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1) Quali furono i fattori che determinarono la crescita industriale che avvenne a partire da metà
Ottocento
La crescita più intensa nell’industria si registrò tra il 1850-1870 (1 Rivoluzione Industriale), quando tutta
l’economia europea conobbe una fase di forte espansione e di cambiamento, caratterizzata dalla crescita
dei salari, dei prezzi e dei profitti. Interessò soprattutto la Francia del II Impero e la Germania sulla strada
dell’unificazione (“nuove potenze industriali”). In questi anni si diffusero nell’Europa continentale le
innovazioni che mezzo secolo prima avevano reso possibile la Rivoluzione Industriale in Inghilterra:
Macchina a vapore al posto della ruota idraulica, i filatoi e i telai meccanici sostituirono quelli
manuali, il combustibile minerale, carbone-coke si sostitui al carbone di legna, aumentando la
potenza in cavalli vapore delle macchine fisse per l ‘industria.
Dopo il 1849 furono aboliti gli ordinamenti corporativi che regolavano l’esercizio dei mestieri e
riducevano la mobilità del lavoro
Furono cancellate leggi che riducevano il prestito a interesse, ridotte le penne per chi contraeva
debiti o realizzava fallimenti
Fu perfezionata la disciplina dei brevetti e si diffuse l’uso della carta moneta e degli assegni.
Tutte le potenze europee, Russia inclusa, conclusero una serie di trattati commerciali che
prevedevano una forte riduzione delle tasse doganali, avviando il libero scambio.
Dopo il 1850, con la scoperta di giacimenti minerari in Francia e Germania, c’era più disponibilità di
materie prime e fonti energetiche (minerali ferrosi e carbone).
Lo sviluppo dei mezzi di trasporto (ferrovie e navi a vapore) consentì un trasporto rapido delle
merci e una libera dislocazione dei centri di produzione
Sviluppo dei mezzi di comunicazione con la diffusione del telegrafo elettrico, velocizzando scambio
di comunicazioni diplomatiche, di ordini militari; rivoluzionando anche il settore del giornalismo
La scoperta di giacimenti d’oro in California provocò un aumento della circolazione monetaria,
abbassamento dei tassi d’interesse. Nacquero le “banche d’affari” / ”banche d’investimento”
2) Quali furono le cause che determinarono l’avvio della II Rivoluzione industriale? Quando ebbe
luogo? In quali nazioni?
Fra il 1870 e la I Guerra Mondiale l’industrializzazione subì una profonda trasformazione, tanto che molti
storici la definiscono come la II Rivoluzione Industriale (età dell’acciaio con la Torre Eiffel come simbolo). In
questo periodo si stabilì un’alleanza strettissima tra scienza, tecnica e industria. Le scoperte scientifiche di
questi anni (la dinamo, il motore a scoppio, la lampadina, procedimenti per il trasporto dell’energia
elettrica, ricerche di chimica sintetica, fabbricazione di acciai speciali) aprirono possibilità illimitate alla
produzione industriale. Cambiarono anche le gerarchie delle potenze industriali: La Gran Bretagna venne
superata dalla Germania e dagli Stati Uniti. Lo stretto legame di interdipendenza tra banche e imprese,
quindi tra industria e finanza, divenne il fulcro vitale del sistema economico di questo periodo (le banche
detenevano quote cospicue di azioni delle industrie e gli industriali erano spesso presenti nei consigli di
amministrazione delle banche). Le classi dirigenti e governative si allontanarono dai principi del libero
scambio per “proteggere” la produzione interna, quindi per far crescere le proprie industrie nazionali
(soprattutto attraverso l’introduzione di più alte tariffe doganali).
3) Cosa si intende per capitalismo finanziario?
Lo stretto legame di interdipendenza tra banche e imprese, quindi tra industria e finanza, divenne il fulcro
vitale del sistema economico di questo periodo (le banche detenevano quote cospicue di azioni delle
industrie e gli industriali erano spesso presenti nei consigli di amministrazione delle banche). Gli economisti
marxisti definirono questo intreccio come capitalismo finanziario.
Esercitazione lezione n. 3
1)In cosa consistette il fenomeno dell’urbanesimo?
Nell’Europa dell’Ottocento, di pari passi al processo dell’industrializzazione si avviò quello dell’urbanesimo,
spopolando le campagne e sovraffollando le città. Tra il 1850 E 1880 il numero delle “grandi città” (un
centro con almeno 100.00 abitanti) era doppio. Le persone si spostavano più facilmente grazie alla
rivoluzione dei trasporti ed erano mossi dalle molteplici occasioni di lavoro nelle città. Il risultato fu
l’espansione delle malattie infettive (il colera), quindi alti livelli di mortalità.
2)Che cosa si intende con l’espressione “città moderna”? Descrivere quale fu la nuova fisionomia
acquisita dalle città in Europa nel corso del 1800 mano a mano che il processo di
industrializzazione avanzava.
A causa dei vari disaggi negli anni 50 e 60 dell’Ottocento si registrò in quasi tutte le grandi città europee la
messa in atto dei primi interventi di politica pubblica. Le prime iniziative erano rivolte a risolvere il
problema dell’igiene, si intervenne per facilitare le comunicazioni e gli spostamenti nelle aree urbane,
quindi furono ricostruite reti fognarie e per l’approvvigionamento idrico, strade in gran parte lastricate e
quartieri della periferia illuminati e furono organizzate le prime reti di trasporto pubblico. Comunque con la
“città moderna” i ceti popolari furono allontanati dai centri storici (costruiti intorno alle stazioni ferroviarie,
la borsa, i centri commerciali, il tribunale, la cattedrale, il municipio, la piazza del mercato) che erano abitati
dalla classe borghese. Nella città moderna la distinzione sociale si traduceva in separazione fisica, di luogo
(periferie operaie sovraffollate, malsane, mancanti di servizi e quartieri residenziali dei borghesi, in zone
verdi e dotate dei primi servizi: acqua corrente e riscaldamento centralizzato).
3)Cosa si intende con l’espressione “coscienza di classe”?
La precarietà, che caratterizzava la vita dei lavoratori, risultava in forte contrasto con la prosperità e il
benessere dei ceti borghesi. Questa condizione fa sì che i lavoratori si trovassero a parlare, discutere e
condividere preoccupazioni comuni (orari lunghi e duri di lavoro, disagiate condizioni di vita ecc) all’interno
e all’esterno dei luoghi di lavoro, maturando cosi “una coscienza di classe” (= consapevolezza di vivere una
condizione di vita e di lavoro comune insieme ad una volontà di riscatto, di unirsi per cambiare la propria
misera condizione di sfruttamento, di subordinazione). Nacquero movimenti operai e organizzazioni
sindacali in tutta l’Europa.
Esercitazione lezione n. 4
1) Cosa si intende per concezione materialistica della storia?
Il materialismo storico, che fu caratteristico di Marx, secondo il quale i rapporti di produzione sono la base
della struttura sociale, delle forme politiche e degli orientamenti culturali: “non è la coscienza che
determina la vita – affermava Marx – ma la vita che determina la coscienza”, e la vita reale era quella
dell’uomo nella società civile, cioè nel quadro “delle relazioni materiali fra gli individui all’interno di un
determinato grado di sviluppo delle forze produttive”. La storia, dunque, - secondo Marx- non è che la
storia dei rapporti di produzione, e le idee dominanti sono sempre le idee della classe dominante, cioè della
classe che ha a propria disposizione i mezzi della produzione materiale. Nel 1847, “La Lega dei comunisti”
conferìa Marx ed Engels il compito di scrivere il “Manifesto”, nel quale Marx giunse ad elaborare la sua
dottrina (il materialismo storico). Il motivo base del materialismo storico consisteva, come abbiamo visto,
nel fatto che la storia era governata da fattori materiali e che questi fattori erano di carattere economico
cosicché la storia era basata sull’economia e il resto (relazioni politiche, giuridiche, arte, religione ecc.)
costituiva la “sovrastruttura”.
2) Cosa è la Lega dei Giusti?
Lega dei Giusti è la prima organizzazione internazionale comunista (che aveva sezioni in Germania, Francia,
Svizzera, Ungheria, Scandinavia). Marx ci aderì nel 1846, che poi nel 1847 divenne La Lega dei comunisti
3) Quali furono i riferimenti ideali di Marx?
