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Sociologia della cultura e della comunicazione

Introduzione

Cultura e società= aspetto sociologico e culturale.


Cultura e società spesso sono decisamente congiunte ma a livello di definizione hanno tempi di evoluzione e
di cambiamento diversi e vi sono circostanze in cui è necessario definirle separatamente.
La sociologia della cultura è specifica ma non vi è un corso propedeutico in cui vi sono criteri e metodologia.
La società è uno stile di vita di un gruppo di individui in cui i legami si sono allentati e alienati; ad esempio
per fenomeni migratori di urbanizzazione, l’industria che prende piede tramite le rivoluzioni.
Dal 1900 abbiamo un’accelerazione dei cambiamenti mentre negli anni precedenti l’evoluzione era più
lineare.
L’emergere della sociologia è una disciplina nuova che emerge con il cambiare veloce della società; vi è una
netta differenza fra i legami del mondo rurale e di un mondo che si sta industrializzando, dove gli
spostamenti sono sempre più frequenti.
Celebre è la suddivisione di Ferdinand Tönnies fra:
- Gemeinschaft (comunità, legami forti e controllo sociale)
- Gesellschaft= società dove l’individuo si trova in relativa libertà ma è anche fardello delle scelte e
solitudine che porta a mancanza di contatti e relazioni
Cultura= è qualcosa che può essere congiunta alla società ma a livello definitorio ha una sua identità propria.
La società è più veloce, la cultura è lenta e molto più profonda.
Il rapporto fra cultura ed ambiente= l’uomo è un animale estremamente adattabile ad ambienti anche ostili,
aridi, freddi, a tutte le latitudini ma per fare questo ha dovuto modificare il proprio habitat; si è dovuto
adattare all’ambiente modificando allo stesso tempo il proprio habitat.
I problemi dell’effetto serra, del riscaldamento globale sono dovuti all’accelerazione dei processi scientifici
ma l’uomo dalla sua prima comparsa sulla terra ha creato delle sue forme culturali modificando il proprio
ambiente a seconda delle sue esigenze. L’ambiente quindi è stato col tempo eroso e inquinato.
La cultura innata o appresa?
Due macrodimensioni di cultura= la cultura è di per sé un fenomeno collettivo ma esiste un fenomeno
individuale quando viene interiorizzata e fatta propria in modo diverso da individuo a individuo.
Alfred Weber è stato il primo a fondare una vera e propria sociologia della cultura; la funzione della cultura,
come ogni fenomeno esistente ha scopi e funzioni, adempie a delle utilità, ha obiettivi.
La religione ha sempre influenzato le società e le culture; la sociologia deve molto all’antropologia culturale
che studia gli aspetti della religione.
Cultura e comunicazione= rapporto molto stretto.
Differenza fondamentale tra le culture tradizionali (orali), in cui la comunicazione avviene per lo più tramite
la voce e faccia a faccia e moderne (alfabetiche), ovvero la scrittura. Lo spartiacque nasce con l’invenzione
della stampa.
Comunicazione verbale è il linguaggio, indica il contenuto; la comunicazione non verbale è il modo di
muoversi, i gesti.
I codici sono raggruppati in analogici e digitali (associato ai mass media).
La scrittura è una forma di comunicazione digitale.
Le diverse concezioni di cui è stato fatto oggetto il pubblico a partire dal 1900, quando i mass media
diventano sempre più importanti per comunicare, influenzare, persuadere e addirittura manipolare.
Il pubblico inizialmente viene considerato come passivo e manipolabile dall’emittente e dal messaggio, oggi
invece il pubblico è attivo e risponde alle sollecitazioni comunicative.
La sociologia e le scienze sociali
La sociologia è una disciplina storica, ha un interesse storico, ovvero analizza il divenire di qualche cosa.
Non si può studiare la cultura in una dimensione sincrona, bensì in dimensione diacronica.
É inoltre una disciplina interpretativa, cerca di collegare delle cause a degli effetti (non sempre riuscendoci);
questo impianta la sua metodologia e i suoi contenuti.
Il tema principale è indagare, studiare le trasformazioni, i cambiamenti, i mutamenti, le crisi dell’assetto
sociale e dell’identità umana.
C’è una differenza a livello semantico fra cambiamento e mutamento:
- il cambiamento è qualcosa che si verifica abbastanza spesso, si ripete nelle stesse forme con tendenze molto
spesso reversibili (intenzionale o pianificato); è una sorta di oscillazione
- il mutamento è qualcosa di estremamente più profondo, molto simile alla cultura, non avviene così
frequentemente, spesso non è nemmeno riconoscibile se non per gli effetti che produce; lascia una memoria
sociale che influenza e vincola il futuro; è quindi strutturale

Evoluzione dei gruppi umani dai tempi più remoti


• epidemie, carestie, emigrazioni di massa
• non si può negare un aumento demografico esponenziale
• la somiglianza sia psicologica che biologica che ci accomuna non è cambiata di molto ma ci sono
stati continui mutamenti a seconda soprattutto delle zone (più ospitali o più ostili)
• stupisce l’accelerazione; mano a mano che si va avanti con gli anni vi è una moltiplicazione sempre
più accelerata della popolazione mondiale
• dall’homo sapiens dell’Africa meridionale fino al 5000-4000 a.C la popolazione impiega 5000 anni
a triplicare; prima della comparsa delle società agrarie (4 millennio a.C.) la popolazione 5,7 milioni
di individui; attorno all’anno 0 150-200 milioni; dopodichè inizia a triplicare ogni 1500 anni
• nel XVI secolo il mondo conta circa 400 milioni di abitanti; la nuova era introduce dei basilari
mutamenti
• durante il 1900 in 100 anni la popolazione è più che triplicata; questo è legato a dei generali aumenti
del livello di benessere e all’annientamento di epidemie e malattie
• uno dei più grandi mutamenti della storia umana è stata la comparsa dell’agricoltura (non in tutti i
popoli); alcune popolazioni agevolate da un certo ambiente cominciano a seminare e a coltivare
cereali selvatici, questo oltre a rendere stanziali aumenta la densità della popolazione
• l’agricoltura ha degli effetti rivoluzionari:
- trasforma radicalmente le società umane
- vi è un aumento demografico e aumenta la conflittualità fra i gruppi umani
- per il controllo delle terre, il bisogno di nuove risorse, l’esigenza di costruire determinati edifici
- vi è anche la conflittualità alla ricerca di nuove terre da conquistare e nuove popolazioni da
rendere schiave
• piano piano la conflittualità sociale porta all’invenzione dello Stato, non come lo intendiamo ora ma
delle forme strutturate della gestione del potere; la peggiore stratificazione sociale della storia è
quella delle società agricole
• l’agricoltura sedentaria ha inizio nel vicino Oriente 10000 anni fa e le prime forme statuali risalgono
al 3000 a.C. circa
• il degrado ambientale, i mutamenti a livello geologico e ambientale iniziano in modo piuttosto
violento con l’agricoltura; essa infatti richiede determinati interventi (es. irrigazione delle zone
semi-aride che determina una salinizzazione del suolo, un depauperamento del territorio anche
forzando le migrazioni animali, l’insabbiamento dei fiumi)
• il primo Stato strutturato su base agraria è quello Sumero ma anche le altre società agrarie hanno
una suddivisione estremamente ridotta;
- al vertice i faraoni, gli imperatori con prestigio, potere e ricchezza
- i funzionari
- mercanti e soldati
- 90 per cento di contadini
- schiavitù
• le moderne società che si emancipano da una violenta stratificazione sociale che si è attenuata nel
corso dei secoli sono collocate fra 1700 e 1900
• la modernità è caratterizzata da importantissimi mutamenti e da uno sviluppo tecnologico che fonda
una sorta di continuità col mondo attuale; es. i vari cicli industriali come quello della produzione
tessile (ciascuno caratterizzato da inizio, picco di espansione, crisi, depressione e ripresa)
• i grandi imperi vengono annientati in genere durante il periodo di massimo splendore
• la crisi del 1830 del settore tessile, dovuto a un aumento della competitività, ad una saturazione del
mercato; i produttori più deboli soccombono
• la crisi viene poi risolta con il secondo ciclo della ferrovia e del ferro del 1840-70;
- questo ciclo, oltre a costituire una rivoluzione a livello di mobilità congiunge l'encomia
dell'Europa e quella degli Stati uniti
- ciò porta a soluzioni e problemi (sviluppo incontrollato dei mezzi di comunicazione, viene creata
una depressione più ampia e i problemi si allargano a livello di territorio, congiungendo i due
continenti)
• la depressione economico del 1873 col crollo delle borse da’ il via ad una catena di fallimenti che
chiude il ciclo
• dal 1880 al 1815 si apre il ciclo dell’elettricità, della chimica e dell’acciaio;
- lo studio della chimica per le tinture
- macchinari alimentati ad energia elettrica
- Germania e Stati Uniti investono nella ricerca tecnologica lasciando indietro la Gran Bretagna;
- abbiamo una corsa agli armamenti,
- preludio alla prima guerra mondiale
• il quarto ciclo è in pieno 1900 con le automobili, della petrolchimica e dei consumi di massa;
- con introduzione degli elettrodomestici che porta ad un alleviamento della fatica dell’uomo
- rivoluzioni
- a livello politico rivoluzioni socialiste in Russa (1917), in Cina (1949), in Vietnam del Nord
(1954), a Cuba (1959), Vietnam del Sud e Cambogia (1975)
- cambiamenti di regime
- aumento conflittualità in crescita esponenziale
• la modernità compiuta dopo lo spartiacque simbolico del 1989 dell’abbattimento del muro di
Berlino che sancisce la fine della Guerra Fredda
• con il 1989 si ha l’impressione di una riunificazione di un mondo bipolare, spaccato in due;
preannuncia un nuovo caos
• la modernità globalizzata= è legata ai moderni mezzi di comunicazione (internet); si parla di
compressione di tempo e spazio, di glocalismo, di unione fra globale e locale
• la globalizzazione riguarda moltissimi aspetti
- non soltanto economici ma anche la cultura e l’identità
- la compressione di spazio e tempo fa sì che il locale diventi globale e il globale si localizzi (Geirtz)
- vi è omologazione ma vi sono anche grandi rivendicazioni locali e etniche (due facce della stessa
medaglia)
- vi sono anche degli aspetti climatici
- la circolazione del denaro anche in forma virtuale
- fiducia nel progresso
- la post-modernità è poi una forma di disillusione (Jean Francois Lyotard parla della condizione
post-moderna nel 1979); sembra un pensiero parcellizzato, frantumato; l’individuo come atomo è il
centro ma non si ha una visione di insieme (estremamente relativista); è una filosofia che da’ molto
credito alla dimensione individuale; ma è un puzzle che non si ricompone

Sociologi classici
• Carl Marx, Emile Durkehim, Max Weber, Georg Simmel, Talcott Parsons, Michelle Focault
• sono i pilastri della sociologia classica
Carl Marx
• non viene trattato nel corso perché il suo pensiero si estende a tante aree tematiche e non può essere
banalizzato o minimizzato
• alla base di ciascuna società vi è uno specifico modo di produzione, un insieme di forze produttive e
materiali
• l’insieme dei rapporti sociali in cui gli individui sono immersi e subordinati all’attività produttiva
(rapporti di produzione)
• questa struttura determina la sovrastruttura (aspetti politici, la filosofia ecc.)

Emile Durkehim
• 1858-1917
• è il sociologo più ancorato ad una prospettiva antropologica; scuola francese; zio dell’antropologo
Mauss (Saggio sul dono)
• per Durkehim la società è una comunità simbolica, è la dimensione del simbolo che è il cemento per
la società
• la cultura viene definita come insieme di rappresentazioni collettive, di categorie mentali, fonti di un
vincolo morale-normativo
• il vincolo lega la società; le rappresentazioni collettive sono esterne, non sono totalmente consce ed
hanno un duplice carattere:
1. cognitivo o mentale
2. morale (Durkehim si interessa a questo)
• Homo duplex= come soggetto è egoista, come essere sociale tutto il buono è dato dalla società e
dalla coesione societaria (fatta di vincoli soprattutto morali)
• la cultura diventa indipendente dagli stati psicologici e individuali; alla cultura viene attribuita una
prevalente funzione di integrazione sociale che offre i modelli dell’agire e del credere collettivo
(funzionali e imprescindibili per il mantenimento dell’ordine sociale)
• importanti:
- i concetti di Anomia (assenza di norme)
- gli studi sui diversi tipi di suicidio
- lo studio sulle forme elementari della vita religiosa
• muore nel 1917 dopo la morte del primo figlio

Max Weber
• 1864-1920
• resta fermo a lungo per una potente depressione
• è un intellettuale a tutto tondo; sociologo, economista, filosofo, storico
• le sue idee sulla nascita del capitalismo sono importantissime; le spiegazioni del perché il
capitalismo attecchi in Occidente (spiegazione di tipo religioso con calvinismo e luteranesimo)
• studi sulla razionalizzazione, sulla burocrazia, sul disincantamento del mondo
• estremamente influenzato dalle idee marxiste che al suo tempo in Germania prendono grande piede
tramite Engels
• la spiegazione non è mai di natura monocausale
• studio poderoso sulla sociologia delle religioni
Georg Simmel
• scuola tedesca
• 1858-1918
• è un sociologo molto attuale, criticato per una forma di mancanza di metodo, contrariamente a Weber
• la sociologia è una scienza aperta, non si può parlare di una legge dello sviluppo sociale; grande
distanza dal metodo positivista di Comte (considerato primo sociologo)
• si propone di studiare l’universale relazionalità fra gli individui, che diventa il vero oggetto della
sociologia, che definisce una scienza delle forme di sociazione
• gli individui e la società non sono entità contrapposte ma vi è una continua intersezione fatta di
relazioni, ma in un mondo moderno le relazioni sono fugaci, frammentarie, appesantite da grande
diffidenza (tragedia della cultura); teorie espresse ne La metropoli e la vita dello spirito del 1903
• elabora la filosofia del denaro che caratterizza non soltanto la forma di scambio ma le modalità
relazionali che diventano sempre più fredde, contrattuali; il denaro è puro mezzo, indifferente ai fini,
con esso si può avere tutto, ricattare; questo ha contribuito ad una forma impersonale ed erosiva dei
legami
• con spostamenti e migrazioni la vita nelle città del 1900 è una vita in cui l’indifferenza e
l’impersonalità da’ vita a una ipertrofia della cultura oggettiva (cose esterne all’individuo) e atrofia
della cultura soggettiva (non si riescono più a padroneggiare oggetti e conoscenze) es. usiamo il
computer ma non conosciamo le modalità e l’interno del computer
• l’uomo non è padrone della conoscenza insita in un oggetto che usa sempre di più e ne è quasi
dipendente
Talcott Parsons
• esponente dello struttural-funzionalismo
• dedica alla cultura un ruolo di coesione dei valori e rende la società più coesa attraverso una
condivisione dei valori latenti che agiscono al fine dell’integrazione sociale
Michelle Focault
• cambiamenti della punizione dei carceri che da corporea diventa una struttura composta da tecnici,
psicologi, psichiatri, assistenti sociali (ne parla lei?)
Il metodo della sociologia
Sociologia e scienze sociali
La sociologia è lo studio scientifico della società; l’oggetto è la società stessa. Possiede una o più
metodologie che vengono applicate all’oggetto studiato.
Nella seconda metà del 1800 vi fu un dibattito che investì l’intero apparato delle scienze sociali. Fra i
protagonisti abbiamo lo storicista tedesco Wilhelm Dilthey (1833-1911).
Rispetto alla concezione positivista della vita sociale (Comte o Spencer) le discipline storico sociali vengono
subordinate e sottoposte ai processi delle scienze naturali.
Il movimento storicista tedesco rivendica fortemente la grande diversità qualitativa delle scienze dello spirito
inerenti all’uomo, alle facoltà intellettive, alla sua unicità. In queste scienze non possono esistere le regole
delle scienze della natura (il metodo nomotetico).
La scuola di Dilthey contrappone lo spiegare in base ai fatti empirici alla comprensione in base al significato
dei fenomeni storici e sociali. Sia Max Weber che Simmel si collocano all’interno di questo dibattito.
Secondo Dilthey vi è grande importanza data all’immedesimazione intuitiva, vedendo la spiegazione
(scienze naturali) e la comprensione (scienze umane) non tanto come dimensioni contrapposte ma come due
aspetti del medesimo processo indagativo e conoscitivo. La conoscenza intuitiva e quella causale non sono
antitetiche ma al contrario la comprensione è il primo passo di un processo di imputazione causale.
La differenza è che le scienze della natura e le scienze della cultura non riguardano né l’oggetto, né il metodo
ma soprattutto lo scopo del ricercatore.
Il problema dello storicismo tedesco divide le scienze della natura (esatte, dure) come matematica, chimica
ecc. rispetto alle scienze dello spirito (scienze umane). Le scienze della natura e le scienze dello spirito non
possono seguire studi analoghi. Le scienze della natura possono essere spiegate perché sono per loro natura
soggette a uno studio empirico, ad una descrizione numerica. Le scienze dello spirito o le scienze umane
invece vanno comprese non spiegate (immedesimazione intuitiva).
La sociologia è una scienza ma ha diversa natura.
La sociologia per Weber
Secondo Weber gli esseri umani sono per tendenza degli esseri culturali, in quanto danno al proprio
comportamento un certo significato e tale comportamento viene interpretato dagli altri. Tutto ciò fa parte
dell’interazione fra individui.
Le scienze della cultura non si occupano dell’intera realtà sociale ma soprattutto dell’agire sociale e delle sue
peculiarità.
L’azione, l’agire dell’uomo è riferito rispetto ad un senso, è un agire intenzionato degli attori sociali rispetto
all’atteggiamento di altri individui e orientato nell’azione in base a questo.
Nei suoi scritti metodologici Max Weber definisce la cultura come “una sezione finita dell’infinito privo di
senso del divenire del mondo, alla quale sezione sono attribuiti segno e significato dal punto di vista
dell’uomo”. L’agire è sempre soggettivamente intenzionato e motivato, il significato non può essere
disgiunto dall’azione umana.
La realtà non si presenta come un collage disordinato di fatti non ordinati ma come una situazione che in
qualche modo sia collegata ad un senso. Il contesto è dotato di significato.
Perchè un fatto acquisisca un significato e induca l’azione dei soggetti deve rientrare in concezioni, credenze,
interpretazioni più ampie, in connessioni di senso attivamente condivise o conosciute come buone, giuste,
vere, convenienti e adeguate.
Strutture relazionali umane
Nella storia vi sono state strutture relazionali relativamente stabili dei gruppi umani (termine generale).
L’uomo ha sempre avuto bisogno di vivere in comunità. Le morfologie di queste strutture sono però molto
diverse nel tempo e nello spazio.
Imperi egizio e romano: con la loro lunga durata, la loro vita accidentata con grandi cambiamenti a livello di
conquiste e di gestione della politica (Impero, Repubblica ecc.).
Le polis greche: spazio geografico ridotto ma esperienza colossale di esercizio di intelletto umano; i greci
hanno indagato l’animo umano e sperimentato nelle varie polis varie tipologie di gestione del potere
(oligarchia, democrazia, dittatura, demagogia); alcune erano rivolte ad una struttura militarizzata altre al
commercio. Sono un vero laboratorio di comportamenti, culturali, politici ed economici.
Sistema castale indiano: abolito dall’attuale costituzione indiana ma che perdura ancora oggi in alcuni luoghi
ed è una parte fondamentale della società; suddivisione a seconda della purità e dell’impurità; si compone di
una scala di caste con all’interno sotto-caste legate spesso alle professioni, con un tipo di ascesa sociale quasi
nulla. Al vertice, non politico ma apicale di purità, vi sono i Bramani che detengono il potere religioso e sono
i più puri (mai sconfinati nella politica). La politica appartiene agli Kshatriya, vecchi guerrieri. Poi ci sono i
Vaisyas, che sono artigiani, commercianti (classe media). Poi gli Sudras che sono la casta più impura, sono le
persone dedite a mansioni servili. Infine vi sono i Pariahs che sono considerati fuori casta. Ogni casta ha un
colore, il bianco è quello dei Bramani. Il sistema è molto verticale, le caste sono collettive ma i gradini sono
occupati da gruppi.
Il termine società è molto recente, parliamo di vera e propria società all’incirca in corrispondenza dei
processi di accelerazione fra 1800 e 1900.
Mutamenti fra 1800 e 1900
L’urbanizzazione, il passaggio da una società rurale a una società industriale cambiano il panorama.
Vi è lo sfaldamento dei legami tradizionali della società agricola tramite le migrazioni, le fabbriche, il lavoro
salariato. La società agricola era caratterizzata dall’essere isolata e dall’avere ritmi di vita lineari e piuttosto
conservativi.
I flussi migratori riguardano una grande mobilità sociale e geografica resa agevole da un rapidissimo
sviluppo delle forme di trasporto e telecomunicazione.
Negli anni la complessità diventa sempre più imponente e i tentativi di far fronte alla crisi richiedono
processi più complessi rispetto a quelli applicabili in una società rurale.
Ferdinand Tönnies
Abbiamo la Teoria dei vincoli sociali del 1887 secondo cui vi sono la comunità (Gemeinschaft) e la società
(Geselleschaft).
La comunità corrisponde vagamente a quella rurale: legami molto forti, controllo sociale forte sull’individuo
che non è libero.
La società invece corrisponde alle relazioni impersonali e contrattuali del 1800 e 1900. L’individuo non è
tanto importante per le proprie competenze specifiche (professione ecc.), ma la società è contrattualistica, vi
sono prestazioni retribuite. Non ha importanza chi fa un certo lavoro, l’importante è il rispetto della
prestazione e della retribuzione.
Emile Durkheim
La divisione del lavoro sociale (1893) rappresenta un’opera estremamente significativa. Egli divide
solidarietà meccanica e organica.
Solidarietà meccanica: relativa alle comunità, alle società agricole, dove le idee che circolano sono
abbastanza uniformi, dove viene data priorità al collettivo e non all’individuo. Pian piano si arriva alla
solidarietà organica che è direttamente dipendente dalla divisione del lavoro sociale; ognuno ha un suo
lavoro, vi è bisogno di prestazioni incrociate, una specializzazione delle competenze. Assieme a questo
emerge il singolo, si parla di religione dell’individuo (mancanza di una rete sociale e solidale).
Classe e ceto vs singolo individuo
• il ceto non è una classe. La classe è legata alla ricchezza, ad una stratificazione sociale in base al
capitale. Il ceto riguarda il prestigio
• si da’ sempre più importanza all’identità dell’individuo che però è sempre più instabile
• si richiede flessibilità nel lavoro (nasconde spesso la precarietà vera e propria)
• crescita incontrollata e caotica del flusso delle comunicazioni (es. fake news, violenza verbale sul
web, troppe informazioni non filtrate)
• policentrismo e reticolarità; c’è un’aumento di complessità di interdipendenze
• aumento della solitudine
• compressione di tempo e spazio tramite rete e mondo come sistema unico
• percezione di vivere un eterno presente con ripercussioni psicologiche non positive, con la
sensazione che non ci sarà un futuro
• pluralismo delle società e riconoscimento delle identità
Ulrich Bech
• Società del rischio (1986): i rischi di natura ambientale e biologica sono auto-prodotti e
rappresentano il successo, non il fallimento della modernità
• Cernobyl (1986): investe tutta l’Europa con gravissime conseguenze; i governi non possono fare
nulla e non può essere arginata
• la modernità è anche fornire molto cibo e risorse ad un numero sempre crescente di persone ed
animali
• il successo della modernità nel rischio; il mondo non riesce ad affrontare quello che ha costruito
• le centrali nucleari devono essere costantemente monitorate
La Cultura
Abbiamo una concezione classica di cultura che poi diventa con processi graduali una concezione moderna e
relativista.
