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(DIA 1) LEZIONE 1 Modulo 2

Cap. 1 Nuove prospettive


sulla modernizzazione economica
e le molte strade percorse
dall’Europa verso il XX secolo
(continua)

(DIA 2) Nei decenni dopo la seconda guerra mondiale presero forma le sociologie storiche della
modernizzazione, a cui lo studio di Rostow diede un importante contributo. Oggi tali sociologie
sono in crisi e gli storici economici ora mettono a fuoco l’industrializzazione nell’ambito di più
ampi processi di crescita economica sia in Europa che nei paesi in cui avvenne l’espansione
coloniale europea (le Americhe, soprattutto gli Stati della costa atlantica, l’Africa, il sub-continente
indiano e l’Asia). Considerando la crescita economica come un fenomeno molto più generalizzato
nell’Europa del XVIII secolo, gli storici economici cercano di spiegare non solo perché la crescita
economica diede vita all’industrializzazione in alcuni casi e non in altri, ma anche gli effetti che la
crescita economica ebbe su tutte le società e le economie europee del XVIII secolo.
(DIA 3) A questo proposito nel 1966 l’economista statunitense Simon Smith Kuznets, nella sua
opera, The Modern Economic Growth, indica la distinzione tra crescita e sviluppo. Il termine
“crescita economica” (growth) si riferisce, infatti, all’aumento (o crescita) di un indicatore
specifico quale il reddito nazionale reale, il prodotto interno lordo, o il reddito pro-capite, cioè a
cambiamenti di carattere quantitativo intervenuti in un sistema economico. La crescita (economica)
di un qualunque indicatore specifico non è una condizione sufficiente di sviluppo economico.
Il termine “sviluppo economico” (development), invece, implica molto più. Si riferisce ai
miglioramenti intervenuti in una varietà di indicatori quali i tassi di alfabetizzazione, la speranza di
vita alla nascita, il calo del tasso di povertà. Il P.I.L. è una misura specifica di benessere economico
che non considera Altri aspetti importanti di carattere istituzionale, culturale, sociale quali, ad
esempio, tempo libero, qualità ambientale, libertà, giustizia sociale etc. In questa prospettiva,
l’industrializzazione non è più vista come il culmine inevitabile di tutte le precedenti forme di
crescita economica. Appare, quindi, evidente che ci sono stati modelli differenti di crescita
economica e che tra l’Inghilterra e i paesi dell’Europa continentale c’è stato solo un divario
cronologico piuttosto che “arretratezza” dei paesi europei rispetto all’Inghilterra. Molti storici
hanno sostenuto, infatti, che sia i Paesi Bassi Meridionali che la Francia hanno sperimentato nel
XVIII secolo una crescita economica più dinamica della Gran Bretagna e che le innovazioni, che
permisero lo sviluppo dei primi settori industriali nell’economia inglese, furono in gran parte
stimolati dalla necessità di stare al passo con questi paesi continentali così dinamici.
(DIA 4) I nuovi approcci allo studio della storia economica del XVIII secolo riflettono, quindi, la
reazione ai modelli delle scienze sociali e degli studi umanistici, e collegano il processo di
industrializzazione, che comincia intorno al 1760, ai più ampi e più generali processi di crescita
economica in corso in Europa. Almeno nei suoi primissimi stadi, la meccanizzazione e
l’industrializzazione non furono necessariamente i soli modi e nemmeno i migliori per raggiungere
la crescita economica e fu soltanto in seguito, quando le economie industriali crebbero, che
l’industrializzazione divenne sinonimo di crescita economica moderna. La crescita economica in
Europa fu varia e complessa, le differenti società europee sperimentarono l’impatto di cambiamenti
strutturali più ampi, che avvennero nell’economia internazionale con gradi di intensità e velocità
diverse e anche con una diversa collocazione temporale. Invece dell’unica via, prospettata da
Rostow, le società europee hanno percorso molte strade differenti per raggiungere la modernità
economica.
(DIA 5) A parte il dibattito sulla rivoluzione industriale, lo storico economico si propone di
spiegare la natura degli altri cambiamenti che avvennero nel XVIII secolo, e che in breve tempo
misero in crisi l’intera struttura economica, sociale e politica dell’Ancien Régime. Molta attenzione
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è stata rivolta agli importanti cambiamenti che stavano avvenendo nelle relazioni economiche tra
l’Europa e il resto del mondo. La “economia globale” fu un prodotto dei secoli XIX e XX, ma una
“economia mondiale” era esistita da molto prima e la sua struttura ed organizzazione subirono
importanti cambiamenti nel XVIII secolo.
I cambiamenti occorsi nelle economie europee ebbero importanti conseguenze per l’emergente
“economia mondiale” e quei cambiamenti furono causati soprattutto dall’ espansione economica
europea nel mondo non-europeo.

