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La globalizzazione è stata oggetto di uno sfrenato entusiasmo tra gli anni '80 e '90 del secolo appena
trascorso da parte di un gran numero di imprese che avevano creduto di trovare in essa una manna
scesa dal cielo, e hanno dovuto poi ahisè ricredersi a riguardo, verso la fine degli anni '90,
sperimentando una serie di shock come la crisi finanziaria asiatica, le riserve avverse alla
globalizzazione che hanno ottenuto visibilità globale con la “Battaglia di Seattle”, nonché la recente
crisi finanziaria che ha destabilizzato l'intero sistema economico mondiale. Su The Nation
Wallerstein ha recentemente evidenziato le criticità del modello di globalizzazione che si è
affermato in questi ultimi anni. Tra le conseguenze, la delocalizzazione delle attività economiche
che trasferisce fabbriche da una parte all'altra del mondo alla ricerca di costi operativi più bassi, ma
anche la diminuzione dei posti di lavoro. Anche dal punto di vista delle imprese la globalizzazione
negli ultimi anni ha preso una brutta piega, al punto da invertire i normali canoni di valutazione
della presenza globale che viene percepita, a ragione, non più come un aspetto indiscriminatamente
positivo, ma piuttosto come un fenomeno moltiplicatore di inusitati rischi, così il management di
nuova generazione si trova a dover prendere decisioni circa le strategie d'internazionalizzazione per
il lungo termine in un contesto che appare caratterizzato esclusivamente da una temibile
mutevolezza.
La crisi della globalizzazione mette in evidenza i rischi cui il management va inesorabilmente
incontro con l'attuazione di strategie globali: l'equilibrio finanziario dell'impresa inizia a dipendere
da meccanismi di mercato non totalmente, o per niente, sotto il controllo della governance
aziendale, il rapporto con gli stakeholders diventa sempre più difficile da gestire, se si considerano
addirittura, a titolo d'esempio, iniziative reazionarie di boicottaggio e di pubblicità negativa dei
marchi. Inoltre il crescente interesse dei mercati occidentali verso prodotti differenziati, piuttosto
che acquistabili a buon mercato, non giustifica più le delocalizzazioni produttive in paesi
caratterizzati da bassi costi di manodopera. La globalizzazione ha creato negli ultimi anni un
reticolo di connessioni sociali e di interdipendenze economiche funzionali, che legano fra loro i
destini degli individui e dei popoli, per cui la crisi politica di questo o quell'altro paese ai confini
della terra può determinare una destabilizzazione dell'impresa nata dall'altra parte del mondo.
A quest'ordine di problemi, il management più moderno ha deciso di far fronte considerando il
mondo non come totalmente integrato, né come costituito da regioni geneticamente incompatibili,
ponendo in essere quindi un giusto mix di strategie locali e internazionali che rendono giustizia a
questo nuovo modo di vedere la realtà.