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ECONOMIA DELLE AZIENDE E DEI MERCATI INTERNAZIONALI

INFLAZIONE: fenomeno di carattere monetario, cioè che ha a che fare con il rapporto tra i
beni e i servizi che possono essere domandati in un certo luogo, in una certa economia e in
un certo momento di tempo e la quantità di moneta con la quale possono essere pagati.

Se so che da domani ci sarà un aumento del 10% sui prodotti, allora sarò portato a comprare
quel prodotto oggi. Quindi l’inflazione tende ad assecondare il consumo e al contrario a
rendere poco conveniente il risparmio.
Il fatto che l’andamento generale dei prezzi cresca a un ritmo molto importante significa che
il budget che si immagina essere fisso, a quel punto vale di meno perché con la stessa
quantità di moneta si possono comprare meno beni.

PIL del mondo


Il PIL del mondo fino a circa due secoli fa non è mai cresciuto, è sempre stato tutto sommato
allo stesso livello (prendendo un grafico analogo per la popolazione vedremmo che
l’andamento è molto simile). Perché? Perché per il grosso della nostra storia a periodi
positivi seguivano spesso dei periodi straordinariamenti bui.
Es: 1300 periodo di boom per l’economia europea ma poi arrivò la peste che annulla i
precedenti processi economici.
L’economista Thomas Robert Maltus alla fine del ‘700 lancia un grido d’allarme dicendo che
per quanto le cose possano andare bene a un certo punto la nostra capacità di indurre
miglioramenti impallidisce dinanzi alla moltiplicazione delle bocche da sfamare. Fino a quel
momento era andata così, con periodi di luce seguiti da periodi bui che cancellano i
progressi.

Ciò che succede dall’inizio dell’‘800 circa in diverse parti del mondo è che le cose
radicalmente cambiano, cioè che noi ci abituiamo alla crescita economica e sulla quale si
discute molto: l’Italia non cresce da circa 20 anni con l’unica eccezione dello scorso anno,
noi capiamo che è un problema, questo perché un’economia che cresce offre opportunità di
lavoro e significa che in quel paese in quel momento vengono scambiati più beni e più
servizi, quindi ci saranno più opportunità. Nel momento in cui invece l’economia è in
stagnazione per 20 anni, le opportunità sembrano non presentarsi più, le persone migrano e
i salari restano allo stesso livello per anni è un problema.

Che cos’è un’economia?


Un elemento importante per avere un ragionare economico è l’esistenza della scarsità,
perché? Immaginiamo di essere nel Giardino dell’Eden in cui c’è tutto in abbondanza per
tutti, quindi non c’è possibilità di conflitto. Se le risorse non sono scarse non c’è bisogno di
scegliere, mentre al contrario noi sappiamo che la nostra vita è un continuo succedersi di
scelte tra alternative che implicano il fatto che l’una escluda l’altra.

Un sistema economico è quindi un sistema per razionare beni e servizi che sono inadeguati a
fornire tutto ciò che le persone desiderano. Ognuno di noi ha infiniti desideri, quindi ci
rimane scegliere a quali di essi dare priorità, ogni nostra spesa implica il fatto che non
possiamo farne un’altra.
Il punto è che non ci sono solo i nostri desideri, ci sono i desideri di tutti gli altri, quindi non è
solo un problema di ordinare le preferenze, il problema è che tutti lo fanno e che i beni e i
servizi che ci disputiamo sono presenti in un numero finito.
In qualche modo ciò che fa un sistema economico è una funzione che somiglia a un setaccio:
un sistema economico serve per prevenire la possibilità che alcuni abbiano accesso a certi
beni e negare a queste persone a certe risorse. Il modo in cui avviene il prevenire e il negare
è la cosa più importante perché sappiamo che ci sono dei sistemi economici (es regimi di
carattere dittatoriale) in cui questo rubinetto delle possibilità viene aperto o chiuso sulla
base dell’estrema discrezionalità di chi è in grado di farlo. Si decide dall’alto che esistono
delle priorità su cui finiscono le risorse e tutto il resto non è importante. Non è necessario
che questo sia l’atteggiamento autoprotettivo ed egoista di una cricca di persone al
comando; la selezione di alcuni obiettivi della società tutta a prescindere di quello le
persone desiderano può essere anche orientata a criteri di beni pubblico o spesso a idee che
attengono alla grand hoeur nazionale, l’importanza di centrare alcune missioni.
Es: il primo paese al mondo a mandare una cagnolina nello spazio è l’unione sovietica ma
che però è un paese che non produceva assorbenti perché le risorse erano chiaramente
instradate per centrare alcuni obiettivi scelti per tutti e quello che fosse la domanda delle
persone era considerato meno rilevante.
Questo a volte viene reclamato come un’esigenza, viene messo al primo posto l’interesse
nazionale rispetto a quello dei singoli cittadini.

In ogni caso abbiamo la scarsità come dato naturale, ha senso parlare di economia nel
momento in cui c’è un problema di selezione dei bisogni che devono essere soddisfatti per
primi e un problema di coordinamento, cioè fare in modo che le risorse scarse che la società
ha a sua disposizione possano soddisfare il bisgno di tante persone diverse che non
necessariamente possono coordinarsi.

Definizione più classica di economia data da Robbins nel secolo scorso: l’economia è quella
scienza che studia il comportamento umano come relazione tra fini e mezzi scarsi che
possono essere destinati a usi alternativi.
Usi alternativi: quando discutiamo dei mezzi a nostra disposizione non sempre discutiamo di
qualcosa che può avere un solo utilizzo. Quindi, quando si discute all’interno di un economia
dell’uso delle risorse non si discute solo di chi deve tagliare una certa fetta di torta, ma di
come devono essere utilizzati gli ingrendienti per arrivare ad avere a disposizione una certa
offerta di torte ed essere sicuri che quelle torte vengano domandate, che piacciano.

Fallace del Nirvana


Uno degli errori più frequenti, cioè quello di pensare che ci siano condizioni nelle quali i
vincoli e le scarsità vengano meno. Questo lo facciamo spesso quando paragoniamo sistemi
economici e partiti politici. Quello che facciamo è paragonare il mondo reale del partito
politico che non ci piace contro il mondo ideale del partito politico che ci piace. Ovviamente
non è un paragone corretto, quello corretto sarebbe il paragone tra mondo reale del partito
politico che ci piace e mondo reale di quello che non ci piace.
Problemi economici e tecnologici
Un altro errore molto diffuso è quello di confondere i problemi economici con i problemi
tecnologici. Se noi abbiamo risorse scarse ma un unico fine per il quale vogliamo impiegarle
il problema è tecnologico, ingegneristico, è legato solo all’efficienza dell’uso di quelle risorse
perché l’obiettivo è uno solo.
Il problema economico invece è legato alla compresenza di fini diverse.
Ovviamente ci sono delle situazioni nelle quali una società ha un solo fine (situazioni di
guerra), in cui per esempio nella seconda guerra mondiale tutta la produzione veniva
riconvertita ai fini bellici. Quindi si andava in contro alla concentrazione di risorse
sull’industria bellica e dall’altra scarsità dei beni di consumo. Tuttavia nel mondo in
condizioni di pace il punto è che i fini sono plurali.

Il problema economico dunque è dato dalla scarsità delle risorse da una parte ma anche
dagli usi alternativi che dipendono dai fini alternativi, dal fatto che persone diverse
perseguano obiettivi diversi (concorrenza degli scopi). L’altro problema è che nessuna delle
cose che noi possiamo dire, anche sugli scopi che una certa risorsa può soddisfare è sempre
uguale nel tempo. I fini delle persone e gli usi disponibili cambiano: ci sono cose che prima si
desidereravano e ora non più, ci sono consumi che una volta erano ritenuti prestigiosi e ora
non più. Quindi cambiano i consumi che si desiderano ma cambiano anche i mezzi e quando
cambiano cambiano anche le abitudini dei consumi: se qualcuno vuole vedere una vecchia
foto deve prendere degli album mentre ora abbiamo i telefoni. Quindi il cambiamento della
tecnologia, delle possibilità, degli usi per cui possono essere impiegate queste risorse scarse
si riflette a sua volta nei comportamenti e l’una e l’altra cosa vanno insieme. Comportamenti
culturali e tecnologia si influenzano a vicenda perché se ci comportiamo in un certo modo la
tecnologia si svilupperà di conseguenza (se una certa pratica la riteniamo negativa per
l’ambiente l’offerta si adatta, per esempio la caccia alle balene).

Da questo punto di vista se noi pensiamo che un sistema economico serve per razionare
beni e servizi inadeguati a fornire tutto ciò che le persone desiderano, il primo problema che
si sovviene è: chi decide quali sono gli scopi che devono essere messi in campo e come
impiegare le risorse? Poi se dobbiamo essere sicuri che queste decisioni riflettano il bisogno
delle persone, dobbiamo riflettere su quali siano le conoscenze utili per decidere.
Il problema è che la conoscenza che viene utilizzata è a sua volta un piccolo rebus perché
noi abbiamo dei conflitti in merito: da una parte tendiamo a pensare che sia necessario
avere una conoscenza panoramica della realtà, ma l’amara verità è che quest’idea è difficile
farsela. Cioè che le decisioni concrete di produzione sono tali per cui non si riesce ad avere
un’idea di quali sono le conoscenze messe in gioco se non si è all’interno dello stesso
processo produttivo e che soprattutto non si ha un adeguato incentivo a cercare di avere le
conoscenze rilevanti per prendere una decisione di produzione se non si è parte del
processo produttivo stesso.
Non è quindi che tutto quello che viene deciso al centro sia adeguato alla realtà della
produzione che invece si compie in periferia, in nodi decentrati e distaccati nei quali
contano le conoscenze messe sul piatto in quel momento e ai fini di quella specifica
produzione.

Facciamo un esempio: prendiamo un’attività che può essere svolta con fini differenti, ad
esempio fare una torta. Per farla come sceglie gli ingredienti? In base ai propri gusti, con
l’obiettivo di fare una torta che ci piace. L’attività di fare una torta per qualcuno a cui
teniamo non ci porta ad essere particolarmente restrittivi sulle risorse che stiamo
impiegando, al contrario siamo selettivi ma per selezionare le migliori. Viceversa, pensiamo
di essere in una piccola pasticceria: ogni mattina dovranno infornare un certo numero di
briosche e l’obiettivo di questa infornata non è la soddisfazione personale, al contrario è
produrre esattamente il numero di prodotti che a fine della giornata vengono venduti
soddisfacendo i bisogni di una giornata.
Per fare ciò c’è bisogno di una conoscenza della clientela e dei consumi che essi desiderano,
inoltre bisogna avere un’idea dei beni che mi servono e su quella base devo essere in grado
di soddisfare la domanda che immagino di avere. La domanda che immagino di avere
cambia, questo perché i gusti delle persone cambiano. L’altro problema è mettere un
prezzo, che variano per esempio in base al luogo: bisogna pensare alle persone che entrano
nel negozio, alla disponibilità, al momento del giorno in cui entrano così da regolare la
produzione.

Quali sono le conoscenze che servono per mettere in campo la decisione di produzione in
questo caso del pasticcere? Per esempio, conoscere la clientela, conoscere i prezzi delle
materie prime che segnalano la disponibilità rispetto agli usi scarsi che si possono fare di
quella materia prima. C’è sempre un prezzo, ma non è necessariamente il prezzo che un
certo servizio ha, ma i prezzi non sono mai fissi perché sono l’istituzione tra una domanda e
un’offerta. Non esiste un prezzo giusto.

Tuttavia, pensando all’esempio della pasticceria, fare delle correzioni in base alla domanda
della clientela è relativamente semplice, in molte parti della nostra economia sono invece
estremamente costose. Per esempio, per passare dal disegno di un’automobile
all’automobile nei concessionari ci vogliono circa cinque anni e gli investimenti sono molto
rilevanti dato che i macchinari per fare l’automobile cambiano per ogni tipo di automobile.
Se il tempo da cui si passa dalla decisione di produzione alla produzione effettiva è così
lungo e se gli investimenti sono così rilevanti, le correzioni sono molto più difficili.

Da qui, la questione delle conoscenze che entrano in campo, che sono molto diverse: alcune
sono di tipo teorico (che non sempre vengono prima delle conoscenze pratiche, anzi molto
spesso le teoriche derivano dagli strumenti utilizzati) ma non solo, abbiamo:
- Conoscenza tacita o know how: tutto ciò che si impara facendo, solitamente con
persone che lo sanno già fare. Alcuni casi di conoscenza tacita sono ibridati a
conoscenze di tipo teorici, per esempio l’insegnamento di uno strumento musicale.
- Conoscenze delle circostanze di tempo e di luogo: la diversità delle circostanze
modifica le decisioni di produzione. Non c’è un’unica decisione di produzione, non
c’è né un criterio estetico né morale che sta sopra le circostanze stesse, perché i
bisogni e le esigenze cambiano. Spesso queste conoscenze devono essere reattive
rispetto alla realtà
Pensiamo all’agricoltura: la produzione agricola deve rapportarsi al mal tempo, alla diversità
delle stagioni (con eccezionalità di estati troppo calde per esempio). Sono tutti una serie di
elementi esterni rispetto ai quali la produzione agricola deve reagire facendo costantemente
delle sostituzioni.
Se ci pensiamo, tutte le nostre scelte economiche sono basate su un meccanismo di
sostituzione (cambiamo ristorante per certi motivi), ma se pensiamo al mondo della
produzione capiamo ancora di più quanto questo elemento della continua sostituzione è
presente. Questo perché possono svilupparsi, grazie allo sviluppo tecnologico, materie
prime nuove: pensiamo al barista di oggi che con nuovi ingredienti che si sono diffusi è stato
costretto ad adattarsi.

Quindi, possedere le conoscenze che consentono di orientare la produzione a


soddisfacimento di queste domande non è banale, perché ogni decisione di produzione per
essere presa richiede un ricorso a un ramificato albero di conoscenza. Questa è la ragione
per cui molte di queste decisioni non possono essere prese in un luogo diverse da quelle di
cui si prendono. Questo perché ci sono delle conoscenze di carattere teorico che si possono
trasmettere, ma non sempre si può fare e soprattutto la circostanza dei tempi e di luogo
molto spesso non può essere trasmessa e richiede un costante confronto con la domanda.
La domanda non è una domanda di carattere generale, perché ogni prodotto ha un
consumo estremamente localizzato, va in contro ad una nicchia (ad una specifica domanda).
Solitamente non esiste un consumatore universale, ma uno molto specifico che ha una serie
di preferenze, gusti e attitudini diverse da un altro. Anche le catene più grandi e diffuse
tendono a stabilire un dialogo con una tipologia di consumatore che ha una serie di priorità
e che vuole bene o servizi di un certo tipo. Questo è il problema del rapporto tra alto e
basso, tra centro e periferia, è un problema sia dal punto di vista delle politiche pubbliche
che è orientata sempre a centrare pensando che il centro sappia quali sono tutte le risorse
disponibili in una società, ma il grosso svantaggio è che non ha accesso al secondo e terzo
tipo di conoscenza.

Questo avviene anche all’interno di una struttura privata, e la domanda è chi deve prendere
una certa decisione? Ci sono come sempre una serie di sostituzione. Se pensiamo a
un’importante catena di esercizi commerciali e di dover decidere chi fa le vetrine e come
deve farle. È auspicabile che esercizi commerciali del medesimo tipo abbiano elementi che si
richiamano, anche se si trovano in posti diversi. Tuttavia, nello stesso tempo le persone ce
passano davanti a questi esercizi hanno preferenze, abitudini e reddito diversi. Quindi chi
decide quali prodotti mostrare a chi passa davanti? Ci sono dei vantaggi che vengono da una
scelta omogenea ma anche dei pericoli, e bisogna quindi dosarli. Se le decisioni sono in capo
ad attori che non hanno le conoscenze necessarie per prenderle, il risultato è un errore.

Rispetto a questo problema della conoscenza rilevante possiamo dire tre cose:
1. Il vantaggio alto verso basso, centro-periferia dipende dal genere di conoscenze di
cui c’è bisogno. Conoscenze di tipo diverso possono essere meglio attivate a un
livello diverso
2. La maggioranza delle decisioni richiede un mix tra tipi di conoscenze diverse. Spesso
all’interno di un’unità produttiva l’interazione tra livelli di governo diversi è la norma
perché ci sono elementi di conoscenza differenti che ciascuno di questi livelli può
mettere in campo.
3. Dal punto di vista dell’efficacia della subordinazione gerarchica, questa è efficace a
seconda di chi ha vantaggio nel portare a casa certe conoscenze, nel reperirle e nel
renderle operative. La conoscenza rilevante però può sempre essere spiazzata
perché arriva il cambiamento, alcuni dei quali prevedibili, altri no e si comprendono
solo nel momento in cui avvengono.

Esempio del ristorante e del supermercato: in entrambi si compra, ma perché alcuni fattori
produttivi finicono in uno e altri nell’altro? In un luogo e nell’altro si effettuano degli scambi
(fenomeno obliquo in qualsiasi economia). La differenza è che la stessa attività, cioè
scambiare, comprare e consumare, può assumere forme molto diverse le quali possono
avere determinate risposte differenti: una percezione di qualità, un bisogno, una
disponibilità a pagare differente…
Queste diverse determinanti dovrebbero incontrarsi con processi produttivi differenti: da
una parte abbiamo prodotti realizzati per un consumo di massa con un certo tipo di
lavorazione coerente con la necessità di essere consumati da una massa. Dall’altra abbiamo
prodotti che dovrebbero essere stati quanto più ricercati, avendo dietro di sé un processo
produttivo più raffinato.
Cosa sta dietro al prezzo? Innanzitutto la domanda, e poi riflettono tutta una serie di
decisioni di produzione differente. Se facciamo l’esempio di un piatto pronto in un
supermercato e lo stesso piatto in un ristorante, lo paghiamo di più perché la scelta della
materia prima è completamente diversa e il genere di lavorazione a cui quella materia prima
è sottoposta è diversa. A monte, all’inizio del processo produttivo abbiamo scelte su dove
devono andare certi fattori produttivi che sono completamente diversi: la carne di un certo
tipo che ha alcune caratteristiche di pregio e scarsità andrà nei luoghi dove il trattamento
della materia prima e il prezzo che viene richiesto al consumatore fa si che quella carne
possa essere effettivamente domandata.
C’è un elemento importante, cioè la percezione della nostra stessa identità che si riflette in
tutti i nostri consumi quindi da parte di chi vende si tratta di un gioco di creazione di
percezioni e di interpretazione dei bisogni dei consumatori.
Quindi, quando vediamo un prezzo alto possiamo fare una serie di deduzioni: la più
semplice e corretta è che un prezzo alzo è li per limitare il consumo di alcune persone, ma
perché debba essere limitato è tutto da vedere. Può essere limitato perché i costi di
produzione sono molto alti quindi non si arriva a poter fornire lo stesso bene a un numero di
persone più alto. O magari il consumo deve essere limitato ad alcune persone perché chi ha
realizzato quel bene o quel servizio pensa che in qualche modo la prima gratificazione
nell’utilizzo di quel servizio risiede precisamente nella sua esclusività.

Diciamo anche che i consumi di un individuo possono variare nel tempo, e variano anche
durante la stessa giornata, cambiando ciò che si consuma al mattino e ciò che si consuma
alla sera:
esempio: la mattina alle 8 una persona è disponibile a pagare un quotidiano anche due euro,
perché quando lo apriamo troviamo notizie nuove con un livello di approfondimento
superiore. Alle 7 di sera non più.

Il prezzo è un indicatore sintetico e dietro il prezzo c’è un mondo, con i fattori più diversi che
possono dirci qualcosa su quel bene. Nello stesso tempo, però, non dobbiamo pensare che
da un cambiamento di un prezzo in isolamento si possano fare delle deduzioni. Sono
indicatori sintetici la cui virtù è la sintesi precisamente perché quella sintesi, dovendo noi
gestire le risorse scarse sia come consumatori sia come produttori, ci consente a nostra
volta di prendere le decisioni. Ma quello è lo strumento, quella è la sua virtù e non bisogna
neanche pensare di leggerci continuamente troppo in un aumento del prezzo, e soprattutto
non bisogna assumere che i prezzi e i beni definiscano categorie fisse di esseri umani perché
la maggioranza dei prezzi cambiano per adattarsi alla domanda e al cambiamento delle
circostanze ed essi riflettono sempre il mondo che hanno intorno. La sintesi dello strumento
paradossalmente è sia suggestiva e riflette qualche cosa, nello stesso tempo però basta
anche a se stessa per quelle che sono le decisioni che dobbiamo prendere sulla base di quei
prezzi allocando le risorse a nostra disposizione.

13.10 (ascoltata a metà, il resto appunti Emma)


Parliamo di un’economia quando si verificano delle condizioni:
innanzitutto, la presenza di esseri umani, cioè la presenza di persone che hanno una serie di
desideri, bisogni, necessità, ovviamente di diverso grado di intensità. Quando pensiamo ai
nostri bisogni di solito ciascuno di noi vuole soddisfare prima i desideri di intensità più
elevata. Da una parte questi spesso coincidono con bisogni di carattere primario (mangiare,
bere, avere una casa…), prima si paga l’affitto, il mutuo e poi si pensa ad andare a mangiare
fuori per esempio. Però anche tra bisogni che non sono particolarmente intensi dal punto di
vista della necessità biologica, ovviamente si può avere un diverso livello di importanza che
diamo a questo bisogno. Non a caso, non abbiamo tutti gli stessi consumi, abbiamo interessi
diversi.
Le preferenze delle persone, per quanto come esseri umani simili, sono soggettive. Dal
punto di vista dell’ecosistema in cui viviamo è anche un problema perché ciascuno dei nostri
desideri va a incrociare un mondo di risorse scarse. Poi sappiamo che il vincolo di scarsità (la
misura in cui noi dipendiamo da risorse scarse) viene allentato con il passare del tempo. Ad
allentare il vincolo di scarsità di solito è la tecnologia, la quale nel corso della storia riduce la
necessità di fatica umana per realizzare un certo bene. Inoltre, a fronte di una popolazione
crescente c’è una crescente disponibilità di beni e servizi, ma anche a fronte di questo
allentamento del vincolo di scarsità le risorse sono scarse lo stesso. Quindi avendo da una
parte desideri plurali e potenzilamente infiniti, ma dall’altra risorse scarse, ciò che fa un
sistema economico sostanzialmente è decidere quali bisogni ed esigenze devono essere
soddisfatte, quali sono i gruppi che possono o non possono avere accesso a certe risorse.

In buona sostanza l’economia serve a gestire la scarsità e l’economia come scienza studia il
comportamento umano come relazione tra fini e mezzi scarsi che possono essere destinati
ad usi alternativi. L’ultimo punto è importante: i fini sono potenzialmente infiniti, i mezzi
sono scarsi e questi non hanno ciascuno un solo fine e basta e in più spesso si scoprono
spesso utilizzi nuovi per materie prime che fino a quel momento avevano un solo fine.
Questa è anche l’essenza del processo economico che vedremo avvenire nelle imprese, che
è sostanzialmente un processo volto continuamente alla sostituzione: le imprese cercano
sempre di sostituire un fattore produttivo con un fattore produttivo più economico, più
disponibile. È vero che i rapporti tra imprese e tra imprese e detentori delle risorse sono
regolati da contratti, però questi lasciano spazio al cambiamento, il quale è l’essenza
dell’attività economica: quindi, sostituire manualità con macchine (in modo che meno
persone facciano meno fatica producendo la stessa quantità di beni o di più), sostituire una
materia prima più scarsa e costosa con un’altra più abbondante e meno costosa… È un
meccanismo di continua sostituzione anche rispetto a realtà molto consolidate.
Esempio, Nutella: non essendo l’Italia un potere coloniale non poteva rubare agli altri le
nocciole o il cacao, e siccome si dovevano comprare l’italia inventa tutta una serie di tipi di
cioccolato di fatto basati su un intruglio di nocciole e latte in modo di diminuire la quantità
di cacao. La nutella non è più fatta con le stesse nocciole delle langhe, inannzitutto perché i
volumi di produzione della Nutella nel mondo sono incompatibili con la sopravvivenza di
qualsiasi nocciolo nel piemonte. Poi, siccome la nocciola delle langhe è molto più pregiata e
costosa e la Nutella ha un prezzo che non è riservato ai pochi, una delle cose che l’impresa
fa non è passare dalle nocciole alle noci, ma cercare costantemente nuovi fornitori di
nocciole con i quali sostituire i fornitori precedenti che siano più economici.

Il cambiamento è un elemento da tenere sempre presente, perché se è vero che il problema


economico nasce non appena scopi diversi entrano in concorrenza l’uno con l’altro per
accaparrarsi risorse finite, è anche vero che l’elemento più problematico di qualsiasi
ragionamento economico è che l’utilizzo delle risorse, le necessità e le risorse cambiano per
tanti motivi: intervengono eventi avversi che rendono obsoleti o impossibili alcuni consumi
(lockdown, comprare beni e servizi che non servono. Agricoltura, quando subentrano
elementi avversi alla produzione agricola non è più disponibile la materia prima).
Ogni tanto a cambiare è la tecnologia e cambiano anche le preferenze (caso della moda) e
per molti motivi le persone possono decidere che molte persone non vogliono consumare
certi prodotti. Se domani tutti decidessimo di diventare vegetariani, il modo in cui si
presenteranno i nostri supermercati cambierà radicalmente, le preferenze delle persone
determinano il mondo che ci circonda

L’ECONOMIA IN UNA LEZIONE


Il libro si apre con una storiella pensata per suggerire la differenza tra buono e cattivo
economista e in realtà è una questione che ci fa riflettere sul valore del tempo e sul concetto
cruciale di costo e opportunità. L’autore è Henry Hazlitt, giornalista economico americano al
Wall Street Journal per poi finire al New York Time e per molti anni fu uno dei principali
commentatori economici al New York Times. È stato molto influenzato da “The Common

Sense of Political Economy” di Philip Wicksteed, pastore protestante ed economista, il


quale cercò di scrivere questo libro improntato a una politica economica del senso comune.

Il cattivo economista ha di mira solo gli effetti immediati; il buon economista guarda più
lontano e si preoccupa anche di quelli remoti o indiretti. Il cattivo economista considera le
conseguenze di una determinata politica solo nei confronti di un gruppo particolare; il buon
economista si occupa anche delle conseguenze che tale politica può avere sull’intera
collettività.
- Henry Hazlitt

Leggendo questa citazione ci sembra anche un po’ scontata, però quando qualcuno è
effettivamente parte in causa del dibattito nessuno lo mette in atto. Uno è un motivo di
carattere psicologico: come sappiamo le nostre capacità cognitive non spesso sono adatte a
capire il mondo. Tutti abbiamo dei baias, abbiamo delle scorciatoie per capire la realtà.
Però, queste euristiche e baias condizionano la nostra comprensione. Uno psicologo
cognitivo canadese ha parlato di un nuovo disordine cognitivo che chiama “disrazionalità”.
Cioè, la nostra capacità di esercitare pensiero razionale-critico, a dispetto di ciò che tutti
pensiamo, non è necessariamente correlata alle nostre capacità cognitive. Possiamo avere
un QI molto alto eppure possiamo essere incapaci di tarare le nostre convinzioni
sull’evidenza empirica. Noi possiamo invece perpetuare le nostre convinzioni sulla base di
fattori completamente differenti. Facciamo un esempio paradossale, che è quello che fa lui.
MENSA: associazione con sezioni in tutto il mondo e per potervi accedere bisogna sottoporsi
a un test per il proprio QI e superare un certo livello. Stanovich spiega che una volta è stato
condotto un sondaggio tra i MENSA del Canada: 44% di queste persone crede nei fenomeni
paranormali. Il punto di Stanovich era il fatto che queste persone avessero straordinarie
capacità cognitive, nello stesso tempo ciò non implicava che loro sapessero sempre ricorrere
al pensiero razionale (pensiero basato sul metodo scientifico nel quale le nostre ipotesi sulla
realtà devono essere suffragata empiricamente con delle prove, nel quale le nostre
affermazioni sulla realtà sono sempre suscettibili di falsificazione, cioè sono vere solo
precariamente e possono essere sempre smentite).
Ciò che spesso accade quando si ragiona soprattutto di politica pubblica ed economica, tutti
tendiamo a sopravvalutare gli effetti desiderati. Ci sono azioni di politica economica scelte
che hanno un determinato effetto in vista. se immagino di stabilire una quota di
importazione, di fissare un certo prezzo per ottenere un certo obiettivo, da questo se ne
trae l’idea che se l’obiettivo viene centrato allora la politica funziona. Questo è vero fino a
un certo punto perché ciascuna delle azioni di politica economica tenderà sempre a
produrre anche effetti diversi da quelli intenzionati. Non si limiterà a realizzare gli obiettivi
che l’ideatore politico si è posto perché le economie non sono sistemi semplici. Nello stesso
tempo la maggioranza di queste scelte viene proposta avendo in mente il successo di un
gruppo particolare, volendo beneficiare un gruppo di persone. Il problema è che ci sono gli
effetti sul gruppo su cui si agisce ma anche sul complesso della società.
Queste sono cose che noi non sempre vediamo perché noi stessi di solito tendiamo in parte
a sopravvalutare la nostra saggezza, un po’ per problemi di disrazionalità e poi perché siamo
partigiani di una certa opzione piuttosto che di un’altra e in questo modo tendiamo a finire
vittima della fallace del Nirvana (paragonare una situazione ideale con la situazione reale
immaginando che la situazione ideale che ci piace a un certo punto non sia anche essa
costretta a venire a patti).

Esempio di Hazlitt: bambino che gioca a palla e la palla colpisce la vetrina del fornaio, la
quale va in mille pezzi. Le persone che vedono riflettono ad alta voce sull’effetto dell’evento
che si è appena verificato. Durante la discussione si fanno strada riflessioni di altro tipo,
oltre alla domanda di chi pagherà la vetrina, si penserà che dopotutto se non si rompessero
le finestre come farebbero i vetrai a vivere?
In un mondo di bambini che rompono vetrine ci sarebbe un’economia più prospera? Ciò che
accade sarà un vantaggio per il vetraio, ma dal punto di vista del fornaio con le risorse che
utilizza per cambiare il vetro le avrebbe spese in qualcos’altro (forno migliore per esempio).
Quindi, da una parte abbiamo un vantaggio per il vetraio, ma dal punto di vista del fornaio e
anche della società nel complesso il problema è che quelle risorse che finiscono per
cambiare una cosa che era già li non vengono impiegate invece per l’acquisto di nuovi beni o
servizi che non avrebbero sostituito una cosa che era già la, ma sarebbero stato dei beni
aggiuntivi (es nuovo forno).
Ciò che avviene dal punto di vista della società non è che vengono tenuti in circolo i denari,
ma alcune risorse vengono spostate da un consumo a un altro: in questo caso, anziché
alimentare nuovi consumi, quelle risorse vengono impiegate per qualcosa che c’era già.
In casi come questi, nulla viene creato dal niente. Le risorse del bilancio del panettiere
restano scarse, quindi l’unica cosa che è possibile fare è spostarle da una parte all’altra.
Quindi, secondo l’esempio di Hazlit, se pensiamo che l’equivalente del prezzo di quella
vetrina fosse l’acquisto di una camicia nuova, il sarto ha perso una camicia in più per rifare
un vetro che già c’era. Questo apologo ci serve per capire che in casi come questi nulla viene
creato dal niente, le risorse del bilancio del panettiere restano scarse, quindi l’unica cosa che
è possibile fare è spostarle da una parte all’altra.

Questo esempio ci serve anche per capire che il costo di qualsiasi cosa è quello che gli
economisti chiamano il suo costo opportunitario: il costo di una scelta è tutto ciò a cui noi
dobbiamo rinunciare per perseguirlase. Per esempio, se si va al cinema non si può andare
nello stesso momento andare a cena fuori. Ogni cosa ha un costo in termini di tempo, il
costo di una scelta sono le alternative che non prendiamo e, nello specifico, il costo di una
scelta è quello di un’alternativa più appetibile che altrimenti si conseguirebbe con l’uso del
tempo e del denaro. Se mi piace il cinema e non mi piace il sushi, il costo di andare al
cinema non è non andare a mangiare il sushi, ma non andare a mangiare un hamburger che
invece ci piace. Anche se non ce ne rendiamo conto in ogni momento ragioniamo e
operiamo in termini di costo e opportunità. Ogni volta che scegliamo di fare qualcosa
decidiamo di non intraprendere l’alternativa più appetibile e ogni volta che ci troviamo a
fare i conti con delle proposte che attengono i nostri consumi, come impiegare i nostri
risparmi dobbiamo sempre tenere presente che esiste un costo opportunitario. Non
esistono scelte, in ambito economico, che non implichino delle rinunce e quella più rilevante
da considerare (quella sulla cui base scegliamo di fare una cosa e non l’altra) è l’alternativa
più appetibile a nostra disposizione.

MEF, Ministero dell’Economia e delle Finanze: da questo ministero dipende il modo in cui
vengono distribuiti circa 730 miliardi di euro. La spesa ricondotta al MEF attiene a spese che
riguardano il debito pubblico, quindi mettersi in condizioni di riparare gli interessi ecc.,
quindi non è necessario mettere una spesa discrezionale. Però, tra tutte le persone che ci
sono nel governo è sicuramente quella chiave per decidere di allocazioni di risorse che
grossomodo equivalgono a metà del PIL del paese.
La cosa più importante che il ministro dovrà fare è la legge di bilancio. In Italia dal 1919 non
si è mai votato in autunno, questo perché in autunno il parlamento entra nella sessione di
bilancio, per cui si discute soprattutto un documento che da una parte prevede le entrate
fiscali per l’anno successivo sulla base di un esercizio che si fonda sulla conoscenza dei dati
economici dell’anno in corso ma anche sulle previsioni macroeconomiche dell’anno
successivo. Dall’altro, dispone di quelle che saranno le uscite del bilancio pubblico, le spese
che lo stato dovrà affrontare.
È difficile fare previsioni, quindi capita che siano sbagliate e in quel caso bisogna provvedere
a cambiare il quadro economico finanziario per venire in contro agli aumenti della spesa.
Una volta si diceva che bisogna fare deficit aggiuntivo, indebitarsi di più, ci sono spese che
non sono coperte dalle entrate fiscali dell’anno corrente, e oggi si dice che bisogna fare
scostamento di bilancio. È un documento complicato perché ha due grandi passaggi:
- Deve essere mandato alle autorità europee
- Parte un processo di dibattito parlamentare che include provvedimenti nei quali
vengono caricati tutta una serie di spese che non necessariamente sono improntati
ai criteri dell’interesse pubblico. Spesso sono improntati a una distribuzione di
risorse legittima ad alcuni gruppi particolari, che ottiene qualcosa di necessario per il
suo benessere. Si determina un momento segnato da forti conflitti distributivi perché
avendo a disposizione un certo ammontare di risorse da distribuire ciò che avviene è
che divampano lotte e conflitti per decidere come impiegare i diversi stanziamenti.

Che cos’è un mercato?


Un semplice e concretissimo tipo di mercato è quello del pesce -> come in ogni mercato
affinché si verifichi una compravendita sono necessarie:
1) delle persone che hanno delle risorse
2) altre persone che le desiderino
In un mercato tradizionale i prezzi non sono sempre uguali, ma variano a seconda del
momento della giornata, essendo che l’economia è un sistema volto al razionamento. La
mattina i prezzi sono più elevati perché c’è più richiesta e di conseguenza bisogna razionare
per privilegiare coloro che si interessano di più a tale bene, perché sono disponibili a
spendere più denaro. Col progredire della giornata la persistenza di molta merce invenduta
rappresenta un problema di trasporto e conservazione (che si verifica nel momento in cui si
vende un bene deperibile come frutta e verdura), dunque i prezzi si abbassano al
pomeriggio dato che si preferisce vendere la merce a un prezzo più basso piuttosto che
risistemarla (per poi venderla a un prezzo ancora più basso) o buttarla.

Come avvengono le contrattazioni?


Per capire il funzionamento di un mercato e della determinazione dei prezzi sono necessari
due concetti:
1) PREZZO DI RISERVA -> dato dal venditore. È il prezzo sotto il quale il venditore non è
disposto a scendere. Può cambiare durante la giornata e a seconda delle circostanze.
Di certo il venditore sarà felice di trovare compratori disposti a pagare più del suo
prezzo di riserva.
2) LA DISPONIBILITÀ A PAGARE -> del compratore. I compratori sono disponibili a
spendere fino a una certa cifra, esattamente speculare al minimo prezzo che può
ottenere, per acquistare quel prodotto. Di certo il compratore sarà contento di
trovare dei venditori che per un certo bene pretendono un prezzo inferiore alla sua
disponibilità a pagare. Questa disponibilità a pagare è soggettiva come lo è il prezzo
di riferimento e dipende da priorità e gusto, due aspetti fortemente correlati perché
dai nostri gusti dipendono le nostre priorità (non è solo una questione di risorse
disponibili -> anche se una persona è ricca non vuol dire che è disposta a pagare
molto). La maggior parte delle cose rilevanti per la vita economica di un paese
avviene all’interno della nostra testa -> da come valutiamo quel che esiste nel
mondo dipende la nostra disponibilità a pagare.

Gli scambi avvengono quando il prezzo di riferimento del venditore incontra la


disponibilità a pagare del compratore. Se la disponibilità a pagare è inferiore al prezzo di
riferimento, la transazione non avviene. Sappiamo che a un certo prezzo avviene qualsiasi
transazione -> ex: a me non piace il gelato alla frutta -> se me lo regalano lo mangio (se il
prezzo di un bene è 0 sono disponibile ad averlo), ma se il suo prezzo è uguale a quello del
gelato al cioccolato prenderò quest’ultimo. Il venditore ha sempre un prezzo sotto il quale
non è determinato a scendere (molto spesso è un prezzo che equivale al costo di produzione
perché ovviamente il venditore desidera rientrare nei costi che ha sostenuto), ma non è
sempre così perché nel mercato/nella vota ci sono delle situazioni nelle quali il venditore ha
impiegato certe risorse per realizzare un certo bene/per offrire un cero servizio, ma può
succedere che questi non vengano apprezzati, e quindi l’unica chance possibile è quella di
abbassare i prezzi. Si tratta di scelte che qualunque imprenditore o venditore deve fare “AL
MARGINE” -> in questo caso il venditore può fare 2 scelte:
1) o si accontenta di un prezzo inferiore al costo di produzione, quindi rivedere il
proprio prezzo di riferimento e abbassarlo, e sgombera il magazzino
2) oppure non si accontenta, convinto che il bene che ha prodotto a un certo punto
sarà apprezzato dal pubblico, e di conseguenza lo tiene in magazzino.

La scelta che un imprenditore può fare in questa condizione dipende da tanti fattori:

1) dal suo essere una persona testarda o flessibile


2) dalla disponibilità degli spazi: è diverso se lo stoccaggio di una merce costa dei soldi
(per esempio se devo affittare un magazzino) o se mi è possibile in spazi limitati o se
non incide sui miei costi d’affitto del magazzino.
3) se quella merce può essere stoccata per molto tempo e rivenduta in futuro (cosa
abbastanza rara) oppure se deve essere smaltita anno dopo anno. Il problema degli
imprenditori della moda è che le collezioni non si ripresentano mai uguali negli anni
successivi (nei saldi estate 2020 si cercava in tutti modi di svendere collezioni perché,
nonostante ci fosse stato il covid e fossero rimaste invendute, non potevano essere
ripresentate)

Mercati diversi
Esistono mercati molto diversi: in un Bazar Turco, ossia in un mercato orientale, l’esperienza
di contrattazione è straordinaria e prevede l’ingaggio più profondo con il consumatore. La
disponibilità a pagare da un lato e il prezzo del venditore dall’altro si incontrano con
un’unica intensità. In un mercato di questo tipo, non contrattare è culturalmente visto
segno di maleducazione.

Cosa ci porta a scambiare?


