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LEZIONE 2 Modulo 2

Cap. 3 L’Europa agraria

(continua)

In termini politici il feudalesimo aveva avuto origine in quanto mezzo per regolare il conflitto di
interessi dei governanti e dei loro notabili: ma in termini economici i diritti collettivi esercitati sulle
terre feudali, per esempio, avevano originariamente permesso alle popolazioni rurali di rivalersi
contro il potere dei grandi proprietari terrieri. Una caratteristica innata del feudalesimo era la
nozione che i diritti di proprietà non erano assoluti e che ogni proprietà feudale era soggetta in
tempi precisi ad una varietà di usi collettivi. In Francia i proprietari terrieri feudali erano riusciti,
entro il XVIII secolo, a metter fine a quei diritti di uso collettivo, sebbene le comunità rurali
continuassero ad esercitarli sulle common lands del villaggio. E gli obiettivi di ambiziosi proprietari
terrieri erano di acquistare e recintare terre che prima erano appartenute alle comunità locali. In
molte parti dell’Europa mediterranea giocarono un ruolo particolarmente critico i diritti d’uso sulla
terra feudale e la natura pubblica delle common lands che appartenevano a ciascun villaggio. Ma
anche qui i crescenti incentivi alla produzione commerciale, nella seconda metà del secolo,
incoraggiarono i proprietari terrieri ad espropriare legalmente o illegalmente e, se possibile, a
recintare la terra pubblica. I diritti di uso collettivo avevano anche un’importanza critica per le
economie transumantiche, che dominarono gran parte della Spagna e dell’Italia centrale e
meridionale fino al XIX secolo. Le regolamentazioni resero possibile la migrazione stagionale di
greggi di milioni di pecore e di altri animali, poiché ogni primavera questi si spostavano dai pascoli
invernali dei bassopiani o delle pianure costiere ai ricchi pascoli montani dopo lo scioglimento delle
nevi, migrazione che si sarebbe ripetuta in senso inverso in autunno. Queste regolamentazioni non
erano in origine feudali, ma ne condividevano gli stessi princìpi essenziali. Sia in Spagna che
nell’Italia del Sud la regolamentazione del pascolo di transumanza aveva come modello la Mesta,
creata in Spagna da Alfonso il Grande nel XV secolo. In quanto costituenti un’amministrazione
reale che esigeva tributi dagli allevatori di bestiame, queste regolamentazioni garantivano che alle
greggi migranti fosse assicurato il passaggio per le migrazioni bi-annuali dai territori montani alle
pianure, poiché esse passavano su territori privati e feudali.
Per i riformatori del XVIII secolo qualsiasi forma di uso collettivo era offensiva, poiché violava il
principio che i diritti di proprietà dovessero essere assoluti, di modo che il proprietario terriero fosse
libero di usare la sua terra come pensasse giusto. Quando i governi cominciarono a sostenere quel
principio ed incoraggiarono il processo di privatizzazione e di recinzione, ciò non solo mise in
conflitto gli interessi degli agricoltori stanziali con quelli degli allevatori di bestiame, ma tale
processo minacciò anche i delicati equilibri ecologici che erano stati conservati nei secoli
precedenti. I movimenti bi-annuali del bestiame dalla montagna alla pianura creavano importanti
legami tra le comunità montane e quelle delle pianure, ma essi giocavano anche un importante ruolo
nel rendere possibile la coltivazione su terreni non fertili. Nella Spagna e nell’Italia meridionale, per
esempio, scarsa era la caduta annuale di piogge e i terreni erano sottili ed aridi. La naturale fertilità
della terra era limitata come risultato, ma la presenza di greggi brucanti nelle pianure nei mesi
