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1.

03 SEMINARIO CASELLA
I testi di Tennenson, Matthew Arnold e George Meredith appartengono all’epoca vittoriana,
mentre quelli di Sassoon possiamo definirli come appartenenti ad un momento di transizione
mentre Pound ed Elliot sono due poeti americani che emigrano in Europa all’inizio del 900 e
che costituiscono il nucleo fondante del movimento letterario del modernismo, che
rappresenta la novità, l’innovazione e l’avanguardia in tutta la prima metà del 900 seguito poi
dal postmodernismo negli anni 50.

ETÁ VITTORIANA
Prende il nome dalla Regina Vittoria che regna dal 1837 al 1901. Le caratteristiche peculiari
dell’epoca vittoriana sono:
- Grandissima estensione sia dal punto di vista cronologico sia geografico, perché la
Gran Bretagna raggiunge l’apice della propria espansione attraverso l’impero che va
dalle colonie dell’India, una metà dell’Africa, Canada e Nuova Zelanda. Questo
provoca ed è provocato da una grandissima potenza e sviluppo economico, aiutato
anche dalla stabilità interna e dallo sviluppo che si verifica sul suolo britannico.
- Valori vittoriani: concetto di impegno nel lavoro (di chiara origine puritana e
anglocattolica dal punto di vista religioso), al senso del dovere personale e sociale, al
senso della rispettabilità e della sobrietà nei modi e nei comportamenti, al senso della
moralità soprattutto fondata su valori familiari. il modello della maggioranza dei
sudditi ammirato in epoca vittoriana è il modello della royal family, la regina Vittoria
e Prince Albert. Inoltre i ruoli ben precisi dei componenti familiari erano
fondamentali, con la differenza tra ruolo maschile e femminile, in cui prevale quello
maschile. Infatti, è proprio in epoca vittoriana in cui iniziano a presentarsi le prime
istanze di quello che poi sarebbe diventato il femminismo, anche se all’epoca non
aveva questa definizione.
Questo insieme di valori, in parte sicuramente positivi, sentiti e condivisi, caratterizzano tutto
l’arco dell’epoca vittoriana. Accade poi però che nella seconda metà dell’800 e soprattutto
negli ultimi 20/30 anni questi valori vengono meno, o più che altro fraintesi. Per cui la
rispettabilità era un valore in cui tutti i sudditi credevano e si adeguavano, diventa solo una
specie di ipocrisia di facciata, la moralità viene abbandonata, l’etica del lavoro viene imposta
solo alle classi meno abbienti e abbandonata progressivamente dalle classi dominanti.
Quindi, verso la fine dell’800 c’è un momento di crisi anche con il declino della figura della
regina la quale rimane priva del suo consorte e consigliere e quindi il suo ruolo e la sua
funzione diminuiscono progressivamente.
Nell’ambito delle tematiche meno positive che vengono tutt’ora additate come negative in
epoca vittoriana sono i tabú soprattutto inerenti alla vita privata sessuale delle persone.

Ma soprattutto l’epoca vittoriana è un’epoca di grandissimi cambiamenti: si parla di


rivoluzione industriale. L’aspetto tecnologico, economico e dell’innovazione cominciano a
subire un’accelerazione che era stata inimmaginabile fino a qualche decennio prima.
Innanzitutto la grandissima ricchezza sia interna sia esterna dovuta alle ricchezze dell’impero
collocano la GB in una posizione leader nell’ambito europeo o quantomeno mondiale (USA
decisamente meno avanti sotto questo punto di vista all’epoca). La possibilità di avere
materie prime sul proprio territorio, primo fra tutti il carbone ma anche la lana, produzione
della porcellana e ceramica, aiutano ancora di più la GB a crescere dal punto di vista del
mercato interno ed internazionale. Carbone vuol dire forza motrice e progressivamente
invenzione indiretta del motore a vapore, alimentato a carbone, applicato all’invenzione della
ferrovia sia dal punto di vista commerciale sia della movimentazione delle persone.
Progressivo decadimento quindi del trasporto in carrozza e a cavallo e nel giro di 25 anni
(1825 primo tratto) nel 1850 la maggior parte del territorio della GB è coperto da una rete di
trasporti ferroviari, con progressivo anche se relativa facilitazione degli spostamenti delle
persone e delle merci. A questo si aggiunga l’applicazione del motore a vapore in campo
navale, capiamo che i precedenti commerci marittimi che dipendevano dalla navigazione a
vela, che poteva incontrare ostacoli di varia natura, vengono progressivamente abbandonati.
Inoltre, abbiamo la creazione di una serie interna di canali che incrementano ulteriormente lo
spostamente di merci e persone. Infine, le macchine a vapore applicate a motori di tipo
meccanico che facilitano lo sviluppo di telai per la tessitura che danno alla GB il primato nel
mondo dell’epoca perché da un lato c’è tutta la possibilità di trasformare la materia prima
(lana, di produzione interna e cotone dalle colonie).
Questi sono i primordi di quella che viene chiamata rivoluzione industriale.
La scienza progredisce nell’ambito medico, con l’invenzione di nuovi medicinali, la chimica
procede e si evolve fornendo nuove formule per l’applicazione tecnologica.

Dal punto di vista della società, una progressiva diversificazione nelle classi sociali:
sappiamo che fino a buona parte dell’800 la società britannica aveva come classe dominante
l’aristocrazia. Gia dalla fine del 700 poi in epoca vittoriana iniziano ad emergere altre classi
che da un lato è quella commerciale e dei grandi proprietari terrieri, dall’altro con la
rivoluzione industriale emerge quella degli industriali, investitori, chiamati i capitalisti.
Capitalismo è un fenomeno socioeconomico che è diretta derivazione e al contempo causa
della rivoluzione industriale.
Si sviluppa questa classe di “nuovi ricchi” che hanno in mano i mezzi di produzione
industriale che spesso si mescola per ragioni di crescita del capitale con la precedente classe
dominante dei proprietari terrieri, e quindi si assiste ai matrimoni tra queste classi dominanti,
facilitate da un progressivo aumento di ricchezze di territori e proprietà dei mezzi di
produzione.
Dall’altra parte abbiamo il fenomeno dell’inurbamento delle classi agricole che lasciano le
campagne e si dirigono verso i grandi centri industriali, con tutta una serie di fenomeni dai
contraccolpi negativi quali il sovraffollamento delle città, condizioni sanitarie estremamente
negativi, peggioramento delle condizioni morali, mortalità infantile, malavita. I vari ministri
che si sono succeduti cercano di porre rimedio a questa situazione con tutta una serie di patti
legislativi:
- 1842: Mines Act, i bambini al di sotto dei 10 anni e le donne non possono lavorare in
miniera
- 1847: Factory Act/10 hours Bill, impone l’orario massimo di lavoro giornaliero
- 1848: Public Health Act, cerca di venire in contro alla scarsa igiene e alle varie
epidemie che affliggevano le classi meno abbienti
- 1864: Chimeny Act, si vieta l’utilizzo di bambini in questo tipo di attività
- Istruzione: si comprende che è doveroso fornire istruzione ai bambini. Fino a quel
momento era riservata o alle classi abbienti che potevano permettersi precettori,
scuole private e università, ma l’istruzione anche minima per eliminare
l’analfabetismo si può dire che nasca proprio in epoca vittoriana attraverso scuole di
natura ecclesiastico-religiosa (varie confessioni di origine cristiana che si sviluppano a
partire dalla riforma protestante sul suolo britannico) per iniziativa privata attraverso
la creazione di boarding schools e volontary schools. La monarchia e il governo si
rendono conto che l’alfabetizzazione deve essere messa in atto così nel 1870 viene
emanato l’Education Bill che promuove l’istruzione elementare per tutti, raggiunta in
maniera abbastanza soddisfacente alla fine del secolo
I contraccolpi in questo caso non possono che essere positivi perché se i bambini, anche
quelli delle classi povere, vengono tolti dalla strada e dall’obbligo di lavorare e vengono
progressivamente istruiti, non si potrà che aspettarsi un miglioramento della situazione
sociale.
- Diritto di voto: concezione e traguardo che viene raggiunto molto tardi. In tutta la
storia dell’umanità i governi si autoperpetuano, soprattutto le classi meno favorite non
avevano la possibilità di intervenire per modificare il corso degli eventi. Quindi, si
comprende che progressivamente che il suffraggio è un diritto dell’essere umano,
quindi già con il Reform Bill del 1832 (in anticipo, prima del regno di Vittoria) viene
ampliato sulla base del censo. In questa prospettiva è ancora molto discriminatorio,
però progressivamente queste regole vengono modificate. Nel 1838 si costituisce il
People’s Charter, la carta dei diritti dei cittadini, che spinge per avere il suffreggio
universale maschile. Nel 1868 con l’ennesimo Reform Bill viene concesso il voto alle
classi lavoratrici, e viene istituito il ballottaggio segreto (tra due candidati il
ballottaggio diventa segreto, non più pubblico). Infine, il voto universale compreso
quello femminile si ottiene nel 1928
- Donne: nel 1842 con il Mines Act si vieta il lavoro femminile in miniera, è un primo
passo. Le giovani donne o lavorano in fabbrica con un orario non superiore alle 10
ore, o si mettono al servizio domestico delle famiglie della borghesia che stava
aquisendo sempre maggior peso sociale o altri lavori artigianali. Se hanno avuto un
certo grado di istruzione possono accedere alla figura dell’istitutrice, cioè colei che
prende servizio in una famiglia di alta società e cura l’educazione dei figli, comunque
sono sempre ruoli sociali marginali e mai equiparati anche dal punto di vista
economico a quelli maschili
- Condizione matrimoniale: se una donna anche abbiente sposa un suo pari o un uomo
da altri strati sociali è privata di tutti i beni, i quali passano al marito. A questo si pone
rimedio nel 1882 con Married Woman’s Property Act si permette alla donna che si
sposa di mantenere la proprietà e l’amministrazione dei propri beni.
Inoltre, nel 1857 viene emanato il Matrimonial Causes Act che permette il divorzio
anche alla donna, in questo senso possiamo dire che la Gran Bretagna era molto
avanzata.

Virginia Woolf è la massima rappresentante femminile del modernismo britannico sul


versante del romanzo. Negli anni 20 Virgina Woolf tiene una conferenza in un college
femminile e il risultato è un opuscolo intitolato “A Room of One’s Own”, con la sua opinione
della condizione femminile nel 700/800 e sulla condizione di lavoro femminile, definibile un
manifesto del femminismo, della libertà e del diritto al lavoro e retribuzione femminile.
Titolo che emblematizza la necessità di avere uno spazio per quanto limitato, ma
assolutamente privato in cui nessuno possa entrare per permettere la libertà del lavoro
intellettuale.

Altro aspetto estremamente importante in epoca vittoriana per tutto il mondo dell’epoca, è
quello della scienza e della filosofia. La scienza, soprattutto attraverso il metodo sperimentale
istituito da Bacone nel 17 secolo, continui sviluppi ed esplorazioni geografiche e nuove
formulazioni acquisisce un’importanza fondamentale. Ricordiamo la teoria di Darwin,
evoluzionismo il quale naturalista e scienziato sperimentale oltre che teoretico, dopo una
serie di viaggi per il globo e raccolta di reperti formula la teoria dell’evoluzione nella sua
opera sull’origine delle specie attraverso la selezione naturale e la sopravvivenza delle specie
più favorite nella lotta per la vita 1859. Darwin motiva attraverso tutta una serie di prove il
fatto che nei vari ambienti in cui si trovano più specie e nell’ambito delle stesse specie
animali sono favorite quelle che trovano soluzione di sopravvivenza. La teoria
evoluzionistica come primo effetto ha quello di porsi in contrapposizione con la teoria
predominante da 2000 anni cioè quella del creazionismo di natura religiosa.
Nell’ambito della filosofia, l’800 è un’epoca di grandissime formulazioni filosofiche, ma
quello che più importa in termini socioligici e alla luce della rivoluzione industriale è la
filosofia utilitaristica formulata da Geremy Benthon negli anni 80 e da John Stuart Mill nella
metà dell’800. Questi due filosofi, analizzando i rapporti sociali, il comportamento
dell’uomo, Benthon pubblica nel 1879 l’introduzione ai principi della morale e della
legislazione: il suo assunto è che una nazione è buona se utile e se produce il massimo grado
di felicità al maggior numero possibile di persone. Per felicità intende la presenza di piacere e
l’assenza di dolore, chiaramente dal piano individuale questo si proietta sul piano sociale e
sul piano economico, quindi l’azione che provoca il maggior grado di piacere e il minor
grado di dolore in economia sarà quella della libertà personale e dell’iniziativa economica
(che avrebbe dato luogo alla teoria del liberalismo economico). Inoltre, propugna la
separazione tra il potere statale e il potere ecclesiastico-religioso, la libertà di parola, la parità
dei diritti uomo-donna, i diritti degli animali, l’abolizione della schiavitù e delle punizioni
fisiche, diritto al divorzio, libero commercio, difesa dell’usura, istituzione di un ministero
della sanità e pubblica amministrazione, restrizioni sul monopolio statale e creazione di un
sistema pensionistico e di assicurazione sulla salute. Questi sono i punti fondamentali delle
teorie di Benthon, si capisce che alcuni sono completamente condivisibil, altri lasciano
perplessi come per esempio la difesa dell’usura.
John Stuart Mill nel 1848 pubblica i principi di economia politica nei quali si assiste ad una
specie di coesistenza tra una visione liberale e una socialista e gli assunti di Mill sono: la
proibizione della ricchezza non dovrebbe avere limitazioni, i singoli devono avere libertà
assoluta nella ricerca dell’utile e della felicità, c’è bisogno di una guida nel meccanismo
sociale e di leggi etiche per distribuire le ricchezze, la divisione della produzione e
distribuzione della ricchezza perché la ricchezza viene prodotta dai capitalisti (coloro che
investono grandi somme di denaro nella costruzione di fabbriche). Ma a Mill giunge anche
una componente socialista di ridistribuzione in modo che vi siano delle leggi di produzione
regolate e che tutto il bene e l’utile non cada solo nelle mani di chi già posseggano i mezzi di
produzione e quindi producono la ricchezza.
Nel 1859 Mill pubblica il saggio sulle libertà in cui enuncia che l’individuo è libero di
raggiungere la felicità come crede e senza costrizion esterne. L’unica eccezione è quella del
contrasto tra il perseguimento della libertà dell’individuo che può provocare danni alla libertà
altrui, in questo caso deve intervenire una regolamentazione di natura statale per impedire gli
eccessi. Ancora libertà di espressione e di opinione e tuttavia l’ammissione che non esistono
verità assolute ma che i concetti, le fedi, i punti di vista sono cambiabili, quindi questo ci
porta ad una visione relativistica. Anticonformismo e difesa di esso e dell’originalità. Quello
di Mill è un liberalismo abbastanza radicale che pone l’individuo al centro della sua visione.
Egli sostiene la libertà di coscienza e di espressione, di perseguire la propria felicità e quello
di associazione nel senso di permettere liberamente l’unione di gruppi e di individui per
perseguire determinati fini. Rimane però sempre il principio che la libertà individuale non
deve andare a cozzare contro la libertà degli altri individui.
Questo per dire che tra gli effetti della rivoluzione industriale, dell’investimento dei capitali
da parte dei capitalisti e dei vari effetti, abbiamo anche questi contraccolpi reciproci in
termini interattivi tra filosofia, modi di pensiero, dimensioni sociologiche e realizzazione
pratica nell’ambito della rivoluzione industriale.
Il pensiero politico è caratterizzato dalla formulazione del socialismo scientifico di Carl Marx
e Friedrich Hengels (tedeschi), i quali propugnano una teoria che si oppone al capitalismo,
che propugna la lotta di classe e progressivamente quella che viene definita la dittatura del
proletariato. Questo espresso nel libro “Das Kapital” 1867, preceduto da “La Situazione della
Classe Operaia in Inghilterra” di Hengels nel 1845. Il risultato non si ha tanto in Gran
Bretagna che non arriva mai ad una forma di governo ne comunista ne socialista, ma si
sarebbe ripercosso nell’Europa dei primi anni del 900 e in particolare in nazioni che
assumono il comunismo a bandiera della propria organizzazione sociale.
Per quanto riguarda il pensiero religioso, questo subisce grandi colpi innanzitutto dalla teoria
evoluzionistica di Darwin su quello che è lo sviluppo delle specie sulla terra e la nascita
dell’uomo (non più creazione ma frutto di un’evoluzione), quindi il racconto biblico viene
considerato come un mito. L’utilitarismo sostituisce una morale di tipo più caritatevole di
tipo cristiano perché proclama il diritto al perseguimento della felicità individuale e questo
porta a concezioni di natura ateistica o agnostica.