La cosa che Adam Smith ci ha insegnato 250 anni fa è che noi non scambiamo perché siamo
consapevoli dei vantaggi sociali dello scambio, ma lo facciamo perché abbiamo una specie
d’istinto a scambiare -> siamo animali parlanti (gli altri animali non scambiano) e siamo in
grado di proporre alternative ai nostri simili al punto che quasi ci offendiamo se i nostri
simili non rientrano in questo gioco cooperativo e particolarissimo che è lo scambio (vedi
mercato orientale). Questi scambi possono essere virtualizzati oggi -> qual è la differenza tra
un mercato o un bazar ed eBay?
1. Il luogo e la possibilità d’interazione, che non è fisica ma virtuale
2. Si può controllare la merce
3. Ci sono più interlocutori
4. La differenza tra l’interazione con un mercante virtuale e uno fisico è che con il
primo non si può discutere a voce, guardarlo in faccia, dunque il rapporto transattivo
viene dematerializzato -> quindi l’e-commerce è la massima manifestazione di un
mercato all’interno del quale le nostre relazioni sono con persone che non
conosciamo. Di solito avvengono con persone che non conosciamo anche in un
mercato normale, ma negli ambienti fisici possiamo avere una relazione di carattere
personale e continua nel tempo che può portare alla creazione della FIDUCIA, senza
la quale i mercati non esistono. Quando compriamo qualcosa, entrando in una
relazione commerciale con un altro, dobbiamo essere sicuri che una persona che ci
vende un certo bene o servizio lo abbia nelle sue disponibilità. Se non ci fidiamo
della controparte e pensiamo che ci stia vendendo qualcosa che non è nelle sue
disponibilità, la transazione non avviene, noi non compriamo il bene.

Da dove viene questa fiducia nel venditore?


1. Dal passaparola/la vox populi/le opinioni diffuse dalla gente. Simmetricamente
dalla buona reputazione del commerciale.
2. Dal diritto. Noi entriamo in una dimensione di transazione perché dopotutto
sappiamo che se c’è qualcosa che va storto, e non siamo soddisfatti, possiamo
rivolgerci a delle agenzie specifiche che ci faranno capire che cosa è andato
storto. Ma non solo: siccome noi sappiamo che esistono il diritto, il contratto, la
polizia, quando entriamo in un esercizio commerciale, come un ristorante,
sappiamo che, tanto per cominciare non è stato chiuso per questioni di igiene.
Questo significa essere in una situazione nella quale tutta una serie di transazioni
ci riescono facilmente immaginabili perché sappiamo che in caso di frode/furto
ecc. abbiamo qualcuno a cui rivolgerci per avere ragione. Inoltre, sappiamo che
l’esistenza di qualcuno che sorveglia questi casi, fa per lo meno sì che un
esercizio commerciale aperto non abbia avuto determinati problemi in passato.

Cosa cambia nel caso dei negozi online? Spesso quando facciamo acquisti o partecipiamo ad
aste in altri paesi, abbiamo a che fare con venditori che non conosciamo, con i quali le
nostre interazioni avvengono con commenti o e-mail. Dunque, è necessario replicare il
genere di fiducia che coltiviamo grazie all’esistenza di un diritto di autorità sociale e dal
passa parola/ dalla reputazione. Come si fa? Da una parte la piattaforma, come Amazon,
garantisce e dall’altra ho un fiume di recensioni che mi fanno capire con che venditore ho a
che fare. Quindi il sistema spiegato prima in merito a “da dove viene la fiducia?” viene
applicato in modo dematerializzato. Il negozio online è stata un’innovazione straordinaria
perché non solo ha consentito a un sacco di persone di fidarsi di venditori di altri paesi, ma
ha anche permesso a moltissimi venditori non-professionisti di vendere prodotti. Negli
ultimi anni siamo passati da un mondo nel quale chi vendeva doveva avere tutta una serie di
caratteristiche (un esercizio commerciale, una licenza, un luogo in cui fare entrare le
persone), a un mondo nel quale compriamo direttamente da persone che non
necessariamente sono dei venditori di professione.
La cosa più importante è la fiducia -> senza non ci sono transazioni commerciali. Alcuni paesi
sono molto prosperi perché offrono una buona infrastruttura giuridica che per esempio
convince le persone a fare investimenti a lungo termine, mentre altri sono più poveri perché
per tante ragioni le persone non si sentono fiduciose nell'entrare in relazione di scambio con
loro. Il punto di avere buone infrastrutture giuridiche è che in loro assenza tutta una serie di
relazioni economiche commerciali non si sviluppa. Questo è importante sia per quando si
parla di semplici acquisti, sia soprattutto per quando si parla di relazioni di carattere
produttivo -> il datore di lavoro che nessuno vuole è quello per cui si ha la percezione che
possa non pagare i suoi dipendenti.

Lo Scambio per Adam Smith


Abbiamo già detto che per Smith, il fondatore della scienza economica, non scambiamo
perché sappiamo che c’è un’utilità nel farlo, ma perché abbiamo una propensione innata a
farlo. Ovviamente questa propensione è finalizzata a migliorare la nostra situazione -> non
esistono scambi economici nei quali le persone entrino con l'obiettivo di peggiorare la
propria situazione. L’obiettivo nel momento in cui si entra in una transizione economica, è
quello di migliorare la propria posizione e soddisfare le proprie necessità In “La ricchezza
delle nazioni”, Smith dice: La divisione del lavoro è (...) la conseguenza necessaria (...) di una
certa propensione della natura umana: la propensione a trafficare, barattare e scambiare
una cosa con un’altra
“Non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il
nostro desinare (pranzo), ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse. Noi non ci
rivolgiamo alla loro umanità, ma al loro auto interesse/auto amore/egoismo e con loro non
parliamo mai delle nostre necessità, ma dei loro vantaggi” — Adam Smith, La Ricchezza
delle Nazioni (1776). Spieghiamo con un esempio -> voi se entriamo in un negozio, e
vediamo una maglietta che ci piace, possiamo dire due cose alla commessa:
1. la prima strategia equivarrebbe ai loro vantaggi -> questa maglietta è stata fatta per
me, e quindi devo averla indosso io, e non ha senso che rimanga in questo negozio.
2. la seconda strategia equivarrebbe alle nostre necessità -> diciamo al venditore che
quella maglietta mi serve. Ma di solito dire “mi serve” non basta
Quello di cui parla Smith, ossia l'elemento dell'auto interesse nella cooperazione non ha a
che fare con un richiamo all’egoismo, ma con un richiamo al seguente fatto: immaginiamo
che ci siano una serie di persone che possiamo convincere della bontà delle nostre esigenze
e dell’importanza di assecondarci nelle nostre necessità -> chiamiamo queste persone “i
nostri amici”. Quanti amici (persone con cui abbiamo rapporto personale costante ed
effettivo) possiamo sperare di avere nella vita? Secondo il numero dell’antropologo Dunbart
150, ma il dato è in realtà variabile e soggettivo. Queste persone bastano per soddisfare le
nostre esigenze materiali? No -> minore è il numero di persone con cui cooperiamo,
inferiore è il numero di risorse di cui possiamo disporre. Al contrario, più sono le persone
con cui cooperiamo e maggiore sarà il numero di beni e servizi di cui possiamo disporre. Per
questa ragione noi non possiamo fare affidamento solo sulla persuasione personale legata
alla simpatia e all’affetto che possiamo suscitare, ma abbiamo bisogno di allargare la cerchia
di persone con cui possiamo cooperare. Per poterlo fare dobbiamo passare da relazioni
personali che secondo Adam Smith sono fondate sulla simpatia (legata a concetto di
empatia: nostra capacità nel mettersi nei panni degli altri), al principio del reciproco auto
interesse. Se facciamo appello alle necessità dell’altro e non alle nostre (se diciamo: siamo
disponibili a pagare questa cifra) ci mettiamo in condizione di beneficiare della cooperazione
di persone che non conosciamo. Queste persone sono in grado di avere sentimenti
simpatetici, ma noi riteniamo di non poter entrare con loro in una relazione fondata sulla
simpatia, senza conoscerle direttamente.

I mercati sono conversazioni

Il mercato è una metafora -> è il richiamo al luogo fisico per indicare tutto un insieme di
transazioni volontarie tra persone, nelle quali il venditore ha un prezzo di riserva e i
compratori hanno la loro disponibilità a pagare, e che si realizzano al momento in cui le due
cose si incontrano.
I mercati sono anche delle conversazioni, il che è stato sostenuto più volte da McCloskey e
Kremer -> vuol dire che in ogni momento dell’attività economica, che si tratti della nascita di
un progetto, della presentazione di un piano a degli investitori, dell’evento annuale della
Apple dove ci viene venduta l’ultima versione di un iPhone, o dell’incontro tra noi e il
fruttivendolo, c'è sempre un tentativo di persuasione, che non avviene al lato della
transazione stessa, ma ne è un elemento fondamentale. È il portare l'altra persona a essere
consapevole delle opportunità che con quella transazione si possono realizzare. E, proprio
perché è un atto di persuasione, è anche un atto di scambio e di mutuo convincimento
verbale -> presentare le nostre esigenze e incontrare beni e servizi che possono andare a
soddisfarle.

3.11
COSTO-OPPORTUNITÀ
È l’idea fondamentale che il costo di qualche cosa è in realtà tutto ciò a cui rinunciamo per
averla, e in particolar modo, il costo equivale a quella che ci è più gradita tra quelle che
abbiamo scartato per l’uso delle nostre risorse e il nostro tempo. Come dicevamo, il costo di
andare al cinema non è non andare al corso di tip tap, ma equivale ad andare a mangiare
una pizza con gli amici che sarebbe la mia alternativa preferita in caso non andassi al
cinema.
Per riflettere sul concetto parliamo di una poesia economica di Robert Frost chiamata “The
road not taken” (1916). Frost scrive tra inizio 900 e anni 60, ed è famoso anche per essere il
poeta che legge una sua poesia durante la cerimonia d’inaugurazione del presidente
Kennedy nel 1961 (aveva stima per lui e qualche anno prima aveva previsto che sarebbe
diventato presidente). Kennedy fu lanciato nell’empireo dei futuri grandi politici sia grazie
alla sua famiglia molto importante, sia grazie alla sua partecipazione alla 2GM e alle
memorie che scrisse, sia perché Kennedy combatte nella Seconda guerra mondiale, al suo
diventare un personaggio cinematografico prima di diventare presidente, e sia grazie alla
scrittura del libro “Profiles in courage”. Frost all’epoca era un poeta famosissimo e ha una
caratteristica abbastanza curiosa curiosa, cioè scriveva spesso di faccende apparentemente
banali (ex: scene che attengono alla vita contadina).
La poesia “The road not taken” è stata interpretata molte volte nel modo più inteso e
filosofico, come una poesia che ha a che fare con scelte fondamentali della vita, ma il poeta
stesso ci ha detto che in realtà ha a che fare con quello che succede quando si cammina nel
bosco. Ciò che succede è che continuamente ci troviamo di fronte a delle opzioni, a dei bivi.

Due strade divergevano in un bosco giallo


e mi dispiaceva non poterle percorrere entrambe
ed essendo un solo viaggiatore, rimasi a lungo
a guardarne una fino a che potei.

È nel bosco a camminare in montagna e ci sono due strade possibili. Si dispiace di non
poterne prendere tutte e due perché piacerebbe a tutti fare due cose
contemporaneamente. Ma non si può perché siamo una persona sola, abbiamo a
disposizione solo questo tempo e queste risorse. Quindi, come spesso accade quando
abbiamo una scelta da fare anche piccola rimaniamo a guardare, contempliamo le
possibilità. Capita spesso che delle due opzioni che abbiamo davanti, in buona sostanza
sembra a noi per primi che si equivalgono: non sempre propendiamo nettamente per una
scelta o per l’altra. Ovviamente ci sono questioni di fondo sulle quali la nostra opinione è
inscalfibile, ma per altre decidiamo al margine, vediamo al momento qual è l’opzione
migliore. Quindi è anche per questo che ci fermiamo a guardare due scelte per un po’,
perché infondo non sono così diverse.

Poi presi l’altra, perché era altrettanto bella,


e aveva forse l’ aspetto migliore,
perché era erbosa e meno consumata,
sebbene il passaggio le avesse rese quasi simili.

A furia di guardare questi due sentieri, prende quello che gli sembra più erboso, più bello.
Non l’ha visto subito che era più bella, non era sicuro che lo fosse, ma alla fine tra le due gli
sembra quella più interessante

Ed entrambe quella mattina erano lì uguali,


con foglie che nessun passo aveva annerito.

Oh, misi da parte la prima per un altro giorno!


Pur sapendo come una strada porti ad un’altra,
dubitavo se mai sarei tornato indietro.

Per quel giorno prende l’altro sentiero, ma magari il giorno seguente prenderà il primo.
Tante volte anche noi facciamo questo, ma poi succede che la prossima volta non arriva.

Lo racconterò con un sospiro


da qualche parte tra anni e anni:
due strade divergevano in un bosco, e io –
io presi la meno percorsa,
e quello ha fatto tutta la differenza.

La conclusione è stata spesso presa come se Frost ci parlasse delle grandi scelte della vita,
ma rileggendo la poesia e leggendola come lui ci ha detto di interpretarla, vedremo che ha a
che fare con le scelte più banali. La conclusione così forte e retorica svolge un’importante
funzione: ricordarci che anche le scelte piccole e banali sono scelte. Che anche le scelte che
hanno a che fare con le questioni più minute seguono un processo simile a quello che ha a
che fare con la scelta di questioni più importanti. Noi non scegliamo diversamente, la cosa
che facciamo rispetto al peso di una scelta è demplicemente dedicare più o meno tempo,
cercare di avere più o meno informazioni, ma il meccanismo in sé è lo stesso: siamo animali
che scelgono, e non ci è consentito non scegliere perché abbiamo a che fare con una
dimensione finita in cui le risorse a nostra disposizione e il tempo che abbiamo sono scarsi;
quindi, dobbiamo sempre scegliere come sistemare questo tempo e queste risorse e cosa
fare tra opzioni diverse. È chiaro che scelte che hanno un peso potenziale sulla nostra vita o
sulle nostre risorse a disposizione passeranno attraverso un setaccio di tipo diverso.
Una scelta complicata su cui dobbiamo fermarci molto tempo a riflettere è comprare una
casa la cui differenza tra comprare e affittare è radicarci in una città, il che è un problema
perché significa che non saremmo disponibili ad andare in un altro posto dove magari
potrebbero esserci opportunità migliori, è un vincolo.
Al contrario, acquistare un gelato è una scelta molto più semplice, si pondera meno la
scelta. Noi scegliamo sempre, c’è solo un investimento diverso in termini di tempo per
quella scelta; quindi, il meccanismo è sempre quello della scelta tra opzioni alternative (se si
entra in una gelateria non si può entrare in quella che si trova più avanti). Meccanismi simili,
tempo e ponderazione diversa. Comunque, il punto cruciale è che la scelta implica sempre la
rinuncia ad un’alternativa.

DIVISIONE DEL LAVORO


La catena di montaggio è uno dei modi in cui possiamo pensare la divisione del lavoro.
L’illustrazione (vedi PowerPoint) ha a che fare con l’esempio più noto di divisione del lavoro,
ossia quello della fabbrica di spilli. Quello che Smith ci spiega all’inizio della “ricchezza delle
nazioni” come una specie di dichiarazione di intenti del libro, nel momento che ha già detto
che la divisione del lavoro è responsabile del miglioramento del modo in cui il lavoro viene
impiegato, del fatto che le persone sono più veloci nel fare quel che fanno, che coloro che
dirigono le persone sono più bravi a metterle a fare la cosa che può riuscire loro meglio, fa
l’esempio di una piccola manifattura come la fabbrica di spilli. Il punto cruciale di Smith è
che se lasciamo un artigiano da solo tutti i giorni a fare degli spilli da zero (che sono una cosa
semplicissima, ma non un oggetto così banale) se va bene ne fa uno, se va benissimo ne fa
venti al giorno. Ma anche producendo venti spilli al giorno non si campa. Quel che succede
in una fabbrica specializzata nella produzione di spilli è che questo mestiere artigianale che
può essere fatto da una sola persona viene svolto da molte.
Nella nostra testa il miglioramento passa per uno snellimento dei processi (il fatto che io
riesco a far cose che una volta non erano nelle mie disponibilità, per esempio, grazie alla
tecnologia), ma Smith dice che il progresso consiste nel fatto che una cosa che un tempo
veniva realizzata da un singolo artigiano ora è fatta da tanti operai.

Qual è la contropartita a questa parcellizzazione del lavoro? Perché conviene che una cosa
fatta da una sola persona oggi sia fatta da molti? Allunghiamo gli stadi della produzione
perché abbiamo in cambio un vantaggio in termini di produttività. Se aumentare il numero
di persone che contribuisce alla realizzazione di un prodotto significasse avere solo più
passaggi questo non sarebbe utile, ma a più passaggi deve corrispondere un aumento del
prodotto, un numero superiore di bene realizzati nella stessa quantità di tempo. Il caso di
Smith che svolge delle osservazioni nelle fabbriche dei suoi tempi, le 18 operazioni distinte
svolte da operai differenti per la realizzazione di uno spillo fa si che una fabbrica arrivi a
produrre 12 libbre di spilli al giorno, quindi una fabbrica produce 48 mila spilli al giorno.
Quindi sono 48 mila spilli da una parte, 20 spilli dalla parte del singolo artigiano, diviso il
numero di operai è come se ciascuno di loro fabbricasse 4800 spilli al giorno. La differenza
tra 4800 e 20 è il guadagno che viene dalla divisione del lavoro, è il motivo per cui lavoro
viene diviso anziché essere lasciato indiviso al singolo artigiano.
Ovviamente però ci sono mestieri da cui non si può uscire dalla dimensione individualizzata
artigianale del lavoro, come la riparazione di oggetti fatti a mano, come le opere d’arte,
elementi d’arredo… Anche in questo caso però il livello individuale della produzione è
individuale fino a un certo punto perché anche l'artigiano ha bisogno di attrezzi, strumenti,
colori, computer, tutte cose che il singolo individuo non può autoprodurre, e fanno parte di
una divisione del lavoro esterna al singolo di cui l’artigiano beneficia.
Poiché è la capacità di scambiare che determina la divisione del lavoro, la misura di questa
divisione è sempre necessariamente limitata dall’entità di questa capacità o, in altre parole,
dall’estensione del mercato, cit. Smith.
Ossia, il grado di specializzazione che noi possiamo raggiungere è limitato dal numero di
persone con le quali possiamo scambiare. Perché? La dimensione di un mercato è data dal
numero di persone che possono partecipare agli scambi, quindi un mercato pul avere
un’estensione minore o maggiore a seconda se è un mercato nazionale per esempio sulla
base di quanto è popoloso un paese. Il fatto che ci siano più o meno persone agisce sulla
divisione del lavoro sotto due aspetti:
1) più persone significano più persone che possono specializzarsi in qualche cosa,
mentre un numero inferiore persone corrisponde a numero inferiore di persone che
possono specializzarsi in un certo mestiere.
2) un numero superiore di persone corrisponde a un numero maggiore di desideri,
bisogni e ambizioni.
E le due cose tendono ad andare assieme. Immaginiamo che un borgo di 300 abitanti sia
anche isolato, e non facilmente raggiungibile. Qual è il grado di divisione del lavoro che è
possibile ottenere al suo interno? Basso perché non ci sono molte persone, e le poche che ci
sono fanno fatica a intercettare beni che vengono da fuori. Per questo, essendo pochi e
isolati, ciascuno deve cercare di essere utile agli altri soddisfando da principio i bisogni più
urgenti come mangiare e sopravvivere (non si pensa a beni di lusso). Questa è una ragione
per cui l’arretratezza economica di popoli rimasti a stadi di sviluppo precedenti non si spiega
con differenze genetiche e radicali tra esseri umani, ma molto spesso una componente
importante che la spiega è semplicemente il fatto che sono rimasti isolati: non hanno avuto
occasioni di commerciare, scambiare beni, apprendere nuovi metodi produttivi e sapere che
certe cose erano possibili. Il numero di partecipanti al gioco dello scambio influenza anche
ciò che possiamo scambiare. I beni e i servizi non esistono indipendentemente dalle
persone che domandano, sia che contribuiscono alla loro produzione.

Spesso abbiamo sentito parlare di una macchina italiana, ci sentiamo dire che un certo bene
o servizio è “Made In Italy”. Gli italiani agli occhi degli altri hanno il senso del bello e questo
influenza il fatto che gli italiani lavorano meglio rispetto ad altri in alcuni settori. Ma nel
mondo di oggi non esiste un prodotto interamente fatto in un certo paese. Ad esempio,
un’automobile tedesca è per una certa percentuale italiana, possiede componenti
fabbricate in Italia. Anche la Barbie, una bambola che sembra essere molto semplice, se
guardiamo semplicemente da dove provengono i diversi pezzi di questa bambola ci
rendiamo conto che dietro ci sta una divisione del lavoro molto ampia. La bambola viene
disegnata dalla Mattel (California), i capelli dal Giappone, il petrolio trasformato in palline di
plastica a Taiwan, il cotone dalla Cina, gli stampi in cui la plastica viene messa proviene dagli
USA così come il design e il colore per decorarla e tutte queste cose vengono assemblate in
fabbriche in Indonesia e Malesia per poi passare in California dove c’è il confezionamento e
il controllo qualità. Dunque, la catena di collaborazione e divisione del lavoro internazionale
è estremamente ramificata anche per gli oggetti più semplici.

L’ambiguità di parlare di divisione del lavoro all’interno dell’emisfero dell’impresa significa


anche ragionare su cosa vuol dire come questi due mondi si incontrano. Il mondo della
divisione del lavoro all’interno di una fabbrica è diverso da quello della divisione del lavoro
tra imprese e persone o addirittura a livello internazionale. Perché?
- All’interno di una singola impresa: qualcuno assegna le mansioni. La divisione del
lavoro all’interno di una singola impresa corrisponde a un disegno organizzativo.
Questo ovviamente può essere rivisto quando a un certo punto la persona che si
occupa di organizzare un certo stabilimento si accorge che deve risistemare
qualcosa, riassegnare una mansione, ecc. All’interno di una certa unità produttiva ci
sono appunto questioni di carattere organizzative: qualcuno deve decidere chi fa
cosa e in che modo si organizza questo chi fa cosa, dove si prendono le decisioni
rilevanti per chi sta “sotto”. Esistono quindi problemi che attengono alla cosiddetta
governance dell’impresa: ossia a come si struttura l’organizzazione dell’impresa.

- Fuori dalla singola impresa il mondo più facile ma anche più difficile sotto certi
aspetti. L’azienda/impresa incontra la possibilità di collaborare con altre tramite un
contratto (non come con quello col lavoratore) nel quale si acquistano beni e servizi.
Quando viene stipulato un contratto di collaborazione con un singolo lavoratore
questo ha caratteristiche abbastanza permanenti, ed è anche uno scambio nel quale
le persone cedono il proprio tempo in esclusiva alle imprese, ma a fronte di una
certezza, ossia il salario. Quando però le imprese collaborano le une con le altre
stipulano contratti (che per esempio hanno a che fare con la quantità di un bene che
acquisiscono), ma la cosa interessante del rapporto tra imprese è che somiglia molto
di più a quello che noi consumatori abbiamo con le imprese rispetto a quello che
queste hanno con i loro lavoratori (chiamati anche fattori produttivi). Quando
un'impresa sceglie di acquistare un servizio o un bene al di fuori di essa lo fa come
facciamo noi quando acquistiamo un bene al supermercato o in negozio.
Qual è il vantaggio rispetto a produrre internamente?
a. costi
b. comprare un componente o un servizio anziché produrlo internamente
ha il grosso vantaggio di poter cambiare il fornitore, quindi la possibilità
di fare continuamente un processo di sostituzione.

Fallacia delle supply chain


C’è una tendenza radicata che possiamo chiamare fallacia delle supply chain che è l’idea
che siccome un prodotto/servizio è stato fin ora realizzato in un certo modo, così debba
automaticamente seguire in futuro: siccome così in passato ho fatto, dovrò fare così anche
in futuro.
Se cuciniamo e ci manca il sale, possiamo sostituirlo con delle spezie. Quello che avviene nel
mondo della produzione è simile, cioè ogni tanto le imprese si trovano in una situazione che
assomiglia a quella nella quale noi troviamo se non abbiamo sale: capita che una certa
componente di un certo bene o servizio necessario per una produzione aumenti di prezzo
(per la crisi internazionale, perché si produceva solo in un paese ora isolato, perché il
fornitore era russo, ecc.). Cosa fanno le aziende in questa situazione? Cercano dei sostituiti.
La differenza tra il mio “mi manca sale” e la “ricerca di sostituti da parte delle imprese” è
legata anche ad un'altra cosa, cioè che noi cuciniamo per noi stessi/per la nostra famiglia, e
non per un ristorante, quindi, la sostituzione del sale con delle spezie ci riguarda/riguarda le
persone per cui cuciniamo, ma non ha un aspetto commerciale; al contrario, un ristorante
professionale cerca continuamente di sostituire ingredienti con altri che diano vantaggio
(noi non cerchiamo il cioccolato a 10 centesimi in meno). Le imprese cercano
continuamente di trovare fornitori che a loro costano meno, oppure surrogati/alternative
che possono essere più efficienti e meno costose, per esempio cambiano un materiale con
cui produrre un certo pezzo di un’automobile perché ce n’è di più e costa meno.

È un processo di sostituzione che avviene continuamente, proprio come continuamente


avviene la scelta tra outsourcing e inhouse
- Inhouse: produco internamente, cioè assumo persone che si occupano di una certa
cosa
- outsourcing: compro sul mercato, cerco qualcuno che mi venda quel bene,
soprattutto nell’ambito dei servizi

Un’azienda si avvale di un interprete solo in determinate condizioni, quindi capita che


un’azienda abbia un contratto con una società che le fornisce un certo tipo di servizio
quando si presentano convegni internazionali, in occasione della stipula di determinati
accordi commerciali ecc. Ma immaginiamo un'azienda che stia attraversando un periodo di
intensa internazionalizzazione per cui suoi prodotti iniziano ad essere domandati in
tantissimi paesi diversi; quindi, è molto importante che per esempio la descrizione dei loro
prodotti sia corretta e omogenea. In quel caso può capitare e che un servizio che veniva
acquistato esternamente diventi di produzione interna: vengono assunti i vari traduttori
perché l'azienda immagina di dover ricorrere continuamente ai loro servizi, per non
contrattare ogni volta con un esterno.
Ovviamente le scelte sono influenzate da tutta una serie di fattori. In Italia molto spesso la
stessa unitò produttiva in realtà è fatta di unità giuridiche diverse: per la creazione di un
singolo prodotto o servizio lavorano enti e imprese nominalmente diverse. Perché? Perché
in Italia storicamente, per questioni legate soprattutto al diritto lavoro, non è stata molto
aiutata la crescita dimensionale delle imprese. Gli imprenditori italiani hanno preferito
consorziarsi per acquistare servizi da altri (tema dei distretti produttivi) che invece crescere
dimensionalmente e diventare più grandi sviluppando nuove divisioni all’interno della stessa
impresa. In altri paesi le cose sono andate diversamente: le imprese sono cresciute in
dimensione e hanno assunto persone senza grossi problemi, tendenzialmente perché
vengono da un contesto nel quale è possibile licenziare quei lavoratori.

La scelta tra inhouse e outsourcing si chiama anche make or buy: decidere se comprare
qualche cosa, oppure se realizzarla. La regola di carattere generale è che si confronta il costo
d’acquisto di un certo bene o servizio col costo marginale (cioè il costo dell’ultima unità di
prodotto) che avrebbe la produzione di quello stesso bene o servizio internamente. Se il
costo di produzione interna/costo marginale è superiore al costo di acquisto esterno (se mi
costa meno comprare che fare) tipicamente si compra fuori. Al contrario, se penso che
realizzando internamente un bene o servizio io ne abbia un risparmio rispetto ai costi che
affronterei, propenderò per realizzarlo interamente. Ovviamente ci sono anche dei fattori
che non riguardano esclusivamente questa comparazione e non sono associati ai costi
immediati:
1) assicurazione della qualità: tendenzialmente pensiamo di essere più in grado di
assicurare a noi stessi una qualità costante se qualche cosa la realizziamo
direttamente e se è immediatamente nelle nostre possibilità. La cosa è vera, ma fino
a un certo punto perchè ci sono meccanismi contrattuali con cui si possono vincolari i
fornitori a rispettare certi standard, ma comunque non è la stessa cosa del verificare
come sta lavorando una persona direttamente rispetto a beneficiare di un servizio
ormai realizzato e magari insoddisfaceente. La prontezza della reazione al reclamo o
all’insoddisfazione è diversa, internamente il processo è più veloce.
2) assicurazione della continuità produttiva: se al mio interno ho una divisione che
realizza una certa cosa, il suo percorso dovrebbe essere più nelle mie disponibilità
cioè dovrei essere in grado di dire “continuiamo a produrla o fermiamoci un attimo”
3) assicurazione del mantenimento di un prezzo di un certo livello

Questi sono tre aspetti che tendono a propendere per l’internalizzazione (per ricondurre
all’interno di un’impresa una certa produzione). Ma non necessariamente: pensiamo di
comprare una componente fatta solo con materie prime che vengono da un unico paese.
Anche se la trasformiamo internamente dipendiamo comunque da un approvvigionamento
da un'altra regione. In quel caso ha senso avere un contratto ben scritto, per una regolarità
di approvvigionamento da un’impresa locale, perché non possiamo assicurare internamente
la continuità di disponibilità di quella componente, percheè senza la materia prima che
viene da un altro paese quella componente non si realizza.

Il make ha una serie di convenienze intrinseche rispetto al buy. Per sostenerle spesso si fa
affidamento a contratti adeguatamente scritti. Il tema del come sono scritti i contratti per i
fornitori è uno dei temi più importanti per le imprese, ed è uno spazio di lavoro anche per il
traduttore. Se un’impresa di Sesto fa un contratto con una di Cologno la cosa è più facile
(basta un avvocato), ma se stipula un contratto con un’azienda vietnamita la cosa è diversa:
sono diversi il sistema di diritto o le prassi culturali. Pensiamo ai termini dei pagamenti: noi
italiani siamo abituati che alcuni beni o servizi si pagano a 30 giorni dalla consegna, ma
magari per altri paesi questa cosa non va bene. In questi casi un buon avvocato non basta,
ma serve un avvocato che abbia uno studio corrispondente nell’altro paese, che abbia a
disposizione colleghi che conoscono diritto vietnamita e non solo quello italiano, e magari
serve anche un buon servizio di interpretariato e traduzione.

PERCHÉ SCAMBIAMO?
Intratteniamo rapporti di scambio con altri perché abbiamo molte necessità e ci
abbeveriamo dalle capacità che altri hanno a disposizione (nell’aula non ci sarebbe nessuno
che sarebbe capace per confezionarci i vestiti). Allo stesso tempo speriamo che un giorno la
stessa cosa accada a noi, cioè vogliamo che altri si rivolgano a noi per avere beni o servizi
che gli possiamo offrire.

Scambio tra persone


Quando questo avviene tra persone, lo scambio si basa necessariamente solo sulla diversità
dei nostri talenti? Troviamo forme di specializzazione legate a talenti naturali differenti? Per
rispondere a queste domande pensiamo a un esempio classico di specializzazione e
allenamento, ossia lo sport: è vero che ci sono persone che hanno un incredibile talento ed
emergono su tutti gli altri, ma un medio sportivo professionista si distingue da un buono
sportivo dilettante perché impiega il suo tempo per allenarsi. Talenti straordinari ci sono, ma
tendiamo davvero ad enfatizzarle, perché tendiamo a pensare che una persona sia “portata”
per qualcosa, quando in realtà impiega del tempo per quella cosa.
Non è così chiaro che dividiamo il lavoro sulla base del talento naturale, anche perché la
stessa dimensione della nostra società e dei nostri sforzi produttivi supera confini nei quali
queste differenze di talento appaiono così marcate.
L’idea che la divisione lavoro dipenda dalla differenza dei talenti naturali è molto antica. Un
esempio classico e rigidissimo di divisione del lavoro è la repubblica di Platone che si basa
su una chiarissima divisione del lavoro, per cui: ci sono persone che possiedono talenti che
gli consentono di comandare o proteggere la città, e poi ci sono tutti gli altri che questi
talenti non hanno e che quindi devono occuparsi di altri mestieri.
Una conseguenza di pensare che la divisione del lavoro dipenda dai talenti è credere che
ciascuno debba fare quello in cui è più bravo, e che quindi “se un altro non è più bravo di me
a fare una certa cosa, non vale la pena che io la compri da lui”. E questo si applica anche ai
paesi.

Scambi tra paesi


Ci sono differenze tra paesi (che attengono a clima, fertilità suolo, genere di produzione
agricole ecc.), ma si è a lungo pensato che alcuni fossero naturalmente avvantaggiati a fare
alcune cose e quindi a venderle ad altri. Smith ci dice che i vantaggi naturali che un paese ha
rispetto a un altro nel produrre merci particolari sono talvolta così grandi che tutti
riconoscono quanto sia inutile gareggiare con esso: Smith dice questo avendo in mente la
produzione di vino: dice che in Scozia potremmo costruire belle serre, far crescere le
piantine di vita ecc., ma la cosa costerebbe moltissimo, sarebbe difficile realizzarla, e non
avremmo la sicurezza di una buona riuscita. Dunque, pensa che la cosa più semplice da fare
sia comprarlo in Francia o in Portogallo.
Alcuni paesi hanno dunque vantaggi assoluti. E non cercare di replicare, all’interno del
territorio nazionale, settori industriali i cui beni o servizi possono essere acquistati a prezzo
inferiore dall’esterno, è una questione importante per evitare gli sprechi. Se altrove nel
mondo c’è chi produce meglio di noi a un prezzo più basso rispetto a quello che dovremmo
pagare noi, ha più senso comprarlo da lui che tentare di produrlo nel nostro paese a prezzi
più elevati perché in qualche modo quei prezzi più elevati diventano risorse che non
possono essere impiegate per altre cose da migliorare.

Teorema dei vantaggi comparati, Ricardo


Una delle grandi rivoluzioni scientifiche nel corso della scienza economica arriva pochi anni
dopo la pubblicazione della “Ricchezza delle nazioni”, e ha a che fare con il successore di
Adam Smith nella storia degli economisti, ossia David Ricardo. Mentre Smith era di
professione uno studioso, Ricardo che pubblica “i principi di economia e della tassazione” è
un banchiere; quindi, pratica la vita economica e ha una conoscenza di prima mano della
vita economica stessa che si riverbera anche nelle sue opere. È famoso per molte cose,
alcune delle quali messe in discussione da teorici successivi, ma anche per una non è stata
rivista, ossia il teorema dei vantaggi comparati. Lo vedremo non con l’esempio originario di
Ricardo, che si basa su due paesi, ma pensando allo scambio tra due persone, postulando
esattamente come ha fatto lui che abbiamo a che fare con un mercato in cui abbiamo due
attori economici e solo due categorie di beni.

Esperimento mentale
Abbiamo due individui finiti su un’isola deserta, di nome Attilio e Renzo. Queste due
persone hanno innanzi due possibilità per soddisfare un bisogno basilare, ossia nutrirsi.
Supponiamo che per farlo possono andare a pescare o raccogliere banane, entrambeattività
che richiedono un certo tipo di perizia (per raccogliere è necessario essere capaci di
arrampicarsi, fare cascare i caschi senza che si fracassino, mentre per pescare va scelto il
luogo giusto, la tecnica, ecc.). Siccome ciascuno di questi due individui si può dedicare a una
o entrambe le attività, e siccome ciascuno dei due ha le proprie caratteristiche naturali o le
proprie dedizioni (alto, basso, più o meno capace, ecc.), ciascuno può raggiungere un certo
obiettivo di produzione
- Renzo: se passa tutto il tempo a raccogliere banane ne porta a casa 100 mazzi a
settimana, ma ovviamente nel momento ha passato tutto il suo tempo a raccogliere
banane non va a pesca e quindi non porta a casa neanche un pesce. Se si dedica solo
alla pesca porta a casa 200 pesci a settimana. Siccome una dieta solo banane o solo
pesce non va bene, Renzo però decide di fare metà e metà del suo tempo (per metà
si dedica alla raccolta di banane, e per l’altra metà alla pesca). Quindi porta a casa la
metà di quanto porterebbe se dedicasse tutto il suo tempo a una cosa o all’altra.
Porta a casa 50 banane e 100 pesci a settimana

- Attilio: è più goffo, e se si dedica solo alla raccolta di banane porta a casa 50 mazzi a
settimana. Se si dedica solo alla pesca porta a casa 50 pesci a settimana. Facendo
metà e metà del suo tempo porta a casa 25 banane e 25 pesci a settimana.

Vista così, a Renzo non interessa scambiare con Attilio, perché è meno efficiente. Il punto è
che finché i due non scambiano tra loro, il limite al loro consumo è dato dalla loro
produzione: Renzo consuma 50 e 100, e Attilio 25 e 25, e nessuno dei due può consumare
più di quanto produca egli stesso.
Ma l’isola è piccola e a un certo punto i due si incontrano. In questo momento Renzo
propone ad Attilio di scambiare 37 dei suoi pesci con 25 delle sue banane: per Renzo è una
rinuncia a un pezzettino della sua produzione (porta, infatti, a casa 100 pesci a settimana) e
chiede ad Attilio l’equivalente che è al momento la sua produzione totale di banane (25
mazzi di banane).

Cosa succede dalla settimana dopo?


L’obiettivo di Renzo è di mantenere il consumo di banane che aveva in precedenza (50 a
settimana). Siccome Attilio gliene da 25, Renzo può dedicare metà del tempo che dedicava a
raccogliere banane per raccogliere le altre 25 che gli servono perché metà gli arrivano da
Attilio. Quindi anziché dedicare il suo tempo metà alla raccolta di banane e metà alla pesca,
dedica ¾ del suo tempo alla pesca e ¼ alla raccolta di banane. Siccome può dedicare alla
pesca anche metà del tempo che prima dedicava alle banane, succede che anziché pescare
100 pesci ne pesca 150 (non 200 perché non può dedicare tutto il tempo alla pesca).
Attilio deve dare le 25 banane a Renzo, 25 banane sono il massimo di produzione e consumo
che ha dedicando il suo tempo metà alla raccolta di banane e metà alla pesca. Se si dedica
integralmente alla raccolta di banane ne raccoglierà 50, di cui 25 ne dà a Renzo, 25 ne tiene
per sé (esattamente come prima) ma non pesca neanche un pesce, ma abbiamo detto che
Renzo gliene offre 37.

Quindi, la situazione è:
- Renzo si trova 113 pesci (ne pesca 150 e 37 ne dà ad Attilio) e 50 banane (25 ne
raccoglie per sé e 25 ne dà ad Attilio).
- Attilio non pesca, ma prende 37 pesci da Renzo.
Questo vuol dire che la microsocietà di Attilio e Renzo si trova ad avere inalterato il
consumo di banane (Renzo ne continua a consumare 100 e Attilio 50). Ma la differenza è che
siccome Renzo è andato a pescare, a fronte del suo consumo di 50 banane, Renzo consuma
113 pesci e Attilio, che ne consumava 25 ora ne può consumare 37.
37-25=12; 113-100=13: per il semplice fatto che si sono messi d’accordo, la loro società è
(12+13=25) 25 pesci più ricca. Renzo non si è messo a scambiare con Attilio perché
quest’ultimo era più efficiente, ma perché scambiando con lui, Renzo stesso ha potuto
cambiare l'allocazione del suo tempo e specializzarsi ulteriormente.

È un esempio che Riccardo fa occupandosi di importo e di stoffe e pesando all’Inghilterra e


al Portogallo, e che ci dice che ciascun individuo e paese tende a specializzarsi nella
produzione in cui ha un vantaggio comparato: significa che il costo-opportunità è inferiore
nella produzione di un bene anziché di un altro. Renzo si specializza nella pesca, mentre
Attilio nella raccolta di banane perché ciascuno ha un costo-opportunità in quella
produzione inferiore rispetto all’altro (in questo caso) dell’unico altro bene disponibile.
Questa è la ragione per cui Riccardo diceva: “anche se noi inglesi siamo più efficienti in
produzioni diverse ci conviene comunque specializzarci e scambiare con altri, perché solo
così possiamo specializzarci e diventare ancora produttivi nel bene in cui abbiamo il costo-
opportunità minore”.

