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Gaia Giorgi 5Bu

La seconda rivoluzione industriale e il Positivismo.

La seconda rivoluzione industriale fu un fenomeno economico che coinvolse


l’Europa tra la fine del IX secolo e l’inizio del XX secolo. In questo periodo si
svilupparono nuove tecniche produttive, nacquero nuove branche dell’industria ed
altre acquisirono nuovo vigore. Nuove forme di comunicazione furono inventate,
nacquero nuovi mezzi di trasporto e furono potenziati quelli già esistenti, favorendo
le conquiste coloniali e l’accaparramento di materie prime a basso costo. Proprio a
causa di questo nuovo progresso nell’ambito dei trasporti ci fu un incremento nella
richiesta di produzione di un materiale essenziale per la loro costruzione: l’acciaio.
La produzione mondiale dell’acciaio del 1879 decuplicò nel 1900. Essa fu
incentivata in parte dall’invenzione di Bessemer del “convertitore”, un forno in
cui l’energia è prodotta sfruttando reazioni chimiche esotermiche degli elementi
componenti la ghisa; questo permise di produrre l’acciaio in un'unica fase di
lavorazione. Un'altra importante novità fu quella del motore a scoppio,
brevettato nel 1853 e sviluppato nel 1875. Esso lavora trasformando l’energia
chimica dell’aria e del carburante in lavoro meccanico creando un generatore di
potenza meccanica con innumerevoli campi d’impiego, a partire dalla propulsione
dei veicoli. Non si può non considerare quindi questo un periodo di grande
produzione economica e scientifica.
La fiducia nel progresso e il grande fermento prodotto dallo sviluppo influenzò
anche l’ambito filosofico, portando alla nascita di un nuovo movimento: il
Positivismo. Il Positivismo fu una corrente filosofica basata sull’assoluta fiducia nei
confronti della scienza, capace di codificare i fatti in specifiche leggi. I filosofi
positivisti ritenevano che l’applicazione del metodo scientifico fosse utile non solo
per l’organizzazione dello scibile fisico-matematico, ma anche per la conoscenza
della società e dell’uomo e quindi per la nascita e lo sviluppo di vere e proprie
scienze sociali. Questo movimento culturale fu influenzato dalle teorie Darwiniste
dell’evoluzione della specie, trasfigurato poi, attraverso alcune elaborazioni
ideologiche e politiche, nel Darwinismo sociale, ovvero nella teoria che giustificava
il trionfo dell’Occidente civilizzato sui “selvaggi” e dei capitalisti sulle masse.
Proprio la sottomissione delle masse povere da parte dei capitalisti creò grandi
disuguaglianze e quindi ulteriore povertà tra le classi meno abbienti. Proprio a
queste disuguaglianze farà riferimento la corrente letteraria del Naturalismo in
Francia, e, in maniera diversa, il Realismo in Italia. Il Naturalismo fu un movimento
che si oppose alla grande borghesia francese, con l’intento di sensibilizzare sulla
condizione precaria della classe operaia, descrivendo la sua situazione tramite la
letteratura, con tutta la specificità del metodo scientifico. Mentre il Naturalismo è
mosso dalla volontà di creare un cambiamento per coloro che si trovano in una
situazione di disagio, il Realismo italiano no. I poeti realisti raccontano le vicende
che travolgono la classe più povera, che in Italia non è quella del proletariato in
quanto le industrie erano ancora poco diffuse soprattutto nella zona del paese più
povera ovvero il Meridione, ma quella dei contadini e dei pescatori, ma non credono
in nessun cambiamento, non lo promuovono, anzi, sostengono l’idea che la loro
condizione sociale sarà destinata a rimanere quella per sempre, se non a peggiorare.
Concludendo, è logico osservare che i campi del sapere umano sono reciprocamente
influenzabili, il progresso di uno conduce allo sviluppo dell’altro.

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