invernali forniva una straordinaria risorsa di arricchimento a questi terreni sterili, e il letame lasciato
dalle pecore permetteva la coltivazione del grano dopo che le greggi erano ritornate alle montagne.
Ma quando le rotte della migrazione stagionale furono chiuse, fu messo in crisi l’intero sistema.
Uno dei segnali di cambiamento più critici delle economie rurali nell’Europa del XVIII secolo fu la
crescita costante della terra privata e recintata a spese della terra che prima era stata soggetta a
qualche forma di uso collettivo. Questo processo si era sviluppato del tutto e precocemente in
Inghilterra, dove la privatizzazione e la recinzione erano state attivamente incoraggiate dal
Parlamento nella seconda metà del XVII secolo. Questo slancio fu mantenuto durante il XVIII
secolo e fatto funzionare dalla crescente domanda commerciale di prodotti agricoli e dallo sviluppo
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di nuovi princìpi di coltivazione e di conduzione aziendale. Il risultato fu che nelle più fertili regioni
agricole dell’Inghilterra la classe dei contadini piccoli proprietari terrieri, tipica di gran
parte del resto d’Europa, cominciò ad essere rimpiazzata da una classe più danarosa di “fittavoli” e
da lavoratori agricoli, che né possedevano né avevano in fitto una terra propria, ma che
dipendevano dai salari che guadagnavano lavorando nelle fattorie dei grandi proprietari terrieri o
dei fittavoli intermedi. Anche sulle colline più povere dell’Inghilterra settentrionale, come anche
sulle Highlands scozzesi e sulle colline gallesi, i poveri rurali conducevano una vita più isolata ed
indipendente dei loro corrispettivi europei.
Insieme alla nascita dell’agricoltura intensiva, vale a dire lo sviluppo di vaste aziende agricole
affidate ad amministratori professionisti, destinati a massimizzare la produzione per il mercato,
l’assenza di un’ampia classe di agricoltori contadini fu una caratteristica peculiare dell’agricoltura
inglese nel XVIII secolo. Tuttavia, la ricerca storica non avvalora la descrizione apocalittica che
Karl Marx fece di questo processo, in quanto visto come espulsione forzata dalla terra dei contadini
inglesi, che furono convertiti nel nuovo proletariato di fabbrica della Rivoluzione Industriale. Il
processo fu più graduale e sfumato, e portò alla ristrutturazione della società rurale, in quanto una
classe relativamente stabile di fittavoli rimpiazzò le proprietà contadine più precarie, tipiche di
molte parti dell’Europa continentale. Ma resta vero che in gran parte dell’Inghilterra, come nei
Paesi Bassi Settentrionali, i poveri rurali non avevano diritti consuetudinari sulla terra e i nuovi
metodi di coltivazione erano introdotti più facilmente che altrove. In contrasto col resto dell’Europa
(e dell’Irlanda), dove l’aumentata popolazione rurale rimaneva nelle aree rurali, aumentando così la
pressione sulle risorse ed esacerbando la domanda di terra, in Inghilterra l’agricoltura intensiva
e la recinzione significava che il surplus di popolazione si muoveva invece verso le città di
provincia, grandi e piccole, che si andavano rapidamente espandendo. Come nella Repubblica
Olandese, l’assenza di una classe contadina legata o dipendente dalla terra diede ai proprietari
terrieri inglesi molta più libertà della maggior parte dei loro corrispettivi continentali nell’utilizzare
la terra come a loro piaceva. Non è ancora chiaro quale impatto possano aver avuto sulla
produttività agricola i famosi esperimenti per migliorare l’allevamento del bestiame, per introdurre
nuove piante azotate (trifoglio e rape), lo sviluppo di rotazioni per raccolti più intensivi e nuove
