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L’industria rurale e la manifattura
In questo secolo, andò affermandosi un nuovo metodo di produzione che portò alla crisi delle corporazioni
medievali: l’industria rurale (o a domicilio). Essa trovava il punto di riferimento nella figura del mercante-
imprenditore, dato che quest’ultimo provvedeva all’acquisto della materia prima che veniva poi distribuita
ai contadini incaricati di lavorarla; fatto ciò, il mercante riacquistava il prodotto finito per poi venderlo in
prima persona. Pertanto, le corporazioni andarono incontro ad un periodo di crisi, poiché non riuscivano a
rispondere all’aumento della domanda di beni, causato dall’incremento demografico: i rigidi statuti delle
corporazioni, infatti, stabilivano anche la quantità dei prodotti.
Tuttavia, questo nuovo sistema produttivo presentava alcuni limiti. Innanzitutto, le competenze richieste
dovevano essere limitate e i macchinari da utilizzare semplici, poiché i contadini non erano operai
specializzati nella realizzazione dei prodotti richiesti. Inoltre, costoro non erano disposti a dedicare troppo
tempo a questa nuova attività, sottraendolo al lavoro nei campi che rimaneva la loro attività principale.
Con il passare del tempo, però, alcuni contadini iniziarono a dedicarsi unicamente alla nuova attività, dando
vita alla nuova figura dell’operaio. Il mercante-imprenditore, quindi, trasferì il lavoro al di fuori delle case
dei contadini in nuovi locali adibiti al lavoro artigianale: le manifatture.
Nella classe borghese, cui i mercanti-imprenditori appartenevano, cominciò a svilupparsi un’etica del
lavoro che vedeva in esso un valore positivo, poiché il guadagno derivava dal merito e non dalla rendita,
come accadeva per i nobili. L’imprenditoria, infatti, ricavava il proprio profitto dal lavoro tramite un sistema
capitalistico, che prevedeva il reinvestimento del denaro ricavato dalla vendita delle merci. Tale sistema
era già stato avviato con il fenomeno delle enclosures in Inghilterra, poiché si passò da un’agricoltura di
sussistenza ad una di profitto (capitalistica) vendendo il surplus delle merci.
LA PRIMA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Le premesse e le cause
Con l’espressione “prima rivoluzione industriale” si intende la trasformazione economica, iniziata in
Inghilterra nella seconda metà del Settecento, con cui è mutato il sistema di produzione e di distribuzione
dei beni. Il lavoro umano, infatti, fu sostituito sempre più da quello delle macchine, più veloci ed efficienti,
che vennero inventate in questo periodo.
La prima rivoluzione industriale fu un evento relativamente breve, poiché in pochi decenni si svilupparono,
in Inghilterra, i mezzi con cui attuarla. Negli altri Stati, la rivoluzione fu ancora più rapida, anche se iniziò
successivamente, dato che i mezzi erano già stati messi a punto in Gran Bretagna e, pertanto, la loro
diffusione diede inizio al cambiamento anche nelle altre nazioni europee.
Le cause della rivoluzione sono da ricercarsi in eventi avvenuti all’inizio del Settecento o addirittura nel
secolo precedente. Infatti, con la nascita dell’industria rurale e, in seguito, delle manifatture, alla
manodopera dell’uomo subentrò l’azione delle macchine che permettevano l’aumento della produttività.
Inoltre, per quanto riguarda la collocazione geografica della prima rivoluzione industriale, l’Inghilterra fu
favorita da una serie di fattori. Innanzitutto, fu decisivo l’incremento demografico che caratterizzò il XVIII
secolo e che fece aumentare la domanda di beni. Essa venne soddisfatta dalla grande trasformazione
agricola dovuta al fenomeno delle enclosures, con cui si passò da una produzione di sussistenza ad una
commerciale. Questa nuova forma di agricoltura, grazie all’abbondanza di beni commerciabili, a sua volta
fece nascere la gentry, una classe sociale economicamente adatta allo sviluppo dell’industrializzazione,
data la mentalità imprenditoriale. A questi fattori vanno aggiunte la forza commerciale inglese – che dalle
colonie ricavava un’ingente quantità di materie prime, come il cotone –, la presenza di miniere e di
giacimenti carboniferi e la stabilità politica della monarchia parlamentare (non più assoluta), che portò ad
una pace sociale mai raggiunta prima.
La rivoluzione in Inghilterra
Il settore che maggiormente si sviluppò in Inghilterra fu quello tessile ed è proprio in questo campo che la
rivoluzione ebbe inizio. I tradizionali processi di filatura e tessitura, infatti, dovettero far fronte all’aumento
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della domanda e, pertanto, filatori e tessitori svilupparono innovazioni tecniche volte ad aumentare la
produttività.
Una prima innovazione nell’ambito della tessitura fu la cosiddetta “spoletta volante”, inventata da John
Kay, che permise di velocizzare notevolmente questa fase del settore tessile. Tale velocizzazione fece
incrementare la domanda di filato e stimolò i filatori a soddisfare la richiesta tramite altre innovazioni
tecniche. Furono, infatti, inventate la spinning jenny e la mule jenny, macchine filatrici sempre più veloci e
produttive, a tal punto che si arrivò ad un eccesso di filato. A loro volta, quindi, i tessitori furono spronati a
ricercare nuove invenzioni per velocizzare la tessitura: fu inventato, infatti, da Edmund Cartwright, il telaio
meccanico, che accelerò ulteriormente la fase della tessitura.
Tuttavia, l’invenzione centrale della prima rivoluzione industriale fu la macchina a vapore dello scozzese
James Watt, con la quale fu possibile trasformare il calore, ricavato dal carbone, in energia meccanica e
migliorare straordinariamente le prestazioni dei macchinari: la manodopera sia umana che animale che
naturale (quale quella eolica o idrica) fu, quindi, definitivamente sostituita dalle macchine. Le macchine a
vapore furono impiegati in vari settori industriali a tal punto che fu necessaria la nascita di un’industria che
producesse tali macchine, l’industria meccanica.
Si andò, quindi, a formare un circolo virtuoso tra industria meccanica, mineraria e siderurgica in cui le tre
industrie si autoalimentavano a vicenda, poiché lo sviluppo dell’una favoriva lo sviluppo delle altre.
L’industria meccanica, infatti, necessitava del carbone per far funzionare le macchine a vapore e
dell’industria siderurgica per costruirne i componenti. A sua volta, l’industria siderurgica, negli altiforni,
aveva bisogno di macchine a vapore per il sufflaggio dell’aria necessario per alimentare il carbone, usato
come combustibile, proveniente dall’industria mineraria. Quest’ultima, infine, esigeva la presenza di
macchine a vapore per togliere l’acqua dalle miniere.