Abbiamo inizialmente una cultura declinata al singolare. Per certi versi essa ancora permane ma non ha a che
fare con le specificità delle culture.
La cultura classica non prende in considerazione la quotidianità ma la formazione dell’individuo attraverso la
conoscenza.
La cultura in senso figurato comincia ad imporsi nel 1700 in piena epoca illuminista. Gli illuministi
considerano la cultura come propriamente umana e veicola la ragione; ciò che è reale è razionale e ciò che è
razionale è reale (Hegel).
Questo tipo di concezione culturale è detta umanistica o classica in opposizione a quella antropologica o
moderna che riguarderà un pieno relativismo culturale.
Secondo la concezione umanistico-classica agisce fin da presto sul bambino cercando di renderlo ingentilito,
raffinato, un essere colto.
La parola cultura ha origine latina (verbo colere). Viene usata dai romani per indicare la coltivazione di
piante, sementi e poi si trasforma in un’accezione metaforica e traslata.
La cultura si trasmette dalla coltivazione del terreno a quella dell’animo umano. Attraverso filosofia, lettere
ecc. si può agire sull’animo dell’uomo trasformandolo da incolto a colto come si farebbe con i campi che
vengono ripuliti e da selvatici diventano coltivati.
La cultura ha contribuito a fondare il concetto umanistico che passando attraverso l’idea rinascimentale di
humanitas si diffonde con estremo spessore nel 1700, quando entra nel vocabolario illuministico. È un’idea
di grande ottimismo, si ritiene che l’educazione possa davvero distogliere l’intelletto dall’errore e dalla
superstizione. La nozione di cultura si avvicina quindi fino a trasmutarsi in civiltà è civilizzazione.
Mathew Arnold (letterato inglese, 1822-1888) sostiene che la cultura rappresenta quanto di meglio è stato
pensato e conosciuto. Essa diventa un mezzo per rendere più umano, più espressivo, più sensibile un mondo
che evidentemente si ritiene minacciato dall’aridità del processo di industrializzazione. La cultura sta ad
indicare la tensione verso una perfezione in cui siano compresenti l'intelligenza e la bellezza.
Jonathan Swift dirà che “la cultura unisce le due più nobili cose, dolcezza e luce”.
Questo tipo di cultura diventa l’essenza della cultura alta, ovvero le conoscenze considerate maggiormente di
pregio all’interno di ogni società (lirica, teatro, letteratura). In opposizione vi è la cultura popolare che
corrisponde a pratiche sociali di classi meno colte (musica folk, letteratura gialla, musica popolare ecc.).
Oggi la distinzione fra cultura alta e cultura popolare non viene più accettata.
La cultura ha quindi una propria genesi ed evoluzione del significato, esso si avvia da una concezione unica a
qualcosa di sempre più relativista (pluralità di credenze, costumi ecc.).
Johann Gottfried Herder
Egli ha contrapposto alla concezione illuminista astratta e universalista la concretezza della cultura di ogni
popolo; egli conduce un’appassionata polemica contro il razionalismo illuministico e afferma la grande
diversità fra le culture.
La storia non consisterebbe nel proporre una ragione astratta, ideale e omogenea ma nel complesso intreccio,
nell’antagonismo e nella ricchezza delle diverse individualità culturali, ciascuna delle quali costituisce un
folk (comunità specifica) in cui ciascuna costituisce un’aspetto di sé stessa sempre insostituibile e irripetibile.
Kultur
Nel corso del 1800 il romanticismo tedesco congiungerà in maniera sempre più stretta la cultura all’idea di
nazione. La cultura diventa un insieme, di costumi, tradizioni, predisposizioni morali che vengono a
esprimere in tutta la loro varietà e ricchezza lo spirito più unico di una nazione. Proprio questo patrimonio
comune così vario e inesprimibile a costituire la specificità e l’unità di una nazione.
Inizialmente Kultur rappresenta l’esatto corrispettivo di Culture (francese). Presto Kultur sarà utilizzato dalla
borghesia intellettuale tedesca contro l’aristocrazia francese. Vi sono quindi anche tratti di carattere politico e
socialista; vi sono due ceti e due nazioni che si fronteggiano.
Nel 1806 durante la battaglia di Iena l’esercito napoleonico batte l’esercito tedesco, questa sconfitta viene a
pesare nelle relazioni fra i due paesi.
La Civilisation viene screditato dalla borghesia tedesca e attribuito alla concezione aristocratica francese. La
cultura è quindi qualcosa che appartiene alla nazione tedesca.
Herder è il precursore inconsapevole del relativismo culturale.
Nel 1800 l’idea tedesca di cultura si lega a quella di nazione. Ogni popolo ha una sua dignità, un suo
orgoglio ed una missione specifica da compiere.
La civilizzazione viene descritta con parametri deteriori; diventa poi anche qualcosa di arido e freddo; è
qualcosa connesso allo sviluppo economico e tecnico. La cultura è sincerità, profondità e spiritualità.
Il sociologo tedesco Norbert Elias in Il processo di civilizzazione spiega come l’evoluzione della nozione di
cultura in Germania e il suo successo si spiegano col fatto che questa nozione viene utilizzata dalla borghesia
tedesca in opposizione all’aristocrazia. Secondo Elias quindi è stata una sorta di rabbia del ceto medio a dare
alla cultura quei caratteri che abbiamo visto; è una sorta di auto legittimazione come ceto sociale.
Alfred Weber
Fratello minore di Max Weber che fonda una propria sociologia della cultura; egli non ha avuto la stessa eco
dello studio del fratello.
La sociologia della cultura spiega lo storicismo, il dibattito che investe nel 1800 l’impianto delle scienze
sociali portato avanti soprattutto dalla figura di Wilhelm Diltey con scienze dello spirito e della natura.
Due dimensioni differenti:
1. l’universo oggettivo e universale delle forme dell’elaborazione scientifica, tecnica e organizzativa (visione
illuminista della storia)
2. l’universo soggettivo e particolare dell’elaborazione letteraria, rituale, artistica dell’essere umano (visione
romantica)
Possiamo trovare una comparazione fra universo oggettivo e universale e il mondo delle scienze. Mentre vi è
parallelismo fra l’universo soggettivo e particolare e le scienze dello spirito.
Il mondo della civilizzazione è importante ma il suo materiale non è plasmato dall’arte e dall’unicità
dell’essere umano ma da ragione e intelletto.
Alla fine del XIX secolo, date anche le importanti rivoluzioni, si designa la crescente meccanizzazione del
progresso scientifico. Rimane però qualcosa in opposizione ai valori spirituali.
Il pensiero astratto generalista applicato alla sfera delle scienze della natura produce una razionalizzazione
oggettiva ma impersonale. Le conquiste del mondo della civilizzazione sono cumulabili, ognuno col
precedente. Il progresso va in modo lineare e progressivo, ciò che arriva dopo perfeziona i passaggi
precedenti. La scala è quantitativa.
Il mondo della cultura è irriducibile questo metodo, è creato dal sentimento. I suoi prodotti non possono
essere ordinabili, sono qualitativi. Essi però si possono ripresentare nella stessa società in periodi diversi o
nello stesso momento in società diverse. Essendo unici e irripetibili non si possono qualificare.
Cultura in senso antroplogico
Nel 1800 abbiamo una nuova definizione di cultura.
Un esponente indimenticabile della cultura è Edward Burnett Tylor che offre la prima definizione descrittiva
e scientifica di cultura.
Alle origini della cultura (1871): La cultura, o civiltà, intesa nel suo ampio senso etnografico è quell’insieme
complesso che include le conoscenze, le credenze, l’arte, la morale, il diritto, il costume e qualsiasi altra
capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di società.
La cultura intesa nel suo ampio senso dello studio delle etnie dei popoli e di registrazione delle loro usanze è
quell'insieme complesso che racchiude un po’ di tutto. Ad esempio il versante cognitivo, l’arte, la morale, il
diritto, il costume e qualsiasi altra capacità e abitudine acquisita dall’uomo come membro di una società.
1. costrutto cognitivo (ciò che gli individui pensano)
2. costumi, abitudini, conquiste a livello tecnologico (aspetto comportamentale)
3. tutti i materiali che gli uomini producono (cultura materiale)
Qui stiamo parlando di un gruppo che ha relazioni all’interno, non è la definizione illuminista individualista.
Tylor ci dice non come la cultura dovrebbe essere ma come è.
Gli antropologi vittoriani non si muovono dai loro studi ma compiono ricerche tramite resoconti dei
missionari e funzionari che però non hanno valenza interpretativa perché queste persone hanno una visione
particolaristica.
Nella seconda fase invece gli antropologi iniziano a usare il metodo etnografico, l’osservazione partecipante,
vivere a contatto con la popolazione, sperimentando anche uno shock culturale.
Ci si occupa della quotidianità, del vivere comune, che si può osservare tramite i racconti, le mitologie,
molto più aderente alla realtà. Inoltre si tratta di pensare la diversità delle culture non attraverso
configurazioni biologiche ma di pensare la cultura tramite l’idea di un abito che viene acquisito vedendo
come si comportano gli altri, attraverso il racconto comune.
Michelle de Montaigne nei suoi saggi dice: “Ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi; sembra
infatti che non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle
opinioni e degli usi del paese in cui viviamo.” (Essais, 1588)
Questa definizione porta alla visione Eurocentrica, che è qualcosa di naturale e che tutti subiscono. Ogni
cultura è in qualche modo protagonista di sé perché pone sé stessa e la sua normalità al centro.
Questo non è una novità per le scienze umane; lo storico Erodoto secoli fa descrive nelle sue storie la
diversità delle pratiche e credenze tra greci, persiani e indiani. Mette in luce l’attaccamento che ogni popolo
mostra rispetto ai propri costumi e che agli altri popoli sembrano barbari e spregevoli. Ad es. l’usanza greca
di bruciare i corpi è per gli indani qualcosa di mostruoso.
Montesquieu in Lo spirito delle leggi conduce un’indagine ante litteram sulla diversità delle emanazioni
legislative delle diverse società e le mette in relazione anche con fattori diacronici.
Nelle Lettere Persiane (1721) Montesquieu compie una vera rivoluzione sociologica. Il principe persiano
Usbek invia delle lettere alle mogli in Persia durante un soggiorno a Parigi. La descrizione del mondo
persiano è esotico per il lettore e lo stupisce. Usbek prova lo stesso stupore del lettore quando invece
descrive e osserva i costumi dei francesi. Vi è un effetto di spiazzamento e spaesamento. Ciò che è bizzarro
in un luogo può essere scontato e normale in un altro luogo.
Tylor
“La condizione della cultura nelle varie società del genere umano, nella misura in cui può essere indagata
sulla scorta di principi generali, è un argomento che si presta allo studio delle leggi del pensiero e dell’agire
umani. Da un lato, l’uniformità che pervade così estesamente la cultura, può essere attribuita in larga misura
all’azione uniforme di cause uniformi. Dall’altro, i suoi vari gradi possono essere considerati come stadi di
sviluppo di evoluzione, ciascuno dei quali è il risultato della storia precedente e si appresta a compiere la
parte che gli compete nel plasmare la storia futura. La nostra analisi è dedicata all’indagine di questi due
grandi principi in diversi settori dell’etnografia, con particolare attenzione per la civiltà delle tribù inferiori in
rapporto alla civiltà delle nazioni superiori.”
Permane l’idea di una scala evolutiva.
Idee di inferiorità e superiorità; di un progresso dal basso verso l’alto; le tribù inferiori sono in uno stadio
evolutivo precedente rispetto alle civiltà delle nazioni superiori. È come se le civiltà vivano dei tempi con
velocità diverse. Alcune sono già arrivate a degli stadi superiori mentre altre sono ancora agli stadi
primordiali.
Definizione di cultura
Accezioni di cultura:
1. Appresa
2. Umana
3. Condivisa
Emile Durkheim nel 1900 parla dell’esistenza di una cultura primitiva nel suo studio delle religioni
(inparticolare americane e totemiche).
Anche per Tylor è fondamentale rendere comprensibile fenomeni nuovi agli occhi dell’Occidente.
I nuclei fondamentali sono:
- l’aspetto cognitivo e etico
- l’aspetto comportamentale
- la cultura materiale
I costumi forse sono l’aspetto più innovativo.
La cultura materiale sono gli artefatti; non solo quadri e sculture ma anche armi, vasellame, abiti; essi
acquisiscono sempre più spessore.
1. Appresa
La cultura= è principalmente appresa.
Non tutti i fenomeni osservabili sono di tipo culturale. Esistono tratti fisici (fenotipo), esigenze di tipo
biologico (universo innato), le esigenze primarie (bisogno biologico). Ciò che non è universale è
rappresentato dalle modalità tramite cui gli uomini assumono tratti fisici, si alimentano, si pongono al riparo
dai pericoli. Ad es. il colore dei capelli può essere cambiato con la tintura.
Anche i bisogni primari vengono catturati dall’universo culturale, questo è frutto di apprendimento e non di
una cornice geneticamente programmata, quindi appartiene ad una cultura.
2. Umana
Gli animali compongono campi sociali la loro comunicazione rimane di natura relazionale e non
proposizionale. La comunicazione è per lo più posturale e relazionale.
Ci sono tre azioni: attacco, fuga, allarme. Gli animali non raccontano, non si immedesimano nell’altro e non
possono raccontare, poiché la loro memoria è funzionale.
Gli uomini invece hanno una comunicazione proposizionale, una specifica capacità di apprendere e
comunicare a livello simbolico, astratto.
Gli animali non praticano un’attività cognitiva e simbolica (qualcosa che rappresenta qualcos’altro che è
assente).
Il linguaggio umano è dotato di connettivi sintattici, espressioni che collegano il discorso, che fungono da
ponte per unire in modo logico diversi contenuti di un testo.
Le scoperte delle capacità di apprendimento si accumulano. Gli scimpanzé hanno l’attitudine ad apprendere
ed imparare attraverso i propri simili. La possibilità di tracciare una chiara demarcazione fra uomo ed
animale diventa più flebile.
Questo spartiacque è stato catalizzato ultimamente da alcuni antropologi non tanto nella generica capacità di
apprendere ma nella specifica capacità di apprendere a livello simbolico. Solo gli esseri umani avrebbero la
capacità di utilizzare una comunicazione simbolica, un linguaggio che trasmette un significato che viene
recepito in assenza del referente fisico.
3. Condivisa
Si ammette l’esistenza di una variabilità individuale ma per essere definito culturale un fenomeno deve
essere connotato dalla condivisione rispetto ad un gruppo.
Molti tratti culturali vengono assorbiti ed introiettati in modo diverso a seconda dell’individuo.
Anche all’interno della collettività condivisa esistono delle specificità individuali.
Fra gli antropologi spesso persiste l’idea che la cultura sia abbastanza uniformemente distribuita all’interno
della società.
Secondo Benedict le culture seguono dei modelli culturali che caratterizzano un intero gruppo sociale. Ad es.
studiando due diverse popolazioni dell'America trova un sistema coerente di valori. Gli uni hanno valori
apollinei (armonia del cosmo), all’opposto gli altri formano una società dionisiaca (basata sull’importanza
della competizione).
Funzioni e caratteristiche
Anche la cultura ha delle funzioni, degli scopi.
La cultura è una risposta soddisfacente alle differenze esistenti fra i gruppi umani dato che la spiegazione di
natura “razziale” è stata da tempo screditata.
L’uomo imposta stili di vita che possono essere molto diversi fra di loro. La stessa idea di famiglia è
completamente diversa da cultura a cultura.
Le differenze non sono di natura razziale e biologica ma riguardano il tipo di cultura impiantata e funzionale
alla vita di una comunità.
Nella specie umana si è verificata una sorta di regressione degli istinti traslata in una configurazione
immaginata dall’uomo. L’olfatto e l’udito degli animali sono molto più sviluppati di quelli degli uomini.
L’uomo quindi non si affida agli istinti ma alla cultura, che può essere anche una confederazione immaginata
dall’uomo. È immaginata che perché scelta, non sempre in modo consapevole.
Una funzione importante rappresenta ordine, controllo, scelta, classificazione:
-ordine sul costrutto sociale (valori, comportamenti accettati e non)
- controllo della società (sui propri membri, ad es. sistemi giuridici)
La cultura è più lenta rispetto ai cambiamenti societari ma è molto più flessibile e funzionale rispetto
all’adattamento genetico.
Cultura e comunicazione sono legate; la cultura non esisterebbe senza comunicazione, senza di essa tutto il
bagaglio di esperienze e di conoscenze acquisite sarebbe perso.
I processi di natura comunicativa:
1. linguaggio orale
2. scrittura
3. comunicazione non verbale
L’uomo è un essere estremamente espressivo, tantissimi micro-muscoli gli permettono di comunicare in
modo complesso.
La cultura e i suoi significati
Zygmunt Bauman
Culture as Praxis (1973)= distinzione molto chiara e semplice fra tre significati di cultura, usando una
nozione di tipo gerarchico della nozione differenziale e infine una nozione generica.
Questo modo tripartito di concepire la cultura emerge da una forma di paralisi concettuale densa ma che
spesso ha dato vita a idee e configurazioni spesso contraddittorie create da studiosi provenienti da diversi
assetti disciplinari.
La cultura, pur essendo un concetto importante, in molti contesti viene utilizzato con estrema disinvoltura. È
sempre tuttavia correlata da un alone di ambiguità. Di questa ambiguità Bauman è conscio. Egli afferma che
l’ostinata ambiguità del concetto di cultura è notoria. Molto meno lo è che l’idea che tale ambiguità sia una
conseguenza dell’incompatibilità delle numerose linee di pensiero che sono storicamente confluite in uno
stesso termine.
1. Nozione gerarchica
Esiste secondo Bauman una natura ideale propria all’essere umano e la cultura concretizza lo sforzo
strenuamente proteso a raggiungere il potenziale più elevato della vocazione delle potenzialità umane.
La nozione gerarchica enfatizza la tensione ideale alla perfettibilità antropologica dell’essere umano. La lotta
non è solo simbolica ma anche materiale per definire ciò che ha diritto di chiamarsi cultura a pieno titolo.
Culture in senso figurato comincia ad imporsi nel XVIII secolo attraverso numerose nomenclature (cultura
delle arti, scienze, lettere…); vi è un grande dovere educativo, pedagogico da riversare nel piccolo uomo così
da permettergli di acquisire proprietà tali da renderlo non soltanto erudito ma portato e versato nelle sue più
alte attitudini morali (etica, morale, incivilimento).
Un ingentilimento a tutto campo che viene progressivamente incorporato da colui che impara come fosse una
propria caratteristica personale.
Il contesto storico è quello illuminista, è declinata al singolare, è propria dell’uomo il cui compito è tracciare
una linea di progresso di evoluzione scientifica e etica.
2. Cultura come differenza
Rende ragione delle evidenti diversità nel tempo e nello spazio dei diversi gruppi umani. Questa concezione
si riferisce ad un uso pluralista di cultura, benché esso non è così moderno.
Ricorrere a società e cultura è sembrato il modo più semplice per spiegare la grande diversità dei fenomeni
relativi all’esistenza umana.
I greci si imbatterono in altri popoli e ebbero una acuta consapevolezza della loro particolarità. Svilupparono
una tendenza unica a prendere nota delle differenze fra i propri costumi e quelli degli altri popoli. Tuttavia i
greci stessi vedevano queste differenze come delle “curiose deviazioni da un modello normale”. Da
normalità si passa ad un concetto di naturalezza (ovviamente in realtà la cultura è invece convenzionale). Le
informatissime descrizioni di stranieri che ci sono state fornite dalle descrizioni di Erodoto spesso iniziano
con proposizioni che iniziano con “Essi non hanno...” o “A differenza da noi...”.
L’indagine di natura culturale è la risposta più depurata da ideologie scomode alla questione della differenza
fra gruppi umani; tutto ciò che riguarda la razza è stato da tempo discriminato.
Il razzismo biologico pseudo-scientifico pone un legame causale, fittizio, scorretto fra il fenotipo di un
individuo, il patrimonio genetico e le attitudini delle persone che condividono determinati aspetti. Ciò spesso
viene collegato all’intelletto e alle attitudini morali. Questo legame è in realtà assolutamente fittizio, la
variabilità si aggira su una percentuale bassissima.
Il lungo processo di ominazione che è cominciato più o meno 15 milioni di anni fa è consistito
fondamentalmente nel passaggio da un adattamento genetico all’ambiente naturale ad un adattamento
culturale. Nel corso di questa evoluzione che ha condotto all’Homo Sapiens Sapiens, si è verificata una
regressione degli istinti che sono stati sostituiti dalla cultura. Ciò nasce dal bisogno dell’uomo di controllare
l’ambiente in cui vive, i propri comportamenti, la comunità di cui fa parte. Ciò si presenta come molto più
funzionale dell’adattamento genetico perché più flessibile ma anche perché facilmente trasmissibile.
La cultura permette all’uomo di adattare l’ambiente a sé. La cultura rende quindi possibile la trasformazione
della cultura.
Esempi di diversità culturale: usi, costumi, abitudini
Vi sono dei bisogni primari fondati su una biologia comune ma che non possono essere osservati allo stato
puro perché vengono incanalate in comportamenti propri di una determinata comunità. Le società, sebbene
abbiano le stesse esigenze danno risposte diverse e generano diversi schemi di pratica sia concreti che
astratti.
Le differenze biologiche non possono essere osservate allo stato puro perché vengono incanalate
immediatamente in schemi culturali.
- differenze di genere (es. donna che appartiene alla sfera famigliare e non lavorativa)
- rapporti fra generazioni (es. culto dell’antenato e degli anziani)
- bisogni primari (es. cibi simbolo di una Nazione)
- idea di famiglia (es. prescrizioni di natura sessuale e matrimoniale)
- educazione dei piccoli (es. insegnamenti latenti e inconsapevoli)
- universi religiosi e rappresentazioni del mondo
L’universo religioso in parte fonda la nostra cultura, anche quelle che si definiscono laiche. Questo perché le
credenze di tipo religioso hanno dato un imprinting alla cultura.
Anche se ci professiamo non praticanti o propensi ad una religione soggettiva, la religione ha tracciato una
linea, ha dato una sua impronta alle nostre abitudini più comuni (es. la domenica, il Natale).