Marx giunse ad elaborare la sua dottrina (il materialismo storico) attraverso lo studio e la critica delle
elaborazioni teoriche più avanzate della cultura del suo tempo: il pensiero di Hegel (Marx da Hegel riprese
la concezione per cui la storia era guidata da un principio razionale e che il procedere della storia nei suoi
mutamenti continui avveniva secondo conflitti dialettici), gli economisti classici inglesi (da Smith e Ricardo
Marx riprese l’analisi e la descrizione dei meccanismi di funzionamento dell’allora nascente capitalismo
moderno), e il socialismo francese (approvò gli elementi di critica espressi verso l’ordinamento sociale
esistente ma evidenziò che nessuno di loro era riuscito a individuare nello sviluppo capitalistico stesso il
motivo, la radice del suo superamento.).
4) Quali erano le contraddizioni del capitalismo secondo Marx?
Marx individuava la principale contraddizione del sistema capitalistico-borghese nel fatto di aver creato, da
un lato, nuovi e potenti mezzi di produzione e di aver fatto emergere una nuova classe di produttori (il
proletariato industriale) dall’altro, di ostacolare la piena utilizzazione di questi mezzi, il loro sviluppo
ulteriore ed il loro utilizzo a favore di tutta la società. Il meccanismo del profitto capitalistico che arricchiva
una parte a scapito dell’altra, si rivelava contrario agli interessi della maggioranza dei produttori. In base a
questa logica di funzionamento del sistema capitalistico che la borghesia aveva creato, essa stessa aveva
fatto emergere le forze sociali che le si sarebbero rivolte contro, determinando la fine della sua posizione di
predominio. La borghesia perseverando nel suo compito di diffondere l’industria, mantenendo il suo ritmo
incessante nel rivoluzionare gli strumenti della produzione, dava vita ad un mercato internazionale sempre
più vasto, creando così essa stessa i presupposti per il socialismo stesso; con le catastrofi create dalla
concorrenza, dal succedersi delle crisi economiche e sociali, con i conflitti tra gli stati, con il crescente
sfruttamento del proletariato denunciava il carattere sempre più antisociale del proprio dominio sulla
società e faceva emergere non solo l’aspirazione ad una nuova società, ma anche una crescente
opposizione di classe degli operai, una loro coscienza internazionalistica e la loro solidarietà in tutti i paesi
del mondo.
Esercitazione lezione n. 5
1)A chi si riferiva Marx con l’espressione “classe proletaria”? Quale funzione aveva la classe
proletaria nel suo pensiero?
Con l’espressione “classe proletaria” identificava la classe che era sorta dall’affermarsi del sistema di
produzione industriale e che dunque era interessata all’ulteriore sviluppo delle forme moderne di
produzione e non ad un regresso, ad un ritorno indietro. L’interesse e la causa dei proletari erano gli stessi
in tutto il mondo, risultanti dalla medesima condizione lavorativa e quindi potevano essere condivisi e
perseguiti su scala mondiale; questo dato oggettivo rappresentava, secondo Marx, anche la condizione
indispensabile del successo della lotta rivoluzionaria che il proletariato avrebbe dovuto intraprendere, di
qui l’invito e l’esortazione che concludeva Il Manifesto “proletari di tutti i paesi unitevi!”. Marx aveva così
tracciato per il proletariato europeo un programma rivoluzionario da concretizzarsi nel breve periodo,
teorizzando le prime linee di una nuova concezione di socialismo. Nel Manifesto Marx proponeva e
impostava infatti anche un programma politico per il proletariato, soggetto protagonista della rivoluzione,
che decretando l’abolizione della proprietà privata, cioè borghese, avrebbe portato ad un nuovo e diverso
assetto delle forme della produzione e ad un nuovo, diverso e corrispondente ordinamento sociale.
2)Quali erano i contenuti della Critica al Programma di Gotha sviluppata da Marx?
Nella Critica al programma di Gotha (1875) Marx tornò ad indicare più chiaramente come intendeva il
processo di costruzione della società comunista: il proletariato doveva fare la rivoluzione e abbattere
violentemente l’ordinamento sociale borghese esistente “tra la società capitalista e la società comunista vi
è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad essa corrisponde anche un periodo
politico di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato” o
dittatura del proletariato, cioè una fase di transizione in cui il potere politico era nelle mani dei lavoratori
impegnati nella costruzione della società senza classi e senza Stato (comunismo). Detenendo il potere
avrebbe avuto la possibilità di agire liberamente nella riorganizzazione dei rapporti di proprietà e di
produzione della società capitalistica e avrebbe potuto mettere in atto interventi dispotici nel caso la
situazione lo avesse richiesto (espropriazione della proprietà fondiaria, sequestro di aree produttive ecc) .
Questa fase transitoria di poteri straordinari del proletariato sarebbe terminata quando si sarebbero create
le condizioni necessarie per la gestione comunista della società. Con la dittatura del proletariato si sarebbe
esaurita anche la funzione principale dello Stato concepito nella prospettiva marxista, cioè quella del
dominio di una classe sull’altra. Infatti il proletariato, riuscendo ad impadronirsi del controllo dello Stato,
per la prima volta nella storia avrebbe realizzato un’oppressione della maggioranza popolare sulla
minoranza (borghesia) continuando a servirsi dello Stato come strumento di oppressione di classe. Una
volta dissolte le condizioni che determinavano la divisione in classi della società (cioè il modo di produzione
capitalista) la dittatura del proletariato come dittatura di classe avrebbe cessato la sua ragione di essere,
come lo Stato (in quanto strumento di dominio di classe). Questo processo avrebbe portato alla fase del
“superamento dello Stato” ed alla sua estinzione, condizione essenziale per il comunismo.
3) Perché alla concezione di socialismo elaborata da Marx si attribuisce la qualifica di “scientifico”?
Cosa si intende con l’espressione “socialismo scientifico”?
Dopo il fallimento dei moti rivoluzionari del ‘48 Marx, in esilio a Londra, riformula le sue teorizzazioni,
riconsidera il problema della rivoluzione in senso più problematico e complesso. A Londra Marx, grazie
anche al sostegno finanziario di Engels, si dedicò agli studi di economia politica e proprio l’analisi
economica caratterizzò la sua concezione di socialismo cosiddetto “scientifico” perché risultante da uno
studio scientifico, da un’analisi economica condotta sul sistema di produzione e distribuzione capitalistico.
La pubblicazione del “Capitale” segnò una svolta fondamentale nella storia del movimento operaio e in
generale nella cultura occidentale. Per la prima volta si prospettava l’avvento del socialismo non come un
sogno utopico di un mondo migliore, il cui concretizzarsi si collegava al buon esito di un’azione
insurrezionale ma come il risultato di leggi scientifiche attraverso le quali si svolgeva lo sviluppo economico
e come il frutto dell’azione cosciente della classe proletaria organizzata. Il socialismo per la prima volta
acquisiva le sembianze di “necessità storica” diveniva una previsione ricavata da un’analisi scientifica.
Marx appariva come colui che aveva indicato nella classe proletaria la protagonista sociale del processo
rivoluzionario in atto, ma anche come lo studioso di economia che, attraverso un’analisi scientifica delle
leggi e dei meccanismi propri dell’economia capitalistica, era riuscito a rivelarne le contraddizioni, si
presentava cioè come lo studioso che nel settore delle scienze sociali aveva portato una nuova verità. Di
tutta l’articolata e complessa analisi svolta da Marx proprio questo aspetto di scientificità riuscì a permeare
più profondamente la cultura del movimento operaio. Proprio questo carattere scientifico consentì al
marxismo di affermarsi, accordandosi progressivamente e fondendosi con le altre teorie socialiste che
avevano ispirato il movimento operaio, sino ad imporsi come la dottrina ufficiale del movimento operaio.
Esercitazione lezione n. 6
1) Cosa erano le società operaie di mutuo soccorso? Da chi erano formate?