La letteratura riflette tutta la grandezza e la complessità dell’epoca vittoriana: è erede del


romanticismo, ma è profondamente diversa e si fa originale ed autonoma. È una fase di
consolidamento soprattutto, cioè guarda al presente ma guarda anche al passato. Il passato è il
passato di tutta la storia umana, del passato mitico, classico, storico, al medioevo dei miti
arturiani e al medioevo storico e artistico per esempio degli stilnovisti, dei provenzali e di
Dante, guarda al rinascimento italiano ed europeo come stagione di grandissimo fervore
culturale ed artistico, guarda anche alla gente del popolo. E guarda al presente che si trova a
vivere, ovvero rivoluzione industriale, nuove teorie filosofiche e religiose, un presente
complesso e problematico, guarda alla natura, in maniera introspettiva all’anima umana, al
fenomeno dell’alienazione (che si manifesterà nel 900). Quindi è una fase di passaggio tra le
certezze e gli slanci talvolta anche eroici e ideali del romanticismo, alla letteratura di quella
che è stata definita “the age of axiety” del 900. Ripercorre grandi cicli epici con Tenninson e
Brownie, oppure si proietta in maniera lirica, meditativa e intimista nell’animo dell’uomo sia
pur con cicli narrativi anche se in forma poetica. Al contempo si affianca e si contrappone ma
non in maniera polemica al romanzo: genere letterario maggiormente in voga nell’epoca
vittoriana (Dickens, Hardy grandi rappresentati della prosa), la poesia è meno popolare, è
maggiormente ristretta dal punto di vista del pubblico ma tuttavia è il contraltare del romanzo
dell’epoca.

8.03
Monologo drammatico Ulysses e poemetto gemello I Lotofagi, si tratta di due poemetti
gemelli che modulano due temi complementari e antitetici.
Monologo drammatico: da un punto di vista delle forme poetiche è la vera grande
innovazione dell’epoca vittoriana. Se dovessimo catalogare l’epoca vittoriana per le
innovazioni da un punto di vista formale e tematico portate nell’ambito della poesia,
metteremmo sicuramente al primo posto il monologo drammatico.
Monologo è un’espressione verbale, un discorso tenuto da una sola persona. Drammatico
perché dervia etimologicamente dal termine “drama” che vuol dire agire. È una forma poetica
che deriva dal teatro, ispirato ai monologhi dei personaggi teatrali. I poeti vittoriani e
soprattutto Robert Browning e Alfred Tenninson sono i due massimi rappresentanti di questo
genere poetico.
La poesia vittoriana si rivolge al passato e si può rivolgere al passato classico, mitico,
medioevale, rinascimentale, per trovare occasioni/spunti e specchio della situazione propria
di quel preciso momento in cui si sta sviluppando e creare personaggi che possano incarnare
il punto di vista del poeta che li sta reinventando. Questo monologo intitolato Ulysses
costituisce uno degli esempi più emblematici del monologo drammatico così come è ricreato
da Alfred Tenninson.

Ulysses (1833)
Capiamo che il protagonista sta parlando e ad un certo momento rivela la sua identità.
Il monologo è diviso in tre parti: la prima introduttiva in cui l’eroe (rappresenta l’archetipo
dell’uomo che non si ferma mai, sempre alla ricerca di continua conoscenza/esperienza e
avventure). Tennynson è proprio colui che fa rinascere Ulisse in epoca ottocentesca, e la
causa personale che spinse Tennynson a inserire Ulisse in questo monologo fu la perdita di
un carissimo amico Arthur Halam, che lo lascia molto scosso. Quindi sicuramente parla lo
Ulysses omerico e anche quello dantesco, ma infondo a tutto ci sta lo stesso desiderio di non
darsi per vinto dell’autore: ha perduto l’amico più caro e quindi deve ripartire ed usa la
maschera (maschera in senso drammatico per assumere le fattezze di un determinato
personaggio) ed entra nel suo profondo, è un’azione quasi teatrale. È come se il poeta vestisse
i panni di un personaggio storico/immaginario/mitologico a cui fa capo e cercasse di
immedesimarsi in costui come fa un attore sulla scena quando interpreta un personaggio fino
infondo. Potremmo dire che i monologi drammatici di Tennynson e Brownie potrebbero
benissimo essere messi in scena rappresentando un momento particolare di un’opera teatrale.
L’Ulisse tennysoniano innanzitutto si proietta nella situazione attuale in cui si trova: è un
vecchio re, si trova vicino ad un focolare spento e si trova su scogliere desolate. È
accompagnato da una moglie vecchia (demitizza non poco l’immagine di Penelope) ed è
costretto ad elaborare e imporre leggi unequal ad una razza selvaggia. È innanzitutto la sua
visione dei suoi sudditi a Itaca, ma è anche la figura del poeta che si ritrova in una condizione
di non armonia con la sua epoca. Il poeta è come questo ulisse che deve cercare di dare non
tanto leggi, ma visioni dello spirito ad una savage race that hoard, and sleep, and feed and
know not me
 Critica del poeta all’età vittoriana, cioè l’epoca in cui si trova a vivere. Una razza
(sembra quasi antipatriottico) selvaggia, i britons, che si riposano e si cibano e non
riconoscono l’autorità morale del poeta stesso.
Il poeta è rimasto solo, ha perduto uno spirito affine (quello del suo giovane amico e collega
di studi) si ritrova inascoltato e incompreso da una civiltà che in un certo senso non è la sua.
Proiettandosi nella figura del vecchio Ulisse che non si trova più a proprio agio sulla propria
isola di Itaca, che percepisce di non essere compreso dai suoi sudditi (che definisce savage
race), che accumula e si riposa e si nutre e non mi riconosce, è anche una metafora del poeta
stesso che si ritrova in una posizione di non comprensione.
Non posso smettere di viaggiare: travel non è il viaggio di piacere, turistico, ma è lla
proiezione del viaggio e dell’esplorazione mentale, intellettuale. Poi sintetizza la propria
esperienza: sono diventato un nome (quando parliamo di Ulisse/Odisseo pensiamo alla storia
di Nessuno, che però al contempo è anche tutti noi, o per lo meno tutti gli uomini che non
hanno mai smesso di cercare nuove mete e raggiungere nuovi traguardi nella coscienza.
Sta raccontando il proprio passato, perché come re e come esule che cerca di tornare in patria,
questo eroe protagonista sintetizza tutta la sua esperienza in questo monologo. Poi l’aspetto
eroico: sappiamo che la guerra di Troia dura 10 anni, l’assedio dei greci dura 10 anni e viene
risolta proprio dallo stratagemma inventato da Ulisse. Quindi in sintesi, in questi primi versi
l’eroe sintetizza tutta la sua esperienza.
I am a part of all that I have met: anche in questo caso è una autoraffigurazione di se stesso,
che cos’è l’uomo se non la somma d tutte le proprie esperienza? Non possiamo imparare la
vita sui libri, da un punto di vista psicologico dello sviluppo dell’essere umano dall’inizio
della sua parabola fino alla fine, sono le esperienze quelle che ci plasmano, che ci
construiscono i modi di interpretare la realtà.
Poi a proposito dell’esperienza, è una specie di arco/parabola oltre il quale riluce questo
mondo non ancora esplorato (untravelled world) i cui confini si allontatano man mano
sempre più che ci si avvicina => paradosso: più mi avvicino agli estremi confini (in questo
caso Ulisse non parla in termini geografici ma esperienziali), i confini si allontanano sempre
di più perché ci si proietta in una direzione infinita: l’infinito del pensiero e della sete di
conoscenza.
Rimane poco da vivere, ma proprio per questo non si lascia scoraggiare, si proietta in una
dimensione che non raggiungerà mai naturalmente ma alla quale comunque non rinuncia.
Ogni ora di vita è risparmiata dal silenzio eterno, è messaggero di cose nuove, sarebbe da vili
rimanersene fermi e ammassare (tornano i verbi usati per la savage race), io non sono fatto
come loro.
Poi abbiamo un’altra rappresentazione di se stesso: and this gray.., non ha senso fermarsi e
lasciare questo spirito che ci strugge nel desiderio e qui c’è la grande metafora della
conoscenza: seguire la conoscenza come una stella che declina, al di là degli estremi confini
del pensiero umano.
Che tipo di viaggio è quello che Ulisse si prefigura? Parte da una dimensione reale di viaggio,
esplorazione, ricerca di ulteriori nuovi confini ma sicuramente si proietta nell’ambito
dell’esperienza e della conoscenza.
Quindi questa è la prima parte, la parte introduttiva, chi sono io? Sono un nome, lo è
diventato perché quando sentiamo la parola Ulisse pensiamo immediatamente a questo
grande eroe della mitologia, che poi è stato rivisitato e reinventato da poeti nel corso della
cultura umana. Esempio: l’Ulisse dantesco viene incontrato da Dante all’inferno per due
ragioni ben precise. Primo perché la bolgia in cui si trova si puniscono i consiglieri
fraudolenti, coloro che con la loro astuzia hanno dato mali consigli ai propri simili. Ulisse
appunto suggerì vari stratagemmi, ultimo dei quali l’inganno del cavallo ma poi nella
prospettiva dantesca (prospettiva di una visione religiosa dell’esistenza del passato, presente e
futuro) Ulisse si è macchiato della colpa di aver osato trasgredire i limiti imposti all’uomo.
Materialmente varcando le colonne d’Ercole, ma soprattutto perché si spinge laddove nessun
uomo aveva mai osato spingersi. Varcate le colonne d’Ercole prosegue per l’alto mare aperto
finchè vede in lontananza una montagna che nessun uomo avrebbe mai potuto e dovuto
vedere perché si trattava della montagna del purgatorio. Questo vortice che si crea inghiotte
la nave di Ulisse, fine del racconto dell’Ulisse dantesco. Rappresenta la sete di conoscenza,
l’indomabilità dell’uomo che non si ferma davanti ai limiti ed ha il coraggio di pagare con la
propria vita questa audacia. In una prospettiva religiosa è un dannato.

Poi seguono pochi versi in cui il mologante sta parlando con tutti noi lettori e ci addita un
altro personaggio, suo figlio Telemaco e a lui lascia lo scettro e l’isola. Il sovrano sembra
“abdicare”, cedere il governo al figlio. Ne tesse le lodi, è l’erede ideale di questo grande
personaggio, ma c’è una differenza: è mio figlio, lo amo, ne tesso le lodi, ve lo presento e lo
lascio come nuovo sovrano ma lui segue la sua strada e farà le mie veci quando io me ne sarò
andato, io ho un’altra strada da seguire. Questo è il presente ma anche implicitamente il
futuro di Itaca.