Henri Todd fa riferimento a vari tipi di famiglie:
- famiglia autoritaria: associazione verticale fra il padre e uno dei figli maschi
- famiglia nucleare: che prevede la mancanza di coabitazione dei figli sposati con i genitori
- famiglia nucleare egualitaria: implica l’uguaglianza dei fratelli in linea di successione
- famiglia nucleare assoluta: prevede un sistema non egualitario dell’eredità tramite testamento, inoltre
implica un allontanamento precoce dei figli
- famiglia comunitaria esogamica: eguaglianza fra fratelli, enfatizzati i valori autoritari paterni e grande
senso di appartenenza alla famiglia
- famiglia comunitaria endogamica: uguaglianza fra fratelli, il matrimonio favorisce l’unione fra cugini di
primo grado e paralleli per via paterna, si forma una famiglia estesa e chiusa fra parenti, vi è possibilità di un
matrimonio poliginico
- famiglia comunitaria asimmetrica: uguaglianza fra fratelli, divieto di matrimonio fra figli di due fratelli
La combinazione fra esogamia ed endogamia conduce al sistema delle caste, favorendo il valore di
separazione fra purità e impurità, privilegiato l’asse fratello e sorella e l’asse padre e primo figlio maschio.
Fra i casi di poliandria (donna che sposa diversi fratelli), un caso particolare è quello dello Yunnan in cui la
donna va in sposa e vive con vari fratelli; ella non ha però con loro nessun rapporto sessuale. Può invece
avere rapporti con amanti e in caso di procreazione il padre del figlio resta il fratello. Dominano i rapporti di
consanguineità ma non quelli coniugali.
- la famiglia anomica= senza legge, con grandi incertezze, non è né individualista né comunitaria
Secondo Todd sembra che la famiglia più diffusa sia quella comunitaria esogamica.
3. Nozione generica
Si cerca di guardare non tanto ciò che divide le culture ma di guardare alla cultura come prodotto umano. E
di guardare a quello che unisce.
Sembra necessario individuare capacità che consente all’uomo di produrre e riprodurre strutture generatrici
di simboli, discorsi, credenze.
Si tratta di pensare alla cultura come qualcosa avente una base profonda comune al di là delle manifestazioni
diverse. L’epifenomeno è dato dalle specificità, mentre la base è comune.
Le costanti possono essere di natura etica e morale (es. proibizione omicidio), parentale (es. proibizione
dell’incesto), relazionale (es. gli ornamenti, la danza).
Proibizione e sanzione dell’omicidio= cos’è l’omicidio? L’omicidio è reato in determinati contesti. Ma il
sacrificio per una certa popolazione può non essere considerato omicidio. Vi è quindi in problema
linguistico.
Secondo Bauman se la nozione gerarchica di cultura mette in evidenza il contrasto fra modi di vita affinati e
rozzi e il ponte che fra questi modi di vita viene gettato dall’educazione. Se la nozione invece differenziale di
cultura è un frutto, un sostegno per l’interesse rivolto alle innumerevoli e infinitamente moltiplicabili
opposizioni tra i modi di vivere di vari gruppi umani, quest’ultima nozione generica si costruisce intorno alla
dicotomia fra mondo umano e mondo naturale. O meglio intorno alla distinzione tra actus hominis (quel che
accade all’uomo) e actus humani (quel che l’uomo fa).
Per Bauman quindi il concetto generico di cultura si riferisce ai limiti dell’uomo, dell’umano e alle sue
compenetrazioni.
Rapporto cultura/ambiente naturale
La cultura si adatta all’ambiente in cui si insedia, nel contempo l’uomo ha sempre modificato il suo ambiente
(soprattutto per una popolazione sempre più numerosa).
La natura è una sorta di combinazione di probabilità che per noi come uomini non agisce in modo sempre
benevolo. Coloro che hanno certe caratteristiche genetiche utili sopravvivono e si riproducono con più
successo di altri. Quindi queste mutazioni sono casuali, alcune emergono come utili e vengono trasmesse ai
loro figli.
Più intensa è l’influenza dell’ambiente maggiore è la competizione per la sopravvivenza e più probabile è il
verificarsi di cambiamenti evolutivi.
La sopravvivenza e l’evoluzione non dipendono da particolari virtù o capacità e non è garantito che in futuro
l’uomo sia la specie che sopravviverà più a lungo. Noi spesso invece crediamo la specie umana più forte a
causa del nostro antropocentrismo.
Nel 1859 Darwin pubblica il testo Sull’origine delle specie destinato a portare a numerosi dibattiti.
Ciò che viene divulgato turba profondamente gli esseri umani. Di fatto gli uomini tendono a volersi dare più
importanza rispetto alle altre specie viventi.
Le teologie, le religioni, le cosmologie elaborate hanno sempre sostenuto l’uomo come favorito dalle
divinità.
Se esiste un fatto che può distinguere almeno in parte la modernità da ciò che la precede è l’atroce
consapevolezza che siamo mortali. La protezione l’uomo se la deve costruire, non la riceve dalla natura.
Gli antenati ad un certo punto acquisiscono la capacità di comunicare e di trasmettere le conoscenze ai
discendenti.
La capacità di diffondere e trasmettere conoscenza degli animali è estremamente limitata, mentre quella
dell’uomo si espande col tempo grazie alle nuove tecnologie. L’uomo ha quindi la capacità di dominare ma
anche di distruggere parti del pianeta.
Da sempre l’evoluzione culturale ha modificato la vita dell’uomo molto più di quanto non sia successo con
l’evoluzione fisica, che continua comunque ma è molto lenta, richiede moltissime generazioni. Ad oggi non
esiste che l’evoluzione fisica oggi sia più veloce del passato.
Significativi cambiamenti evolutivi accadono in decine di migliaia di anni.
La velocità del cambiamento culturale sembra che continui ad accelerare. Negli anni 40 pochi giovani
potevano immaginare che i costumi sociali sarebbero cambiati così tanto.
La cultura la possiamo intendere come l’ammontare di conoscenze che ogni società possiede.
Le idee che fondano una cultura sono simili a dei codici o copioni in base ai quali le società producono e
applicano le loro attività economiche, sociali, politiche ecc. Le culture comprendono mezzi di
comunicazione, verbalità, non verbalità, il linguaggio dell’arte e molto altro.
Non abbiamo modo di sapere se gli animali si fanno le stesse domande ma sappiamo che data la grande
capacità cognitiva dell’essere umano, esso si è posto molti interrogativi e ogni società da’ delle proprie
spiegazioni.
Non tutte le culture si evolvono con la stessa velocità, alcune sono maggiormente resistenti al cambiamento.
Ma in nessun caso rimangono statiche e tutte rispondono alle circostanze di cambiamento e ai problemi che
insorgono.
Gli esseri umani possono imparare dalla loro esperienza, quindi dovrebbero essere consapevoli del loro
bagaglio culturale e se usarlo, modificarlo o altro.
Solo a posteriori possiamo dire quali cambiamenti culturale del passato siano stati positivi e quali dannosi.
Nella pratica l’evoluzione culturale funziona quasi tanto crudelmente quanto l’evoluzione biologica.
Noi non possiamo considerare la cultura senza la natura e non siamo in grado di stabilire dove inizino e
finiscano cultura e natura. I mutamenti di cultura e natura sono molto diversi ma rappresentano una
congiuntura inscindibile ber il cambiamento e come l’uomo modifica il suo ambiente naturale e come le sue
decisioni siano fruttuose o infruttuose.
Un campo coltivato non è più naturale di una metropoli; poiché è stato creato dall’uomo per svolgere una
certa funzione.
Come l’evoluzione biologica e fisica si avvale anche di cambiamenti casuali che vengono recepiti in quanto
cambiamenti che sorreggono la sopravvivenza e vengono trasmessi ai discendenti, così nella cultura vi è una
componente casuale.
L’alia, l’incognita, l’imprevisto sia in natura che in cultura sono in agguato; l’unica cosa che l’uomo può fare
è reagire.
Operato della cultura
• sull’ambiente
• sugli aspetti biologici (il corpo che si modifica con l’età, l’identità di genere che muta)
• sui bisogni primari e secondari (cibo, relazioni affettive)
L’ambiente viene modificato. I resti di una cultura molto antica erano parte di una città vivente, brulicante di
vita, anche se noi facciamo difficoltà a immaginarci un mondo così. Es. i resti dei templi greci ora è arte ma
una volta era vita. L’ambiente viene coltivato, strutturato secondo le esigenze dell’umano (non ovunque).
L’ambiente viene anche inquinato, vengono effettuati disboscamenti; ciò ha provocato smottamenti nel
terreno. Una particolare modifica dell’ambiente può portare a delle conseguenze.
Chernobyl (1986): ha portato sgomento, la stessa scienza era molto titubante.
L’uomo riesce a fare previsioni abbastanza precise sul breve periodo ma non sul lungo periodo.
Il corpo è un veicolo culturale molto importante (es. scarificazione/tatuaggi). Gli aspetti biologici modificano
l’appetibilità, la desiderabilità.
La cultura sinteticamente...
L'individuo, fin dall’inizio della sua vita e forse anche dal periodo di gestazione, viene sottoposto ad un
intenso processo di socializzazione ed è anche geneticamente predisposto ad elaborare esperienze di tipo
diverso. Vi è un campo attivo si selezione e capace di elaborare una struttura autonoma o relativamente
autonoma di sé.
L’ambiente influisce molto sull’autostima che poi a sua volta porta alla formazione della personalità
compiuta.
Il formarsi dell’identità è un tipo di fenomeno relazionale; la possibilità di comunicazione è basata su codici
condivisi.
Tuttavia la formazione della persona che è unica può stabilire delle difese nei confronti di ciò che lo circonda
ed elaborare un mondo di attribuzione di senso, di interpretazione di significati, che, almeno in parte possono
non coincidere con il sistema di valori dominanti.
Tra i significati esterni che vengono socialmente schematizzati e il mondo interno dell’uomo che si struttura
sia facendo bagaglio delle risorse culturali disponibili e proprie, viene a crearsi una certa distanza che
consente all’uomo di instaurare relazioni coi propri simili ma anche di difendere la propria specificità. Vi
sono quindi un’identità individuale e un’identità sociale, entrambe indispensabili. Per relazionarsi con gli
altri bisogna avere aspettative dotate di senso, bisogna anche essere consapevoli della propria individualità,
senza identificarsi eccessivamente negli altri.
1. il piano dell’identità personale che risulta da un’elaborazione interna in parte conscia e in parte no
del bagaglio di esperienze vissute
2. il piano dell’identità sociale che corrisponde all’immagine che l’individuo vuole dare di sé nei
processi di comunicazione con le altre persone
Nel 1952 gli antropologi Alfred Kroeber e Clyde Kluckhohn raccolgono tra le 150 e 200 definizioni di
cultura.
Kluckhohn ha fatto un elenco che comprende diversi tipi di definizione di cultura:
1. La maniera complessiva di vivere di un popolo (quotidianità)
2. l’eredità sociale che un individuo acquisisce nel suo gruppo di appartenenza (ciò che viene trasmesso
nel tempo)
3. un modo di pensare, sentire, credere (un’astrazione derivata dal comportamento)
4. una teoria basata sull’osservazione di come si comporta un gruppo di persone (metodo etnografico)
5. un deposito del sapere posseduto collettivamente
6. una serie di orientamenti standardizzati nei confronti di comportamenti ricorrenti
7. un comportamento appreso
8. un meccanismo per una regolazione normativa del comportamento (non vi è una collettività non
sanzionatoria)
9. una serie di tecniche a vasto spettro per adeguarsi all’ambiente e anche alle relazioni con gli altri
uomini
10. un insieme, un sedimento, un setaccio, una matrice di storia (esigenza dell’uomo di dare un ordine)
Il tipo di interesse che riversiamo varia a seconda che che si sottolinei la dimensione soggettiva o il carattere
oggettivo (eredità sociale, tecniche trasmesse e affinate).
Diversi elementi ricompresi nel termine cultura enfatizzano da una parte la dimensione descrittiva e
cognitiva (credenze e rappresentazioni sociali sulla realtà naturale che sociale), dall’altra la dimensione
prescrittiva della cultura (come insieme di norme e regole che indicano le mete da raggiungere).
Le due dimensioni descrittiva cognitiva e prescrittiva normativa sono legate perché la stessa norma trova una
sua giustificazione nelle credenze e nelle rappresentazioni; allo stesso tempo credenze e rappresentazioni
vengono rafforzate dalle costruzioni della realtà che sono influenzate dalle norme.
Quindi la cultura concerne…
1. ciò che gli individui pensano (versante cognitivo/etico normativo) es. credenze, concetti, opinioni sul
mondo / rappresentazioni di come il mondo dovrebbe e non dovrebbe essere / canoni di lecito,
illecito ...
2. ciò che gli individui fanno (versante comportamentale e pratico) es. costumi e abitudini, regole
tradizionali ...
3. i materiali che producono (cultura materiale) es. arte e quotidianità, tecnologia ...
La cultura inoltre si presenta come cumulo di esperienze, come tradizione.
Ogni linguaggio riflette il modo di percepire il mondo.
La cultura materiale sono i materiali che vengono prodotti, artistici e culturali. I prodotti oggettivati sono resi
concreti dall’uso quotidiano umano. Nella cultura materiale non si fa distinzione fra l’arte e gli oggetti di uso
quotidiano.
Noi non abbiamo elaborato solamente un linguaggio ma anche la sua scrittura che corrisponde a delle realtà
molto diverse.
Ogni oggetto culturale non ha un unico significato. Ad es. il Corano se scritto in lingua araba non è solo un
testo religioso ma è Dio stesso per gli islamici; può essere maneggiato solo dopo un processo di
purificazione. Esso è anche una delle fonti di diritto dell’Islam. La Sunna è l’insieme degli haddit, detti e
abitudini della vita del profeta, ed è la seconda fonte del diritto. l’Ijma’ che rappresenta il collettivo dei fedeli
è la terza fonte del diritto. Il Fiqu è l’analogia giuridica.
Scritture, note musicali sono tipi di linguaggio. La musica è un’elaborazione dell’uomo, senza conoscerne il
codice lo spartito non ha significato. I suoni invece sono naturali. Anche i simboli matematici sono un tipo di
linguaggio per chi sa comprenderlo.
Le date simboliche, le ricorrenze rappresentano battaglie, eventi tragici, eventi vittoriosi ecc.
Il saluto è un primo input tradizionale che sancisce il riconoscimento di due persone. I saluti variano però
molto a seconda di con chi ci troviamo e a chi ci rivolgiamo. Nelle culture del non contatto è un insulto il
saluto tramite contatto.
La stretta di mano non è sempre relazionale ma può essere comunicativa di un’intesa pubblica.
Le manifestazioni rimandano ad una serie di tradizioni mutate ma che permangono nella loro base storica;
contribuiscono a legare la comunità.
Le piramidi ora sono un’attrazione turistica ma una volta avevano un significato sacro.
La moneta è un vecchissimo sistema di transazione che esiste ancora, sebbene esista anche una moneta non
fisica online.
La carta di credito ha all’interno tutta una serie di informazioni, anche se non è una chiave fisica/materiale.
L’arte è un linguaggio molto personale, è difficile codificarla perché i suoi codici cambiano; è collegata ai
simboli, a delle note biografiche, a delle sensazioni, a delle visioni dell’autore. Vi è poi la responsabilità di
saper dire che cosa è arte e cosa no; anche se non c’è mai stato un totale accordo. L’arte è molto mutevole e
va spiegata per poterla apprezzare appieno.
Definizioni di cultura
Gli studiosi della Scuola di Chicago si interrogano sulla vita degli immigrati, su cosa abbandonano e che
problemi devono affrontare. Essi utilizzano il metodo etnografico, parlano con gli immigrati, analizzano le
lettere. Si ha quindi una relazione empatica con l’oggetto.
Franz Boas, L’antropologia (1930):
• la sua definizione evidenzia il metodo etnografico
• è necessario osservare a lungo e direttamente la cultura interpretando lo spirito del metodo
etnografico
• “La cultura abbraccia tutte le manifestazioni delle abitudini sociali di una comunità, le reazioni
dell’individuo in quanto colpito dalle abitudini del gruppo nel quale vive, e i prodotti delle attività
umane in quanto determinate da queste abitudini.”
• il centro è sull’abitudine, sulla quotidianità; la ripetizione di determinati comportamenti da’ sicurezza
• la cultura abbraccia tutte le abitudini sociali e il sentire dell’individuo che, coinvolto, agisce secondo
le abitudini della società in cui vive
• la routine consolida non solo la propria identità ma rende anche la comunità più coesa; ciò è tanto
più importante quanto ci si sposta (es. gli immigrati che si stanziano in comunità di persone che
hanno la medesima origine)
Clifford Geerz, Interpretazione di culture (1973):
• conferisce enfasi sul significato (qualcosa di astratto), sull’apprendimento simbolico e la specificità
umana
• “Ritenendo, insieme con Max Weber, che l’uomo è un animale sospeso fra ragnatele di significati
che egli stesso ha tessuto, credo che la cultura consista in queste ragnatele e che perciò la loro
analisi non sia innanzitutto una scienza sperimentale in cerca di leggi, ma una scienza interpretativa
in cerca di significato.”
• Weber: le azioni dell’uomo sono dotate di senso e queste azioni soggettivamente motivate poi
ricevono dall’altro un’interpretazione
• il significato è qualcosa che è sempre in relazione con altri significati ed essi sono stati tessuti
dall’uomo
• l’analisi degli insiemi di significati non è una scienza sperimentale ma una scienza diversa,
interpretativa, cerca di ricostruire il senso, il perché non come legge causa effetto bensì un perché
relazionale e soggettivo
• (I) simboli non sono pertanto semplici espressioni, strumentalità, o corrispettivi della nostra
esistenza biologica, psicologica e sociale: ne sono i prerequisiti. Senza uomini certamente non c’è
cultura: allo stesso modo, e cosa più importante, senza cultura non ci sarebbero uomini.
• l’enfasi è sull’uomo come animale culturale che vive i simboli che sono prerequisiti di ciò che pensa
• i simboli sono la piattaforma concettuale che ci permette di creare cultura

Melford Spiro, Culture and Human Nature (1985):


• “«Cultura» designa un sistema cognitivo, ossia un insieme di proposizioni, di tipo sia descrittivo (ad
esempio: la terra si appoggia sul dorso di una tartaruga) sia normativo (ad esempio: è sbagliato
uccidere) sulla natura, l’uomo e la società che sono incorporate in configurazioni e reti
interconnesse di ordine superiore.”
• enfasi sul pensiero, sull’etica e sull’astrazione
• la cultura rappresenta sia un sistema cognitivo/ proposizioni descrittive (frasi che descrivono la
realtà), che un sistema normativo/proposizioni normative (cosa è sbagliato) sulla natura in senso lato
(dell’uomo e in genere) e sulla società
• configurazioni e reti interconnesse= ragnatele di Geerz
• i cardini sono il pensiero, l’astrazione e l’etica
Due tipi di credenze:
1. fattuali= sono quelle che descrivono una data situazione
2. rappresentazionali= l’uomo è fatto anche di un insieme di sogni e idealità, di immaginazione
Un tipo di credenza rappresentazionale sono i dogmi della religione che non possono essere dimostrate.
L’effetto è reale, ovvero dare un senso a quello che ci sta succedendo.
Universali culturali
• Disciplina rapporti sessuali o coniugio
• Norma di reciprocità (dare e ricevere)
• Proibizione: omicidio e menzogna (la morale non può essere universale)
- es. nel Codice civile la violenza sessuale lede l’onore e la moralità pubblica ma non si menaziona la
persona; inoltre era possibile il matrimonio riparatore
• Ordinamenti
• Danza
• Attività sportive
Il fenotipo e il cariotipo
Il fenotipo= da fainomai (apparire/sembrare); è la nostra conformazione fisica (carnagione, capelli ecc.). Ve
ne sono una grande varietà all’interno della specie umana.
Il fenotipo ha una traccia nel patrimonio genetico ma si sviluppa in seguito all’adattamento del fisico/del
corpo rispetto all’ambiente in cui vive, secondo le variazioni climali (ambientali).
Tre leggi:
1. Legge di Bergmann= la dimensione degli individui aumenta all’aumento della latitudine o del rigore del
clima (forma di ottimizzazione del calore del corpo). es. gente del Nord più alta
2. Legge di Allen= le dimensioni delle appendici (naso, orecchie, coda), diminuiscono all’aumento della
latitudine o rigore del clima. es. orso polare che ha la coda piccola/persone del nord che hanno il naso più
piccolo
3. Legge di Gloger= la pigmentazione aumenta in presenza di forte radiazione solare e clima umido.
Queste leggi riguardano tutte le specie omeoterme (a sangue caldo).
Il cariotipo= rappresenta il patrimonio genetico di una specie dal punto di vista morfologico.
Nella specie umana il patrimonio genetico è molto simile, le differenze sono minime.
Il razzismo biologico è qualcosa relativo alle moderne scoperte scientifiche utilizzate a scopo meramente
ideologico. Il razzismo scientifico sosteneva che all’interno dell’umanità ci siano non solo sembianze diverse
da anche patrimoni genetici molto diversi che influiscono sulle attitudini e capacità dei gruppi che
condividono le stesse caratteristiche fisiche (attitudini morali ecc.). La conseguenza era porre le razze in una
scala valoriale con al vertice una razza pura/perfetta e scendendo altre razze inferiori da un punto di vista
morale, intellettuale e di civiltà (suscettibili quindi di essere trattati da animali).
La cultura non è innata, è appresa dall’ambiente circostante, da valori, da un sentire comune, dall’educazione
istituzionale ecc. ; sono abiti acquisiti.
Attorno agli anni 70 vi fu una corrente di pensiero detta Socio-biologia che tentava di coniugare le basi della
sociologia con la biologia. Essa ha messo in dubbio alcuni fondamenti di sociologia e dell’antropologia
perché ignoravano le irregolarità del comportamento umano. Questi studiosi sostenevano che il genere
umano è un prodotto dell’evoluzione e che molte informazioni sono trasmesse dai geni. Il comportamento
quindi possiede una base biologica. Essi non asserivano che il comportamento umano sia interamente
controllato dai geni ma piuttosto erano convinti che fattori biologici e influenze genetiche stabilissero limiti
alla gamma dei comportamenti possibili; queste tendenze comportamentali risultavano a loro giudizio
dall’evoluzione e dovevano essere comprese nel contesto dell’evoluzione culturale.
Robin Fox, un esponente antropologo convertito a questo pensiero ammette che esiste al di sotto delle
differenze una certa uniformità di istituzioni sociali. Afferma che, se si potessero allevare bambini in un
luogo totalmente senza cultura, essi in poche generazioni costruirebbero una società con leggi sulla proprietà,
pratiche di vario tipo ecc. e comportamenti anche psicotici perché ciò è nella natura animale. Concludendo,
noi esseri umani non siamo diversi dagli animali per il fatto di essere culturali, ma siamo piuttosto un tipo
particolare di primate. La selezione naturale ha favorito chi ha saputo adattarsi alle circostanze mutevoli.
Le componenti della cultura
Peterson nel 1979 parla di componenti della cultura.
Le componenti classiche della cultura sono valori, norme, concetti e simboli. Questi spesso si compenetrano.