(DIA 6) Cap. 2 Lo sviluppo economico europeo nel XVIII secolo: i temi centrali

Nel contesto di queste nuove prospettive il XVIII secolo acquista un’importanza ancora maggiore
agli occhi dello storico economico. Sebbene la periodizzazione della storia economica non aderisca
esattamente al secolo solare, il periodo intercorrente tra la fine del XVII secolo e gli inizi del XIX
assistette a cambiamenti che segnarono uno spartiacque fondamentale tra l’Europa moderna da un
lato e l’Europa contemporanea dall’altra. Il tema centrale dell’Europa del XVIII secolo fu la crisi e
il collasso definitivo della struttura istituzionale, culturale, politica ed economica del mondo
dell’Ancien Régime. Il termine fu inventato dopo il 1789 dai sostenitori della Rivoluzione francese
per consegnare alla pattumiera della storia i secoli dell’ignoranza e della superstizione, che avevano
preceduto l’avvento dell’Illuminismo. La Rivoluzione del 1789 costituì una rottura col passato
minore di quanto potevano ammettere i suoi sostenitori. Essa presentava delle continuità che stanno
alla base della successiva analisi di Alex De Tocqueville sul significato economico e politico della
Rivoluzione. Ma questa sensazione di cambiamento e di innovazione era anche inseparabile dalla
cultura del XVIII secolo. Ciò non significa che il XVIII secolo fu realmente un “periodo
dell’Illuminismo”: quegli scrittori che autocoscientemente si appellavano ai princìpi
dell’Illuminismo e deliberatamente asserivano la supremazia della ragione sulla fede e sulla
tradizione ben sapevano di essere una minoranza ristretta, anche se la loro influenza era
grandemente esaltata dall’ascolto simpatetico che trovavano tra i governanti dell’epoca.
L’Illuminismo era in parte erede della grande “Rivoluzione Scientifica” del secolo precedente, ma
era anche un segno del nuovo cosmopolitismo che portò gli europei a contatto gli uni con gli altri da
San Pietroburgo ad Edimburgo, da Oslo a Roma, da Madrid a Varsavia, da Londra a Napoli, da
Parigi a Berlino: portò anche il Vecchio Mondo europeo in più stretto contatto sia con l’Oriente sia
col Nuovo Mondo appena emergente, specie nei decenni precedenti e seguenti alla Guerra di
Indipendenza Americana (1776-83). Le relazioni tra il continente europeo ed il resto del mondo le
nuove rivalità commerciali e territoriali nel lontano Oriente, in India, in Asia, in Giappone e nei
mari della Cina, tutto ciò rivelava la forza e l’impatto della presenza europea oltremare. Con il
rapido decadimento dell’impero americano della Spagna, dapprima gli olandesi, e poi i britannici e i
francesi, premevano per stabilire la loro presenza commerciale in quest’area e, se necessario, per
scacciare da essa con la forza i loro concorrenti.
Questo fu in parte la continuazione di un più antico processo di espansione europea d’oltremare, che
era stato percorso dalla Spagna e dal Portogallo nei secoli XV e XVI e ancor prima dalle
Repubbliche di Venezia e di Genova – e poi messo in crisi nel XVII secolo dalla nascita
dell’impero marittimo olandese. La storia economica d’Europa nel XVIII secolo fu contraddistinta
da una nuova fase di espansione coloniale, che portò gli europei in quantità crescenti non solo in
terre non ancora sfruttate del Continente Nord Americano ma anche verso Oriente, in particolare nel
sub-continente indiano. Questa espansione fu accompagnata da intense rivalità fra i colonizzatori
europei e ciò estese le rivalità dinastiche, che nel XVII secolo avevano fatto l’Europa teatro di una
belligeranza quasi continua. Queste lotte continuarono nel XVIII secolo, in particolare tra le
monarchie rivali di Francia, Spagna e Gran Bretagna, per l’egemonia navale e commerciale sia in
Atlantico che in India. Nella seconda metà del XVIII secolo questo stato di belligeranza si attenuò,
creando nuove possibilità per il commercio e per la produzione. Molti storici economici hanno
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cercato di indagare sul contributo prestato dagli imperi coloniali alla crescita economica
dell’Europa ma meno attenzione è stata rivolta all’impatto che il cambiamento economico ha
prodotto in quei Paesi e regioni europee, che non erano l’epicentro dell’innovazione e
dell’espansione. Quelle a cui ci si riferiva come “periferie” europee, utilizzando un termine usato da
Immanuel Wallerstein, erano considerate fino a poco tempo fa delle regioni che non furono capaci
di rispondere agli stimoli del cambiamento e della modernizzazione. Una simile visione consegnava
alla stagnazione una gran parte del continente europeo: la maggior parte degli Stati Germanici,
eccetto quelli renani o con accesso al Baltico, l’intera Europa orientale e centrale dal Baltico ai
Balcani, come anche l’Europa mediterranea. Fin dall’inizio le cosiddette “periferie” furono
coinvolte, non meno dei cosiddetti “centri”, nei nuovi processi di trasformazione economica.