Qui scatta la terza parte del monologo: lo sguardo di Ulisse e quello di tutti noi che lo
seguiamo si orienta su un’altra dimensione verso un’altra direzione: ecco il porto, il vascello
con le vele già gonfie e i mari profondi e oscuri. Comincia l’esortazione che per certi aspetti
ricorda la famosa orazion picciola dantesca con la quale Ulisse convince i propri compagni
ormai vecchi anche loro a continuare la loro navigazione fin dove sarebbero arrivati.
Definisce i marinai anime che hanno faticato e operato e pensato con me (nel crescendo il
temrine più importante è il pensiero), al di là degli estremi confini del pensiero umano =>
quella è la meta irraggiungibile ma ambita di questo grande eroe. Ancora ripercorre nel
ricordo tutte le esperienze vissute insieme: you and I are old, questa è la realtà e la vecchiaia
avrebbe già i suoi compiti.
Nonostante siamo già vecchi, abbiamo terminato la parabola della nostra vita ci aspetta
ancora qualcosa: da un punto di vista letterale è il ripartire per mare alla ricerca di nuove
terre, esperienze ma da un punto di vista metaforico è il non desistere mai dal desiderio di
conoscere sempre di più. Non ci dice cosa sta cercando questo Ulisse (saggezza, conoscenza,
ispirazione), ci dice solo, sin dalle prime battutte “i cannot rest from travel” e lo ribadisce in
questa terza parte con “varcare ogni confine, non fermarsi mai”, cercare di spingersi sempre
oltre il limite umano, ecco perché come già l’Ulisse dantesco o quello di Stevens degli anni
50 rappresenta la sete e il desiderio mai placato di conoscenza.
Death closes all: prospettiva chiaramente materialista, da un punto di vista filosofico pagana
ma al contempo eroica perché dice si può ancora fare qualcosa degno di nota che è
perfettamente in linea con uomini che hanno lottato con gli dei (nell’epica classica non di
rado gli eroi si trovano a combattere o affianco o contro gli dei).
Ancora una prospettiva sul qui e ora reale: è il presente sia dal punto di vista cronologico sia
spazio-temporale che sta a loro di fronte, queste luci che si accendono dalle scogliere, giorno
che svanisce, luna che lentamente si innalza nel cielo e mare che si lamenta con molte voci.
Altra variazione sul tema della conoscenza: non è mai troppo tardi per cercare nuovi mondi,
non è tanto il nuovo mondo geografico ma ancora una volta il mondo della conoscenza ma
per arrivarci bisogna adattarsi alla realtà. Questo Ulisse non si fa nessuna illusione, dice
andremo avanti finchè morirò (concezione stoica elevata a sistema di vita). Cosa potrà
accadere? Che verremo inghiottite dai gorghi, raggiungeremo le isole dei beati e troveremo
Achille che abbiamo conosciuto (non tornerà in patria). Ancora una volta una considerazione
molto realistica della loro realtà: anche se non abbiamo più quella forza che in passato
smuoveva cielo e terra, siamo quello che siamo (you and I are old). Ma cosa siamo? Qui
l’eroe fa leva sui sentimenti più alti ed eroici dei suoi compagni: è la conclusione, l’explicit
della orazion picciola non più dantesca ma tennynsoniana che l’eroe nel suo monolog
drammatico rivolge ai suoi compagni. Con questo crescendo non solo semantico ma
soprattutto retorico (sforzarsi, cercare, trovare e non cedere mai) che li spinge avanti e da
questo momento noi non sappiamo più nulla. Sappiamo sicuramente che come già l’Ulisse
dantesco, anche questi mariners faranno a loro volta ali .. ma in questo caso non abbiamo il
fine dell’avventura, è un finale aperto. Sono presentate delle ipotesi: può darsi che i vortici
marini li inghiottano, che approdano alle isole felici dei beati, ma rimangono solo ipotesi.
Con questo crescendo così eroico si chiude il monologo di Ulisse, versione che Tennynson da
alla luce delle sue conoscenze degli autori classici e medioevali (Omero e Dante) ma anche
alla luce della sua esperienza e del sentimento che lo anima, di non cedere ad un momento di
sconforto della propria esistenza e di continuare finchè gli sarà dato tempo di continuare.
Si proietta nella figura di questo grandissimo eroe, è come se si mettesse una maschera del
teatro greco e veste i panni di questo personaggio del passato, cercando di realizzare
un’esperienza di conoscenza interiore che gli è di grande sostegno in un momento così
difficile. Naturalmente non dobbiamo limitarci al lato biografico per sanare i propri guai
psicologici, questa è soltanto una delle chiavi di lettura.

I lotofagi
Deriva dalla mitologia da uno dei canti dell’Odissea, quando durante il ritorno verso Itaca
Ulisse e i suoi compagni giungono in questo paese leggendario, la terra dei lotofagi, e non
pochi compagni di Ulisse si lasciano convincere da questo strano popolo e rimangono a
vivere con loro in una condizione di sopore, di vita sospesa provocata dal nutrirsi dal fiore di
loto e che fa dimenticare le cure del mondo, le persone care e richiama soltanto questo
desiderio di oblio ed abbandono. Si capisce che lo spirito che anima questo testo è
esattamente il contrario dello spirito che anima Ulysses.
Ulysses non cessa mai di viaggiare, di affrontare nuovi pericoli, è consapevole che potrà
arrivare alla fine della propria esistenza ma non per questo rinuncia. Gli altri invece
desiderano fermarsi e non hanno più nessun desiderio, nessuna ambizione per continuare.
Carrage he said: sono le parole di Ulisse, sono stanchi, stremati dal viaggio e dalle avversità.
Age and faith, ma la prima parola che risuona sembra quasi riprendere il finale del monologo
precedente cioè courage, cioè il motto di questo Ulysses.
Rime iniziali estremamente melodiose ed incantatorie introducono al contesto: Ulisse e i suoi
marinai approdano in questa terra sconosciuta, la voce poetante ci descrive questo luogo così
magico, affascinante, seducente che spinge all’oblio, all’abbandono attraverso tutta una serie
di immagini naturali che potremmo definire magiche, incantatorie, soporifore che spingono
all’abbandono di tutto. Sequenza ininterrotta di paesaggi naturali, è un paesaggio idilliaco
(languido, atmosfera sognante, luna, fiumi che incantano, cime delle montagne innevate,
gocce di rugiada, tramonto charmed, vallette che serpeggiano una dopo l’altra). Ci da una
descrizione estremamente mutevole però ci dice che tutto sembra sempre lo stesso, quindi
una specie di fissità che si articola in tutta una serie di scene che si susseguono uno dopo
l’altro. Dopo averci descritto con tutta una serie di particolari e soprattutto con suoni, musica
incantevole questo paesaggio ecco che compaiono gli abitanti di questo luogo: dark faces…
sembra che compaiano dal nulla perché sono così silenzioni e impercettibili nei loro
movimenti che potremmo immaginarli come delle ombre che si materializzano e che si
avvicinano ai marinai di Ulisse. Qui accade l’incontro, un incontro senza parole, non c’è
dialogo, soltanto costoro che offrono questi frutti di cui cibarsi o di cui annusare il profumo
inebriante e chi se ne ciba/annusa si allontana progressivamente dalla realtà, o meglio la
percepisce come qualcosa che diventa lontano e alieno, anche le voci sono attitute, come se
provenissero dalla tomba (non accezione gotica, ma dimensione ormai distante e remota).
Profondamente addormentati e pure svegli e questa musica che non è altro che il loro cuore.
Si ricordano della madrepatria, dei figli, delle mogli e degli schiavi (erano nobili) ma tutto
sembra stanco, estenuato, lontano e metafora campi erranti di fiumi sterili (mari). La prima
voce che si sente risuonare in questa introduzione: noi non torneremo più. Questo si pone in
antitesi radicale con gli ultimi versi dello Ulysses.
Comincia poi questa seconda parte, canto corale, in cui risuonano le voci dei marinai di
Ulisse che si sono lasciati incantare, sedurre e che si sono abbandonati alla magia e
all’incantesimo del loto. Qui inizia, con rime concatenate che ci danno questa incessante
musica incantatoria che attraverso le parole e la tecnica esperta del poeta cerca di rendere
questa atmosfera così sospesa e incantatoria in cui si sono abbandonati i compagni di Ulisse.
Sweet dream… ridescrizione del paesaggio accentuandone ancora una volta tutte le
caratteristiche di piacevolezza, seduzione, abbandono, rinuncia alla prosecuzione del viaggio.
Ci sono muschi, edere, fiori, scogliere dove i papaveri reclinano il proprio capo (oppio,
oblio). Costoro si rendono conto di essere gravati da questa stanchezza e di essere stati
fiaccati da tutte le fatiche che hanno dovuto affrontare fino a quel momento, e al contempo si
rendono conto che tutto ha fine. Perché solo noi dovremmo faticare ancora? Noi che siamo
gli esseri più importanti (uomo). In questo caso c’è un rovesciamento implicito del pensiero
di Ulisse: sa di essere il primo non perché è un eroe o perché ha compiuto grandi gesta ma
perché non cede mai nel suo desiderio di ricerca. Questi al contrario sanno di esserei il
culmine del creato ma proprio per questo non hanno più nessuna intenzione di lottare e di
misurarsi con le fatiche che gli aspettano perché già ne hanno sperimentate a sufficienza.
Perché non dobbiamo chiudere le nostre ali e non dobbiamo cessare i nostri vagabondaggi?
Le ali implicitamente si collegano ad un altro personaggio della mitologia greca, Icaro, che
come Ulisse non vuole mai fermarsi. Il volo inoltre è sinonimo di libertà, di innalzarsi al di
sopra dei limiti e di volare verso la libertà. Ma se pensiamo ancora una volta alla storia di
Ulisse, in particolare quello dantesco, i remi che servono ai marinai diventano ali perché è
come se quella nave si staccasse da quelle acque, acque di un mare che ulisse sta solcando e i
cui confini vuole superare. Ecco perché da remi si trasformano metaforicamente in ali,
proprio per il folle volo nell’ottica dantesca. Invece, loro dicono che loro vogliono richiudere
le ali, quindi smettere la ricerca e ancora preferiscono rimanere in queste condizioni nel beato
balsamo del riposo e non c’è nessun altra gioia che nella quiete. Per ogni Ulisse la gioia non è
la calma, quindi vediamo chiaramente che questo poemetto è il controcanto dell’Ulysses,
sono le due facce della medesima medaglia: da un lato il desiderio insaziato e insaziabile di
esplorare, di cercare sempre, dall’altro l’abbandono, il dimenticare tutto, il non ambire più a
nulla in questo luogo ripiegati come la foglia che si piega sul bocciolo, i suoni incantatori, le
notte cosparse di rugiada, gli autunni che diventano gialli… il tutto in questa luce estiva così
dolce. Sono tutte immagini di declino: queste foglie che d’autunno diventano gialle e cadono
ondeggiando nell’aria, mele che maturano e cadono nelle notte silenziose d’autunno, anche il
fiore sboccia e poi sfiorisce e svanisce, tutto cade e non fa nessuna fatica. Questa è la
condizione a cui i marinai di Ulisse aspirano, non avere più da fare nessuna fatica, radicati
fissamente nel suolo che da frutti, tutto il contrario di Ulisse che non intende radicarsi da
nessuna parte. I marinai ne hanno avuto abbastanza di mari e di cieli, death is the end of life:
qui enuncia lo stesso concetto espresso da Ulisse ma lo declinano in maniera completamente
diversa. Qui dice la morte conclude tutto, perché la vita dovrebbe essere fatica? La
prospettiva è radicalmente antitetica a quella di Ulisse, la fine è la stessa (la morte) ma
mentre per l’uno prima della morte c’è tempo, non importa quanto, per continuare e per non
fermarsi, costoro invece si aspetta come le foglie che cadono, quel momento senza darsi la
fatica di continuare. Let us alone ripetuto tre volte, con chiarissima insistenza su questo
concetto.
Ancora immagini di tranquillità e inutilità di fare ulteriori sforzi. La dolcezza è questa, sentire
il mormorio lontano dei ruscelli con occhi semichiusi e cadere addormentati come in un
mezzo sogno, ancora sognare e sognare (esattamente il contrario di Ulisse) in queste luci così
soffuse, in questo bisbiglio di parole che non sono più le esortazioni di Ulisse ma
semplicemente sussurri di chi ha rinunciato a proseguire, continuando a cibarsi di questo cibo
magico che ti assopisce e ti incanta.
Si ci è caro il ricordo delle nostre vite da sposati, il ricordo degli utlimi abbracci delle nostre
mogli, ma tutto è cambiato: sicuramente adesso i focolari sono freddi, i nostri figli
erediteranno i nostri beni (son Telemacus, ricordiamo) o ci saranno dei principi audaci che si
sono impossessati delle nostre sostanze (ricordiamo implicitamente i proci che si
impossessano di Itaca).
Costoro preferiscono proiettarsi in questi letti di fiori così incantatori, corone di fiori, finchè
come se innalzassero un inno a questo fiore di loto. Ultima frase, esattamente contrario di
Ulisse: we will not wonder more. Antitesi completa da un punto di vista psicologico,
spirituale, interiore a quella che è stata l’esortazione finale di Ulisse.
15.03
De Profundis
È una poesia d’occasione scritta per la nascita del primo genito di Tenninson, chiamato
Alham in onore dell’amico di Cambridge mancato prematuramente e al quale era stato
dedicato Ulysses. È un testo estremamente personale e diretto, intimo e commosso, potrebbe
essere considerato un inno, una lode alla creatura appena nata e alla vita e alla nascita di un
nuovo essere unamo. Lascia trasparire un grande senso di tenerezza e consapevolezza del
mistero della nascita assieme agli auspici di un padre per la vita futura di colui che
rappresenta la sua discendenza diretta. C’è questa meraviglia nei confronti del miracolo della
nascita di un figlio ma anche della nascita della vita, della creazione e della continuità della
vita. I termini usati in questo senso “the spirit of God”, “that infinite one”, “his hool world
self”, rappresentano le varie modalità a cui il poeta fa ricorso da un punto di vista linguistico
per definire l’assoluto, il creatore, la divinità che trasmette e perpetua la vita nel mondo e
nell’universo. Si tratta anche di una meditazione filosofica e religiosa in una prospettiva
cosmica e visionaria.

Out of the deep, my child, out of the deep,


Where all that was to be, in all that was,
tentativo non preciso di definire la profondità immensa nel tempo e nello spazio da cui
proviene e ogni volta si rinnova la vita

Whirl’d for a million æons thro’ the vast


Waste dawn of multitudinous-eddying light
Prospettiva che potremmo definire cosmica, infinita, universale nel senso dell’universo
immenso da cui deriva questa piccola creatura subito dopo definita “my child”.

Out of the deep, my child, out of the deep,


Notare che la posizione anche soltanto sintattica del termine “my child” è in mezzo alla
ripetizione a inizio e fine del verso di “out of the deep”, a sottolineare ancora una volta
l’infinito, insondabile, la profondità irraggiungibile da cui questa piccola vita, definita con un
termine affettuoso, deriva.

Thro’ all this changing world of changeless law,


Mondo mutevole di leggi immutevoli: in epoca vittoriana vengono formulate nuove ipotesi
scientifiche, nuove teorie filosofiche. L’ipotesi scientifica più famosa dell’epoca è
l’evoluzionismo darwiniano e quindi il poeta si riferisce, seppur indirettamente, a queste
nuove teorie che progressivamente venivano elaborate e rese pubbliche.