Fino ai primi anni ‘70 dell’Ottocento il solo tipo di organizzazione operaia con una certa diffusione in Italia
era quella rappresentata dalle società operaie di mutuo soccorso in parte controllate dai mazziniani (che
rifiutavano la lotta di classe, auspicando una solidale collaborazione fra i “ceti produttori” – industriali e
lavoratori- che Mazzini contrapponeva ai “ceti oziosi” – aristocratici, monarchici, burocrati e esponenti del
clero) in parte gestite da esponenti moderati. Esse erano state concepite come strumenti di educazione
politica del popolo, con scopi anche di mutuo aiuto e solidarietà fra i lavoratori, che rigettavano però la
lotta di classe ed escludevano quindi il ricorso allo sciopero, ritenuto strumento dannoso.
2) Quando venne costituita la I Associazione Internazionale dei Lavoratori? Da chi era composta?
A quali esigenze rispondeva?
La I Associazione Internazionale dei Lavoratori (o I Internazionale) avvenne nel 1864 a Londra, diretta da un
Comitato composto da inglesi, francesi, tedeschi (fra i quali Marx), polacchi e svizzeri. La I Internazionale
riunì quindi diverse componenti tra loro (riformista, mazziniana, marxista, anarchico-libertaria legata alle
figure di Proudhon e di Bakunin), rispondendo anzitutto all’esigenza di stabilire una forma di raccordo
internazionale tra il movimento operaio che andava formandosi nei vari paesi, assumendo diverse forme
organizzative e indirizzi ideali. Le delegazioni più numerose presenti a Londra erano quella inglese,
costituita dai dirigenti delle Trade Unions, di tendenza riformista, e quella francese dove predominavano i
proudhoniani, che si riconoscevano in un indirizzo anarchico-mutualistico, ma all’interno della quale erano
presenti anche i blanquisti (che si richiamavano a Louis Blanqui fautore di una linea di comunismo
insurrezionista). Le società operaie italiane erano rappresentate da un delegato di Mazzini, sostenitore
dunque di un indirizzo di radicalismo democratico non socialista. Alla riunione erano presenti poi seguaci
del russo Bakunin, anarchico e rivoluzionario, e sostenitori del “socialismo scientifico” di Marx ed Engels.
L’Indirizzo Inaugurale della I Internazionale (elaborato da Marx) affermava così, già la necessità
dell’autonomia del movimento operaio internazionale dalla democrazia borghese e metteva in primo piano
la lotta contro lo sfruttamento di classe. Nella seconda metà dell’Ottocento lo sviluppo
dell’industrializzazione aveva determinato sul piano europeo un rafforzamento della classe operaia,
quantitativo, cioè sul piano numerico, e qualitativo, cioè relativo alla forza e compattezza della classe
lavoratrice.
In quasi tutti i paesi europei più importanti la classe operaia avvertiva l’esigenza di poter esprimere la
propria voce in merito ai principali avvenimenti politici e sociali, di poter far valere una posizione autonoma
e distinta anche da quella delle borghesie democratiche.
3) Quale era il programma dell’Associazione Generale degli Operai Tedeschi? Da chi venne
fondata e quando?
In Germania nel 1863 era stata fondata da Ferdinand Lassalle l’Associazione Generale degli Operai Tedeschi,
sulla base di un programma che, diversamente da quanto indicato da Marx (il quale proponeva che il
proletariato in una prima fase della sua lotta rivoluzionaria potesse collaborare con la borghesia a fini
antireazionari) rivendicava l’autonomia dei lavoratori dalle formazioni politiche borghesi, considerate
espressione di una classe, la borghesia, che si riteneva costituire un unico e indistinto blocco reazionario.
Lassalle concepiva lo Stato (ancora in contrasto con Marx) come l’istituzione che rappresentava gli interessi
generali sovrapponendosi alla società civile e in opposizione alla borghesia liberale propugnava il suffragio
universale.
4) Quali furono le motivazioni che spinsero Andrea Costa ad adottare una nuova strategia
espressa poi nella lettera “Ai miei amici di Romagna” del 1879?
Nel 1879 indirizzò una lettera “Ai miei amici di Romagna” , cioè ai suoi compagni internazionalisti anarchici,
con la quale annunciava di sposare una nuova via e una nuova strategia per continuare a perseguire il mito
della nuova società. Nella lettera, ribadì immutata la fede negli obiettivi del comunismo anarchico e quindi
nell’irrinunciabile rivoluzione, ma indicava la necessità di individuare nuovi strumenti e diverse modalità
d’azione per realizzarla. Il ripensamento di Costa traeva origine, non solo dalla considerazione del
susseguirsi fallimentare dei tentativi insurrezionali registratisi in Italia, ma anche dalla presa d’atto dei
crescenti successi conseguiti da vari soggetti e realtà del socialismo evoluzionista europeo sul piano politico
elettorale. Una certa attenzione era indirizzata ad esempio alla socialdemocrazia tedesca, che anche negli
anni seguenti sarà un riferimento per il nascente Partito Socialista Italiano.
5) Quando nacque il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna? Da chi era composto? Qual era
il suo programma?
Nel 1881 durante un congresso clandestino svoltosi a Rimini, a cui parteciparono circa 40 delegati
romagnoli, dette vita al Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna.
Nel programma si confermava l’ipotesi finale della rivoluzione, ma al tempo stesso si proponeva una
strategia evoluzionista orientando di fatto l’attività del partito sulla propaganda popolare, sulla
promozione dell’organizzazione sindacale e cooperativa dei lavoratori sulla partecipazione alla lotta
amministrativa e politica. La composizione sociale del partito era di ceti artigiani, piccola borghesia
e lavoratori manuali. La vicenda del Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna rappresentò una
svolta perché per la prima volta si ammetteva la partecipazione a competizioni politico elettorali.
Andrea Costa divenne il primo deputato socialista nella storia del Parlamento Italiano.
Il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna rimase sostanzialmente una formazione a carattere
regionale, sprovvista di legami con i gruppi operai più consapevoli e maturi che andavano
costituendosi per lo più in Lombardia.
Esercitazione lezione n. 7
1)Quali caratteri ebbe la I Internazionale dei lavoratori?
La I Internazionale dei Lavoratori (Londra,1864) ebbe una vita molto tormentata soprattutto per la
diversità delle sue varie componenti. L’Associazione dispiegò un’attività che consistette soprattutto nel
dare vita a forme diverse di sostegno alle battaglie dei lavoratori (solidarietà politica, organizzazione di
collette a sostegno degli scioperi, appoggio nella creazione di nuove organizzazioni) tanto da venire
presto percepita dai governi e dalle classi dirigenti di tutta Europa come una minaccia pericolosa. Il
contrasto fra le sue diverse componenti oppose dapprima (tra il 1866 e il 1869) proudhoniani e marxisti;
Marx riuscì infine ad affermare le sue tesi, secondo le quali i lavoratori per difendere i loro diritti
dovevano fare ricorso alla lotta di classe e servirsi dello strumento dello sciopero, far valere la propria
forza per conquistare miglioramenti della propria condizione di vita e di lavoro, intervenire sulla scena
politica, perseguire il fine della conquista del potere politico quale premessa per concretizzare la
socializzazione dei mezzi di produzione. Una volta superato il proudhonismo, la corrente marxista si
scontrò con la corrente di Bakunin; il contrasto tra le due correnti si consumò fra il Congresso di Basilea
dell’Associazione, nel 1869, e il Congresso dell’Aja, nel 1872, con una durezza tale da portare alla fine di
fatto della I Internazionale che fu sciolta formalmente però solo nel 1876. La durata effettiva
dell’Associazione fu quindi di 12 anni; nonostante potesse vantare una larga adesione in tutta Europa la
sua azione pratica non riuscì ad avere grande incisività.
2)Quali caratteri ebbe la II Internazionale dei lavoratori?