Il primo vantaggio della specializzazione è la specializzazione stessa. Quindi anche in una


situazione idealizzata e semplificata come questa (perché normalmente gli scambi sono fatti
da numero sterminato di attori che devono confrontarsi con le decisioni più diverse a
cominciare dalla decisione fondamentale cioè la faccio io o cerco di comprarla?) i due attori
guadagnano per fatto specializzarsi. La specializzazione aumenta anche nella società la
produttività: il fatto che uno si focalizza sulla produzione della pesca e l’altro alla raccolta
delle banane. È anche chiaro qual è la prima ragione per cui conviene scambiare espressa
nella formula che “se non scambiamo il limite del nostro consumo è la nostra produzione”.
Se una comunità vive isolata può consumare solo ciò che produce

IL SISTEMA DEI PREZZI


Uno dei problemi dell’economia complessa è quello del coordinamento. Anche nel nostro
esperimento mentale la prima cosa che implica una collaborazione tra Attilio e Renzo è una
forma di coordinamento: Renzo prende l’iniziativa e dice ad Attilio: io ti do 37 pesci in
cambio di 25 mazzi di banane (è anche vero che col tempo queste quantità si aggiustano.
Una delle critiche che a volte viene fatta a Ricardo è che questa è una situazione
presuppone che sia tutto statico, che ci siano solo quei pesci, che non arrivino altri animali
per dedicarsi alla caccia, che Attilio non migliori mai, ecc.). Il problema di coordinamento è
tanto maggiore quanto ci estendiamo da una situazione di fantasia nella quale ci sono solo
due persone a una che approssima di più la realtà delle cose e nella quale le persone sono
milioni.
Per poter sfamare la popolazione di Milano si verifica uno straordinario coordinamento di
persone che non stanno obbedendo a nessuno, non c’è il piano regolatore del pranzo, cena
o colazione, ma ci sono rapporti che si basano sull’auto interesse delle parti: ciascuno di
questi attori economici ha il suo obiettivo (chi realizzare un profitto, chi guadagnare un
salario, chi poter beneficiare di un certo consumo) e tutti interagiscono in un modo
coordinato ex post, ma che non rientra in una pianificazione ex ante. L’opera di
coordinamento è regolata attraverso l’auto interesse (do qualcosa che l’altro vuole e prendo
ciò che voglio io)

Come si regola il processo attraverso l’auto interesse? Con una serie di scambi monetari che
hanno come strumento/mezzo di scambio il denaro, e abbisognano di prezzi. Alcuni prezzi
sono l’esito di una contrattazione che avviene in maniera palese e sotto gli occhi di tutti (se
andiamo su eBay per comprare un vinile vediamo che c’è un certo prezzo di riserva che ha in
mente il venditore, e facciamo una proposta sulla base della nostra disponibilità a pagare:
da lì il prezzo di riserva e la nostra disponibilità si incontrano e si arriva alla determinazione
di un prezzo). Ma la maggioranza dei prezzi che ci troviamo davanti li abbiamo direttamente
fronte: al supermercato compriamo un prodotto col prezzo che ha, e non lo contrattiamo
con la cassiera.
Il fatto che non vediamo la contrattazione non significa che non avvenga: comprandolo
confermiamo che quel prodotto per noi ha il suo prezzo adeguato, ma ci sono altri casi in cui
non siamo sicuri della nostra scelta (sul momento scegliamo una marca di biscotti o di acqua
rispetto a un'altra perché in quel momento ci sembra migliore a parità di qualità rispetto
all’altro). Molti marchi non competono sul brand, ma sul prezzo e in questi casi accade che
ogni tanto un prodotto nuovo con un prezzo leggermente inferiore inizia a guadagnare
quote di mercato: molte persone vanno al supermercato e vedono che l’acqua di una certa
marca costa meno e quindi iniziano a comprarla. Cosa dovranno fare il supermercato o gli
altri produttori? O riescono a convincere i consumatori che la loro acqua costa di più per un
certo motivo (è quello che di solito fanno i brand: Tom Ford ci convince che il suo profumo
merita di costare il 30% in più degli altri), ma se non riescono nel loro intento, l’unica chance
è cercare di prezzi. L’esempio dei supermercati funziona fino a un certo punto perché
supermercati hanno prezzi leggermente diversi per diverse tipologie di beni (un certo
supermercato può avere prezzi più bassi per i detersivi, altri per l’acqua ecc. è uno dei modi
in cui si fanno concorrenza gli uni con gli altri).
Questo tipo di negoziazione sui prezzi avviene tutti i giorni su internet. Una delle
caratteristiche di Amazon è che se vendiamo una felpa su uno store aziendale, la stessa è
presente anche su Amazon. Nello store aziendale si pratica uno sconto particolare, allora
Amazon istantaneamente abbassa il prezzo sul suo store. Uno dei modi in cui ha guadagnato
quote di mercato è precisamente l’adeguamento istantaneo al prezzo più basso che viene
praticato per uno stesso bene da qualcun altro su internet. A volte questo adeguamento
non è così istantaneo e su internet abbiamo la possibilità di confrontare i prezzi e questo
porta a rivolgere la domanda a chi pratica prezzi più bassi: se la domanda si sposta dove i
prezzi sono più bassi succede che c’è una pressione ad abbassarli anche da parte degli altri.

Alcuni parlato di beni che possono essere considerati i sostituti gli uni degli altri (compra una
marca di acqua invece che un'altra a seconda del suo prezzo), ma ci sono anche beni che a
un certo punto possono diventare obsoleti e soppiantati da beni diversi, per via delle mode,
della tecnologia che avanza, ecc., e ci sono anche servizi che non ci servono più.
Immaginiamo che da domani tutta la popolazione italiana sapesse anche lo spagnolo: non è
una buona notizia per chi lo studia che fino al giorno prima aveva una competenza da
scambiare con la società, ma che ora risulterebbe inutile.

Il prezzo è sostanzialmente un indicatore, e cambia:


- talora sulla base di cose che vediamo evidentemente, come una contrattazione a
cielo aperto: madre al mercato che negozia in modo agguerrito con l’ortolano
- talora sulla base di una serie di cambiamenti della disponibilità a pagare delle
persone: se non sono più disponibili a pagare un tot per un certo bene questo dovrà
essere rivisto. Perché se le persone non sono più disponibili a pagare quella cifra
quel bene resterà sugli scaffali o in magazzino, e, a meno che il produttore sia
convinto che il tempo di quel prodotto tornerà nel giro di qualche anno, cercherà di
sbarazzarsi di quella merce.

Tendenzialmente c’è sempre un prezzo al quale un certo scambio/una certa transazione è


possibile. Noi abbiamo una certa disponibilità a pagare per qualsiasi cosa (se una maglietta
non mi piacesse non la pagherei 50 euro, ma ne costasse solo 3 la comprerei). L’effettiva
transazione ovviamente dipende dall’incontro di chi vende e di chi compra, cioè dalla
disponibilità a pagare e dal prezzo di riserva. Prezzo di riserva e disponibilità a pagare non
sono fissi
- disponibilità: in estate saremmo stati disponibili a pagare 0 per una stufa, mentre in
autunno siamo disponibili a pagare almeno 2.
- Prezzo di riserva: cambia se il venditore sta vendendo facilmente la sua merce (c’è
molta domanda per quel prodotto), o se questa riamane invenduta.

Perché il prezzo è un indicatore sintetico? Grossomodo sappiamo quali sono le nostre


preferenze, quelle dei nostri amici, e in alcuni ambiti possiamo avere un’idea di quali sono
quelle della società in cui viviamo, ma non sappiamo mai quali sono quelle di tutti in merito
a tutti i beni e servizi ipoteticamente disponibili.
Il prezzo di qualcosa ci segnala il lavoro fatto da altri. Esempio: se qualcuno va cena e non
conosce alcun vino per orientarsi gli viene utile il prezzo. In teoria se costa meno la sua
qualità è inferiore, viceversa se costa di più è probabilmente più buono/raro e dato che
costa di più posso assumere che anche altre persone sono disponibili a pagare di più per
berlo. Se volessimo smontare l’indicatore prezzo e vedere cosa ci sta dietro troveremmo
molte cose come, per restare nell’esempio:
- il tempo d’invecchiamento del vino: chi deve vendere deve attendere più tempo.
- la scarsità rispetto al bisogno e alle preferenze. Non la scarsità in generale perché un
bene potrebbe essere scarsissimo ma se non è mai domandata non è una scarsità
rilevante sotto il profilo economico. La scarsità rilevante non è se ce n’è tanto o
poco, ma se ce n’è tanto o poco rispetto al desiderio delle persone.
- Il prezzo di solito rivela anche la difficoltà nella realizzazione di un certo bene:
l’acqua, che è alla base della nostra vita, costa così poco e i diamanti che non
servono a niente costano così tanto. I diamanti sono più rari e incrociano un bisogno
diverso, l’acqua è essenziale ed è abbondante anche rispetto al bisogno che noi
abbiamo (se immaginiamo di avere problemi con le risorse idriche allora anche il
prezzo cambierà)

Se un prezzo elevato, cosa ci dice della domanda rispetto alla disponibilità di un certo bene
o servizio? Non tutti prezzi elevati segnalano una domanda di massa. Un prezzo alto tenderà
a dirci che quel bene a quel prezzo incontra un numero di persone disponibili a pagare
superiore rispetto ai beni disponibili, che la domanda è elevata rispetto alla disponibilità del
bene. Altrimenti, il consumo non verrebbe razionato. Il prezzo funziona un po’ come la
formazione di una coda in prossimità ai quadri di un museo: i quadri davanti ai quali c’è
molta fila sono quelli più famosi, indipendentemente da quello che sia il loro valore artistico,
sono famosi e per questo più graditi al pubblico. Quindi il prezzo segnala sempre una
relazione tra la scarsità di un bene e il bisogno di quello stesso bene.

Allo stesso tempo è importate sapere che i prezzi sono sempre relativi e consentono di
confrontare un bene rispetto a un altro. Quando utilizziamo le nostre risorse per acquistare
un bene ovviamente abbiamo sempre delle alternative, nella definizione delle nostre
abitudini d’acquisto anche questo entra in relazione: ciò che per noi è saliente quando
valutiamo i prezzi delle varie cose è il prezzo di una cosa come indice di scarsità maggiore o
minore della cosa che vogliamo o meno acquistare rispetto alle altre.
I prezzi non sono solo quelli dei beni di consumo. Se fosse così il mondo sarebbe molto più
semplice. Il sistema dei prezzi regge soprattutto tutte le decisioni che hanno a che fare con
componenti e fattori produttivi, che si tratti di cose o di lavoro umano, che si tratti di
scegliere di acquistare certe componenti o macchinari o di scegliere di impiegare certe
persone invece che altre. In particolare, quando si tratta di scegliere quali fattori produttivi
impiegare per una certa produzione il confronto del prezzo del bene è immediatamente
misurato in unità di prezzo dell’altro bene. Esempio: quando arrediamo una casa
ragioniamo su cosa metterci dentro e finiremo per riflettere sul prezzo delle lampade
rapportato a quello degli armadi. quanti pezzi di mobilio compro se rinuncio al lampadario
che mi piace tanto. Siamo di nuovo nella questione della ricetta della sostituzione: quanto di
qualcosa altro posso scambiare con un quanto di qualcosa a cui rinuncio.

Economia di Robinson Crusoe


L’economia di Robinson Crusoe è composta da due persone, lui e Venerdì. Questa economia
ha un aspetto strepitosamente comodo, ma ha un problema, cioè che il limite del consumo
è la produzione (esempio di Attilio e Renzo). Però, rispetto alla produzione, Robinson è il
padrone di tutto ciò che fa perché l’economia in cui lui e venerdì vivono è un’economia in
cui entrambi sono produttori e consumatori di quel che producono, e non hanno scambi
monetari. Quindi, quando la produzione è orientata al consumo è un processo circolare,
tutto interno alla stessa persona: io decido quanto sforzo mettere nella realizzazione di un
certo bene rispetto a un altro, perché io ne sono al 100% il beneficiario. Ex: Se non mi piace
il risotto con gli asparagi, non mi metterò di certo a cucinarlo, ma il cuoco non ha a
disposizione questa scelta: deve cucinarlo per i suoi clienti anche se non gli piacciono gli
asparagi. Questo perché la produzione in un’economia complessa è la produzione per il
consumo altrui, e non per il proprio. Possiamo pensare per assurdo a un produttore di
motociclette che va in giro solo a piedi, l’imprenditore sceglie cosa produrre per gli altri e in
questo i profitti e le perdite sono per lui una guida essenziale a come orientare la propria
produzione.

Profitto: è quello che resta una volta pagati tutti i costi. Non arriva tutti i mesi per contratto
come il salario, ma c’è quando si immette sul mercato un bene o un servizio che
sostanzialmente rende all’imprenditore più di quello che gli è costato. Quindi è
sommamente aleatorio, ma perché ci sia due condizioni sono necessarie:
1. aver scoperto un bisogno di altre persone: può essere un bisogno a cui nessuno
aveva mai pensato prima, o che magari avevano anche pensato altri, ma che io
penso di soddisfare in modo migliore. Ci sono però tanti imprenditori che
rincorrono domande che alla prova dei fatti non ci sono: sviluppano prodotti che le
persone non domandano.
2. Non solo una domanda, ma na domanda alla quale corrisponde un numero di
persone disponibile a pagare un certo prezzo per quel bene o servizio

Se ragioniamo sulla produzione astrattamente, siamo portati a immaginare il prezzo di un


bene come qualcosa che arriva alla fine di un processo: immaginiamo di realizzare un certo
bene/servizio in un certo modo e alla fine ci costa tot. Quello che ci è costato aggiungendo
qualcosa per noi che ci resti deve essere il prezzo del bene.
Questo è vero ma fino a un certo punto: se quel prezzo non incontra una disponibilità a
pagare da parte delle persone il mio lavoro è stato inutile se non controproducente, ho
sprecato delle risorse. Lo spreco è l’utilizzo di risorse che potevano essere utilizzate
altrimenti per realizzare cose che le persone non vogliono, e che quindi restano invendute.
Cosa fanno le imprese per cercare di non sprecare risorse? Non partono dalla ricetta, ma dal
prezzo che pensano che un certo servizio o bene possa spuntare in un dato mercato di
riferimento. Esempio: ripetizioni che posso dare a degli studenti. Per misurare il prezzo,
bisogna guardare il prezzo praticato dalle altre persone che fanno quel mestiere. Se il
mercato si allarga e iniziano ad esserci molte persone che fanno ripetizioni online, il prezzo
per quell’attività di abbasserà. La concorrenza è uno dei fattori del prezzo, oltre alla materia
insegnata e al tempo dedicato (se devo impiegare molto tempo per ristudiare quella materia
e credo che la remunerazione non sia adeguata non lo farò).
Questo è quello che avviene su larga scala in un’economia di mercato: le imprese iniziano
dal prezzo e sulla base del prezzo che pensano di poter esigere tendendo conto della
disponibilità a pagare dei loro potenziali acquirenti per quella cosa specifica (che spesso ha
contorni più delimitati possibili: non è il prezzo che la gente è disponibile a pagare per una
pizza in generale, ma per una pizza fatta in un certo modo in un certo posto e a determinate
ore). Sulla base del prezzo che pensano di poter praticare, ragioneranno anche su quello che
può essere messo all’interno del prodotto: non utilizzano cashmere per fare un maglione
che pensano di non poter vendere a più di 20 euro, se utilizziamo un certo tipo di cashmere
sarà perché pensiamo di poter incontrare per quel prodotto una disponibilità a pagare di un
certo tipo.

Quindi in un’economia complessa il prezzo non è solo l’esito finale della contrattazione/il
momento in cui domanda e offerta si incontrano e la transazione si compie, ma è la guida
della produzione. Certo, spesso si sbaglia a tarare una certa produzione su un certo prezzo,
ma il prezzo che si pensa di poter applicare ad un certo bene è il modo nel quale si guida la
costruzione di un prodotto, cioè la scelta di determinati fattori produttivi rispetto ad altri. Se
immaginiamo di aprire un marchio di abbigliamento a prezzi popolari difficilmente
assumeremmo Valentino perché possiamo immaginarci di remunerare la creatività fino a un
certo punto. Se immaginiamo di aprire un chiosco di panini, difficilmente prenderemo un
cuoco stellato, perché non è un fattore produttivo che possiamo remunerare con il bene che
abbiamo in mente di produrre a quel prezzo.
Quindi, l’idea di bene che vogliamo produrre e l’idea di livello di prezzo che pensiamo
incontri una disponibilità a pagare determina la selezione dei fattori produttivi. Alcuni fattori
produttivi possono e vengono utilizzati per produrre un certo tipo di bene, altri no. Il
problema è che questo meccanismo di determinazione del prezzo non avviene solo per i
beni di consumo (ultimo pezzo del tragitto dell’economia), ma anche per quello che c’è
prima, per tutte le cose che non vediamo e di cui non ci rendiamo conto, ma essenziali a
produrre beni, come: materie prime, strumenti, macchinari, persone.

Da questo punto di vista è importante capire che possiamo classificare i beni come beni di
ordine inferiore o superiore
- Beni di ordine inferiore: non sono le cose di qualità scarsa o meno pregiata. Sono i
beni di consumo, ciò che noi compriamo (pantaloni, pizza, iPad), sono quelle più
vicine al momento del consumo da parte degli individui e che soddisfano
direttamente le esigenze.
- Perché noi si possa avere questi beni esistono una serie di altri beni i quali hanno
l’unico effettivo scopo di aiutarci a realizzare i beni di ordine più basso.

Ma non ce n’è solo uno, ma tanti: per realizzare la passata di pomodoro abbiamo bisogno di
una serie di macchinari, che a loro volta hanno bisogno di altri macchinari, che hanno
bisogno di una certa lega di ferro per esempio, ecc. I beni di ordine superiore sono tutti
quelli che possiamo scomporre tutte le cose che ci servono a realizzare altre cose, cioè beni
che vanno a soddisfare il consumo. Questi beni hanno un valore solo nella misura in cui
servono a realizzare quelli di ordine inferiore. Ci sono delle produzioni in cui lo stesso
macchinario non può fare mestieri diversi, per esempio: per realizzare una certa automobile
bisogna avere un certo tipo di macchinario, che non si adatta alla produzione di un'altra: le
macchine che servono per fare la panda non vanno bene per fare la 500. Quindi il processo
di produzione di un’auto è lungo: in media ci vogliono circa cinque anni da quando il
designer e il produttore hanno un’idea al momento nel quale la prima macchina esce da uno
stabilimento. Tutti i beni realizzati nel corso di questi cinque anni sono finalizzati per
produrre un bene di consumo, ossia l’auto, che è un bene di ordine inferiore (o di primo
ordine), gli altri sono bene si secondo, terzo, quarto ordine e sono bene di ordine superiore
finalizzati a quella produzione.
Esempio biscotto alla nutella Ferrero: dall’idea del biscotto a quello disponibile ci sono voluti
10 anni, mentre noi già da piccoli eravamo arrivati a quell’idea e l’avevamo realizzata
unendo due frollini e mettendo la crema nel mezzo. Perché ci è voluto così tanto tempo?
Banalmente era necessario aumentare la produzione di nutella stessa: questo significa fare
accordi, trovare fornitori di materie prime ecc. Se semplicemente spostassi la nutella che
produco dai barattoli ai biscotti già fatti non farei una cosa così sensata. Invece l’obiettivo è:
continuo a vendere la nutella che vendevo prima (o magari un po’ di più: man mano che
paesi si arricchiscono ne consumano di più), ma allo stesso tempo creo anche un prodotto
nuovo. Come deve funzionare un biscotto di quel tipo? Il nostro biscotto autoprodotto non
era sempre regolare e non possedeva sempre la medesima quantità di nutella, ma quando
prodotti dalla Ferrero questi devono essere pressoché perfetti: devono avere certe
dimensioni, non devono spaccarsi facilmente, devono avere sempre le stesse quantità di
nutella, impacchettamento ecc. Ognuno di questi aspetti deve trovare la sua risposta in un
macchinario adeguato: uno che prema insieme le due facce del biscotto, uno che limi la
nutella attorno, e faccia si che questi biscotti siano tutti uguali.
Quindi l’equivalente su scala industriale di qualcosa che facevamo da piccoli costa un
impegno di dieci anni e una serie di beni di ordine superiore che non servono ad altro che
alla realizzazione di quel bene di ordine inferiore. Questo è un prodotto semplice, ma non
osiamo pensare cosa comporti la realizzazione di un complessissimo orologio.
TRIANGOLO

È un triangolo degli stadi di produzione, ossia del processo che ci porta ai beni di ordine
inferiore. Le colonne rappresentano gli stadi precedenti della produzione che corrispondono
ai beni di ordine superiore: beni che ci servono per produrne altri. L’ipotenusa segnala il
passaggio dagli stadi precedenti a quelli più avanzati (gli stadi saranno tanto più precedenti
quanto più lontani al bene di consumo). E danno anche l’idea della progressione e del
rapporto, cioè di come molto spesso anche la scarsità relativa dei beni di un ordine rispetto
a un altro è diversa: i beni di consumo devono essere necessariamente di più rispetto al
numero di macchine necessarie a produrli (la macchina che produce un bene di consumo
non è una macchina mono prodotto, altrimenti parleremmo di una produzione artigianale).
Quindi i beni di ordine superiore producono più beni di consumo.

INTERESSE E CREDITO
Meglio un uovo oggi che la gallina domani: perché il domani è incerto. Nel momento in cui
consumiamo un bene di consumo sappiamo che ne stiamo estraendo l’utilità che possiamo
estrarne, che ne stiamo godendo ma se vi rinunciamo per un certo periodo di tempo ci
esponiamo a una condizione di incertezza. Mentre il consumo che faccio oggi è di palmare
evidenza nei suoi effetti rispetto a me e ai miei obiettivi, un consumo differito (magari più
grande e importante) è un consumo che non so se riuscirò a incontrare: può succedere di
tutto per cui quell’aspirazione non viene risolta. Per questo i beni presenti tendono a essere
considerati più preziosi di quelli ipotetici, proiettati in un futuro lontano. Gli economisti
chiamano la cosa preferenza temporale: è la tendenza delle persone a preferire la fruizione
immediata a un consumo differito.
Questo significa che: se preferisco godere oggi di qualche cosa, cosa motiverà una mia
eventuale rinuncia? Se scelgo di non spendere oggi 5 euro ma di spenderli tra un anno,
affinchè io rinunci a un consumo deve esserci un interesse, deve essere remunerata la mia
attesa. Se non sono remunerato per il tempo che attendo o se il valore del denaro
diminuisce è possibile che i miei 5 euro tra un anno valgano 5 euro meno il 10%. Quindi,
l’astensione dal consumo deve essere remunerata.

spezzone di Mary Poppins: Lo sgradevole vecchio banchiere e i suoi collaboratori spiegano in


modo attraente e semplice a un bambino quello che fa a una banca, ossia ospitare il denaro
dei correntisti che viene lasciato su questi conti correnti. I correntisti vengono remunerati
con un interesse perchè se il loro denaro fosse depositato su un conto con la stessa logica
per cui si apre una cassetta di sicurezza e vi si lasciano le stesse banconote, la banca
dovrebbe farsi pagare dal correntista: sostanzialmente la sua funzione sarebbe quella di una
grande cassaforte che protegge il denaro così com’è. In realtà il modo in cui funziona il
rapporto è che il denaro depositato sul conto viene remunerato. Oggi ci sono molte banche
che hanno conti deposito, ossia conti su cui si può vincolare la permanenza di una certa
somma (dicendo: per due anni non la tocco) a un interesse corrisposto più alto
Da dove viene questo interesse? La banca prende i soldi dai correntisti e li usa a sua volta
per prestare denaro a delle imprese che hanno invece attività rischiose, e hanno bisogno di
soldi o per la loro attività ordinaria, o spesso anche per avviare le proprie attività le quali
sono disponibili a restituire in futuro molti di più dei quattrini ricevuti. È la stessa cosa che
facciamo noi quando sottoscriviamo un mutuo: oggi prendiamo in prestito una certa cifra
ma riconosciamo che in futuro dovremmo rendere di più di ciò che abbiamo preso in
prestito: remuneriamo il fatto che l’istituto di credito non abbia utilizzato quella cifra per
un'altra necessità, e paghiamo di più il fatto di averne beneficiato subito nel momento del
bisogno.

Questo ci porta a due considerazioni:


1) La vita economica delle persone avviene nel tempo e nello specifico le nostre azioni
sono orientate al futuro: noi compriamo una cosa per consumarla dopo, facciamo un
investimento per averne un vantaggio futuro. L’azione umana in economia è volta a
cercare di migliorare la propria situazione, ma non retrospettivamente: non è
possibile migliorare la nostra situazione nel passato, ma si può migliorare quella di
unlfuturo è immediato (se mangio un gelato so che il mio umore migliorerà non
appena l’avrò finito), o più lontano (per influenzarlo bisogna agire oggi).
2) L’azione umana è sempre rischiosa: ci sono tipi diversi di rischi con cui abbiamo a che
fare. Il rischio di scivolare uscendo dall’università e slogarsi una caviglia è diverso
dall’essere derubato all’uscita della IULM. La probabilità che si verifichi l’una o l’altra
cosa è abbastanza differente. Ma in generale non esistono esiti garantiti e
soprattutto non esiste una perfetta corrispondenza tra l’intenzione dell’azione e il
suo esito: posso sviluppare un certo prodotto che però può non piacere.
Ovviamente, esattamente come noi sbagliamo, ci correggiamo: uno dei problemi che
abbiamo con scelte economicamente più importanti come quella dell’acquisto della
casa è il tempo di correzione che abbiamo a disposizione. Ex: compro un gelato che
non mi piace, lo butto, entro nella gelateria successiva. La correzione ha un piccolo
costo, ma tutto sommato è abbastanza immediata. Il fatto che la correzione sia così
facile e così poco costosa è anche parametrato rispetto al prezzo che ho pagato. Al
contrario, ci sono decisioni che cambiare o correggere hanno un costo molto elevato
(scelta di una casa, scelta di una professione).
Quindi la dimensione della rischiosità di qualsiasi azione e quella del tempo (soprattutto
come variabile che ha a che fare con la possibilità di correggere le nostre azioni) sono
analiticamente diverse ma strettamente collegate.
Quando ragioniamo sulla preferenza temporale e su questioni come interesse e credito,
stiamo discutendo dello spostamento di beni dal futuro al presente, ovvero, visto dall’altro
lato della medaglia, dello spostamento di beni dal presente al futuro. Questo processo non è
mai privo di costi:
- il costo di sostenere questo anticipo di risorse: quando firmiamo un mutuo ci
impegniamo a remunerare alla banca più di quanto ci viene prestato. Come già detto
paghiamo il fatto che l’anticipo viene dato a noi e non ad altre persone, o non usato
dalla banca per altre cose.
- il rischio di offrire questo costo: nello stesso tempo quando la banca ci concede
questo mutuo sta correndo il rischio di perdere soldi (potremmo morire prima di
finire di pagare il mutuo, raro vedere ottantenne a cui viene concesso un mutuo,
potremmo perdere il lavoro o fuggire).

17.11
Ciascuno di noi tende a preferire l’uovo oggi alla gallina domani per la ragione che l’uovo
oggi c’è, mentre la gallina domani attiene a un esito possibile inevitabilmente influenzato da
circostanze che sono al di fuori del nostro controllo.
Ragioniamo sul ruolo del tempo nell’azione umana e in particolare nell’azione economica
Le nostre azioni sono sempre proiettate al futuro: non siamo in grado di porre in essere
azioni che modificano il passato (una volta che gli eventi si sono determinati non possiamo
influire su di essi). Le azioni sono sempre proiettate al futuro, decidiamo di fare qualcosa
con l’obiettivo di cambiare la nostra situazione futura. L’obiettivo della maggior parte delle
persone è quello di migliorare la propria situazione, e da questo punto di vista il motore
dell’azione umana, e specialmente economica, è l’insoddisfazione: se le persone fossero
sempre soddisfatte della situazione in cui si trovano, non avrebbero bisogno di provare a
modificarla. Volere di più non significa desiderare la villa a Dubai, ma migliorare un po’ la
propria situazione, avere più risorse per fare vacanze più lunghe, vivere in una casa più
confortevole, far studiare i figli in un’università migliore, ecc.
Il problema è che l’azione umana influisce sul futuro, è mossa dall’insoddisfazione, ma
avviene anche nel tempo, il quale influenza a sua volta l’effetto di qualsiasi decisione
economica. se dico: prenoto una crociera per il prossimo maggio do per scontato che sarò
nelle condizioni per farlo, ma mi possono capitare imprevisti: un incidente, un’opportunità di
lavoro, la perdita del lavoro. Quindi ogni volta che si prende una decisone che ha effetti
molto più in là nel tempo, si ha a che fare con una conoscenza molto parziale e una capacità
previsiva ridotta di ciò che succederà dal momento in cui si prende la decisione al momento
in cui questa paleserà i suoi effetti. La cosa vale a maggior ragione per qualsiasi
investimento:le persone tendono a fare degli investimenti perché immaginano che in quel
modo i loro risparmi crescano di valore. Ovviamente esistono tipologie di investimenti molto
diversi rispetto al rischio a cui si va incontro, per cui se un venditore di un certo prodotto
finanziario ci prospetta un elevato ritorno sull’investimento, il prodotto che ci sta vendendo
è molto rischioso: a remunerare l’elevato ritorno è il la disponibilità di aver scelto un
impiego che magari non avrà alcun ritorno, o peggio, che magari comporterà la perdita dei
risparmi investiti. Viceversa, quando ci viene prospettato un prodotto finanziario con un
ritorno molto basso, significa che il prodotto tende ad essere fatto di cose che sono state
investite in modo più sicuro.
In questa cornice bisogna tener conto di due cose:
1. Tutti gli esseri umani tendono a sopravvalutare la propria fortuna: di solito gli esseri
umani tendono a pensare che il mondo andrà a catafascio, ma per sé andrà tutto
bene. esempio: le persone giocano alla lotteria perché nel momento in cui lo fanno
sono convinte che quei pochi o tanti denari che mettono in questo gioco d’azzardo
avranno, o possono per lo meno avere un esito estremamente positivo, che ai loro
amici non accadrà mai, ma a loro si. Tendiamo quindi a sopravvalutare la nostra
fortuna, a pensare che le cose a noi andranno meglio.
2. Tutti gli esseri umani pensano che il mondo andrà a pezzi: non c’è una generazione
che non abbia pensato che il mondo dopo di loro sarebbe scomparso. Tendiamo
infatti a credere che la crisi economica sia incombente, che non sia possibile fidarsi
degli altri. Ma, al contrario, sovrastimiamo il modo in cui ne usciremo.

Torniamo a investimenti e risparmi: una delle questioni fondamentali della vita e non solo
dell’economia, è come si impara dagli errori. Noi impariamo meglio dagli errori altrui e non
dai nostri perché questi non li riconosciamo (facciamo fatica a dire: ho sbagliato, e meno a
dire: ha sbagliato). L’importante è saper correggere le nostre azioni quando i loro esiti non
sono coerenti con quelle che erano le nostre ambizioni, ma farlo cambia in base all’azione
che abbiamo compiuto. Infatti, se entriamo in una gelateria che non ci piace e in cui
abbiamo speso 5 euro, possiamo tranquillamente decidere che non ci torneremo più: il costo
del nostro errore è di soli 5 euro. Immaginiamo poi di dover correggere scelte con un impatto
più importante sulla nostra vita come sposarci: il costo della correzione di un matrimonio è
molto rilevante, sia dal punto di vista psicologico, che economico (anche nella più amichevoli
delle separazioni).
Il problema principale del tempo è che più questo passa, più la correzione di una certa scelta
diventa costosa: cambiare carriera all’inizio della vita lavorativa costa relativamente poco,
ma farlo dopo svariati anni costa moltissimo. E anche il fatto che in alcuni casi per
comprendere se ho fatto un errore o meno devo aspettare del tempo, anche questo
concorre a far diventare più costosa una scelta, che per questo deve essere molto ben
ponderata. Tanto più gli effetti di una decisione si diluiscono nel tempo, quanto più la scelta
diventa complessa e diventa anche complicato stimarne le conseguenze: si può iniziare a
fare un master sulla base di un certo mercato del lavoro, ma nel mentre può avvenire un
qualche tipo di cambiamento che rende quel genere di carriera obsoleta. Per questo tutte le
scelte che hanno a che fare con un investimento a lungo termine saranno più costose
quanto è più lunga la durata (ripensando al concetto di opportunità per cui rinunciamo ad
altro per fare qualcosa). Il fattore di rischio e di incertezza dovrebbe portarci a fare scelte
più meditate: l’acquisto di impulso di un paio di scarpe ha conseguenze limitate nel tempo,
diversamente dall’acquisto d’impulso di un immobile.

Cosa viene remunerato? Facevamo l’esempio delle bottiglie di vino: ci sono produzioni di
vino per cui lo stesso esito della trasformazione di uva in vino ha come esiti potenziali
tipologie di vino molto diverse, il caso più tipico è che lo stesso terreno e la stessa uva
possono produrre Nebbiolo (5 euro) e Barbaresco (25 euro). La differenza è che il Nebbiolo
si imbottiglia e si vende subito dopo, mentre per il Barbaresco bisogna aspettare due anni.
Non è il tempo di per sé che aggiunge valore al Barbaresco, perché se le caratteristiche di
quell’uva fossero tali per cui io la lascio lì e quella in due anni diventa aceto, non lo pagherei
di più, ma di meno. Quindi non si sta pagando il tempo perché il tempo di per se non
aggiunge valore, ma quello che pago è il genere di trasformazione di questo vino, dunque il
suo stare in botte, poi in bottiglia per un certo lasso di tempo, che fa sì che questo vino
abbia caratteristiche diverse, che le persone apprezzano di più (motivo per cui posso esigere
un prezzo più alto).
Ma guardiamo le cose dal punto di vista del produttore: perché deve domandare un prezzo
più alto per questo vino che riposa nella sua azienda per due anni? Noi consumatori, quando
compriamo la bottiglia, la troviamo già così, ma per il produttore:
1. il costo opportunità di tenere quella bottiglia in cantina è rappresentato dal fatto di
non averla venduta come “Nebbiolo” (vino meno costoso) nel momento in cui l’ha
imbottigliata. Il produttore ha rinunciato a un incasso immediato e ha deciso di
aspettare due anni prima di poter vendere il suo prodotto, anche con un certo grado
di incertezza
2. si assume un rischio: magari quel vino in due anni si rivelerà di una pessima annata e
le persone non sono disponibili a pagare 25 euro ma solo 21.
3. dovrà anche stoccare quel vino, e gli spazi per lasciarlo a riposo sono costosi.
4. e soprattutto non deve avere il problema di avere una fonte di entrate perché sa che
per il periodo dell’invecchiamento non lo potrà vendere. La vendita di quell’oggetto
non concorrerà a produrre delle entrate per l’azienda.

Per questa ragione, in linea generale un processo di produzione più veloce è preferibile a
uno più lento. Se il produttore di vino potesse venderci il Nebbiolo (imbottigliato e venduto)
allo stesso prezzo del Barbaresco (che deve aspettare due anni per mettere sul mercato)
venderebbe solamente il vino imbottigliato oggi, non avrebbe tempo diluire nel tempo la
possibilità di avere un incasso. In qualsiasi circostanza si può si tende a preferire un processo
di produzione più veloce, ma non si può sempre: per esempio, se parliamo del processo
produzione di un nuovo modello di automobile, sappiamo che dall’idea del design al bene
terminato passano in media 5 anni.

Come si calcola il tempo d’attesa che vale la pena aspettare per avere un certo rendimento?
Oggi ci sono metodi sofisticati per produrre una stima di questo tipo, ma sono comunque
parziali, non abbiamo un metodo certo per arrangiare quella che possiamo chiamare la
“struttura temporale” della produzione (ricordiamo il triangolo, il come disponiamo i diversi
fattori produttivi nel tempo).
Un elemento significativo è che in un’economia di mercato non abbiamo bisogno di saperlo,
perché soprattutto quando i fattori produttivi sono molteplici e hanno diversi proprietari
(per esempio: quando per fare un’automobile devo realizzare dei macchinari che realizza
un'altra impresa con altre materie prime fornite da un’altra), questi si aggiustano sulla base
dei calcoli dei diversi attori economici coinvolti. Questi calcoli sono sempre delle congetture,
non c’è spazio per la sicurezza. Ci sono congetture più o meno complicate e richiedono
studio e applicazioni precedenti e differenti. Per esempio, se abbiamo a che fare con il lancio
di un prodotto su un mercato nuovo che non conosciamo ci avvarremo di tutte le
informazioni disponibili (letture, esperti, consulenti, focus group, tentativi di venire alle
prese con un mercato che non ci è noto); ma se invece abbiamo a che fare col lancio di un
minimo cambiamento di un prodotto in un mercato che conosciamo benissimo, molto
spesso facciamo riferimento a delle intuizioni imprenditoriali. Non è che l’intuizione non
esista nel primo caso, ma nel secondo il costo dell’intuizione sbagliata è molto inferiore che
nell’altro. Nel secondo caso possiamo permetterci di seguire il nostro istinto, perché nel
caso in cui abbia torto non facciamo un grande danno, ma nel primo caso lo dobbiamo
corroborare.
In qualche modo questa cosa avviene anche in tutti i calcoli monetari che attengono alla
produzione. Facciamo un banale esempio: uno dei problemi più rilevanti in Italia attiene i
pagamenti della pubblica amministrazione che paga i suoi fornitori molto in ritardo. Alcuni
anni fa la regione Campania riuscì ad abbassare in modo molto netto la spesa per le
forniture medico-sanitarie. Come? Si era impegnata a pagare i suoi fornitori a 60 giorni.
Cioè: prima il prezzo praticato alla regione quando comprava siringhe, mascherine e altro
materiale medico-diagnostico, era molto più elevato di quello praticato alla regione
Lombardia perché le imprese disponibili a vendergli quei materiali, sapendo di essere pagate
quasi un anno dopo che la merce veniva consegnata, aumentavano moltissimo il loro prezzo
di vendita, dato che incorporava l’attesa per il pagamento. Se per la stessa cosa lui mi paga
a 90 giorni e l’altro a 300, venderei solo a lui, ma siccome si deve vendere anche all’altro
perché non ci si può permettere di non assicurare forniture mediche, in quel caso si pratica
un prezzo molto superiore in modo che i tempi d’attesa e l’incertezza che accompagna
l’attesa vengano ripagati. Con questo esempio vediamo che il fattore tempo entra sempre
nei prezzi.