With this last moon, this crescent—her dark orb Touch’d with earth’s light—thou comest,
darling boy;
Antitesi tra oscurità e luce e poi la seconda definizione alla propria creatura. Uso di “thou” al
posto di you: forma arcaica, quindi tono solenne del passo e del testo stesso. Questa volta il
“child” viene definito “darling boy”, termine che esprime tutto l’affetto e la tenerezza
paterna.

Our own; a babe in lineament and limb


Perfect, and prophet of the perfect man;
Terza definizione è “babe”, chiaramente sinonimo di baby e child. Secondo verso: ripetizione
di perfect perché da un punto di vista ideale ma anche reale e letterale, la creatura appena nata
è già prefigurazione della perfezione dell’uomo adulto

Whose face and form are hers and mine in one,


Indissolubly married like our love;
Si riferisce all’unione di lei e sua in un’unica creatura. Le caratteristiche di questa creatura
riuniscono in lineament, limb, face e form l’aspetto di lui e di lei e ancora la metafora: uniti in
matrimonio indissolubilmente come il nostro amore. In altri termini il bambino è la sintesi
assoluta e perfetta dell’unione e del matrimonio (unione come modalità di vita in totale
armonia) dei due che lo hanno generato.

Live, and be happy in thyself, and serve


This mortal race thy kin so well, that men
May bless thee as we bless thee, O young life
Serve this mortal race: aiuta il prossimo tuo. Ricordiamo la cultura della società e della
morale vittoriane, dove un nuovo essere che viene al mondo oltre ad essere sintesi dell’amore
dei due genitori è al contempo anche creatura di Dio in una prospettiva religiosa in quanto è
una nuova vita che viene donata e da un punto di vista sociale lo definiremmo cittadino,
quindi adesso capiamo perché nell’indirizzo di augurio troviamo questi versi.
Quindi, gerarchia dei ruoli
- Figlio di due genitori
- figlio di Dio (dimensione alta, religiosa)
- cittadino di questa precisa società, cultura, momento storico in cui il Regno Unito
raggiunge l’apice della sua potenza e ricchezza.
Come cittadino sei tenuto a servire questa razza mortale che ti è affine in modo che gli
uomini ti possano benedire come noi ti benediamo. Arcaismi per sottolineare la sacralità e
solennità di questo momento

young life Breaking with laughter from the dark;


giovane vita che irrompi dal buio con il tuo sorriso. Immagine estremamente affettuosa e
tenera. Quindi benedetto dal creatore, dai suoi genitori e possa essere benedetto anche dai
suoi simili per il servizio che renderà alla società, alla cultura, al mondo in cui si trova a
vivere.

and may The fated channel where thy motion lives


Be prosperously shaped, and sway thy course
Along the years of haste and random youth
Unshatter’d; then full-current thro’ full man:
And last in kindly curves, with gentlest fall,
canale, direzione decisa dal fato dove si articola, si muove e vive il suo movimento.
Prosperously shaped: si coniuga perfettamente con gli ideali di vita vittoriana, soprattutto di
un certo standard di vita e di certe classi sociali. Il poeta viene nominato “il poeta laureato”,
quindi diviene sia per suoi meriti sia per la sua opera che ha prestato il suo ruolo preciso a
favore della società in cui si trova a vivere in una condizione di benessere.
- Random youth: giovinezza, tipico dell’età giovanile di cercare e non essere mai
soddisfatti di ciò che si trova
- Full man: metafora di un corso di un fiume. Piena corrente, fiume della sua stagione
di maggiore ricchezza e abbondanza attraverso l’uomo adulto
- Gentlest fall: autunno gentile. Autunno in rapporto alla vita umana è metafora di
cammino verso la morte

By quiet field:, a slowly-dying power,


To that last deep where we and thou are still.
Fino a quell’ultima profondità dove noi e tu saremo nuovamente tranquilli. Ritroviamo di
nuovo la parola “deep”, ripetuto quattro volte in posizione chiastica, costituendo quasi una X.
La figura iniziata con le prime parole di questa strofa e ritorna nell’ultimo verso: il concetto
ritorna in posizione e significato circolare. Si parte e il cerchio si chiude la dove era iniziato.
Chiaramente le funzioni sono diverse, uno sarà l’inizio e l’altro sarà la fine. È iniziato, ha
dato luogo a una serie di riflessioni così tenere e di buon auspicio da un punto di vista
personale, religioso e sociale. Prosegue con l’augurio al proprio figlio e si chiude
ripercorrendo già in anticipo le varie tappe della vita umana e ritorna la dove tutto aveva
avuto origine.
Sottolineamo in questa prima strofa, che tutti i pronomi riferiti a questa seconda persona
singolare (bambino neonato) sono tutti in forma alta, elevata e arcaica a sottolineare la
profondità l’altezza, la nobilità e la sacralità di questo evento.

SECONDA STROFA SUDDIVISA IN DUE PARTI


Riprende nuovamente, quasi come un tema musicale posto all’inizio e che viene ripreso nello
sviluppo della composizione poetica.
Ritroviamo la costruzione chiastica (a X).

Out of the deep, my child, out of the deep,


From that great deep, before our world begins,
Whereon the Spirit of God moves as he will—
Ultimo verso che richiama la Genesi e lo spirito di Dio che aleggiava sul vuoto iniziale e poi
la famosa narrazione della creazione dei 7 giorni. Quindi così come la creazione, altrettanto la
creazione di una creatura (my child)

Out of the deep, my child, out of the deep,


From that true world within the world we see,
Whereof our world is but the bounding shore—
È come se ci fossero due mondi: c’è un vero mondo che è all’interno e più in profondità del
mondo che noi vediamo. Concetto filosofico e teologico espresso in poesia che spiega che c’è
un mondo della realtà più profonda (quello delle essenze) e un mondo che è quello che noi
vediamo (quello dell’apparenza), di cui questo nostro mondo non è altro che la riva che ne
costituisce il confine. Prima metafora fluviale (flusso della vita che scorre come un fiume)
ora marittima, la sponda del mondo che vediamo costituisce da confine all’altro mondo che
sta all’interno e più in profondità.

Out of the deep, Spirit, out of the deep,


With this ninth moon, that sends the hidden sun
Down yon dark sea, thou comest, darling boy.

Questa volta al “my child” si sostituisce Spirit. La prospettiva è quindi ancora una volta
profondamente religiosa, ritorna quello spazio di tempo che abbiamo visto della luna (nove
mesi che rappresentano la gestazione). Prima la creatura era stata descritta mentre erompe
ridendo dall’oscurità, e ancora una votla come un sole nascosto lungo un mare oscuro giunge
il bambino. Questa volta la metafora è di natura astrale: il sole, le lune, queste profondità in
cui si muove lo spirito del divino a suo piacimento e questa nona luna oscura da cui sorge un
sole nascosto, cioè il bambino. Ancora una volta simbolismo, alto quoziente di poeticità, ma
anche senso del mistero e senso delle concezioni scientifiche dell’epoca. Non stiamo
parlando ancora di evoluzionismo ma di questo infinito, sconosciuto e insondabile
dell’universo da cui la vita proviene.

Anche la seconda parte della seconda strofa è ispirata a immagini e concetti di natura
religiosa e filosofica.

For in the world, which is not ours,


They said ‘Let us make man’ and that which should be man,
un’altra definizione, che però non è precisa ma vaga. Mentre prima c’era “the spirit of God”
quindi unico, qui ci troviamo un “they”. Il poeta è vago in questo caso, addirittura usa un
plurale dove ci saremmo aspettati un singolare (chi crea il mondo), con ogni probabilità il
poeta si sta riferendo a fonti bibliche in cui nella lingua originale si utilizzava il plurale.
Quindi è prova di profonda conoscenza delle fonti sacre. “let us make man” è la trasposizione
letterale delle righe della Genesi.
Ci ricorda il disegno divino: ciò che dovrebbe essere, ci riporta ad una serie di concetti visti
prima in cui ci dice che l’uomo svolge una sua precisa funzione nell’ambito sociale (self this
mortal race). Quindi la maturazione dell’essere umano in tutte le sue potenzialità individuali e
sociali.

From that one light no man can look upon,


Drew to this shore lit by the suns and moons
And all the shadows.
Ritornano le immagini di soli, lune e di ombre come metafore dell’esistenza in questo mondo.
Quei due mondi che sono uno la proiezione dell’altro e la realizzazione terrena dell’altro di
cui già ci aveva fatto cenno.

O dear Spirit half-lost


In thine own shadow and this fleshly sign
That thou art thou—who wailest being born
And banish’d into mystery, and the pain
Of this divisible-indivisible world
Among the numerable-innumerable
Sun, sun, and sun, thro’ finite-infinite space
In finite-infinite Time—our mortal veil
Altra sequenza di immagini apparentemente semplice nella scelta lessicale ma ancora una
volta articolata e complessa nel suo significato.
Questo spirito, che è lo spirito della creatura neonata, che si perde nella propria ombra e nei
propri segni materiali di carne (perché non è più ombra ma è divenuta creatura).
Divisibile-non divisibile; numerabile-non numerabile; finito-infinito: sono termini che da un
punto di vista semantico sono antitetici. Questo tipo di divisione, che non è antitesi ma
complementarietà fa riferimento ai due mondi che sono uno la continuità dell’altro. Quindi il
mondo è divisibile nel senso che è il mondo della realtà che quindi può essere quantificato ma
è indivisibile nella sua essenza più profonda. È numerabile perché il mondo è quantitativo,
ma al contempo non numerabile perché la sua dimensione assoluta è infinita. Poi questi soli,
cioè corpi celesti, che si trovano in spazio finito e infinito e in tempo finito e infinito:
dimensione temporale che per esperienza siamo abituati a misurare e invece la sua
diemnsione assoluta e trascendente che è infinita. Lo stesso dicasi per lo spazio e per il
tempo.
Velo mortale: ciò che copre l’essenza più profonda

And shatter’d phantom of that infinite One,


parvenza frammentata di quell’infinito Uno, che ci riporta quasi circolarmente all’inizio di
questa strofa. invece è infinito e non corre il rischio di finire nel finite, del numerable e del
divisible.

Questi sono concetti alti, astratti, filosofici che il poeta traduce in immagini attrverso il suo
linguaggio, pur non articolando teorie filosofiche.

Who made thee unconceivably Thyself


Out of His whole World-self and all in all
Ogni singola creatura è unica e irripetibile. Siamo davanti ad immagini di natura filosofica.
Live thou! and of the grain and husk, the grape
And ivy-berry, choose; and still depart
From death to death thro’ life and life, and find
Nearer and ever nearer Him, who wrought
Not Matter, nor the finite-infinite,
But this main-miracle, that thou art thou,
With power on thine own act and on the world.
Una sintesi finale ancora una volta di questa immagine di creazione, quell’infinite one, che
dal suo intero mondo e che per tutto ti ha creato.
Poi immagini dalla realtà concreta: grano, guscio, bacche di edera. Possono anche essere
intese in modo simbolico soprattutto il grape e il grano (simboli religiosi per eccellenza).
Viaggio: continuo muoversi e avanzare da questi due estremi antitetici, fino a trovarti
nuovamente con lui che ha elaborato te che sei un profondo miracolo. Si ritorna ancora alla
creazione di quella piccola ma infinita creatura, che hai il potere sui tuoi atti e sul mondo
(immagine di natura filosofica)

Poesia che diventa più ardua nel finale: la seconda e la terza parte si misurano con concetti
più profondi che bisogna sciogliere per arrivare alla riflessione stessa del poeta su un evento
così naturale ma che implica anche concetti di natura religiosa e filosofica per nulla scontati.

As when with downcast eyes (1832)


È un sonetto perchè costituito da 14 versi, divisi in ottave e sestina a finale. È un genere che
ha attraversato la poesia nel corso dei secoli, ha attraversato tutte le principali letterature
europee e dimostra di essere ancora attuale in epoca vittoriana.
Non ha titolo e prende il titolo dal primo verso.
Nella prima ottava abbiamo il tema del sonetto, la sestina finale sarà la risoluzione. È un
sonetto estremamente interiore, meditativo e riflessivo. In tutta la storia della letteratura il
tema principe del sonetto è stato sempre l’amore, rimanendo la tematica più frequente. In
questo caso non possiamo definirlo totalmente di tema amoroso, ma di un tema che si
avvicina molto, tema che ci verrà chiarito nella sestina del sonetto.

Primi quattro versi: “we” è un collettivo che ci accomuna tutti quanti. Quando riflettiamo ad
occhi bassi entriamo in una condizione mentale di day-dreaming (sognare ad occhi aperti).
Stiamo rientrando in una dimensione più profonda di noi stessi, si capisce che è una
condizione di profonda intimità con se stessi, di profonda riflessione che ci porta nel finite
infinite time e space.
Seconda strofa: si parte da una condizione di riflessione interiore, si viene “risvegliati” da
eventi normalissimi, da azioni quotidiane, ma questo ci fa riflettere e ci trasporta ancora una
volta in una dimensione spazio-temporale (when, where) che non riusciamo a definire
esattamente; esperienza che in psicologia si chiama dejavú
Terza strofa: as when… so when concatenazione tra l’ottava e la sestina. Aggiunge un
“friend” perché in questo momento si sta rivolgendo a qualcuno. Se due specchi si mettono di
fronte riflettono la propria immagine infinite volte, se mettiamo qualcosa sarà quell’oggetto
che verrà moltiplicato.
Ultima strofa: sebbene non sapessi in quale tempo o in quale luogo (non fa altro che ripetere I
know not where or when, qui abbiamo i sostantivi corrispondenti), mi sembrava di averti
incontrato spesso e ciascuno di noi vive nella mente e nelle parole dell’altro.
Quindi il contenuto di questo dejavu introdotto dalla prima quartina, ulteriormente sviluppato
dalla seconda, viene esemplificato nella sestina finale. Condizione di stato meditabondo e
riflessivo, ritorno apparente in una vita precedente o in qualche sogno confuso ad occhi aperti
in stato di similitudine o analogia mistica (quindi al di fuori dell’esperienza concreta,
consueta, quotidinana che siamo soliti conoscere), poi evento quotidiano che non fa altro che
accrescere ancora di più questa condizione di mystical similitude, al punto che ci fa dire
“tutto questo è già accaduto, non so come, dove o quando”. Poi il dato esperienziale reale
sperimentato dal poeta, mentre prima era tutti noi poi diventa individuale (I looked upon your
face), i pensieri pensieri non possono rispondersi, ma possono comunicare oltre le parole tra
due persone. Poi metafora come due specchi che si riflettono l’uno nell’altro. Poi il non
riconoscere nella dimensione ordinaria dell’esperienza, dello spazio-tempo, quando però
sapere che in ogni caso che questo era già accaduto e che ciascuno viveva nella mente e nelle
parole dell’altro: atmosfera magica e mistica, è un’esperienza che va al di là dell’esperienza
quotidiana dei rapporti tra le persone, ma che ci dice dell’esistenza di una realtà più profonda.
In questo caso il tema è il sostantivo astratto che deriva dal termine “amore” (tema principale
dei sonetti), cioè amicizia. È un sonetto risalente al 1832, anno della scomparsa di Alham.
Inno all’amicizia che va al di là di quelle che sono le modalità consuetudinarie di questo
sentimento ma che ci disvela quali profonde ed inimmaginabili radici possa avere questo
sentimento che unisce due esseri umani.