Oltre le differenti forme organizzative, gli orientamenti ideologici e i differenti contesti nazionali in cui si
trovarono ad operare, tutti i partiti operai europei si muovevano su una piattaforma comune: 1) il loro
obiettivo era il superamento del sistema capitalistico e il governo sociale dell’economia; 2) avevano un
orientamento internazionalista e pacifista; 3) tutti erano favorevoli alla partecipazione alla lotta politica nei
rispettivi paesi e operavano per dotarsi di una base di massa fra i lavoratori; 4) il loro comune riferimento
era un’organizzazione socialista internazionale erede di quella che aveva cessato di vivere negli anni ‘70
dell’Ottocento. L’occasione per la creazione della II Internazionale fu data dal contemporaneo svolgimento
a Parigi di due Congressi organizzati per celebrare il centenario della presa della Bastiglia il 14 luglio 1889
(uno indetto dalle Trade Unions inglesi e l’altro dai socialisti marxisti francesi, all’interno di quest’ultimo si
proclamò 1 maggio come “festa dei lavoratoti” grazie alla conquista negli stati uniti delle 8 ore lavorative,
diventato obiettivo di tutte le organizzazioni socialiste). A differenza della I Internazionale, che aveva
ambito ad essere una sorta di centrale dirigente della classe lavoratrice di tutto il mondo, la II
Internazionale appariva assai di più come una federazione di partiti nazionali autonomi e sovrani. fra i quali
il Partito socialdemocratico tedesco, che per la sua forza assunse una posizione di grande rilievo. Nel 1900
la II Internazionale si dotò di propri organi: si costituì allora una Segreteria Internazionale e un Comitato
Interparlamentare. All’interno della II Internazionale fu la tendenza marxista a prevalere e negli incontri
successivi a quelli di fondazione (al Congresso di Londra del 1896) fu decisa l’espulsione di quelle correnti
anarchiche, fino ad allora tollerate, che rifiutavano a priori la partecipazione all’attività politico-
parlamentare, per cui si può dire che essa risultò composta di due principali correnti: una marxista
rivoluzionaria e una riformista.
3)Quale fu il modello di partito socialdemocratico? Quando si affermò e dove?
Alla fine dell’Ottocento, nei principali paesi europei si formarono partiti socialisti che si organizzavano sul
piano nazionale e che affiancavano alla propaganda rivoluzionaria anche un’azione legale, che si
proponevano di svolgere all’interno delle istituzioni nazionali, con la partecipazione alle elezioni e l’invio di
rappresentanti in Parlamento, e anche attraverso la promozione di un’attività d’organizzazione e di
propaganda sindacale svolta fra i lavoratori. In tal modo furono i partiti socialisti che per primi proposero e
dettero forma al modello del “partito di massa” che si sarebbe imposto come forma di organizzazione
politica più diffusa nelle democrazie europee. Il modello per tutti fu quello socialdemocratico tedesco nato
nel 1875 che adottò il marxismo come dottrina ufficiale.
Esercitazione lezione n. 8
1)Illustrare la distinzione tra interpreti ortodossi e revisionisti del pensiero di Marx
In seguito al forte sviluppo dell’industria, avvenuto dopo il 1895 -96, che nei paesi più progrediti condusse
ad un marcato miglioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, specialmente i più qualificati, il
movimento operaio e socialista venne dividendosi fra revisionisti e marxisti ortodossi. I “revisionisti”
erano coloro che promuovevano una revisione della concezione rivoluzionaria marxista alla luce dei
mutamenti verificatisi nella situazione politica e sociale. Essi ritenevano che l’essenza della battaglia
socialista consistesse nella mobilitazione e nell’azione operaia per ottenere riforme, mutamenti graduali,
spazi crescenti per i lavoratori nelle istituzioni esistenti che servissero a realizzare una democratizzazione di
esse, rimandavano la realizzazione del socialismo in un tempo futuro e indeterminato; i “marxisti
ortodossi” invece consideravano pericolose queste derive legalitarie e parlamentaristiche rivelate da una
parte del movimento operaio; volevano mantenersi fedeli all’ortodossia marxista che ritenevano l’originaria
ispirazione rivoluzionaria del marxismo. Consideravano quindi le riforme e le lotte nelle istituzioni esistenti
solo come mezzi preparatori all’azione rivoluzionaria vera e propria.
2)Chi era Eduard Bernstein? Quali erano le sue tesi riguardo all’interpretazione del marxismo?
Come Marx, Bernstein partiva dall’osservazione diretta della condizione operaia, che, nella Germania del
suo tempo, si rivelava in netto miglioramento.
L’essenza del revisionismo di Bernstein può essere individuata nella sua considerazione che una parte
importante della dottrina di Marx non avesse carattere scientifico, cioè non si basasse sulla constatazione
di fatti, ma configurasse in realtà un’imponente costruzione teorica nel quale Marx aveva piegato i fatti alle
proprie esigenze dottrinarie. Secondo Bernstein i fattori economici non erano determinanti per la storia e
per la società, dando importanza ai fattori morali ed etici; respingeva il concetto di plusvalore (il valore
consisteva nell’utilità del prodotto e non nella quantità di lavoro); il proletariato non si impoveriva, ma
migliorava lentamente la sua condizione, quindi la lotta di classe non peggiorava ma si stava attenuando e
comunque non rappresentava il mezzo per trasformare la società; il capitalismo non crollava, ma era
capace di modificarsi e superare le crisi; lo Stato borghese diventava sempre più Stato democratico; il
proletariato non doveva perseguire il fine di uno scontro violento e risolutivo con la borghesia, ma doveva
incentivare e assecondare le tendenze progressiste. La società socialista non sarebbe sorta da una rottura
rivoluzionaria, ma da una trasformazione graduale realizzata grazie all’impegno quotidiano dei lavoratori
nelle organizzazioni operaie, soprattutto del movimento sindacale, e nella lotta legalitaria condotta dai
partiti operai, all’interno delle istituzioni liberali e parlamentari, per ottenere quei provvedimenti di
legislazione sociale e di riforma che avrebbero democratizzato lo Stato e le istituzioni esistenti e garantito i
diritti politici e sociali ai lavoratori che fino ad allora ne erano stati privi. In questo lavoro, e non nel mito
della “dittatura del proletariato”, stava, per Bernstein, la sostanza del socialismo: ovvero "tutto è nel
movimento, niente è nel fine“. Il socialismo, secondo Bernstein, non configurava la negazione e la
distruzione del liberalismo, ma di esso era piuttosto il legittimo erede, il legittimo e più compiuto interprete
delle istanze di progresso, di giustizia e di libertà delle quali il liberalismo e la borghesia, in una precedente
fase storica si erano fatti portatori.
L’opera di revisionismo di Bernstein fu importantissima e le sue tesi suscitarono un acceso dibattito in seno
al movimento socialista internazionale e furono sostanzialmente respinte da tutti i maggiori esponenti del
marxismo "ortodosso. Tuttavia il suo revisionismo identificò la fonte dalla quale trassero ispirazione sul
piano teorico e pratico tutti i movimenti, che pur affermando di mantenere il nucleo centrale delle teorie di
Marx, si caratterizzarono per il collegamento indissolubile che stabilirono fra socialismo e democrazia
liberale, finendo per considerare di fatto utopistico e impraticabile il metodo di assicurare la libertà a tutti e
di giungere al socialismo attraverso la dittatura, anche se transitoria, di una classe (quella proletaria). In tal
modo nei fatti, la dottrina rivoluzionaria di Marx si declinava in una teoria di semplice riforma sociale. Fu
infatti Bernstein a formulare la celebre espressione che sintetizzava le sue teorie: “lo scopo finale (cioè la
società comunista) è nulla, il movimento (cioè l’azione di riforma e l’opera concreta e quotidiana svolta nei
sindacati e nei partiti del movimento operaio) è tutto “. Questa formula indicava che il movimento operaio
doveva sostituire la prospettiva rivoluzionaria di Marx con quella non dell’abbattimento ma del confronto e
della gestione efficiente dello Stato borghese nell’interesse generale, che avrebbe portato al socialismo
senza violente rotture. I revisionisti, pur continuando a proclamarsi, a parole, seguaci delle dottrine di Marx
ne erano i più incisivi demolitori.
3)Chi era Karl Kautsky? Quali erano le sue tesi riguardo all’interpretazione del marxismo?
Dopo la morte di Engels, fu Karl Kautsky ad elevarsi al ruolo di massimo teorico del Partito
Socialdemocratico tedesco. Engels e Kautsky non contestavano i fondamenti teorici del Capitale e neppure
mettevano in discussione gli obiettivi individuati da Marx per la lotta del movimento operaio, ma
concentravano una maggiore attenzione sui momenti intermedi del processo rivoluzionario, sulla
partecipazione alle elezioni, sulle lotte per la democrazia e per le riforme.
