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STORIA CONTEMPORANEA 1

1. Nuovi modi di commerciare, consumare, produrre


Tra fine Seicento-inizio Settecento L'Europa è coinvolta da un grande dinamismo
economico, che interessa agricoltura, manifatture e commercio, e che spinge gli europei
ad andare in cerca di ricchezze (beni, braccia) in Asia, Africa o America. Si viaggia anche
per scoprire, esplorare. Questi movimenti danno vita ad una prima forma di
globalizzazione e lungo le rotte, soprattutto marittime, si spostano navi, persone, armi e
merci. Nei principali porti dell'occidente arrivano merci esotiche, come ad esempio il caffè,
che diventa così popolare che a Venezia nasce la prima “bottega del caffè” (1647) che poi
si estende nelle più grandi città europee (Londra, Amburgo), e diventano presto luoghi
frequentati da intellettuali. La nuova società dei consumi porta alla nascita dell’opinione
pubblica.
Le merci viaggiano su circuiti commerciali transoceanici che avevano già preso forma tra
‘500/’600: uno verso Est (e le Indie orientali); uno di forma triangolare (prima l’Africa, poi
rotta verso le Americhe). Nel Settecento cambia qualcosa. Sul circuito delle Indie
diminuisce l’importanza delle spezie, e aumenta quella del cotone, del tè e del caffè.
Sull’altro circuito, sono 3 i cambiamenti principali: innanzitutto, il numero di abitanti nelle
Americhe cresce, e con loro la richiesta di beni prodotti in Europa (armi, bottoni, vasi,
prodotti in metallo); dal Sud America, i Caraibi e il Nord America arrivano caffè, tabacco,
cotone e metalli preziosi; aumenta il commercio degli schiavi. Nel Seicento, gli schiavi
commerciati sono 1.200.000, nel Settecento la cifra sfiora i 4 milioni, con un picco tra
1780-90, dove vengono deportati circa 88.000 individui l’anno. Essi sono giovani,
prigionieri di guerra o di proprietà di qualche mercante, vengono venduti sulle coste
dell’Africa. Vengono poi trasportati nelle Americhe (alcuni muoiono durante il viaggio) e
venduti nelle piantagioni, dove sono costretti a lavorare 15-17 ore. Alcuni in Europa si
scagliano contro tutto questo, ma è idea comune considerare i neri come inferiori.
Il collegamento Europa-Africa-America crea un commercio triangolare: dall’Europa
partono navi piene di merci, che vengono vendute in Africa per comprare schiavi. Da qui si
va in America, dove gli schiavi vengono venduti e vengono acquistate merci dalle
piantagioni. Nel Settecento, a imporre la loro egemonia sono francesi e inglesi. I
commercianti di queste due nazioni si insediano stabilmente sia in Africa che in India,
dando vita a competizioni anche politiche-militari per il controllo di queste aree, con
l’Inghilterra che si impone anche grazie alla sua marina.
Questo commercio, pur essendo di lusso (merci esotiche, spezie, schiavi), porta grandi
vantaggi, in particolare alla Gran Bretagna, dove avvengono diversi mutamenti. Aumenta
la richiesta agricola. Nuovi ceti, che prima arrivavano a malapena alla sussistenza (piccoli
mercanti, manovali nei porti, marinai) iniziano a percepire un reddito maggiore, che viene
speso per lo più per sfamarsi, il che porta ad un aumento della richiesta agricola. Molti
parlano di rivoluzione agricola. Essa inizia, in Inghilterra, con le enclosures, un processo
già in atto ma che subisce un’accelerazione nel sec. XVIII. Nelle aree con piccole proprietà
sparse, si doveva essere d’accordo tutti per introdurre delle modifiche (cosa quasi
impossibile). Nel sec. XVIII i grandi proprietari, coloro che possiedono la maggioranza
della terra, riescono a creare unità più compatte e possono richiedere al Parlamento il
permesso di recintarle. Il processo non è privo di tensioni, anche perché le terre
redistribuite prima erano comuni (usate per il pascolo o per raccogliere legna). Tra 1760-
1810 vengono recintati ben 3.000.000 di ettari di terra. Generalmente, i proprietari li
affittano poi a degli affittuari, che assumono manodopera (spesso coloro che erano stati
espropriati delle terre comuni) e introducono innovazioni, come la rotazione pluriennale.
Viene cioè divisa l’area in più parti con diverse colture, che ruotano di anno in anno. La
novità è che in queste colture figurano i foraggi, che trasmettono azoto al terreno
rendendolo più fertile e fungono da alimento per il bestiame. La produttività aumenta, così
come l’offerta e, allo stesso tempo, i redditi dei proprietari. Il sistema della rotazione si
diffonde poi nel resto d’Europa.