TASSO DI INTERESSE
La fornitura di denaro con restituzione dilazionata nel tempo deve essere remunerata, dare
alle persone soldi oggi significa che dovranno restituirli a un prezzo più elevato in futuro. Il
tasso di interesse remunera la rinuncia, ossia il fatto di essersi preclusi dell’utilizzo di quel
denaro.
In qualche modo il tasso di interesse assomiglia a quello di cambio: quando si esce dall’area
dell’euro e si deve pagare, per esempio, in dollari bisogna tradurre da una valuta all’altra e
capire quanto si sta effettivamente spendendo per un certo bene. Il tasso di interesse è
come fosse un tasso di cambio, in cui però le due valute in questione non sono l’euro e il
dollaro, ma sono, per esempio, l’euro del 2022 e l’euro del 2030.
Esempio: oggi ci sono molti conti deposito/vincolati: conti corrente in cui lasciamo il denaro
per un certo periodo di tempo, il quale sarà remunerato sulla base dell’interesse che quel
conto ci offre. lascia sul conto almeno 1000 euro per 5 anni, e avrai il 4%. Aderendo a
un’operazione di questo tipo bisogna ragionare su quale sarà il rapporto di cambio tra l’euro
del 2022 e l’euro, in questo caso, del 2027 (dopo 5 anni). Se pensiamo che l’euro del 2027
varrà più o meno uguale a quello del 2022, un rendimento del 4% è una bella cosa; ma se
per certe ragioni (sfaldamento EU, crisi, ecc.) immaginiamo che nel 2027 ci saranno le lire al
posto degli euro, o che il potere d’acquisto dell’euro 2027 sarà del 20% inferiore a quello del
2022, non apriremo questo conto deposito con la sua resa del 4%, che non metterà in
sicurezza nei nostri risparmi. Siccome non sappiamo quale sarà il valore dell’euro nel 2027
ciascuna di queste congetture/speculazioni può avere un esito molto positivo, o un esito
disastroso.
Noi parliamo spesso di un tasso di interesse, ma in realtà non esiste un tasso di interesse
unico per tutti gli impieghi. Il tasso di interesse è diverso a seconda del genere dell’impiego
e in particolare a seconda della rischiosità dell’impiego. Quando noi ragioniamo del tasso di
interesse di una società, questo mette assieme impieghi molto diversi (dalla costruzione di
immobili all’acquisto di strumenti finanziari, alla realizzazione di nuove imprese), ma queste
attività hanno un rischio differente, il quale ha effetto, per esempio, sulla disponibilità a
prestare delle banche. L’apertura di un nuovo esercizio commerciale, come un bar, in un
centro città, come Milano, rappresenta un rischio diverso che la nascita di una start-up volta
a realizzare una app di un certo tipo. Il prestatore di denaro ha un atteggiamento diverso a
seconda del tipo di attività che si vuole aprire e del tipo di impiego che comporta.
*impiego: Insieme di operazioni mediante le quali le banche concedono risorse finanziarie 
All’incrocio delle cose e del tempo sta la figura peculiare dell’imprenditore. Spesso tendiamo
a pensare che la figura imprenditoriale sia una figura di successo, ma in realtà si tratta di
persone diverse all’interno della società. A Milano, per esempio, la stragrande maggioranza
di imprenditori (di persone che avviano un’azienda) sono italiani di una generazione, cioè
migranti e la maggioranza delle imprese che costoro fondano sono attività molto piccole
come chioschi o kebabbari. Da questo punto di vista le imprese sono esattamente come gli
esseri umani, tutte nascono piccole, ma la differenza tra queste e gli esseri umani è che non
hanno un ciclo di vita predeterminato e non è detto che tutte possano crescere. Ci sono
infatti imprese che hanno limiti evidenti alla crescita -> banalmente, se una grande sartoria
diventa un’impresa più grande, diventa un'altra cosa, ossia un’impresa di moda che produce
abiti che per lo meno da principio sono confezionati, ma non hanno più l’elemento di
personalizzazione delle sartorie.

Qual è il ruolo dell’imprenditore?


Pensiamo a Briatore: gestiva (era il manager) una squadra di formula 1, e per farlo cosa
doveva fare? organizzare: l’attività organizzativa ha a che fare con fattori produttivi dati: ci
troviamo a gestire un’azienda, e la prima cosa da fare è farla funzionare bene. Fare
funzionare bene una cosa richiede una serie di talenti e abilità particolari, cioè:
1. leadership: riuscire a far lavorare gli altri. Per questo ci vuole autorevolezza,
capacità di ascolto e di riconoscimento dei meriti altrui (chi non sa riconoscere i
meriti dei suoi collaboratori, tenderà a perdere quelli migliori, soprattutto in un
mercato in cui ci sono molte opportunità)
2. precisione: spesso i bravi imprenditori sono persone che si ricordano le cose.
Nell’attività di un’azienda si tendono ad affidare dei compiti, a prendere
respondabilità ma spesso le cose si sfilacciano:
spesso alle intenzioni non segue il fatto e qualcuno si dimentica di fare qualche cosa
(succede anche nelle compagnie di amici). In un team, soprattutto di alto livello, c’è spesso
un fiorire di ottime intuizioni, ma non c’è nessuno che metta le persone intorno al tavolo,
assegni i compiti e verifichi che questi vengano svolti. I grandi sistemi d’organizzazione del
lavoro, come uffici e fabbriche, sono sostanzialmente posti che nascono per accertarsi che i
compiti assegnati vengano effettivamente svolti. La fabbrica nasce nella seconda metà del
700 nel modo in cui la conosciamo oggi, ma non è che prima non esistessero imprese.
Esistevano, ma gli imprenditori si confrontavano con i lavori assegnati a cottimo (che ogni
lavoratore faceva nella propria bottega) poi li raccoglieva e li trasformava in prodotti che
vendeva. Questa cosa funzionava, ma era molto meno efficiente che avere sotto gli occhi le
persone che lavorano in vista di un certo obiettivo, e verificare immediatamente se stanno
facendo progressi verso quell’obiettivo o meno. È la stessa logica dell’ufficio: al capo ufficio
non fa granché piacere vedere i propri collaboratori tutti i giorni, ma farlo è il modo migliore
per accettarsi che questi stiano effettivamente svolgendo i loro compiti, e non in generale,
ma in un certo lasso di tempo, finalizzati alla realizzazione di un certo manufatto e un certo
servizio in quel lasso di tempo.

Ps: questo ruolo imprenditoriale oggi diventa quello che chiamiamo ruolo manageriale.
Nelle imprese complesse e grandi per dimensione molto spesso non c’è più l’imprenditore,
o alcune funzioni imprenditoriali vengono spostate su figure di manager e non di
imprenditori, che per questo hanno differenze eclatanti: hanno un salario, mentre
l’imprenditore vive di profitto (quello che rimane quando sono stati pagati i costi). Nelle
grandi attività aziendali moderne l’imprenditore non c’è più, pensiamo al caso di
imprenditoria dell’Esselunga: fino alla morte del suo fondatore è stata gestita col pugno di
ferro da un uomo che ha licenziato pure suo figlio, tanto era allergico alla
managerializzazione della sua azienda. Tutti i giorni faceva il giro dei suoi negozi per
assicurarsi che i prodotti fossero messi nel modo giusto, fossero freschi, che il centro di
distribuzione funzionass ecc. Era una attività fortemente imprenditoriale ma alla sua morte,
Esselunga è diventata un’attività managerializzata: ha un presidente, un amministratore
delegato, un consiglio d’amministrazione, ecc. Molto spesso le attività più autenticamente
imprenditoriali sono quelle più piccole e più giovani, fondate da un singolo attore, e nelle
quali davvero l’imprenditore vede tutto e coordina tutto.

3. Rischio: Richard Cantillon, è il personaggio che ha inventato il ruolo


dell’imprenditore. Era un finanziere irlandese ma trapiantato in Francia della fine
600. Scrive uno dei primi di testi di economia, una quarantina di anni prima della
“ricchezza delle nazioni” di Adam Smith, “il saggio sul commercio in generale”.
Scrive: “la circolazione e lo scambio delle derrate e delle mercanzie, come pure la loro
produzione, avvengono in Europa ad opera degli imprenditori e a loro rischio”.
All’epoca la lingua inglese la parola “imprenditore” non la aveva. Adam Smith parla di
undertakers.
Cos’è per Cantillon l’imprenditore? Vediamo il caso del mercante di stoffe: “il mercante di
stoffe è un imprenditore che acquista stoffe dal fabbricante a un prezzo certo, per
rivenderle a un prezzo incerto perché non può prevedere la quantità del consumo; se non
riesce a ottenerlo, se i clienti lo abbandonano per comprare a miglior prezzo da qualcun
altro, egli sarà gravato dalle spese in attesa di vendere al prezzo che si è prestabilito, e ciò lo
rovinerà altrettanto se non di più che se vendesse senza profitto.”
Le parole chiave sono certo e incerto -> dal punto di vista di un imprenditore che sistema i
diversi fattori produttivi, i suoi imput hanno un prezzo definito. Ovviamente la produzione di
qualcosa che poi diventa un imput per qualcun altro pone ciclicamente lo stesso problema,
ma se prendiamo una figura imprenditoriale a un certo livello, come il supermercato, questo
deve comprare i beni che poi rivenderà a un dato prezzo (questo è esito di una
contrattazione, questo prezzo conferma o meno le congetture di prezzo che hanno avuto
quei produttori). Dal punto di vista del retailer, nel momento in cui la contrattazione si
chiude deve comprare a quel prezzo. quel prezzo, firmato il contratto è certo. Il prezzo che
egli si impegna a corrispondere al lavoro (salario agli impiegati) è certo da contratto.
Quel che è incerto, dal suo punto di vista, è il prezzo che i consumatori saranno disponibili a
pagare per quei beni. Il caso del supermercato è banale perché le persone devono
mangiare, ma pensiamo a un negozio come Cool Foods o l’Esselunga alla sua nascita.
Quest’ultima venne fondata sul concetto che il centro dal quale vengono smistati i prodotti
freschi deve essere a una distanza minima rispetto ai punti vendita perché nell’Italia
dell’epoca, in cui iniziavano a nascere i supermercati, le insalate venivano che per essere
vendute a Firenze arrivavano a Trento, per esempio. Ovviamente l’idea era che se i prodotti
fossero stati più freschi rispetto agli altri supermercati, i consumatori sarebbero stati
disponibili a pagarli di più. Questa cosa non era certa, ci potevano essere persone non
interessate ad avere prodotti più freschi.
Cool foods è oggi una catena famosa di prodotti biologici ad alta qualità, ma quando venne
fondato non si sapeva se le persone sarebbero state disponibili a pagare un prezzo più
elevato per quei beni. Era una congettura, sicuramente resa probabile dall’andamento
dell’opinione pubblica, dal senso crescente di passione per la sostenibilità, ma niente era
certo.
Di solito tutte le grandi idee imprenditoriali sono ovvie: quando un’idea ha successo ex post
sembra sempre una banalità e la reazione è “lo avrei potuto fare anche io”, ma in realtà ex
ante non era così ovvia perché altrimenti qualcun altro lo avrebbe già fatto prima. Molto
spesso le grandi idee imprenditoriali connettono in maniera così evidente dei bisogni noti e
facilmente comprensibili della popolazione che sembrano quasi ovvietà e stupidaggini: ex
ante molto probabilmente non lo erano, e a nessuno era venuto in mente di fare
precisamente quella cosa lì.

Era solo un’ora e mezza?

24.11
Il ruolo del tempo: l’azione umana è sempre azione nel tempo, è un’azione che ambisce ad
avere un’influenza sul futuro prossimo o meno prossimo. Il fatto che l’azione sia collocata
nel tempo fa si che ogni tanto spostiamo risorse dal presente al futuro, questo è quello che
capita quando ci indebitiamo. Questo succede quando non abbiamo abbastanza soldi per
coprire le spese che dobbiamo affrontare, quindi in qualche modo anticipiamo risorse future
che dovremo pagare. Quando invece ci indebitiamo come imprese lo facciamo per un
investimento, cioè stiamo utilizzando quelle risorse per acquistare un immobile per la nostra
attività, dei macchinari eccc… quindi in quel caso qual è la razionalità di prendere in prestito
risorse dal futuro? Pensiamo che facendo un investimento oggi riusciremo ad avere dei
ricavi maggiori, quindi la sfida del prendere risorse in prestito dal futuro è tipicamente
quella che prendendo ora quelle risorse, la nostra attività riuscirà ad avere una velocità di
crescita più alta. Quindi, in futuro potremo agevolmente pagare il debito nel quale siamo in
corso. Con la necessità di cercare sempre di traguardare il futuro viene anche l’incertezza e il
rischio, fattori da tenere presente e un’altra cosa da tenere presente è che prendere risorse
dal futuro non è mai esente da costi perché le risorse dal futuro le prendiamo a prestito da
altri.

Cosa fa si che Ferrero diventi un successo a livello mondiale? Le cose che fa piacciono, senza
aver identificato una domanda ed esserle andato in contro il successo dell’imprenditore è
impossibile. Quando parliamo di Ferrero parliamo di una domanda quasi universale, in
realtà la maggior parte degli imprenditori non pensa a una domanda che coincide con il
mondo. L’orizzonte di consumatori che traguardano è verosimilmente un orizzonte limitato:
quando si pensa alla maggioranza dei prodotti che sono in commercio c’è una definizione ex
ante della nicchia di consumatori che si vuole andare a prendere.
Oltre a fare cose che piacciono, questi grandi imprenditori diventano tali perché arrivano
per primi anche su prodotti e realtà che non sono brevettabili (per esempio il te freddo non
è brevettabile). Ferrero fa innovazione, in alcuni casi inventa prodotti che sono solo suoi e
poi fa una cosa straordinaria per l’epoca (anni 60): in Italia era l’epoca in cui le persone
iniziavano ad avere tutte un’automobile e cominciano a nascere i primi supermercati. Da
qui, Ferrero ha l’idea di prendere uno stand e metterlo di fianco alla cassa vendendo dolci in
monoporzioni. Fare la spesa per un bambino è noioso, quindi alla fine il bambino deve avere
un premio e Ferrero lo inventa e questo dura tutt’oggi.
Questo vuol dire che l’innovazione imprenditoriale ha tante forme: può essere innovazione
dell’oggetto che viene offerto, ma anche l’innovazione del metodo produttivo e anche
un’innovazione “accessoria”, ovvero un’innovazione distributiva (pensare per esempio di
mettere insieme due prodotti e venderli insieme, cambiare luoghi). Tutte queste cose che
danno un panorama che noi diamo per fatto, sono il frutto dell’attività imprenditoriale.
Prodotti innovativi: kindle (libri digitali + amazon ed è questo che fa la differenza, l’ampiezza
di risorse), innovazione di materiale per esempio nei negozi di articoli sportivi (nylon).
Tuttavia, la novità da sola non basta, la novità deve saper intercettare una domanda o
traguardare un bisogno: ci sono tante novità che non traguardano dei bisogni. Pensiamo agli
aggiornamenti dei software, magari in una versione vengono introdotte nuove funzionalità
che non rimangono in quella successiva perché si setacciano le funzioni effettivamente usate
dai clienti e quelle che invece non sono piaciute.

Mentre la scelta o meno di inserire una novità in un prodotto, di innovare la produzione di


un servizio proviene dall’imprenditore, il confronto con la domanda come avviene?
All’origine c’è sempre una congettura, ma il test della domanda si viene a verificare nel
momento in cui si immette nel mercato: non tutte le idee piacciono o sono giuste nel
momento opportuno. Prendendo in esempio Steve Jobs, era una persona ossessionata da
un’idea e la sua idea era che l’elettronica di consumo dovesse essere anche esteticamente
gradevoli. Tuttavia, nel momento in cui si affaccia sul mercato con il suo primo prodotto non
è così, perché un computer sia apprezzato come oggetto deve esserci un utilizzo, cioè le
persone devono avere idea di che cosa se ne faranno e le persone devono avere delle
ragioni per acquistare un prodotto e la cosa complessa per cui un prodotto dovrebbe
vendere è intuire quali possano essere queste ragioni. Un caso classico sono le
videocassette: nascono in due tipi diversi (betamax e vhs). Dal punto di vista della
performance l’opinione degli esperti è unanime, cioè che il betamax è migliore, ma lo
standard che si impone è il vhs. Questo perché anche se gli esperti non avevano considerato
questo, per vedere un film di tre ore il vhs stava su una sola cassetta, mentre il betamax no.
Quindi, molto spesso le visioni dei tecnici non collimano con le ragioni della domanda dei
consumatori, dopodichè qualsiasi bene fa parte di una costruzione di identità.

Quanto poi a creare un bisogno, soprattutto su un prodotto nuovo, la questione è


indovinare un bisogno che possa esserci: in alcuni casi si ha successo, in altri no perché si
scopre che alle persone non interessano alcune cose. Sono state diverse le innovazioni
annunciate come la più grande svolta nella mobilità urbana (segway), ma non è andato
molto bene perché non incrociava un bisogno.
Fare una congettura/immaginare un prodotto che incrocia un certo bisogno, che lo anticipa,
non significa solo che possa esserci una certa esistenza, ma trovare il modo di soddisfare
una certa esigenza a un certo prezzo. a tutti piacerebbe avere una poltrona che si sdraia e
dormire durante un viaggio aereo: ci sono persone che possono permetterselo e altri no o
magari pensano che quello non valga i soldi che gli vengono richiesti. Pensiamo a tutte le
tipologie di abbonamento proposti ogni giorno: quanto sono disposte a spendere le persone
per un certo servizio? Il problema di chi lo vende è che ognuno è disposto a pagare in modo
differente (i 60enni abituati a leggerlo saranno più disposti, i giovani che non l’hanno mai
letto meno). Allora se non vuole vendere solo a un certo target, deve porsi il problema di
quanto potrebbero essere disponibili gli altri. In qualche modo questo prezzo deve
incrociare il bisogno sia di chi lo troverà straordinario per la loro disponibilità a pagare più
alta, sia di coloro che non sono avvezzi a utilizzare quel servizio. Quindi, la costruzione non è
solo individuare una necessità, ma è pensare a qual è il prezzo al quale si può vendere.
Questo è ciò che porta l’imprenditore a scegliere quali sono i fattori di produzione che può
usare: se penso che venderò un orologio a 90 euro/50 euro, verosimilmente non si possono
utilizzare gli stessi mastro orologiai del rolex, non posso utilizzare l’argento… devo
selezionare i materiali in vista del prezzo che penso di poter praticare.
Tendiamo a pensare che il processo che porta da un’idea a immetterlo nel mercato sia un
processo lineare, invece il processo è opposto: penso a qual è il prodotto che voglio mettere
sul mercato, penso a quanto posso chiedere e ricostruisco andando indietro quali sono i
fattori della produzione che posso pensare o meno di utilizzare.

Questo ci porta a vedere una delle caratteristiche dell’imprenditore, che è quello di essere
un fattore di coordinamento. Lo è dal punto di vista del consumatore (riesce a coordinare
l’individuazione di un bisogno con un’offerta che lo va a incontrare), ma soprattutto un
coordinatore dei fattori produttivi che servono a realizzare un certo bene.
Esempio: cucine da incubo, lo chef viene spedito a occuparsi di ristoranti che vanno male. Il
problema nel quale lo chef quasi sempre incappa è quello della gestione del menù. Hanno
una carta lunghissima per cui devono approvvigionarsi di tutta una serie di materiali, che
devono anticipare dei soldi in vista che quei soldi ritornino loro nel momento in cui i clienti
acquistino determinate pietanze.
L’imprenditore deve coordinare i fattori produttivi non solo dal punto di vista organizzativo,
ma deve anche utilizzare bene le materie prime necessarie, acquisire i componenti giusti per
arrivare a realizzare un certo bene al prezzo nel quale immagina che possa incontrare la
disponibilità a pagare delle persone.
Questo viene fatto da molti piccoli e medi imprenditori in modo assolutamente istintivo, ma
è quello che l’imprenditore fa. Ciò che muove l’imprenditore è il profitto. Questa è la
differenza tra un salariato e un imprenditore: l’imprenditore sostiene il rischio di accusare
una perdita, cioè se la sua congettura riguardo la realizzazione di un certo prodotto a certe
condizioni e la sua capacità di incontrare la disponibilità a pagare è corretta, una volta pagati
tutti i costi avrà un profitto elevato. Ma se la sua congettura è sbagliata, l’imprenditore
accuserà una perdita. di perdita in perdita poi si arriva a un momento in cui l’imprenditore
deve cessare la propria attività.

Per questo, Cantillon identifica correttamente la questione con questa formula: cioè che le
diverse figure imprenditoriali sono tutte accomunate dal fatto di avere dei costi che sono
sostanzialmente fissi (quanto pagare per affittare gli immobili, i salari, approvvigionamento
di beni…). A fronte di queste spese fisse, ciò che non conoscono è il prezzo al quale
effettivamente riuscirà a rivendere il bene frutto di tutte queste spese. Quindi, all’aspetto
del coordinamento, va aggiunta un’altra caratteristica, cioè il rischio. Svolgendo la sua
attività, l’imprenditore riduce il rischio dei suoi dipendenti. La maggioranza delle persone
non ha una buona propensione al rischio e quindi tenderanno a volere uno stipendio fisso
ed è una ragione per la quale le persone sono disposte a scambiare un impegno definito in
termini di tempo, in cambio di questa certezza.

Il coordinamento è dunque un aspetto dell’attività imprenditoriale, l’altro aspetto è avere a


che fare con il rischio, e il profitto? È la molla scatenante dell’attività imprenditoriale, ma è
importante capire che è uno strumento segnaletico. Cioè, se una volta assolti tutti i costi
effettivamente c’è un profitto, significa che si sono messi insieme fattori produttivi coerenti
con l’obiettivo dell’imprenditore, segnala che le scelte di produzione sono state corrette, ma
non che non possono esserci scelte di produzione migliore, che qualcun altro proprio
avendo visto il buon profitto possa sviluppare, coordinare ancora meglio i fattori produttivi e
quindi fare un profitto maggiore. Il fatto che ci sia concorrenza serve proprio a valutare qual
è il profitto del mio sforzo rispetto ad altri sforzi paragonabili.

Prima abbiamo parlato di innovazioni, di cambiamenti impressi da una figura


imprenditoriale al contesto competitivo. Da questo punto di vista un elemento cruciale
dell’attività imprenditoriale (soprattutto quella di maggior successo) è precisamente la
capacità di vedere qualcosa che altri non hanno visto. Pensiamo anche semplicemente a
come cambia la composizione delle attività che troviamo nelle strade delle città: una cosa è
l’idea di una particolare collocazione nello spazio, capire che una certa area era adatta a una
certa attività. Più difficile è vedere ciò che gli altri non vedono ancora quando si tratta di
grandi innovazioni (plastica, biro, tecnologie di conservazione del cibo). Sono innovazioni
che hanno visto l’incontro della possibilità di immaginare un utilizzo a fini pratici di una
ricerca scentifica, che molto spesso non ha utilizzo immediato.
Chi vince tanto nella gara imprenditoriale è chi arriva prima, e chi prima di altri immagina
un’applicazione, un bene, un servizio che incontrano a quelle condizioni la disponibilità a
pagare da parte delle persone. Ci sono ambiti in cui arrivare prima significa anche
appropriazione legale, il caso classico sono le medicine: non c’è il segreto industriale per i
farmaci, per cui c’è la tutela brevettuale. In questo caso la vittoria di essere arrivati primi
garantisce un monopolio legale per un certo periodo di tempo (vale per tutti i beni
brevettati). Ma in ogni caso arrivando per primi di solito si beneficia dei vantaggi di essere
primi, ma anche perché significa che nessun altro ha fatto la mia stessa scommessa e il
capitale che viene impiegato per quella scommessa sarà remunerato di più (rischio più
elevato).

Nel caso dell’imprenditore è sbagliato identificare la disponibilità delle risorse con la sua
figura perché il mestiere dell’imprenditore non è quello di mettere risorse a favore di una
produzione (coordinatore, rischio, contributo di creatività e immaginare risposte). Non
abbiamo parlato di disponibilità economica. Spesso molte attività imprenditoriali nascono
con un numero molto ridotto di capitale e nel caso delle attività imprenditoriali più elevate il
capitale viene prestato.

Produzione significa trasformare risorse in beni (non solo cose, ma cose che incontrano un
bisogno e sono beni economici perché sono scarsi). In un mondo in cui si produce, il mercato
non è altro che una rete di decisioni attraverso le quali i proprietari di risorse elaborano piani
per vendere risorse ai produttori, i produttori elaborano piani per acquistare risorse dai
proprietari delle risorse per poi venderle, sotto forma di beni prodotti, ai consumatori, e i
consumatori elaborano piani per acquistare i beni dai produttori”
La produzione è una forma di trasformazione, sicuramente di materie prime, ma anche di
competenze, di abilità. Il fatto di detenere una competenza non necessariamente produce
un servizio, ma questo servizio non esiste se non c’è una condizione nella quale queste
competenze possono trasformarsi in una cosa che altri sono in grado di comprare.
L’imprenditore somiglia all’impresario teatrale: non recita, non per forza possiede
l’immobile in cui realizza il suo teatro, non è costumista, non è regista, non sa come
funzionano le luci… quello che fa è connettere e coordinare tutte queste competenze
diverse e trovare il modo che queste competenze producano un servizio.

Ciascuno dei detentori di queste risorse agisce da economizzatore: se deteniamo una certa
risorsa, la priorità è farsi pagare il più possibile per quella risorsa. Il processo di
coordinamento che svolge l’imprenditore si verifica in un contesto in cui ciascuno dei
detentori di risorse che deve coordinare cercherà di ottenere la più elevata remunerazione
possibile per quelle risorse.
Quando colui che detiene una certa risorsa potrà chiedere un prezzo più alto quando
detiene una risorsa che altri non hanno, quando è più scarsa. Pensandola dal punto di vista
del lavoratore ordinario, il lavoratore riuscirà ad ottenere una remunaerazione più alta
quanto più è competente e specializzato. Un altro modo è ampliare il numero di datori di
lavoro potenziali è più probabile che si incontri qualcuno disponibile a pagare di più per
quella competenza. È la stessa cosa che accade con i servizi e beni: in un luogo con molta
popolazione ci sono dog sitter o tatuatori che fanno solo un certo tipo di tatuaggi, in una
situazione più limitata è più improbabile che una persona che offra questo tipo di servizi sia
in grado di trovare una domanda.
Questo aspetto dell’economizzazione riguarda tutte le figure in gioco: il detentore di risorse
vorrà farsi pagare il più possibile, simmetricamente colui che acquista lavoro/risorse vorrà
pagarle il meno possibile e il consumatore vorrà pagare un certo paniere di beni al prezzo
inferiore possibile per quel paniere di beni. Ciascuna delle figure in campo è quindi
impegnata a trarre quanto più possibile a sua disposizione (risorse da scambiare o denaro da
scambiare con esse).

Tutto ciò che abbiamo detto sull’attività di coordinamento, sulla sua capacità di traguardare
l’evoluzione delle domande future, sul suo arrivare primo e per questo avere un vantaggio,
la caratteristica fondamentale è qualcosa che viene chiamata “prontezza” (capacità di
reazione a qualcosa). Vuol dire adattarsi alle mutate condizioni di mercato, ovvero intuire
prima che queste condizioni cambieranno. Questa prontezza si concreta nella disponibilità a
fare dei tentativi speculativi, cioè a mettere in campo delle congetture su come si
modificherà un certo scenario, su come cambieranno le preferenze delle persone. Alla fine,
il nocciolo dell’attività imprenditoriale è comprare qualcosa a un prezzo più basso di quello a
cui può essere rivenduto, solo che nel caso della produzione di un bene o servizio questo
non significa comprare un bene che già esiste e rivenderlo, ma comprare risorse che poi
devono essere combinate per realizzare un certo bene. queste risorse però devono costare
meno del prezzo che io riesco a praticare su un bene. Questa prontezza mette insieme la
capacità di coordinamento, di fare arbitraggi (vedere ciò che costa meno e combinarlo per
fare qualcosa di maggior valore quindi un profitto…).

Cos’è il capitale? Serve per avviare una produzione, non è la produzione stessa. Se
prendiamo in esempio l’università, il suo capitale è il campus (senza il campus la produzione
del servizio non sarebbe possibile), il mobilio, gli apparati elettronici, alcune risorse
finanziarie che servono a pagare il personale. Questo per dire che il capitale ha una
caratteristica molto complicata, cioè è eterogeneo: anche il lavoro non è tutto uguale
(un’ora di lavoro di un’interprete è diversa da quella di un chirurgo), però sempre ore e
sempre esseri umani sono. Per quanto riguarda il capitale invece, pensiamo al capitale di un
ospedale: le attrezzature che hanno, la struttura, ma anche l’aspetto alberghiero
dell’ospedale, in alcuni casi brevetti. Mentre

Mi manca ultima parte

1.12
1.12.2022
BENI ECONOMICI
Risorse idriche
Produrre significa trasformare risorse in beni. I beni economici sono quelli che hanno valore
per gli esseri umani e sono scarsi (non sono l’aria che respiriamo per capirci). Una cosa
scarsa, anche se relativamente poco, sono le risorse idriche (acqua), e una delle grandi
preoccupazioni per il futuro è la loro crescente scarsità e quindi l’effetto che avrà la loro
inferiore disponibilità sulla vita di ciascuno di noi.
Elaborare piani ed economizzare
In un mondo in cui si produce, il mercato non è altro che una rete di decisioni attraverso le
quali i proprietari di risorse elaborano piani per vendere risorse ai produttori, i produttori
elaborano piani per acquistare risorse dai proprietari delle risorse per poi venderle, sotto
forma di beni prodotti, ai consumatori, e i consumatori elaborano piani per acquistare i beni
dai produttori” (Israel M. Kirzner, Concorrenza e imprenditorialità)
 elaborare piani significa elaborare strategie di condotta per migliorare ciascuno la
propria produzione, e l’essenza di queste strategie di condotta sarà ovviamente
cercare di economizzare. Economizzare significa usare le minori risorse possibili in
vista dell’obiettivo. Non vuol dire cercare sempre il prezzo più basso della materia
prima della quale immagino avere bisogno per raggiungere un certo obiettivo. Ma
chi detiene le risorse agisce da “economizzatore” quando trasforma l’insieme delle
sue attività nella forma più desiderabile possibile, sulla base delle condizioni di
scambio che gli sono offerte
 Quello che è evidente da questa definizione è che la figura dell’imprenditore (che
abbiamo associato alla categoria del rischio e della speculazione, e alla capacità di
traguardare un prezzo superiore dei beni da lui trasformati rispetto al costo di
produzione che deve sostenere) non è necessariamente il detentore delle risorse,
soprattutto nel mondo iper-finanziarizzato di oggi (in cui la finanza, ossia coloro che
detengono risorse affidabili o prestabili, sono molto più che in passato). Quindi
detenere risorse non equivale all’attività imprenditoriale, il che non significa che le
risorse non debbano essere remunerate, e che una volta remunerate non siano
messe al servizio dell’attività imprenditoriale. (?)
IL CAPITALE
Il capitale è un oggetto strano perché è eterogeneo. In teoria lo è anche il lavoro -> 1h di
lavoro di un interprete è diversa da un 1h di lavoro di una cassiera, o di un personal trainer,
ma sotto alcuni aspetti è sempre 1h di lavoro di essere umano. Quando invece abbiamo a
che fare col capitale (ricordiamo ospedale e nostra università), abbiamo a che fare con
oggetti diversi ed eterogenei. E anche per questo per lungo tempo c’è stato qualche dubbio
su cosa fosse il capitale al di là del fatto che fosse qualcosa che dovesse venire remunerato.
Il capitale si crea e si distrugge:
1) QUANDO SI CREA PARLIAMO DI INVESTIMENTO -> otteniamo un prestito da una
banca per investire nella costruzione di un nuovo edificio per l’università. Questo
investimento è tale se nei piani di chi lo fa è in condizione di ottenere un ritorno. Per
l’università il ritorno di avere un edificio in più è: più iscritti, più corsi, ecc. -> quindi
quell’investimento è sensato nel momento in cui sappiamo che produrrà più entrate
di quanto l’edificio sia costato.
2) NELLO STESSO TEMPO IL CAPITALE SI AMMORTIZZA -> gli ammortamenti hanno a
che fare con la diminuzione del valore attesa del capitale semplicemente per lo
scorrere del tempo. Perché il capitale si distrugge con lo scorrere del tempo? Per la
stessa ragione per cui il nuovo edificio appena costruito dall’università sarà
inizialmente in eccellenti condizioni, ma col passare del tempo si rovinerà (accade a
qualsiasi edificio, anche a quello meglio costruito -> con l’uso qualsiasi cosa si rovina)
quindi sarà necessario mantenerlo, e la manutenzione costa. Sostanzialmente lo
scorrere del tempo è sufficiente per immaginare un’erosione di capitale, e anche
questo dev’essere tenuto presente al momento dell’investimento. *obsolescenza: in
economia, la perdita di valore e di efficienza economica subita da un bene