Esercitazione lezione n. 9
1)Cosa erano le Camere del Lavoro? Quali funzioni svolgevano?
Sul finire dell’Ottocento si formarono anche le prime Camere del Lavoro, le organizzazioni sindacali
territoriali, strutture orizzontali, che compresero via, via le diverse federazioni sindacali di una determinata
zona geografica. Inizialmente le Camere del lavoro si presentarono come organismi sostanzialmente
“apolitici”, proprio per cercare di offrire un rimedio ai problemi della disoccupazione e dello sfruttamento a
cui erano soggetti i lavoratori, in un periodo tra l’altro particolare come quello della depressione economica
della fase 1887 – 1897: si orientarono infatti verso il servizio di collocamento gratuito e gestito dagli stessi
lavoratori, in palese alternativa agli uffici privati che generalmente si configuravano come strumenti di
sfruttamento della classe lavoratrice. L’altra funzione assunta dalle Camere del lavoro furono quelle di
informazione statistica e di arbitrato, cioè di arbitro dei contrasti sociali, esercitata attraverso la
costituzione di commissioni arbitrali con la presenza di soggetti terzi e sopra le parti con le quali le camere
del lavoro intervenivano per la composizione dei conflitti di lavoro.
Successivamente se ne aggiunsero altre collaterali, prevalentemente di natura assistenziale e previdenziale,
ricreative e culturali, di indagine statistica sulle condizioni dei lavoratori. Gradualmente le Camere del
lavoro vennero politicizzandosi, orientandosi sempre più verso l’assunzione di finalità di classe, volgendo il
loro interesse in maniera crescente verso la tutela degli interessi generali dei lavoratori, assumendo la
funzione esplicita di coordinare e organizzare l’attività di resistenza dei lavoratori stessi, per un po’ più di
paga e meno ore di lavoro.
2)Quali furono le caratteristiche che accomunarono i partiti socialisti formatisi in Europa tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento?
Alla fine dell’Ottocento nei principali paesi europei e anche fuori dall’Europa si costituirono partiti socialisti
che cercavano di organizzarsi sul piano nazionale e che affiancavano e gradualmente sostituivano alla
propaganda rivoluzionaria anche un’azione legale, svolta all’interno delle istituzioni, consistente nella
partecipazione alle elezioni e nell’invio di propri rappresentanti nei Parlamenti, oltre che nella promozione
dell’attività di organizzazione e di propaganda sindacale. L’esempio più significativo per tutti i partiti
socialisti che vennero emergendo fra la fine dell’Ottocento e l’inizio del 900 fu la SPD sorta nel 1875.
Oltre le divergenze ideologiche e le peculiarità nazionali tutte queste formazioni all’inizio del Novecento si
muovevano su una piattaforma comune: 1 )il fine era per tutti il superamento del capitalismo e la gestione
sociale del sistema economico 2)tutti si ispiravano a ideali internazionalisti e pacifisti; 3) tutti cercavano di
dotarsi di una base di massa fra i lavoratori e di partecipare attivamente alla lotta politica nei rispettivi
paesi; 4) tutti erano parte e avevano come riferimento la II Organizzazione Internazionale dei Lavoratori
erede della I Internazionale dissoltasi negli primi anni ‘70 dell’Ottocento.
3)Come e quando venne costituito il Partito dei Lavoratori Italiani?
Turati aveva maturato il convincimento che fosse giunto il momento di unire le componenti socialiste
esistenti organizzandole in un grande partito nazionale distinto dalle altre forze.
Attraverso vari passaggi si giunse all’appuntamento di Genova, dove nel 1892 si riunirono i rappresentanti
di circa trecento tra leghe contadine, società operaie, circoli politici e organizzazioni di altra natura.
Immediatamente emerse una frattura insanabile fra una maggioranza favorevole alla costituzione di un
partito politico socialista e una minoranza, composta di anarchici e di una parte di aderenti al POI attestati
su posizioni intransigenti, che invece si opponevano, rifiutando l’esigenza dell’azione politica, che fosse
condotta da un partito politico a fini legislativi, seppure ispirata ai principi di classe. Data l’impossibilità di
trovare un’intesa, la maggioranza dei delegati con alla testa Turati e altri esponenti, lasciarono il luogo del
Congresso dandosi appuntamento in un altro luogo, dove Turati e i compagni dichiararono costituito Il
Partito dei Lavoratori Italiani, approvandone il Programma e lo Statuto. Il programma riportava una netta
affermazione del principio della lotta di classe; come meta finale la socializzazione dei mezzi di lavoro
(terra, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto ecc. ) e la gestione sociale della produzione da raggiungersi
attraverso la duplice strategia della lotta sindacale, economica, affidata alle associazioni di arte e mestiere,
per conseguire i miglioramenti immediati della vita operaia; e la lotta politico elettorale, per conseguire la
conquista dei pubblici poteri (Stato, Comuni, Amministrazioni Pubbliche), appannaggio del Partito di classe,
distinto dagli altri partiti. A far parte del Partito erano ammesse società, federazioni, consociazioni, società
indipendenti con l'unico vincolo dell'accettazione del Programma. La lotta sindacale ed economica era
affidata solo alle camere del lavoro e alle associazioni di categoria le quali potevano essere composte e
dirette solo da operai. Nel 1893 il partito modificò il nome in Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, per
giungere poi a quello definitivo di Partito Socialista Italiano nel 1895.
Esercitazione lezione n. 10
1) Quali furono le cause della caduta del ministero di Crispi nel 1892?
Nel 1887 Crispi decise di inviare un nuovo corpo di spedizione a Massaua e nel 1890 i possedimenti italiani
furono riorganizzati col nome di Colonia Eritrea, mentre si profilava la possibilità di una nuova impresa
espansionistica in Somalia. Proprio tali progetti attirarono su Crispi l’opposizione di settori conservatori e
reazionari che giudicarono troppo costosa tale politica, determinando la caduta del suo ministero nel 1892.
2) Come reagì Giolitti alle manifestazioni di protesta e di rivendicazione popolare mosse dai Fasci
Siciliani?
La prima esperienza di Governo di Giovanni Giolitti risale agli anni 1892 – 1893, durante i quali non solo si
costituì il Partito dei Lavoratori Italiani ma si svolse anche l’agitazione dei Fasci Siciliani e i moti dei
lavoratori del marmo della Lunigiana. Le modalità con le quali Giolitti affrontò queste manifestazioni di
protesta e di rivendicazione popolare distinsero la sua linea politica come più avanzata e progressista.
Giolitti sin da subito assunse un atteggiamento contrario al ricorso della forza pubblica per sedare le
manifestazioni rivoltose, e ben determinato in ogni caso a resistere alle pressioni dei settori più
conservatori della classe dirigente liberale, che invece invocavano un atteggiamento deciso e di tipo
repressivo da parte del Governo per ristabilire l’ordine pubblico. Egli faceva soprattutto affidamento sul
fatto che sia i proprietari terrieri, sia i proprietari delle miniere, che ricoprivano ruoli chiave anche nelle
amministrazioni locali, fossero alla fine indotti ad approvare provvedimenti che servissero in qualche modo
a migliorare le condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori delle campagne e degli operai. Tale tipo di
condotta valse sin da subito al Presidente del Consiglio aspre critiche da parte dei conservatori.
gli ambienti politici e giornalistici e la speculazione edilizia e bancaria, coinvolgendo numerose personalità
della politica. In seguito all’inchiesta ministeriale avviata, i sospetti furono confermati. Giolitti decide di
tenere segreto l’esito e Crispi insieme ad altri conservatori fa cadere Giolitti, che dà le dimissioni a fine nov
1893 e a metà dicembre Crispi tornò al potere.
2) Quali conseguenze ebbe lo scandalo della Banca Romana?
Non fu tuttavia solo la questione della gestione dell’ordine pubblico che determinò la caduta del I Governo
Giolitti, bensì il noto “scandalo della Banca Romana” che fece emergere il torbido intreccio di relazioni tra
gli ambienti politici e giornalistici e la speculazione edilizia e bancaria, coinvolgendo numerose personalità
della politica. In seguito all’inchiesta ministeriale avviata, i sospetti furono confermati. Giolitti decide di
tenere segreto l’esito e Crispi insieme ad altri conservatori fa cadere Giolitti, che dà le dimissioni a fine nov
1893 e a metà dicembre Crispi tornò al potere.