29.03
I tre maggiori vittoriani sono: Lord Teninson, Robert Browning e Matthew Arnold.

Matthew Arnold è un poeta profondamente meditativo, le sue riflessioni si incentrano


soprattutto sull’essenza della vita umana, sul nostro destino, sulle aspirazioni, desideri,
riflessioni più profonde.
È un poeta che anticipa già le tematiche che sarebbero poi state tipiche della letteratura del
900: tema della solitudine, dell’incomunicabilità tra gli esseri umani e di tutta l’angoscia che
tale percezione non può che portare nell’animo umano. Sente profondamente un grande
desiderio di unione e scambio di sentimenti profondi con i suoi simili, ma al contempo è
profondamente consapevole di quanto i sentimenti e le passioni possono essere illusorie ed
ingannevoli.
Da un punto di vista formale è un poeta estremamente rigoroso e classico, animanto ad un
grande rigore etico, da un linguaggio oggettivo: la forma e la sostanza della poesia di Arnold
si contrappongono al soggettivismo, all’individualismo e quasi a quel senso di anarchismo
che poteva aver caratterizzato certa poesia romantica. Al contempo, in rapporto all’epoca in
cui si trova a vivere (cioè al vittorianesimo), si pone in profonda antitesi con l’indifferenza,
l’agnosticismo, il materialismo e l’utilitarismo che caratterizzano almeno da un punto di vista
negativo, vari momenti e vari aspetti culturali dell’epoca vittoriana. Per lui la poesia rimane
comunque, nonostante sia una forma di espressione minoritaria e sofferente dal punto di vista
della frequenza di lettura, una delle forme di espressione più alte, quindi non rinuncia a
praticarla e a trasmettere questo suo pensiero di ispirazione classica ai suoi lettori. È
consapevole del momento di crisi della sua forma espressiva, tuttavia ne riafferma fortemente
il valore etico e profetico, in un’epoca in cui la fede religiosa veniva messa fortemente in
dubbio (teoria evoluzionistica, scoperte scientifiche), Arnold ribadisce che la poesia è una
specie di “nuova religione” ed ha una funzione terapeutica, nel senso proprio di aiutare a
superare questi momenti critici dell’interiorità umana. Ha anche una funzione morale ed etica
in quanto insegna a vivere una vita seria, rigorosa in rapporto con i propri simili, ed anche
una funzione quasi profetica nel senso che anticipa quelli che già si mannifestavano essere i
nodi critici dell’etica, della filosofia, del pensiero della morale e del costume vittoriani.
Ha una profonda formazione classica quindi si rifà agli ideali classici della poesia come
magistra vitæ, cioè come dimensione che insegna il vivere e lo insegna nella maniera più alta.
Il linguaggio è generalmente un linguaggio classico, le forme metriche sono quelle
tradizionali, tuttavia senza essere mai incompresiibile pur utilizzando un linguaggio alto.

Lines Written in Kensington Gardens (1852)


Registra un momento particolarmente privilegiato e raro nell’esistenza quotidiana di
solitudine, di isolamento nella natura. Si trova in un luogo che potremmo definire idilliaco,
caratterizzato dall’atmosfera panica. Pan: divinità dei boschi, delle selve, dei prati e delle
radure, una creatura parte uomo e parte animale e che rappresenta l’unione con la natura.

In this lone, open glade I lie,


Screened by deep boughs on either hand;
And at its end, to stay the eye,
Those black-crowned, red-boled pine-trees stand!

Birds here make song, each bird has his,


Across the girdling city’s hum.
How green under the boughs it is!
How thick the tremulous sheep-cries come!

Sometimes a child will cross the glade


To take his nurse his broken toy;
Sometimes a thrush flit overhead
Deep in her unknown day’s employ.
In questa valletta solitaria e aperta, sta disteso. Abbiamo subito questa descrizione di vita
naturale, di alberi, di questa valle, di fiori, uccelli, greggi e bambini. E per culminare questo
quadretto idilliaco agreste, un bambino. Quindi vediamo pini, uccelli che cantano, verde sotto
i rami belato delle pecore e bambino che corre attraverso la valletta. C’è una specie di climax
che parte da immagini naturali in particolare di animali che culmina con l’immagine del
bambino, sono tutte in sintonia e proiettate in una dimensione di vita nella natura. Quindi, la
prima esperienza registrata dal poeta è quella di una tranquillità agreste, panica, attraverso il
mormorio che la circonda e che proviene dalla città.

Here at my feet what wonders pass,


What endless, active life is here!
What blowing daisies, fragrant grass!
An air-stirred forest, fresh and clear.
Un’altra serie di immagini e percezioni che ribadiscono e rafforzano quel contesto idilliaco
ed agreste di pace prima identificato.

Scarce fresher is the mountain-sod


Where the tired angler lies, stretched out,
And, eased of basket and of rod,
Counts his day’s spoil, the spotted trout.
Paragone implicito con un pescatore che si trova sul terreno di montagna, dove tutta
l’atmosfera è a malapena più fresca e vivace di quella che sta vivendo il poeta in quel
momento. Immagine tipicamente idilliaca: il luogo idilliaco in cui si trova il poeta nelle prime
quattro strofe è non meno fresco, naturale, vivace del terreno di montagna in cui un pescatore
ormai stanco dalla sua giornata di pesca, disteso per terra (come il poeta), liberatosi del suo
cestello e canna da pesca, fa il conto delle prede della sua giornata. Come dire che un luogo
totalmente estraneo alla città (montagna) non è più gradevole di questa lone open grade in cui
il poeta si sta riposando. Ci proietta in un quadretto idilliaco che però non è più grazioso di
questa isola felice in cui mi trovo a vivere in questo momento, è come se spostasse la
macchina da presa dai Kensinton Gardens ad un altro luogo che sicuramente è sinonimo di
trionfo della natura, che però non è da meno a quello in cui si trova a vivere in questo
momento.

Quindi le prime strofe sono tutte focalizzate sulla serenità, tranquillità e atmosfera idilliaca in
cui si trova a riposare.

In the huge world, which roars hard by,


Be others happy if they can!
But in my helpless cradle I
Was breathed on by the rural Pan.
Abbiamo visto questa “isola felice” caratterizzata da elementi di vita naturale e poi intorno
abbiamo il mondo che viene definito ampio, esteso che ruggisce intorno riferendosi ad una
città molto più industrializzata di quanto lo sia oggi, quindi tutto quello che poteva costituire
il lavoro e tutti i suoni emessi, dovevano essere sicuramente non meno intensi di ciò che sono
oggi. Quindi si riferisce a tutto il fervore delle attività che si svolgevano, mondo tipico
dell’epoca vittoriana. Il verbo roar ci rimanda alle belve, molto lontano dal “tremolous sheep
cries”.
Quindi qui in questa piacevole e solitaria valletta i suoni dominanti sono quelli di una natura
mite, inoffensiva, fuori tutt’intorno c’è un mondo che “roars”. L’antitesi è più che mai chiara
e insabile.
Tra l’altro, da un punto di vista simbolico la pecora è simbolo di innocenza quindi innocenza
del luogo, delle creature che lo popolano e anche della creatura umana che lo popola. Per
contro, il vasto mondo che ruggisce tutto intorno.
Questo luogo è una specie di paradiso terrestre in miniatura circondato da un mondo che
ruggisce tutto intorno.
Culla: è in una condizione che è quasi quella di essere cullato in mezzo e dalla natura. Sente
il respiro della divinità del mondo pastorale Pan.
In questa quartina si stabilisce una differenza radicale: da una parte il mondo intorno che
ruggisce, e dall’altra lui che si sente cullato dalla natura.

I, on men’s impious uproar hurled,


Think often, as I hear them rave,
That peace has left the upper world
And now keeps only in the grave.
Qui ritorna la prima persona singolare (è il poeta che esprime le sue proprie riflessioni).
Riflessione profonda, malinconica e sconsolata: non è certo un pensiero sereno, prima la pace
era nel mondo in cui si viveva mentre ora la si trova solo nella morte.
Yet here is peace for ever new!
When I who watch them am away,
Still all things in this glade go through
The changes of their quiet day.
Se da un lato sembrerebbe che la pace abbia lasciato il mondo in cui viviamo e si fosse
rifugiata solamente nel luogo ultimo, tuttavia c’è ancora e la possiamo trovare nel mondo
della natura. È un concetto di eredità chiaramente romantica, perché se da un lato egli rifiuta
il soggettivismo, l’individualismo, l’emotività eccessiva dell’epoca romantica, dall’altro però
ne eredita totalmente il concetto di natura, che è la condizione esistenziale spirituale vera
irrinunciabile e insostituibile dell’essere umano.
Quando io che sto guardando la natura me ne sarò andato (sia nel senso che va via dalla
vallettà sia quando morirà), tutte le cose di questa valletta riprenderanno attraverso i
mutamenti del loro giorno tranquillo. Quiet: ha a che vedere con roars e roars up by. La
quiete tornerà quando quei suoni così brutali e violenti si saranno finalmente placati.

Then to their happy rest they pass!


The flowers upclose, the birds are fed,
The night comes down upon the grass,
The child sleeps warmly in his bed.
Ecco la descrizione di quello che accadrà e che accade tutti i giorni nel mondo: i fiori si
chiudono, gli uccelli si sono nutriti, la notte cala sull’erba, il bambino dorme nel letto.
Questa serie di immagini rappresentano il fluire naturale, ordinato e ciclico della vita perché
si capisce che ci stiamo avvicinando alla notte: abbiamo iniziato questa esperienza
privilegiata di quiete e tranquillità in un momento qualsiasi del giorno e ci stiamo
avvicinando alla quiete della notte. La notte è un momento privilegiato, momento tipicamente
romantico e in senso più lato è un momento tipicamente poetico. È una specie di notturno
(genere poetico, artistico) in miniatura che il poeta incastona nella sua meditazione in versi.

Calm soul of all things! make it mine


To feel, amid the city’s jar,
That there abides a peace of thine,
Man did not make, and cannot mar.
Giunti al termine dell’arco temporale del giorno, ecco che il poeta si rivolge a
qualcosa/qualcuno al di fuori. È un rivolgersi direttamente a una specie di interlocutore,
chiamando in causa l’anima di tutte le cose con un panismo e pantenteismo, una entità di cui
noi non abbiamo diretta conoscenza ma che pervade con il suo spirito tutto le cose (non dice
animali, creato, mondo), troviamo un concetto immanente del divino per cui è in tutte le cose.
Questa anima è in tutte le cose e tutte ne fanno parte nella loro relatività. Visione panica e
panenteistica nel mondo.
Rivolgendosi a questa anima mette in atto una specie di preghiera laica: chiede di fargli
percepire, in mezzo allo stridore della città, che qui risiede la tua pace, una pace che l’uomo
non ha creato (quindi non dipende da lui) e che non può guastare. Questa pace è sempre in
bilico (huge world roars, uproar, jar), ma al contempo l’uomo non l’ha fatta e non la può
guastare.

The will to neither strive nor cry,


The power to feel with others give!
Calm, calm me more! nor let me die
Before I have begun to live.
Che sia mio il desiderio di non contrapporsi e non alzare la voce.: termini che si coniugano
dal punto di vista semantico con il roar e uproar del mondo che circonda questa piccola isola
di pace, sono ancora sinonimi di violenza e prevaricazione.
A questa anima di tutte le cose il poeta chiede innanzitutto di comprendere che qui c’è una
pace che deriva da quest’anima, che l’uomo non ha creato e non potrà guastare perché viene
da un’altra dimensione. Poi ancora chiede fa che io senta il desiderio di non contrappormi
mai e di non alzare mai la voce, e dammi ancora la facoltà di sentire l’empatia,
compartecipazione, compassione. E ancora chiede di dargli sempre più calma, e infine come
sigillo finale di questa preghiera laica ma profondamente spirituale e religiosa, chiede di non
andarsene prima di aver cominciato a vivere.
A questo punto ci chiediamo, cos’è la vita e il vivere? Essere in pace con la natura e con gli
esseri umani (neither strive not cry).

Dover Beach
The sea is calm tonight.
The tide is full, the moon lies fair
Upon the straits;—on the French coast the light
Gleams and is gone; the cliffs of England stand,
Glimmering and vast, out in the tranquil bay.
Come to the window, sweet is the night-air!
L’esordio è una precisa descrizione del paesaggio. Incipit così preciso e dettagliato che ci da
alcune descrizioni del paesaggio e poi ci trasporta subito in un altro momento relazionale. Il
poeta ci fa subito vedere che siamo durante la notte e vicino al mare (abbiamo parlato prima
di notturno, quando tutto il mondo si placa, tutti gli elementi della natura tornano al riposo),
in più siamo in un preciso contesto geografico vicino al mare (genere marina). In questo
momento il poeto si sta rifacendo a due generi letterari, poetici e pittorici estremamente
precisi: il notturno e la marina al contempo. Siamo in alta marea e innalzando ancora lo
sguardo la luna scintilla sugli stretti (La Manica). Si avvicinano sempre più alla costa
dell’isola britannica, vedendo le scogliere.
Questo è lo scenario, poi si cambia prospettiva perché non si parla più di scenario ma adesso
si rivolge a qualcuna che è vicino a lui e ribadisce l’atmosfera abbastanza idilliaca del
momento.