1. I valori
Valore: comunemente quando parliamo e adoperiamo il termine valore come un qualsiasi cosa che sia
importante, pregevole, desiderabile, prezioso. Sotto questo profilo qualunque oggetto può divenire valore (es.
romanzo, giocattolo, bandiera…). Vi è però anche un secondo uso comune, ovvero i valori che riguardano la
cultura.
Valori: indicano una sorta di prospettiva ideale a cui noi stessi aspiriamo e a cui ci riferiamo quando
esprimiamo dei giudizi. Ad esempio sono l’onestà, la dignità, la solidarietà.
Le scienze sociali adottano i valori al plurale, quindi il valore non indica l’oggetto del desiderio ma un
criterio di giudizio, un principio in base al quale approviamo o disapproviamo una modalità
comportamentale, un pensiero.
Il concetto di valore è distinto da quello di preferenza; mentre la preferenza ci dice cosa è desiderato, il
valore ci dice cosa è desiderabile, ha quindi una dimensione etica/normativa.
1. Dimensione affettiva/emotiva= ciò che ci attrae e piace, ciò che sentiamo più vicino a noi. I valori
coinvolgono i sentimenti; adeguarsi ai valori in cui crediamo è ritenuto valido in sé,
indipendentemente dal vantaggio ricavabile. La loro efficacia sociale dipende da quanto sono stati
interiorizzati e riescono a suscitare così sentimenti di vergogna e colpa.
2. Dimensione cognitiva= concezione che rimanda a un’esemplificazione in enunciati (es. quel
comportamento è buono e ammirabile); ha un senso da parte dell’attore sociale; questo aspetto è
importante perché con la distinzione fra morale e mores (costumi); i valori implicano una
consapevolezza e una capacità di argomentare e giustificare da parte dell’attore sociale, non vanno
confusi con la condotta abitudinaria.
3. Dimensione selettiva= la capacità dei valori di guidare il comportamento, l’agire sociale, poiché essi
forniscono il perché ci comportiamo in un certo modo. I valori stessi, la morale, l’etica sono
cangianti a livello storico e geografico. Si collocano in modo diverso anche nella stessa realtà sociale
di una comunità (es. nella società moderna al centro vi è l’individuo). I valori segnano un problema a
cui la società tende di porre rimedio a seconda della propria struttura.
2. Norme
Le norme sono molto più specifiche e imperative rispetto ai valori. L’integrità morale è un valore che orienta
il comportamento degli individui, però per regolare delle situazioni concrete si rende necessaria
l’applicazione del valore “onestà” tramite delle norme.
Le norme risultano formulate in maniera socialmente imperativa. Una norma viene enunciata
linguisticamente sotto forma di un obbligo o di un’imposizione.
La norma, a differenza dei valori, per poter essere efficace deve essere rinforzata da un controllo esterno del
comportamento del singolo e deve prevedere una sanzione negativa per chi la viola.
Se la sanzione prevede un premio allora si parla si sanzione positiva.
Mentre i valori dovrebbero essere interiorizzati presto, le norme devono essere imparate nel corso della vita
sociale.
1. Contenuto= norme relative alla religione, alla morale, all’etichetta… è difficile tracciare confini netti
fra le varie norme perché sfociano l’una nell’altra. Ad es. le norme igieniche e quelle religione
possono intersecarsi.
2. Grado di formalizzazione= il massimo grado sono le norme giuridiche, emanate da un potere
legislativo e formulate come leggi scritte. L’apparato giudiziario le applica e delle istituzioni penali
che amministrano le sanzioni. A livello minimo troviamo le norme quotidiane definite da Gofmann
“microrituali” che sono norme riconosciute dai partecipanti in maniera implicita e scontata (ad es. le
norme della conversazione).
3. Norme deontologiche= riguardano delle specifiche etiche professionali (medici, avvocati, assistenti
sociali…) che possiedono un certo grado di formalizzazione.
3. I concetti
I concetti sono espressi attraverso il linguaggio e comprendono delle proposizioni descrittive della realtà. Le
norme stabiliscono che cosa si deve fare, i concetti invece stabiliscono cosa è intorno a noi. Le norme
affermano quale la realtà deve essere mentre le proposizioni descrittive quello che la realtà è.
Le credenze fattuali sono appurate mentre le credenze rappresentazionali corrispondono a ciò che è una
convenzione o esigenza nel credere. Nelle credenze fattuali il soggetto ha coscienza di un fatto, mentre nel
caso di una credenza rappresentazionale il soggetto è cosciente di accettare una certa configurazione.
4. I simboli
Il simbolo è qualcosa che sta per qualcos’altro. I simboli sono molto variabili da cultura a cultura. Ad es.
nella nostra cultura la rosa è un simbolo d’amore.
È fondamentale che nella comunicazione simbolica ci siano consenso e condivisione; bisogna capire cosa il
simbolo rappresenta.
Ogden Richards col diagramma di significazione:
Es:
- a sinistra parola sedia o sedia stilizzata= significante (che veicola un significato)
- a destra vi è l’oggetti fisico di sedia= il referente
- i due vertici in basso sono uniti dal concetto/idea di sedia= concetto di essere delle sedie= il simbolo
Il vertice è unito dall’idea di sedia che ognuno ha.
Cultura ed impronta individualista
Ci sono due grandi macro-famiglie di culture; le culture ad impronta individualista e le culture ad impronta
collettivista.
Culture ad impronta individualista
Quelle Occidentali in cui l’individuo è portatore di diritti, doveri, responsabilità. L’individuo è l’asse
portante della cultura.
• Unicità/esclusività individuale = ognuno è unico nella capacità di importare qualcosa di innovativo
nella società e ognuno è circondato da un alone di privacy.
• Autorealizzazione = diritto a autorealizzarsi a raggiungere le proprie mete a esprimere quello che si
vuole esprimere.
• Edonismo = forma di piacere che ci si concede, incitare la persona a prendersi cura di sé (vacanze
…).
• Attitudine a confronto, dissenso e competizione = dialogo che può degenerare in polemica, dissenso,
hate-speach; è ammesso e incitato.
• Immagine di sé = immagine estetica e di come una persona si propone e propone la propria
competenza.
• Oggettività, distanza emotiva richiesta dal ruolo = il ruolo deve essere impersonale, non ci possono
essere inferenze emotive.
• Accettazione ambivalente delle direttive della leadership = le norme vanno accettate però c’è la
possibilità di obiettare e protestare.
• Agire su ambiente e situazione in caso di difficoltà e non su sé stessa = in genere nelle culture
individualiste si tende ad agire sui fenomeni circostanti, non si fa un percorso su di sé.
• Relazioni di breve periodo e talora superficiali = fugacità delle relazioni.
• Concezione ristretta del gruppo di appartenenza = (ingroup) non vi è una concezione di una
comunità allargata ma varie cerchie di appartenenza che sono contenute.
• Orgoglio per il successo personale = chi raggiunge un vertice è ammesso che provi orgoglio.
• Leadership efficiente, razionale con priorità a compiti e obiettivi = si danno tutta una serie di priorità
a dei compiti.
• Compiti e risultati che sono prioritari sulle relazioni = l’obiettivo risulta primario sulle dinamiche
interazionali.
• Processi di socializzazione familiare e scolastico: il bambino si pensa come “io” = il bambino si
pensa singolarmente, la collaborazione c’è ma è difficile avviarla.
• Obiettivo scolastico: imparare come imparare = non imparare come fare, siamo dominati da
un’istruzione astratta.
• Trasgressione delle norme: senso di colpa = dovrebbe indurre ad un senso di colpa data la
responsabilità addossata al singolo individuo.
Culture ad impronta collettivista
Esse sono tipiche delle regioni asiatiche e orientali. È un mondo che la maggior parte di noi non conoscono.
L’obiettivo non è quello di essere produttivi.
• Armonia sociale, solidarietà, coesione = importanza di andare d’accordo.
• Propensione alla cooperazione e al lavoro di gruppo = conseguenza.
• Relazioni stabili nel tempo = relazioni anche profonde nella loro natura e con pochi membri.
• Attitudine a modificare se stessi per adattarsi alla situazione = anziché cambiare la situazione stessa.
• Senso di integrità della famiglia = i familiari sono molto importanti e c’è una grande conformità
verso il proprio gruppo familiare: culto degli antenati.
• In famiglia e a scuola i bambini si pensano come “noi” = sono già aggregati a un gruppo allargato.
• Obiettivo scolastico: “imparare come fare” = maggior senso di concretezza, come nelle culture orali
tradizionali (apprendimento tramite imitazione).
• Ricerca del consenso del gruppo e priorità dei suoi obiettivi = vicinanza con le persone del proprio
gruppo e precedenza degli obiettivi che il gruppo si propone rispetto a quelli individuali.
• Fiducia in sé intesa come capacità di non ostacolare il gruppo = i successi del singolo diventano il
successo del gruppo di appartenenza.
• Senso di sacrificio e accettazione delle direttive fornite dalle autorità = Accettazione abbastanza
incondizionata delle direttive offerte dalle autorità e che non vanno discusse.
• Concezione assai estesa del gruppo di appartenenza sino ad allargarsi a tutta la nazione = forte senso
di appartenenza ad un’identità nazionale che in determinate culture si è sviluppata.
• Modestia e umiltà per i successi riportati dal gruppo = i successi sono attribuiti al gruppo e non a sé
stessi.
• Leadership improntata al paternalismo, con l’impegno ad evitare conflitti e divergenze = sostiene
l’integrazione e tende a prevenire i conflitti, poiché essi sono visti come sconvenienti.
• Trasgressione delle regole: senso di vergogna = invece di istituire un senso di colpa vi è vergogna
perché c’è un confronto con gli altri.
Geert Hofstede
Uno psicologo dell’organizzazione olandese, definito come colui che ha inventato la diversità culturale come
problema di management.
Secondo Hofstede la cultura è il programma mentale collettivo che distingue i membri di un gruppo da quelli
di un altro. Lo paragona ad una sorta di software installato.
L’idea di collettivismo e individualismo permane nelle culture ma essi rappresentano un binomio che fa parte
delle 5 dimensioni della cultura individuate da Hofstede.
1. Individualismo
2. Collettivismo
3. Distanza dal potere (quanto è considerato legittimo/illegittimo)
4. Il timore dell’incertezza (culture più chiuse e più aperte verso l’ignoto)
5. Mascolinità e femminilità (vi sono culture improntate a dei valori maggiormente orientati a
femminile o maschile)
6. Orientamento a lungo o breve termine (quanto le culture si proiettano nel futuro)
Ogni cultura ha una propria concezione del tempo e della progettualità.
La ricerca è stata effettuata attorno alle metà degli anni 70 e poi è stata corretta dai successori di Hofstede. Il
suo studio ha coinvolto 72 paesi.
- Vi è un range di punteggi che va fino a 120; 120 è il massimo livello di individualismo e a scalare man
mano che i valori sono più bassi abbiamo una forma di collettivismo. Le parti bianche non sono state
coinvolte nella ricerca.
- Le parti rosse/arancio denotano un marcato senso di individualismo. Il verde accentuato è un alto
collettivismo e un minimo individualismo, mentre il rosso accentuato è un alto individualismo e un minimo
collettivismo.
- È interessante notare che i paesi maggiormente individualistici sono gli Stati Uniti e il Regno Unito; con
una gradazione leggermente più tenue il Canada e l’Australia.
- L’Europa è abbastanza individualista, con delle variazioni. L’Italia è un paese con un indice piuttosto alto di
individualismo.
- L’Asia, alcune parti dell’Africa, il Sud-Africa, la Russia sono Paesi piuttosto collettivisti.
- Lo Stato maggiormente collettivista è la Cina.
- Tracce di collettivismo forti vi sono in America Latina e Brasile.
- Verdi sono anche il Pakistan e il Bangladesh, divisi dall’India che è giallo ma sicuramente non
individualista.
- La penisola endocinese ha un verde piuttosto acceso.
- Anche lo Stato Islamico è molto collettivista.
In genere l’impronta individualista è molto più diffusa nei Paesi protestanti piuttosto che in quelli cattolici.
Infatti la Spagna e il Portogallo non sono molto rossi, mentre il Nord-Europa è piuttosto individualista.
Ogni cultura non è monolitica quindi vi sono sempre enormi differenziazioni.
L’individualismo è stato osservato soprattutto nelle società più ricche e urbanizzate, nelle classi più elevate,
nei liberi professionisti. Invece fra le popolazioni non alfabetizzate, l’individualismo si trova soprattutto fra i
popoli di cacciatori e coltivatori. Il collettivismo è ritrovabile nelle società agricole, nelle classi socio-
economiche più modeste e le nazioni più densamente popolate.
Hofstede fu molto chiaro nell'affermare che le dimensioni dei valori culturali individuate possono essere
applicate solo alle culture nazionali, a comunità molto estese, non ai singoli individui. Ci sono stati altri
modelli e orientamento fra cui quello di Schwarz.
Per quanto siano ancora in voga la sindrome ideocentrica (individualista) aleocentrica (colletivista) sono
state oggetto di osservazioni critiche perché basate su una logica abbastanza panculturale che riduce le
differenze ad un binomio.
Individualismo e collettivismo coesistono nella stessa cultura a seconda delle diverse regioni, professioni,
istituzioni; per questo vi è stata una prosecuzione di studi in questo campo.
Cosa distingue lingua e società
La definizione di cultura che è stata adottata dalla sociologia ha delle implicazioni soprattutto riguardo a ciò
che il termine cultura non designa, non rappresenta.
La cultura non comprende comportamenti istituzionali o non istituzionali anche se può ordinare gli
andamenti di questi ultimi. Accorpare i comportamenti istituzionali o non e considerarli costitutivi della
cultura avrebbe avuto come conseguenza fare della sociologia della cultura una disciplina co-estensiva con
l’intera sociologia.
In genere società è cultura in antropologia designano un tutt’uno in sociologia no.
In sociologia la cultura comprende idee, concetti, proposizioni che riguardano le relazioni sociali ma non si
sovrappone a ciò che questi rappresentano perché le azioni sociali hanno caratteri dominanti di natura
culturale e non. Alcune istituzioni sono in superficie rispetto alla cultura che è in profondità.Per questa
ragione non basta osservare i comportamenti manifesti. Mentre la cultura fa riferimento a proposizioni sulla
natura, sull’uomo, la società in quanto tale fa riferimento alla struttura delle relazioni sociali (dai piccoli
gruppi ai grandi gruppi).
Per quanto si riconosca una relativa autonomia della cultura vi è comunque influenza reciproca; Durkheim e
Weber sono i principali interpreti di due filoni classici che sono intesi come portatori di concezioni opposte.
Non è però così semplice. Durkheim avrebbe teorizzato la stretta determinazione sociale dei fenomeni
culturali, Weber invece avrebbe elaborato il senso opposto del rapporto, ovvero il ruolo dei fattori culturali e
ideologici del comportamento sociale.
L’enfasi che ognuno dei due autori mette su un lato del rapporto; cultura Weber, società Durkheim non
semplifica l’importanza che viene conferita all’altro lato.
Nei lavori di Durkheim le rappresentazioni collettive dipendono da come è strutturata la società ma regolano
e orientano i rapporti sociali. A Durkheim sono state mosse critiche per non aver chiarito la genesi sociale.
Per Weber i valori e l’etica indirizzano l’azione sociale ma sono considerati in rapporto alla loro affinità con i
gruppi sociali che se ne fanno portatori. Durkheim da’ una certa importanza alle relazioni collettive di natura
sociale, mentre Weber da’ alle idee e al lato intellettuale un ruolo di motore delle azioni sociali (es.
capitalismo che nasce da concezioni religiose).
Valori, norme simboli hanno un senso che non necessariamente è espresso in maniera conscia. Il livello
inconscio è importante quanto quello conscio della cultura poiché è attraverso i significati inconsci dei
simboli che la cultura si connette al mondo interno delle persone.
Quando noi parliamo di simbolo, questo qualcosa che sta per qualcos’altro spesso lo diamo per scontato
senza fare ragionamenti particolarmente elaborati. La componente inconscia permette alla cultura di
funzionare.
A Max Weber dobbiamo il fatto che i sociologi si sono resi conto di quanto sia importante prestare attenzione
al significato anche delle azioni sociali. Weber, ci ha trasmesso che la cultura è ciò che conferisce significato
all’azione umana che è qualcosa di soggettivamente motivato (significato).
Weber intende dire che è tipico e essenziale nell’uomo dare un ordine ad un mondo non solo complesso ma
anche caotico, incognito, oscuro. Cerca di far capire che la necessità di dare senso al mondo e selezionarne
una parte è una caratteristica degli esseri umani in quanto tali (la ricerca di ordine). Siamo esseri culturali
dotati della capacità e volontà di assumere consapevolmente posizione nei confronti del mondo, quindi
attribuirgli un senso.
Molti studiosi hanno elaborato l’idea che la cultura e la sua funzione consista principalmente nel dare senso
alle azioni e un ordine alle nostre esperienze, costituendo una sorta di bussola del comportamento.
Clifford Geerz paragona il ruolo della cultura (come Hofstede) a quello del software di un computer. Geerz
dice che la cultura è vista meglio non come un insieme di modelli concreti di comportamento ma come una
serie di meccanismi di controllo, progetti, regole, prescrizioni, istruzioni per orientare il comportamento.
Perché ci serve una bussola per orientarci?
• Sociologi e antropologi, basandosi su studi biologici riguardanti la posizione dell’uomo, sostengono
la tesi che l’ordine culturale sia la risposta ad una particolare carenza dell’organizzazione istintuale
dell’uomo in rapporto a quella degli altri mammiferi superiori.
• Negli animali i comportamenti strutturati fanno parte di una dotazione genetica, le conoscenze sono
impresse nei loro geni. Questo non accade nell’uomo.
• Con l'esigenza della cultura si è verificata una regressione degli istinti a qualcosa di diverso.
• Gli etologi e gli scienziati hanno scoperto che alcuni comportamenti negli animali sono appresi, ma
la maggior parte rimangono agganciati ad una concezione istintuale, che non è qualcosa di primitivo.
Il comportamento umano sembra in gran parte esente dal controllo genetico. La socio-biologia ha tentato una
sua strada ma non è più considerata una prospettiva da tenere in considerazione.
Vi è un’enorme varietà delle risposte che gli uomini hanno offerto per vivere nell’ambiente e sembrano non
solo imputabili alla questione biologica.
Berger e Luckmann nel solco dell’antropologia filosofica hanno definito l’essere umano come animale non
definito, manchevole, caratterizzato da un’organizzazione istintuale che lo rende molto vulnerabile. Gli
fornisce però un’apertura cognitiva e culturale di fronte al mondo. In completo nel suo corredo istintuale-
primitivo l’uomo è rinviato per costituzione a crearsi un’oggettivazione, una struttura nel mondo e ad auto-
porsi dei vincoli normativi e sociali. Quindi la costruzione di un ordine culturale-simbolico sembrerebbe
promanare dalla necessità di compensazione, dal bisogno di fornire alla vita umana quelle strutture che
biologicamente sono carenti.
Durkheim sembra avvalorare la forza della società rispetto alla cultura, Max Weber sembra avvalorare i moti
espressivi e i pensieri rispetto alla società.
L’uomo è un animale che secondo alcuni autori ha una manchevolezza e una costruzione biologica precaria
che ha bisogno di una guida. L’uomo con l’evolversi sembra aver avuto una regressione degli istinti (basta
pensare allo scarso udito, alla poca prestanza fisica, un olfatto praticamente ridotto a zero.
Se è stato definito un animale manchevole l’uomo ne è caratterizzato, diventando un unico incompleto ma
capace di costrutti e costruzioni concettuali che poi si trasformano in opere materiali, escamotage, soluzioni
per compensare un’istintualità molto bassa.
Le azioni umane fanno parte dell’aspetto pratico relazionale, concetti, idee ma anche etica.
Weber avvalora molto il significato soprattutto nelle azioni, l’uomo ha bisogno di ritrovare nelle sue azioni in
modo da poi riconoscere negli altri a sua volta una motivazione.
La cultura ci guida, le azioni devono essere guidate da qualcosa di più solido, di condiviso, da valori e punti
di riferimento.
I simboli fanno parte della cultura, noi non viviamo senza simboli. Essi permettono un’interazione integrata.
Il simbolo permette quindi una vita ordinata.
La società è la realizzazione pratica della guida culturale che avviene tramite istituzioni/strutture
formalizzate che sono concrete, sociali, politiche, l’economia pubblica, il privato. Può includere comunità
religiose, politiche, gruppi di conoscenze/amicizie, gruppi di sostegno. L’uomo tende ad aggregarsi sulla
base di idee simili.
Il cambiamento della società nella visione culturale d’insieme è molto lento.
La cultura riguarda l’ambito più propriamente espressivo. Anche idee e proposizioni astratte. L’ambito è
molto più espressivo che pratico. I comportamenti cambiano anche in modo molto repentino.
Legami tra cultura e società
Analisi dei legami tra cultura e società di Wendy Griswold (sociologia della cultura):
Diverse definizioni di cultura, dalla più restrittiva (l’arte) alla più ampia (la totalità dei prodotti materiali e
non materiali dell’umanità). La parola, il concetto, specialmente per come vengono impiegati nelle scienze
sociali assumono molte forme e quindi ogni discussione della cultura dovrebbe cominciare da una
discussione.
La cultura si riferisce al lato espressivo della vita umana; comportamenti, oggetti e idee viste come
esperimenti o rappresentanti di qualcos’altro. La cultura implicita è quella che noi assumiamo senza renderci
conto (proverbi, modi di dire, abitudini, superstizioni) mentre quella esplicita viene prodotta tramite
proposizioni esplicite.
Griswold si basa su Geerz e Weber, i quali assumono che la cultura implica il significato. Si può così parlare
di una comunità nella sua cultura: i suoi modelli di significato, i suoi aspetti espressivi durevoli, i simboli che
orientano il pensiero, il sentimento e il comportamento dei suoi membri. Si può parlare di una comunità nei
termini di una cultura oppure si può parlare di una comunità nei termini della sua struttura sociale (ad es. i
suoi modelli di relazioni fra membri, le sue istituzioni, i suoi fattori politici ed economici). La cultura di una
comunità influenza la sua struttura sociale e viceversa; le due cose sono interrelate e per conoscere la
comunità il sociologo le deve comprendere entrambe. Pag 25-26
Differenza fra cultura e società
L’Italia è stata una monarchia. Ci sono molte forme differenziate di organizzazione politica anche all’interno
di un continente che condivide lo stesso tipo di assetto culturale.
Ci sono delle differenze che possono essere fatte risalire alla cultura di una Nazione che è cambiata nel
tempo, ai valori di una nazione, a quello che sceglie. Per l’Italia troviamo che un cambiamento dei valori
produce dei cambiamenti istituzionali, come la forma di governo. L’Italia è stata chiamata ad un referendum
il 2 giugno 1946 che ha sancito il passaggio importantissimo da una forma politica monarchica ad una forma
repubblicana. A quel tempo Vittorio Emanuele III era ancora re e deteneva ancora il trono. Umberto II il suo
erede fu il cosiddetto re di maggio. L’Italia scelse la Repubblica.