4) Qual è l’importanza dell’articolo “Torniamo allo statuto” pubblicato da Sidney Sonnino sulla
rivista “Nuova antologia”?
Sidney Sonnino, autorevole esponente del liberalismo conservatore, espresse le proprie posizioni in un
articolo pubblicato sulla rivista “Nuova Antologia” (1897) dal titolo “Torniamo allo Statuto”,
secolo: nell’articolo Sonnino chiedeva sostanzialmente al Re di riappropriarsi delle prerogative regie che Lo
Statuto Albertino prevedeva. Due erano i pericoli che minacciavo “la nostra civiltà”, secondo lui: “il
clericalismo, un movimento conservatore, quasi reazionario che piega sempre più verso la gerarchia
ecclesiastica, come rappresentante e portatrice di una legge divina di moralità sociale da contrapporsi
all’utilitarismo individuale” e il socialismo che “traendo forza dal malcontento, dall’attrito nascente per la
intensa concorrenza individuale, e dai sentimenti di simpatia umana quanto di desiderio di eguaglianza
oppure di invidia democratica” si faceva fautore di uno stato collettivista e negatore di libertà. Il rimedio
per contrastare questi pericoli, secondo Sonnino, era quello di arginare “l’esorbitare della Camera elettiva
dalle sue funzioni”, cioè di tornare ad un’interpretazione letterale del testo statutario che non prevedeva la
dipendenza del potere esecutivo (il Governo) da quello legislativo (il Parlamento). Sonnino indicava cioè la
necessità di procedere ad un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e del Senato, e allo svincolamento del
Governo dalla maggioranza della Camera. L’articolo di Sonnino divenne una sorta di manifesto delle
posizioni della destra conservatrice italiana.
Esercitazione lezione n. 11
1)Quali erano le tesi espresse da Sidney Sonnino nel 1897 con l’articolo “Torniamo allo Statuto”?
Dove venne pubblicato l’articolo?
Di fronte alla minaccia rappresentata dal consolidarsi del movimento sindacale e politico socialista, buona
parte della classe dirigente liberale avvertì incombere la minaccia della sovversione sull’istituzione
monarchica e l’ordine costituito. Di tali posizioni conservatrici si fece soprattutto interprete Sidney Sonnino,
autorevole esponente del liberalismo conservatore, che espresse le proprie posizioni in un articolo
pubblicato sulla rivista “Nuova Antologia” (il 1 gennaio 1897) dal titolo “Torniamo allo Statuto”.
Nell’articolo Sonnino chiedeva sostanzialmente al Re di riappropriarsi delle prerogative regie che Lo Statuto
Albertino prevedeva. Due erano i pericoli che minacciavo “la nostra civiltà” : “il clericalismo, un movimento
conservatore, quasi reazionario che piega sempre più verso la gerarchia ecclesiastica, come rappresentante
e portatrice di una legge divina di moralità sociale da contrapporsi all’utilitarismo individuale” e il
socialismo che “traendo forza dal malcontento, dall’attrito nascente per la intensa concorrenza individuale,
e dai sentimenti di simpatia umana quanto di desiderio di eguaglianza oppure di invidia democratica” si
faceva fautore di uno stato collettivista e negatore di libertà. Per risolvere la situazione c’era la necessità di
procedere ad un rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e del Senato, e allo svincolamento del Governo
dalla maggioranza della Camera.
2)Chi animò la battaglia ostruzionistica di fine secolo in Italia? Illustrare il significato della
“battaglia ostruzionistica” svoltasi in Parlamento.
Le “leggi liberticide” di Pelloux (divieto di sciopero nei servizi pubblici, la proibizione di manifestazioni
politiche, sancivano la facoltà dell’autorità giudiziaria di sospendere la pubblicazione di giornali e periodici,
istituivano il reato di turbamento dell’ordine pubblico a mezzo stampa e la possibilità di sciogliere
organizzazioni giudicate sovversive). A contrastare l’approvazione di queste leggi si opposero sui banchi del
Parlamento i gruppi dell’Estrema Sinistra (i socialisti, i radicali e i repubblicani) animando una coraggiosa
battaglia parlamentare finalizzata a difendere “le libertà liberali. La tattica messa in atto dall’opposizione
socialista, radicale e repubblicana fu quella dell’ostruzionismo parlamentare, consistente nel cercare di
prolungare all’infinito le discussioni in aula, valendosi di tutti gli appigli legali e procedurali offerti dai
regolamenti parlamentari, per cercare di non arrivare mai alle votazioni dei provvedimenti in oggetto. Tra i
socialisti si segnalò soprattutto per consapevolezza democratica il deputato reggiano Camillo Prampolini,
che pubblicò dettagliatamente la battaglia che si svolse all’interno del Parlamento e che vedeva come
protagonisti i socialisti. La lotta ostruzionistica durò 2 anni e ci furono momenti epici di lotta per la libertà di
cui furono protagonisti gli esponenti dell’opposizione: famoso l’episodio avvenuto il 30 giugno 1899 del
cosiddetto “rovesciamento delle urne”, di cui furono autori tra gli altri i deputati socialisti, Camillo
Prampolini, Andrea Costa, Leonida Bissolati e Giuseppe De Felice Giuffrida, che nell’estremo tentativo di
impedire la votazione della modifica del regolamento parlamentare, buttarono a terra le urne predisposte
per le operazioni di voto, causando la sospensione dei lavori. Alle forze di opposizione socialiste, radicali e
repubblicane si aggiunsero infine anche settori consistenti di forze liberali, guidate da Giuseppe Zanardelli e
da Giovanni Giolitti, determinati a contrastare i procedimenti apertamente anticostituzionali avallati dalla
maggioranza conservatrice. Pelloux perde le elezioni del 1900 e si dimette.
3)In cosa consistette la “svolta liberale” di inizio ‘900 in Italia?
Il 29 luglio 1900, re Umberto I viene ucciso da Gaetano Bresci, un anarchico che volle vendicare le vittime
delle repressioni del’98 a Milano. Il nuovo re, Vittorio Emanuele III evitò il pericolo autoritario,
confermando gli esiti della lotta parlamentare di fine secolo, inaugurando una svolta liberale nominando
Giuseppe Zanardelli come Presidente del Consiglio, che a sua volta chiamò al ministero degli Interni
Giovanni Giolitti. Questi ultimi, avviarono il nuovo corso politico liberale di inizio 900 in Italia.
Esercitazione lezione n. 12
1)In che senso si può affermare che in età giolittiana si avviò la modernizzazione in Italia?
Dopo la fase di grave crisi economica della fine dell’800, in Italia sin dal 1896, limitatamente al settore
industriale, fu possibile scorgere i segnali della ripresa dell’economia che poi sarebbe sfociata nella grande
espansione dei primi 15 anni del 900. L’intenzione di Giolitti era di favorire lo sviluppo economico e
industriale. Capì che era necessario promuovere una corrispettiva evoluzione della vita economica e
politica del paese secondo modelli più vicini a quelli delle liberali democrazie occidentali, dove il confronto
tra le diverse forze politiche e gli opposti interessi avveniva in forme organizzate e nel rispetto della legalità
e delle garanzie istituzionali, secondo modalità atte a garantire una relativa pace e stabilità sociale che si
configurava come necessario presupposto della crescita economica stessa.
Nelle organizzazioni dei lavoratori, portatrici dei legittimi interessi e delle aspirazioni di miglioramento delle
classi operaie, individuava infatti la conseguenza di un processo di crescita della società italiana in direzione
della modernità, un sintomo del progresso “poggiato sul principio di uguaglianza fra gli uomini”. Apre una
nuova stagione nei rapporti fra lo Stato e i lavoratori, fra la classe dirigente e il movimento operaio. Giolitti
si impegnò a costruire un quadro di relazioni politico-istituzionali imperniato sulla costante ricerca di un
confronto istituzionale, organizzato con le forze sociali emergenti, operaie e contadine, di cui fu una chiara
dimostrazione la creazione nel 1902 del Consiglio Superiore e dell’Ufficio del Lavoro, organo che avevano il
compito di svolgere indagini statistiche propedeutiche all’elaborazione dei primi provvedimenti di
legislazione sociale, e al quale furono chiamati a partecipare stabilmente, accanto a funzionari governativi e
ad esponenti politici, i rappresentanti delle varie categorie economiche e del mondo del lavoro, compresi
gli esponenti delle organizzazioni sindacali socialiste.