Only, from the long line of spray


Where the sea meets the moon-blanched land,
Listen! you hear the grating roar
Of pebbles which the waves draw back, and fling,
At their return, up the high strand,
Begin, and cease, and then again begin,
With tremulous cadence slow, and bring
The eternal note of sadness in.
Mentre prima la prospettiva era fondamentalmente visiva, adesso diventa fondamentalmente
uditiva (verbo listen). E notiamo la sequenza di onomatopee dello sciaquio delle onde sulla
spiaggia che spingono i ciottoli in alto e poi ritirandosi li portano indietro e il poeta ce lo
rende molto bene con i suoni della sua lingua.
Dalla descrizione precisa del suono si passa ad una dimensione diversa di notturno idilliaco e
dolce a una serie di suoni precisi onomatopeici e fedeli alla realtà che però ci trasportano in
un’altra dimensione, in quella astratta del pensiero e della riflessione.
Sophocles long ago
Heard it on the Aegean, and it brought
Into his mind the turbid ebb and flow
Of human misery; we
Find also in the sound a thought,
Hearing it by this distant northern sea.
Tragediografo della letteratura greca (Edipo Re). Sofocle aveva sentito la stessa cosa sul mar
Egeo. Ancora una volta dalla percezione uditiva del suono del mare, alla trasposizione in
chiave astratta che gli riportò alla mente il turbolento fluire e rifluire che è la miseria umana
(Edipo Re è proprio l’alternarsi più estremo di grandissima fama e di massima tragedia per il
protagonista).
Adesso ci svela qual è il meccanismo: attraverso la percezione del senso dell’udito, ci
eleviamo di dimensione astratta, cioè quella del pensiero, della riflessione. Non c’è differenza
tra il Mar Egeo e questo remoto mare del nord. Il suono e il pensiero sono esattamente gli
stessi.

The sea of faith


Was once, too, at the full, and round earth’s shore
Lay like the folds of a bright girdle furled.
Abbiamo un mare, che è quello che vediamo/sentiamo davanti a noi in questa notte, abbiamo
un mare remoto che è l’Egeo di 2500 anni fa ascoltato da Sofocle e che portò a quel grande
autore certe riflessioni. Poi abbiamo un terzo tipo metaforico, che è definito “the sea of faith”,
cioè il mare della fede che ci riporta alle problematiche del progressivo calo della fede nei
testi rivelati tipico dell’età vittoriana di fronte invece alla dimostrazione scientifica che mette
in dubbio gli assunti principali della fede, soprattutto del cristianesimo che aveva
accompagnato l’umanità da più di 2000 anni.,

But now I only hear


Its melancholy, long, withdrawing roar,
Retreating, to the breath
Of the night-wind, down the vast edges drear
And naked shingles of the world.
Una volta era alla sua dimensione massima (at the full) e circondava tutte le spiagge della
Terra come una cintura brillante. Was once… but now: ma ora sento soltanto il suo “roar”
(non è più il ruggito di Kensington Garden), ma è il suo sciaquio melanconico, lento e che si
sta ritirando al respiro del vento notturno letteralmente, ma in realtà per le ragioni filosofiche,
scientifiche e religiose che animano il cambiamento del mondo nell’epoca vittoriana. lungo
questi confini che creano paura e lungo i ciottoli nudi del mondo: cioè è diventata una
spiaggia (metafora) in cui la marea della fede si sta progressivamente ritirando, quindi
metafora con la bassa marea.
Mare della fede rappresenta il momento di passaggio estremamente critico che lascia un
senso di smarrimento e impotenza nell’uomo dell’epoca vittoriana il quale di fronte ai
risultati della nuove scoperte scientifiche e formulazioni filosofiche si rende conto che i
racconti della fede tradizionale dell’occidente sono anch’essi metaforicamente come una
marea che sta calando e che lascia desolate e spoglie le sponde del mondo, come un’ennesima
immagine del mare che si sta ritirando e che non lascia proprio nulla sulle rive di questo
mondo.

Ah, love, let us be true


To one another! for the world, which seems
To lie before us like a land of dreams,
So various, so beautiful, so new,
Hath really neither joy, nor love, nor light,
Nor certitude, nor peace, nor help for pain;
And we are here as on a darkling plain
Swept with confused alarms of struggle and flight,
Where ignorant armies clash by night.
Si apre con una parola chiave: visto e potuto sperimentare l’impossibilità di trovare un canale
di comunicazione con i propri simili, vista la eterma problematicità dell’esistenza umana già
rappresentata dalla proiezione storica di Sofocle, vista l’incapacità di dare risposte della fede
tradizionale, non rimane che il tentativo di riunificarsi ed essere vicini tra due essere umani.
Cellula minima da cui può forse ripartire l’esistenza umana da un punto di vista interiore,
della sopravvivenza dello spirito.
A fronte di tre termini positivi (various, beautiful e new) la sequenza negativa è raddoppiata
che ci lascia alquanto sconfortati perché a fronte di qualche barlume di positività, ve ne sono
altri molto più pesanti che ci danno la misura del’incertezza e del dolore della vita umana.
L’immagine finale (tratta da eventi probabilmente accaduti) si focalizza sulla solitudine e sul
buio della condizione umana con immagine negativa, poco confortante: ci troviamo su
pianure che si stanno oscurando, ancora una volta il dato geografico è metafora della
condizione esistenziale dell’essere umano. Oltre al buio incombente di questo momento
storico particolare dell’epoca vittoriana nella considerazione che ne ha Matthew Arnold,
l’immagine è ulteriormente caricata con queste immagini di conflitto, fuga e contrasto tra
esseri umani nel mondo in cui si trovano a vivere, tra gli esseri umani e la condizione in
assoluto della loro esistenza.
Alla fine metafora guerresca, armate che non sanno cosa fare si scontrano nella notte.
L’ultima parola, che è quella che da la chiave interpretativa di tutto il testo, è ancora una
volta un termina di per sé neutro ma in questa immagine finale è più che mai evidente la
valenza negativa di oscurità atmosferica e spirituale e di cecità in cui si trova l’essere umano
metaforizzato da queste “ignorant armies”.

Testo che partendo da un momento apparentemente sereno o quantomeno neutro, si va


incupendo sempre di più non solo e non tanto in senso letterale per il mutare delle condizioni
della giornata e lo scorrere del tempo che ci porta verso la notte, ma soprattutto per le
immagini metaforiche cariche di valenza negativa che ne rappresentano il finale.

5.04

Abbiamo visto che le tematiche fondamentali della poesia di Arnold non possono essere
serene o rasserenanti. La ragioni sono da ricercarsi fondamentalmente in due ordini di motivi:

- Da un lato l’aspetto biografico e la storia del personaggio, che per altro non è un poeta
emarginato, incompreso nella sua epoca ma che comunque si pone in una posizione
problematica
- Dall’altra, elemento ancora più incisivo e che determina la visione del mondo di
Arnold, la fase critica di passaggio di un momento storico che apparentemente parte
in maniera rassicurante e grandiosa per l’impero britannico, dall’altro lato invece i
grandi cambiamenti soprattutto di natura scientifica e filosofica che intercorrono a
cavallo della metà dell’800 e che mettono in discussione tutte le apparenti certezze e
la fede religiosa, fiducia in un mondo saldo e immutabile e che avevano caratterizzato
la cultura di tutto il mondo occidentale fino a quel momento.

Sommando questi due fattori è comprensibile perché la visione di Arnold non è delle più
ottimistiche, delle più rasserenate e delle più incoraggianti per l’autore e per i suoi lettori. È
un poeta molto problematico come lo saranno altri romanzieri, primo fa tutti Thomas Hardy.

The Buried Life


Profonda meditazione sull’essenza dell’esistenza umana, sulle verità più profonde che
scorrono dentro di noi. La poesia si articola sulla metafora di un fiume sotterraneo che scorre
dentro di noi e che rappresenta l’aspetto più profondo della nostra esistenza e del nostro
sentire.
Rappresenta la sintesi concettuale di immagini e riflessioni che possiamo definire filosofiche
di Matthew Arnold e soprattutto dei due testi già visti. Lines Written in Kensigton Gardens
appare un testo ancora sereno e che offre delle possibilità di soluzione positiva al dramma
dell’esistenza del dolore. A Dover Beach rappresenta un testo già più problematico e meno
ottimista e rasserenante rispetto al precedente. The Buried Life è il più pessimista dei testi che
possiamo esaminare.

Light flows our war of mocking words, and yet,


Behold, with tears mine eyes are wet!
I feel a nameless sadness o’er me roll.
Yes, yes, we know that we can jest,
We know, we know that we can smile!
But there’s a something in this breast,
To which thy light words bring no rest,
And thy gay smiles no anodyne.
Give me thy hand, and hush awhile,
And turn those limpid eyes on mine,
And let me read there, love, thy inmost soul.
Immagine di guerra di parole che si ingannano e il loro effetto non solo sull’anima del poeta
ma proprio sul suo modo di vivere e di porsi. Immagine di manifestazione di tristezza: sente
una tristezza che non si può definire, è il concetto tipico di melancolia o melanconia, ovvero
quella condizione di dolore spirituale, di tristezza e abbandono spirituale che è quasi
impossibile da definire ma che pervade nei momenti più triste dell’esistenza umana.
Poi apparentemente un’immagine positiva e subito l’avversativa: c’è qualcosa dentro di lui (e
per estensione dentro ogni essere umano) a cui anche le parole più rasserenanti non sono in
grado di offrire conforto e i sorrisi anche più lieti non sono in grado di offrire una specie di
conforto, di alleviamento del dolore.
Ricordiamo il finale di Dover Beach, dove c’era questo appello diretto all’altra persona,
chiaramente la sua innamorata, di cercare questa unione almento tra due persone. Si rivolge
alla persona amata cercandone lo sguardo, poi lo stringersi la mano come manifestazione
sensibile dell’unione tra due persone.

Alas, is even love too weak


To unlock the heart, and let it speak?
Are even lovers powerless to reveal
To one another what indeed they feel?
I knew the mass of men concealed
Their thoughts, for fear that if revealed
They would by other men be met
With blank indifference, or with blame reproved; I knew they lived and moved
Tricked in disguises, alien to the rest
Of men, and alien to themselves—and yet
The same heart beats in every human breast!
Domanda: da un lato l’appello a questo sentimento di unione fortissima che si chiama amore,
dall’altro la domanda se anche l’amore sia così debole non perché l’altra persona non lo ami
o perché lui non ami l’altra persona, ma perché i sentimenti umani rischiano di essere
anch’essi limitati.
Dall’amore come sostantivo che indica un sentimento e un legame positivo, a coloro che
l’amore si scambiano. Il poeta dubita non tanto della fedeltà, ma quanto proprio del potere
unificante del sentimento che li unisce.
La proiezione si amplia dalla condizione tra i due amanti, sicuramente un legame ma sempre
minacciato dall’impossibilità del dirsi tutto ciò che i due vogliono dirsi e comunicarsi, tutto
ciò che il loro cuore sente ad una dimensione più vasta (the mass of men, l’umanità) che
nascondono i loro sentimenti per timore di essere irrisi dagli altri o rimproverati e soprattutto
si trovano in questa condizione: ultime tre righe, alienati dal resto degli uomini e a se stessi.
Pur tuttavia, il cuore è lo stesso cuore (metaforicamente la sede, il veicolo dei sentimenti e
delle passioni soprattutto positive) pulsa in ogni cuore. Quindi quella strofa che era iniziata su
due domande sulla vera possibilità dell’amore e dei due innamorati si conclude con
un’esclamazione di incertezza. Le parole chiave sono la ripetizione dell’aggettivo “alien”,
alientati che ci indirizza verso una condizione esistenziale cioè l’alienazione. Matthew
Arnold è già precursore delle grandi problematiche che di li a pochi decenni sarebbero state
formulate in termini scientifici e avrebbero trovato grande rispondenza nella condizione
esistenziale dell’uomo.

But we, my love—doth a like spell benumb


Our hearts—our voices?—must we too be dumb?
Ah! well for us, if even we,
Even for a moment, can get free
Our heart, and have our lips unchained;
For that which seals them hath been deep-ordained!
Fate, which foresaw
How frivolous a baby man would be,
By what distractions he would be possessed,
How he would pour himself in every strife,
And well-nigh change his own identity;
That it might keep from his capricious play
His genuine self, and force him to obey
Even in his own despite his being’s law,
Bade through the deep recesses of our breast
The unregarded river of our life
Pursue with indiscernible flow its way;
And that we should not see
The buried stream, and seem to be
Eddying at large in blind uncertainty,
Though driving on with it eternally.
Torna ancora a quell’unità fondamentale tra due persone che si amano rivolgendosi alla
propria amata. Si apre con un’avversativa. C’è una specie di incantesimo che ci offusca i
cuori, ci zittisce le voci. Anche noi abbiamo essere muti? Anche in questo caso questa strofa
inizia con una domanda come già la precedente.
Perché non è possibile che anche per un solo istante possiamo liberare i nostri cuori ed
eliminare il silenzio dalle nostre labbra? (letteralmente dalle catene, metafora della
condizione che non permette di esprimere i propri sentimenti). Quindi quello che prima era
love e lovers ora diventa hearts e hearth e lips e voices, notiamo le coppie: cuore come sede
dei sentimenti e delle passioni, le voci e le labbra come espressione e veicolo per esprimere i
propri sentimenti. Il cuore sente, percepisce, ama, prova le proprie passioni. Le labbra e la
nostra voce le esprimono in maniera percepibile.
Ciò che le tiene sigillate è stato ordinato dal profondo, cioè l’incapacità di esprimere le
proprie passioni più precisamente l’amore che li unisce. Il fatto di trovarsi come gli uomini,
alienati dagli altri e addirittura da se stessi, tutto questo è stato ordinato fin dal profondo dei
tempi. Per capire cosa è accaduto pone la sua ipotesi alla condizione di alienazione
dell’essere umano: il fato è l’agente di questa condizione esistenziale umana. La concezione
religiosa di Arnold (mare della fede che si sta ritirando dalle coste del mondo), quindi non lo
nomina più con il termine tradizionale con cui i pensatori hanno definito colui che decide le
sorti e i destini dell’uomo, ma lo nomina con un termine più neutro, e considerando la
formazione classica greco/latina di Arnold, proprio con un termine classico. Non è stato il
creatore l’ente assoluto, ma nella concezione espressa in questo testo è appunto il destino e/o
il fato. Concezione parzialmente religiosa ma comunque abbastanza aliena alla tradizione
religiosa di tutto l’occidente e in senso più lato della cristianità.
Il destino ha deciso che l’uomo sarebbe stato un bambino frivolo e capriccioso, aveva
previsto come sarebbe stato posseduto da qualsiasi distrazione, come si sarebbe lasciato
trascinare da qualunque tipo di contrasto e come avrebbe rapidamente mutato la propria
identità, poiché il fato aveva compreso la mutevolezza, l’incoerenza, l’infantilismo
dell’essere umano. Per poter tener lontano il suo sepio autentico da ogni mutevole e
capriccioso gioco e al fine di poter riuscire a costrigerlo a obbedire alla legge del suo essere
nonostante se stesso (l’uomo è in contrasto con se stesso, è alieno a se stesso quindi non si
conosce, non conosce in profondità chi è veramente), ordinò che nelle profondità più
inesplorate del nostro petto, immagine metaforica, il fiume non sufficentemente considerato
della nostra vita, proseguisse la sua strada con un fluire che non può essere scorto e che noi
non potessimo vedere il flusso sepolto (perché è nascosto come un fiume carsico) e
sembrasse vagare al largo in un’incertezza cieca, sebbene continuando a muoversi secondo
questo corso incessantemente.
L’umanità è mutevole, incoerente, incapace di seguire un’etica ben precisa, infatti lo
definisce come “frivolous baby”, come il bambino che non ha ancora una linea di
comportamento, un’etica precisa perché si sta formando. Questo adulto che ci presenta
Arnold è ancora così, non sa vedere dentro se stesso (alien to themselves), l’uomo è alienato
anche da se stesso, quindi è più un pericolo che un bene per se stesso.
Questa profonda ricchezza che è la sua natura più profonda, è stata nascosta nei recessi del
nostro petto, metafora per le profondità più remote, inesplorate, inaccessibili del cuore
umano, dal destino affinchè questo tesoro non venisse ne danneggiato ne sprecato ne
incompreso. Qui scatta la metafora di un fiume: river e stream sono pressochè sinonimi, e
flow è comunque concettualmente fortemente connesso con river e stream. La nostra vita più
autentica viene veicolata dal poeta con l’immagine metaforica di un fiume che scorre
sotterranea.