Ci troviamo di fronte ad un cambiamento politico ma anche di cultura, di valori, di esigenze della
popolazione, che porta da un regime monarchico a uno repubblicano. La separazione di ambito e la
congiunzione, l’una determina l’altra.
Gli Stati Uniti non fanno parte di una cultura non occidentale ma ci sono diversità. Il 4 luglio 1776 si ebbe la
dichiarazione di indipendenza; essa venne iniziata da 13 colonie, portò ad una situazione di guerra. La
motivazione era molto pratica ma anche valoriale, ciò si vede nella costituzione degli Stati Uniti, con i suoi
valori. Le 13 colonie della Gran Bretagna costituivano delle risorse per la Corona Inglese e un peso fiscale
molto alto. Il tutto partì da una presa di posizione espressiva; le colonie non avevano una rappresentanza nel
parlamento inglese. Quindi il principio era “no taxation, no representation”; una dichiarazione di principio.
Questo portò alla Costituzione degli Stati uniti nel 1787. Le costituzioni rappresentano la cultura di una
Nazione perché nelle costituzioni sono riversati i valori di una Nazione. Che poi essi vengano rispettati è
un’altra cosa.
La costituzione degli Stati Uniti si ispira a dei principi illuministi; la libertà è totalmente devoluta
all’individuo e grande importanza viene data alla proprietà privata. I famosi 10 emendamenti costituiscono la
carta dei diritti e sono rimasti tali dal 1791. Vi è una profonda affermazione di libertà di culto e di stampa.
Una cultura ha anche una sua base di incoerenza (ad es. razzismo).
La Rivoluzione Francese porta una monarchia a diventare Repubblica nel 1799. I cambiamenti così drastici
non sono mai indolori. La Dichiarazione dell’Uomo e del Cittadino nel 1789, il periodo Napoleonico 1804-
1815 portano ad un’altalena di valori e di enormi problemi amministrativi, politici, bellici…
La riorganizzazione totale dello Stato può avere delle connessioni anche con dichiarazioni di principio.
La guerra civile spagnola ha portato a un periodo terribile per l’Europa. Si passa poi ad una normalizzazione,
ad una monarchia che tutt’ora perdura; nel 1969 Francisco Franco nomina suo successore Juan Carlos I e
quindi una monarchia parlamentare.
La storia serve anche a comprendere i fenomeni.
I valori di un popolo cambiano lentamente e radicalmente. In Italia nel maggio 1974 abbiamo il referendum
sul divorzio (vera e propria rivoluzione culturale). L’Italia non diventa laica ma sceglie la libertà, i valori
quindi sono cambiati radicalmente. Nel 1978 abbiamo il referendum sull’aborto. C’è un ulteriore
cambiamento di valori, si da’ maggiore importanza alla decisione della donna rispetto al senso della vita
dell’embrione.
La società riguarda l’organizzazione istituzionale della società, mentre la cultura ne rappresenta i principi
fondanti. La cultura è qualcosa di più lento e profondo rispetto ai cambiamenti di superficie.
Ad es. in Italia si sono susseguiti diversi partiti politici ma i valori della politica sono più lenti a modificarsi.
La religione come sistema culturale
La religione ha sempre avuto un ruolo privilegiato nel focus degli studiosi perché rappresenta un elemento
riscontrabile in tutti i popoli in tutti i tempi.
Quando valori, simboli e credenze sono chiusi in un sistema i cui elementi sono connessi gli uni agli altri, si
parla di una concezione del mondo. Le ideologie sono concezioni del mondo secolari, non religiose, che
fanno riferimento all’autorità della politica, della scienza ecc. Invece i valori, simboli e le credenze che si
riferiscono a esseri sovrannaturali sono religioni.
Il fenomeno religioso si declina come fenomeno storico, sociale, etnico e si distingue dai fenomeni che non
hanno natura religiosa.
I tratti distintivi della religione sono:
1. la presenza di una struttura di significati espressi, sia in dottrine e dogmi, sia in precetti e divieti e
anche in simboli; questo sistema culturale inserisce la natura umana in un ordine cosmico che ha i
caratteri della sacralità
2. ha un carattere pubblico acquisito; le religioni non possono essere scisse da una ritualità
La separazione dei due ambiti è fondamentale.
Rudolf Otto definisce il sacro qualcosa di assolutamente interdetto da ciò che è umano. Abbiamo due
dimensioni completamente diverse.
Le dottrine sono delle precezioni teoriche, spesso espresse in verità dogmatiche.
Le credenze si legano a norme che danno indicazioni pratiche su come i credenti devono agire.
Le norme possono essere morali e vietare alcuni comportamenti.
I simboli rappresentano oggetti dell’universo religioso (es. la croce). Anche la stessa parola Buddha nel
buddismo è un simbolo che rappresenta il perfetto maestro della religione buddista.
La religione connette il microcosmo umano al macrocosmo universale. Inoltre ha un carattere assolutamente
pubblico perché ci sono simboli esterni presenti nella cultura e acquisiti attraverso l’apprendimento di un
sistema di valori e idee che è trasmesso da una generazione all’altra in un certo gruppo sociale.
Robert Bellach ripercorre la varietà delle forme religiose. A lui si deve il concetto di religione civile, che usa
per descrivere le fondamenta culturali degli Stati Uniti, la cui identità è rappresentato e consolidato dalla
condivisione di una religione civile. Egli identifica un tipo primitivo di religione (es. Aborigeni australiani=
azione creatrice di demiurghi, di figure mitiche umane e non), un tipo arcaico (attribuito alle popolazioni
africano-polinesiane basato su dei), un tipo storico (che stabilisce la separazione fra naturale e
sovrannaturale), un tipo proto-moderno (rapporto diretto fra individuo e sovrannaturale), un tipo moderno
(che accentua la ricerca di un codice etico particolare).
La ricerca di Weber sulle religioni universali= esse non hanno una storia semplicemente locale ma
riguardano vastissimi territori e si estendono a molti popoli (Buddhismo, cristianesimo, ebraismo, islam).

Durkheim
Emile Durkheim ha esplorato le forme elementari della vita religiosa. Mette in relazione la società e la
cultura; sono le rappresentazioni collettive ad originare la società. Basilari sono le rappresentazioni e la
coscienza collettiva,
Le rappresentazioni collettive= sono credenze o modi di sentire comuni ai membri di una data società o
cultura. (risente molto dell’approccio antropologico che vede in sociologia e cultura un’unità)
Attraverso le rappresentazioni collettive la società influenza il pensiero individuale, la logica non è estratta.
Nelle forme elementari della vita religiosa, Durkheim analizza la religione a partire dalla contrapposizione
fra sacro e profano.
Il sacro secondo Durkheim= la potenza che si percepisce nella presenza sacra è la stessa che la società
esercita nei confronti dell’individuo. Le divinità o le forze magico-religiose sono onnipotenti e immortali e
trascendono la limitatezza delle singole persone. Tema portante dell’esperienza religiosa è la sovra-
individualità del collettivo. Ovvero nell’adorare ciò che è sacro, la funzione della religione è quella di
cementare la solidarietà sociale. Quando la comunità religiosa venera degli esseri sovra-terreni non fa altro
che venerare la società stessa. Es. il totem, nel quale si riconosce un antenato è la personificazione della
società/collettività stessa. Funzione della religione è cementare la società stessa. Es. le feste totemiche
australiane sono dominante da uno stato di effervescenza collettiva nel quale tutti gli individui sono uniti. Gli
individui quindi trascendono sé stessi inconsciamente. Allo stesso tempo vengono creati legami che azzerano
le distanze fra i membri, è come se tutti i credenti si fondessero in un essere unico.
La religione ha una funzione principale di integrazione societaria.
Malinowski
Malinowski conduce importanti ricerche nelle isole Trobriand, rafforzando il metodo etnografico e si
trasferisce con gli abitanti delle isole Trobriand per partecipare alle loro modalità e ai loro miti.
Egli fa una differenza fra funzioni manifeste (es. salvezza, benevolenza delle forze superiori) e latenti (di
creare una forma di fiducia per alleggerire la grande tensione emotiva dell’avventurarsi in mare + creare una
giustificazione alle incongruenze fra destino e metodo = teodicee).
Sistemi religiosi universali
L’uomo è sempre imperfetto e precario
Due concezioni dell’uomo:
1. Teo-centrismo
• tipico delle religioni monoteiste
• l’uomo è attivo nel realizzare le volontà di Dio, è uno strumento
• Dio personale e trascendente
• l’idea di peccato è basilare (tranne nell’Islam), la violazione implica il ripudio (Adamo ed Eva)
• personalità attiva che agisce
• ricerca di stato di grazia
• vocazione universale, c’è la missione del convertire (non nell’ebraismo)
• concezione del tempo lineare, c’è un mondo terreno e uno ultraterreno (percorso mono-direzionale)
2. Cosmo-centrismo
• il divino è ovunque, non è una persona
• l’uomo è assorbito nella perfezione dell’universo
• divinità impersonale, non vi è un dialogo, il carattere è più intellettuale che cognitivo
• la divinità è immanente
• idea di peccato totalmente assente
• l’uomo è transeunte e il suo scopo è comprendere la divinità e ricongiungersi con essa (es. rinascita),
l’obiettivo è liberarsi dagli affanni del mondo ed intraprendere un cammino proprio
• non contempla una personalità attiva ma contemplativa; l’uomo deve accettare la propria sorte
• stato di illuminazione e conoscenza verso la propria liberazione e salvezza; vocazione intellettuale ed
elitaria
• vi è una ciclicità cosmica infinita, l’universo prima o poi torna al punto di partenza
Nell’Induismo abbiamo la trimurti costituita da Darma (dio creatore), Visnu (divinità del mantenimento),
Shiva (dio distruttore). Il Kalpa è un ciclo cosmico che corrisponde ad un giorno di Brama. Lo Yuga è un’era.
Alla fine di ogni 100 anni di Brama vi è la distruzione totale dell’universo alla cui fine il dio Brama rinasce e
riapre il ciclo. Abbiamo varie età fra cui quella del ferro, che è l’età peggiore. La nostra epoca è quella del
Kaliyuga (l’età del ferro).
Il credente nel calvinismo non sa se può essere salvato o no; quindi considera il lavoro come vocazione e
tenta di trarre dal lavoro e dai suoi successi; cerca di interpretare il favore di Dio. L’accumulo di ricchezze e
lo sperpero sono esclusi. I successi economici sono reinvestiti per andare avanti con questo motore di
crescita. L’imprenditore calvinista è molto frugale, non gode dei suoi profitti e allarga la cerchia di persone
con cui fa affari.
Il mondo orientale, secondo Weber, è molto attaccato al mondo familiare. La persona deve essere conosciuta
molto bene e non si fanno affari con estranei; ciò blocca il moto del capitalismo.
Cultura e comunicazione
La comunicazione interpersonale= nel momento in cui comunichiamo ci comprendiamo ad un livello più o
meno accettabile ma mai fino in fondo. Ecco perché la relazione ha sempre dei margini incogniti e non
possiamo incorporare i pensieri dell’altro tramite il linguaggio. Non tutti inoltre padroneggiano il linguaggio
allo stesso modo.
Edward Hall= la comunicazione (soprattutto non verbale) è il cuore della cultura.
La cultura non sopravvive se non è comunicata. Si tratta di un insieme di segni scritti, di natura non verbale
che si esprime in pratiche comunicative che vengono comunicati e trasmessi di generazione in generazione.
La comunicazione da’ visibilità alla cultura. Vi è però anche una parte implicita della cultura (proverbi ecc.).
La cultura sopravvive grazie all’apprendimento della lingua ma la società ha dei modelli che vengono diffusi,
interiorizzati come convenienti e trasmissibili. La cultura è fatta quindi di modelli ritenuti appropriati.
Nella trasmissione comunicativa la cultura non è mai pura ma subisce continue modificazioni e
contaminazioni. La cultura è qualcosa di morfo-genetico.
Evoluzione storica e culturale dei sistemi di comunicazione
La comunicazione di massa (un emittente, più riceventi) è una cosa estremamente antica. Le prime
comunicazioni di massa erano massicce nell’antichità. C’erano cerimonie religiose, feste, processioni,
mercati, esecuzioni, circhi ecc.
Le prime comunicazioni avevano la caratteristica che, per partecipare a queste cerimonie e dichiarazioni
pubbliche, era necessaria la compresenza fisica e che le persone e il pubblico fossero presenti nel momento
in cui l’emittente comunicava qualche cosa.
L’oralità dominava sulla scrittura, l’udito sulla vita. Erano culture non alfabetizzate. Predominava il parlato
che comunicava e l’udito che riceveva. La parola pronunciata e quella recepita dovevano avvenire in un
contesto di compresenza fisica.
Le culture orali non sono quelle che non conoscono la scrittura ma che come medium principale hanno
parola orale ed udito.
La circolarità= la cultura orale deve avere uno spazio circolare perché la parola si diffonde in uno spazio
sferico, ha un limite. È per questo che è necessaria la compresenza fisica. La cultura orale domina l’umanità
fino ad una data simbolica spartiacque.
Nelle culture orali solo pochi sapevano scrivere, il tutto veniva dominato dalla parola, dai discorsi di piazza.
Uno spazio culturale aperto che era rumorosissimo. La scrittura era invece qualcosa di chiuso, segregato
nelle biblioteche o a livello sociale di persone che avevano una certa padronanza.
Il fatto che ci sia la necessaria compresenza dell’emittente e dei fruitori deriva da una proprietà fondamentale
della parola orale. La parola orale si dice evanescente, ovvero si volatilizza nel momento in cui è
pronunciata. Vi è una quasi simultaneità fra ciò che viene emesso e ciò che viene ricevuto.
Lo spartiacque simbolico è la scrittura che piano piano prende piede e diventa nei secoli qualcosa che
contagia le masse.
Gli effetti della scrittura sono:
• de-collettivizza/de-tribalizza (Mc Luhan)= fa emergere una coscienza individuale perché è
consumata in solitudine, in privato, è qualcosa di riflessivo (le prime letture erano una forma di
ibrido, una persona leggeva e gli altri ascoltavano= forma di oralità applicata attraverso la scrittura)
• la scrittura agisce sulla cornice cognitiva delle persone, sottolinea l'individualità
• si ha anche un cambio di privilegio dei sensi; da un privilegio dell’udito a un privilegio della vista
• privilegio della linearità sulla circolarità, poiché non vi è più compresenza fisica (ogni scrittura è
lineare)
• gli occhiali sono il simbolo dell’importanza della vista
La parola scritta è cristallizzata in un supporto fisico, ovvero rimane una traccia. Non vi è rapporto fra lettore
e scrittore. Vi è minor relazione, se non totale assenza di relazione nelle figure alfabetiche. Dall’oralità alla
scrittura abbiamo un processo di astrazione maggiore.
Il medium orale non è stato sostituito totalmente ma nel caso delle culture orali si parla di oralità primaria
(tutto vive e si sostiene a partire dall’oralità), non c’è bisogno di saper scrivere e leggere. Nella scrittura
invece servono delle capacità di decodifica. Noi possediamo quindi un’oralità secondaria.
Gutenberg nel 1450 è l’inventore della stampa a caratteri mobili. Nel 1455 abbiamo la bibbia delle 42 linee.
La stampa è un amplificatore della scrittura.
Le seguenti comunicazioni di massa sono:
• riproducibilità tecnica e serialità = l’opera d’arte quando viene riprodotta in modo seriale perde la
sua aurea artistica
• rapporto pubblico/privato= rapporto sempre più staccato, le culture alfabetiche sono sempre più
private (es. telefono)
• sempre maggiore personalizzazione e miniaturizzazione delle apparecchiature elettroniche di
comunicazione (la memoria si amplifica, il mezzo si riduce di dimensione)
Astrazione e linearità
La scrittura è qualcosa che si costituisce tramite un insieme organizzato di segni e simboli.
La scrittura ha inizio in Mesopotamia, in una regione del Medio Oriente dal Golfo Persico a Bagdad. Tra il
VI e il I millennio a.C. è diviso fra Sumeri e Accadi. Sono state ritrovate le tavolette di Uruk che
rappresentano una sorta di registro contabile del tempio Uruk. Queste tavolette, pure registrazioni di conti,
risalgono al IV millennio a.C. e sono una delle più antiche tracce di scrittura.
Sono state rinvenute anche altre tavolette con altre forme di scrittura che rappresentano delle forme di
disegni semplificati. Rappresentano dei disegni molto stilizzati per attestare come l’evoluzione della scrittura
va da una rappresentazione figurativa (pittogramma) che diventa poi ideogrammi (maggiore astrazione) e poi
scrittura fonetica (ogni segno rappresenta un suono).
Combinando fra loro i diversi pittogrammi si può formare un’idea. Ci sono circa 1500 pittogrammi primitivi
individuati dagli studiosi. Nel tempo i segni si modificano e diventano sempre più astratti e perdono la loro
analogia con il referente fisico.
Verso il 2900 a.C. i pittogrammi primitivi tendono a sparire. In quella regione vi è abbondanza di argilla e
canne. All’inizio quindi vengono utilizzate tavolette d’argilla e si incide con lo stilo sull’argilla fresca.
Scrittura cuneiforme =chiodo (poiché i segni hanno questa forma).
La Cina 2000 anni fa inventa una scrittura. Nasce verso il II millennio a.C. e strutturata in un sistema
coerente fra il 200 a.C. e 200 d.C.
Tutti i popoli antichi attribuiscono ad una scrittura una nascita divina, è legata alla magia e alla religione. La
parola ha un ordine magico e dev’essere pronunciata perché si esplichi.
I pittogrammi orientali da una maggiore concretezza prendono un’astrazione sempre maggiore.
La scrittura cuneiforme può trascrivere sia parole intere che sillabe. La capacità di leggere e scrivere implica
avere una vasta memoria. Per questo vi è una casta ristretta che possiede questa capacità.
L’invenzione dell’alfabeto, corrisponde all’esigenza di alleggerire la memoria e rendere la scrittura più
accessibile a tutti.
Gli alfabeti fenici sono letti da destra verso sinistra e rappresentano solo consonanti.
I greci, che hanno già un sistema scritturale, decidono di trascrivere le vocali e di inserirle. L’introduzione
delle vocali rende continua una striscia alfabetica, nasce la scrittura vocale. Ogni segno equivale ad un
suono. I segni quindi si riducono drasticamente e si rende quindi molto più semplice la lettura e la scrittura.
Semplicemente leggendo e scrivendo tramite combinazione e ricombinazione di suoni.
Con l’introduzione delle vocali da parte dei Greci, cambia la direzione della scrittura, per un fatto di
decodifica dei sitemi cerebrali.
Alcune scritture oggi presentano il carattere dell’ideogramma e del pittogramma e sono molto complesse.
Gutenberg
Gutenberg nasce nel 1397 e muore nel 1468; si stabilisce a Magonza nel 48. Per la sua invenzione ottiene
cospicui finanziamenti da un banchiere (Fiust) ma si trova nell’impossibilità di rimborsarlo. Nel 1457 appare
la prima opera del tipografo è Fiust e Gutenberg muore nel 68 in miseria.
Gutenberg inventa la stampa a caratteri mobili; la messa appunto e la rifinitura della stampa è un processo
lento e legato a tutta una serie di invenzioni tecniche.
I cinesi stessi conoscono i caratteri mobili da secoli e vengono usati non soltanto per la funzione deputata ma
anche per la carta e il tessuto.
All’inizio del 1400 vengono impresse su legno delle lettere insieme a delle immagini di santi e scene di
natura biblica. Queste stampe vengono ottenute sfregando il verso di un foglio applicato sul legno.
Gutenberg è il primo ad utilizzare questo metodo per meccanizzare e cerare una sorta di catena di montaggio
per il processo di stampa.
Non si sa con precisione se Gutenberg abbia impresso per intero la bibbia latina. È la bibbia delle trentasei
linee.
Incunabili= libri stampati prima del 1500.
La possibilità di stampare un numero alto di esemplari ha delle importanti ripercussioni sulla riforma e sul
successo della riforma luterana a partire dal 1517 con l’affissione delle tesi.
Centralità della comunicazione interculturale
La comunicazione interculturale approda come campo di studi dopo la fine della seconda guerra mondiale. I
leader a quel tempo sono al comando. Gli Stati Uniti avviano tutti una serie di contatti, di cure sanitarie in
altri Paesi. Questi contatti col tempo non hanno un buon esito.
Da tutta una serie di contatti con altre nazioni dotate di culture diverse, gli emissari diplomatici non si
trovano ben preparati nei confronti delle culture con cui interagiscono.
Nel 1946 il Congresso degli Stati Uniti approva il Foreign Service Act che stabilisce la costituzione dell’FSI
(Foreign Service Institute) all’interno del dipartimento di Stato per provvedere alla formazione del personale.
Incaricati sono quindi antropologi, come Hall, ma linguisti. Molti linguisti provengono da un programma di
preparazione dell’esercito. Molti docenti sono madrelingua e quindi conoscono il contesto culturale dei loro
paesi e le sfumature degli elementi non verbali (capaci di generare equivoci insanabili).
Edward Hall
Edward Hall è uno degli antropologi dello staff, viene influenzato dalla psicanalisi Freudiana e dalla
dimensione dell’inconscio che opera un radicale rovesciamento di prospettiva, facendo risaltare gli aspetti
micro-culturali. Fa parte del Foreign Service Institute. Il suo volume Il linguaggio silenzioso è uno dei
documenti fondativi di questa nuova disciplina. Il grande contributo di Hall alla definizione organica della
nuova disciplina comprende un approccio comparativo rispetto a culture diverse, una prospettiva micro-
sociologica, attenta non tanto alle grandi teorie ma alle relazioni di soggetti che hanno una diversa
provenienza culturale in situazioni relazionali specifiche. Un’attenzione particolare ai bisogni e agli obiettivi
degli interlocutori.
Vi è una grande interdisciplinarità di analisi che collega l’antropologia e lo studio della comunicazione,
congiungendole anche a matrici di dimensione psicologica.
Idea di comunicazione come comportamento organizzato da regole che consente all’osservatore esterno di
rilevare dei modelli che si ripetono e quindi di operare degli schemi di lettura.
Riconoscere l’importanza degli elementi non verbali rispetto alla trasversalità delle culture.
La costruzione di una metodologia e di un lessico specialistico.
L’università di Chicago
L’università di Chicago è la sede del primo dipartimento di sociologia degli USA, fondato nel 1892.
Essa avvia lo studio della diversità culturale e della devianza sociale nelle metropoli.
Lo studio di William Thomas e Florian Znaniecki nel 1920 inaugura un filone molto importante.
Tra 1800 e 1900 la riflessione sulla comunicazione interculturale nasce senza la consapevolezza di creare un
nuovo ambito.
L’arrivo di immigrati negli USA rompe l’omogeneità della composizione del paese d’origine. Le industre
reclamano forze umane e richiedono emigrazioni dalle zone rurali e più depresse fuori dalla nazione.
Introno agli anni 20, l’attività di ricerca è già consolidata. Una ricerca sugli immigrati polacchi viene
condotta con un metodo etnografico (raccolta interviste, dialoghi ecc.) che mette in evidenza come la cultura
di provenienza faccia da filtro verso il contesto d’arrivo. L’immigrato lascia il suo paese d’origine per
approdare in un Paese di cui non conosce la cultura. La seconda generazione di immigrati viene accolta dalla
prima, già stabilitasi nel luogo, tentando di ricreare la cultura d’origine (polacca in questo caso).