tecniche di arricchimento del suolo. I pionieri di queste innovazioni, come Turnip Townshend e
Thomas Coke di Holkham, conquistarono fama internazionale per il modo innovativo e progressista
con cui affrontarono i problemi dell’agricoltura, mentre per tutta l’Europa cominciarono a discutere
di questi nuovi sviluppi associazioni, istituite da tempo, di gentiluomini agricoltori, come i
Georgofili di Firenze. Anche nell’Inghilterra, però, pochi avevano i mezzi per imitare questi
esempi, mentre gran parte dell’aumento della produttività nella coltivazione dei cereali nell’Anglia
orientale (area, insieme alle contee ad “agricoltura intensiva” delle Midlands, epicentro della
“rivoluzione agricola” del XVIII secolo) fu il risultato di massicci progetti di bonifica di terra,
portati a termine nel secolo precedente da ingegneri olandesi con fondi pubblici. Le recinzioni delle
terre in Inghilterra, i proprietari terrieri innovativi (in verità più spesso miglioravano gli
amministratori) e i sostenitori della nuova scienza dell’agronomia, erano chiari segnali dei nuovi
metodi e princìpi dell’agricoltura capitalistica.
Ma anche altrove si ebbero miglioramenti della produttività agricola. I Paesi Bassi Meridionali
avevano uno dei sistemi agricoli più intensivi d’Europa, combinando l’allevamento del bestiame e
la produzione casearia con la produzione di terreno arativo estensiva. Per la Francia, Michel
Morineau mise in discussione le opinioni di Braudel, Leroy Ladurie e di Chaunu, i quali
sostenevano che la persistenza in gran parte della Francia di piccole aziende contadine mantenne un
vincolo “maltusiano” sulla aumentata produttività agricola fino ed oltre la Rivoluzione. Ma se il
settore contadino si mostrò più elastico di quanto si fosse pensato precedentemente, le fattorie
estensive della Normandia, dell’Ile de France e le province settentrionali reggevano il ritmo con gli
sviluppi dei Paesi Bassi Meridionali.
Anche per l’agricoltura, perciò, l’Europa del XVIII secolo fu ancora una volta un mosaico di realtà
regionali contrastanti. I Paesi Bassi coi suoi polder recuperati dal mare, l’Ile de France e la
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Normandia, la irrigua Pianura padana nel Nord Italia, tutte queste aree fornivano esempi di regioni
agricole altamente produttive, mentre l’espansione del commercio interno ed estero incoraggiava
anche in altre aree lo sviluppo di produzioni agricole orientate al mercato. Erano tutti segnali di
questi cambiamenti l’espansione dei vini e della viticoltura nella Francia meridionale ed in
Catalogna, la produzione di piante di lino e di canapa nell’Ulster e negli Stati Germanici
Settentrionali, la produzione crescente di bachi da seta e di seta grezza nelle fattorie contadine sulle
colline della Lombardia settentrionale e del Veneto. La crescente domanda di forniture navali
incoraggiava anche la produzione di legname, lino, canapa, pece ed altri materiali navali in tutte le
regioni che avevano accesso ai porti del Baltico meridionale. Dietro l’apparenza esteriore di
immobilità, ogni tipo di cambiamento aveva luogo nel complesso mosaico delle varie economie
agrarie d’Europa nel corso del XVIII secolo. Se questi cambiamenti fossero nella maggior parte dei
casi men che rivoluzionari, crescenti furono i divari che separavano le regioni aventi agricolture e
produttività più intensive dal resto, mentre nello stesso tempo notevolmente differenziate furono le
risposte regionali all’impatto crescente di una economia di mercato. Tuttavia l’impatto di queste
forze si stava avvertendo in tutta l’Europa agraria.