In Europa si sono diffuse, a partire dal ‘600, tre nuove colture. La prima è il riso,
proveniente dall'Asia, che necessita di molto sole e tanta acqua, diffuso particolarmente in
Valle Padana, Spagna e Portogallo. La seconda è il mais, presente già dal ‘600 in
Spagna, Francia e Italia Settentrionale. Può essere coltivato in rotazione col grano ma un
rendimento di 2/4 volte superiore. Particolarmente diffuso tra i ceti popolari, un suo
consumo troppo eccessivo può portare ad una malattia dovuta alla carenza di vitamina B
(pellagra). La terza è la patata, diffusa principalmente nell’Europa settentrionale (Irlanda,
Inghilterra). Inizialmente è usata solo come alimento per le bestie ma, grazie al suo ottimo
apporto calorico, è poi utilizzata per l’alimentazione umana.
A metà Settecento, inizia una fase di transizione demografica. Nei secoli precedenti, di
solito, vi erano temporanei aumenti della popolazione, seguiti da un aumento dei prezzi (la
domanda superava l’offerta) e da crisi, con conseguente diminuzione della popolazione
(modello malthusiano). Questa volta, però, non accade. L’aumento è molto rapido e più
accentuato, ma non accompagnato da crisi di mortalità, ma anzi, vi è una diminuzione
della mortalità (in particolare infantile). Come mai? Probabilmente, una disponibilità di
migliori beni alimentari, un miglioramento del tenore di vita e delle condizioni igieniche.
Inoltre, sparisce completamente la peste.
Altri cambiamenti si verificano nel settore tessile, la cui richiesta (grazie all’importazione di
cotone) era cresciuta. Nel 1733 John Kay mette a punto la navetta volante, capace di far
muovere meccanicamente sul telaio la spola col filo, e di produrre un tessuto largo il
doppio rispetto a quello di un operaio. Nel 1764 viene brevettato un filatoio a mano capace
di far muovere 6/7 fusi, e nel 1768 un filatoio ad energia idrica.
Altri importanti cambiamenti avvengono nel settore siderurgico. L’Inghilterra è ricca di
giacimenti di carbon fossile e ferro, e produce ferro e ghisa. La produzione della ghisa, già
ideata da Abraham Darby, viene perfezionata da Henry Cort con i metodi di pudellaggio e
laminazione. Si crea un altro problema: il carbone è sempre più in basso e per estrarlo
bisogna pompare fuori acqua. James Watt crea (1765) e perfeziona (1782) una pompa a
vapore. L’uso dell’energia a vapore fa subito fortuna in Inghilterra. Prima le fonti d’energia
erano 4: eoliche, idriche, animali e umane, e nessuna di esse poteva essere usata
ininterrottamente come il vapore. Il vapore fu applicato anche ai filatoi, rendendo i tessuti
inglesi molto competitivi a livello di prezzo. Ciò comporta un effetto a catena: utilizzo di
filatoi a vapore anche per seta e altri tessuti=maggiore richiesta di macchine a vapore=più
lavoro per tutti.
Questa rivoluzione porta a 5 sviluppi ben definiti: innanzitutto, ha un carattere cumulativo
apparentemente inarrestabile, ogni cambiamento ne provoca un altro a catena; in
secondo luogo, ciò che avviene in Inghilterra costituisce un modello, studiato, ammirato,
imitato in tutta Europa; le trasformazioni si concentrano in aree industriali e non sono
omogenee, e qui si sviluppano nuovi modelli di produzione (fabbriche); in un primo
momento gli operai sono tutti immigrati dalle campagne, sottoposti ad un rigido controllo
sugli orari, a turni lunghissimi e in condizioni precarie, e l’utilizzo di nuove macchine crea
disoccupazione; molti vivono l’introduzione delle macchine come una catastrofe, con
grande senso di nostalgia verso il passato (come i luddisti, che danno il via ad una serie di
proteste a sfondo sociale in Inghilterra).