L’impatto causato dall’aumentata domanda di prodotti agricoli e dai nuovi incentivi alla produzione
di mercato ebbe delle conseguenze economiche e sociali di larga portata, che produssero
sconvolgimenti e conflitti nell’Europa rurale molto prima che le rivoluzioni industriali dessero vita
a quei proletariati urbani, che turbarono il sonno dell’Europa borghese del XIX secolo.
(DIA 7) Anche se variarono enormemente le radici e le conseguenze del cambiamento economico e
dell’espansione economica nell’Europa del XVIII secolo, il processo di cambiamento fu il carattere
dominante del XVIII secolo. Un indicatore molto importante di questo processo di cambiamento fu
il numero crescente, di benestanti europei settentrionali, che cominciarono a seguire gli itinerari del
“Grand Tour” per riscoprire i luoghi classici dell’antichità. Sebbene il “Grand Tour” fosse
essenzialmente un viaggio di istruzione, al pari del turismo contemporaneo esso spesso serviva a
rinforzare i pregiudizi piuttosto che a dissiparli. Fu tuttavia un fenomeno che rivelò molte
caratteristiche nuove nella storia economica come in quella sociale e culturale d’Europa. Esso
manifestò l’emergere di nuove forme di ricchezza, localizzate originariamente nelle aristocrazie, e,
successivamente, nei ceti borghesi fino alla nascita della “cultura consumistica” che sarebbe esplosa
con l’emergere della società di massa nel XX secolo. La capacità di viaggiare rifletteva, inoltre,
anche l’accresciuta stabilità politica del continente europeo, che aveva reso possibili e relativamente
sicuri i viaggi, anche se i viaggiatori erano desiderosi di animare le loro cronache con resoconti di
strade e locande scomode, di incontri agghiaccianti con briganti e banditi. Questi viaggi individuali
erano anche parte di un processo più ampio di esplorazione, da parte degli europei, sia delle
differenti società, all’interno del continente europeo, che della scoperta del mondo non-europeo.
Un altro esempio del cambiamento in corso nel XVIII secolo furono i primi tentativi sistematici di
riorganizzazione amministrativa da parte dei governanti. L’idea illuministica che la pubblica
amministrazione si sarebbe dovuta basare sui principi della ragione trovò sbocco nelle pratiche
amministrative prima degli Asburgo austriaci, con le riforme di Maria Teresa e Giuseppe II, poi
della monarchia francese, dopo la nomina di Turgot. Il principio trasse nuova forza dall’esempio
della Dichiarazione Americana di Indipendenza (1776), esplicitamente fondata sulle idee razionali
dell’Illuminismo europeo. Anche se il risultato pratico di queste riforme fu molto modesto, esse
stabilirono che il governo razionale era possibile solo quando la pubblica amministrazione
possedeva una conoscenza accurata delle condizioni della società, dell’agricoltura, del commercio e
dei produttori. Per raggiungere ciò, i governi cominciarono a raccogliere e comparare dati ed
informazioni su scala senza precedenti, e in questo furono assistiti dallo sviluppo contemporaneo
della matematica, che diede vita alla nuova scienza della statistica, compagna inseparabile della
nascita della moderna amministrazione.
(DIA 8) Analogamente la nuova scienza della “economia politica”, che si sviluppò grazie agli
scrittori dell’Illuminismo scozzese e trovò la sua formulazione più classica nella Wealth of Nations
di Adam Smith (Edimburgo 1776), illustrava la crescente importanza che i governi attribuivano alla
promozione della crescita economica. Insieme ai “fisiocrati” francesi, gli economisti inglesi e
scozzesi fornivano agli amministratori nuovi princìpi sui quali basare le loro politiche economiche,
alla base delle quali vi era l’idea della forza creativa della libera impresa. Essi sostenevano che la
libera impresa avrebbe potuto attecchire e fiorire, non appena sarebbero stati rimossi i tradizionali
limiti che ostacolavano l’uso della terra come proprietà privata (libera cioè dai vincoli posti dai
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diritti feudali o dagli usi collettivi consuetudinari) e non appena sarebbero stati smantellati i
privilegi e i monopoli corporativi, tradizionalmente esercitati dalle corporazioni urbane e dalle
differenti tasse e gabelle esatte sul commercio interno. Questi princìpi, tuttavia, vennero in forte
collisione con le più antiche realtà delle economie europee, la cui organizzazione ed istituzioni
(fatta eccezione per la Gran Bretagna e la Repubblica Olandese) portavano ancora tracce profonde
delle istituzioni feudali, dei monopoli corporativi e dei diritti d’uso collettivo. Le forze del
cambiamento minarono e trasformarono progressivamente la struttura dell’Ancien Régime europeo,
la cui crisi fu irreversibile a partire dal 1800. Le cause di ciò avevano a che fare sia col
cambiamento economico, che con l’innovazione politica e culturale, anche se tutte e tre erano
strettamente collegate tra loro.

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