Dunque, il capitale può essere distrutto da ragioni esterne -> quella più spettacolare è
sicuramente la guerra (il capitale, che è uno strumento che serve a fare altre cose, resta
inerte se non c’è lavoro). Ma di certo una delle ragioni per cui può esserci una veloce
obsolescenza del capitale è la tecnologia -> pensiamo che l’università spenda molti soldi in
lavagne nuove, ma che nel giro di pochi anni si possa fare lezione nel metaverso. Quindi i
macchinari acquistati, in cui abbiamo investito un pezzo del nostro capitale, subiscono una
perdita di valore straordinaria: non sono più all’avanguardia. E questo succede in tutte le
imprese: qualsiasi impresa nel momento in cui acquista un macchinario sa che a un certo
punto diventerà obsoleto. Quindi le imprese fanno piani di ammortamento -> quando
investono (decidono di acquistare un macchinario) si pongono il problema di quale sarà il
percorso del loro investimento verso l’obsolescenza.
Molte cose che pensiamo siano investimenti, ma che non lo sono
Ci sono molte cose che pensiamo siano investimenti ma non lo sono. Nell’Italia di oggi c’è il
PNRR -> un grande pentolone di risorse da cui attingeremo per tornare a una velocità di
crescita superiore della nostra economia. È chiaro che avere delle risorse da impiegare fa
piacere a tutti, soprattutto ai politici, che quando stanziano delle risorse hanno sempre in
mente di beneficiare -> l’uomo politico ha l’obiettivo (in democrazia) di ottenere consenso e
farsi rieleggere, per continuare a fare il suo mestiere, e il suo orizzonte temporale è breve
perché i governi in Italia durano in media 14 mesi. Per cui quando il politico dispone di certe
risorse, cerca di investirle per i propri beneficiari perché si immagina che questi saranno così
gentili da confermargli il loro consenso alle elezioni successive, e se devono “stringere i
bulloni” lo fanno sugli elettori degli altri. Questo fa si che quando la politica parla di
investimenti fa riferimento a quelli SENZA RITORNO, sui quali è impossibile immaginare
una remunerazione. Ex: se costruiscono un’autostrada a 4 corsie tra due centri abitati di
modesta dimensione, tra i quali vi è un traffico molto limitato do un grande beneficio alle
persone che ci vivono, ma il pedaggio che riesco a ottenere su questa autostrada non mi
pagherà mai le spese sostenute per costruirla, né quelle di manutenzione. Quindi quando
abbiamo a che fare con un qualche cosa, tipicamente un’infrastruttura, che per essere
mantenuta in attività ha bisogno di un sussidio e non rende non dobbiamo parlare di
investimento, ma di spesa.
Perché è importante il profitto?
Profitto: tipicamente la remunerazione dell’imprenditore
La prima risposta potrebbe essere: perché desideriamo un po’ di guadagno -> che facciamo
l’interprete, l’avvocato o la cassiera abbiamo la legittima ambizione di migliorare la nostra
situazione e guadagnare. Ma il profitto è una cosa particolare e non ha semplicemente a che
fare con una remunerazione. Si tratta infatti di una remunerazione particolare -> le persone
che scelgono di fare un lavoro salariato, qualunque esso sia (da amministratore delegato a
segretaria), non fanno profitti, ma guadagnano soldi, possono avere bonus, ecc. Ma il
profitto è tipicamente la remunerazione dell’imprenditore, cioè una remunerazione incerta
(a meno che non si faccia il caso di imprese che operano in mercati molto regolati).
L’imprenditore ha piena consapevolezza del costo degli input, ma il profitto dipende in
buona sostanza dal fatto che ciò che ha realizzato (si tratti di un bene o servizio) venga
effettivamente domandato dai consumatori e a un certo prezzo.
*input: Ogni fattore di produzione impiegato da un’azienda per lo svolgimento della propria
attività, ovvero tutti i beni o servizi che la società acquista sui mercati e utilizza
successivamente all’interno della propria combinazione produttiva per ottenere uno
specifico prodotto o servizio (quest’ultimo detto output)
Il valore segnaletico del profitto
Per questa ragione dal punto di vista della società, ciò che conta rispetto al profitto non è la
sua natura di “movente” che spinge e instrada l’azione individuale dell’imprenditore, ma ciò
che conta è che segnala a chi ha posto in essere una certa impresa se ha usato bene i
fattori produttivi a sua disposizione o meno. E, nello specifico, se un’impresa opera a
concorrenza e si confronta con imprese che vendono o producono
beni o servizi analoghi, il profitto assume un ruolo segnaletico: dice se ho utilizzato le
risorse giuste, e se l’ho fatto in modo giusto (è una sorta di valutazione di efficienza). Il caso
estremo è quello nel quale faccio meno profitto degli altri -> il che vuol dire che gli altri o
hanno scelto risorse migliori per quella produzione, o che le hanno impiegate in modo più
intelligente per un obiettivo x. Nel caso in cui non solo non abbia un profitto, ma accusi delle
perdite, questo significa che quei medesimi fattori di produzione che ho usato potrebbero
trovare un uso più profittevole altrove sul mercato. Ps: ci sono imprese che per alcuni anni
scelgono di fare delle perdite -> sono quelle straordinariamente convinte della bontà delle
scelte che hanno fatto, e che in qualche modo in momento del loro prodotto verrà, e che
quindi siccome a un certo punto nel tempo le loro scelte saranno lautamente remunerate,
vale la pena fare anni ad accusare perdite. Ex spettacolare è quello di Tesla -> impresa
passata da essere possibile solo grazie ad alcuni sussidi, e comunque accusare delle perdite,
a diventare uno dei marchi più riconoscibili e famosi a livello mondiale. Però, se vado avanti
a perdere per un certo periodo, sto distruggendo capitale, in questo caso finanziario al quale
ho bisogno di attingere per continuare a pagare i miei costi. Chi è in grado di scegliere la
strategia del “tengo botta anche se il mercato non mi premia oggi, perché sono sicuro che lo
farà”, deve avere ingenti risorse in termini di capitale. Attenzione: nel mondo
contemporaneo che attiene a imprese come tesla queste ingenti risorse non sono più risorse
della famiglia (come accade nelle imprese unipersonali o unifamiliari) che anticipa quattrini
perché pensa che il figlio o la figlia abbia avuto una grande idea sulla quale vale la pena
investire, ma sono fornite da altri -> cioè c’è un elemento imprenditoriale, ma ci sono
detentori di risorse economico-finanziarie che decidono di metterle a disposizione. Questo,
sotto tanti aspetti, è un grande vantaggio per evitare di sprecare risorse del sistema perché
tipicamente chi ha un’idea tende ad innamorarsene e a vederla più promettente di quella
che è (imprenditori hanno lapidato il loro patrimonio perché la loro idea non era corretta ->
non incontrava una domanda sufficiente da parte dei consumatori). Tanto quanto
l’imprenditore è immerso nella sua attività ed idea, tanto quanto l’investitore (cioè
detentore delle risorse finanziarie) ne è estraneo (è più freddo) e per questo rappresenta un
utile strumento perché valuta l’impiego di risorse in modo migliore -> valuta i suoi
investimenti solo sulla loro capacità di generare ritorni.
Ovviamente il valore segnaletico del profitto deve chiamare a adattarsi perché questo non è
un mondo binario. Il fare meno profitti (combinare peggio le risorse a mia disposizione)
rispetto a un concorrente non è una condanna e non è necessario che si ripeta tutti gli anni,
ma diventa uno stimolo adattativo, cioè un segnale che mi indica che possono migliorare la
mia performance. Come e in che modo? Bisogna sempre tenere presente che gli operatori
economici sbagliano, perdono tempo, e hanno previsioni poi smentite dalla realtà. Cioè,
siamo nel mondo del pressappoco, in cui serve una grande capacità di adattamento. Ci sono
volte in cui, se pensiamo a esercizi commerciali molto piccoli, per esempio, è abbastanza
chiaro il perché uno fa più profitti dell’altro -> per esempio, se ci sono 2 pizzerie nello stesso
quartiere, quali sono le cause per cui una guadagna più dell’altra?
1) Posizione -> se una è in una posizione in cui c’è molto passaggio ha più
fortuna di quella nascosta dietro a un angolo, che farà di tutto per farsi
trovare, il che vuol dire o ridurre i costi e quindi anche i prezzi che pratica,
o differenziare il suo prodotto (fare una pizza particolare come ananas e
carciofi).
2) Marketing in senso lato, e quindi anche la cura/attenzione al
consumatore, la presentazione, ecc. (essere trattati con gentilezza)
3) Qualità -> il fatto che una faccia una pizza oggettivamente migliore
dell’altra
4) Prezzo, che ha a che fare con la qualità -> una pizza gourmet ha
un’ottima qualità, ma costa tantissimo, e forse in un quartierino non è una
grande idea. Quindi bisogna pensare a qual è la qualità migliore che posso
offrire a un certo prezzo.
5) Le scelte che offro mi richiedono spese di un certo tipo -> se scelgo di
fare una pizza con ingredienti molto ordinari pago meno che se decidessi
di farla con ingredienti pregiati quali il caviale. Quindi tutte le scelte
devono essere ponderate sulla base delle circostanze in cui si si trova.
L’importanza segnaletica dei prezzi è quella di indicare le are di miglioramento a chi gestisce
un’impresa, che non sono solo quelle banali e paradossali che abbiamo elencato, ma
attengono anche a una serie di cose che noi non conosciamo, ma che conoscono coloro che
sono direttamente e personalmente implicati nella produzione. Ovviamente un conto è fare
un esercizio mentale su come funziona una certa produzione, e un conto è avere
un’sperienza diretta, che cambia i dati e le informazioni che abbiamo a disposizione.
Citazione di Collingwood per capire come funzionano i prezzi.
Collingwood è un grande filosofo inglese, e non un economista. Scriveva:
 I prezzi vengono così fissati ex novo da ogni atto di compravendita che ha luogo. A
questa frase potremmo rispondere: non è vero -> “quando vado al supermercato
non decido il prezzo del tè”, ma questo in realtà avviene fino a un certo punto,
perché se le persone smettono di acquistare il te perché c'è stato un aumento di
prezzi che ritengono ingiustificato, anche se non lo sanno, stanno contribuendo alla
determinazione del prezzo, esattamente come lo stanno facendo quando comprano
quell'articolo.
 Ciascuno di questi atti rappresenta una determinazione del valore e il valore, nel
senso economico del termine, non può essere determinato in alcun altro modo.
Quando un uomo che possiede determinati beni assegna loro un prezzo, egli sta
semplicemente prevedendo che, nelle attuali circostanze, qualcuno possa pensare
che valga la pena pagare tale prezzo e che, al mutare delle circostanze, egli debba
assegnare alle sue merci un prezzo diverso. Quando poniamo un prezzo (ex:
decidiamo di porre una certa tariffa per un servizio di traduzione) abbiamo in mente
la congettura che vi sia qualcuno sia disponibile a pagarlo. E questa congettura può
essere verificata, o dimostrarsi falsa: può incontrare o meno una disponibilità a
pagare.
 Di conseguenza tutti i prezzi, in ultima istanza, sono determinati dal «mercanteggiare
del mercato» (citazione di Smith) ma questo aspetto, in pratica, viene occultato dal
modo in cui un abile venditore è in grado di anticipare il mercanteggiare e, così
facendo, assegna ai suoi beni un prezzo che, valutando la mentalità e la situazione
dei suoi possibili clienti, sa che verrà pagato. Collingwood ci dice che i prezzi si
determinano al momento della transazione -> il prezzo giusto (che esiste e ha senso)
è quello che si determina al momento dell’incontro tra domanda e offerta, ma il
mestiere del venditore, se è bravo, è cercare di prevedere quello che sarà il prezzo al
quale i compratori saranno disponibili a pagare un certo bene o servizio. Se un
venditore è particolarmente inetto a immaginare i prezzi che le persone sono
disponibili a pagare, si verifica una situazione molto difficoltosa -> immaginiamo di
avere un negozio in cui le persone non comprano nulla perché ritengono che i prezzi
siano troppo alti, per cui ogni dovremo abbassarli per avvicinarci alla disponibilità a
pagare dei consumatori. Dunque, se l’imprenditore non è capace di congetturare
correttamente nessun prezzo che i consumatori sono disponibili a pagare è un
cattivo imprenditore -> infatti è sulla base di quella congettura che vengono
assemblati i fattori produttivi adatti. NB: non è che sia sembrano i fattori produttivi e
si produce un bene che poi si tenta di prezzare, ma si immagina un prezzo al quale le
persone sono disponibili a pagare un certo bene e poi, sulla base di quello, si
scelgono i fattori produttivi che consentono di trasformare le risorse e produrre un
bene a un certo prezzo.
Cosa motiva gli imprenditori?
1) Guadano e profitto (che ha soprattutto un valore segnaletico). Ma questo non basta.
2) Il gusto della soddisfazione e del lavoro ben fatto
Per comprendere la motivazione degli imprenditori possiamo fare riferimento a film, ossia
“Sabrina” -> ci sono 2 fratelli: uno un imprenditore apparentemente freddo, e straordinario
lavoratore; mentre l’altro è un bel ragazzo, abbiente, che conduce una vita piacevole,
frequenta tante donne, e si gode il denaro della famiglia. A un certo punto i 2 fratelli molto
diversi hanno un confronto e quello che il 2 chiede al 1 è: “perché fai tutto questo? Perché
vieni tutti i giorni in ufficio e noi fai una vacanza?” -> se fosse solo motivato dai soldi a un
certo punto smetterebbe (i soldi servono a pagarsi la bella vita infatti), ma non lo fa proprio
per il gusto del suo lavoro. Sostanzialmente il 1 sta dicendo che la sua passione di
imprenditore è quella che potremmo definire PASSIONE INTELLETTUALE -> quello che gli
interessa non è fare soldi per condurre una bella vita, ma è fare soldi per dimostrare che le
sue intuizioni imprenditoriali erano corrette (ecco il valore segnaletico del profitto), e data la
loro correttezza hanno una serie di effetti spillover (*fenomeno per cui un'attività
economica volta a beneficiare un determinato settore o una determinata area territoriale
produce effetti positivi anche oltre tali ambiti) sul progresso della società nel suo complesso
(in questo caso appaiono materiali nuovi, ossia un nuovo tipo di plastica che sarà utile e farà
si che aree sottosviluppate possano arricchirsi). Quindi la sua è una sfida un po’ diversa
rispetto alla mera motivazione del profitto. Ovviamente ricordiamo che tutti gli imprenditori
sono diversi e alcuni hanno il solo obiettivo di arricchirsi, guardando solamente ai loro
profitti.
RESPONSABILITA SOCIALE D’IMPRESA
Effective altruism e distorsioni
Fallimento di FTX (una piattaforma di trading di criptovalute) -> questa piattaforma è stata
fondata da Bankman-Fried, che è diventato un biollinair. Una delle cose che diceva era di
essere uno dei sostenitori del movimento di EFFECTIVE ALTRUISM, di cui parla il filosofo
contemporaneo Peter Singer. Egli sostiene che il modo migliore di aiutare altri è donare
fette cospicue del proprio patrimonio, o una fetta importante del proprio stipendio
(ovviamente rinunciando a delle cose), a chi ne sa fare un buon uso. Dice che questa non è
una mera soddisfazione personale di fare l’elemosina, ma che le risorse che sottraggo a me
stesso devono finire in contenitori appropriati per venire alle prese in modo efficiente coi
gravi problemi del mondo. Singer afferma che, se nei paesi sviluppati, un certo numero di
persone rinunciasse a 1/3 dello stipendio, se quelle risorse venissero canalizzate bene
sarebbe molto più facile venire alle prese con la fame del mondo, per esempio.
Però Bankman-Fried aveva fatto un pledge, ossia aveva dichiarato e preso l'impegno di
devolvere ad altre cause metà della propria ricchezza. Solo che poi si è scoperto che la sua
piattaforma era, in buona sostanza, una frode e che le decisioni di investimento e di spesa
venivano prese coi messaggini con le emoticon. Quindi oggi c'è il problema molto grosso di
alcune fondazioni benefiche che pensando di avere già, o per lo meno in un futuro, cospicue
donazioni da parte di Bankman-Fried, avevano preso impegni di spesa che ora non riescono
a onorare
Diciamo questa cosa perché spesso, soprattutto al giorno d’oggi, c’è la tendenza a pensare
che vi siano altri motivi da sovrapporre a quello del profitto, sulla base dei quali una certa
attività imprenditoriale si definisce come legittima o meno. In questa direzione va buona
parte del dibattito sulla cosiddetta responsabilità sociale d'impresa. Questo modo di
pensare è molto suggestivo, perché in buona sostanza pone in capo ad istituzioni che di
solito funzionano abbastanza, come le imprese, tutta una serie di obiettivi pubblici, quando
le istituzioni che dovrebbero essere deputate a realizzarli funzionano un po’ meno bene.
Però è anche pericoloso perché molto spesso abbiamo la tendenza a pensare che “il fine
giustifica i mezzi”, e che quindi avendo un fine più elevato, migliore, e socialmente
condiviso, sia possibile anche non occuparsi così tanto dei mezzi che vengono selezionati.
Ovvero, abbiamo per esempio la tendenza a pensare che se un’azienda decide di attuare
una serie di condotte che hanno esternalità positive, questa possa essere dispensata dal fare
profitti alti come i suoi concorrenti. Ma, il punto fondamentale è che il profitto ha un valore
segnaletico, quindi:
 Mentre, a parte nel caso di Bankman-Fried l’idea di fare tanti profitti e ammassare
una grande ricchezza per poi donarla per grandi cause è suggestiva ma non
distorsiva (non inserisce all’interno dei meccanismi dei prezzi una serie di
distorsioni)
 altre visioni tendono a introdurre delle distorsioni.
Cosa sono le DISTORSIONI? Sono sostanzialmente cambiamenti delle condizioni nelle quali
si verifica l’attività di mercato, che non dipendono da cambiamenti tecnologici o delle
preferenze, ma che tendono a forzare cambiamenti che altrimenti non avrebbero luogo sul
mercato stesso. E il problema delle distorsioni è che per quanto possano essere legate a fini
astrattamente auspicabili, tendono introdurre inefficienze che si accumulano e vanno a
riverberare in prezzi più alti per i consumatori, in un’inferiore capacità di competere a livello
internazionale, ecc.
Citazione di Milton Friedman
Una famosa citazione e molto contestata è quella di Milton Friedman, che dice: “esiste una
e una sola responsabilità sociale per l’impresa, ossia utilizzare le proprie risorse e dedicarsi
ad attività miranti ad aumentarne i profitti, a patto che così facendo rispetti le regole del
gioco, vale a dire operi in un regime di concorrenza libera e aperta senza inganni e senza
frode”. Freeman non diceva che per fare profitti tutto è lecito, ma che
 il fare profitti è sottoposto a regole che determinano il nostro vivere civile. Se
vogliamo, l’attività economica è un gioco -> qual è la prima necessità perché un gioco
sia piacevole per partecipanti possa continuare nel tempo? Che nessuno imbrogli, e
che tutti i giocatori conoscano le regole. Infatti, se le regole diventano arbitrarie si
perde interesse a giocare.
 E la concorrenza deve essere libera -> significa che chiunque deve poter entrare a
gareggiare.

La questione delle attività miranti ad aumentare i profitti è legata 2 cose:


1) La prima è che il profitto ha valore segnaletico.
2) La seconda è relativa alla struttura delle imprese che abitano, almeno in parte, il
mondo in cui viviamo. Noi siamo un paese di imprese molto piccole -> la
maggioranza (90 %) delle imprese italiane ha meno di 5 addetti. Ma nel mondo in cui
viviamo quelle che fanno la maggioranza del PIL hanno tanti addetti. Quando le
imprese crescono di dimensione la cosa che diventa più complicata è la loro
governance, cioè il modo in cui sono dirette -> perché se non dipendono più dal
singolo imprenditore, ma hanno tutta una serie di strutture che determinano le loro
scelte. Di olito c’è un amministratore delegato, ma scelto da un consiglio di
amministrazione, che ha l’onere di determinare le strategie dell’azienda. Che le
imprese siano quotate o meno, questo consiglio di amministrazione è legato ai suoi
azionisti da un rapporto di carattere fiduciario -> cioè: chi governa un’impresa è
espressione di chi la possiede. Nel caso dell’impresa quotata, chi la possiede può
essere una miriade di persone (per esempio, negli Stati Uniti, la stragrande
maggioranza delle famiglie possiede azioni di borsa, e un sacco di persone sono
indirettamente proprietarie delle grandi imprese -> per esempio se andiamo in
banca e facciamo un investimento, questo è in un fondo, che possiederà azioni di
imprese diverse). Quindi, soprattutto nel mondo delle imprese quotate (nel mondo
delle borse moderne e contemporanee) c’è una pluralità di proprietari di un’azienda.
Ma in Italia ci sono casi diversi, come quello della Ferrero, di imprese che non sono
quotate, oppure ci sono imprese quotate come la Campari, nelle quali vi è comunque
una presenza fortissima di una famiglia che ne detiene il controllo. Ma che sia una
famiglia o una persona che possiede un’impresa, o che siano (e in questo caso
soprattutto) una pluralità di azionisti, costoro devono comunque esprimere un
consiglio di amministrazione che ha con loro un rapporto fiduciario, cioè: gli azionisti
e i proprietari non amministreranno direttamente l’impresa, ma esprimeranno delle
persone che lo facciano per loro.
Problema di agenzia ed effetto disciplinante del valore segnaletico del profitto
Questo rapporto fiduciario è importante perché la cosa peggiore che può capitare al
proprietario è che la persona a cui affida la sua impresa faccia i suoi interessi. Questo
problema è fondamentale in qualsiasi contesto di decisione non veramente individuale, e
viene chiamato PROBLEMA DI AGENZIA, ovvero:
1) c’è una figura, che nel capitalismo moderno e contemporaneo è una pluralità di
figure, che è colui che da un mandato e detiene astrattamente le risorse, ma non se
ne vuole e può occupare
2) e c’è un agente, che nel caso delle imprese è il consiglio di amministrazione e
l’amministratore delegato che si deve occupare di quella cosa.
Immaginiamo che l’aula sia una comunità che per reggersi debba eleggere dei decisori che
hanno un compito che viene definito dalla comunità. Questo può essere: cacciare il
professore, presidiare il governo dell’aula, ecc. Mettiamo che questa comunità si consolidi…
che cosa si produce a un certo punto tra il mandante e il mandatario? Chi è che conosce
meglio il modo in cui si governa effettivamente la comunità? Coloro che hanno espresso dei
fini, o coloro che hanno l’obiettivo di realizzarli? I secondi, ossia gli agenti. Questo provoca
una serie di asimmetrie informative, ossia una distribuzione diseguale della conoscenza, e
fa sì che gli agenti a un certo punto sostituiscano i loro obiettivi a quelli della comunità. Ex:
l’agente della classe decide di non espellere il professore dall’aula perché questo gli consente
di negoziare un comodo 30 in tutti gli esami.
Il valore segnaletico profitto in un’economia moderna ha anche un effetto disciplinante di
conflitti d’interesse che si vengono a determinare tra mandante e agente, perché inchioda
l’agente a un obiettivo chiaro, che è aumentare il valore dell’azione (aumentare l’idea che il
mercato ha della performance di quell’impresa). Quando si passa da un solo obiettivo a una
pluralità di obiettivi, ovviamente la capacità disciplinante nei confronti del manager (agente)
diminuisce. È la ragione per cui i manager (soprattutto delle grandi aziende) di solito
vorrebbero avere tutti gli obiettivi del mondo perché questo allevia la loro pressione su un
solo obiettivo chiaro ed evidente rispetto al quale possono essere valutati (fare profitti), e
consente loro l’aumento della propria capacità decisionale. Ex dei conflitti di interesse che si
vengono a creare in quest’ambito -> perché una grande banca deve avere la sede in centro
città in un meraviglioso palazzo d’epoca? È un uso corretto del denaro di azionisti? E perché
l’amministratore delegato deve avere un aereo privato? Tutte le decisioni sono
astrattamente difendibili, ma tutte sono anche alla base di conflitti potenziali, e di un certo
accaparramento di quattrini di azionisti -> quello che non viene distribuito agli azionisti viene
usato in modo discrezionale dai manager, che siccome sono solitamente persone molto
intelligenti, sono bravi a coprire investimenti discrezionali con una patina di prestigio,
interesse al bene comune, ecc. Quello che intendiamo non è che i manager sono tutti cattivi,
ma che siccome è complicato per gli azionisti avere una visione compete coerente
dell'andamento dell'impresa, il profitto serve loro anche per avere un metro sul quale
misurare la performance del manager.
LA CONCORRENZA
Le imprese sono immerse nella concorrenza. Quando si è in concorrenza? Quando i premi
sono limitati -> per esempio, non possiamo passare tutti un test se c’è un numero chiuso.
Una cosa importante da comprendere per la concorrenza di mercato è che in parte è così, e
in parte no. In parte è così perché ovviamente le imprese si fanno concorrenza per:
a. il gradimento dei consumatori -> per quanto popolare possa essere il mio
prodotto, comunque sia sarà finito e a disposizione di un numero di persone
parimente finito.
b. accaparrarsi i fattori produttivi -> la Ferrero sarà concorrenza con la Novi per
accaparrarsi nocciole e cacao, ma anche per accaparrarsi del personale. Ci
sono grandi organizzazioni internazionali più interessate ad avere gli
interpreti più bravi in circolazione, e quindi alzano la loro offerta, il che
significa che sono disponibili a pagare un salario più alto. *quindi i fattori
produttivi possono essere sia risorse di vario tipo che risorse umane.
Per una cosa o per l’altra la concorrenza ci appare come una faccenda che ha che fare con
premi scarsi, ma nello stesso tempo è anche un processo nel quale si produce nuova
ricchezza -> quindi vengono allentati i vincoli di scarsità, e questo di solito avviene quando si
scoprono cose nuove. Come ci ricorda lo studioso di filosofia Dario Antiseri: La competizione
è la più alta forma di collaborazione. La scienza progredisce tramite la più severa
competizione tra idee; la democrazia è competizione tra proposte politiche tese alla
soluzione di problemi; la libera economia è competizione di merci e servizi sul mercato.
Competizione da cum-petere, che vuol dire cercare insieme, in modo agonistico, la soluzione
migliore. La competizione è una macchina di esplorazione dell’ignoto
Citazione di Hayek
Cioè: La competizione è un processo nel quale si scoprono cose nuove, tant'è che solo
laddove sia possibile sperimentare un gran numero di modi diversi di fare le cose, si otterrà
una varietà di esperienze, conoscenze e capacità individuali tali da consentire, attraverso la
selezione ininterrotta delle più efficaci tra queste, un miglioramento costante. Quest'altra
citazione ci aiuta a capire due caratteristiche della concorrenza in ambito economico:
1) la concorrenza implica una pluralità di opzioni offerte -> non ci può essere
concorrenza se c’è solo un fornitore di un certo bene o servizio. Ma questa pluralità
non coincide con un numero fisso, ma con la possibilità che ci sia sempre qualcuno
che prova a competere, quindi a realizzare in modo diverso un bene o un servizio.
2) però nello stesso tempo la pluralità di offerte deve passare attraverso un setaccio -
> deve avere un vincitore, ancorché temporaneo, e dei vinti. Bisogna trovare il
migliore per quanto riguarda le circostanze e il tempo che ci vengono dati.
MONOPOLIO
L’alternativa alla concorrenza è il monopolio, che si caratterizza per una serie di elementi:
1) in primo luogo, è, come dice la parola, esclusivamente UNO. Questa non è l’unica
forma di restrizione del sistema della concorrenza, che per esempio può anche
limitare artificialmente la possibilità di offrire un certo bene servizio a una
determinata categoria di persone o a un determinato numero di imprese che
operano su licenza.
Il monopolio più pericoloso è quello di carattere legale -> ho inventato per primo un bene
o servizio e questo fa si che per un certo periodo di tempo possa beneficiare dell’unica
posizione disponibile, poiché sono l’unico in grado di offrire quel bene o servizio. Però, se
non ci sono barriere di carattere legale, questo monopolio di fatto può almeno
ipoteticamente essere sfidato da un nuovo entrante (ma se ci sono no -> se per esempio in
Italia decidiamo che possono esserci solo 7 canali di televisioni generaliste, non può esserci
l'ottavo, che poi è la situazione che c'è stata in Italia fino a poco tempo fa).
2) Restrizione dell’offerta -> il monopolio produce e offre di meno di quanto farebbe
un'impresa in concorrenza.
3) E simmetricamente, ovviamente, pratica prezzi più elevati.
La stessa cosa la fa qualsiasi forma di restrizione legale nella concorrenza. Come diceva un
prete del 1838: nel momento in cui si costringe un certo bene e un certo servizio a essere ad
appannaggio esclusivo di una certa categoria di persone, ciò che quella categoria di persone
tende a fare è operare per migliorare la propria condizione, quindi per esigere prezzi più
elevati a scapito del consumatore. La differenza tra la concorrenza e una situazione di
restrizione della concorrenza, è che in concorrenza l’approfittarsi quanto più possibile del
consumatore viene limitata dall’esistenza di altri che offrono beni simili, che pertanto
rappresentano un’altra porta alla quale le persone possono bussare. In assenza di
concorrenza, se la porta è solo una, l’unico modo per beneficiare di quel particolare bene o
servizio, è accettare le condizioni alle quali viene offerto.
Free market Equilibrium (slide 29 del 24.11)
È il livello al quale si incastrano la curva dell’offerta da una parte, e quella della domanda
dall’altra; in poche parole, è il prezzo al quale si determinano le transazioni.
Cosa succede nel momento in cui subentra un tetto al prezzo (price ceiling) o viene messa
un’imposta? Si sposta artificialmente il momento al quale il prezzo si determina, cioè si
restringe la quantità offerta e, per esempio, se l’imposta è una tassa, si passa anche ad un
livello di prezzo superiore. In un modo o nell’altro si determina il triangolino giallo che si
chiama triangolo di Harberger (un economista 95 enne tutt’ora in vita) e coincide con la
PERDITA SECCA, ossia la perdita di beneficio per il consumatore e per il produttore, la quale
si verifica nella situazione in cui avviene o una restrizione della quantità offerta rispetto a
quello che sarebbe il livello al quale domanda e offerta si incastrerebbero, o un aumento di
prezzo per l’aggiunta di una tassa sopportata sia dal consumatore che dal produttore. La
perdita secca equivale a quei benefici sociali che non vengono fruiti perché si è inserita,
rispetto a quella che sarebbe la situazione di mercato, una distorsione/un cambiamento.
LA CONCORRENZA È UN BENE DA TUTELARE
Unione Europea
Per questa ragione, secondo molti la concorrenza è un bene da tutelare. Margrethe
Vestager è il commissario per la concorrenza della commissione europea. L’UE ha messo la
tutela alla concorrenza nel trattato che ne governa il funzionamento…. Ma perché? l’UE è un
mercato unico nel quale competono imprese e produttori provenienti da diversi paesi. In
buona sostanza con l’Unione Europea ci siamo messi in una condizione tale per cui la
variabilità delle condizioni di contesto tra i produttori di colla a Milano, e quelli del
medesimo bene a Lione o ad Amsterdam sono molto simili -> vi sono variazioni di carattere
nazionale, ma su tutta una serie di importanti discipline la fonte normativa predominante è
l’Unione Europea.
 Ma per questo, sin da principio, uno dei problemi più rilevanti è stata la disciplina
alla concorrenza e, in particolar modo, il fatto di evitare, o per lo meno limitare, che
diverse imprese in diversi paesi europei beneficiassero degli aiuti di stato, cioè
fossero aiutate a diventare più competitive tramite sussidi dallo stato in cui si
trovavano a risiedere.
 Ma non è l’unica cosa che fa la commissione europea in tema di concorrenza.
Ricordiamo casi di sanzione da parte dell’Ue a comportamenti anticoncorrenziali:
di recente due grande obiettivi della commissione europea in tema di concorrenza
sono stati Google e Apple -> Apple in ragione di un accordo fiscale che aveva fatto
con l’Irlanda e Google in ragione di tante cose, una delle quali ha a che fare con
Google shopping (cioè col modo nel quale Google consentiva di comparare i prezzi
del medesimo articolo in vendita su diverse piattaforme e siti).
La commissione Europea si occupa di tante cose, come della definizione di standard ->
sempre parlando agli utenti Apple, ora ha imposto un caricatore unico.
Ogni tanto le sanzioni imposte a questi comportamenti fanno notizia perché sono molto
molto rilevanti.
Italia:
in Italia vi è un’istituzione chiamata autorità garante della concorrenza e del mercato,
altrimenti detta autorità antitrust, la quale tutela la concorrenza. Noi come paese arriviamo
tardi a occuparci della concorrenza: 100 anni dopo che negli USA, ossia nel 1900. Di cosa si
occupa l’autorità garante della concorrenza e del mercato? Di tante cose come:
1) Di casi di violazione alla concorrenza
2) Di casi di cosiddetta concorrenza sleale
3) E in particolare di pubblicità ingannevole -> ci sono e ci sono state molte iniziative e
casi in quell’ambito
Stati Uniti
Il luogo in cui sono nate le preoccupazioni per la tutela alla concorrenza sono gli Stati Uniti,
dove oggi è in capo a 2 diverse realtà:
1) Federal Trade Commission -> è indipendente come l’autorità antitrust italiana.
Un’articolazione/ente dello stato i cui politici nominano i vertici (il consiglio di
persone che governa quell’autorità), ma nella loro operatività queste persone sono
indipendenti dalla politica: non hanno bisogno che il parlamento dica loro cosa fare,
ma hanno una propria agenda, valutano i casi che ritengono opportuno valutare,
ecc.
Di autorità indipendenti ce ne sono tante in Italia -> la più famosa è la banca d’Italia, ma
abbiamo anche l’autorità per la privacy, l’autorità dei trasporti. Quello che fanno queste
autorità è avere un mandato scritto nel loro statuto (la politica dice: queste autorità devono
occuparsi di questa cosa), ma rispetto alle loro scelte di dettaglio si governano da sole.
*in Italia i vertici dell’autorità antitrust sono scelti assieme dal presidente della camera e da
quello del senato
2) Negli Usa, per l’altra metà, la disciplina antitrust è amministrata direttamente dal
Department of Justice -> è l’equivalente dell’italiano ministero della giustizia.
Qual è la differenza tra questi 3 sistemi, e quali sono i problemi che si portano appresso?
1) Negli USA abbiamo insieme potere esecutivo e autorità indipendenti che possono
iniziare un caso antitrust. Ma, sia in un caso che nell’altro si deve immediatamente
passare per il vallo dell’autorità giudiziaria -> cioè la disciplina antitrust negli USA
rampolla nelle spire del diritto e si amministra sulla base del precedente (elemento
caratteristico di un sistema di Common Law)
2) Nel caso dell’UE abbiamo il potere esecutivo che in questo particolare ambito è
pubblico ministero e giudice, cioè decide quali casi aprire, perviene a un verdetto sui
medesimi e infine combina una sanzione. La sanzione e l’apertura del caso sono in
capo allo stesso ente. C’è la possibilità di un appello giurisprudenziale andando alla
corte europea, che ci mette qualche anno per approvare o smentire le deliberazioni
della commissione.
3) In Italia l’autorità garante della concorrenza del mercato fa più o meno la stessa
cosa, ma non è un’emanazione diretta del potere esecutivo, e, quando ci sono
problemi su questioni di questo tipo si può andare al Tar (Tribunale amministrativo
regionale), che prende una posizione diversa rispetto a quella presa dall’autorità
garante della concorrenza e del mercato.
Al di là degli aspetti formali c’è un problema sostanziale con la tutela della concorrenza:
TUTELA DELLA CONCORRENZA O DEI CONCORRENTI -> La tutela della concorrenza nel
momento in cui viene amministrata da questo genere di autorità o di emanazione dei
governi, è necessariamente il frutto di un caso che viene o costruito dall’autorità stessa, o
sollecitato da parte dei concorrenti -> cioè deve esserci una parte lesa, ossia qualcuno che
sostiene che le regole della concorrenza sono state violate e di esserne la vittima. Perché è
un problema che siano i concorrenti a sollecitarla? Perché può verificarsi che i concorrenti
siano davvero vittima di effettiva violazione delle regole concorrenza, ma può anche darsi
che i concorrenti cerchino di contrastare un’impresa più efficiente non optando per la strada
del miglioramento dei loro prodotti, o dei loro metodi produttivi (qualcosa a vantaggio di
tutti) ma per quella della giustizia e del diritto.
POSIZIONI DOMINANTI -> Questo tema è particolarmente insidioso quando si vengono a
creare le posizioni dominanti, cioè contesti in cui non c’è un monopolista legale (non è che
l’UE ha detto che possiamo comprare solamente questo servizio o bene da un determinato
produttore), ma si vanno a costruire delle posizioni di fatto per cui un produttore che è più
bravo a realizzare un servizio o bene o semplicemente che è arrivato prima, ha una rilevante
quota di mercato (cioè un numero ampio di consumatori del suo bene o servizio che si
rivolgono a lui e non a un altro). Questa è una situazione ambigua perché può essere che
quel produttore abbia violato le regole della concorrenza (cioè per esempio che magari ha
attuato degli illeciti -> abbia spiato i suoi concorrenti, violare la loro intellettuale) ma può
anche essere che semplicemente soddisfi meglio la domanda del mercato. Questo è
particolarmente complicato pensando alle aziende tecnologiche che, quasi per definizione,
si situano in una terra incognita al regolamentatore, cioè operano in un ambito in cui
sviluppano continuamente innovazioni molto difficili da normare man mano che si
presentano. In questo caso il problema è rilevante -> poniamo il caso classico della
commissione europea contro Microsoft: la commissione europea combinò quella che
all'epoca era la sanzione più elevata mai combinata, a Microsoft perché aveva inserito nel
proprio sistema operativo (Windows), windows media player, cioè un media player di mp3.
L’ipotesi della commissione europea è stata che avendo all’epoca una posizione largamente
dominante nei computer da scrivania, cioè essendo il sistema operativo del 90% dei
desktop, inserendo un programma per la fruizione di mp3 dello stesso sistema operativo,
Microsoft avrebbe traslato la sua dominanza dei sistemi operativi nella sua dominanza degli
mp3, e dunque tutti i contenuti musicali sarebbero passati per un software Microsoft
semplicemente perché la gente se lo trovava installato sul suo computer. Dunque, Microsoft
è stata sanzionata e poi gli sono stati imposti quelli che in gergo antitrust si chiamano
rimedi, cioè delle azioni che delle imprese devono attuare per continuare ad attuare in
maniera coerente con la sanzione che gli è stata imposta -> a Microsoft venne imposto di
presentare un ventaglio di mp3 players nel suo sistema operativo (non capisco cosa dice
dopo…anche quelli prodotti da???). Poi Microsoft non è diventato l’operatore dominante
degli mp3 perché il pacchetto unico che avrebbe portato a raggiungere una posizione
dominante non era tra computer di scrivania e lettore mp3, ma tra software e hardware per
leggere mp3 -> cioè l’idea geniale fu di Apple, che creò gli i-pod, mettendo proprio insieme il
supporto in cui stanno i file e il lettore per leggerli. Quindi la commissione europea, avendo
in mente quello che era successo nel passato, guardava al software come il fattore che
avrebbe comportato la formazione di una nuova posizione dominante per una nuova
tipologia di software, quando in realtà avrebbe dovuto guardare a un nuovo tipo di prodotto
elettronico. (NON SI CAPISCE LA CAZZO DI FINE).
Uno dei problemi nei giudizi antitrust è questo -> cioè quando uno deve basarsi sul passato
per definire le regole che governano il mercato nuovo, e cioè per sanzionare comportamenti
che compaiono inappropriati sul mercato nuovo, ha a disposizione informazioni incomplete.
C’è sempre una forte incertezza data dall’evoluzione delle cose.
GIURISPRUDENZA COMPLICATA E TEMPI DELLA GIUSTIZIA -> un altro problema per gli
antitrust è che esso si basa sulla definizione di quello che viene definito “un mercato
rilevante” -> ossia un in cui si riscontra una posizione dominante, ovvero una violazione
della concorrenza. Questo mercato non è fatto solamente di beni evidentemente analoghi,
ma anche di beni e servizi che possono apparire come potenziali sostituti di questi altri. E
qui il problema non da poco perché in alcuni casi è chiaro che un certo bene o servizio possa
essere comprato e usufruito anziché un altro, ma in altri casi no (per esempio non si sa qual
è il vero mercato dominante degli e-book: quello dei Kindle? Degli iPad? Non si sa). Tutto
questo fa la gioia degli avvocati e quello che avviene è che una giurisprudenza complicata
con aree grige e dubbi produce molto contenzioso. Le decisioni antitrust non sono accettate
passivamente da chi le subisce, ma diventano l’ambito nel quale si consumano vere e
proprie guerre legali che si incrociano con i tempi della giustizia, che non sono istantanei,
ma richiedono anni e anni. Quindi uno dei problemi della tutela della concorrenza è che,
sebbene segnali la forte attenzione per l’dea che debba esserci più libertà di entrare in un
mercato (quindi più opportunità per chi voglia fare cose vecchie in modo nuovo, o cose del
tutto nuove), nello stesso tempo diventa un fattore di drenaggio di risorse, che passano
dall’attività produttiva in senso stretto, a quella legale.
LA GLOBALIZZAZIONE
Crescita economica
Con cosa coincide la globalizzazione? Coincide con un ampliamento a livello internazionale
della divisione del lavoro. Per capire come funziona dobbiamo riflettere su cosa significa la
crescita economica -> come cresce l’economia, e cosa aumenta in un’economia che cresce?
La crescita economica coincide sostanzialmente con un aumento della produzione di beni e
servizi, e quindi con un aumento delle transazioni in beni e servizi. Quando parliamo di
crescita possiamo riferirci a:
1) un aumento del reddito individuale -> guadagniamo di più
2) un aumento della popolazione -> più persone partecipano alla vita economica
3) un aumento dei beni e servizi di cui possiamo disporre
Le 3 cose tendono ad essere correlate. Perché un paese nel nostro in cui la popolazione non
aumenta, ha un limite, e cosa comporta la mancanza di giovani in un’economia? Una
domanda di beni e servizi particolari: sia nuovi, che non particolarmente innovativi (una
casa, per esempio). I giovani sono ovunque il grande serbatoio della domanda perché a
una certa età le persone cominciano a domandare un po’ meno -> magari hanno più risorse
(accumulate nel corso della vita), ma l’utilità che possono trarre da nuove scarpe o da una
macchina sportiva, aventi 40 o 80 anni, è diverso.
Quindi:
1) L’aumento del reddito individuale si traduce in una domanda maggiore: se guadagno
di più posso permettermi di cambiare casa o macchina più spesso.
2) L’aumento della popolazione di solito si accompagna a un aumento prospettico dei
consumi, delle risorse umane e quindi anche delle idee.
3) E l’aumento delle cose tra le quali scegliere è, se vogliamo, il vero oggetto della
crescita
La crescita economica è una novità storica
Noi non siamo mai cresciuti prima della rivoluzione industriale, o meglio, ci sono stati
momenti di esplosione di ricchezza (Italia del nord 1200 e 1400) nei quali cresceva la
popolazione, aumentava il reddito delle persone e miglioravano i servizi offerti, ma quello
che tendeva a succedere era che dopo un certo momento di crescita gli stessi fattori che
avevano agevolato quello sviluppo si placavano, o erano vittima di fattori avversi. Il caso più
classico è la crescita della popolazione che era sostenuta da stagioni positive, buoni raccolti
e affidabilità della produzione agricola, ma simmetricamente troncata dalle guerre, dalle
epidemie e dalle carestie (cattivo tempo). Quindi per lungo tempo il mondo sta senza
crescere, mentre a un certo punto inizia a crescere vorticosamente, e questa crescita si deve
sostanzialmente a 2 fenomeni fortemente intrecciati:
1) A un certo punto nella storia L’AUMENTO DELLE CONOSCENZE a nostra disposizione
si riverbera nella REALIZZAZIONE DI NUOVI BENI E SERVIZI. Sarebbe assurdo dire
che fino all’illuminismo la produzione di conoscenza nella storia dell’umanità fosse
irrilevante -> sarebbe una bestialità, ma se pensiamo anche ai grandi passi in avanti
nella conoscenza scientifica (verificatisi in diversi periodi storici: mondo greco, arabo
ed Europa tardo medievale), ricordiamo che di solito non si trasformavano in oggetti
che consentivano il miglioramento della qualità di vita delle persone. Ciò che avviene
invece a partire dal cosiddetto all’illuminismo industriale invece è precisamente
questo, ossia il fatto che l’impadronirsi di una maggiore conoscenza dei fenomeni
fisici, diventa anche un modo per alleviare fatica umana, rendere più efficiente il
lavoro e per vivere meglio.
2) GRANDE STAGIONE DI MIGLIORAMENTO DEI COMMERCI SENZA PRECEDENTI (in
parte dovuta a quello scritto sopra). Vengono scambiare dunque un serie di cose non
scambiabili in precedenza a livello internazionale perché i beni erano deperibili, i
trasporti insicuri, ecc. Quindi vengono sviluppate delle tecnologie di trasporto e di
conservazione, c’è una maggiore conoscenza di ritmi e tempi, e anche le
comunicazioni vengono rese più semplici e istantanee. Quando per esempio
compriamo un prodotto da Amazon, questo viene ordinato: questa cosa implica
l’istantaneità della comunicazione tra noi che domandiamo un prodotto, e che ce lo
può dare -> e questa cosa oggi la facciamo anche senza rendercene conto con
imprese che si trovano lontanissime dall’Italia (Tokyo, South Hampton, ecc.),
ciascuna delle quali riceve un ordine in tempo reale, che poi, grazie a un efficiente
sistema di trasporti ci viene recapitato velocemente. Quindi, nel mondo di oggi,
riusciamo a comunicare istantaneamente con qualcuno che si trova dall'altra parte
del mondo, mentre prima se avessimo voluto ordinare un prodotto dall’Inghilterra
avremmo dovuto: consegnare una lettera, affidata a signori a cavallo, che dovevano
prendere una nave, scendere senza essere uccisi o rapinati, e questa lettera doveva
essere recapitata ad un altro signore, ecc.…
Insomma, il mondo fino alla fine 800 è, dal punto di vista dei trasporti, inimmaginabile.
Costi di transazione
Il premio Nobel 1990 Ronald H. Coase ci parla dei costi di transazione, ossia tutti quei costi
che non hanno a che fare con la transazione stessa -> cioè, non sono quattrini che noi
acquirenti mettiamo in mano all’imprenditore, ma non di meno gravano sulla transazione
stessa. Coase aveva un’idea molto limitata di quello che erano i costi di transazione -> nei
suoi lavori i costi di transazione sono quelli derivanti dall’utilizzo del sistema legale che
consente al sistema dei prezzi di funzionare (quindi: la definizione del diritto di proprietà, il
rispetto dei contratti, la possibilità di andare da un giudice, il sistema dei notai, ecc.). questi
sono i COSTI DI TRANSAZIONE IN SENSO PROPRIO
Ma esistono anche dei COSTI DI TRANSAZIONE IN SENSO LATO. Cioè:
1) i costi di informazione -> per acquistare un certo bene dobbiamo sapere che
esiste. Questi implicano:
a. un investimento di tempo
b. un’analisi delle recensioni su quel prodotto o servizio
2) i costi di negoziazione -> pensiamo a tutto quello che è un’asta ma non solo,
perché i costi d’informazione possono essere anche meno manifesti
3) i costi di apprendimento -> anche per andare a cercare delle informazioni
dobbiamo imparare a farlo e apprendere dell’esistenza di strumenti che ce lo
consentono.
Quindi per Coase i costi di transazione sono solo quelli che attengono al sistema legale, ma
per alcuni suoi allievi, e anche per noi, sono tutti i costi che devono essere sostenuti perché
una transazione abbia luogo. E da questo punto di vista possiamo dire che un’economia
globalizzata (e una globalizzazione) diventa possibile nel momento in cui si abbassano i
costi delle transazioni, cioè:
1) i costi di trasporto si riducono enormemente
2) i costi di informazione si riducono
3) la velocità degli scambi di informazione aumenta la velocità dell’informazione
4) si sviluppano dei sistemi che sopperiscono alla nostra ignoranza sulle condizioni di
produzione di un certo bene (che si tratti di certificazioni, stelline e che ci
consentono di sviluppare una relazione di fiducia importante perché gli scambi
abbiano luogo).
*Come sappiamo in un’economia nazionale la fiducia è resa possibile dalla presenza di
regole di diritto e dal loro enforcement da parte dell’ordine pubblico, per cui se per
esempio veniamo frodati sappiamo che possiamo andare da un’autorità che ci dà ascolto,
verifica i nostri argomenti, e sanziona il colpevole. L’esistenza di tale autorità costituisce un
tale disincentivo alla frode che noi scambiamo pensando che non verremo frodati. Al di fuori
dei conflitti nazionali questo rapporto ha bisogno della presenza del diritto internazionale, o
di alcuni strumenti più germogliati spontaneamente dal web che ci consentono per
l’appunto di avere un rapporto fiducia con persone geograficamente lontanissime.
Quindi la globalizzazione sostanzialmente attiene alla riduzione dei costi delle transazioni,
che rende possibili occasioni di scambio che non ci sarebbero state -> se tutta una serie di
prodotti dovessero essere consegnati a mezzi di trasporto che non efficienti (quindi non in
grado di portarceli in tempo utile e in modo non adulterato) questi non verrebbero mai
venduti in altri paesi. Pensiamo per esempio a tutti i prodotti alimentari che noi esportiamo
o importiamo dagli altri paesi -> una volta queste esportazioni di importazioni a carattere
alimentare erano impossibili perché gli strumenti di trasporto e di conservazione dei cibi
erano molto più rudimentali (quindi forse poteva viaggiare il te ma non la mozzarella di
bufala perché non arrivava adulterato a fine percorso). Oggi invece abbiamo transazioni che
prima non c’erano. Ma abbiamo anche conoscenza, capacità di avere relazioni dirette con
produttori lontani, di ottenere rimborsi in caso di merce fallata, o un cambio merci, non solo
se conosciamo il negoziante, ma anche se questo ci arriva dall’altra parte del mondo.
Una questione fondamentale è che la possibilità di avere occasioni di scambio cambia
anche la produzione -> se so che quello che vendo può essere venduto anche dall’altra
parte del mondo (quindi ho un mercato potenzialmente più vasto) la cosa ha influenza sulle
mie decisioni di produzione. Facciamo un banale esempio -> pensiamo al delivery che adatta
il suo menù. La possibilità di vendere cibo a domicilio (una cosa che non esisteva prima)
senza avere bisogno di un addetto del ristorante, ma avendo un'altra persona che collega
domanda offerta e si incarica del recapito di quel cibo, cambia le decisioni di produzione di
quel ristorante. E la stessa cosa avviene in grande: se l'impresa che fa macchinari di un certo
tipo sa che i suoi clienti potenziali non sono più solamente le imprese che utilizzano quei
materiali in una certa area, ma sono potenzialmente imprese in tutto il mondo, la prima
cosa che fa un imprenditore vagamente consapevole è interrogarsi su quali siano le
tecnologie produttive che può porre in essere a vantaggio di produttori di altre cose, rispetto
a quelli che tradizionalmente sono i suoi clienti. Quindi la possibilità di scambiare non
attiene semplicemente i beni e i servizi già esistenti, ma cambia le congetture dei
produttori su tutto quello che possono realizzare. E da questo punto di vista capiamo come
la globalizzazione (cioè un ampiamento della divisione lavoro) sia di per sé un gigantesco
stimolo per aumentare il numero di beni e servizi disponibili.