Lo studio di una cultura dev’essere specificato. Innanzitutto si può dire che l’iterculturalità è essa stessa
culturale poiché non è separabile dalla cultura. È strategica dato che ciascuno accoglie la cultura dell’altro in
riferimento alla propria base culturale con una prospettiva comparativa di tipo etnocentrico.
L’interculturalità è molto importante ma se da una parte rappresenta apertura, dall’altra, se certe culture si
pensano come superiori e pensano che le altre debbano omologarsi utilizzano degli strumenti.
Studiare un’altra cultura può avere anche un obiettivo non edificante; conoscere l’altro significa anche
conoscere gli aspetti più deboli e poterlo anche soggiogare, umiliare. Ad esempio nei rapporti fra USA e
Giappone, l'imperatore viene simbolicamente destituito come figura.
Elementi della comunicazione interpersonale
Emittente= colui che invia un messaggio.
Il destinatario= colui che riceve il messaggio.
Il messaggio= ciò che viene veicolato.
Canale o mezzo= ciò che veicola, che permette la trasmissione fra emittente e destinatario.
Codice= ciò che ci permette di decifrare quello che ci viene trasmesso.
Contesto= influenza la comunicazione, rappresenta le coordinate spazio-temporali in cui avviene la
comunicazione.
La comunicazione non verbale non è qualcosa che viene appreso in modo tecnico ma è qualcosa che si
apprende in modo inconsapevole e inconscio dall’ambiente e dalle persone che abitano il nostro ambiente.
Ciò richiede un’immersione nella cultura altra molto complessa.
Per comunicazione interpersonale si intende una comunicazione face to face che caratterizza la nostra vita
nei diversi contesti sociali e di ruolo. Essa si riferisce maggiormente alla compresenza fisica anche se la
comunicazione può essere anche mediata da strumenti, per esempio tramite il telefono, il computer ecc.
Quando vediamo una persona come parla (tono e tipo di voce ecc.) ci facciamo delle idee, delle congetture.
L'abbigliamento e il modo di muoversi crea già in noi un’opinione che è una sorta di pre-giudizio ma ciò fa
parte dell’impressione. L’impressione è ciò che sentiamo quando entriamo in contatto con una persona.
La sensazione a pelle= la pelle è un organo del sistema nervoso ed è qualche cosa che divide il noi da ciò che
è l’ambiente. È un qualche cosa che capta, registra e funge da confine anche comunicativo. Divide l’io da
tutto ciò che è il non-io.
Nella comunicazione interpersonale rimangono in gioco due livelli:
1. livello della comunicazione verbale (cosa diciamo): è di tipo simbolico-convenzionale, ha una sua
grammatica, semantica, sintassi / il comportamento linguistico consiste nella riproduzione di per
mezzo dell’apparato vocale di suoni che sono organizzati e istituzionalizzati in modelli / esige la
presenza di un codice e di un’intenzionalità comunicativa / media, trasmette i contenuti, anche se
ovviamente le scelte delle parole e del modo di rivolgersi sono caratteristiche del tipo di situazione
comunicativa e dei ruoli/status
2. livello di comunicazione non verbale: viene detta analogica perché presenta una forma di analogia
con il contenuto che comunica (es. l’intensità di un grido è proporzionale al dolore, alla paura
provati) / le azioni possono essere mimate in analogia gesto che si vuole spiegare
Paul sostiene che quello che le persone fanno è spesso più importante di quello che dicono.
Hall si dice che sia stato influenzato da Freud, la comunicazione non verbale è quindi il luogo dove si
manifesta il cosiddetto inconscio culturale (come Freud aveva sostenuto l’inconscio personale). La cultura
controlla il comportamento in modo molto profondo e persistente per lo più al di fuori da controllo
consapevole delle persone.
La comunicazione non verbale può anche trasmettere contenuti scelti, ad es. l'immagine di sé che si vuole
dare all’altro (es. presentarsi ad un colloquio di lavoro con certi abiti). La relazione può essere anche
asimmetrica (es. saluto di un soldato al suo sottoposto).
Sapir definisce la comunicazione non verbale come codice non elaborato non scritto, non conosciuto ma
compreso da tutti. Comprende tutta una serie di dinamiche, modalità di dare forme al discorso e anche
elementi non verbali che non riguardano la voce, la gestione dello spazio e del territori e la gestione del
tempo (cronemica).
Ci sono due tipi di canali:
1. il canale uditivo (nel caso della voce l’aria)
2. il canale visivo (comunicazione non verbale)
In una conversazione telefonica il canale è il filo che unisce i due interlocutori.
McLuhan sostiene che tutti gli strumenti tecnologici di comunicazione sono estensione dei nostri sensi (che
hanno un raggio limitato.
Tante cose interferiscono nella comunicazione tramite il contesto. Il contesto può essere appropriato o non
appropriato ad un’interazione di un certo tipo. L’ambiente proietta su di noi tutta una serie di stimoli che il
nostro cervello registra in modo inconsapevole.
Tipologie di codici
I codici sono un insieme di segni riconoscibili e che permettono di accedere a qualche cosa. Questi segni
sono combinati e ricombinati.
Codici possono essere anche insiemi di regole non numeriche ma che designano un insieme di regole che
vanno rispettate. (es. codice giuridico / codice della strada /codice di galateo).
I codici presentativi presentano la persona, come essa si pone fisicamente (es. come la persona si agghinda).
Come noi ci presentiamo diamo anche delle informazioni che possono essere recepite o no.
Codici socio-culturali (es. saluti, etica, galateo) riguardano una collettività, un sentire comune,
un’approvazione comune. Ci sono modalità e rituali che fanno arte di protocolli e codici socio-culturali
anche se non sono formali/sanzionati.
C’è dicotomia fra norme giuridiche e norme sociali.
Ci sono codici rappresentativi (es. il pentagramma, le note, p greco) perché rappresentano il mondo. Sono
linguistici, logici, estetici.
Alfabeto vocalico e consonantico= è la ri-combinazione di questi pochi segni che producono significati
diversi (es. posta/pasto rito/tiro).
Codici analogici e digitali
Codice analogico= è concreto, continuo, “naturale”, simultaneo e riguarda l’oralità e la comunicazione di
tipo non verbale (orologio, telefono a disco). È in analogia con qualcosa di concreto.
Codice digitale= è astratto, discontinuo, arbitrario e opera per momenti successivi (non in sincrono). Es. la
scrittura, la numerazione e i simboli arbitrari.
Tachimetro= è un ibrido tra il codice analogico e digitale; il codice numerico digitale nelle tacche e nella
numerazione ma vi è una modalità analogica nella barra che si muove di continuo.
Orologio analogico= si basa su porzioni di spazio che vengono ripercorse continuamente. Non c’è uno scatto.
Il digitale è qualcosa di discontinuo (meridiana, clessidra).
Tra analogico e digitale vi è continuità poiché il digitale deriva dall’analogico e l’analogico ha bisogno del
digitale per significare. L’analogico è il codice primario.
Comunicazione verbale e non verbale
Comunicazione verbale= è simbolica convenzionale (dice dell’esterno), scambia il cosa.
Comunicazione non verbale= è concreta (mimare un gesto, l’urlo) e comunica il tipo di relazione, scambia il
come.
Canali della comunicazione non verbale
Canale vocale extra-linguistico: Fattori anatomici permanenti o semi-permanenti (voce, timbro).
Canale vocale para-linguistico= riguarda la voce ma fa parte della comunicazione non verbale, poiché dice
“come”. È fatto di una serie di proprietà acustiche transitorie (pause vuote come il silenzio, pause vuote
ovvero vocalizzazioni per prendere tempo, enfasi, ripetizioni, toni ascendenti e discendenti, riflessi,
caratterizzatori vocali).
Senza la para-linguistica noi non cattureremmo l’attenzione del nostro uditorio. Quindi nonostante essa sia
piena di “errori” permette il mantenimento di un contatto con chi ascolta.
Canale visivo:
- cinesica (dinamica delle comunicazione non verbale) (mimica facciale con area frontale, mediana,
inferiore, il sorriso…)
- sguardo, contatto oculare
- i gesti (gesti simbolici o emblemi molto semplici) (illustratori o iconici= usati quando facciamo un
discorso, disegniamo nell’aria quello che stiamo dicendo) (regolatori dell’interazione= sopracciglia e
movimenti del capo, per disciplinare il discorso) (gesti emotivi= di rabbia, sentimento, contrattura del volto,
pugno chiuso) (di adattamento= per evitare lo stress anche minimo nelle interazioni, toccarsi i capelli,
mangiarsi le unghie…)
- la postura= riguarda tutto il corpo, non ci dice tanto il tipo di sensazione provata ma l’intensità di ciò che
proviamo, è molto difficile da controllare)
- l’area prossemica e aptica (gestione dello spazio e della distanza fra le persone)
Funzioni della comunicazione non verbale
Funzione prosodica= è essenziale; quando si parla si gesticola, quando un parlante è immobilizzato il suo
parlato è messo in difficoltà. È stato ipotizzato che a livello cerebrale, l’aspetto linguistico e gestuale siano
generati da un processo analogo o interlocutorio. Questa funzione conferma, enfatizza con l’uso dei gesti e
dell’espressione il parlato.
La comunicazione non verbale serve a sottolineare e enfatizzare la verbalità, che non comunica il come ma il
cosa.
Funzione espressiva= esprime attraverso abbigliamento, postura, tono di voce. Fornisce delle forme di ciò
che noi sentiamo all’interno.
Funzione relazionale= in un contesto faccia a faccia. Il buon comunicatore è colui che riesca a rendere non
contraddittorio il rapporto il cosa dice e il come lo dice; riesce a sovrapporre in modo coerente il parlato e
l’agito.
Visto che siamo prima visti e poi sentiti ci sentiamo rassicurati da questa forma di armonia e ci concentriamo
su quello che il parlante ha da dire. Se c’è invece una forma di contraddizione tra il comportamento non
verbale e la verbalità, l’ascoltatore è portato a concentrarsi sulla non verbalità, tralasciando il contenuto
verbale.
Funzione metacomunicativa= comunicazione su un’altra comunicazione. Fornisce indicazioni supplementari
su una precedente comunicazione, specificandola. È quello ad esempio di una persona che dice una cosa
ironica e ce lo fa capire tramite l’occhiolino. Il come diciamo una cosa ci da’ il senso della frase.
Ragioni della sua importanza:
• non può essere evitata (esplica e fa intendere il contenuto)
• generalmente è ritenuta maggiormente efficace o affidabile (si può però in certi casi mentire in modo
convincente oppure contenersi in certi contesti)
• può essere fonte di profonde incomprensioni, soprattutto quando la comunicazione orale risulta
carente (ad es. in antropologia è importante formare riguardo la cultura del paese ospite, ovvero la
verbalità)
• particolarmente importante nelle situazioni di comunicazione interculturale
Comportamenti come offrire un cibo, apparecchiare la tavola, essere o meno puntuali, fare un cenno di
saluto, annuire con il capo, sono tutte forme di tipo non verbale.
Ci sono situazioni in cui la comunicazione non verbale detiene un rango superiore rispetto a quella verbale.
Ad esempio durante una cerimonia la gestione dello spazio, la postura dei partecipanti, la disposizione delle
persone secondo il prestigio sono tutti elementi importantissimi affinché l’evento approdi ad un esito
positivo.
In altre circostanze di intimità affettiva la dimensione della gestualità, del contatto, la vicinanza degli oggetti
l’emissione vocale ha un significato minore. Ad es. la mamma che coccola il neonato.
In una prospettiva interculturale gesti, colori, atteggiamenti hanno un significato entro un costrutto culturale
e ne possono avere uno diametralmente opposto in altri. Ad es. in alcuni paesi dell’Africa e dell’India
scuotere il capo significa affermazione. / La risata sommessa degli orientali esprime imbarazzo o collera che
si tenta di inibire. / Il rosso per l’abito nuziale è tradizionale in India.
Quando ci sono delle difficoltà linguistiche che ostacolano una comunicazione fluida, la comunicazione non
verbale acquista un valore decisivo. Per es. Noi accavalliamo le gambe e possiamo mostrare la suola della
scarpa all’interlocutore ma nel mondo Arabo è un insulto. / Il non tributare la dovuta importanza ad un
biglietto da visita dato da un interlocutore giapponese è visto come un gesto di estrema scortesia.
La mimica facciale
Il determinismo fisiognomico di Lombroso= le fattezze di una persona denotano la sua tendenza all’anti-
socialità. Questi studi sono stati disconosciuti.
La fisionomia ha una sua forza e valenza comunicativa che è ampiamente utilizzata in cartoni animati e
fumetti. Gli occhioni e la testa grandi suscitano tenerezza perché ricordano un cucciolo.
Il volto possiede un doppio livello comunicativo; la fisionomia dipende non solo dalle nostre fattezze fisiche
ma anche dalla sedimentazione delle nostre espressioni. Una sorta di abitudine corporea che si radica sul
nostro viso, attraverso rughe ecc. Nel tempo vi è una sedimentazione delle espressioni.
L’area frontale del volto nella cultura Occidentale è sempre stata considerata nobile perché sede del pensiero.
Aggrottare le sopracciglia invece è percepito in genere come segno di preoccupazione, scetticismo, dubbio.
La ruga fra le sopracciglia che tenta a diventare permanente tende a sedimentare la tensione. L’area mediana
degli occhi e del naso è molto espressiva, non tanto per il naso ma per gli occhi. Gli occhi non soltanto sono
espressivi in sé, ma anche e soprattutto per la loro capacità di stabilire un primo livello di contatto inter-
soggettivo.
Lo sguardo è reciproco e ciò ha in sé qualcosa di inquietante. Il contatto oculare tende ad essere più intenso
fra persone con un legame più stretto e a ribadire tramite questo contatto la propria relazione.
Attraverso lo sguardo sono anche poste in atto strategie relazionali (sguardo seduttivo, di sfida) o di
sottrazione della relazione (rifiutare lo sguardo, guardare in basso).
Anomalia prossemica= ci si trova ad una distanza ravvicinata ma si è quasi sconosciuti (es. persone in
ascensore).
Uno sguardo insistente può essere anche inappropriato.
In alcune culture gli occhi sono lo spirito dell’anima, in altri contesti uno sguardo è offensivo, inappropriato
o non rispettoso delle differenze, o percepito come qualcosa di provocante.,
Il sorriso è un segnale tipico dell’uomo, a livello filo-genetico costituisce una sorta di omologia con
l’espressione facciale delle scimmie che mostrano i denti in silenzio come atto di sottomissione o non
aggressione nei confronti dell’interlocutore (denti non usati per aggredire).
Il sorriso non è mono-semantico ma copre una gamma estesa di relazioni molto diverse fra loro.
Ekman e Friesen, tra i più grandi studiosi della comunicazione non verbale hanno individuato 19
configurazioni di sorriso.
Il cosiddetto ‘sorriso spontaneo’ (Douchenne, metà 1800) riguarda il volto intero e consiste nel sollevare gli
angoli della bocca verso l’alto, mostrare i denti e contrarre i muscoli orbicolari dell’occhio.
Il ‘sorriso simulato’ è un sorriso puramente sociale che consiste nell’attivare solo i muscoli degli zigomi
senza attivare quelli orbicolari.
Il ‘sorriso miserabile’ consiste nell’accettare qualcosa di spiacevole che comporta un prolungamento
dell’espressione nella zona inferiore del viso.
Il sorriso ha anche connessioni importanti con le emozioni però questo non è né necessario né sufficiente. Il
sorriso è strettamente congiunto con l’interazione sociale più che con uno stato d’animo. Il sorriso è
considerato un promotore dell’affinità relazionale. È anche una componente regolare dei saluti nella cultura
occidentale. Viene utilizzato anche nelle gaffe per togliere l’imbarazzo. Le donne in genere sorridono molto
di più degli uomini.
Problemi di comprensione: parziale, insufficiente, distorta
Il messaggio che noi emettiamo e la sua complessità non vengono mai decodificati integralmente. Ci basta
un livello sufficiente di comprensione e comunicazione.
Nei discorsi di una certa complessità è più difficile che il canale sia indisturbato, vengono capite alcune cose
ma non altre. Bisogna poi vedere se il non capito è essenziale alla comprensione del discorso o meno.
La comunicazione non è soltanto un passaggio di informazioni ma è quasi un incontro/scontro tra visioni del
mondo, personalità, valori e all’interno di coordinate socio-culturali diverse.
Per quanto lo scambio informativo sia centrale, il fatto che la comunicazione arrivi non è una cosa scontata,
non basta dire bene una cosa perché questa venga intesa dal destinatario nel mondo in cui l’emittente lo
intendeva. Anche se l’informazione viene correttamente compresa non è detto che raggiunga l’effetto voluto.
Fra l’emittente e il destinatario vi sono una serie di ostacoli e barriere psicologiche che impediscono la
corretta ricezione del messaggio.
Ogni messaggio trova ostacoli e deve attraversare filtri di tipo cognitivo, percettivo, fisico, neurologico,
affettivo.
Il perfetto comunicatore non esiste. Un buon comunicatore riesce a trovare una coerenza tra ciò che dice e le
sue espressioni a livello mimico, gestuale, di postura, di tonalità. Ci deve essere coerenza fra canale visivo e
uditivo.
Per una buona comunicazione bisogna:
• formulare, veicolare il messaggio in modo accessibile (tenendo conto di barriere sensoriali e
distanza)
• mantenere desta l’attenzione del ricevente (una comunicazione incomprensibile è frustrante)
• utilizzare codici e concetti noti o condivisibili col destinatario (indicatori di contesto, genere, ruolo)
• scegliere contenuti compatibili con la struttura mentale del destinatario (implica la conoscenza
intuitiva o dell’interlocutore)
Generalmente la comunicazione è deputata a fini di tipo relazionale.
La comunicazione può essere parziale, ovvero solo certe parti o certi livelli del messaggio arrivano
all’interlocutore.
• Comprensione insufficiente= molto generica e superficiale
• Comprensione di tipo distorto= produce un equivoco, un totale fraintendimento (può riguardare sia il
cosa che il come)
• Incertezza e ambivalenza del messaggio= una certa dose di ambiguità nel messaggio c’è sempre,
soprattutto a livello non verbale. Il canale può essere disturbato (es. al telefono).
• Egocentrismo cognitivo
• Complessità e multi-dimensionalità dei codici= nella comunicazione ci troviamo di fronte a molti
codici che spesso non riusciamo a conglobare in un’unica interpretazione.
• Connotazione e denotazione che si sovrappongono= la denotazione di un termine corrisponde al più
comune significato; la connotazione ha invece un uso metaforico del termine, che non sempre può
essere compreso bene (es. “ti stai comportando da coniglio” viene adottata una modalità connotativa,
ovvero una metafora); denotazione e connotazione si intrecciano di continuo
• Sotto-codici che si intrecciano ai codici= i sotto-codici sono linguaggi specialistici che si intrecciano
ai codici normali (se non si conoscono i sotto-codici non vi è una corretta comprensione)
• Registri e dialetti= il dialetto è un veicolo culturale ma non è solo un modo di esprimersi diverso (vi
è tutta una gestualità che deve essere riconosciuta, altrimenti ci possono essere fraintendimenti)
• Canali non verbali che smentiscono quelli verbali= non è tanto un problema di comprensione ma
piuttosto c’è qualcosa che non torna
• Diversità a seconda dei ruoli, delle auto-percezioni, degli schemi percepiti soggettivamente
Egocentrismo cognitivo
I bambini sono fisiologicamente totalmente ego-centrati.
Il livello di acquisizione di strumenti linguistici è già buono verso i 5 anni. Molto diversa è l'acquisizione
della competenza comunicativa, ciò dipende dall'egocentrismo (ogni cosa che accade riguarda noi).
Piaget utilizza il concetto di egocentrismo per indicare l’incapacità del bambino di distinguere il suo punto di
vista da quello degli altri, dando per scontato che l’altro abbia il suo stesso punto di vista.
Al di sotto dei 3 o 4 anni vi è il linguaggio privato nell’interazione, ovvero un discorso linguisticamente
abbastanza corretto ma che non ha alcun valore comunicativo. Il bambino attiva un monologo senza
preoccuparsi di comunicare qualcosa, né di comprendere ciò che l’altro a sua volta gli dice.
L'acquisizione della competenza comunicativa è lenta e graduale. Si attiva con la socializzazione, con il
rapporto corretto con l’adulto e con gli altri bambini.
Si passa da un ruolo generico all’assunzione di un ruolo specifico (role taking) che implica l’identificazione
in questo ruolo e la capacità di alternare due o più ruoli percependo contemporaneamente gli attributi degli
altri.
Se il percorso è attuato in modo corretto, senza traumi o carenze affettive particolari, al raggiungimento
dell’età adulta l’essere umano riesce a far manifestare l’egocentrismo solo in certe situazioni di forte valenza
emotiva.
Se vi è un grande egocentrismo cognitivo e comunicativo il soggetto non si pone nemmeno il problema che
la sua comunicazione possa non essere capita o fraintesa. Se invece il soggetto capisce che l’altro ha
frainteso, la reazione è colpevolizzare l’interlocutore attribuendogli la responsabilità della non comprensione.
Un altro ostacolo ad una buona comunicazione è l’emotività, un coinvolgimento emotivo molto forte rende
la prestazione comunicativa non buona.
La scuola pragmatica della comunicazione umana non considera la comunicazione intenzionale (Palo Alto),
considera ogni comportamento una comunicazione. Il primo assioma della scuola della Pragmatica di
comunicazione recita che ogni comunicazione è un comportamento, non esiste un non-comportamento,
quindi non esiste una non-comunicazione.
In ambito sociologico però la comunicazione è considerata intenzionale. Le gaffe, gli errori ecc. sono
informazione, non comunicazione.
C’è un continuo scambio di denotazione e connotazione, anche il denaro liquido ad es. è una forma
connotativa o il leone come simbolo del coraggio.
Espressione emotiva e cultura
Le emozioni sono veramente molto importanti. Esse sono connesse all’espressione; la mimica, la postura, la
gestualità sono canali che ci forniscono informazioni a livello emotivo.
Le espressioni facciali possono assumere una gamma molto estesa di forma regolate da un gruppo molto
ampio di fasce muscolari che possono provocare anche movimenti del volto impercettibili all’occhio umano.
Costituiscono una modalità comunicativa molto affinata.
La fisiognomica studia le sembianze fin dai tempi più antichi, fino ad arrivare a Lombroso (antropologia
criminale). Secondo il determinismo fisiognomica abbiamo informazioni sulla psicologia della personalità
date dal volto. Queste teorie non sono vere.
Studi di Ekman e Freisen negli anni 70= metodo di misurazioni molto analitico dei diversi costituenti motori
di una configurazione espressiva mediante la rilevazione dell’attivazione dei muscoli corrispondenti. Con
delle misurazioni elettromiografiche individuano 44 unità di azione ossia 44 movimenti elementari attivati da
una o più fasce muscolari striate (volontarie) che danno origine a circa 7000 configurazioni espressive sul
volto. Elaborano da questo il FACS (Facial Action Coding System), sistema di osservazione di tutti i
movimenti facciale visibili, fondato sulla rilevazione dei correlati fisiologici.