Cap. 4 La rivoluzione demografica

Ma quale fu la causa di questa nuova domanda che incoraggiava la diffusione della produzione
destinata al commercio in molte parti differenti dell’Europa rurale nel XVIII secolo? Uno dei
problemi più enigmatici che lo storico economico e sociale dell’Europa del XVIII secolo deve
affrontare è la rottura che ebbe luogo nel corso del secolo con tutti i precedenti modelli di sviluppo
demografico. Ciò accadde con diversa collocazione temporale in differenti parti d’Europa ed è stato
un fenomeno europeo e poi globale che non si è mai invertito (vedi tabella 1).

Il primo segno di questo cambiamento venne dal fatto che durante la prima metà del secolo i prezzi
dei cereali continuarono a cadere, nonostante la rapida ripresa dei livelli di popolazione dalla
terribile crisi demografica del secolo precedente. Ciò indicava che la produzione agricola poteva
non solo sostenere, ma persino superare la domanda, anche se questa era raggiunta mediante una
produzione più intensiva piuttosto che con incrementi della produttività agricola. In altre parole,
l’espansione demografica non provocò la “crisi maltusiana” tipica dei secoli precedenti. Ma ciò che
causò l’espansione demografica europea nel XVIII secolo rimane uno dei grandi enigma irrisolti

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della storia sociale ed economica europea dell’epoca. L’espansione demografica nella prima fase
dell’Europa moderna aveva seguìto ciò che i demografi chiamano un grafico con taglio a sega: non
appena la popolazione cominciava a crescere, sarebbe stata vittima di crisi di sussistenza, carestie,
malattie e di morte. Nel XVIII secolo vi furono molte importanti crisi di sussistenza, tuttavia la
ripresa fu rapida e nell’insieme la popolazione cominciò a imbarcarsi sulla lunga curva di
espansione, che non solo rimase ininterrotta, ma successivamente accelerò con una velocità
geometrica senza precedenti.
Gli storici demografici continuano a dibattere perché questo cambiamento ebbe luogo nel XVIII
secolo. Non vi è prova irrefutabile che la gente vivesse più a lungo e che più bambini
sopravvivessero: in verità la mortalità infantile nel XVIII e in gran parte del XIX secolo rimase
estremamente alta e la morte era una realtà sempre presente persino per gli europei più agiati, ad
ogni età ed in particolare in quella infantile, come la letteratura del periodo testimonia
eloquentemente.
I nuovi modelli di espansione demografica manifestatisi nel XVIII secolo si dovevano spiegare in
termini di “grappoli” di differenti sviluppi, che concernevano differenti regioni in tempi differenti e
con differente intensità. Tra essi i contemporanei avrebbero certamente indicato l’apparente
scomparsa, o l’infiacchimento, delle grandi epidemie, che avevano devastato precedenti generazioni
di europei. Naturalmente le malattie non persero la loro presa sulle popolazioni europee, la maggior
parte delle quali era cronicamente immiserita e denutrita, e quindi preda di ogni sorta di mali e
disturbi. Ma sebbene gli ultimi scoppi della peste nera possano essere continuati fino al XIX secolo,
l’Europa del XVIII secolo ebbe una breve tregua dalle pestilenze dell’epoca medievale e della
prima epoca moderna, e le furono risparmiate le nuove epidemie, come il colera, che avrebbero
afflitto i suoi eredi del XIX secolo. Non è chiaro perché ciò sarebbe dovuto accadere, certo non fu il
risultato di un miglioramento dell’igiene o della medicina. Lo sviluppo del famoso vaccino di
Jenner contro il vaiolo migliorò l’aspetto degli europei, ma non allungò la loro vita. In verità
l’impatto della scienza medica sull’aspettativa di vita rimase trascurabile fino ai primi del XX
secolo. Molti storici hanno sostenuto che in assenza di prove che gli europei vivessero più a lungo,
un abbassamento dell’età maritale fornisce una migliore spiegazione dell’aumento della
popolazione, dal momento che ciò avrebbe innalzato i tassi di fertilità e di riproduzione, anche se i
tassi di mortalità non discendevano. Ma gli storici demografici hanno mostrato che una tendenza
verso matrimoni precoci può essere il risultato di circostanze molto diverse, e che spesso erano
proprio i più poveri, i cui figli avevano le minori possibilità di sopravvivenza, a sposarsi
giovanissimi e a fare più figli. Matrimoni precoci potrebbero avere come conseguenza livelli
insostenibili di incrementi demografici, come accadde, per esempio, in Irlanda ai primi del XIX
secolo. Il caso irlandese indica anche l’importanza dell’introduzione di nuovi raccolti alimentari
come la patata (e del granturco nell’Europa meridionale), che almeno inizialmente fornivano
raccolti di sussistenza più affidabili, che aiutavano a sostenere le crescenti popolazioni rurali,
benché ad alti costi nel lungo periodo. Tuttavia, in assenza di miglioramenti della salute o
dell’aspettativa di vita, la più probabile spiegazione dell’espansione demografica europea nel XVIII
secolo era la tendenza a matrimoni in età più giovane, e perciò a più alti tassi di natalità, tra le classi
sociali intermedie.

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