6. La Restaurazione
Dopo la sconfitta di Napoleone (1814), c'è l'urgenza di un incontro diplomatico ai massimi
livelli, che si svolge a Vienna e raduna le più grandi potenze mondiali: l'Austria (con
l’imperatore Francesco I e il cancelliere Metternich) , la Russia, la Prussia e la Gran
Bretagna. La Francia borbonica è rappresentata da Talleyrand. Il congresso si apre il
1/11/1814 e si chiude con la firma degli atti il 9/6/1815. Alla base della ristrutturazione
dell'Europa c’è il principio di legittimità: l'intento è quello di ridisegnare i confini degli Stati e
le loro istituzioni con gli assetti vigenti prima del 1789, anche se questo criterio verrà
spesso disatteso. I cambiamenti significativi furono:
-la Russia ingloba il Regno di Polonia e la Finlandia, sottratta alla Svezia;
-la Prussia riottiene a est la Posnania e a ovest i territori renani che erano entrati a far
parte del Regno di Vestfalia;
-l’Austria riottiene i territori precedentemente persi (Slovenia, Tirolo, Croazia, Dalmazia)
più il Regno Lombardo-Veneto, ma cede i paesi bassi austriaci che, con l’Olanda, formano
il Regno dei Paesi Bassi;
-in Germania viene creata la Confederazione germanica, organismo con 39 Stati tra cui
l’Impero Austriaco, la Prussia, la Baviera, la Danimarca, Hannover, la Sassonia, il
Württemberg e altri 7 granducati, 9 ducati e 11 principati minori. Il suo organo centrale, col
compito di orientare le scelte politiche/militari è la Dieta della Confederazione, costituita
dagli ambasciatori degli Stati membri;
-in Spagna diventa re Ferdinando VII di Borbone;
-in Italia il Regno di Sardegna è ampliato con Savoia e Nizza e incorpora il territorio
dell’antica repubblica di Genova; il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla è affidato a
Maria Luisa d’Austria; il Ducato di Modena a Francesco IV d’Este; il Granducato di
Toscana restituito a Ferdinando III d’Asburgo; lo Stato della Chiesa ricostituito e il Regno
delle due Sicilie a Ferdinando I delle due Sicilie.
Molti provvedimenti sono in chiave antifrancese: il Regno dei Paesi Bassi, l’espansione
della Prussia in Renania, il controllo diretto o indiretto (tramite rapporti famigliari)
dell’Austria in Italia. Vengono firmati anche dei trattati diplomatici, che impegnino le
potenze a mantenere quest’ordine. Due sono importanti: il primo è il Patto della Santa
Alleanza (26/9/1815) firmato da Alessandro I di Russia, Francesco I d’Austria e Federico
Guglielmo III d’Asburgo, e poi man mano da altre potenze. Ci si impegna ad intervenire
con le proprie truppe, se necessario a mantenere l’ordine stabilito a Vienna. Il secondo
trattato è la Quadruplice Alleanza (20/9/1815) in cui Gran Bretagna, Austria, Russia e
Prussia si impegnano e tenere lontani i Bonaparte dal trono francese e a rispettare le
clausole di pace, istituendo regolari contatti diplomatici tra le potenze.
Dal punto di vista politico-costituzionale, quasi tutti i paesi sono monarchie amministrative,
eccezion fatta per pochi casi. Ad esempio, nel Regno Unito il sistema di governo è quello
che si è imposto dopo la “Gloriosa Rivoluzione”, con il re a cui spetta il controllo
dell’esecutivo, dell’amministrativo, del giudiziario e della Chiesa Anglicana; la Camera dei
Comuni dove siedono i rappresentanti scelti tramite votazione; e la Camera dei Lord, non
elettiva, dove siedono i principi della casa reale. Il potere di formare un nuovo governo
risiede nelle camere, e si parla dunque di monarchia parlamentare. In Francia la nuova
costituzione prevede un Parlamento bicamerale: una Camera bassa (elettiva) e una
Camera alta (con membri eletti dal re). Il re è capo del governo e il governo è responsabile
nei suoi confronti, si parla dunque di monarchia costituzionale.
Dopo la Rivoluzione Francese nasce una scuola di pensiero che fa del principio della
tradizione il fondamento necessario alla base di una vita collettiva stabile e pacifica. Ad
esempio, Edmund Burke nelle sue “Riflessioni sulla rivoluzione in Francia”, sostiene la
bontà del governo britannico, che si è evoluto gradualmente nel rispetto dei principi
tramandati di generazione in generazione; viceversa quello rivoluzionario non ha
funzionato perché ha spezzato tutte le tradizioni, la fedeltà alla memoria, lo “spirito” del
popolo. Questo tradizionalismo storico si fa spazio anche nel pensiero dell’italiano
Vincenzo Cuoco, critico coi francesi che hanno cacciato i Borbone da Napoli, ma anche
per lo svizzero Karl Ludwig von Haller o nelle opere di Joseph de Maistre o Louis-
Gabriel-Ambrose de Bonald.
La terribile sofferenza dei periodi di guerra napoleonici ha portato anche ad un risveglio
del culto religioso, rafforzando la devozione verso Cristo e il suo sacrificio e il culto della
vergine Maria. Nascono numerose associazioni cattoliche devote, come l’Amicizia
Cattolica fondata da Cesare d’Azeglio a Torino, o la riorganizzazione della compagnia di
Gesù.