2)All’inizio del 1900 quale fu l’atteggiamento di Giovanni Giolitti verso il movimento operaio e le
sue organizzazioni?
Nei tre anni di durata del Ministero Zanardelli-Giolitti si avviò un nuovo corso di rapporti tra classe dirigente
e movimento operaio con immediate ripercussioni, innanzitutto nella rapida crescita delle organizzazioni
contadine e operaie, che sciolte o ridotte in clandestinità durante la repressione del 1898, a partire
dall'inizio del secolo ebbero uno sviluppo impetuoso.
Con Giolitti il Governo mantenne una linea di rigorosa neutralità nelle vertenze economico sindacali che
riguardavano il settore privato, intuì perfettamente la funzione promotrice dello sciopero nella moderna
società industriale e ritenne che lo Stato non dovesse intervenire nelle vertenze tra lavoratori e datori di
lavoro (lavoro e capitale) per appoggiare una delle parti: egli pensava che il compito dello Stato fosse quello
di garantire l’ordine pubblico e la libertà di poter lavorare (la libertà di lavoro) per quanti non volessero
scioperare.
Lo sciopero politico che turbava l’ordine pubblico era invece da combattere come lo sciopero generale e
quello nei servizi pubblici. Diverso fu quindi il suo atteggiamento nei confronti delle agitazioni che
riguardavano i servizi pubblici, riteneva infatti che tali scioperi avessero un carattere politico che non
approvava. Giolitti pensava che esistesse un antagonismo di interessi insopprimibile fra lavoratori e
padroni, che non si poteva eliminare, ma si poteva fare in modo che il confronto fra questi interessi opposti
avvenisse in forme civili e organizzate che escludessero il ricorso alla violenza negatrice di ogni progresso e
di ogni ragione di umanità.
3) Quali progressi furono compiuti dal settore industriale in età giolittiana? Quali furono gli
elementi che resero possibile lo sviluppo del settore industriale?
L'Italia conobbe all'inizio del 900 la sua vera e propria fase di decollo industriale. Ciò fu possibile, in virtù
degli avanzamenti che l'Italia fecce in trenta-quaranta anni di vita unitaria sul piano delle infrastrutture
economiche e delle strutture produttive (la costruzione della rete ferroviaria portata a termine dalla Destra
Storica, la svolta protezionistica operata dalla Sinistra Storica aveva poi permesso la nascita e la crescita di
un'industria siderurgica moderna). Il riordinamento del sistema bancario, successivo alla crisi provocata
dallo scandalo della Banca Romana, aveva dotato il paese di una struttura finanziaria più solida e affidabile.
Tra i settori industriali che fecero registrare maggiori progressi in questa fase ci fu quello della siderurgia,
questa branca giunse a possedere degli impianti la cui capacità produttiva superava largamente la
possibilità di assorbimento del mercato nazionale. Nel settore dell'industria tessile, che contava ancora la
maggiore quantità di stabilimenti e di addetti, gli avanzamenti più importanti interessarono l'industria
cotoniera che giunse ad essere altamente meccanizzata e molto protetta dalle tariffe doganali.
Nel settore agro-alimentare l'industria zuccheriera largamente protetta. Nel settore chimico pure protetto,
nel quale si sviluppò l’industria della gomma. Anche il settore meccanico, svantaggiato dalle tariffe
doganali, cresce grazie alla richiesta di materiale per le ferrovie, navi e armamenti da parte dello Stato. La
nascita dell’industria automobilistica con la costituzione della Fiat di Giovanni Agnelli. L’industria elettrica,
con la prima centrale elettrica del mondo a Milano.
Esercitazione lezione n. 13
1)Quali furono le peculiarità del processo di industrializzazione in Italia secondo lo storico Rosario
Romeo?
Rosario Romeo, studioso, ha indicato uno dei caratteri specifici della rivoluzione industriale italiana proprio
nel fatto che essa si realizzò grazie ad un intervento della collettività e dello Stato molto più ampio di
quanto non prevedesse la teoria economica liberale alla quale peraltro continuava a richiamarsi la classe
dirigente italiana. Secondo Romeo, la classe dirigente italiana fu spinta ad intraprendere la via
protezionistica allo sviluppo economico dalle condizioni storiche date (l’arretratezza storica dell’economia
italiana, la deficienza dei capitali, la povertà del mercato). Tutti quei caratteri dello sviluppo industriale
italiano che sono stati indicati come patologici dagli osservatori liberisti, nella misura in cui si allontanano
dal modello liberista di sviluppo economico, quindi il ricorso al protezionismo, l’impiego delle banche nello
sviluppo industriale, l’intervento dello Stato, sono da considerarsi come i tratti propri e specifici che
individuano lo sviluppo storico italiano, cioè di un paese arretrato che, per i suoi presupposti di partenza,
non poteva affatto svolgersi secondo il modello classico dello sviluppo industriale inglese.
2)Quali furono le principali realizzazioni del Ministero di Giovanni Giolitti tra il 1903 e il 1905?
Dopo le dimissioni di Zanardelli, nel 1903 Giolitti inaugurò il suo primo Ministero, (1903 – 1905) cercando di
proseguire l'esperienza liberal-progressista del precedente Ministero, e anzi cercò di allargarne le basi,
offrendo a Filippo Turati (leader riformista del partito socialista) un posto nella compagine governativa.
L’iniziativa di Giolitti si configurò significativa per le sue intenzioni di democratizzazione della vita politica,
dal momento che solo qualche anno prima Turati era stato incarcerato come sovversivo. Turati rifiutò
l’offerta ritenendola troppo affrettata per il timore giustificato di non essere seguito dal Partito ancora
lontano dall’essere un partito di governo. Turati e i riformisti, che mantennero il controllo del Partito fino al
1904, sostennero però sul piano parlamentare la politica giolittiana sin dalla svolta di inizio secolo, non solo
per negoziare e ottenere l’approvazione di una serie di provvedimenti di legislazione sociale, che comunque
servirono a fornire le prime tutele e garanzie ai lavoratori, non solo per ottenere una serie di importanti
concessioni economiche a favore delle organizzazioni sindacali e cooperative soprattutto del Nord, che
consentirono loro di ricevere in appalto lavori di pubblica utilità, ma anche per evitare rigurgiti di reazione e
per mantenere quei margini di relativa libertà che erano necessari al movimento operaio, quindi alle
organizzazioni sindacali e a quelle partitiche, per crescere e svilupparsi.
3)Quando avvenne il primo sciopero generale in Italia? Quali erano le correnti interne al PSI che
intorno a questo avvenimento si contrapposero e perche?
Nel 1904, i sindacalisti rivoluzionari di Arturo Labriola (con Enrico Ferri e la componente intransigente-
rivoluzionaria del Partito, di Lazzari) riuscirono a conquistare la maggioranza al Congresso del Partito
Socialista di Bologna. Il Partito socialista, non più sotto il controllo dei riformisti, traendo spunto da alcuni
incidenti tra forze dell’ordine e scioperanti avvenuti a Castelluzzo, in Sicilia, e a Buggerru, in Sardegna,
appoggiarono l’iniziativa del primo sciopero generale che si verificò in Italia nel 1904. Tale episodio si
ritorse in realtà contro i socialisti stessi, grazie anche all’abilità di Giolitti, che lasciò che lo sciopero si
svolgesse senza turbamenti da parte delle forze dell’ordine, poi fece in modo che venissero indette nuove
elezioni e sfruttò l’enorme impressione nata nell’opinione pubblica moderata dallo sciopero e dagli scenari
minacciosi che esso evocava. Le elezioni, che videro per la prima volta l’intervento dei cattolici in funzione
antisocialista, si risolsero in un successo per Giolitti che ritornò ad avere un solido controllo delle Camere.
Esercitazione lezione n. 14
1)Quali furono gli esiti del processo di centralizzazione organizzativa che in età giolittiana interessò le
istituti di rappresentanza degli interessi?