13.12 RECUPERO

LA GLOBALIZZAZIONE
Per parlare di globalizzazione è opportuno iniziare da una annotazione di attualità: nei giorni
scorsi si sono palesate alcune previsioni sull’economia mondiale nel 2023 per cui pare che il
2023 sarà l’anno con il più basso tasso di crescita dal 1993.
Quando una economia cresce aumentano il numero di beni e servizi e anche il numero di
transazioni che avvengono nell’ economia stessa. Se l’economia cresce di meno a noi che
cosa capita? Aumentano i prezzi per l’inflazione che è un fenomeno molto importante, e se
aumentano i prezzi a parità di reddito potremmo consumare un numero inferiore di beni,
diminuisce il nostro potere di acquisto. Il fatto che l’economia mondiale cresca poco vuol
dire che ci sono meno opportunità, per esempio una economia che cresce di meno è una
economia che offre meno possibilità di lavoro perché queste si creano quando c’è la
percezione dell’aumento della domanda di beni e servizi. Una economia stagnate è una
economia nella quale l’occupazione non cresce, i tassi di disoccupazione tendono ad essere
alti.

La globalizzazione è stata negli scorsi 33/34 anni il grande vettore di crescita del mondo e ha
avuto due caratteristiche:
1. Ha consentito di integrare nel mercato internazionale un numero straordinario di
persone che prima non ne facevano parte.
Questa cosa può avvenire anche all’interno dei paesi: negli USA dagli anni ‘70 in poi gli
studiosi parlano di “globalizzazione interna”, nel senso che fino alla stagione del
riconoscimento dei diritti civili, tutte le persone di colore non potevano svolgere una serie di
mansioni e per ragioni culturali fino ad anni recenti tutta una serie di mestieri erano preclusi
alle donne perché non ritenute attendibili. Il fatto che siano arrivati sul mercato del lavoro
persone di colore e donne, facendo concorrenza a quelli che prima erano sostanzialmente
maschi bianchi, è stata una sorta di globalizzazione interna che ha aumentato il numero di
persone disponibili a svolgere certi mestieri. Questo ha portato ha una grande ondata di
innovazione, a punti di vista diversi, idee diverse, nuovi metodi produttivi che sono il frutto
di questa diversità (se ci sono persone diverse lo faranno in modo differente).
La globalizzazione ha coinvolto molte più persone e paesi nel circuito fiscale

2. Così facendo ha contribuito a mantenere prezzi stabili per un gran numero di anni.
Da cosa ci accorgiamo che c’è l’inflazione? Beni che consumiamo regolarmente nei quali
vediamo un aumento dei prezzi, di solito del 10%, e questo è un fenomeno nuovo per noi
perché siamo stati abituati ad avere prezzi costanti nel tempo. Questa è stata una
caratteristica dovuta a tante cose, in parte anche dal fatto che mentre molte più persone
entravano nel mercato, aumentava straordinariamente la concorrenza. Quindi, beni e servizi
offerti da più foritori significa un effetto di riduzione del prezzo.

Oggi ci viene detto che il libero commercio (globalizzazione dei beni) è in un momento di
flessione per tanti problemi però non si possono scambiare solo beni, ma anche servizi e se
c’è una cosa che noi ci possiamo aspettare dopo la pandemia è che mentre il commercio dei
beni può andare verso una flessione, la globalizzazione dei servizi è in crescita. Per noi oggi è
molto più facile acquistare un servizio di traduzione in Italia anche se il cliente è dall’altra
parte del mondo. I servizi saranno sempre più scambiati anche a livello internazionale

Come avviene la crescita economica nel mondo di oggi? Significa che avvengono più
transazioni, ci sono più scambi ma la cosa da capire è come avviene la crescita.
Nel mondo dopo la rivoluzione industriale (prima non c’è una crescita) c’è un processo di
modernizzazione che passa attraverso una diminuzione della fatica (sostituzione di lavoro
umano con macchine) e nel momento in cui questo avviene, con la sistemazione del lavoro
umano in altri ambiti. Se l’industrializzazione fosse il lavoro di alcuni operai sostituito dalle
macchine e basta, non ci sarebbe crescita. Invece quello che avviene è che le risorse
all’interno di una economia vengono risistemate: il lavoro umano non più necessario per
realizzare un certo bene/servizio, diventa disponibile per fare altre cose. Questo è un
processo attraverso il quale non solo aumenta il numero delle transazioni, ma queste
transazioni sono diverse da quelle che avvenivano prima. L’economia non cresce perché si
fanno più viaggi in carrozza, ma cresce perché si passa dalla carrozza a cavallo alla bicicletta
alla macchina e così via. Cresce perché aumenta il ventaglio delle nostre possibilità e cambia
anche la tecnologia che abbiamo a disposizione.
L’economia non cresce nel senso in cui cresce il nostro organismo (a un certo punto non
cresciamo più), non ha un limite o un percorso prefissato, l’economia cresce cambiando
forma e contenuto e significa che le ragioni profonde per le quali una economia può
crescere sono tre:
1. Aumento della popolazione: un paese che ha un tasso di crescita della popoloazione
negativo è destinato a essere un paese più povero o comunque con tassi di crescita
economica più contenuti
2. Aumento del reddito individuale che può venire da più fonti.
3. Aumento delle cose fra cui scegliere: una economia cresce se aumenta l’offerta di
beni e servizi e simmetricamente aumentano le opportunità che ognuno di noi ha
per essere scelto come produttore di quei beni e servizi

Le diverse fonti della crescita sono correlate: è difficile avere aumento delle cose tra cui
scegliere in una situazione in cui la popolazione sta diminuendo. Questo perché le cose sono
fatte da persone e sono analogalmente domandate da persone. Se noi immaginiamo la
differenza che c’è tra beni e servizi offerti in una grande città o in un paese molto piccolo, ci
rendiamo conto perché la popolazione influisce. Il numero di persone sostiene un’offerta
che sarebbe altrimenti insostenibile.

Perché avviene questo aumento dei beni disponibili? Perché questa globalizzazione, cioè
questa crescente interconnessione dell’economia internazionale, questa estensione sul
piano internazionale della divisione del lavoro si verifica? Ci sono diverse spiegazioni

La prima attiene i costi di transazione, cioè tutti quei costi che hanno a che fare con la
possibilità che uno scambio abbia luogo, hanno a che fare con una transazione ma non
riguardano la transazione stessa. Non si tratta del costo del bene scambiato, bensì dei costi
associati al meccanismo dell’utilizzo dei prezzi.
Ronald Course sosteneva una visione molto puntuale dei costi di transazione: diceva che
aveva a che fare con l’utilizzo del sistema legale, con il diritto dei contratti, con gli avvocati
che servono per una transazione molto complicata, con la paura che un bene acquistato ci
venga occupato illegalmente quindi con le contromisure che prendiamo. In questo caso noi
usiamo una versione più lasca del concetto in cui ci mettiamo dentro tutti i costi che devono
essere sostenuti per far si che una transazione abbia luogo: non solo costi legati all’utilizzo
del sistema legale ma anche costi di informazione, negoziazione e apprendimento.
- Costo di informazione: immaginiamo che dobbiamo comprare un regalo ad una
amica e dobbiamo conoscere i gusti dell’amica, magari le piace la cucina e dobbiamo
scoprire se un certo oggetto lo ha già, dopo aver scoperto se lo ha o no lo andremo a
cercare e andremo a vedere quello che costa meno, quello che ha le recensioni
migliori ecc.
In tutto questo non abbiamo tirato fuori ancora un euro, ma abbiamo già sostenuto tutta
una serie di costi: tempo, ricerca dei gusti... Sono tutti costi che sosteniamo affinché
avvenga la transazione.
Perché una transazione abbia luogo dobbiamo sapere che è possibile effettuare quello
scambio, cioè che esista un certo bene o servizio e che qualcuno è disponibile a cedere.
Immaginiamo di avere la stessa disponibilità di beni che abbiamo oggi, ma che tutti i negozi
siano coperti, cioè non esistano vetrine. Ciò che succederebbe sarebbe che il numero di
scambi sarebbe minore semplicemente perché non sapremmo che esistono certe cose. La
cosa più rilevante è che esista consapevolezza sul fatto che una certa transazione possa
avvenire.

Se pensiamo alla globalizzazione quello che noi vediamo è una straordinaria riduzione dei
costi di transazione. La cosa più evidente che avviene in un contesto di globalizzazione è che
si riducono le barriere di tipo protezionistico: dispositivi di carattere legale che tendono a
rendere artificialmente più costosi gli scambi (dazio, tassa sui beni importati). Quello che si
fa spesso mettendo un dazio è trovare un sistema per avvantaggiare il produttore all’interno
di un certo paese contro una concorrenza internazionale più economica.
In italia negli anni ’80 trovavamo solo macchine americane a causa dei dazi, poi con l’inizio
degli anni 90 questi dazi vengono rimossi prima verso Europa e poi verso tutto il mondo e gli
effetti sono due: gli italiani si comprano la golf e la fiat attraversa una crisi profondissima
perché essendo stata protetta per molti anni da questi dazi si trova a competere con altre
aziende più efficienti cosa che la fiat non aveva avuto la necessità di sviluppare.
La globalizzazione va di pari passo con la diminuzione delle barriere messe dagli stati per
sostenere i produttori nazionali (se no si creerebbe disoccupazione, disagio sociale ecc).
Quindi, i governi tendono a soddisfare le domande e le richieste dei produttori che esistono
oggi. Non possono soddisfare domande e richieste da imprese che potrebbero formarsi se
ce ne fosse l’opportunità: pensiamo ai tassisti e uber. I tassisti non vogliono uber perché non
vogliono concorrenza. I tassisti sono persone che hanno comprato una licenza cioè diritto
esclusivo di svolgere un certo mestiere e vanno in giro con una macchina riconoscibile per
segnalarsi.
Ora anche io se voglio per qualche ora mettere a disposizione la mia macchina posso. Il
sistema legale non è fatto per le cose che non esistono o che potrebbero esistere o per i
mestieri che si stanno definendo, ma è fatto per quello che già è reale. Da una parte ci sono
persone che si identificano come produttori di quel servizio che hanno una rappresentanza
organizzata e fanno valere i loro interessi, quindi difendono un beneficio che hanno già.
Dall’altra c’è un beneficio potenziale di cui però coloro che ne trarrebbero vantaggio non
sanno nemmeno che quella possibilità potrebbe essere colta. È la regione per la quale
quello che avviene di solito è che questo genere di tutele a vantaggio dell’esistente
sopravvivono anche a grandi cambiamenti tecnologici laddove sono già presidiati da leggi.

Blockbuster è stato per molti anni la catena più grande del mondo, ma non era un mestiere
protetto dalla legge (non c’era la licenza). Quindi, è scomparso, in un primo momento grazie
a Netflix che prima di essere una piattaforma portava cassette a domicilio e poi si
rispedivano indietro. Quando diventa una piattaforma quel gioco li viene meno.
L’evoluzione tecnologica cambia la situazione nel mercato, ma non solo: è soprattutto la
presenza di occasioni di scambio.
Ci sono aree del pianeta che non sono ancora arrivare a uno sviluppo come il nostro (area
asiatica che per 50 anni era stata ai margini dell’economia internazionale, nel giro di 30 anni
è diventata la locomotiva del mondo. Una parte dell’Europa dell’est che per 50 anni era
rimasta ai margini dello sviluppo economico poi ha avuto una crescita straordinaria (Paesi
Baltici). Non ci sono ragioni naturali per cui alcuni paesi crescono e altri no, ma c’è molto
spesso una ragione che è l’isolamento: il fatto che alcuni paesi sono inseriti in un circuito di
scambi e altri no per ragioni di carattere politico, geopolitico, tecnologico.

Una delle caratteristiche di una economia globalizzata è che si scambiano molti beni e molti
servizi.
Beni che oggi possiamo scambiare tranquillamente e che in passato non era possibile:
trovare la mozzarella di bufala a Oslo. Oggi abbiamo beni deperibili che possono viaggiare
senza problemi perché la nostra capacità di conservare cibi è cambiata. I servizi sono più
ampi che mai in ragione delle possibilità tecnologiche, ma anche lo scambio di beni è
condizionato dalle nuove possibilità tecnologiche. In larga misura ha a che fare con la
riduzione dei costi di transazione perché ha a che fare con la creazione di legami di certezze
e di informazione rispetto a prodotti e produttori di paesi molto lontani.

Quello che è avvenuto in questo lasso di tempo nel quale possiamo ricondurre la
globalizzazione sono:
- Precise celte politiche: fatte essenzialmente dagli USA dopo la 2GM. All’inizio degli
anni ’30 avevano passato una serie di misure protezionistiche e queste avevano
aggravato la situazione degli USA durante la Grande Depressione, ma avevano
partecipato alla guerra economica tra i diversi paesi del mondo che un po’ prelude
alla Seconda guerra mondiale. Il libero scambio si può fare da soli perché un paese
può decidere di non mettere barriere doganali, invece il protezionismo si fa in due
perché quando uno stato mette misure che aggrava il prezzo di beni che arrivano
dall’altro paese si crea un gioco per cui una barriera alzata da una parte chiama la
barriera dall’altra. In difesa dei nostri produttori dalle due parti si finisce con una
guerra commerciale che poi si evolvono in veri scontri. Il primo elemento è che gli
USA decidono con la fine della 2GM di varare una stagione in cui almeno il mondo
occidentali abbia scambi più liberi e nasce GATT e poi WTO con conseguente
esplosione degli scambi commerciali.
- innovazioni tecnologiche: quando viene posto il primo cavo telegrafico sottomarino
negli anni 70 dell’800 una delle razioni è che se ci fosse stato il telegrafo 100 anni fa
non ci sarebbe stata la guerra di indipendenza. L’innovazione tecnologica da una
parte rende possibile la creazione di cose dall’altra parte mette in contatto
controparti potenziali, fa si che le persone possano essere informate sulla possibilità
di uno scambio e che uno possa entrare in uno scambio in ragione di una serie di
possibilità che prima non aveva. Tutto ciò che attiene le negoziazioni tra controparti
è estremamente veloce
- La globalizzazione non è anarchica, non è fatta solo di barriere che saltano perché
nel mondo di oggi in tutti i paesi la produzione è altamente regolamentata. Il modo
nel quale aumentano gli spazi di scambio è attraverso trattati che rendono
compatibili quando non uniformano le circostanze di produzione in diversi paesi. La
globalizzazione oggi è una struttura di armonizzazione dei regolamenti delle norme
che riguardano tutta una serie di ambiti della produzione

15.12
Abbiamo detto che i costi di transazione sono quei costi nei quali le persone o gli enti che
entrano in una transazione/scambio devono sostenere al fine che quello scambio si compia.
Questo significa in senso stretto i costi che hanno a che fare con l’utilizzo del sistema legale:
diritto, contratti, il fatto che esistano enti (come lo stato) che consentano di essere sicuri di
una cosa molto importante quando si entra in una transizione: la prima cosa da appurare è
che l’altra persona stia vendendo qualcosa che effettivamente ha.
Pensiamo a un mondo nel quale i diritti di proprietà non sono ben garantiti e chiari quindi
nessuno può presumere che il venditore sia effettivamente il proprietario. Quali sono i beni
che scambieremmo in un mondo del genere? Sostanzialmente beni di consumo: anche se
non siamo sicuri dell’effettiva lecità, il problema si risolve da sé, se uno mi vende un cibo
rubato da un altro, il problema sei risolve appena lo mangio. Ma se uno ci vende un
immobile non suo, e facciamo delle migliorie a quella casa, potremmo incorrere in gravi
problemi (potrebbe ritornare a riscuoterla il vero proprietario).
Per questo esistono meccanismi che cercano di risolvere quei problemi e la oroprietà dei
beni serve proprio a ridurre i conflitti. Il fatto di avere una ragionevole certezza che un certo
bene appartenga a tizio anziché a caio serve per evitare il contro processo di guerra tutti
contro tutti.
Nel caso della globalizzazione ci interessano i costi di transazione in senso lato. Sono tutti
quelli che dobbiamo sopportare per entrare in uno scambio con altri. Mentre ci rendiamo
conto immediatamente che il notaio o l’avvocato rappresentano “costi di transazione in
forma umana” (uno compra un bene di grande rilevanza come un immobile ed è sicuro di
chi glielo sta vendendo eccetera). Ma nei costi di transazione in senso lato ci sono anche
costi più semplici e quotidiani.
- costi di informazione
- costi di negoziazione: c’è un elemento implicito che è la definizione di disponibilità a
pagare, anche se c’è sempre un prezzo al quale gli scambi si compiono. Il problema è
sempre l’incontro tra la nostra disponibilità a pagare e il prezzo di riserva del
venditore. Dunque, il mondo è come una grande asta. Ma ci sono anche situazioni in
cui entriamo in una negoziazione che esiste a diversi livelli.
- costi di apprendimento: capire se un determinato bene può essere adeguato o
meno alle mie esigenze. Dobbiamo sapere che certi servizi siano disponibili e
dobbiamo sviluppare una conoscenza rispetto a quello che andiamo a comprare.
Quando si fa una spesa importante l’incentivo a sostenere costi di informazione
anche più elevati è maggiore, ma anche per la spesa minima c’è un costo di
informazione che si va a sostenere.
- Costi di trasporto: quando pensiamo a come dev’essere stato determinato un prezzo
(imprenditori pensano a prezzo e poi realizzano prodotto), in quel prezzo c’è dentro
anche il fatto che il prodotto dev’essere stato trasportato in un certo luogo, che
viene da un luogo ecc..

La cosa che è avvenuta con la globalizzazione è che questi costi sono gradualmente
diminuiti.
- diminuzione costi di trasporto
- un miglioramento delle tecniche di preservazione e conservazione delle cose e non
riguarda solo i beni alimentari, che non abbia problemi di usura per esempio che
fanno si che un bene rimanga in uno stato appropriato fino al momento della vendita
- un miglioramento delle tecnologie della comunicazione: abbiamo la possibilità di
comunicare istantaneamente e questo ha un’importanza straordinaria per ogni
genere di transazione. L’istantaneità delle comunicazioni è importante sia per i
consumatori ma soprattutto quando si va a beni di ordine superiore, a cose che
servono a fare altre cose (macchinari, tecnologie che servono alla produzione).
questi vengono acquistati in luoghi diversi (dove conviene acquistarlo) ma
soprattutto grazie alle comunicazioni istantanee si può continuamente negoziare,
risolvere certi problemi e migliorare la performance di un certo apparato.

Quando si agglutinano aziende che fanno un certo mestiere, perché lo fanno? Quando si
costituisce la Fiat, altre persone intorno ad essa svilupperanno attività che realizzeranno
componenti per la Fiat. Il vantaggio della prossimità storicamente è che quando c’è qualcosa
che non funziona, e deve essere risistemato, posso intervenire immediatamente su quel
problema.
Ma ci possono essere casi in un a Torino si impara a fare componentistica di automobili così
bene che si fa carriera e quei pezzi possono andare bene per altri tipo di macchine e non
solo per la Fiat. Con la globalizzazione non è più necessaria la presenza costante e la
presenza geografica. Oggi si riesce ad avere un dialogo costante e continuo e il fatto che oggi
questo sia possibile fa si che il calcolo delle convenienze rispetto alle persone con cui
lavorare e dalle quali approvvigionarsi non riguarda più la zona a noi più prossima, ma aree
molto più vaste (consumatore che non compra più solo sotto casa ma anche su internet).
I fenomeni di globalizzazione non attengono solo alle scelte politiche. Queste sono si state
importanti (dopo la 2Gm gli USA si pongono alla guida di un processo di ampiamento degli
scambi). Tuttavia, queste scelte politiche non spiegano da sole la straordinaria crescita degli
scambi né adesso né nel periodo di prima globalizzazione (seconda metà dell’800). Ciò che
lo spiega è l’innovazione tecnologica.
Esempio ottocentesco: le locomotive consentono alle persone di fare viaggi prima
inimmaginabili. Prima non esisteva:
- il pendolaraggio:
- turismo: le persone erano molto povere, e poi per muoverci si volevano settimane
quindi l’innovazione tecnologica consente interconnessioni e scambi.

E da ultimo la globalizzazione non è anarchia. Oggi qualsiasi tipo di produzione (soprattutto


per quanto attiene soprattutto alle cose fisiche) è fortemente regolamentata, e quello che
avviene è che si scrivono trattati che portano a convergere le norme sotto le quali la
produzione è consentita nei diversi paesi. Non era così nell’800 per tanti motivi, a
cominciare dal fatto che penetrare in un sistema legale di un altro paese era complicato,
non c’erano standard internazionali riconosciuti, una burocrazia molto piccola. Nell’900 i
trattati i commerciali tra due diversi paesi, o unilaterali oppure trattati di libero scambio nei
quali i due paesi dicono che le merci di un paese che entrano in un altro non sono gravate
da dazi, o sono gravate da dazi ridotti.

Paesi che hanno economie più aperte tendono ad essere paesi nei quali il tasso di crescita è
superiore. Il grafico attiene a paesi che fino al 1989 non partecipavano al circuito degli
scambi, e mostra che c’è una correlazione forte tra crescita del prodotto e percentuale del
PIL composta da esportazione di beni e servizi. I paesi che riescono ad avere maggiore
crescita del PIL con un’esportazione inferiore (meno partecipazioni agli scambi) è un paese
come la Polonia (molti abitanti, no necessità relazione con l’esterno); al contrario in Estonia,
molto piccola, la crescita economica deve venire da un’economia aperta e con una relazione
con resto del mondo. Paesi più grandi, pur con difficoltà, possono immaginare di essere
“autosufficiente”, anche se in realtà l’unico che potrebbe esserlo sono gli USA, cosa non
vera per Europa e Cina.

Cosa succede in questi 30 anni? Quella in blu è la popolazione mondiale che vive in una
situazione di estrema povertà divisa per aree del globo. Coloro che vivono sotto la soglia
della povertà estrema si è strepitosamente ridotto a fronte di una popolazione mondiale
aumentata strepitosamente (se la popolazione aumenta vuol dire che diminuisce la
mortalità infantile). Non solo la popolazione cresce, ma il numero di persone che vivono
sotto la soglia di povertà diminuisce. Il dato più preoccupante è quello dell’Africa Subsariana
per ragioni legate alla sua scarsa partecipazione al circuito degli scambi. L’Asia, un posto in
cui tante persone vivevano con meno di 2,15 euro al giorno, la povertà estrema è stata
quasi debellata, al contrario il problema persistente è quello dell’Africa Subsaariana.
In un paese povero la maggioranza del PIL è assorbita non certo dai servizi o dall’industria,
ma dall’agricoltura: il 70% della popolazione nei paesi poveri vive di agricoltura. Su cosa i
paesi ricchi sono più protezionisti? Sull’agricoltura, e lo sono sotto due versanti:
1. chiudono gli scambi con gli altri paesi anche con motivazioni di sicurezza alimentare,
controllo delle produzioni
2. allo stesso tempo sovvenzionano fortemente l’agricoltura, anche con ragioni molto
nobili, per esempio legate alla sopravvivenza di un paesaggio di un certo tipo.
L’una cosa e l’altra costituiscono un problema per chi può solo esportare solo quello; altro
problema: organizzazione degli scambi stessi. Immaginiamo di essere in un paese senza
telefoni e di essere un produttore di alimenti. La cosa importante da sapere per un
produttore, anche se il prodotto passa per un intermediario, è il prezzo a cui il suo prodotto
viene effettivamente venduto sul mercato cittadino. Sulla base di questo organizza la sua
produzione, tara i prezzi che pratica, utilizza la sua libertà contrattuale nei confronti dei
grossisti. Pensiamo invece in una situazione in cui non possiamo sapere qual è il prezzo a cui
il nostro prodotto verrà venduto, se non quello che ci dice l’intermediario (il suo è un
mestiere nel quale guadagnerà di più quanto più è basso il prezzo a cui compra e alto quello
a cui vende).
Queste difficoltà infrastrutturali stanno trovando solo oggi una soluzione: pensiamo
all’importanza che ha in paesi dove non esiste una linea telefonica fissa di qualità, il fatto
che ci siano strumenti che consentono la comunicazione attraverso i cellulari che possono
prescindere dalla posa del cavo. Oppure pensiamo a un paese con un livello di sviluppo più
basso dove non ci sono tunnel (si deve girare intorno alla montagna) e questo dal punto di
vista degli scambi e delle relazioni economiche vuol dire scambi più difficoltosi, trasporti nei
quali si perde più tempo.

Il gap dello sviluppo è fatto anche da queste cose e soprattutto dal fatto che il sistema legale
funziona un po’ meno bene.
Questo è un fenomeno importante da considerare: se vogliamo vedere uno scambio
economico febbrile, costante, con una contrattazione su tutto bisogna andare nelle periferie
più povere delle megalopoli, in cui si cerca di vendere qualsiasi cosa. C’è un’esigenza di
provare a migliorare la propria condizione, quindi si spiega l’attività economica febbrile. Uno
dei drammi è che questa di solito fa molta fatica a crescere, cioè non diventa il passaggio a
una casa più grande, a un’attività più organizzata ecc… e questo è una delle grandi questioni
aperte su che cosa non funziona in quel momento dello sviluppo.
Familismo amorale: in Italia si dice familismo amorale il fatto che siamo un paese in cui
impastiamo le nostre vicende lavorative con quelle della famiglia. L’espressione viene da un
libro degli anni ‘50 (basi morali di una società arretrata) di un sociologo americano di nome
Benfield: passò un po di tempo con la moglie italiana con un paesino del sud Italia, che
trasforma nel suo saggio chiamandolo Montegrano (nome di fantasia). Nota quello che
chiama familismo amorale, cioè che in questo paese l’incertezza rispetto allo stato di diritto
(rispetto delle regole, funzionamento società) è tale che le persone non fanno nulla neanche
con familiari della famiglia estesa. Cioè, nessuno si fida di nessuno al di là della sua famiglia
stretta. E questo familismo, cioè l’idea che mi posso fidare solo delle persone a me più
prossime, secondo Banfield era alla base dell’arretratezza del sud Italia perché scoraggiava
le persone nel realizzare quelle realtà (associazioni, imprese, istituzioni) che hanno bisogno
dell’avere a che fare con gli altri. Banfield paragona l’ambiente americano con quello del sud
Italia, notando che loro si imbarcano nella costruzione di imprese, fanno associazioni, ma
questo presuppone l’avere a che fare con gli “estranei” e questo richiede delle istituzioni
che facciano si che ci si possa fidare.

In un altro libro (il mistero del capitale), un economista peruviano, Hernando de Soto, si
mise a studiare l’attività economica delle periferie delle grandi città. Vedeva che era
un’attività economica così intesa e febbrile ma vide anche che non diventava mai capitale: le
persone guadagnavano soldi, ma non li trasformavano in una casa, in finanziamenti per
imprese, ecc. Ciò che sottolinea e conclude De Soto è che visto che esistono queste grandi
aree in cui la definizione di diritti di proprietà è incoerente: magari sono grandi spazi
pubblici su cui sono state edificate delle favelas e di queste case non c’è un catasto, ma è
tutto stabilito dalla consuetudine ma le case possono essere occupate e non c’è un’autorità
a cui ricorrere per farsi riconoscere il diritto perché il diritto non esiste. Per De Soto questo
fa si che quel genere di attività economica così febbrile e costante non diventi poi capacità
di migliorare la vita delle persone.

Il tema è molto rilevante perché la questione di cosa consenta lo sviluppo è la grande


questione sulla quale si arrabatta da sempre l’economia.
Esempio: Kenya e Taiwan sono due paesi che nel 1950 hanno lo stesso reddito pro-capite:
900 dollari l’anno. In
- In Kenya in 60 anni il reddito pro-capite raddoppia
- In Taiwan in 60 anni il reddito pro-capite si moltiplica per 43
Questo non perché ci sono delle differenze di fondo, ma perché le istituzioni sono diverse,
alcuni paesi hanno istituzioni un po’ migliori e poi perchè il Taiwan è stato fortemente
integrato nello scambio internazionale (stato integrato con l’economia americana grazie alla
vicinanza con la Cina), quindi pur essendo piccolo si è potuto specializzare in tutta una serie
di cose.

Miracoli e disastri
Grafico: andamento del reddito procapite (quanto può spendere ciascun cittadino) nel corso
del 900 per diversi paesi.
- Gli USA cominciano il secolo essendo i più ricchi di tutti, ma finiscono il secolo
essendo vistosamente più ricchi di tutti (con i loro alti e bassi)
Poi ci sono paesi con un andamento molto diverso:
- A inizio secolo l’Argentina era più ricca del Giappone, del Sud Corea, ma poi la
situazione si è ribaltata. Il Giappone, così come la Corea del Sud ha un miracolo
economico. Dopo la 2GM cominciano a crescere, non sanano il gap con gli USA, ma si
avvicinano molto; hanno un reddito pro-capite molto più alto di quello da cui
partivano. L’Argentina vede invece una crescita molto modesta nel corso di un
secolo.
L’Argentina è ricca di risorse naturali, quindi non è una questione di avere ricchezza da poter
estrarre dal sottosuolo (anche perché se lo fosse dall’Italia non potremmo aspettarci
niente). Al contrario, i miracoli della crescita si spiegano molto di più sulla base del sistema
istituzionale e dell’integrazione nel circuito degli scambi. Un paese che è integrato nel
circuito degli scambi, di solito sopravvive di più con cattive istituzioni perché solo grazie a un
confronto ci possiamo accorgere che le cose possono essere fatte in modo diverso (non per
forza migliore). Per quanto attiene le condizioni di produzione, le regole, i regini di diritti e
proprietà, questo confronto lo si vede nelle attività economiche, negli scambi, nei prezzi che
si possono praticare. Quindi l’essere un paese chiuso in sé stesso difficilmente si
accompagna con un’attività migliore delle istituzioni.

I processi di globalizzazione e internazionalizzazione non sono solo fenomeni che riguardano


i consumatori, ma questi riguardano profondamente le imprese: riguardano le imprese
perchè per loro avere a che fare con mercati internazionali vuol dire adeguarsi a domande
diverse da quelle che sono abituate a soddisfare: i cosmetici si possono vendere in modo
diverso e in paesi diversi (la cultura che non è la stessa). Questo per le imprese vuol dire
cambiare la produzione. Spesso pensiamo che la globalizzazione vuol dire portare prodotti
che contraddistinguono un certo paese e una certa cultura in un paese/cultura diverso
perché pensiamo a Coca Cola e McDonald, ma per la maggioranza dei prodotti questo non è
il caso. I prodotti hanno bisogno di essere cambiati a seconda del contesto perché le
preferenze delle persone sono diverse.

Le conseguenze della globalizzazione sono notevoli per i consumatori perché equivalgono a


un aumento di beni e servizi disponibili e una maggiore differenziazione tra gli stessi, ma
riguardano fortemente anche le imprese.
Per ragionare sulle imprese, ragioniamo sulla catena del valore, cioè un modo per
distinguere le diverse attività che avvengono all’intero dell’impresa. Il modello ci porta a tra
attività primarie e secondarie. Tendono anche ad essere attività più facilmente o meno
facilmente esternalizzabili ad altre, consumate all’interno dell’azienda, o invece oggetto di
outsourcing (lasciate ad altre.

Primarie:
- logistica in entrata: tutto quello che riguarda l’arrivo dei fattori produttivi all’interno
dell’impresa, e anche il loro stoccaggio e preservazione affinché siano avviate
- produzione: processo di trasformazione che utilizza il fattore produttivo per
trasformare qualsiasi materia prima in un bene
- La logistica in uscita: momento nel quale si affida il prodotto a chi lo condurrà sul
mercato
- Marketing e vendite: attività che hanno lo scopo di far conosce il prodotto e
acquistare al potenziale consumatore
- Assistenza post-vendita: quando il prodotto presenta dei problemi, il produttore
interviene a risolverli

Secondarie:
- approvvigionamento di materiali e servizi che servono per la produzione
- attività di ricerca e sviluppo che può portare all’innovazione del prodotto realizzato
- gestione delle risorse umane: tutto l’ambito che riguarda la costruzione di contratti e
relazioni opportune con quei particolari fattori produttivi (persone)
- infrastrutture e trasporti: non sono solo il camion con le merci ma anche cose come
per esempio la contabilità, cioè tutta l’attività infrastrutturale che riguarda le
produzioni oggetto dell’attività di impresa.

Un maggiore scambio internazionale cambia l’attività dell’impresa perché rende più facile
approvvigionarsi all’estero (internazionalizzazione degli approvvigionamenti, cioè
aumentano i posti da cui è possibile acquistare materie prime e componenti). Un'altra
caratteristica dei processi di globalizzazione è che è più facile localizzare all’estero attività
produttiva. Questi sono i fenomeni di internazionalizzazione produttiva che spesso entrano
nel dibattito sotto un’etichetta un po’ forviante: FIAT chiude a Torino e apre a Belgrado.
Quello che bisogna sempre tenere presente quando si parla di delocalizzazioni è che spesso
si esagera la facilità del fenomeno. La maggioranza delle attività produttive di carattere
imprenditoriale non sono l’equivalente di apire gelaterie, quando si costruisce uno
stabilimento entrano in gioco una serie di difficoltà e si mette capitale che negli anni
dev’essere ammortato. La scelta di aprire o chiudere un nuovo sito produttivo non si fa con
leggerezza.
Quindi, l’internazionalizzazione produttiva è molto più difficile di quanto appaia, è dovuta a
tanti fenomeni, uno dei quali è il costo del lavoro (ma si enfatizza sempre quello a scapito di
altri). Una delle cose più frequenti è il cosiddetto “fenomeno del rimpatrio” di alcune
produzion industriali: avviene perché processi produttivi molto più meccanizzati hanno una
maggior intensità capitale e una minor di intensità lavoro e quindi il fattore più importante
che un’impresa cerca dal paese in cui impianta quello stabilimento è la certezza dei diritti di
proprietà, cioè la sicurezza che quei costosissimi macchinari non vengano rubati, che ci sia
un giudice ecc…
È una delle ragioni che aumenta la chiusura/apertura in un luogo o nell’altro si determinati
stabilimenti, così come il costo del lavoro e così come cose come il “liceo minerario”: il fatto
che ci siano dei lavoratori locali che sappiano fare alcune cose rispetto ad altre perché il
processo di instradare delle maestranze per svolgere una certa mansione o un’altra ha dei
costi. Quindi, quando si muove un’azienda che realizza determinate produzioni deve
pensare non solo a portare li i suoi beni materiali, ma soprattutto a chi ci lavora e a cosa sa
fare.
Da ultimo, c’è un aspetto molto banale ma anche importante dell’internazionalizzazione
produttiva: cioè alcuni beni si possono vendere in luoghi molti distanti dal luogo di
produzione senza grossi problemi (beni di primo ordine, quelli di consumo più immediato),
altri no o comunque per questioni di assistenza post-vendita ho bisogno di attività
produttive magari più piccole che però siano vicine al momento del consumo.

Ovviamente lo scambio internazionale consente anche di poter acquistare conoscenza, cioè


ricerca e sviluppo in altri luoghi: in alcuni casi significa che si sposta la produzione al traino
dei luoghi in cui c’è ricerca e sviluppo ma in un mondo nel quale se c’è qualcosa di
totalmente integrato è la comunità scientifica, ricerca e sviluppo possono essere comprati in
posti dove si fanno e poi impiegate in altri luoghi.
Da ultimo, l’internazionalizzazione consente più facilmente di cercare di trovare capitale in
altri paesi. Oggi, in luoghi dove c’è una cultura finanziaria più vivace, il risparmio degli
individui finisce per essere canalizzato in imprese (quindi azioni) e in fondi che perseguono
investimenti in paesi lontani e diversi. Questo è anche il risparmio di persone che non hanno
quantità straordinarie di risparmio, ma comprano una piccola quota di un fondo che investe
nei paesi emergenti e a maggior ragione questo è vero rispetto a grandi entità finanziarie
come i denari investiti dalle assicurazioni. Queste grandi masse di denaro, per ottenere
rendimenti vanno dove questi rendimenti possono essere assicurati loro, non
necessariamente all’interno dei confini nazionali quindi questa massa di denaro può finire
per finanziare attività produttive anche molto lontane rispetto al luogo nel quale questa
ricchezza è stata originariamente creata.