L’ordine imposto dal Consiglio di Vienna non è ovunque indiscusso. Dove possibile (non
impedito da censura), vi sono dibattiti politici sui giornali o all’interno dei club. Negli altri
paesi, per esprimere il dissenso nascono delle associazioni segrete, come la Carboneria,
attiva soprattutto in Italia e Francia, i militanti sono distinti in tre gradi di iniziazione, e i
rituali di affiliamento richiamano spesso la massoneria.
Una delle innovazioni principali dell’Ottocento è l’idea di nazione. Prima, nazione indicava
realtà geografiche/culturali poco definite; ora, grazie anche alla Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino, indica una collettività che ha il diritto di esercitare la sovranità
politica su un determinato territorio. Si diffonde l’idea di nazione come di comunità che
condivide gli stessi tratti etnici, la stessa storia, lingua e cultura. Il linguaggio del
nazionalismo, nonostante l’ampia diffusione, trova due ostacoli: innanzitutto, la
comunanza etno-linguistica molto spesso non garantisce una comunanza di sentimenti
politici. Inoltre, in molti stati non è nemmeno diffuso l’uso di una lingua comune nazionale
(vedi i vari dialetti delle zone rurali francesi, o in Italia dove l’italiano è prima lingua solo per
il 10% della popolazione). In secondo luogo, il nazionalismo dopo il 1815 appare come un
linguaggio eversivo, con i suoi sostenitori che auspicano importanti mutamenti geopolitici
sul territorio europeo, unendo stati (un unico Stato tedesco o un unico Italiano) o
smembrandone altri (separare Russia e Polonia, la Boemia dall’Austria). Eppure, il
nazionalismo ha una fortissima capacità persuasiva. Sia perché si rivolge alle masse, sia
perché parla all’universo delle emozioni (al contrario del dibattito illuminista, basato su
teorie e ragione). Nasce una “nuova politica”, che parla al “cuore” del popolo, e sollecitata
da strumenti che prima servivano solo a rilassarsi e divertirsi (romanzi, spettacoli teatrali,
pitture, statue). Fondamentale è, infatti, l’integrazione del nazionalismo politico
nell’esperienza culturale del Romanticismo, che riesce a fare del nazionalismo un
discorso mitico, di grande efficacia.
Esso parla della nazione come di una comunità di discendenza, un fatto sia biologico che
culturale. Dal punto di vista del lessico, la patria diventa madrepatria, i grandi politici del
passato “padri della patria” e la nazione una famiglia, una fratellanza. La nazione è una
comunità segnata dalla sua esperienza storica, di cui si deve coltivare la memoria
attraverso racconti, manifestazioni, ricerche. L’eredità culturale, però, si pensa in modo
molto rigido e ristretto, ognuno per la propria nazione: in Italia si esaltano solo Dante,
Machiavelli, Alberto da Giussano; in Germania Herman, in Inghilterra Chaucer e
Shakespeare o l’ammiraglio Nelson. Viene esaltata anche la sacralità delle lotte, del
sacrifico e del martirio per la libertà della propria patria. C’è una visione comune del
nazionalismo dal punto di vista ideologico, ma non da quello dell’assetto politico-
istituzionale. Due fazioni contrapposte:
Il progetto politico liberale ruota attorno a dei principi cardine: il primo è l’esaltazione del
libero mercato, senza intralci che ne limiterebbero l’iniziativa; il secondo è il
consolidamento di istituzioni costituzionali o parlamentari, che garantiscano che le leggi
siano valide per tutti allo stesso modo; la valorizzazione della società civile, dei diritti e
della libertà degli individui da difendere; tutti devono poter usufruire dell’esercizio dei diritti
politici, il Parlamento deve esprimere la volontà della nazione, ma non di quei soggetti
considerati “naturalmente” immaturi, come donne, bambini, o chi non ha sufficiente grado
d’istruzione.
Il pensiero democratico è ben diverso da quello liberale: molti democratici preferiscono
un assetto politico repubblicano, perché rispetta di più l’idea che la sovranità spetti ai
cittadini di una nazione. Inoltre, propongono che il diritto di voto sia esteso a tutti i cittadini
maschi adulti, perché ognuno può difendere il suo pensiero come meglio crede.
7. Tornano le rivoluzioni
Negli anni successivi al Congresso di Vienna, il dissenso e le inquietudini portano a ben 3
cicli di rivoluzioni tra America ed Europa nel periodo 1820/1849.