Nel 1906 le organizzazioni sindacali si unirono nella Confederazione Generale del Lavoro (CGdL), che fu
guidata da esponenti riformisti, Rinaldo Rigola fu infatti il I Segretario della CGdL, a cui si contrappose, in
campo imprenditoriale, la formazione della Confederazione Italiana dell’Industria che avvenne nel 1910,
dopo che da qualche anno gli industriali avevano preso ad unirsi in associazioni padronali, per far fronte
contro i lavoratori.
2)Quali furono le principali realizzazioni e i principali avvenimenti che caratterizzarono il Ministero
di Giovanni Giolitti tra il 1911 e il 1914?
Si distinse per i provvedimenti di riforma più significativi: l’introduzione del suffragio universale maschile,
ormai in vigore in tutti i paesi europei, approvato nel 1912 con una legge che attribuiva il diritto di voto a
tutti i cittadini maschi che avessero compiuto i trenta anni, a prescindere dal loro grado di istruzione, e a
tutti i maggiorenni alfabetizzati che avessero compiuto il servizio militare; e poi la realizzazione del
monopolio statale delle assicurazioni sulla vita. La portata democratica di queste misure, che servirono a
Giolitti per allargare il consenso a sinistra, venne offuscata dalla sua stessa intenzione di impegnarsi
nell’impresa coloniale in Libia, che da molti venne letta in una prospettiva di politica interna, come una
concessione fatta ai gruppi conservatori, per controbilanciare le conseguenze del suffragio e del monopolio
delle assicurazioni. Il Partito Socialista, a parte qualche eccezione, manifestò comunque la sua netta
contrarietà all’intervento in Libia.
Nel settembre 1911 l’Italia iniziò quindi la guerra contro la Turchia, sotto la cui sovranità si trovava la Libia,
e nel novembre la Libia venne formalmente annessa all’Italia. Solo nell’ottobre 1912 i Turchi accettarono di
firmare la Pace di Losanna, che riconobbe la sovranità politica all’Italia, ma mantenne per il sultano
un’autorità religiosa sulle popolazioni musulmane.
La guerra ebbe però un contraccolpo importante sugli equilibri politici generali sui quali si reggeva il
sistema giolittiano. Giolitti, introducendo il suffragio, non aveva inteso soltanto corrispondere ad
un'esigenza di democrazia ma anche predisporre un elemento di difesa del suo sistema, in quanto, se con il
suffragio, i socialisti, nel Nord del paese, risultavano certamente favoriti, nel Sud invece, il voto dei
contadini, che erano per lo più analfabeti, risultava più soggetto alle influenze dell'autorità governativa e
dei proprietari. Inoltre, a ulteriore garanzia di successo, Giolitti giunse a concludere un accordo con
l'Unione Elettorale Cattolica presieduta dal Conte Ottorino Gentiloni, accordo che fu detto Patto Gentiloni.
3)Quali istanze furono alla base dell’emergere del fenomeno e del movimento nazionalista in
Italia all’inizio del 1900? Chi furono i principali interpreti e intellettuali della nuova corrente di idee
nazionalista?
I successi crescenti ottenuti dalla pressione rivendicativa socialista, il moltiplicarsi delle cooperative
operaie, l’importanza e il riconoscimento sempre maggiori acquisiti dalle organizzazioni sindacali nella vita
economica e politica, nel loro insieme costituirono tutti fenomeni che valsero a suscitare una reazione di
rifiuto e insieme di rivalsa in una parte della media borghesia intellettuale. Alcuni intellettuali come Enrico
Corradini, Giovanni Papini, Giuseppe Prezzolini emersero in questo periodo tra gli animatori di movimento
di idee che intendeva innanzitutto esprimere un moto di ribellione contro uno stato di fatto, un insieme di
condizioni deplorevoli che sembravano loro caratterizzanti i tempi che stavano vivendo e che essi
indicavano con il ricorso ad un’espressione nella “la viltà dell’ora presente” , una viltà che ai loro occhi
pareva animare la classe dirigente, ormai rassegnata a capitolare di fronte all’avanzata di operai e
contadini, una viltà che era della Nazione, che sembrava incapace di perseguire una politica estera di
grande respiro, degna di una grande potenza; una viltà, che ancora secondo la loro analisi, pareva
caratterizzare tutta la società italiana, ormai priva di grandi idealità e asservita ad una concezione meschina
e utilitaristica dell’esistenza. Essi esprimevano orientamenti non soltanto ostili al socialismo, ma anche al
liberalismo borghese e critiche radicali nei confronti della democrazia stessa.
Corradini in particolare aveva come riferimento la realtà dell’imperialismo, e indicava la necessità
dell’espansionismo coloniale; egli sosteneva che alla realtà della lotta di classe, che indeboliva la Nazione,
doveva sostituirsi la lotta tra nazioni proletarie – povere- (quelle dotate di una popolazione esuberante
rispetto alla disponibilità di risorse economiche) e nazioni plutocratiche- ricche - e che trovava il suo
principale strumento nella guerra vittoriosa. L’ideologia nazionalista voleva eliminare la lotta di classe
trasformandola in lotta tra nazioni, reprimere l’iniziativa operaia e contadina per trovare la soluzione dei
problemi che affliggevano la società italiana in un’attività espansionistica mirata alla conquista di colonie
che costituissero aree verso le quali indirizzare le correnti dell’emigrazione italiana e mercati da sfruttare da
parte dell’industria nazionale. Il movimento nazionalista nel 1910 si dette una struttura organizzativa con la
fondazione dell’Associazione Nazionalistica Italiana.
Esercitazione lezione n. 15
1)Illustrare luci e ombre dell’Età giolittiana.
Giolitti presentò e di fatto perseguì un programma diverso dai suoi predecessori, sicuramente dai caratteri
più aperti e relativamente riformatori. La linea politica di Giolitti fu caratterizzata da alcuni tratti specifici:
dalla volontà di accordare il sostegno assiduo alle forze più moderne della società italiana (soprattutto i ceti
di borghesia industriale e le classi lavoratrici organizzate); dal tentativo costante di integrare nel sistema
istituzionale-liberale movimenti che solo qualche tempo prima erano considerati e si consideravano nemici
delle istituzioni; dalla tendenza a potenziare l'interventismo statale per sanare gli squilibri sociali. Il limite di
questa linea politica, dai caratteri decisamente più avanzati rispetto al passato, è stato indicato dagli storici
nella dimensione liberale-parlamentare di stampo per lo più ottocentesco e ancora in gran parte notabilare
nell'ambito della quale si esplicava. Giolitti infatti, per realizzare il suo programma, aveva bisogno di poter
contare su forti e solide maggioranze parlamentari che gli permettessero di governare per tempi lunghi e in
condizioni di relativa tranquillità, senza il rischio di crisi di governo ricorrenti. Il controllo del Parlamento era
quindi l'esigenza vitale del sistema politico giolittiano, tale necessità, sul piano delle tecniche politiche, lo
portò a perfezionare con abilità consumata i sistemi del trasformismo già inaugurati da Depretis, e ad
esercitare ingerenze e pressioni governative dirette nelle lotte elettorali e soprattutto al Sud, dove alcune
prassi finirono col compromettere i caratteri progressisti e innovativi dell'esperienza di governo giolittiana,
per smentire nei fatti alcuni dei presupposti più avanzati sui quali si fondava. Per questi stessi motivi Giolitti
fu oggetto di critiche da parte di una schiera di oppositori che progressivamente venne crescendo: i cattolici
democratici ad esempio, con Don Romolo Murri e Luigi Sturzo, che erano antigiolittiani perchè
consideravano Giolitti un continuatore del “trasformismo”, così come i sindacalisti rivoluzionari, uniti ai
cattolici democratici nel denunciare l'opera di corruzione che Giolitti perseguiva nell'ambito dei rispettivi
movimenti per alimentarne le divisioni interne e quindi poterne associare le componenti moderate a
sostegno del suo sistema di potere. La condotta malavitosa tenuta dalle autorità governative in occasione
delle scadenze elettorali, specialmente al Sud, venne poi più volte denunciata dai Meridionalisti, come
Gaetano Salvemini, che coniò per lui il famoso epiteto “Il Ministro della malavita”.