È un testo più introspettivo perché parte da esperienze che tutti possiamo aver vissuto, ma
sono esperienze di tipo astratto.
But often, in the world’s most crowded streets,
But often, in the din of strife,
There rises an unspeakable desire
After the knowledge of our buried life;
A thirst to spend our fire and restless force
In tracking out our true, original course;
A longing to inquire
Into the mystery of this heart which beats
So wild, so deep in us, to know
Whence our lives come and where they go.
And many a man in his own breast then delves,
But deep enough, alas, none ever mines:
And we have been on many thousand lines,
And we have shown, on each, spirit and power;
But hardly have we, for one little hour,
Been on our own line, have we been ourselves;
Hardly had skill to utter one of all
The nameless feelings that course through our breast,
But they course on for ever unexpressed.
La strofa parte con due avversative identiche. L’immagine delle strade affollate ricorda
Kensington Gardens (huge world that roars) e lo stesso anche se non con la stessa
terminologia ma con un concetto analogo. Ecco che si palesa, anche se molto vagamente, un
desiderio indicibile (riporta alla incapacità del dire delle labbra che non possono dire la verità
del nostro io più profondo). Però c’è questo desiderio indicibile di conoscere la nostra vita
nascosta, segreta, non svelata. Il fuoco che ci anima e questa forza che non si stanca mai si
vogliono impiegare nel rintracciare il nostro corso (metafora del fiume) vero, autentico e
originale di questa stessa vita, cioè la sua direzione di cui solo in rari momenti comprendiamo
l’esistenza e cerchiamo di capire la direzione perché invece siamo costantemente distratti da
una serie di elementi che ci allontanano da quella vera dimensione.
Poi la domanda fondamentale: know ripete il sostantivo knowledge, quindi è comunque un
desiderio di conoscenza, di risalire all’origine di questo fiume che poi è la nostra vita e dove
questa ci porti. Questo tipo di domanda la possiamo definire “la” domanda.
Abbiamo questa intuizione (cercare di capire da dove veniamo e dove siamo diretti), come
metaforicamente il fiume che scorre nel più profondo del nostro essere. Poi
l’esemplificazione di questi concetti: più di un uomo si immerge nel proprio petto, ovvero
scruta nel più profondo di se stesso, ma nessuno scava fino in fondo.
Poi abbiamo le modalità di questo tentativo di entrare nel più profondo del nostro essere che
sono positive ma che non risolvono la domanda: autocommento ironico del poeta sul proprio
ruolo e sul ruolo dell’intellettuale, ci siamo soffermati su migliaia di versi o aver mostrato
l’un l’altro brillantezza di spirito e potenza, ma a malapena per un’ora abbiamo seguito la
nostra direzione, a malapena siamo stati noi stessi. Sta elencando alcuni esempi sicuramente
efficaci, ma non efficaci abbastanza per penetrare nel più profondo di noi stessi, e se anche
avessimo la capacità di esprimere una volta per tutte (voce e lips unchained) gli inesprimibili
sentimenti che si agitano nel nostro petto, essi comunque continuano a scorrere per sempre
inespressi o in maniera inesprimibile. C’è sempre questa dialettica irrisolta fra il cuore, la sua
capacità di penetrare in profondo innanzitutto di se stesso e poi la possibilità effettiva, verbale
di esprimere ciò che è stato percepito e intuito.

And long we try in vain to speak and act


Our hidden self, and what we say and do
Is eloquent, is well—but ’tis not true:
Sempre a proposito della capacità espressiva, si cerca invano di esprimere ed agire
coerentemente con il nostro io più nascosto e ciò che diciamo/facciamo è eloquente, bene ma
non è del tutto vero. Quindi la verità più profonda non è ancora stata raggiunta

Yet still, from time to time, vague and forlorn,


From the soul’s subterranean depth upborne
As from an infinitely distant land,
Come airs, and floating echoes, and convey
A melancholy into all our day.
Con una similitudine, come se provenisse da una terra infinitamente lontana, come se fosse
nato da una profondità sotterranea, ci colpiscono delle arie e degli echi che fluttuano e ci
recano melanconia per tutto il resto della nostra giornata. Melancholy era un termine
comparso all’inizio del testo, quindi ci ritroviamo ad aver intuito qualcosa, ad aver cercato
pur inadeguatamente di esprimerlo, ma ancora in quella condizione di melancholy che
contrassegna ed è imprescindibile dalla nostra condizione esistenziale.

Only—but this is rare—


When a belovéd hand is laid in ours,
When, jaded with the rush and glare
Of the interminable hours,
Our eyes can in another’s eyes read clear,
When our world-deafened ear
Is by the tones of a loved voice caressed—
A bolt is shot back somewhere in our breast,
And a lost pulse of feeling stirs again.
The eye sinks inward, and the heart lies plain,
And what we mean, we say, and what we would, we know.
Abbiamo un’asserzione positiva. Notiamo la condizione che si ripete dall’inizio: quando una
mano amata si stringe alla nostra, quando i nostri occhi possono leggere chiaramente negli
occhi di un altro (ricordiamo le immagini iniziali di stringersi la mano e guardarsi
profondamente negli occhi). Ecco che ora, a conclusione del testo ritornano le stesse
immagini, questa volta con un’accezione più positiva rispetto a quelle iniziali che non sono
state mai negative, ma qui si vanno definendo in maniera più positiva. Quando accade questo,
si agita in noi un sentimento, gli occhi sprofondano all’interno (guardiamo dentro noi stessi) e
il cuore si presenta semplice.
Finalmente possiamo dire ciò che intendiamo, e finalmente possiamo conoscere ciò che
vorremmo.

A man becomes aware of his life’s flow,


And hears its winding murmur; and he sees
The meadows where it glides, the sun, the breeze.
Si ritorna alla metafora del fiume che scorre, diventiamo finalmente consapevoli del fluire
della nostra vita, sentiamo il suo mormorio serpeggiante e vediamo finalmente anche dove
scorre, i prati, il sole e la brezza: immagine è un quadretto naturalistico che per un raro,
privilegiato e unico istante si tinge quasi di idillio.

And there arrives a lull in the hot race


Wherein he doth for ever chase
That flying and elusive shadow, Rest.
An air of coolness plays upon his face,
And an unwonted calm pervades his breast.
And then he thinks he knows
The Hills where his life rose,
And the Sea where it goes.
Ci riporta ancora una volta al testo di Kensington Gardens (huge world that roars nearby) e la
fretta degli uomini che si affannano in quel mondo così violento e rumoroso, dove cerchiamo
per sempre quell’ombra fuggevole ed elusiva, definita con la lettera maiuscola il Riposo
(condizione di quiete e tranquillità spirituale).
Ultime immagini rasserenanti: notiamo questa calm che si riporta a Kensington Gardens dove
chiedeva la quiete allo spirito che pervade tutte le cose. Ora in un certo senso, anche se in
maniera estremamente problematica e complessa, alla fine di questo lungo corso
problematico e nascosto, spesso incomprensibile e raramente percepibile del fiume della
nostra vita, questa calma sembra apparire.
Ultime tre righe: risposta alla domanda da dove vengono le nostre vite e verso dove sono
dirette. Alla fine, pensa di sapere (enigma in parte risolto in parte ancora insoluto) le alture da
cui la sua vita ha avuto inizio e il mare in cui si va a gettare la nostra vita. Vediamo che
l’immagine con cui si era aperta la lunga meditazione in versi dello scambiarsi una stretta di
mano, del guardarsi negli occhi tra due persone ritornano alla fine a sugellare un esito
positivo alla lunga ricerca, a sugellare per lo meno quello che l’uomo (che era un frivolous
baby) pensa forse di conoscere, cioè l’origine della sua vita e la fine della vita stessa.

12.04
con le poesie filosofiche di Matthew Arnold abbiamo sottolineato che rappresentano già un
momento critico e di problematicità nei confronti della filosofia e scienza dell’epoca a lui
contemporanea. Non è una poesia encomiastica o celebrativa dell’epoca vittoriana, bensì che
mette in luce i contrasti e gli aspetti problematici rispetto ad un modo di vivere e vedere
tradizionali e classici. Abbiamo sottolineato le prime sottolineature marcate del tema
dell’incomunicabilità e della problematicità del vivere insieme degli esseri umani: Arnold
sottolinea l’essenzialità della coppia e del tentativo di comunicare tantomeno e almeno tra
due persone che si vogliono bene e che per altro comprendono la condizione tipica dell’essere
umano, cioè di solitudine e talvolta anche di incapacità di comunicare (ricordiamo il gesto di
guardarsi negli occhi, il prendersi per mano e il cercare simbolicamente di aprire il proprio
cuore all’altra persona).
Meredith ci porta un passo avanti rispetto ad Arnold, nel senso che nella sua raccolta
intitolata Modern Love e risalente al 1862, mette il dito nella piaga di una condizione ancora
più problematica e negativa dell’esistere umano e dei rapporti tra gli esseri umani, ovvero del
deterioramento, della corruzione e della conclusione dell’amore. Quindi questo Modern Love
è già di per sé un titolo ironico, è una sequenza poetica che ha un andamento narrativo
costituita da 50 poemetti i quali raccontano una storia d’amore che però non ha un esito
positivo, ma al contrario un esito negativo nella maniera più estrema di questa negatività. La
protagonista femminile che nella fiction poetica è la moglie del protagonista, dopo averlo
tradito con un altro, decide di farla finita e si suicida, anche se noi non vediamo l’atto finale
di questa storia.
Quella che avrebbe potuto essere tradizionalmente una storia d’amore che si articola e si
sviluppa attraverso le varie fasi di questo sentimento, si rovescia in una storia negativa
segnata da rari momenti felici ma soprattutto ben più frequenti momenti negativi, frustranti e
per certi aspetti contrassegnati dalla passione negativa, definibile come un rapporto teso,
problematico, polemico e per nulla costruttivo tra i due protagonisti. Tra loro si pone, anche
se pressochè invisibile e senza mai “il diritto di parola”, l’amante (colui che la sottrae al suo
legittimo consorte).
La struttura formale di questi poems è apparentemente quella del sonetto, con una differenza:
questi poemetti consistono di 16 versi anziché i tradizionali 14 versi che da sempre hanno
costituito la caratteristica irripetibile del sonetto. Tradizionalmente il tema principale del
sonetto è proprio il tema amoroso. Cosa si verifica se la forma utilizzata tradizionalmente per
cantare l’amore tra due esseri umani viene utilizzata per cantare la versione negativa
dell’amore? In più questi sonetti di Meredith hanno una peculiarità: sono più lunghi di due
versi rispetto al sonetto tradizionalmente codificato da sempre costituito da 14 versi suddivisi
in un’ottava e in una sestina o in due quartine e due terzine o in tre quartine e un couplet
finale.
L’effetto di una sequenza di sonetti che si intitolano Modern Love e che registrano il corso
negativo di questo sentimento che da sempre caratterizza il sonetto e il rapporto tra un uomo
e una donna e cosa si ricaverà dal fatto che questi sonetti si inseriscono in una tradizione ma
al contempo la alterano non solo per il corso della vicenda in essi trattato ma anche per il
fatto che esorbitano di due versi la forma tradizionale. Cosa vuole comunicarci il poeta
utilizzando la forma poetica per rappresentare una forma di non-amore? Sta utilizzando una
forma di satira, definito nel corso dei secoli “il genere dell’amante deluso”.
Naturalmente, il genere dell’amante deluso non vale solamente in un rapporto amoroso tra un
uomo e una donna. Sappiamo che fin dalla letteratura classica greca ma soprattutto latina, se
pensiamo ad Orazio (maestro acuto della satira) le sue satire non erano solo indirizzate alla
corruzione di un rapporto amoroso, ma soprattutto destinate o a personaggi illustri o a
situazioni sociali e politiche ingiuste, la satira rivolta al mal costume della società per mettere
allo scoperto una serie di errori voluti dalla società, dai singoli uomini, da chi governa, ma
sempre con un fine ben preciso: si fa satira su un governante, su un personaggio di molti
mezzi economici che si comporta in determinata maniera con una funzione didattica, di
correzione dei vari malcostumi siano essi individuali o collettivi.
Alla luce di ciò, l’effetto di Modern Love è anche di satira, ma anche una rappresentazione
autoironica del proprio sentimento riconoscendo (infatti ci sono spie ben precise) anche se
non esplicitamente, qualche errore da parte di se stesso. Tenendo presente il periodo storico e
il contesto sociale (1862), l’ironia e autoironia non soltanto a se stesso ma anche ad una
dimensione più vasta: coniugando ironia e satira nei confronti di se stesso e della propria
compagna e in una prospettiva più vasta nei confronti della società, andiamo a mirare verso
quella serie di ipocrisie, concetti comuni condivisi ma in realtà non vissuti autenticamente
che caratterizzano l’epoca vittoriana. La famiglia ha un suo valore positivo (famiglia reale, la
fedeltà di Vittoria non viene messa in dubbio), ma come ogni realtà umana c’è anche l’altro
lato: quella che potrebbe essere un’istituzione seria, costruttiva, positiva può allo stesso
tempo tradursi nel suo esatto contrario. Quindi la rispettabilità diventa soltanto ipocrisia, la
fedeltà diventa tradimento nascosto e celato e i buoni sentimenti si trasformano invece nel
loro contrario. Queste sono le linee portanti della raccolta Modern Love, nonché l’ironia
nemmeno tanto implicita dell’aggettivo che caratterizza il titolo, come a dire ecco quali sono
gli effetti della modernità su uno dei sentimenti più antichi che da sempre ha accompagnato
l’esistenza dell’uomo.
A proposito dell’autoironia della voce parlante e la figura femminile: possiamo incontrare (a
causa di un modo di pensare tipico dell’epoca) una certa dose di misoginia. Chi tradisce è la
moglie, quindi la colpa sembra stare tutta e soltanto da una parte e poi si incontra
un’espressione che esplicita chiaramente il senso di superiorità e possesso dell’uomo nei
confronti della donna. Questo per sottolineare che è un poeta che appartiene alla propria
epoca, epoca in cui ancora il ruolo maschile è predominante nei confronti di quello
femminile, quindi questo modo di pensare condiviso dell’epoca si proietta anche nella fiction
di questa sequenza di poemetti.
Questi 50 poemetti alternano la narrazione in prima persona con la narrazione in terza
persona (Meredith è anche romanziere, quindi conosce gli strumenti della propria arte
sapendo alternare il ruolo di un narratore in terza persona con il ruolo di narratore in prima
persona che si identifica con il protagonista). È come se scrivesse un romanzo nel quale
alcune parti sono raccontate direttamente dal protagonista, mentre altre da un narratore
pressochè onniscente. Quindi, applica questa alternanza di tecnica narrativa ad una
“narrazione” in poesia.