La prima ondata ha inizio in America Latina, dove si trasmette in Spagna e poi, tra 1820 e
1825 in tutta Europa, con caratteristiche comuni: lo scoppio di una rivoluzione si trasmette
attraverso i pamphlets, i giornali, i racconti, e si cerca di imitarne il modello; le rivoluzioni si
spostano su un asse est-ovest (prima America Latina, poi Spagna, Regno delle due
Sicilie, Piemonte, Grecia, Russia); un ruolo fondamentale è occupato dai militari (borghesi
e nobili) che adottano la tecnica del colpo di Stato, e dalle società segrete, che
coordinano e organizzano i vari rivoluzionari. Tutte le rivoluzioni portano al centro i temi
dell’indipendenza e della sovranità nazionale, ma ognuna di esse è indebolita da
spaccature interne.
La fiamma originaria si accende in America Latina. Qui a dominare, dal punto di vista
sociale, sono i creoli (bianchi occidentali nati nel continente americano), che risultano
spesso insofferente nei confronti dell’amministrazione e del prelievo fiscale controllati dalla
madrepatria. Nel 1811 a Caracas Francisco de Miranda proclama l’indipendenza della
Repubblica del Venezuela, appoggiato economicamente e militarmente dal Regno Unito,
che voleva controllare i commerci in quella zona. Alla morte di de Miranda, la rivoluzione
viene condotta a nord da Simon Bolivar, che proclama l’indipendenza della Colombia
(1819); e a sud da Josè de San Martin, che proclama l’indipendenza di Argentina (1816) e
Cile (1818). Nel 1821 è il turno del Messico, tra il 1822 e il 1824 tocca al Perù e, nel 1822,
il Brasile diventa un Impero indipendente sotto la guida di Pedro I di Braganza. La grande
federazione sudamericana, sognata da Bolivar, si frantuma a causa di rivalità sociali e
territoriali. Questi Stati si affidavano spesso ai capi militari più che alle Costituzioni e,
nonostante l’abolizione della schiavitù, erano ricchi di diseguaglianze. Ad approfittare della
situazione, soprattutto dal punto di vista economico/commerciale, sono Usa e UK.
Nel 1814 Ferdinando VII di Borbone revoca la costituzione che era stata approvata nel
1812 durante la guerra antinapoleonica, scontentando gran parte dell’opinione pubblica e
di coloro che avevano combattuto. Il malcontento è acuito dalla crisi che scoppia nelle
colonie, con Federico che prova ad inviare delle truppe per reprimerla. Le truppe, però, si
ribellano a Cadice (da dove dovevano partire per le Americhe) il 1/1/1820, chiedendo a
gran voce il ripristino della costituzione del 1812. Presto altre città si aggregano a Cadice,
e il re accetta di ripristinare la Costituzione. Il movimento che si crea dopo la rivoluzione è,
però, disunito, tra correnti liberali moderate e democratiche, e favorisce un ritorno
dell’assolutismo regio. Interviene la Santa Alleanza, che autorizza la Francia a intervenire,
con quest’ultima che sopprime definitivamente i rivoluzionari nel 1823.
Nel Regno delle due Sicilie, un gruppo di carbonari avanza, nella notte tra primo e
secondo luglio 1820 verso Avellino al grido di “Costituzione e Libertà!”. Per l’incertezza
dei generali e delle autorità regie, la rivoluzione arriva a Napoli il 9/7 e, 4 giorni più tardi, il
re Francesco di Borbone giura di difendere e conservare la Costituzione (che è quella
spagnola del 1812, tradotta). Subito dopo, però, a Palermo scoppia un’insurrezione
autonomista, che chiede l’istituzione di un Regno autonomo di Sicilia, e il regno di Napoli
deve intervenire militarmente. Nel 1820, in Piemonte i carbonari formulano segretamente
un programma rivoluzionario, basato su due punti: una Costituzione e guerra all’Austria
per riprendersi Lombardia e Veneto e formare il Regno dell’Alta Italia sotto i Savoia.
L’insurrezione parte da Alessandria il 9-10/3/1821 e si propaga a Torino, dove Vittorio
Emanuele I abdica in favore del fratello Carlo Felice ma, in sua assenza, nomina reggente
Carlo Alberto. Quest’ultimo approva la Costituzione il 13/3 ma, al ritorno di Carlo Felice, le
sue scelte vengono disconosciute. Ferdinando I delle due Sicilie nel frattempo si reca a
Lubiana, per chiedere un intervento per porre fine all’esperienza costituzionale del suo
regno. Parte un esercito austriaco che il 24/3/1821 entra a Napoli e, un suo piccolo
contingente, reprime le rivolte anche a Torino e Alessandria (8-10/4/1821).