IMPRESE E STRATEGIE
Micheal Porter
Porter è un professore che ha studiato la teoria della strategia manageriale, è un autore che
stilizza i concetti chiavi che ci aiutino a comprendere come funzionano le imprese pur
sapendo quali sono i limiti di questa modellizzazione. È stato molto criticato perché alcune
cose che ha proposto come concetti utili per comprendere come agiscono le imprese, ha
cercato di trasporli nel modo in cui agiscono e si comportano i paesi. In sostanza ha cercato
di analizzare quello che chiama “vantaggio competitivo” non solo per le imprese, ma anche
per un paese nel suo complesso. In questo è stato accusato di incoraggiare un’indebita
trasposizione nell’ambito della politica della teoria del discorso manageriale. Cioè di
alimentare la confusione per cui gestire un paese somiglierebbe a gestire un’impresa.
L’approccio di Porter è straordinariamente lineare e dal punto di vista della comprensione
molto efficace, e questo suo successo ha colpito decisori pubblici ai quali piace vedersi come
l’amministratore delegato del paese. La differenza è che mentre l’impresa ha un ambito in
cui agisce, il successo del paese è anche dato dalla soddisfazione di bisogni e necessità
diverse l’una dalle altre, un paese non ha un singolo obiettivo, ci sono realtà diverse ognuna
che persegue il proprio.
Il mondo di cui parla Porter è diverso da quello nel quale le imprese nascono. Le imprese
nascono essendo piccole, e l’imprenditore ha una serie di caratteristiche:
- un’abilità speculativa per cui fa un arbitraggio: mette assieme fattori produttivi e li
trasforma in qualcosa che può rendergli di più dei costi che ha dovuto sostenere per
essi
- corre rischio
- ha costi di produzioni fissi, invece prospettive di guadagno incerte che dipendono
dall’effettiva risposata dalla domanda. Ha l’alartness (individuare squilibri e
comportarsi di conseguenza)
- il nuovo imprenditore ha un’idea che prima non c’era. Vede una certa esigenza e
pensa che a quell’esigenza sia possibile dare risposte spesso in un modo nuovo

Le imprese a un certo punto da piccole diventano grandi e la figura imprenditoriale di


fondatore dell’azienda a un certo punto scompare e le imprese che sopravvivono al loro
fondatore tendono ad avere una gestione manageriale. È vero per le imprese la cui
proprietà resta agli eredi (imprese a gestione famigliare non quotate in borsa), e ancora più
vero quando un’impresa per avere risorse va in borsa diventando public (non nazionalizzata,
ma la proprietà, o quote di proprietà, vengono messe sul mercato per cui chiunque può
comprare un’azione o quante ne ritiene). Nel mondo ci sono grossi operatori finanziari che
diversificano i propri investimenti e comprano azioni di diverse imprese in diversi contesti e
paesi.
Le imprese pubbliche (quotate in borsa) hanno una governance (gestione) in cui si viene a
costituire un rapporto fiduciario tra azionisti e amministratori. Gli amministratori
compongono consiglio di amministrazione che ha un grosso vantaggio informativo rispetto
agli azionisti. Il consiglio di amministrazione non può governare un’impresa, quindi di solito
nomina un amministratore delegato che è il capo azienda, cioè sta in cima alla struttura
gerarchica delle imprese. Questa figura ha in sé alcune delle caratteristiche imprenditoriali,
cioè governa un’impresa e facendolo dovrebbe mostrare la propensione al rischio,
l’alertness proprie della figura imprenditoriale. La differenza tra lui e l’imprenditore è che
l’amministratore è comunque un salariato: può essere cambiato dal consiglio di
amministrazione o dagli azionisti, non è il proprietario dell’azienda.
Questa questione ogni tanto crea conflitti importanti perché amministratore delegato ha un
rapporto con la sua azienda diverso da quella dell’imprenditore perché in alcuni casi può
essere parassitario, o può rivelarsi non in linea con gli obiettivi che il consiglio
amministrazione o azionisti immaginano che possa perseguire.
Quando parliamo della strategia di impresa di Porter, anche se si tratta di teorie applicabili
astrattamente anche alla figura imprenditoriale, in realtà ha in mente un mondo di imprese
complesse, a capitale abbastanza diffuso e nelle quali esistono sistemi di governance interna
nelle quali i conflitti sono possibili. Porter pensa al mondo delle grandi imprese di oggi.
Italia: stragrande maggioranza imprese ha meno di 15 o 10 addetti. Questo non significa
però che la maggioranza delle persone lavori in imprese piccole perché la maggioranza
dell’occupazione è data dalle poche imprese più grandi. È chiaro che la nostra esperienza è
con un’imprenditorialità molto diffusa diversa da quella che ha in mente porter: è in larga
misura di attività recente (secondo dopoguerra) e spesso con una forte componente
familiare.
Quello di Porter è un modello che attiene alla grande impresa ed è un modello semplificato.
Quando abbiamo a che fare con imprese, imprenditori e amministratori in carne ed ossa, le
linee che dividono un obiettivo e una funzione dall’altro sono meno chiare di quanto lo
siano sulla carta: le persone possono svolgere ruoli diversi, le organizzazioni spesso sono più
path dependent (cioè dipendenti dal percorso). Una cosa difficile cambiare in ogni
organizzazione è fare in modo diverso le cose, cioè cambiare quella che potremmo chiamare
“la cultura dell’impresa”. Inoltre, all’interno dell’impresa le persone sono più flessibili
rispetto ai modelli: capita che la stessa persona faccia cose diverse, che magari sulla carta
non gli spettano.
Quindi il modello di Porter è una stilizzazione che serve per capire alcune cose, cose
importanti perché attengono alla natura e al funzionamento dell’impresa, soprattutto nel
mondo di oggi e pensate soprattutto sul modello americano del grande capitalismo a
capitale diffuso.

Il libro di Porter vuole spiegare come un’azienda può creare e mantenere un vantaggio
competitivo.
Vantaggio competitivo: modo in cui l’impresa si distingue, la base delle ragioni per cui
l’impresa in un certo ambito registra una performance superiore a quella delle concorrenti.
In poche parole: ragioni per cui un’impresa funziona meglio nel senso che fa più profitti
rispetto ad imprese simili (non in senso assoluto) che possa essere riscontrata su un arco di
tempo medio-lungo, che non sia solo un semestre. Secondo Porter il vantaggio competitivo
di un’azienda deriva fondamentalmente dal valore che è in grado di creare per i suoi
consumatori: se un’impresa fa più profitti di quelle simili in concorrenza con essa significa:
- nel caso in cui quest’impresa faccia un prodotto simile ma più costoso: che le
persone sono disponibili a comprare quello anche se costa di più
- nel caso in cui i prodotti siano simili e non vi sia una disponibilità a pagare superiore:
perché il vantaggio competitivo deriva dalla capacità di costruire un’organizzazione
che abbia costi sensibilmente più bassi.
Entrambe le possibilità sono sul piatto: non è che l’impresa che ha performance migliore
necessariamente lesina perfettamente sui costi o che diversifica così tanto il prodotto da
renderlo più attrattivo indipendentemente dal prezzo più alto.
Prodotti di marchio che costa di più, fa una cosa che fanno i prodotti simili, ma tutti lo
comprano: iPhone. Questo non significa che la capacità di ottenere un prezzo superiore dal
consumatore suggerisca all’imprenditore di essere inefficiente nella costruzione della sua
organizzazione produttiva. Qualsiasi imprenditore e soprattutto qualsiasi struttura
produttiva cercherà sempre di tenere i costi sotto controllo.
Il modello ci suggerisce due strategie diverse perché spesso le aziende assomigliano a l’una
o all’altra: se vogliamo pensare a un bene che compriamo dai concorrenti proprio perché
costa meno e fa più o meno le stesse cose pensiamo per esempio a Iliad, Ryanair.
Ciò non significa che Iliad o Ryanair non si occupino del loro brand.

Il profitto dipende sempre dal rapporto tra costi sostenuti e risultato ottenuto: se le entrate
superano i costi sostenuti abbiamo un profitto, mentre se i costi superano le entrate,
abbiamo una perdita. Se non si riesce a fare un profitto significa che stiamo impiegando
male le risorse che potrebbero essere usate meglio per un’altra produzione. Questo vale
anche per le attività economiche che vengono fondate. Quando c’è una cosa nuova, colui
che la fa partire tenderà a pensare che per un po’ di tempo di possono sopportare delle
perdite, ma questo non può andare avanti perché se non si fanno profitti e si hanno dei
costi, per pagare i costi si deve attingere al proprio capitale.

Dal punto di vista di Porter, il valore è quello che i compratori sono disposti a pagare per ciò
che un’azienda fornisce loro, la misura del valore è data dal ricavo totale che riguarda il
prezzo della singola unità di prodotto che un’azienda riesce a spuntare dall’acquirente e
ovviamente il numero di unità vendute. Un’impresa fa profitto se il valore (questo ricavo
totale) supera i costi totali determinati dalla creazione del prodotto.

Nel momento in cui dobbiamo ragionare per performance delle imprese dobbiamo
immaginare un campo di gara in cui l’obiettivo è ovviamente vincere, ma perché la
competizione sia bella l’elemento fondamentale è che si rispettino le regole. Nella
competizione tra imprese è fondamentale che non ci siano comportamenti fraudolenti, ma
ciò che ci interessa non è neanche chi vince. Ciò che ci interessa è che da quella
competizione esca la produzione: il prodotto della competizione è la realizzazione di un
prodotto. Quando abbiamo a che fare con questo genere di competizione tra aziende che
fanno più o meno la stessa cosa, ovviamente abbiamo anche una liedership. Nella
competizione tra aziende abbiamo a che fare con una situazione che si protrae nel tempo e
in cui con maggiore facilità possono cambiare le carte in tavola, non c’è una linea d’arrivo.
C’è una graduatoria continuamente in evoluzione e uno dei modi per avere un’idea di
questa graduatoria è guardare la quota di mercato, cioè vedere quanta parte dei
consumatori che acquistano un bene di quel tipo lo acquista da una certa impresa. Per
guardare la quota di mercato bisogna definire qual è il mercato e ci sono certi casi in cui
questo può non essere così evidente.
Esempio: Netflix è in concorrenza con Amazon Prime, Now, Disney Plus (cose che ci fanno
pagare per vedere film), ma non solo. Anche qualsiasi modo con il quale posso avere
qualsiasi contenuto, quindi anche siti streaming, cinema, televisione... sotto alcuni aspetti,
anche Spotify fa concorrenza perché non si possono sentire le due cose insieme.
Ora, il mercato rilevante di Netflix è quello degli altri servizi di video on demand a
pagamento, ma ovviamente non è solo il primo, i confini sono molto labili.
Esempio: HM, Zara, OVS, si fanno concorrenza. Ma invece Luisa Spagnoli, Max Mara, Nike…
sono molto simili ma sono mercati diversi per target, prezzi, disponibilità a pagare,
immagine... eppure cose così diverse sono praticamente identiche.

Quindi definire qual è il mercato rilevante per verificare la performance di un’ìimpresa non è
così facile ed è una cosa che sta soprattutto nella testa di chi quell’impresa la gestisce.
Il punto che Porter sottolinea è che avere in quel mercato la quota di mercato più rilevante
(liedership), quello non è ciò che deve essere materializzato, ma è l’effetto dell’acquisizione
di un vantaggio competitivo. Secondo Porter, il buon mandato a chi gestisce un’impresa è il
mandato a perseguire un vantaggio competitivo, cioè quella cosa che rende l’impresa
differente. Avere il vantaggio competitivo è la premessa per avere successo, ma nella
costruzione della strategia dell’azienda, l’obiettivo deve essere la costruzione del vantaggio
competitivo, quindi o:
- fare un prodotto rispetto al quale le persone sono disponibili a pagare di più
- essere coloro che producono un prodotto con prezzi più bassi perché i prezzi di
produzione sono inferiori
La quota di mercato è una conseguenza di questo fatto. Dal suo punto di vista pensare
all’acquisizione di una maggiore quota di mercato se non è fondata sull’acquisizione di un
vantaggio competitivo, può portare a fare degli errori.

Per determinare la strategia dell’impresa due sono i fattori rilevanti:


1. settore industriale nel quale si compete e fattori di attrattività in tutto quel settore
2. ciò che determina la mia posizione, relativa a quella dei miei concorrenti, all’interno
di quel settore.
Vuol dire che c’è un range di profitti ottenibili che varia a seconda del settore nel quale si
opera. Siccome gli investitori cercano diverse remunerazioni del rischio, ci saranno settori
nei quali i profitti sono più bassi ma saranno di norma settori che danno più sicurezza a chi vi
investe. Esempio: grandi infrastrutture, danno una remunerazione abbastanza limitata ma si
sa che il gas non può che passare per quei tubi, le comunicazioni per quelle linee, che c’è
una buona manutenzione.
Viceversa, ci sono settori nei quali il rischio d’impresa è molto più elevato. Cioè, la nascita di
una certa impresa o la sua attività ordinaria si confronta con rischi molto maggiori quindi la
probabilità che l’investimento vada male è superiore.
Queste differenze fanno si che il tasso di profitto atteso in diversi settori non sia sempre lo
stesso e non ha senso paragonarli. Quando si costruisce una strategia aziendale bisogna
scegliere il settore nel quale competere e indagare le ragioni che fanno si che in quel settore
si possano fare profitti.

Oltre a ragionamenti che attengono il settore industriale ve ne sono altri che attengono la
posizione relativa delle imprese in questione rispetto al settore industriale. Un’impresa può
essere posizionata in modo diverso rispetto alle altre per ragioni come attrattiva,
riconoscibilità, valori associati al marchio…
Il punto di Porter non è che ci deve essere una strategia giusta o sbagliata, ma che ci sono
strategie che è possibile perseguire per certe imprese e altre che sarebbe velleitario
perseguirle e questo dipende dalle dimaniche del settore industriale e anche dalle
caratteristiche dell’impresa stessa.

Le 5 forze competitive:
In questo suo lavoro di modellizzazione parla di cinque forze competitive, cioè cinque forze
che influenzano il genere di influenza alla quale possiamo pensare: al centro c’è la rivalità
tra competitori attuali. Non è l’unico problema perché ci sono due forze che spingono
nell’opposta direzione e sono:
- potere contrattuale dei fornitori
- potere contrattuale dei compratori
questo è ancora più rilevante per beni intermedi e non di consumo, ma anche se la
pensiamo per beni di consumo capiamo che cosa implicano queste due forze per i
produttori

I fornitori (imprese anch’esse) vorranno farsi pagare di più e gli acquirenti, a parità di
prodotto, vorranno pagare di meno. Ciò che rende difficile gestire questo è la rivalità con
altri concorrenti perché se si fosse soli ad offrire quel certo bene e si sapesse che dei
consumatori dipendono solo da quell’azienda, il potere contrattuale dei compratori
diminuirebbe e magari si riuscirebbe a pagare di più i fornitori.

Il problema dei fornitori si vede in momenti di grande scarsità, quando cambiano i costi e
quindi cambia il genere di prezzi che essi possono praticare all’azienda. Parimenti, il loro
potere contrattuale aumenta quando vi sono qualsiasi tipo di fenomeno che porti a una
maggiore scarsità di ciò che essi vendono, per esempio quando si sviluppa un nuovo metodo
produttivo o si ricorre a una nuova risorsa che è naturalmente più scarsa perché appena
sviluppata da questi miei fornitori, quindi io posso dover cedere nei loro confronti. Il potere
contrattuale dei fornitori cresce quanto più è scarsa la risorsa di cui essi dispongono.
Quando ho a che fare i consumatori il problema sarà dato dalla presenza di miei
concorrenti: se i consumatori hanno più opzioni da contemplare saranno meno facilmente
convinti di pagare il prezzo che offro loro senza battere ciglio.

Non devo essere solo preoccupato della concorrenza che ho oggi, ma anche di quella di
domani. E questa concorrenza costa di due diverse cose:
1. nuove imprese che si mettono in concorrenza con me. Minaccia di nuovi entranti in
un mercato. Questa minaccia sarà tanto più elevata quanto più il settore industriale
nel suo complesso va bene. Proprio il fatto che vi siano delle determinanti che
rendono il mio settore industriale attrattivo, scatena la potenziale corsa ai nuovi
entranti
2. nuovi prodotti che siano potenziali surrogati di quello che vendo io: è una
conseguenza della scarsità relativa. Se in quel settore indutriale io e i miei
concorrenti possiamo praticare prezzi più alti, il prezzo più alto sollecita la
produzione di beni e servizi che possono essere assimilati a quello, ma che quello
non sono. Questo perché se un bene è disponibile in abbondanza e a prezzi modesti
non scatta il ricorso al surrogato, la scarsità chiama il surrogato.

Il punto non è solo la concorrenza, ma la concorrenza e queste altre forze che la influenzano
in un certo settore imprenditoriale e che alla fine da una parte, a livello orizzontale sono
questioni che devono essere gestite nella quotidianità dell’impresa, ma sull’asse verticale
sono minacce legate o all’attività imprenditoriale di concorrenti che ancora non sono in gara
con me, ovvero all’innovazione. Per sviluppare un nuovo surrogato di un certo bene o
servizio bisogna inventare qualcosa di nuovo che possa incontrare il medesimo bisogno

Quando parliamo di struttura del settore industriale ci confrontiamo anche con il fatto che il
valore generato da quel settore è un qualcosa che le imprese riescono a incamerare o è un
qualcosa che viene portato via dalla concorrenza.
Da questo punto di vista, rispetto anche alle forze viste prima, ci sono degli elementi che
influenzano questa struttura del settore industriale (quali sono i concorrenti, come sono
fatti, di cosa si occupano). La prima cosa che la influenza è la presenza di barriere
all’ingresso: possono essere o di carattere legale (per esercitare un certo mestiere devi
ottenere una certa abilitazione, per vender un certo bene un’autorizzazione governativa), o
naturale (per produrre birra servono meno capitali che per produrre vino).
A seconda dell’altezza delle barriere all’entrata, la situazione di chi è dentro il settore
industriale è più o meno comoda. L’ideale è l’essere in una situazione in cui siamo
monopolisti di qualcosa. Ovviamente non ce ne sono tanti e anche i porti più sicuri possono
essere sgretolati per esempio da un’innovazione tecnologica, dal cambiamento dei gusti dei
consumatori ecc…
La struttura è influenzata dal potere contrattuale degli acquirenti: presenza di concorrenza
reale e potenziale, importante tanto quanto quella reale. È importante anche per
mantenere bassi i prezzi: i prezzi sono bassi non solo perché c’è la minaccia diretta del mio
concorrente ma anche perché so che se vanno oltre un certo livello arriverà qualcuno che
riuscirà a produrre in modo più efficace. E ovviamente la minaccia dei sostituti: il fatto di
avere un prodotto che ha o meno alternative.
La struttura del settore industriale ha a che fare con la velocità del cambiamento, con la
velocità con cui si aggiungono modo offerte. Ci sono settori nei quali il cambiamento è
rapido e costante (grandi vantaggi per il consumatore, posizione scomoda per l'impresa e
per il produttore) e ci sono altri siti invece nei settori nei quali le protezioni sono fortemente
consolidate (barriere all’ingresso molto alte, consumatori hanno scarso potere contrattuale
perché non esistono surrogati e non c’è la minaggia di beni alternativi).

Come si colloca l’impresa nel settore nel settore che si è scelta? Un’impresa può avere buoni
profitti anche se la redditività del settore è abbastanza modesta e lo può fare attraverso la
ricerca del vantaggio competitivo. ci sono settori industriali in cui in ragione della struttura il
tasso di profitto atteso è più o meno alta. Se dobbiamo prendere il punto di vista del
produttore, più lui è protetto più i suoi profitti sono al sicuro. Tuttavia, ci possono essere
settori nei quali la redditività è bassa o perché il settore è intensamente competitivo oppure
perché vi è grande incertezza, ma anche in settori nei quali la struttura non è così
consolidata quindi la redditività attesa è modesta, anche in quell’ambito l’impresa può fare
buoni profitti. In che modo? Acquisendo e proteggendo il vantaggio competitivo, cioè
questa sua diversità rispetto ai concorrenti. Le due strade della diversità sono
1. riduzione dei costi: ovvero, quella che lui chiama strategia di differenziazione.
2. leadership di costo: avere costi più bassi dei propri concorrenti:
a. accesso preferenziale a fornitori migliori (accesso preferenziale a risorse
minerarie)
b. impiegare tecnologie più moderne, avere a disposizione macchinari migliori e
quindi si contengono i costi di produzione
c. Economia di scala: aumentando la produzione si possono avere costi unitari
più bassi. Per produrre di più si utilizzano più macchinari e questo fa si che
alla fine del percorso il costo di produzione di un singolo pezzo sia inferiore a
quello che invece sarebbe stato il costo di produzione di un singolo pezzo in
una produzione più “artigianale”
Quello che fa il lieder di costo non è la scelta di un prodotto che sia particolarmente
appetibile per scelte sue intrinseche, ma la scelta del lieder di costo è riuscire a vendere a
meno (trasferire parte del valore al consumatore) un prodotto le cui caratteristiche
collimano con quelle degli altri prodotti sul mercato. La liedership di costo passa per:
- Bassi costi gestionali operativi: per avere una costruzione dell’organizzazione
d’impresa che funziona meglio
- Per economie di scala => elevata standardizzazione del prodotto, è difficile essere
produttore di un prodotto costumizzato
- Buon controllo di tutte le operazioni della catena del valore
- Buona utilizzazione dei beni capitali (gli asset): bisogna che il capitale impiegato per
realizzazione di un prodotto o servizio sia impiegato nel miglior modo possibile

Leader di costo per antonomasia è Ryanair: ha acquisito una leadership di costo per una
serie di fattori:
- assenza di servizi di differenziazione: non ci sono accessori
- potere contrattutuale con i fornitori: gli unici due produttori di aerei sono Boeing e
Air Bus quindi fino a Ryanair andavano a rimorchio dei produttori di aerei (loro
decidevano che aerei fare e loro li compravano). Ryanair è stata la prima a comprare
flotte importanti di aerei tutti uguali, quindi acquisendo un forte potere contrattuale
nei confronti del suo fornitore principale. Aerei tutti uguali quindi fortemente
standardizzati e quindi aerei sui quali qualsiasi equipaggio saltando da uno all’altro
sa cosa fare (zero esigenza di adattamento per il singolo mezzo).
- Forza del rapporto contrattuale con gli aeroporti: Ryanair andava negli aeroporti
secondari e mobilitava scali in cui non andava nessuno. Grazie a questo otteneva
favori e sussidi da parte dei governi locali che speravano che con Ryanair arrivasse
un flusso turistico.

In virtù di queste Ryanair è il leader dal punto di vista del costo in quel settore con alcune
imitazioni più o meno di successo perché se pensiamo alle forze competitive è riuscita a
tenere sotto controllo la concorrenza sgominandola dal punto di vista dei costi, a trasferire
molto vantaggio al consumatore e avendo la capacità di ribilanciare fornitori che sui suoi
concorrenti esercitavano un potere contrattuale molto elevato

22.12

Libro di Michael Porter: ha a che fare con il punto di vista specifico delle imprese che non è
quello che invece tendiamo ad assumere quando facciamo un ragionamento di carattere
economico con implicazioni di tipo generale. Gli interessi, i punti di vista, i bisogni delle
persone comuni sono diversi, in alcuni casi sono in conflitto e ogni volta che si parla di
interesse generale o si assume una sorta di scetticismo programmatico, ovvero si cerca di far
coincidere l’interesse collettivo con la migliore approssimazione possibile dell’interesse dei
più, cioè l’interesse dei consumatori (avere beni e servizi migliori possibili al prezzo più
basso perché se costano di meno il potere d’acquisto aumenta). Inoltre, la migliore
approssimazione è quello dei giovani, ovvero delle generazioni che si stanno affacciando
adesso sul mondo del lavoro e che hanno come principale interesse quello di trovare
un’occupazione.
Per fare aumentare i salari l’unica vera possibilità è aumentare la produttività, fare in modo
che le persone con lo stesso ammontare di lavoro realizzono più beni e servizi. In Italia la
produttività non cresce circa da 20 anni e di conseguenza anche i salari.
Questo è l’interesse generale, che coincide con l’interesse dei consumatori (avere beni e
servizi il migliore possibile al prezzo più basso perché se beni e servizi costano meno il
potere d’acquisto aumenta).
 Il problema dell’inflazione è che erode il nostro potere d’acquisto attraverso un
aumento generalizzato dei prezzi. E anche se tra gli altri prezzi che aumentano c’è
anche il prezzo del lavoro (misura nella quale siamo remunerati), se il mio salario
aumenta del 10% così come tutti i prezzi, allora non guadagnerò più di prima, perché
posso comprare esattamente ciò che compravo prima.
In più c’è l’interesse dei giovani, cioè un’economia dinamica che sia in grado di far entrare
presto persone nel mondo del lavoro, che veda la produttività crescere e quindi veda anche
salari più elevati.

Quando ragioniamo di economia, un economista guarda al punto di vista della società.


Porter propone un esercizio di tipo diverso, cioè di guardare all’interesse delle imprese:
l’interesse delle imprese è quello di fare importanti profitti perché è la ragione per la quale
esistono e dal punto di vista della società alti profitti realizzati da un’impresa significano che
quell’impresa sta allocando bene le risorse a sua disposizione.
Come si fa a fare alti profitti? Secondo Porter si fanno profitti se l’impresa ha un vantaggio
competitivo, cioè quando genera valore e se questo, almeno in parte, viene appropriato dai
consumatori (che scelgono i prodotti di quell’impresa perché conviene loro), sia dall’impresa
stessa che riesce a guadagnare di più delle altre imprese che fanno lo stesso mestiere.
Il vantaggio competitivo fa riferimento alla vita d’impresa in un contesto concorrenziale.
Questa “gara” possiamo paragonarla alle gare sportive: il grande sportivo rispetto ai suoi
colleghi ha delle qualità un po’ diverse e una delle caratteristiche peculiari del grande atleta
è quella di saper mettere a punto il proprio mezzo (insegnare al suo cavallo di comportarsi
meglio degli altri, rendere la propria barca a vela più veloce…). Lo stesso, il vantaggio
competitivo di un’impresa è un vantaggio che ha a che fare con qualcosa che l’azienda ha di
peculiare, con una distinzione dell’impresa rispetto alle altre (e che questa distinzione sia di
tipo positivo). Per verificare che sia una distinzione positiva, bisogna vedere che questo
vantaggio costituisca le basi di performance superiori dell’impresa stessa rispetto alle altre
che fanno lo stesso mestiere (profitti superiori) in un arco di tempo prolungato. Questo
perché ci sono delle situazioni che possono far si che anche imprese poco performanti
facciano alti profitti per un lasso di tempo breve.
Esempio: pizzerie in un quartiere. Immaginiamo che ci sia una pizzeria meno buona delle
altre ma con fornitori diversi: si scopre che i fornitori delle altre pizzerie della stessa zona
erano malavitosi, perciò le pizzerie sono costrette a restare chiuse per dei mesi, a trovare un
altro modo per rimanere sul mercato. In quei mesi, la pizzeria peggiore potrà fare profitti più
alti perché non è rimasta chiusa, perché non ha dovuto cercare altri fornitori quindi è
riuscita a garantire la continuità del servizio.

Il vantaggio competitivo però non può essere misurato solo sull’arco di quei sei mesi, deve
essere visto sull’attività della pizzeria e delle altre pizzeria a più ampio raggio.
Per Porter un concetto essenziale è quello della quota di mercato perché nel momento in
cui discutiamo di imprese che grossomodo fanno lo stesso mestiere, è evidente che se
l’impresa è onesta, ben gestita e ben performante tenderà ad avere una quota di
consumatori maggiore rispetto ad altre. Ma per Porter il mandato (il consiglio di
amministrazione ha il mandato di governare l’impresa che gli viene dato dagli azionisti) non
deve essere semplicemente acquisire la quota di mercato più grande di tutti. Questo perché
se volessi acquisire la quota di mercato più elevata delle pizzerie alla Barona mi basterebbe
regalare le mie pizze: se voglio polverizzare le quote di mercato dei mei avversari non posso
fare altro che regalare il mio prodotto. Per Porter questo è proprio ciò che non si deve fare
perché regalare la pizza per avere un’alta quota di mercato, laddove non c’è dietro una
strategia per ottenere un vantaggio competitivo (quindi una capacità di generare valore
legata a una strategia) è insostenibile. Se regalo la pizza per un mese, e il mese dopo
probabilmente fallisco.
*Ps: conoscere la disponibilità di un certo bene o servizio è la premessa necessaria perché si
possa compiere una transazione -> se non sappiamo che una pizzeria esiste, non potremmo
andarci a mangiare.
Il regalo può essere una strategia di promozione efficace: ciò che non succede è che si
immagina che alcuni imprenditori facciano i “prezzi predatori”, cioè regalo la pizza per un
mese perché in questo modo vedo la mia quota di mercato crescere, i miei competitori
falliscono, e penso che potrò godermi appieno la fetta di mercato che mi sono così
conquistato. Ma questa è un’ipotesi che non tende a verificarsi, esattamente per quello che
ci dice Porter, ossia che un’impresa per funzionare deve generare valore in un lasso di
tempo abbastanza lungo in modo da porter verificare la sostenibilità del proprio modello
imprenditoriale.
Un altro punto essenziale di Porter è che quando pensiamo alla strategia di impresa la
dobbiamo pensare nel suo mercato di riferimento. A tutti piacerebbe essere apprezzati da
tutti, ma la cosa succede per pochi prodotti -> infatti, ogni prodotto è pensato per un certo
numero di persone. Potremmo addirittura costruire un’impresa di grandissimo successo
avendo in mente dichiaratamente un prodotto fatto intenzionalmente per poche persone:
non in senso di esclusivo, ma anche per il fatto che solo poche persone sono interessate a
questo bene. Nel momento in cui rispetto a quel numero di consumatori riusciamo a
generare valore perché i nostri costi sono inferiori ai nostri ricavi, perché la strategia
dell’impresa è sostenibile e perché rispetto ai nostri pochi concorrenti i consumatori
preferiscono noi, vuol dire che avremmo fatto bene. Il successo di una strategia
imprenditoriale non ha a che vedere con il numero di persone che si contano tra i propri
consumatori, ma con la capacità di far aderire la realtà delle cose e la congettura che, come
imprenditori, abbiamo fatto all’inizio pensando che valesse la pena utilizzare quei fattori
produttivi per realizzare quel prodotto da vendere a quel prezzo in quelle circostanze.

Il successo di un’impresa raramente si misura nella quasi universalità di consumo dei suoi
prodotti (e ovviamente questo non lo vediamo per quel che attiene a beni intermedi e a
cose che servono per fare altre cose -> i beni di ordine superiore).
Per ragionare sulla strategia dell’impresa bisogna aver presenti due elementi:
1. Com’è fatto il settore in cui l’impresa opera, quali sono per esempio i profitti che la
maggioranza delle imprese in quel settore tendono a fare. Il tasso di profitto è
sicuramente diverso in base alla tipologia degli investimenti. Come abbiamo detto,
laddove il tasso di profitto è contenuto, la rischiosità dell’investimento sarà minore,
mentre laddove ci sono straordinarie opportunità di profitto, gli investimenti saranno
molto più rischiosi e richiederanno pi capitale
2. La posizione relativa dell’impresa in questo settore: questa non è data solo dal
numero di anni da cui questa impresa è sulla piazza (ci sono vantaggi che vengono
semplicemente con l’essere attivi da tempo e noti), ma riguarda anche alle
peculiarità di quell’impresa rispetto a quel settore e il modo in cui ha perseguito la
sua strategia.
Abbiamo visto le 5 forze competitive di Porter:
1) In mezzo c’è la rivalità, quindi il grado di competizione tra coloro che già operano
all’interno di un certo settore.
2) Sopra e sotto ci sono due forze che tirano e che possono rendere più accesa la
competizione, ovvero
a. la minaccia di nuovi entranti: se nuove aziende si affacciano in un certo
settore imprenditoriale, i profitti attesi delle imprese tenderanno a scendere
perché c’è la minaccia dei nuovi entranti che di solito applicano prezzi più
bassi ed erodono i profitti che le imprese già facevano prima.
Esempio: l’entrata di un nuovo concorrente ha confermato la dinamica dei prezzi al ribasso
nella telefonia, che con l’arrivo di iliad ha costretto quella che era una situazione di mercato
consolidata a inseguire questo nuovo entrante. Da un lato i prezzi vengono ridotti per la
concorrenza che c’è, ma anche per la minaccia che arrivi qualcosa di nuovo, se non c’è
questa minaccia i prezzi tendono a salire. Questo perchè la concorrenza potenziale ha effetti
non del tutto diversi da quella attuale.

b. Minaccia rappresentata da beni o servizi alternativi/sostitutivi


Esempio: impresa che negli ultimi anni è stata accerchiata da beni e prodotti nuovi in
concorrenza con quelli che offriva, cioè Sky (televisione via satellite che rappresenta una
straordinaria innovazione). Ciò che ha tremendamente eroso Sky sono tutti i siti streaming,
che fanno pagare meno. La presenza di servizi che sono sostituti alla tv satellitare non hanno
mandato in crisi la tv generalista, percepita come qualcosa di gratis pagata dalla pubblicità,
ma ha mandato in crisi quello che in precedenza era pressoché l’equivalente e cioè un
servizio a pagamento per un consumatore che voleva film nuovi, eventi sportivi, ecc.). ora
cose molto simili arrivano attraverso lo streaming. Quindi i servizi sostituiti sono una delle
forze competitive perché la loro presenza porterà inevitabilmente a dover diminuire i prezzi.
Ai lati:
3. Potere contrattuale dei fornitori: il fornitore avrà tanto più potere contrattuale
quanto più è saliente la mia risorsa. Se la risorsa a mia disposizione è necessaria
perché una produzione avvenga, potrò farmi pagare di più; ma se la risorsa a mia
disposizione tanto necessaria non è o può essere tranquillamente rimpiazzata da
un’altra, mi dovrò accontentare. E anche per i fornitori potranno avere più o meno
concorrenza e potranno essere sfidati da alternative possibili rispetto ai beni e servizi
che offrono.
4. Potere contratturale dei compratori (consumatori): il consumatore ha più forza
contrattuale quando i concorrenti sono di più. Il fatto di avere a che fare con un
contesto competitivo più rivale aumenta la forza contrattuale del compratore. Più
sono i concorrenti più il compratore ha scelta, nello stesso tempo la disponibilità di
beni o servizi sostituiti esalta questa libertà di scelta del consumatore. Il
consumatore ha invece meno potere contrattuale in tutti quei servizi che deve
comprare per forza e rispetto ai quali l’offerta è molto limitata. Per fortuna al netto
di alcuni grandi servizi che sono monopolio pubblico come sanità ed educazione,
nella maggioranza delle cose che ci sono necessarie per vivere c’è molta concorrenza
-> se vogliamo un litro di latte andiamo al supermercato e ci sono tutti i produttori
che vogliamo.
Quando guardiamo a un settore industriale per capire quali sono le potenzialità in
quell’ambito, immaginando che dobbiamo decidere cosa deve fare la nostra impresa,
dobbiamo considerare questi fattori:
1. Qual è la possibilità d’ingresso di nuovi entranti
2. Qual è la minaccia di eventuali prodotti sostituiti
3. Qual è il potere contrattuale dei consumatori (e quindi implicitamente quanti sono i
concorrenti attuali)
La definizione del mercato per un’impresa è sempre complicata perché mercato significa i
consumatori che desiderano un certo prodotto da quell’impresa e noi abbiamo buone ma
non perfette approssimazioni. La definizione del mercato in cui si opera non è così scontata
però è necessario avere una definizione del mercato, altrimenti il tutto si trasforma in un:
sono in concorrenza con gli altri per il tempo e il denaro delle persone (in questo caso, se la
mettiamo in questi termini, uscire per andare in pizzeria è in concorrenza con una libreria
che ci vende i tre moschettieri e porta via un certo numero di sere in cui uno può leggere
questo libro).

La posizione relativa dell’azienda ha a che fare con due strategie e col modo in cui si
differenzia dalle altre. Le due strade maestre da prendere sono:
1. La riduzione dei costi
2. La differenziazione del prodotto rispetto ai concorrenti. Questo non vuol dire
fregarsene dei costi. Anche chi sceglie una strategia di differenziazione guarderà i
costi, e anche chi ragione su una riduzione all’osso dei costi immagina sempre una
strategia di comunicazione del suo prodotto che lo segnali come diverso dagli altri.
Ma è una questione di prevalenza di una o dell’altra cosa.
LIEDERSHIP DEI COSTI: si basa sulla riduzione dei costi, ovvero sulla riduzione dei costi
unitari (della singola unità di prodotto). Questo può avvenire
a. Nelle economie di scala: quando produco di più di un certo bene il costo
unitario tende ad essere inferiore perché, per esempio, uso un gran numero
macchinari per il quale c’è un grosso investimento iniziale, ma che mi
richiedono meno materie prime, meno personale, e quindi mi consentono di
abbassare il prezzo sulla singola unità di prodotto. *questa strategia non va
bene per tutti -> se la mia impresa fa orologi rolex questa strada non è la più
indicata
b. Grazie alle tecnologie : un salto tecnologico può portare alla riduzione dei
costi. Pensiamo a internet e in generale alla digitalizzazione: perché implica
una riduzione dei costi? Su cosa risparmia un’azienda più attenta alla
digitalizzazione?
i. Sul tempo: costruisce un software che consente di accedere alle info
in un tempo più breve. Consente anche di risparmiare su tutti i tempi
di relazione con altri, di risparmiare sulla carta e sulle spedizioni ->
anziché mandare a casa a qualcuno un biglietto d’auguri, mando un
messaggio. Inoltre, la digitalizzazione consente di usare questo
risparmio sui tempi a vantaggio della produzione -> cioè abbrevia quel
che va dalla progettazione di un nuovo bene alla sua effettiva
realizzazione in laboratorio
ii. Sul magazzino e sugli spazi: non ha bisogno di avere camere e camere
piene di schedari.
iii. Sulla manodopera: anziché avere otto segretarie ne basta una e un
calendario condiviso
Ex: pensiamo di essere negli anni 70 e di gestire una compagnia aerea. Pensiamo che il
vantaggio di costo che arriva alle prime compagnie che capiscono che i computer non sono
una stravaganza, ma possono essere molto più bravi nel gestire le prenotazioni rispetto
all’agenzia e all’essere umano. Pensiamo alla stessa cosa nell’ambito degli hotel ->
prenotando con booking si risparmia molto rispetto a prenotare con le agenzie di viaggio.
I salti tecnologici contentono di acquisire una liedership di costo perché consentono di
ridurre i costi prima dei concorrenti
c. Con un accesso preferenziale alle materie prime: l’essere più vicini alle risorse
salienti anziché altri
Quando parliamo di leadership di costo vuol dire che la strategia dell’azienda è focalizzata su
un continuo processo di riduzione dei costi. Le imprese note per essere leadership di costo
funzionano perché mantengono i prezzi all’interno di un certo range e non che invece si
differenziano per la reputazione di vendere prodotti premium per i quali vale la pena
spendere di più.
La leadership di costo non vuol dire sempre offrire i prezzi più bassi in generale, anche per
una questione di definizione del mercato: posso avere leadership di costo in un mercato di
orologi di media fascia, e non necessariamente di orologi più economici, perché sono quello
che gestisce meglio i suoi costi rispetto ai suoi concorrenti.