I poemetto
By this he knew she wept with waking eyes:
That, at his hand's light quiver by her head,
The strange low sobs that shook their common bed
Were called into her with a sharp surprise,
And strangely mute, like little gasping snakes,
Dreadfully venomous to him. She lay
Stone-still, and the long darkness flowed away
With muffled pulses. Then, as midnight makes
Her giant heart of Memory and Tears
Drink the pale drug of silence, and so beat
Sleep's heavy measure, they from head to feet
Were moveless, looking through their dead black years,
By vain regret scrawled over the blank wall.
Like sculptured effigies they might be seen
Upon their marriage-tomb, the sword between;
Each wishing for the sword that severs all.
È ambientato in un preciso luogo e un preciso momento: si trovano nella camera da letto, nel
cuore della notte. È il luogo principe per l’unione tra due persone che si amano. Invece, il
risultato di questo primo poemetto introduttivo è: lei sta piangendo e lo si capisce perché il
suo capo trema lievemente, poi sentiamo i singhiozzi di lei che piange, poi troviamo una
similitudine che scatta al quinto verso: questo sussultare di lei che piange viene paragonato
attraverso la figura della similitudine a dei piccoli serpenti affannati che assortiscono un
effetto venefico su di lui. Non perché lo mordono, ma perché gli avvelenano il cuore, i
sentimenti, la passione, tutto ciò che avrebbe potuto unirli.
Poi giunge la mezzanotte, il momento fondamentale dell’unione intima tra due persone e il
cuore di lei viene definito “giant”, cioè gonfio di memoria e di lacrime. Le memorie si
riferiscono ad un tempo passato e le lacrime che veicolano lo stato d’animo della notte.
Arrivata la mezzanotte, si utilizza una metafora per indicare la condizione della donna da
quel momento il poi: dopo tutto questo dolore che l’hanno scossa dal momento in cui è
iniziata questa prima scena, lei si addormenta. Non si addormenta perché i due sono stati
felici insieme, ma perché ha il cuore gonfi.
Si trovano completamente immobili, ricordano la loro vita: è come se proiettassero su questo
muro vuoto le scene della loro vita ripercorrendole attraverso la memoria.
Gli ultimi tre versi si aprono con una similitudine: sono paragonate ai monumenti funebri di
coppia scolpiti nel corso dei secoli, in genere sul letto della coppia stessa e talvolta,
soprattutto in epoca etrusca, con espressione serena, ma comunque sempre una coppia unita
anche nella morte. Tra i due troviamo una spada, in epoca antica soprattutto medioevale
aveva il significato di un divieto morale teso a mantenere la castità. Quindi, i due sono
innamorati ma non possono violare questa condizione di castità, quindi la spada ha una
valenza da un punto di vista morale positivo perché li tiene divisi. Invece, per i due nostri
“modern lovers”, considerando il significato dell’ultimo verso prende il significato di
separazione: gli amanti del medioevo avrebbero desiderato che la spada non ci fosse. I non
amanti moderni dei quali nulla interessa l’unione fisica tra loro due, la spada invece la
desiderano perché divida tutto. È chiara l’ironia: c’è chi la deve sopportare perché quella era
la morale dell’epoca e chi invece la desidera affinchè tronchi definitivamente il loro legame.
Vediamo quindi una serie di topoi (notte, camera nunziale, unione tra i due, culmine della
notte, modo di esprimere i sentimenti) scardinati. Vediamo che non c’è nessuna parola tra i
due, il silenzio di entrambi significa l’incomunicabilità, non hanno nulla da dirsi e si
chiudono in due silenzi. L’unica cosa che desiderano è un qualcosa (simbolicamente una
spada) che divida e chiuda definitivamente il tutto.

Comprendiamo che il primo poemetto è quello che da il la a tutta l’intera composizione, è il


rovesciamento completo e totale di tutti quelli che sono stati tradizionalmente i topoi
dell’amore.

III poemetto
This was the woman; what now of the man?
But pass him. If he comes beneath a heel,
He shall be crushed until he cannot feel,
Or, being callous, haply till he can.
Narrato fondamentalmente in terza persona con brevi inserti in prima persona, definibile
come un momento di estremo flusso della coscienza del protagonista maschile. Rappresenta
le varie reazioni altalenanti e antitetiche del marito tradito nei confronti dell’amante. Gli
atteggiamenti vanno dal disprezzo, odio, desiderio di vendetta, rimozione, negazione,
desiderio di schiacciarlo sotto le proprie scarpe.

But he is nothing: -- nothing? Only mark


The rich light striking out from her on him!
Ha! what a sense it is when her eyes swim
Across the man she singles, leaving dark
Non è nulla. In realtà rappresenta moltissimo perché tutte le volte che lei lo guarda è come se
emanasse luce: gli effetti di quest’altra persona sono chiaramente attirare lo sguardo ma
soprattutto il desiderio e la luce interiore che si manifesta da parte della donna. La donna non
illumina più lui, ma notiamo la ricca luce che emana ancora ma non la emana più per il suo
“legittimo consorte” ma nei confronti di un’altra persona. La funzione rimane la stessa ma il
destinatario è cambiato

All else! Lord God, who mad'st the thing so fair,


See that I am drawn to her even now!
Attrazione nei confronti della donna: è come se si rivolgesse a un’entità superiore
chiamandola “Lord God” che l’ha fatta così bella. Notiamo però che per definire la donna
non usa “her/she/my wife”, ma usa “the thing” e questo è già indicativo di quella tendenza
maschilista e misogina a cui abbiamo fatto cenna primaa.

It cannot be such harm on her cool brow


To put a kiss? Yet if I meet him there!
Vorrebbe ancora manifestare gesti d’affetto nei confronti della moglie ma si capisce che il
desiderio è ancora quello della vendetta, del contrasto anche fisico con il suo rivale in amore

But she is mine! Ah, no! I know too well


I claim a star whose light is overcast:
I claim a phantom-woman in the Past.
The hour has struck, though I heard not the bell!
Riaffermazione di possesso che è tipica della cultura dell’epoca. Questo non significa
necessariamento che Meredith condivida questo senso di possesso maschile nei confronti
della donna, ma significa che probabilmente lui stesso mette in discussione (ritorna la
modalità di satira) il fatto che ormai per l’uomo vittoriano non ha più senso rinchiudersi in
concezioni di questo tipo sencondo le quali l’uomo ha diritto di possesso sulla donna.
La donna viene metaforizzata attraverso una stella e anche in questo caso ci troviamo davanti
ad un topos tradizionale della lirica amorosa secondo il quale la donna costituisce la stella che
illumina il cammino dell’amante in questa dimensione terrena. Oramai la luce di questa stella
è spenta. Ora si rivolge da un lato ad una stella la cui luce non illumina più, dall’altro ad una
donna che viene definita come un fantasma e che appartiene ormai solo al passato.
Autoironia nei confronti di se stesso: l’ora del cambiamento e rovesciamento di tutte le
tradizionali immagini dell’amore è suonata, ma il protagonista non se n’è accorto. Quella
nota di autoironia è evidenziata proprio da questo senso di non essersi accorto, di
inconsapevolezza e mancanza di attenzione verso quelli che avrebbero potuto essere i segnali
del cambiamento dei sentimenti e della vicenda che aveva accompagnato i due.

Questa volta il parlante è in prima persona. I 50 componimenti in cui si articola Modern Love
mescolano sapientemente l’alternanza tra la terza persona narrativa e la prima persona
protagonista. L’effetto che si ottiene è quello di immedesimarci: anche noi penseremmo con i
pensieri del protagonista e useremmo le sue parole per esprimere il suo stato d’animo.
Calandoci nei panni di costui e ci sentissimo traditi, ci identificheremmo con i suoi
sentimenti, con i suoi slanci, con i suoi desideri poco edificanti di violenza e vendetta e
ancora con la sua attrazione non ancora assopita nei confronti della moglie e infine con il
riconoscimento autoironico e autosatirico di non essersi accorto del mutamento di situazione
che ha portato a questo risultato. Quindi l’effetto è di maggior drammaticità e coinvolgimento
diretto nella situazione che viene via via illustrata.

XVI poemetto
In our old shipwrecked days there was an hour
When, in the firelight steadily aglow,
Joined slackly, we beheld the red chasm grow
Among the clicking coals. Our library-bower
That eve was left to us; and hushed we sat
As lovers to whom Time is whispering.
Il contenuto si rivolge al passato, in un momento in cui la condizione tra i due era ancora di
serenità e affetto e si conclude su una nota di amarezza e rimpianto. Ci riporta ai due
innamorati che si trovavano uniti e abbracciati davanti al caminetto con le braci ardenti
(immagine positiva e di intimità, immagine anche simbolica di passione). O nella nicchia
della biblioteca in cui sedevano come amanti a cui il tempo sta sussurrando. Quindi anche in
questo caso momento di intimità tra i due. Ora questi giorni sono naufragati.

(From sudden-opened doors we heard them sing;


The nodding elders mixed good wine with chat.)
Well knew we that Life's greatest treasure lay
With us, and of it was our talk. "Ah, yes!
Love dies!" I said; I never thought it less.
She yearned to me that sentence to unsay.
Si rendono conto che il tesoro più grande è sempre con loro in quel momento davanti al
caminetto e nel silenzio della biblioteca, il tesoro è il loro amore. Quindi, c’è questa
consapevolezza innegabile, ma al contempo lui dice: l’amore finisce e lei avrebbe desiderato
che io non avessi mai detto quella frase.

Then when the fire domed blackening, I found


Her cheek was salt against my kiss, and swift
Up the sharp scale of sobs her breast did lift—
Now am I haunted by that taste! that sound.
Notiamo che tutta l’atmosfera cambia: il fuoco comincia a spegnersi. Ritornano quegli stessi
singhiozzi che lui ha sentito nel primo dei tre poemetti. Poi sente il sapore salato delle
lacrime sulla sua guancia, una percezione estremamente chiara che coinvolge il senso del
gusto poi i sospiri che sono sia suono sia percezione fisica.
Questo sonetto è tutto un flashback, lui sta parlando in prima persona adesso e ricorda eventi
del passato. Ora sono ossessionato da quel sapore e da quel suono (espressi nei due versi
precedenti).

XXV poemetto
Parlato in prima persona, si rivolge ancora una volta alla sua compagna e prende spunto da
una novella francese. È uno dei testi più ironici.

You like not that French novel? Tell me why.


Incipit così diretto, sta parlando direttamente a lei. Il romanzo francese sarebbe Madame
Bovarie, romanzo che parla di tradimento. Allora prendendo spunto da un romanzo che
potrebbe essere ipoteticamente questo, il marito cerca di smascherare la loro reale situazione,
cioè quella di un adulterio. Quindi, prende ispirazione letterariamento da un romanzo e la
proietta attraverso questa serie di domande e una breve sintesi della loro stessa situazione, nel
loro vissuto. La donna reagisce negando, non ama questo tipo di romanzi perché parlano di
eventi sconvenienti e non ne vuole sentire parlare.
Nel romanzo il marito scopre la tresca, l’amante una volta scoperto esce di scena e non si fa
più vedere e la moglie torna al suo ruolo di “brava moglie” a fianco del proprio marito.
Questè una metafora per far comprendere la loro stessa situazione reale e la vicenda stessa
della coppia.
È importante sottolineare che il testo narrativo che si nasconde è una French Novel: alcuni
comportamenti della Francia dell’epoca erano visti come inconvenienti e diseducativi
soprattutto dalla morale vittoriana, quindi rappresentava tutto ciò che non avrebbe dovuto
essere preso come modello. Quello che ci interessa è che quel testo diventa il pretesto per
mettere in scena la propria stessa situazione esistenziale e per riportare nei ranghi ciascuno
dei protagonisti: il marito vince, la moglie si riallinea con quello che è il suo ruolo di moglie
e l’amante esce di scena. Quindi l’ordine è ristabilito, la moralità tipicamente vittoriana è
salva.

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