L’area balcanica è controllata dall’Impero Ottomano. In Serbia, un primo tentativo
indipendentista (poi represso) scoppia nel 1803, una seconda serie di insurrezioni tra
1815/16 costringe il sultano a concedere autonomia alla Serbia, nominando Milos
Obrenovic capo di quella regione. A Odessa intanto, dal 1814 alcuni mercanti greci
fondano una società, la Filikì Eterìa (Società degli amici) mossa da ideali indipendentisti e
anti-ottomani. Nel 1820 il capo dell’associazione diventa Alexandros Ypsilantis, che nel
1821 passa all’azione, tentando di favorire una rivolta in Moldavia e Valacchia. La sua
iniziale sconfitta porta a delle insurrezioni nel Peloponneso e nell’Egeo, che culminano con
la proclamazione dell’indipendenza greca (1822). La lotta prosegue anche negli anni
successivi e costringe Regno Unito, Francia e Russia a intervenire, con un trattato che le
impegna a garantire l’autonomia greca (1829). Nel settembre 1829 viene firmata la pace
di Adrianopoli e l’Impero Ottomano riconosce l’indipendenza dello Stato greco, a cui sarà
messo a capo dalle potenze europee un tedesco. Gli accordi di Adrianopoli prevedono
anche il riconoscimento di un Principato di Serbia, oltre che dei Principati di Moldavia e
Valacchia.

Un secondo ciclo di rivoluzioni si apre nel 1830. In Francia, nel 1824 diventa re Carlo X di
Borbone, che tenta un ritorno ad un regime di monarchia assoluta (es. con i rituali di
unzione e incoronazione, la taumaturgia, il reintegro di coloro che durante la Rivoluzione
erano stati esiliati). La sua politica riscuote poco successo a livello di opinione pubblica,
tanto che nelle elezioni del 1827 in Parlamento i liberali sono in maggioranza rispetto ai
monarchici. Carlo però nomina, nel 1829, Primo Ministro Jules de Polignac, leader dei
monarchici. La tensione che va creandosi porta Carlo sciogliere la camera e a convocare
nuove elezioni (1830), che però danno lo stesso esito delle precedenti, con una netta
vittoria liberale. Il 25/7/1830 Carlo emana 4 ordinanze: sospende la libertà di stampa,
scioglie la Camera, modifica la legge elettorale e convoca nuove elezioni. Il popolo di
Parigi insorge e, in 3 giornate (27-28-29/7) conquista la capitale, proclamando come capo
Luigi Filippo d’Orleans. Carlo, sconfitto, si esilia in Inghilterra. Il 9/8 viene approvata una
nuova Carta, che sostiene che: la religione cattolica non sia più religione di Stato; sia
proibita la censura sulla stampa; il diritto di iniziativa legislativa spetta anche al
Parlamento; il re non può emanare ordinanze che sospendano le decisioni del
Parlamento; viene adottato il tricolore rosso-bianco-blu.
I cittadini del Belgio, che era entrato a far parte del Regno dei Paesi Bassi, non
condividevano le stesse caratteristiche culturali dei loro vicini, erano contrari alle politiche
liberiste di Guglielmo I e avevano orientamenti religiosi/linguistici differenti. La tensione si
accumulano e scoppiano nel 1830. Il 4/10/1830 il governo provvisorio proclama
l’indipendenza del Belgio e, il 7/2/1831 viene approvata una nuova costituzione. Le
potenze riconoscono l’esistenza del nuovo Stato affidando la corona a Leopoldo di
Sassonia.
Dopo il Congresso di Vienna, al Regno polacco vengono riconosciute una sua
Costituzione e una certa autonomia, ma con lo zar Alessandro I e il suo successore Nicola
I esso passa sempre più sotto il controllo russo. Il 29/11/1830 un gruppo di cadetti di
Varsavia prende le armi e attacca il palazzo del governatore, che deve fuggire. Nicola I
risponde con l’esercito, e la strenua resistenza polacca è vinta il 9/1831.
