce è la
moglie, quindi la colpa sembra stare tutta e soltanto da una parte e poi si incontra
un’espressione che esplicita chiaramente il senso di superiorità e possesso dell’uomo nei
confronti della donna. Questo per sottolineare che è un poeta che appartiene alla propria
epoca, epoca in cui ancora il ruolo maschile è predominante nei confronti di quello
femminile, quindi questo modo di pensare condiviso dell’epoca si proietta anche nella fiction
di questa sequenza di poemetti.
Questi 50 poemetti alternano la narrazione in prima persona con la narrazione in terza
persona (Meredith è anche romanziere, quindi conosce gli strumenti della propria arte
sapendo alternare il ruolo di un narratore in terza persona con il ruolo di narratore in prima
persona che si identifica con il protagonista). È come se scrivesse un romanzo nel quale
alcune parti sono raccontate direttamente dal protagonista, mentre altre da un narratore
pressochè onniscente. Quindi, applica questa alternanza di tecnica narrativa ad una
“narrazione” in poesia.
I poemetto
By this he knew she wept with waking eyes:
That, at his hand's light quiver by her head,
The strange low sobs that shook their common bed
Were called into her with a sharp surprise,
And strangely mute, like little gasping snakes,
Dreadfully venomous to him. She lay
Stone-still, and the long darkness flowed away
With muffled pulses. Then, as midnight makes
Her giant heart of Memory and Tears
Drink the pale drug of silence, and so beat
Sleep's heavy measure, they from head to feet
Were moveless, looking through their dead black years,
By vain regret scrawled over the blank wall.
Like sculptured effigies they might be seen
Upon their marriage-tomb, the sword between;
Each wishing for the sword that severs all.
È ambientato in un preciso luogo e un preciso momento: si trovano nella camera da letto, nel
cuore della notte. È il luogo principe per l’unione tra due persone che si amano. Invece, il
risultato di questo primo poemetto introduttivo è: lei sta piangendo e lo si capisce perché il
suo capo trema lievemente, poi sentiamo i singhiozzi di lei che piange, poi troviamo una
similitudine che scatta al quinto verso: questo sussultare di lei che piange viene paragonato
attraverso la figura della similitudine a dei piccoli serpenti affannati che assortiscono un
effetto venefico su di lui. Non perché lo mordono, ma perché gli avvelenano il cuore, i
sentimenti, la passione, tutto ciò che avrebbe potuto unirli.
Poi giunge la mezzanotte, il momento fondamentale dell’unione intima tra due persone e il
cuore di lei viene definito “giant”, cioè gonfio di memoria e di lacrime. Le memorie si
riferiscono ad un tempo passato e le lacrime che veicolano lo stato d’animo della notte.
Arrivata la mezzanotte, si utilizza una metafora per indicare la condizione della donna da
quel momento il poi: dopo tutto questo dolore che l’hanno scossa dal momento in cui è
iniziata questa prima scena, lei si addormenta. Non si addormenta perché i due sono stati
felici insieme, ma perché ha il cuore gonfi.
Si trovano completamente immobili, ricordano la loro vita: è come se proiettassero su questo
muro vuoto le scene della loro vita ripercorrendole attraverso la memoria.
Gli ultimi tre versi si aprono con una similitudine: sono paragonate ai monumenti funebri di
coppia scolpiti nel corso dei secoli, in genere sul letto della coppia stessa e talvolta,
soprattutto in epoca etrusca, con espressione serena, ma comunque sempre una coppia unita
anche nella morte. Tra i due troviamo una spada, in epoca antica soprattutto medioevale
aveva il significato di un divieto morale teso a mantenere la castità. Quindi, i due sono
innamorati ma non possono violare questa condizione di castità, quindi la spada ha una
valenza da un punto di vista morale positivo perché li tiene divisi. Invece, per i due nostri
“modern lovers”, considerando il significato dell’ultimo verso prende il significato di
separazione: gli amanti del medioevo avrebbero desiderato che la spada non ci fosse. I non
amanti moderni dei quali nulla interessa l’unione fisica tra loro due, la spada invece la
desiderano perché divida tutto. È chiara l’ironia: c’è chi la deve sopportare perché quella era
la morale dell’epoca e chi invece la desidera affinchè tronchi definitivamente il loro legame.
Vediamo quindi una serie di topoi (notte, camera nunziale, unione tra i due, culmine della
notte, modo di esprimere i sentimenti) scardinati. Vediamo che non c’è nessuna parola tra i
due, il silenzio di entrambi significa l’incomunicabilità, non hanno nulla da dirsi e si
chiudono in due silenzi. L’unica cosa che desiderano è un qualcosa (simbolicamente una
spada) che divida e chiuda definitivamente il tutto.
III poemetto
This was the woman; what now of the man?
But pass him. If he comes beneath a heel,
He shall be crushed until he cannot feel,
Or, being callous, haply till he can.
Narrato fondamentalmente in terza persona con brevi inserti in prima persona, definibile
come un momento di estremo flusso della coscienza del protagonista maschile. Rappresenta
le varie reazioni altalenanti e antitetiche del marito tradito nei confronti dell’amante. Gli
atteggiamenti vanno dal disprezzo, odio, desiderio di vendetta, rimozione, negazione,
desiderio di schiacciarlo sotto le proprie scarpe.
Questa volta il parlante è in prima persona. I 50 componimenti in cui si articola Modern Love
mescolano sapientemente l’alternanza tra la terza persona narrativa e la prima persona
protagonista. L’effetto che si ottiene è quello di immedesimarci: anche noi penseremmo con i
pensieri del protagonista e useremmo le sue parole per esprimere il suo stato d’animo.
Calandoci nei panni di costui e ci sentissimo traditi, ci identificheremmo con i suoi
sentimenti, con i suoi slanci, con i suoi desideri poco edificanti di violenza e vendetta e
ancora con la sua attrazione non ancora assopita nei confronti della moglie e infine con il
riconoscimento autoironico e autosatirico di non essersi accorto del mutamento di situazione
che ha portato a questo risultato. Quindi l’effetto è di maggior drammaticità e coinvolgimento
diretto nella situazione che viene via via illustrata.
XVI poemetto
In our old shipwrecked days there was an hour
When, in the firelight steadily aglow,
Joined slackly, we beheld the red chasm grow
Among the clicking coals. Our library-bower
That eve was left to us; and hushed we sat
As lovers to whom Time is whispering.
Il contenuto si rivolge al passato, in un momento in cui la condizione tra i due era ancora di
serenità e affetto e si conclude su una nota di amarezza e rimpianto. Ci riporta ai due
innamorati che si trovavano uniti e abbracciati davanti al caminetto con le braci ardenti
(immagine positiva e di intimità, immagine anche simbolica di passione). O nella nicchia
della biblioteca in cui sedevano come amanti a cui il tempo sta sussurrando. Quindi anche in
questo caso momento di intimità tra i due. Ora questi giorni sono naufragati.
XXV poemetto
Parlato in prima persona, si rivolge ancora una volta alla sua compagna e prende spunto da
una novella francese. È uno dei testi più ironici.