Tuttavia le espressioni sono argomento di dibattito; sulla loro funzione ad es. se questa funzione sia
comunicativa o emotiva. L’origine è biologica/innata o esperienziale?
Darwin si chiede se le espressioni facciali siano qualcosa che non varia culturalmente e giunge alla
conclusione che ci sono delle emozioni di base e che le espressioni facciali corrispondenti siano universali in
quanto riconosciute in modo corretto da varie persone (ricerca tramite interviste). Ipotesi dell’universalità
espressiva.
Ekman e Friesen si occupano del dubbio fra innatismo e cultura, nelgli anni 60 elaborano la teoria neuro-
culturale che propende verso l’innatismo. Essa postula una sorta di isomorfia (analogia) fra emozione sentita
e espressione facciale. Le emozioni di base sono:
- gioia
- paura
- collera
- tristezza
- sorpresa
- disgusto
Secondo questa teoria ogni emozione di base è regolata da uno specifico programma nervoso che scatta di
fronte ad una determinata condizione ambientale percepita come rilevante. Ogni emozione di base è
automatica ed involontaria e da’ origine a specifiche espressioni motorie. La teoria viene anche detta teoria
dei programmi affettivi. Abbiamo un fondamento genetico, ciò è dimostrato dagli individui non vedenti dalla
nascita, essi, nel caso di particolari emozioni hanno le stesse espressioni facciali dei vedenti. Si parla di
esperienze pan-culturali.
Questo determinismo è però smussato da precisazioni di Ekman. Vi sono le regole di esibizione (display
rules). Queste regole sono culturalmente apprese, c’è una base innata ma a seconda della cultura,
l’espressione emotiva può variare nella sua amplificazione (es. gioia espressa in modo evidente) o inibizione
(es. contenere la tristezza).
L’ampiezza= riguarda intensificazione o contenimento.
Pertinenza= riguarda il contesto (se in un certo contesto certe emozioni sia opportuno esibirle).
Intensificazione= intensificata la comunicazione dell’emozione.
Deintensificazione= si contiene la comunicazione dell’emozione.
Neutralizzazione= rimanere impassibili.
Simulazione= camuffamento (dare ad intendere qualcosa che non si prova).
Ekman ammette che le differenze sono regolate dalle siplay rules, imparate nei primi anni di vita; sono
tecniche di gestione. Data una situazione le persone imparano a gestire le proprie emozioni con genuità o
mostrare più o meno quello che si sente. Altre possibilità sono neutralizzazione o camuffamento.
• sorriso
• sguardo
• contatto
• saluto
• gestualità
• silenzio= comunicazione a sé stante, è densissimo di significato e ogni cultura lo interpreta in modo
diverso (nella nostra cultura ad es. è considerato qualcosa di imbarazzante / nelle culture orientali è
qualcosa di assolutamente naturale)
Le culture ad alta contestualizzazione sono culture in cui l’ambiente è già denso di significato, non vi è
bisogno di riempirlo. La nostra è una cultura a bassa contestualizzazione.
La comunicazione “di massa”
I mass-media sono quei sistemi di comunicazione che hanno un emittente e più riceventi in cui non vi è
compresenza e vi è la mediazione di strumenti tecnologici.
La communication research è un filone abbastanza recente perché i mezzi di comunicazione tecnologici sono
relativamente recenti.
Le teorie sulla comunicazione di massa possono apparire all’inizio molto ingenue, tutto dipende dal contesto
sociale e culturale dell’epoca e dalla diversità dei mezzi di comunicazione rispetto a quelli di oggi. I diversi
approcci danno risultati completamente diversi, impiantare una metodologia significa indirizzare il precorso
della ricerca.
La massa è concepita come un agglomerato di individui che sono soli (isolamento psicologico), tuttavia gli
individui sono anche liberi da pressioni sociali informali e vincolanti. La società allenta il suo controllo
sull’individuo.
La teoria dei vincoli sociali (Tonnies, 1887): si parla di comunità con legami forti e informali e società dove
prevalgono rapporti impersonali e contrattualistici.
Passaggio da un modello agricolo a uno industriale. La filosofia del denaro è l’emblema dell’uomo solo e
continuamente sollecitato, che sviluppa una personalità cinica che allontana gli altri individui. Si trova a
ridosso di una serie di individui che lui non consce.
Teoria ipodermica (o del lago ipodermico) della propaganda/ della cinghia di trasmissione
Teoria che postula un’incredibile potenza dei media nel suggestionare e manipolare il pubblico.
La teoria ipodermica si può sintetizzare da una frase di Wright (1975) che sostiene “ogni membro del
pubblico di massa è personalmente attaccato dal messaggio”; vi è una convergenza fra la teoria della società
di massa e la teoria psicologica dell’azione che deriva dal metodo comunicativo comportamentista.
Il concetto di società di massa non è recente, ha origini abbastanza lontane ma con filoni correnti diversi. Il
pensiero politico ottocentesco sottolinea nella società di massa l’effetto della progressiva industrializzazione.
I processi sociali determinano una perdita per l’élite che si trova esposta alla massa. L’indebolimento dei
legami tradizionali, comunitari contribuisce ad allentare il tessuto connettivo della società e a preparare uno
stato di isolamento e di alienazione della massa.
Ortega Igasset nel 1930 descrive nell’uomo massa l’antitesi dell’uomo colto. La massa è un aggregato di
incompetenti, trasversale a tutte le classi sociale e che travolge tutto ciò che è differente con la sua
omogeneità. Anche se l’ascesa della qualità della vita c’è, la massa rivela un assurdo stato d’animo. Le masse
non sono preoccupate se non per il loro benessere e mostrano ingratitudine e inconsapevolezza.
La massa è animata dall’idea più semplice che richiede la minor riflessione possibile. È anche la più radicale
e riflessiva. La massa diventa un aggregato omogeneo di individui, molto simili anche se provenienti da stati
sociali diversi. La massa non ha regole e struttura. Prevede un isolamento fisico e normativo. È il risultato
della disgregazione delle comunità preesistenti.
La teoria ipodermica nasce dalla convergenza fra l’idea di società di massa e quella psicologica dell’azione
(teoria stimolo-risposta). Lo scopo del comportamentismo è quello di studiare il comportamento umano con
gli stessi strumenti delle scienze biologiche.
Nella relazione fra organismo e ambiente, l'elemento cruciale è rappresentato dallo stimolo che comprende le
condizioni esterne del soggetto che producono in lui una risposta; il binomio stimolo-risposta esprime gli
elementi di ogni forma di comportamento. Ogni risposta è sollecitata da uno stimolo. Stimoli che non
producono risposte non sono stimoli e una risposta deve essere per forza stata stimolata.
La psicologia comportamentista non si interessa dei processi interni all’individuo, interessa solo la reazione
visibile e osservabile dallo studioso. L’individuo è quindi considerato come un sistema nervoso semplice che
come punto da uno stimolo reagisce in modo sempre uguale.
I mass-media costituiscono un sistema nervoso semplicissimo che tocca ogni occhio e orecchia in una società
caratterizzata da assenza e da un’organozzazione sociale amorfa.
La teoria ipodermica (o del proiettile magico) indica un messaggio subdolo che si incarna in una massa
passiva e inerme. Se una persona è raggiunta dal messaggio (propaganda) può essere manipolata ed indotta
ad agire in un certo modo.
Le persone in realtà non reagiscono in modo così semplice.
(I nomi delle teorie vengono date a posteriori.)
La teoria ebbe successo per via della poca dimestichezza con gli strumenti psicologici e l’idea di un totale
asservimento del pubblico a tutto ciò che gli viene propinato. Il pubblico in realtà non è passivo.
Il successo è dovuto ad una particolare congiuntura storica, i criteri della teoria ipodermica si collocano tra la
prima e la seconda guerra mondiale. In un periodo in cui si fanno strada regimi politici totalitari (fascismo,
nazismo) che fanno uso della propaganda tramite radio e cinema.
La televisione viene introdotta solo nel 1954.
Vi sono delle operazioni per convincere il pubblico. Durante la prima guerra mondiale il ministero
dell’informazione tenta di convincere ad accettare il progetto bellico.
La prima operazione propagandistica di un governo moderno è di Wilson che il 13 aprile 1917 crea il
Committee of public information con l’obiettivo di vendere la guerra al pubblico americano.
Goebbels è al vertice nel Terzo Reich dell’ufficio della propaganda nel 1929 dove sono elaborati 11 principi
di propaganda.
Il modello di Harold Lasswell (formalizzato nel 1948) e il superamento della teoria ipodermica
Questo metodo viene elaborato negli anni 30 e mette in campo alcuni elementi che permettono una maggire
riflessione.
Un modo appropriato per descrivere un atto di comunicazione è rispondere a 5 domande.
Le 5 W:
• Who? Studio degli emittenti.
• What? Analisi e contenuto dei messaggi.
• Where? Analisi dei mezzi.
• Whom? Analisi del pubblico.
• What effects? Analisi degli effetti.
Le premesse forti sono che:
1. emittente e destinatario sono legati da un processo asimmetrico (l'emittente sa cosa vuole raggiungere, il
destinatario no
2. la comunicazione è intenzionale e pianificata (es. nell’ambito di campagne elettorali, propagandistiche)
3. emittente e destinatario sono considerati isolati tra di loro (processi asimmetrici) e non vengono studiati in
un processo dialettico
Approccio empirico-sperimentale o della persuasione
Dagli anni 40 si fa strada questo approccio che si avvale di una metodologia sperimentale e psicologica con
delle varianti, con una maggior limatura rispetto all’approccio behaviourista della teoria ipodermica.
Si ha una revisione del meccanismo stimolo-risposta. Non tutti reagiscono allo stesso modo.
Abbiamo uno studio e un'analisi dei tratti specifici della personalità. È comunque possibile agire sul
soggetto, purché il messaggio sia confezionato in modo tale da aggirare i processi psicologici tipici
dell’individuo che si frappongono tra la causa (stimolo) e l’effetto (risposta). In mezzo a stimolo e risposta di
sono ostacoli di natura psicologica che vanno aggirati per poter produrre un messaggio efficace e quindi
persuasivo.
La ricerca quindi punta sull’organizzazione ottimale del messaggio a scopo persuasivo.
Le caratteristiche psicologiche che si interpongono tra l’emissione del messaggio e l’effetto finale sono
fattori legati ad emittente, messaggio ecc.
• fattori legati al pubblico= l’interesse ad acquisire l’informazione (se l’informazione non desta
interesse sfugge o non desta effetto), una parte del pubblico può non possedere certe conoscenze e
quindi non tutti sono facilmente raggiungibili dai media qualsiasi sia il livello dell’informazione
• l’esposizione selettiva= i componenti del pubblico tendono ad esporsi ad un’informazione
congeniale alle proprie idee e ad evitare i messaggi difformi (contrari a quello in cui credono), le
persone più facilmente raggiungibili sono quelle già sensibilizzate sui temi proposti (per questo
molte campagne falliscono), le persone tendono ad evitare o dimenticare altri contenuti che sono in
contrasto con le proprie convinzioni (a volte vengono anche travisati)
• percezione selettiva= i membri del pubblico non si presentano ai media in uno stato di nudità
psicologica ma sono già rivestiti da predisposizioni esistenti, quindi l’interpretazione trasforma il
messaggio ricevuto adeguandolo ad attitudini e ai valori del destinatario (talvolta fino a travisare
completamente il messaggio stesso)
Nel 1947 vi è uno studio di Cooper e Jahoda sulle possibilità di successo di una serie di cartoni animati al
fine di modificare in senso anti-razzista gli atteggiamenti degli individui con pregiudizi razziali. Questo
studio mette in luce che una reazione comune per evadere il problema quando si hanno pregiudizi forti e
radicati è di non comprendere il messaggio. Cooper e Jahoda chiamano questo atteggiamento derailment of
understanding (decodifica aberrante). Esso può seguire varie strategie, ad esempio accettare in modo molto
superficiale il contenuto del cartone, ribadendo che in alcune circostanze concrete I pregiudizi si giustificano.
Oppure al messaggio viene attribuita una visione distorta della realtà, oppure il messaggio viene qualificato
come una storia, qualcosa di astratto, che non si verifica. Si può anche modificare il quadro di riferimento
della situazione narrata dal cartone. Questi meccanismi psicologici sono necessari a ridurre potenziali fonti di
tensione tra quello che viene percepito e le nostre convinzioni (a ridurre la dissonanza cognitiva).
Nel momento in cui riceviamo un messaggio che contraddice quello in cui crediamo si verifica una tensione
e svalutazione potenziale delle nostre convinzioni (dissonanza cognitiva).
Distorcere la comprensione del messaggio è un modo per sostenere le proprie convinzioni e mantenere
l’autostima.
Abbiamo anche due effetti:
• assimilazione= quando il pubblico percepisce le opinioni espresse nel messaggio più vicine alle sue
di quanto non lo siano in realtà, distorcendo il messaggio e adattandolo alle proprie convinzioni
(assimilazione, percepiti solo gli elementi in armonia con il proprio credere)
• contrasto= quando si ha una sorta di rifiuto con quanto si riceve e quindi si determina una percezione
del messaggio oltremodo propagandistica e inaccettabile, generando un effetto di contrasto che fa
percepire una distanza col messaggio maggiore di quanto essa non sia davvero
Interesse ad acquisire un’informazione→esposizione selettiva→percezione selettiva→memorizzazione
selettiva
Memorizzazione selettiva= accettare alcuni elementi e de-rubricandone altri.
L’individuo è sempre alla ricerca di coerenza fra il suo ambiente e le informazioni e i suoi schemi mentale.
Questo perché rivedere tutto comprende un grande sforzo. Gli aspetti coerenti sono molto più memorizzati
rispetto agli altri, questa tendenza si accentua man mano che passa il tempo rispetto alla prima esposizione al
messaggio.
Due effetti di memorizzazione selettiva:
- effetto Bartlett (1932) = ha dimostrato che nel corso del tempo la memorizzazione seleziona gli elementi
più significativi per la persona a discapito di quelli staccati; quindi questo effetto riguarda uno specifico
meccanismo della memorizzazione dei messaggi di persuasione; se in un messaggio, accanto ad informazioni
importanti vi sono anche delle affermazioni contrarie, queste ultime vengono dimenticate con più facilità e
ciò contribuisce ad accentuare l’efficacia persuasoria delle argomentazioni principali
- effetto latente (sleeper effect) = in alcuni casi, se subito dopo l’esposizione del messaggio risulta nulla, essa
aumenta col passare del tempo; la memorizzazione selettiva di questo tipo attenua la barriera col passare del
tempo; col passare del tempo ci si ricorda di alcune cose più coerenti col nostro tipo di pensiero e le
adottiamo
La persuasione è sempre possibile purché il messaggio sia organizzato in modo tale da superare questi
ostacoli di natura percettiva.
La credibilità del comunicatore
La reputazione della fonte è un fattore importante. Se l’emittente non è credibile incide negativamente sulla
persuasione. Messaggi identici hanno effetti diversi a seconda che siano attribuiti ad una fonte ritenuta
attendibile oppure no.
Nel 1951 vi sono degli studi di Hovland e Vice che cerca di verificare la credibilità del pubblico, l’effetto sul
pubblico in merito a 4 temi:
1. il futuro del cinema dopo la televisione
2. le cause della crisi dell’acciaio
3. la possibilità di costruzione di sottomarini atomici
4. l’opportunità della vendita libera di antistaminici
Hovland e Vice rilevano che se misurato subito dopo la fruizione del messaggio, il materiale che era stato
attribuito ad una fonte credibile, produce un mutamento di opinione significativamente maggiore di quello
attribuito ad una fonte poco credibile. Se invece la misurazione avviene dopo circa 4 settimane, entra in
scena l’effetto latente e l’influenza della credibilità della fonte ritenuta non attendibile diminuisce mano a
mano che sfuma l’immagine della fonte stessa.
Si conclude che il problema della credibilità della fonte non riguarda tanto la quantità effettiva di
informazione ricevuta, bensì l’accettazione delle indicazioni che si accompagnano a questa informazione.
L’apprendimento può avvenire ma comunque la scarsa credibilità della fonte ne seleziona l’accettazione.
Ordine delle argomentazioni
Sono più efficaci le argomentazioni poste inizialmente a favore di una posizione o quelle finali magari a
sostegno dell’affermazione contraria?
Effetto primacy= se viene verificata la maggiore efficacia degli argomenti esposti inizialmente.
Effetto recency= se risultano più efficaci gli argomenti esposti alla fine.
Si vorrebbe stabilire se sono più efficaci le argomentazioni in prima o seconda posizione in un messaggio in
cui vi sono degli aspetti pro e anche contro un certo tema.
Moltissimi studi hanno tentato di verificare o confermare l’effetto primacy. In realtà non si è giunti ad una
decisione unanime. Si verificano sia effetti di recency che di primacy ma, pur in assenza di tendenze generali
e stabili, appaiono alcune correlazioni frequenti. La conoscenza e la familiarità con il tema sembrano andare
di pari passo con l’effetto di recency. Se invece i destinatari non hanno conoscenza dell’argomento tendono a
fare proprie le argomentazioni che vengono fatte prima (primacy).
Completezza delle argomentazioni
Si tratta di studiare l’impatto ai fini di mutare l’opinione dell’audience.
La tendenza più producente è presentare uno solo o più aspetti di un tema controverso?
Una ricerca effettuata ebbe lo scopo di individuare la forma persuasiva più adeguata per convincere i soldati
americani che la guerra si sarebbe protratta ancora per diverso tempo prima del crollo definitivo dell’asse,
soprattutto sul fronte del Pacifico. Erano stati elaborati due messaggi radiofonici:
1. presentava solo i motivi che indicavano il prolungarsi della guerra oltre le aspettative più ottimistiche dei
soldati
2. presentava anche gli argomenti circa i vantaggi e la notevole superiorità della macchina americana
sull’esercito giapponese, la guerra sarebbe stata ancora lunga ma presentava la versione positiva della
potenza dell'artiglieria americana
Non si hanno delle vere e proprie soluzioni; alcune deduzioni erano che per le persone che erano già
convinte e avevano già una posizione le argomentazioni di entrambi i lati erano meno efficaci, rispetto al
fatto di presentare solo gli argomenti a favore. Coloro che avevano un grado di istruzione più elevati erano
favoriti dalla presentazione di entrambe le facce, mentre coloro con un’educazione meno complessa erano
maggiormente influenzati dalla notizia che era maggiormente in linea con il loro punto di vista.
Esplicitazione delle conclusioni
È più efficace un messaggio che esplicita le conclusioni o uno che le pone come dubbio e lascia trarre le
conclusioni ai destinatari?
Una variabile psicologica individuale riguarda il grado di coinvolgimento dell’individuo sull’argomento
trattato; quanto maggiore il coinvolgimento tanto più utile lasciare le conclusioni implicite. Quanto più
approfondita la conoscenze che il pubblico ha dell’argomento, meglio lasciare le conclusione implicita.
Su argomenti complessi e poco conosciuti invece le conclusioni esplicite si dimostrano efficaci alla
persuasione della comunicazione.
Tutti questi studi sulla forma del messaggio sottolineano che l’efficacia della struttura del messaggio varia al
variare delle caratteristiche dei destinatari.
La teoria dei media che si lega alle ricerche di tipo psicologico-sperimentale ridimensiona la capacità
indiscriminata dei mezzi mass-media di manipolare il pubblico.
Con l’individuare e analizzare la complessità dei fattori che si interpongono nella risposta allo stimolo si
attenua il determinismo. Esplicitando queste barriere psicologiche individuali e tipiche dei destinatari si
evidenzia la non-linearità del processo comunicativo (ipotizzata dalla teoria ipodermica). Si tentano di
analizzare i motivi di inefficacia persuasoria di alcune campagne. Tuttavia continua la credenza che i media
possono esercitare persuasione, però influenza e persuasione richiedono di strutturare le campagne tenendo
conto delle caratteristiche psicologiche del pubblico. Rimane inoltre l’idea che i mass media non sono
onnipotenti ma possono produrre notevoli effetti.
Teoria degli “effetti limitati”
Sempre negli anni 40 abbiamo l’elaborazione della teoria degli effetti limitati, detta anche two steps flow
model di Lazarsfeld, Berelson e Gaudet (1955).
Non è un approccio psicologico, è un approccio sociologico-empirico sul campo. Non viene preso un
campionamento.
Se prima abbiamo degli effetti che sono consistenti qua si arriva addirittura agli effetti limitati dei mass
media. Questo approccio connette i processi di comunicazione di massa alle caratteristiche del contesto
sociale entro cui si realizzano.
Nel 1940 prima della comparsa della televisione alcuni studiosi, tra cui Lazarsfeld hanno messo appunto una
ricerca per studiare l’impatto sugli elettori della campagna presidenziale di quell’anno, o meglio di quella
parte della campagna che sarebbe stata comunicata tramite i media. L'interesse era capire come i membri di
certe categorie sociali selezionavano le informazioni veicolate dai media in relazione alla campagna
elettorale e come questi contenuti contribuivano a influenzare il loro voto.
Questo studio venne condotto nella contea di Iri nell'Ohio, zona con tipiche caratteristiche americane. Questa
zona votava da decenni come la Nazione nel suo complesso. Sottoposti ad analisi erano i discorsi elettorali e
altri messaggi politici riportati nei quotidiani e alla radio. Durante il confronto tra il candidato repubblicano e
Roosevelt (candidato democratico).
I soggetti dello studio erano alcuni campioni rappresentativi di alcuni residenti della contea di Iri.
Si impiegò la tecnica del panel; si intervistò un campione di 600 persone a intervalli regolari di un mese fra
giugno e novembre. Nello stesso periodo vennero intervistati anche campioni di 600 individui ciascuno.
Veniva studiata la partecipazione alla campagna attraverso la richiesta di informazione sui candidati e sui
temi in discussione. Altri effetti erano le dichiarazioni di voto come risultato dell’esposizione alla campagna
elettorale e il fatto di andare effettivamente a votare.
Durante la ricerca si scoprirono delle cose inaspettate. Alcuni intervistati erano sollecitati dai media, avevano
una predisposizione latente a votare in un certo modo e i messaggi della campagna concretizzavano queste
tendenze fino a renderle manifeste. Altri individui avevano già preso una decisione all’inizio della campagna,
erano indifferenti alle influenze dei media e rafforzavano la loro decisione con una selezione dei contenuti
dei media.
Le prime intenzioni di voto venivano ribaltati dai mass-media solo in una piccolissima parte dei casi. La
conversione delle opinioni dovuta al circuito mass mediale era un effetto minimo.
L’influenza della categoria sociale sul comportamento era importante. L’appartenenza a queste categorie
determinava il grado di interesse e le scelte di voto. Lo studio non dava molto spazio al possibile ruolo delle
relazioni informali interpersonali (amicizia, famiglia). In quell’epoca si credeva che questi rapporti stessero
perdendo importanza.