8. Il Risorgimento Italiano
L’Italia è coinvolta in entrambi i cicli rivoluzionari, chiari segnali della diffusione di un
movimento politico che si ispira al concetto di nazione. Il movimento interessa solo le
grandi città, mentre dalle campagne (ancora inquiete a causa del brigantaggio) filtra
apatia. Ad aumentare le difficoltà, vi sono anche contrasti tra gli stessi rivoluzionari,
sull’eventuale gerarchia e forma di un nuovo Stato. Accade però un fatto che da nuovo
slancio a questi ideali: iniziano a essere pubblicate opere (ispirate a quelle tedesche) che
esaltano la nazione italiana, la sua storia passata (Leopardi, Manzoni, Verdi, Silvio
Pellico). Tutte queste opere tendono a descrivere, coerentemente, cosa sia la nazione
italiana. Tutti la immaginano come una comunità di parentela, legata dal sangue, con una
lingua comune, una cultura comune e un passato comune (passato di oppressione e
decadenza che si deve riscattare). In tutte le narrazioni compare sempre la figura
dell’eroe nazionale, coraggioso e leale, che si scaglia contro lo straniero e che spesso è
destinato alla morte. Vi è anche il traditore, colui che, spinto dall’ambizione, causa la
morte dell’eroe o la sconfitta della comunità nazionale. Infine, talvolta compare l’eroina
nazionale, che condivide i tratti dell’eroe. Questo modello riscuote un discreto successo
perché la sua triade ricorda le storie evangeliche: l’eroe, come Gesù, è ricco di valori e si
sacrifica per il suo popolo; il traditore, come Giuda, causa le sofferenze dell’eroe; l’eroina
richiama alla Vergine Maria. Il significato simbolico di queste figure, in un Italia dove il
cattolicesimo è profondamente radicato, contribuisce ad aizzare il popolo, anche grazie al
gran lavoro di propaganda
Nel panorama democratico italiano emerge la stella di Giuseppe Mazzini, attivo fin dal
1831 con la sua Giovine Italia. Mazzini nasce a Genova, e si avvicina agli ideali patriottici
nel corso degli anni ’20, fino a diventare affiliato di una vendita carbonara genovese
(1827). La sua dedizione lo porta ad essere arrestato (1830) e successivamente all’esilio a
Marsiglia (1831). Qui fonda la Giovine Italia sul modello dell’esperienza carbonara, di cui
però critica l’inefficace propaganda. Per questo, gli affiliati della Giovine Italia devono
distribuire opuscoli o volantini, che spieghino il programma dell’associazione, il tutto sotto il
coordinamento della direzione centrale. Mazzini vuole costruire una repubblica unitaria e
democratica, convinto che un modello federale in Italia non funzionerebbe, ma
aumenterebbe solo i localismi. La sua associazione dovrebbe, idealmente, preparare le
condizioni per un’insurrezione militare contro gli Stati italiani, coordinata da un’autorità
dittatoriale che in tempo di pace avrebbe lasciato il potere ad un’assemblea costituente
eletta dal popolo. In Mazzini vi è una forte componente religiosa: il concetto del martirio,
del sacrificio, della guerra sacra. Nonostante Mazzini sostenga di “non aver bisogno delle
masse”, la sua associazione mostra ottime capacità di reclutamento, a partire da Marsiglia
in Francia, ambiente di esuli politici. Da cui il movimento si diffonde a Genova e Livorno,
porti di scambio con la città francese, e poi nel resto d’Italia. Nelle aree urbane il
movimento riscuote gran successo nella borghesia e nella nobiltà, oltre che in ambienti
operai e artigiani, ma non sfonda in campagna. L’ottimo successo ottenuto fa si che venga
progettato un primo tentativo insurrezionale (1833), ma a causa della struttura molto
aperta della propaganda esso viene scoperto e arrestati i colpevoli. Un secondo tentativo
più articolato (che vede la partecipazione di un giovane Giuseppe Garibaldi) viene
scoperto, e Mazzini scioglie la Giovine Italia (1834). Nel frattempo fonda a Berna (dove si
era trasferito) un progetto ancor più ambizioso: la Giovine Europa, che fallisce e lo
costringe a trasferirsi a Londra. Qui, sulla base dei successi del movimento operaio
inglese, fonda una seconda Giovine Italia (1839) che non avrà più fortuna delle altre.
Negli anni Trenta la proposta di Mazzini è la più apprezzata, ma si fa strada (soprattutto
tra le autorità di governo) una concezione di rivoluzione più cauta, ispirata da un sistema
monarchico-costituzionale. Essa si sviluppa dapprima nei salotti borghesi-nobiliari, attorno
all’attività di Giovan Pietro Vieusseux, ma un programma politico compiuto si ha solo nel
1843 grazie al “Del primato morale e civile degli Italiani” di Vincenzo Gioberti, che
colleziona un grande successo tanto da far stampare 8 edizioni dell’opera. Egli sostiene
che l’Italia abbia modellato la propria identità attraverso le credenze e la guida papale, e il
fatto di ospitare la sua sede le conferisce un primato morale sugli altri popoli. Egli sostiene
che essa, oppressa dai barbari, contiene in sé le caratteristiche per il suo risorgimento e la
sua rinascita. Ma il popolo è ancora solo “un desiderio e non un fatto, un presupposto e
non una realtà”, e dunque la guida per il risorgimento nazionale dev’essere “monarchica e
aristocratica”. Egli immagina un’unione confederale degli Stati esistenti, la cui presidenza
sia attribuita al papa. Essa dovrebbe essere costruita col favore dei sovrani già presenti, e
con poche modifiche interne (al massimo un Consiglio civile). I critici del suo lavoro fanno
emergere due grossi limiti: la posizione reazionaria del papa in carica, Gregorio XVI, e la
posizione che occuperebbe l’Austria in un eventuale confederazione. Questi due punti
(insieme alla presunta superiorità morale dell’Italia) vengono criticati da Cesare Balbo. Egli
poi sostiene che se l’Austria dovesse ottenere territori nei Balcani dall’imminente caduta
dell’Impero Ottomano, chiuderebbe un occhio sull’indipendenza Lombardo-Veneta.