Di solito si segnala per:


1) Bassi costi gestionali e operativi: in qualsiasi cosa (che sia una pizzeria o
un’università) per offrire un servizio non abbiamo bisogno solo delle persone che
lo realizzano, ma anche di quelle che li dirigono e gestiscono. Se l’università non
avesse qualcuno che prepara il calendario, che pulisce le aule, ecc. non potrebbe
erogare un servizio, e tutte queste attività devono essere coordinate e gestite
dall’alto (in questo caso da una direzione). Un primo costo da tenere sempre
sotto controllo è quello della gestione. È più facile contenerlo perché in teoria
non ha a che fare con l’erogazione del servizio di per sé, ma è più difficile
mantenerlo perché spesso sono i gestori dell’impresa a gestire i costi e quindi
saranno più generosi con sé stessi che con gli altri.
Però avere buoni costi di gestione per un’impresa è fondamentale. Ex: immaginiamo
un’azienda che fa oggetti artigianali, dove ci sono 3 impiegati e 3 dirigenti… la cosa non ha
senso, ma a volte capita perché i 3 dirigenti sono il fondatore e i figli. Ma quello che faccio
non fa altro che appesantire i costi gestionali. È difficile gestire questo aspetto, ma questo
viene generalmente fatto quando l’azienda passa di mano. Quando un’impresa ne compra
un’altra la logica di fondo è: io penso di essere in grado di gestirla meglio del proprietario
attuale e di farla rendere di più, e la prima cosa che faccio è modificare i costi di gestione
(ridurre posizioni di vertice, stabilire processi decisionali più semplici, ecc.). Ex: se Lufthansa
compra Ita ha un’idea di come possa essere gestita in modo da generare profitti anziché
perdite come fa oggi -> se la compra è perché pensa di poterle dare una nuova forma e di
guadagnarci rendendola efficiente.

2. Elevata produzione di prodotti standardizzarti


I prodotti standard (tutti uguali) di un’azienda possono essere prodotti in serie. Ex: se siamo
azienda di arredi e ci specializziamo in lampadari curati nel minimo dettaglio non potremmo
ambire a una di leadership di costo.
3. Buona utilizzazione degli asset (ristornati con frequenti ricambi)
Per ottenere la leadership di costo devo sfruttare al massimo i fattori produttivi. Ex: una
delle caratteristiche di Ryanair è che tutti sono uguali, per cui in qualsiasi aereo le cose
funzionano sempre alo stesso modo e c’è un elevato livello di standardizzazione delle
competenze (faccio fare corso a pilota e hostess e quello è ciò che devono fare). Pensiamo
anche all’esempio dei ristoranti -> se si vuole diventare un ristorante campione della
leadership di costo e che riesce fare il pieno a pranzo è fondamentale avere servizio di
buona turnazione: la gente arriva, mangia, paga e se ne va velocemente, dandosi
continuamente il cambio. Quindi in questo caso la costruzione della leadership di costo si
basa su frequenti cambi. Ex: immaginiamo di essere un’agenzia di noleggio di auto -> se
vogliamo avere una leadership di costo vogliamo far si che la maggioranza di esse siano
usate perché se stanno ferme rinunciamo al profitto potenziale.
4. Buon controllo della catena del valore
Un’azienda che fa leadership di costo come Ryanair non smette mai di pensare alla migliore
allocazione delle sue risorse disponibili.
Campioni della leadership di costo
RYANAIR
1) Ha un forte potere contrattuale coi fornitori -> comprando tanti aerei tutti uguali da
uno stesso fornitore (che poi ci sono due produttori al mondo) e ha un potere
negoziale maggiore che se andasse a comprare un aereo più volte. Se compro una
fornitura di 20 aerei su due anni, ho un potere diverso che se ne compro 2.
2) Potere negoziale con gli aeroporti
3) Le flotte di aerei sono sostanzialmente omogenee
4) Assenza di servizi di differenziazione -> determinati servizi (saltare la coda, andare
nella lunge, ricevere una mail con le offerte) chiedono una gestione
differenziata/diversa da quella del personale che fa fare il check-in. Richiedono
personale più attento, interessato alla comunicazione, con delle competenze un più,
di avere non solo un cibo precotto ma anche un determinato fornitore -> tutto
questo costa, e se io sono una compagnia aerea che desidera avere consumatori che
lo scelgono perché costa meno degli altri, può tagliare tutti i servizi di
differenziazione
MC DONALD’S
1) Offre servizio standardizzato, veloce e ottimizzato della produzione -> tra un ordine
e il panino passa solitamente un po’ più di un minuto. Per il consumatore questo è
un valore perché:
a. è veloce
b. per una ragione di gusto: quello che consuma è sempre caldo (il panino viene
fatto nel momento in cui lo ordino)
c. inoltre, c’è un’elevatissima standardizzazione e un valore del marchio (se si
scoprisse che un mc Donald ci ha fornito prodotti adulterati, il rischio
reputazionale sarebbe elevatissimo e potrebbe avere ripercussioni negli USA
e in Germania anche se la cosa è avvenuta in Italia)
2) Ha un forte controllo dei fornitori
3) Divisione del lavoro efficiente e formazione interna
4) Integrazione verticale (controllo della catena del valore)
IKEA
1) Facile assemblaggio lasciato al consumatore (così abbatte i costi nella realizzazione di
mobili)
2) Prodotti standardizzati e non personalizzati (se la Billy verde non è in catalogo non la
posso avere)
3) Outsourcing della produzione di mobili -> i pezzi non vengono tutti dalla stessa
azienda, ma hanno tutti uno standard molto vicino che ha razionalizzato i loro costi.

5. STRATEGIA DI DIFFERENZIAZIONE
Non è che non mi interessa dei costi, ma voglio essere scelto dal consumatore non perché
costo meno, ma perché offro qualcosa di percepito come superiore e che giustifica il prezzo
elevato che pratico. Quindi tutta la strategia viene tarata sulla percezione di differenza
rispetto agli altri operatori dello stesso mercato. Può essere fatto con:
1) Un differente approccio al marketing (mi differenzio per il modo in cui vendo) ->
non significa solo coltivare buone campagne pubblicitarie, ma anche cercare di fare
una cosa totalmente diversa
2) Un differente approccio alla distribuzione (mi differenzio per il modo in cui
distribuisco) -> facciamo l’esempio dell’aspirapolvere folletto: è un prodotto caro,
con una reputazione elevatissima, che non si trova né in un negozio fisico, né in un
negozio online. La logica con cui si impose era un canale di vendita differente -> il
rappresentante che va a presentare il prodotto.
Succede lo stesso per le aziende dei surgelati -> i famosi camioncini Bofrost sono
aziende che vendono con un catalogo (quindi con un’attività di recapito del
prodotto) e non con la grande distribuzione.
Campioni della differenziazione del prodotto:
Ps: la differenziazione di prodotto può essere di tipo più diverso -> può essere basata sulle
funzionalità intrinseche al prodotto, o può essere una differenziazione di packaging
(etichetta di una bottiglia di vino, per esempio fatta a mano, fa parte dell’esperienza;
quando prendiamo un capo d’abbigliamento non guardiamo solo ai materiali ma alla sua
estetica, al marchio, ecc.). Il differenziatore del prodotto per antonomasia è quello che
riesce a farsi pagare un prezzo maggiore perché il suo prodotto è percepito come diverso e
superiore rispetto a quello degli altri. Tra i campioni mondiali della differenziazione del
prodotto abbiamo:
APPLE
 Design -> prodotto molto elegante e con un’identità che non riconosciamo a nessun
altro prodotto elettronico (Samsung prova a farlo ma è sempre un passo indietro)
 Strategie di prezzo
 Differenziazione nella distribuzione -> è vero che oggi si trova anche su Amazon, ma
la sua idea è fare dei bellissimi Apple store che attraggono i consumatori
 Differenziazione tecnologica del sistema operativo -> mente Huawei e Samsung
usano lo stesso sistema operativo anche se sono due prodotti differenti, Apple usa
un sistema operativo solo suo. Fare questa cosa non è facile -> pensiamo a quello
che per tempo è stato l’anti-Apple, ossia Microsoft, che diventò tale prima di Apple
perché separò hardware e software -> arriva al punto di non interessarsi nemmeno
che tutti quelli che usavano il suo software lo comprassero da lui e di farsi andare
bene che in giro vi fossero delle copie pirata (perché dice che le copie pirata
generano un effetto network e che tutti quelli che hanno Windows a un certo punto
compreranno Office). Non gli importava nemmeno di avere la reputazione di un
software che non si impallasse mai. E questa cosa per Microsoft ha funzionato
benissimo per oltre 30 anni. Ma ora pensiamo al tablet di Microsoft, un prodotto che
non cerca di fare una strategia di leadership di costo, ma di differenziazione -> punta
a un’estetica ricercata e identificabile con quel produttore, a una differenziazione
tecnologica, ecc. non è facile perché la ragione per cui Apple è quel che è sono anni e
anni di lavoro coerente e nella stessa direzione
TESLA*differenziazione del prodotto al suo massimo grado
 Innovazione di prodotto -> il principio su cui funziona la macchina è diverso da tutti
gli altri (non è a benzina, non è ibrida, ma totalmente differente)
 Assenza del marketing -> fino a tempi recentissimi 0 campagne pubblicitarie, una
rete di vendita ridotta all’osso nei paesi non stati uniti e negli USA si compra sul sito
e poi te la portano a casa. A volte l’assenza di marketing può essere la cosa migliore
poiché può essere un grande elemento di differenziazione. Ci sono brand per cui il
marketing pubblicitario è solo ornamentale -> per esempio le persone non comprano
un Rolex perché lo vedono in pubblicità, ma questa ricorda agli acquirenti che, se se
lo possono permettere, allora rientrano a far parte di una cerchia ristretta di cliente
con una certa identità. Patek Philippe fece un reclamo meraviglioso in cui disse ->
questo orologio non è mai posseduto da nessuno, ma tramandato da una
generazione all’altra.
MINA
 a metà anni 70 scompare dalle scene, vive a Lugano, non rilascia interviste e non fa
speciali televisivi. L’assenza della comunicazione per 40 anni mantiene viva una
domanda di un disco nuovo l’anno. Se il valore percepito è così elevato, non
comunicare può essere il modo migliore per comunicare.
NESPRESSO
*spesso il prodotto che si differenzia dagli altri è brevettato (protetto da questa tutela
brevettuale). E ora il brevetto Nespresso è scaduto.
 Differenziazione di prodotto -> il marchio (che attenzione, è diverso: non Nestlé, non
Nescafé) per assurdo proviene dall’impresa più standardizzata a presente in ogni
dove nell’ambito del cibo, ossia la Nestlé.
 Strategia di prezzo -> si differenzia dagli altri caffè per il modo in cui produce le
cialdine che vengono fatte pagare di più. La cosa regge perché le cialdine non si
possono imitare (le macchine dei concorrenti come Lavazza, Illy iniziano a fare la
stessa cosa ma le loro cialde erano diverse e non compatibili con quelle della
Nespresso.
 Distribuzione -> strategia distributiva totalmente eccentrica. Inizialmente si vendeva
solo per posta o in alcuni punti vendita specifici e selezionati.
Adesso gli altri possono usare la stessa cialda di Nespresso, ma il vantaggio accumulato, la
relazione stabilita col cliente attraverso la strategia distributiva, e la percezione del marchio
come prodotto premium, reggono ancora. E, per carità, ci sono persone che usano la
macchinetta del caffè Nespresso per consumare altri tipi di caffè, ma molti continuano a
comprare le cialde Nespresso.
Focalizzazione
Non esiste una strategia di differenziazione o di leadership di costo pensata per un settore
mondo. La focalizzazione porta sempre a individuare una nicchia/una settore del mercato i
cui bisogni devono essere soddisfatti da un’impresa che in quell’ambito e rispetto a quella
tipologia di cliente mette in atto una strategia o di leadership di costo o di differenziazione.
Elon Mask quando ha fondato Tesla non aveva in mente le macchine utilitarie -> lui aveva in
mente un consumatore che vuole un’auto con determinate caratteristiche e sulla base di
quello che elaborato la strategia di differenziazione.
Nessuna di queste strategie è a prova di bomba -> non sono bottoni che si schiacciano e
sulla base dei quali si produce un risultato. La focalizzazione, esattamente come qualsiasi
altro elemento di differenziazione dell’impresa, può funzionare o meno -> posso
focalizzarmi su un gruppo di consumatori che mi dà soddisfazione, o possono accorgermi
che sono molti meno o non sufficienti per sostenere le mie produzioni. E ovviamente la
focalizzazione non è immensa -> immaginare di fare una catena di ristornati come quella di
Briatore dove la pizza costa 60 euro non significa volerne aprire uno in ogni angolo della
strada: non si vuole fare concorrenza a Mc Donald, ma si vuole scegliere una certa clientela.
Però, anche tante persone con un reddito elevato possono voler spendere non più di 10
euro per una pizza. Questo non significa che la focalizzazione non possa funzionare, ma il
tutto dipende:
 Dalla location in cui viene posta la pizzeria -> una pizza da 60 euro funziona
meglio a Monte Carlo che a Monza
 Da qual’ è il numero di consumatori che mi serve per fare profitto
 ecc.

Perseguire le 2 strategie assieme

Capita (ed è la ragione per cui Porter è diventato così famoso) che ci siano imprese bloccate
a metà del guado, ossia che non abbiano scelto chiaramente nessuna strategia -> magari
sono marchi sufficientemente riconoscibili che potrebbero fare una strategia di
differenziazione, o che hanno un buon controllo dei costi ma sono li-li. Non significa che
sono imprese che vanno male, ma che potrebbero andare meglio. Non avere una strategia
chiara e cercare di perseguire le due strategie insieme (sia quella differenziazione sia quella
di leadership di costo) secondo Porter è possibile solo ad alcune condizioni:
1) DEBOLEZZA DEI CONCORRENTI -> se l’ambiente è intensamente competitivo uno
deve scegliere una strada perché verosimilmente i suoi concorrenti lo avranno fatto.
Ma se la i concorrenti sono pochi o solo deboli, la concorrenza non mi obbliga a
scegliere e quindi posso fare entrambe le cose
2) QUANDO HO UN ELEVATA E SUFFICIENTE QUOTA DI MERCATO E QUINDI POSSO
SPERIMENTARE IN ALTRE DIREZIONI -> non sono da solo perché ho aperto la strada
(mettendo in atto una novità tecnologica importante), ma ho comunque una quota
di mercato talmente rilevante perché per esempio ho già una leadership di costo,
che posso permettermi di sperimentare e inventarmi un prodotto premium. Questo
avviene tutti i giorni -> imprese che hanno già una leadership per una certa ragione
provano a fare una variante costosa o economica del loro prodotto. Ex: Swatch ha
sostanzialmente una leadership di costo (è l’orologio riconoscibile e con un marchio
che costa meno di tutti i concorrenti) -> la sua leadership di costo non le basta e ogni
tanto lancia cose nuove come lo Swatch Omega (esempio di un tentativo in direzione
di una strategia di differenziazione)
3) QUANDO L’IMPRESA REALIZZA PER LA PRIMA VOLTA UNA NOVITÀ IMPORTANTE
(quando arrivo prima) -> Se io arrivo molto prima degli altri con una novità
tecnologica che mi consente di avere un forte vantaggio in termini di tempo sul
secondo entrante (che per esempio deve aspettare che scada il mio brevetto, o
perché si tratta di un prodotto che ha effetti di network per cui acquistarne uno
comporta anche acquistare quelli successivi), e quindi veleggio da solo, fare le due
cose insieme è la strategia più saggia. La leadership di differenziazione mi è data dal
fatto che sono arrivato prima (il mio prodotto si chiama come me e ha dato il nome a
quelli successivi), e forte di questo vantaggio, cerco anche di portare avanti una
leadership di costo che consolidi il mio futuro in attesa di un cambiamento del
contesto competitivo.
Punto fondamentale: che una strategia sia sostenibile, ossia che gli altri facciano fatica a
copiarla. Se perseguo una leadership di costo che i miei concorrenti possono eguagliare in
breve tempo, non riesco a far durare la mia differenziazione, e dunque non sto facendo una
cosa molto furba. Similmente se perseguo una leadership di differenziazione talmente poco
differenziata che gli altri riescono a differenziarsi allo stesso modo, la leadership che ho
costruito cade. Il punto di ciascuna strategia (e qui di nuovo l’enfasi di Porter sul medio
termine) è che devono portare alla costruzione di un vantaggio stabile all’interno di
un’impresa.
1. I RISCHI DELLA LEADERSHIP DI COSTO
1) Imitazione -> la strategia, per essere sostenibile, deve essere difficilmente
replicabile dagli altri, altrimenti non mi consente di mantenere una posizione di
leadership
2) Innovazione tecnologica -> un cambio tecnologico che consente a tutti di ridurre
i loro costi
3) Il fatto che altri fattori che mi consentivano di tenere i miei costi sotto controllo
vengano erosi -> possono essere fattori di carattere geopolitico (posso essere in
grado di tenere sotti controllo i miei costi perché i miei fornitori provengono da
tutta una serie di paesi del mondo. Domani mattina scoppia una guerra tra USA e
Cina per cui gran parte del mondo occidentale non può più commerciale con
ampia parte di quello asiatico. Quindi il fattore su cui si basava la mia leadership
di costo, sosia acquisire componenti in quei paesi asiatici, non regge più)
4) Sostituzione -> arriva un prodotto surrogato e la mia leadership di costo
scompare. Ex: posso essere diventato efficientissimo a realizzare macchina e
fotografiche usa e getta, ma uno mette una macchina fotografica nei telefoni
cellulare e la mia leadership evapora (facciamo molte più foto al giorno con
questi device e i rullini si dovevano portare a far sviluppare)

2. I RISCHI DELLA DIFFERENZIAZIONE -> I rischi della differenziazione sono simili ma


diversi:
1) L’imitazione di successo da parte dei concorrenti -> se il mio marchio può essere
facilmente imitato, la mia differenziazione non era molto solida. L’imitazione di
successo non è la contraffazione (faccio finto iPhone), ma il fatto che qualcuno
riesce a fare un prodotto analogamente apprezzato in quanto esclusivo (nel caso
dei telefoni cellulari questo non è successo: in tanti hanno provato a fare telefoni
lussuosi e costosi, ma la gente continua a preferire gli iPhone, anche se non è
detto che sarà sempre così).
2) Cambiamento delle preferenze dei consumatori -> la differenziazione per
portare al consumatore a spendere di più per un certo prodotto o servizio deve
fondarsi sulle sue preferenze, ma se queste cambiano la differenziazione non può
più esserci. Ex: Jobs ha deciso di fare Apple perché i consumatori hanno a un
certo punto deciso che i loro telefoni e i computer dovessero essere
oggettivamente belli, ma prima per loro contava la performance. Ogni casa di
moda cerca di dare il segno della sua identità, ma pur sempre incrociando lo
spirito del tempo e adattandosi alle preferenze dei consumatori.
3) Emergono prodotti a prezzi molto inferiori, e a un certo punto vengono
considerati simili.
Prodotti simili che imitano il prodotto è differenziato ci sono già, ma questo ha
qualcosa in più. In questo caso il punto è che il prodotto simile, con le stesse
funzionalità, venga anche percepito come tale (cioè come un prodotto che punto
di vista identitario e di piacere personale mi da quello che mi dà il prodotto
differenziato). Dunque, il consumatore non percepisce più il vantaggio di premio
per l’altro prodotto differenziato.
 Caso 1: Di imitazioni di concorrenti siamo pieni. Ex: STARBUCKS -> applica una
strategia di differenziazione (vende un intruglio a prezzo elevato insieme a
un’esperienza di un certo tipo). Negli USA, dopo il successo di Starbucks, nascono
aziende che facevano circa la stessa cosa, con più o meno successo.
 Caso 2: 25 anni design e velocità erano due caratteristiche fondamentali per
rendere un’auto appetibile. Oggi la cosa non vale più -> per la nostra generazione
sembra meno interessante avere un'automobile di proprietà, molte persone non
fanno la patente, e c’è un rapporto diverso col mezzo. e questo lo si vede nella
produzione delle auto contemporanee -> negli ultimi anni sono molte meno le
auto fatte per essere belle, e sono molte più quelle che competono sulla
sostenibilità ambientale: le persone sono più interessate ad avere un’auto ibrida
anziché un’auto bella. (e in questo maschio prende l'idea per che fa un'auto bella
ma anche sostenibile)
 Caso 3: l’emergere di prodotti concorrenti a prezzo inferiore dipende dal mercato
in cui ci troviamo. Nell’ambito della farmaceutica le cose vanno sempre così -> la
farmaceutica ha leadership di differenziazione perché un prodotto farmaceutico
è nuovo, e quindi diverso dagli altri, e di solito nell’essere nuovo acquisisce anche
un vantaggio di brand. Il moment era prima l’Aulin, Oki, ecc. Per la maggior parte
di questi prodotti adesso è disponibile un generico (che costa meno) perché si
conclude il loro ciclo di brevettazione (i brevetti coprono quel prodotto per un
certo periodo, dopodiché il concorrente può prendere la ricetta e realizzarne uno
uguale). Non è detto che quando qualcuno va in farmacia e chiede un moment
compri sempre un generico che gli viene proposto dalla farmacista perché costa
1 € in meno, poiché magari è abituato a prendere il moment e sa di non
confondersi con la sua classica scatoletta -> quindi non è detto che perché
esistono questi rischi la differenziazione cada (il rischio non si accompagna alla
certezza dell’erosione).
Qual è il modo che si previene il fatto che questi rischi diventano problemi da gestire?
L’innovazione e la capacità di ascolto dei consumatori. Questo non è banale e facile perché
bisogna tenere conto che queste cose sono gestite da imprese complesse, con una catena di
comando aggrovigliata e nelle quali ci sono continue tensioni -> in un’azienda tecnologica
una delle tensioni più normali è tra la parte tecnologica (gli ingegneri) e coloro che
governano l’azienda: gli ingeneri vorrebbero cambiare tutto ogni 2 giorni, e i secondi
vorrebbero una stabilità, una continuità nel tempo e l’essere sempre appetibili per i
consumatori. Ascoltare quello che vogliono i consumatori è difficilissimo. Ex: a metà anni
90 la coca cola fa una serie di focus group per cambiare la sua ricetta e realizza una New
Coke. Sono convinti che la New che funzioni benissimo e fanno un’operazione
impressionante dal punto di vista economico (immaginiamo cosa vuol dire cambiare la
ricetta della Coca Cola, il packaging, i distributori automatici, i barilotti mandati a chiunque
abbia una coca alla spina, la distribuzione in tutti gli angoli del globo, ecc.). In commercio la
New Coke dura solo pochi mesi, perché a dispetto di tutte le evidenze che il focus group
aveva prodotto, i consumatori volevano la coca cola tradizionale (questa non era una coca in
più che si aggiungeva alle altre ma sostituiva la coca cola come la conoscevamo). Quindi:
può succedere che un’azienda faccia un’innovazione per prevenire i rischi associati alla
propria strategia, ma che il prodotto che crea non è veramente desiderato dal
consumatore.
Lo stesso vale per la focalizzazione -> posso essermi focalizzato su un consumatore (e la
cosa può essere andata benissimo per alcuni anni), ma devo sapere che c’è il rischio che
qualcuno arrivi e possa fare la stessa cosa. Questo non significa che perderò subito il mio
mercato e i miei consumatori, ma significa che devo sapere che questo può avvenire, e
questo governa le mie azioni (esattamente come la presenza di una concorrenza potenziale
incide sul prezzo che io pratico per il mio prodotto).
Queste strategie non sono definite una volta per nessuno. Ex: caso Ryanair -> Ryanair è
stata un'innovazione straordinaria, ha abbassato il costo del trasporto aereo e ha fatto
viaggiare persone che prima non avevano possibilità di prendere un aereo. Questa è una
cosa destinata a durare per sempre? non si sa: alcuni analisti pensavano che il covid avrebbe
ridotto la voglia di viaggiare delle persone, ma adesso sappiamo che non è vero, anziché le
persone non vedono l'ora di poter viaggiare. ma la percezione era che le cosiddette low cost
avessero i giorni contati perché: i prezzi del petrolio erano saliti (e di conseguenza anche
quelli dei loro biglietti) e le persone avevano paura di essere esposti al virus, e che quindi chi
voleva viaggiare era una nicchia che lo avrebbe fatto in modo diverso e più sicuro. Questo
non è accaduto ma era una percezione molto presente tra gli analisti di quel mercato.
Solo i paranoici sopravvivono e siamo sempre esposti al cambiamento -> tutti siamo
sottoposti al cambiamento, e lo sono anche le strategie che abbiamo adottato. Chi riesce a
mantenersi nel tempo in una posizione di leadership è sostanzialmente paranoico -> vede
rischi in ogni dove e quindi cerca di premunirsi contro il fatto che questi si materializzino.
Imprenditori: forte attaccamento emotivo a scelte e idee -> Uno dei fattori di maggior
rischio è che imprenditori e manager tendono ad avere un forte attaccamento emotivo
alle loro scelte -> non riescono a riconoscere o di aver sbagliato, o che i tempi sono
cambiati. questa è una delle ragioni per cui quando un’impresa passa di mano, e anche
quando non passa di mano, sperimenta un cambiamento di coloro che la guidano (per
esempio una persona bravissima a guidare un processo di crescita di un'impresa in una certa
fase di sviluppo storico, è brava anche a guidarla nel momento successivo). Un’impresa può
avere bisogno di un genio visionario quando lancia un prodotto e di un “paranoico”
attento al millimetro al momento del consolidamento. Caso classico: la moda -> passa da
grandi stilisti visionari a imprese totalmente managerializzate, e del resto se Armani non
avesse avuto una struttura manageriale non sarebbe il colosso che è oggi.
La strategia non esiste senza un’organizzazione -> una strategia di differenziazione, se si
basa sul design, non può prescindere da professionalità rivelanti in quell’ambito. Si
sopravvive alla morte di Steve Jobs, ma non era scontato -> c’è stata una scelta di
continuare nella medesima linea. Quindi
 la strategia di differenziazione ha bisogno di una struttura che sia in grado di
recepire alcuni input per continuare,
 mentre la leadership di costo ha bisogno di una struttura organizzativa efficiente
perché la prima cosa per controllare i costi è sapere quanto si spende, e per farlo è
necessaria una struttura aziendale che consenta di essere informati passo passo, e di
sapere costantemente se esistono alternative più interessanti dal punto di vista dei
costi. L’attività imprenditoriale è di ostante sostituzione (idea che appena si può
sostituisco un fornitore con uno migliore). Il costo non è una definizione una volta
per sé: il costo di un bene, servizio, o macchinario, infatti, è fortemente influenzato
da un contesto.

La cultura aziendale
È importante sapere che un fattore fondamentale per un’impresa è la cultura aziendale.
Cos’è la cultura di un’azienda? l’insieme degli atteggiamenti diffusi. Per mantenere
un’azienda fortemente orientata alla leadership di costo non basta che l’imprenditore o
l’amministratore delegato sia focalizzato sui costi, ma è necessario che tutti coloro che
lavorano nell’azienda abbiano la percezione dell’importanza di mantenersi “in riga” rispetto
ai costi (che per esempio i manager sappiano che devono prendere la metro ogni volta che
possono al posto dei taxi). Le grandi imprese che segnano un’epoca hanno spesso una
cultura aziendale -> ex: ENI in Italia, mentre all’estero il modo in cui si lavora a Google ha
una sua cultura specifica (non ci sono uffici ma gli spazi sono comuni e tutti si siedono al
computer di fianco agli altri). Queste cose influenzano in profondità il modo in cui
un’azienda riesce a definire sé stessa.
Il margine
L’importanza della strategia va ricondotta anche al modello della catena del valore. Questo
perché in qualsiasi modo la guardiamo l’azienda è insieme di uomini e attività svolte, e una
strategia deve avere a che fare con tutti gli ambiti della vita aziendale.
La catena del valore coinvolge tutte le attività svolte dall’impresa catalogate in ambiti
porosi (non necessariamente fissi nel tempo) e ciascuna di queste attività trasforma
(produzione sempre attività di trasformazione, il che significa che ci sono input, fattori
produttivi, e un output, ossia la conseguenza dell’applicazione e trasformazione degli input).
In questo processo, come in qualsiasi attività economica, si utilizza e si genera informazione
sul modo in cui l’attività può essere messa in atto. Ciascuna di queste attività (primarie e di
supporto) ha dei costi e genera valore, E IL MARGINE è la differenza tra il valore totale e il
costo totale per ciascuna di queste attività generatrice di valore. Ognuna di queste attività
deve dare il maggior contribuito possibile e dunque dev’essere più ampia la forbice tra
valore generato e costo sostenuto. Se i costi superano il valore genato, siamo nei guai.
Siccome ciascuna di queste cose non è un’impresa, ma un insieme di attività di un’impresa,
non è detto che il fatto che non sia capace, per esempio, di gestire la logistica interna,
significa che l’impresa fallisce, perché magari faccio bene in tutta una serie di altre cose
(magari sono bravissimo nel marketing e nell'accompagnare il processo post-vendita).
Quindi il conto dell’impresa è tutto insieme. Ma dal punto di vista di chi gestisce l’impresa è
importante che ciascuno di questi ambiti produca più valore di quanto ne bruci. È la ragione
per la quale ad esempio non devo aumentare a dismisura lo staff di una di queste attività
(perché mi porta una serie di costi), o non devo mettere troppe infrastrutture dove ce ne
potrebbero essere poche.
Quando si parla di aziende a tutti piace parlare della loro capitalizzazione, cioè del loro
valore di borsa, o del fatto che un’azienda ha bisogno di fare ingenti investimenti. Dal punto
di vista del modo in cui funziona l’azienda la cosa migliore sarebbe avere la minor
capitalizzazione possibile, cioè ridurre quanto più possibile gli input (le risorse) a fronte di
un profitto più elevato. In altre parole: perché il grosso sia bello deve essere più efficiente:
non è solo una questione di dimensioni, ma di efficienza, che significa che per ciascuna di
queste funzioni, e per assurdo anche per ciascun impiegato, ciò che mi rende dev’essere più
di quello che mi costa (ciò che l’impiegato produce deve superare il costo dell’impiegato
stesso e i costi legati alla sua gestione).
Quali sono le attività del modello della catena del valore?
*catena del valore: modello di segmentazione delle attività interne a un’impresa, e le
persone sono impiegate in ciascuna di queste attività. Il fatto che sia un modello non
significa che valga per ogni impresa -> in una piu piccola tante persone tendono a fare cose
diverse. Ma i modelli ci consentono di capire il senso di alcune funzioni.
1. LE ATTIVITÀ PRIMARIE -> SENZA LE QUALI L’AZIENDA NON PUÒ ESISTERE
 Attività operative: funzionali alla trasformazione degli input nel prodotto finale
 La logistica in uscita: il fatto che le risorse/prodotti vengano raccolte, immagazzinate
e distribuite
 Il Marketing e le vendite: la capacità di vendere quel che si è prodotto
 Tutti quei servizi necessari per mantenere il valore del prodotto -> anche Elon Mask
che non ha concessionari da assistenza tecnica (la Tesla è come un computer con le
ruote) perché se non la avesse noi non la compreremmo al medesimo prezzo.

2. LE ATTIVITÀ DI SUPPORTO
 Approvvigionamento: acquisto degli input
 Sviluppo delle tecnologie
 Gestione delle risorse umane -> che vuole anche dire che a dipendenti arrivi busta
paga il 27 del mese e che le persone vengano assunte e messe a lavorare nei luoghi
migliori
 Attività infrastrutturali: tutta una serie di attività di supporto che lavorano a
vantaggio di tutta l’impresa e non come unità a sé. Ex: la contabilità deve essere la
stessa per tutte le funzioni sennò il manager o l’imprenditore non capisce cosa sta
succedendo. Un’azienda che vende software alla pubblica amministrazione deve
avere un sistema di rapporti con la politica uguale per tutte le funzioni -> non è che
la logistica in uscita ha il suo responsabile per le relazioni col pubblico (nel senso con
lo stato) e il marketing ha il suo, ma c’è una funzione che verifica che le decisioni
prese siano coerenti con la regolamentazione vigente.
Ipoteticamente qualsiasi impresa può essere fatta in modo totalmente esternalizzato (cioè
può esserci un imprenditore che decide di volta in volta dove comprare un certo servizio o
risorsa), ma di solito questo non succede e un’impresa è tale perché l’imprenditore ha
stabilizzato, tramite una serie di relazioni contrattuali, una serie di persone che lavorano per
lui. Ma le attività di supporto sono quelle che è più facile non svolgere all’interno
dell’impresa. Ex: rapporto con gli enti pubblici -> L'Italia è un paese di tante imprese piccole
e molte farebbero una fatica strepitosa a farsi ascoltare dall'ente pubblico per loro rilevante,
che si tratti del comune della regione o dello Stato nazionale. per cui queste imprese possono
o comprare una consulenza a quello scopo, oppure, come avviene in Italia il più delle volte,
aderiscono a una Confederazione (tutte le imprese del farmaco, tutte le imprese dell’edilizia,
di Monza, di Milano, ecc.), e queste associazioni a cui le imprese pagano delle quote devono
parlare per loro con gli enti pubblici. Gli servizi commerciali fanno parte della
CONFCOMMERCIO che da loro dei servizi: quello più importante è che li aiuta a capire se
quel che stanno facendo sia coerente con le norme, e al limite gli consente di venire alle
prese con cambiamenti normativi, avere un influenza sulla legislazione, cc. Per assurdo
anche la direzione generale può essere svolta fuori dall’impresa -> questo avviene per
esempio nei grandi gruppi imprenditoriali che hanno tante funzioni e tante Marche, ma che
decidono che un certo marchio sia dipendente, rispetto alle decisioni, dalla capogruppo (ex:
in Italia esiste ancora l’Olivetti -> molti esercizi commerciali hanno messo un registratore di
cassa dell’Olivetti. Questo però è da anni un marchio del gruppo Tim e la maggioranza delle
decisioni di direzione della Olivetti sono prese dal gruppo. Olivetti ha un presidente e un
direttore ma dipendono da quel che decide la capogruppo che da loro un mandato che
esercitano). Ovviamente la contabilità può essere esternalizzata, cioè affidata a un’azienda
esterna, e anche lo sviluppo tecnologico può essere affidato a un’azienda esterna.
Ogni volta chi organizza un'azienda deve chiedersi: questa cosa viene fatta in modo più
efficiente ed economico se io assumo delle persone per farla e stabilizza una serie di attività
all'interno dell'azienda o se le compro fuori? Ex: le fotocopie -> ha senso comprare una
fotocopiatrice o andare in una cartoleria a farle? Dipende da quante ne devo fare: se devo
produrre pochi documenti in un mese vado in cartoleria, ma se devo produrre tanti
documenti in un mese una buona fotocopiatrice, a un prezzo non assurdo, mi sarà
necessaria. Questa decisione piccola e stupida è simile a tante decisioni prese dalle aziende.
Ambito e integrazione
Le imprese non vivono nel vuoto e ciascuna di esse ha degli ambiti (di segmento, geografico
e del stare). Il concetto importante è quello di make or buy che chiamiamo integrazione.
Un’azienda può essere integrata quando tutto si verifica all'interno dell'azienda, oppure
può essere poco integrata quando compra cose sul mercato.
Si parla di aziende verticalmente integrate, quando sono delle specie di silos in cui tutto
quello va dalla produzione di un certo bene al consumo da parte dell'utente è svolto da
unità produttive che in qualche maniera sono collegate. Non è detto che questo sia meglio
di un modello alternativo. La cosa che rende un modello migliore o peggiore è come la prova
del budino che è nell’assaggio -> quindi è vedere in che modo si riesce ad essere più
efficienti. Tendenzialmente mettiamo a credere che integrare le cose le rende più efficienti
perché uno le controlla meglio (io conosco tutto quello che avviene nella storia del prodotto
che sto portando sul mercato), ma non è detto, perché può darsi che impiegando una serie
di persone a tempo indeterminato, internalizzo dei costi molto più rilevanti di quelli che
avrei scegliendo di volta in volta il fornitore. Ovviamente integrare limita la mia libertà di
scelta -> vuol dire che ho portato tutta una serie di cose all'interno della mia azienda, e che
non posso più contrattare di volta in volta (dunque diminuisco la mia capacità di
sostituzione che è importantissima. Ex: la mia fotocopiatrice ce l'ho e non ho bisogno di
cercare ogni volta la cartoleria migliore). la scelta di una direzione o dell'altra dipende
sostanzialmente dalle convenienze che un’impresa ha in quel momento, e non è detto che
sia così sempre: magari quello che oggi mi vale la pena integrare non è quello che mi vale la
pena integrare fra 5 anni -> e questo ovviamente rappresenta un rischio per qualsiasi
impresa. Ex: le banche native digitali per tutta una serie di servizi funzionano molto meglio
di quelle tradizionali, e hanno integrato una serie di servizi online che le altre banche
comprano fuori. 10 anni fa aveva molto senso comprare fuori quei servizi perché tutte le
banche lo facevano e perché le persone che volevano fare trading online erano poche, ecc.,
ma 10 anni dopo le abitudini cambiano.
PERCHE LE IMPRESE SCELGONO LA DIMENSIONE INTERNAZIONALE
È molto facile pensare che le uniche ragioni che portano le imprese a scegliere la
dimensione internazionale siano legate al costo. Non è così: l’impresa non sceglie la via della
delocalizzazione (ossia non si sposta) solo rispetto a logica di riduzione del costo,
tipicamente del lavoro e questo perché spostare un impianto produttivo costa tantissimo ed
equivale a perdere ciò che era stato fatto in precedenza, sia in termini di struttura fisica
(non si usa più un certo stabilimento e certi macchinari), sia in termini di investimento sulla
formazione dei dipendenti. Quindi perché il costo del lavoro bilanci gli investimenti fatti in
precedenza dev’esserci un divario molto grande.
Spesso le imprese si internazionalizzano per altre necessità:
a. Avvicinarsi a un mercato di sbocco
b. Acquistare migliore ricerca e sviluppo
c. Perché hanno già acquistato un’impresa in un altro pese integrandola nelle
proprie funzioni
Il cliché dell’internazionalizzazione è: ci si internazionalizza per pagare meno lavoratori e per
pagare meno tasse. Per carità, sono due aspetti rilevanti ma non sono gli unici.
Siamo nel mondo in cui la logica di Porter si è un po’applicata ai territori. Abbiamo visto che
la critica che gli viene posta è che sostiene che la strategia può essere uno strumento di
governo. Ma avendo la possibilità, pur a costi ingenti, di spostare imprese, l’attrattività dei
territori diventa un elemento fondamentale. Alcune delle ragioni per cui un territorio
diventa attraente e per cui si decide di impiantarvi un’unità produttiva sono:
1) Le dimensioni del mercato -> ha senso avere uno stabilimento vicino ai consumatori
se questi sono tanti
2) Le dimensioni del costo del lavoro
3) Le infrastrutture -> spostare merci su autostrade veloci fa la differenza per la
costruzione dell’aziende e della sua strategia che spostarle sul dorso di un mulo
4) Le istituzioni politiche ritenute non predatorie e rispettose dello stato di diritto
5) La burocrazia
6) La coesione sociale e la qualità della vita -> immaginiamo di dover richiedere lavoro
qualificato per una grande impresa di servizi e dover scegliere dove ha sede: per le
persone assunte la diversità di vivere in una città piacevole, sicura, e climaticamente
clemente o meno è importantissimo (una buona qualità di vita è anche parte della
remunerazione). E comunque una persona con alte qualifiche che si dirige a dirigere
la filiale di un’impresa in poco piacevole dal punto di vista sociale e climatico, o
insicuro, vuol essere pagata di più
7) Percezione d’immagine -> se si la percezione di un paese è che sia corrotto, anche se
non lo è, quello è uno stigma che fa fatica a cambiare. Ex: per tante imprese la
percezione di avere a che fare con un paese corrotto nella produzione di un certo
bene o servizio ha delle conseguenze. Per esempio, i suoi consumatori non vogliono
comprare i suoi palloni da calcio perché realizzato con un pellame ottenuto dalla
corruzione delle autorità -> la verità non importa, è la percezione quel che conta e
che fa allontanare il consumatore. Anche un manager che va in uno stato che si
pensa essere corrottissimo non è contento -> sul suo CV resta una cosa che da altri
può essere interpretata come “lo hanno mandato la perché era di flessibili consumi”.
Anche queste ragioni influenzano una delle decisioni nelle quali si concreta qualsiasi
strategia, cioè dove svolgere un certo servizio e realizzare una certa produzione.

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