Quando gli intervistatori parlarono con gli intervistati ricevevano sempre la stessa risposta imprevista ad una
delle domande del questionario, ovvero tutte le volte che si chiedeva di riferire sulle ultime occasioni di
esposizione alle comunicazioni di qualsiasi tipo relative alla campagna politica, citavano più le discussioni
politiche che i mezzi stessi (radio, stampa).
Le persone che avevano scambi informali di idee con altre persone (non i media) erano circa del 10% in più
rispetto a quelle che venivano direttamente esposte alle informazioni dei media.
Quando la ricerca era a metà strada gli intervistatori modificarono il proprio metodo e cominciarono ad
analizzare questi contatti informali, fonti importantissime di influenza personale. Volevano capire il ruolo di
questa comunicazione faccia a faccia nel modificare gli effetti delle comunicazioni di massa.
Il risultato fu la scoperta del ruolo delle relazioni informali tra gli abitanti di questa contea. Le relazioni
informali avevano avuto un peso enorme nel modo in cui le persone venivano influenzate dai contenuti dei
media. I membri della famiglia, gli amici e altri portavano le idee dai media all’attenzione degli elettori che
non erano direttamente a contatto con i media. Si creava un flusso indiretto di influenze che passava dai
media a coloro che erano direttamente esposti ai media a coloro che non avevano recepito il messaggio
originale. Per questo il flusso è detto di comunicazione a due stadi.
I mass media sono i principali emittenti, le fonti entrano in contatto con i cosiddetti leader d’opinione che
poi entrano in contatto con le altre persone.
Gli opinion leaders erano individui in contatto con i media che seguivano con certa regolarità le
comunicazioni di massa. Le opinioni venivano poi fornite agli altri individui meno esposti ai media. Gli
opinion leaders erano attivi nel fornire delle interpretazioni nella campagna elettorale che contribuivano a
formare le intenzioni di voto di coloro i quali passavano le informazioni.
Mentre veniva portata avanti la ricerca sulla campagna politica, altri gruppi di altri ambiti stavano arrivando
alle stesse conclusioni. Ad esempio i ricercatori di sociologia rurale stavano studiando il modo in cui gli
agricoltori stavano utilizzando nuovi metodi per incrementare la produttività. I sociologi rurali, a differenza
di quelli della communication research, si erano accorti che le relazioni informali svolgevano un ruolo
importantissimo nella formazione delle decisioni.
Quando arrivavano da fuori delle idee nuove, le informazioni derivate dai vicini meglio informati potevano
incidere in maniera determinante sulle idee che potessero essere adottate. Gli opinion leaders non restavano
solo nell’ambito politico ma erano persone meglio informate di cui ci si fidava e potevano essere chiunque
venisse riconosciuto come portatore di una conoscenza particolare e qualora fosse presente una certa fiducia.
Le persone riconosciute come opinion leaders non appartenevano necessariamente a quelle più in alto nella
scala gerarchica ma nazi, l’influenza era fra persone di status piuttosto simile.
Le donne giovani che lavoravano, essendo in contatto tramite i media con il mondo della moda, erano
considerate delle opinion leaders dalle casalinghe a tempo pieno.
Teoria degli effetti limitati= gli studiosi conclusero alla fine del processo investigativo che i media avessero
in sé e per sé degli effetti limitati. Erano invece molto efficaci le reti di informazione interpersonale con al
centro la figura degli opinion leaders.
L’opinion leader può essere attualizzato, gli influencers di adesso non hanno effetti molto dissimili.
Funzioni e disfunzioni sociali dei media (Denis McQuail)
Denis McQuail è un sociologo della comunicazione funzionalista.
Funzioni:
• Informazione= notizie sull’innovazione, sulla scienza, sui progressi, su come comportarsi in certe
situazioni di crisi, informare sulle vicende del mondo ecc.
• Correlazione= spiegare, interpretare, commentare il significato degli avvenimenti e
dell’informazione, sostenere le norme vigenti, costruire il consenso, fissare delle priorità ecc.
• Continuità= costruire il consenso, funzione eticizzante la legittimazione ecc.
• Intrattenimento= procurare relax, svago, stemperare la tensione sociale ecc.
• Mobilitazione= vengono date informazioni importanti per ambienti di interesse sociale, ambito
politico, del lavoro ecc.
Disfunzioni:
• Flussi liberi e circolanti, incontrollati= informazioni contraddittorie, informazioni da verificare,
informazioni parziali, informazioni che rimbombano nelle nostre teste ecc.
• Ripiegamento sul privato= può derivare dal flusso di cattive notizie o può riguardare i social,
un’auto-referenzialità ecc.
• Eccesso di informazioni= legato ai flussi liberi di informazioni scorrette, fake news ecc.
• Disfunzione narcotizzante= sentire tante cose brutte anche vicine tra di loro, la nostra mente tenta di
difendersi da ciò che è doloroso, programmi trash che utilizzano storie vere in modo dissacrante ecc.
• Critica culturologica-estetica
• Conformismo= i mass media possono contribuire ad una certa immobilità del pensiero, a fissarsi su
certe idee e rendere il pensiero rigido e catatonico ecc.
Studio effetti a lungo termine
La comunicazione mass-mediale è principalmente una comunicazione uno-molti. La comunicazione di rete si
avvale di altri strumenti e codici comunicativi ed è una comunicazione molti-molti.
Tipi di comunicazione:
1. uno-uno= faccia a faccia o conversazione telefonica
2. uno-molti= mediata da apparecchi elettronici, quali radio, televisione e cinema
3. molti-molti= instaurata dai vari social media e internet
Dopo l’ultima teoria che abbiamo analizzato degli effetti limitati, dagli anni 70 in poi si ritorna in modo
diverso ad un effetto medium forte sui fruitori. Ha un ruolo trainante sotto due espetti:
1. gli effetti che hanno i media
2. il problema di come i media costruiscono l’immagine della realtà sociale
I primi studi sulla comunicazione mass-mediale erano per lo più limitati a periodi di tempo limitati ed eventi
circoscritti.
Per lungo tempo, prima di questo tipo di concezione di effetti a lungo termine vi erano delle premesse forti:
1. i processi comunicativi sono asimmetrici, da una parte un soggetto attivo che conferisce uno stimolo
+ un soggetto passivo che viene colpito da questo stimolo e in quanto colpito reagisce
2. tutti gli elementi della comunicazione venivano considerati come isolati, non come un grande
processo con elementi interagenti, la comunicazione diventa quindi un fatto individuale, un qualcosa
che riguarda singoli individui da studiare su questi presi singolarmente
3. la comunicazione è sempre intenzionale, è diretta ad uno scopo, l’emittente mira ad ottenere un
determinato effetto sull’audience
4. i processi comunicativi sono di natura episodica (idea di campagna), inizio e fine della
comunicazione sono temporalmente limitati e i singoli episodi comunicativi possono essere isolabili
e considerati indipendenti (mancanza di interazione e congiuntura fra i vari elementi)
Questo paradigma che contiene queste premesse è stato poi fortemente modificato.
Si è passati da effetti intesi come mutamenti a breve termine (con misurazioni degli effetti da uno a tre mesi)
a effetti di lungo e lunghissimo periodo (anche anni).
Si è acquisita la consapevolezza da parte della communication research che le comunicazioni mass-mediali
in genere non mediano direttamente il comportamento esplicito ma piuttosto tendono a influenzare il modo
attraverso il quale il destinatario organizza la propria immagine dell’ambiente e del mondo in cui vive.
Principali differenze fra il vecchio e il nuovo paradigma sono:
• non più studi di casi singoli (campagne elettorali ecc.), ma uno studio di una copertura complessiva
dell’intero sistema dei media. I media vengono considerati non come elementi a sé stanti ma il
sistema dei media viene considerato come composto da tutte le tipologie di mass-media che hanno
un effetto di tipo cumulativo (guidati da uno stesso tipo di azione/il sistema dei media viene
considerato come un grande sistema globale che produce nel tempo degli effetti sulla
rappresentazione della realtà)
• non ci sono più dati che vengono ricavati da interviste sul pubblico ma delle metodologie di natura
maggiormente complessa e integrata
• non abbiamo più un’osservazione e misurazione dei cambiamenti di attitudine e opinione ma la
ricostruzione del processo tramite cui l’individuo modifica il proprio senso della realtà sociale
Il tipo di effetto non riguarda più le attitudini, i valori, i comportamenti del destinatario ma è un effetto
cognitivo sul sistema globale di conoscenze che l’individuo assume e tende a strutturare in modo più o meno
stabile a causa del suo consumo continuo delle comunicazioni di massa. Non più effetti puntuali legati
all’esposizione ad un singolo messaggio ma effetti cumulativi che sono sedimentati nel tempo. Forniscono
delle prospettive, modellano delle immagini della realtà sociale, politica ecc. Promuovono temi sui quali si
attiverà l’attenzione della pubblica opinione.
I media svolgono un ruolo di costruzione della realtà. L’influenza dei media viene postulata in quanto i
media aiutano a strutturare l’immagine della realtà sociale nel lungo e nel lunghissimo periodo.
Non ci sono più effetti intenzionali legati a contesti circoscritti e legati a scopi ben precisi. Si arriva da
un’idea di effetti limitati ad una prospettiva di effetti di tipo cumulativo e consonante che comprendono
l’intero sistema mass-mediale.
Gli effetti perdurano nel tempo, non riguardano valori, attitudini e comportamenti del pubblico ma sono
effetti di tipo mentale e cognitivo, rappresentazionale. In una certa misura sono latenti, impliciti. Vi sono
anche distorsioni che hanno un riverbero sul patrimonio cognitivo dei destinatari.
Al centro del problema degli effetti si pone il rapporto tra l’azione costante dei mass media e l’insieme di
conoscenze sulla realtà sociale che da’ forma ad una determinata cultura agisce non in modo statico ma
dinamico. In questo rapporto sono state rilevate tre caratteristiche dalla studiosa tedesca Noimann:
1. cumulativi= cumulazione riguarda il fenomeno inerente al fatto che la capacità dei media di creare e
poi di sorreggere la rilevanza dei media di creare e sorreggere la rilevanza di un tema è il risultato
complessivo e ottenuto dopo un bel periodo di tempo del modo in cui funziona l’intera copertura
informativa del sistema delle comunicazioni di massa (non effetti puntuali ma conseguenze legate
alla ripetitività della produzione della comunicazione di massa)
2. consonanti= nei processi produttivi dell’informazione i tratti comuni e le somiglianze sono più
rilevanti e numerosi rispetto alle differenze, questo comporta che i messaggi sono più simili che non
dissimili (riceviamo una trasmissione di messaggi più simili che dissimili, per questo si può parlare
di un sistema dei media)
3. onnipresenti= riguarda non solo la diffusione quantitativa dei media, ma anche il fatto che il sapere
pubblico (insieme di conoscenze, opinioni, atteggiamenti diffuso dalla comunicazione di massa) ha
una qualità particolare (tutti sanno che tutti sanno), il potere di conformazione ha potere su coloro
che non hanno ancora elaborato una propria posizione; il risultato è che spesso la distribuzione
dell’opinione pubblica si adatta a quella rispecchiata dai media (secondo un modello di profezia che
si auto-adempie, che si auto-verifica)
I mezzi di comunicazione di massa stabiliscono le condizioni della nostra esperienza del mondo al di là delle
sfere di interazioni concrete nelle quali tutti noi viviamo.
Agenda Setting
La teoria Agenda setting di Mc Combs e Shaw del 1979 è molto importante.
I media non inducono cosa pensare e in che modo orientare le nostre opinioni ma su cosa pensare/riflettere,
ovvero danno un’agenda tematica.
I media non ci insinuano quindi delle volontà, intenzioni ma ci dicono a chiare lettere i temi importanti su cui
ragionare e parlare, su cui diffondere il nostro parlato e su cui instaurare delle relazioni. Le tematiche
possono anche cambiare molto rapidamente.
Secondo l’ipotesi dell’Agenda setting si sostiene che in conseguenza dell’azione dell’intero circuito mass-
mediale, il pubblico è reso consapevole oppure ignora, enfatizza oppure trascura elementi specifici delle
tematiche che vengono discusse a livello pubblico. Le persone tendono a includere o escludere dalle proprie
conoscenze ciò che i media includono o escludono dai propri contenuti. Inoltre il pubblico tende ad
assegnare un’importanza che riflette da vicino l’importanza attribuita dai mass-media ad alcuni eventi, ad
alcuni problemi, ad alcune persone.
Questa ipotesi quindi non ritiene che i media cerchino di persuadere ma essi invece precisano e descrivono la
realtà esterna presentando al loro pubblico un’agenda degli argomenti su cui avere un'opinione e discutere.
La premessa di questa ipotesi è che la comprensione che le persone hanno di gran parte della realtà sociale è
derivata dai mass-media.
Diversi autori affermano che se la stampa può non riuscire nel proposito di dire alle persone cosa pensare è
in grado di dire ai propri lettori introno a quali temi pensare a qualche cosa. L’ipotesi inoltre sottolinea il
divario esistente tra la quantità di informazioni e conoscenze della realtà sociale apprese dai media e le
esperienze di prima mano vissute dalle persone direttamente.
Nelle società industriali a capitalismo maturo a causa della grande complessità sociale la presenza di realtà
che i soggetti non esperiscono direttamente ma che vivono esclusivamente attraverso la mediazione
simbolica dei media è aumentata radicalmente. Si sottolinea una crescente dipendenza cognitiva dai media.
Abbiamo due livelli:
1. l’ordine del giorno= una sorta di elenco di tematiche che hanno una certa rilevanza in quel momento;
non è l’unico a orientare il potere di agenda sulle persone
2. la gerarchia d’importanza= i mass-media orientano la gerarchia d’importanza, ovvero vi sono dei
temi che in un dato momento assumono certe posizioni di importanza (temporalità molto limitata); la
gerarchia può essere anche destrutturata, le posizioni più basse possono diventare di rilievo e
viceversa; la gerarchia non corrisponde però necessariamente ad un’importanza sociale dei temi
Il mondo della comunicazione è estremamente metamorfico, segno di una società instabile.
C’è un differente potere di agenda dei diversi media; le notizie televisive ad es. sono molto frammentarie per
avere un significativo effetto di agenda. Adesso abbiamo una stampa elettronica dove vi sono un insieme di
titoli molto meno inclini all'approfondimento di determinati temi, la carta stampata detiene ancora il primato.
Non vi è solo un’agenda dei media ma vi è anche un’agenda del pubblico. La capacità di influenza dei media
su ciò che è importante e rilevante varia a seconda dei temi trattati. Su alcuni temi la capacità di influenza dei
media è maggiore che su altri, la discriminante che distingue le issues influenzabili di quelle che non lo sono
è la loro centralità, ovvero minore è l'esperienza diretta che le persone hanno di un tema, maggiore sarà la
loro dipendenza dai media per avere delle informazioni e dei quadri informativi relativi a quell’area tematica.
Le agende del pubblico sono ad esempio quella intra-personale che corrisponde ad una rilevanza personale
assegnata ad un problema personale. Esiste anche l’agenda di tipo iter-personale, quindi sociale, ovvero i
temi sui quali l’individuo parla e discute con gli altri, questa definisce una rilevanza inter-soggettiva
(l’importanza assegnata ad un tema entro una rete di rapporti e comunicazioni inter-personali).
Quindi il punto d’inizio è costituito dalla consapevolezza che vi è una profonda divergenza che separa ciò
che le persone vivono in prima persona rispetto alla realtà appresa attraverso i media. Una consistente quota
di patrimonio culturale, conoscitivo, cognitivo non proviene più ormai da esperienze in prima persona ma da
rappresentazioni, immagini, parole e tutto ciò che viene offerto dai mezzi di comunicazione di massa. Questo
da’ origine ad una forma di dipendenza cognitiva dai mass-media. Conseguenza ulteriore è che gli spettatori
hanno la tendenza a prestare attenzione indotta ai temi trattati principalmente dai mezzi di comunicazione
ignorando quelli che invece non vengono trattati.
I media dicono alle persone quali sono gli argomenti importanti e secondariamente gli stessi mass-media
forniscono un ordine di priorità che dovrebbe collocare il grado di importanza di ogni tema proposto.
Per agenda noi interpretiamo una sorta di ordine del giorno degli argomenti che sono evidentemente
importanti e degni di ricevere attenzione. Quindi l'effetto dell’Agenda setting consiste nel fatto che l’agenda
dei media finisce spesso dopo un certo periodo di tempo per riflettersi abbastanza fedelmente nell’agenda del
pubblico.
Processo di Newsmaking e Valori-notizia
Importante è il sistema di produzione delle notizie. Fin dalla nascita il mass-medium ha svolto la funzione di
informare il pubblico di ciò che accade in modo tuttavia selettivo.
L’attività giornalistica non è un’attività di registrazione dei fatti accaduti. Anche nei casi in cui non ci sia
un’intenzionalità, le notizie vengono costruite socialmente sulla base di un insieme piuttosto complesso di
fattori che vanno dal tecnico, all’economico, alla professione del giornalista. Si può parlare di una vera e
propria produzione di notizie, in inglese è detta Newsmaking.
Non tutto quello che accade nel mondo diventa oggetto di diffusione comunicativa, esistono i gate-keepers,
ovvero la comunità dei giornalisti che ha la funzione di selezionare in base a dei criteri professionali, ciò che
può suscitare l’interesse del pubblico e la notiziabilità. Essa riguarda quei fatti della vita che poi si
tramuteranno in notizia. Quindi la notiziabilità è la possibilità che ha un fenomeno/evento/situazione di
trasformarsi in notizia in termini di contenuto e mezzo (classificata come motivo di possibile interesse del
pubblico).
La notiziabilità dispone di quei requisiti legati ai criteri della cultura giornalistica e professionale richiesti ad
un evento per acquistare la possibilità di esistere come notizia pubblica e di essere diffusa (processo di
scrematura del reale).
La figura del giornalista è spesso vista come il cacciatore di notizie che si addentra in un indagine anche a
scapito della propria vita. Eccetto alcuni casi però il giornalista non agisce così, il suo lavoro è molto di
routine e dentro le mura della redazione. Le redazioni sono organizzazioni produttive che trasformano il dato
grezzo in un prodotto raffinato (notizie che poi verranno diffuse).
In genere tutti i giornalisti hanno le loro fonti istituzionali con delle modalità abbastanza standardizzate
(relazioni stabili soprattutto con soggetti istituzionali). Queste relazioni sono funzionali ad entrambi, da una
parte i soggetti istituzionali forniscono le informazioni, dall’altro le organizzazioni si assicurano una propria
presenza sui media e la possibilità di raggiungere il grande pubblico.
Le realtà organizzative rappresentano le fonti di primo livello, ufficiali e primarie con competenza specifica.
Comprendono figure della pubblica amministrazione, assessori, sindaci, magistrati, funzionari del governo
ecc.
Le fonti di primo livello si dotano di uffici stampa interni o esterni che curano i rapporti con i giornalisti
(fiducia reciproca). Esse sono attendibili proprio a causa della loro ufficialità e non necessitano di una
contro-prova.
Le fonti di secondo livello sono quelle la cui attendibilità è affidata alla citazione giornalistica. Ad esempio
far parlare l’uomo che ha partecipato ad un evento è decisione dello stesso giornalista. Esse devono essere
sempre verificate e diventano efficaci se sono messe in relazione con altre fonti.
Le fonti indirette producono un prodotto già confezionato, le agenzie di stampa gestiscono la circolazione
delle notizie e di tutto ciò che accade nel mondo. Sono imprese pubbliche o private che raccolgono,
elaborano e distribuiscono a pagamento le informazioni sia generali che di settore e informazioni
specializzate. Le agenzie di stampa sono enti complessi che assolvono più funzioni (es. ANSA). Lo scopo
delle agenzie di stampa è diminuire il costo delle notizie, fare in modo che i prodotti arrivino già confezionati
al maggior numero di testate giornalistiche e radio televisive.
Vi sono dei criteri che possiede l’evento che lo rendono atto ad essere notiziabile (distribuibile all’opinione
pubblica). In una redazione vi sono raccolte migliaia di storie, di cui solo una minima parte trova spazio. Ha
luogo da parte dei giornalisti un’operazione di filtraggio, essa è regolata da quelli che vengono chiamati i
valori-notizia o criteri-notizia. Questi sono le regole pratiche comprendenti un corpus di conoscenze
professionali che implicitamente e spesso esplicitamente spiegano e guidano le procedure lavorative
redazionali. Sono criteri per selezionare elementi degni di essere inclusi nel prodotto che verrà divulgato.
I valori e criteri-notizia secondariamente funzionano come linee guida suggerendo cosa va enfatizzato, cosa
va messo ai margini e cosa va omesso. Questi criteri hanno delle caratteristiche:
• devono essere applicabili facilmente e velocemente
• devono essere flessibili per potersi adattare agli eventi disponibili che arrivano inaspettatamente
• devono essere relazionabili e comparabili tra di loro (c’è sempre un nesso fra le varie notizie)
• devono essere facilmente razionalizzati cosicché se è necessario che una notizia sia rimpiazzata da
un’altra sia disponibile un motivo accettabile per farlo
• devono essere efficienti con il minimo dispendio di tempo, sforzo e denaro
Una redazione tende a prediligere notizie di eventi recenti, semplici da comunicare, chiare, comprensibili per
una determinata collettività, vicine sia in termini geografici che culturali, capaci di incidere sugli interessi del
paese, che hanno come protagonisti l’élite della società o istituzioni importanti. Accanto a questi criteri
vengono selezionate notizie ed eventi che coinvolgono un alto numero di persone, che magari coinvolgono
delle conseguenze pratiche su cui si può avere un proseguo, che esprimono human interest ma anche eventi
inaspettati con conseguenze negative e drammatiche.
La concorrenza diventa un valore notizia.
Il buco è quella notizia trattata da una sola redazione e tralasciata da tutte le altre.
Vi sono nel mondo del giornalismo fenomeni come quello della distorsione involontaria, che non è un
meccanismo cosciente di poca professionalità ma un evento endogeno alla produzione della notizia (fatti
ambigui, raccontati in modo diverso). Per ridurli in notizie è necessaria una de-contestualizzazione per essere
ri-contestualizzati in un format opportuno.
Vi sono degli esempi di distorsione involontaria di notizie, per esempio estendere la trattazione di un evento
attraverso l’applicazione di stereotipi o l’uso di generalizzazioni che partono dal caso specifico trattato ma si
tratta sempre di stereotipi e generalizzazioni. Un altro es. è quello di selezionare un evento non
particolarmente interessante per riempire uno spazio vacante di una sezione. O ancora titolare in modo non
corrispondente i contenuti della notizia obbedendo alle regole del sensazionalismo, del clamoroso, a causa
anche delle tempistiche della macchina redazionale che magari non consentono un approfondimento. O
ancora introdurre materiale visivo che non è appropriato per attirare l’attenzione o per la mancanza di foto
inerenti al tema.
La stessa trattazione delle notizie deve seguire una routine produttiva perché non sarebbe possibile cogliere
l’evento nella sua multi-dimensionalità e proporlo con i dovuti dettagli, una molteplicità di punti di vista ecc.

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