Comunque, prosegue Balbo, il compito di preparare l’azione spetterebbe al Piemonte, lo
stato più avanzato. Comunque, l’idea di Gioberti pare un’utopia, ma accadono due fatti, tra
1843 e 1847 destinati a cambiare tutto e dargli credibilità.
La prima è la crisi dell’iniziativa mazziniana che, visti gli innumerevoli insuccessi,
raggiunge un minimo storico di popolarità. Nel frattempo, muore anche papa Gregorio XVI
(1846), e il nuovo pontefice Pio IX sembra rispettare la figura del papa liberale auspicata
da Gioberti. L’opinione pubblica e politica liberale e patriottica ne esce galvanizzata, fino a
quando, nel 1846, i prezzi dei prodotti agricoli iniziano a salire a dismisura (precedendo
dunque una crisi per l’anno successivo) e in tutte le città iniziano i tumulti.
9. Le rivoluzioni del 1848-49
L’Italia non è l’unico paese dove si palesano tensioni e conflitti. In Svizzera, tra 1845/47
sette cantoni cattolici e conservatori si uniscono in una Lega secessionista contro gli altri
cantoni. Un tentativo di rivolta scoppia anche in Galizia (parte dell’Impero austriaco) nel
1846, da parte di nobili proprietari terrieri. Queste tensioni si collocano in un contesto
economico-sociale preoccupante. Una serie di pessime annate agricole tra 1845 e 1847 fa
diminuire l’offerta e aumentare vertiginosamente i prezzi. La crisi si estende anche negli
altri settori, e a fine 1847 la situazione è disastrosa: in campagna la gente muore di fame,
e non va molto meglio nelle città. Tornano le Rivoluzioni, ma in maniera ancora più forte e
accentuata, andando a colpire anche Stati (Prussia, Austria) prima non considerati.
Il 12/1/1848, a Palermo scoppia un’insurrezione nella quale si mescolano motivi
patriottici/sociali/d’opposizione. Ferdinando II gioca d’anticipo e, il 29/1, annuncia di voler
concedere una Costituzione. Inizia un effetto domino: gli altri sovrani non vogliono essere
da meno. Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, annuncia la concessione di uno statuto
costituzionale (lo Statuto Albertino) emesso il 4/3. Leopoldo II, granduca di Toscana, ci
mette solo 4 giorni a creare un testo costituzionale (11/15-2). Il 14/2 Pio IX annuncia la
concessione di uno statuto per lo Stato Pontificio.
Da tempo in Francia ci si scaglia contro re Luigi Filippo, con richieste di aumento del
suffragio e con alcuni si spingono anche oltre, sognando di abbattere la monarchia. I
gruppi politici organizzano una campagna di banchetti per raccogliere firme per il
22/2/1848. Il governo la vieta, e viene promossa una manifestazione che porta qualche
migliaio di persone a scendere per strada a Parigi. La protesta è inizialmente pacifica, ma
un incidente porta un reparto dell’esercito a sparare sulla folla e uccidere 52 manifestanti.
Iniziano le barricate e Filippo abdica, fuggendo in Inghilterra. I dimostranti intervengono in
Parlamento, creando un governo provvisorio a maggioranza repubblicana, proclamando la
Seconda repubblica francese. Nelle settimane successive è abolita la pena di morte, la
schiavitù, proclamata libertà di stampa e suffragio universale maschile.
A Vienna, il 13/4/1848 una folla scende per strada chiedendo riforme simili a quelle
francesi e italiane. Il giorno successivo Ferdinando I licenzia Metternich e promette una
Costituzione, ma il 15/3/1848 la rivolta è già a Budapest, dove si forma un governo
autonomo. Ben presto, il movimento si espande al regno Lombardo-Veneto. Milano
insorge il 18/3/1848 e, dopo 5 giorni di scontri, la città viene liberata. Venezia viene
liberata e viene proclamata la repubblica. L’Impero sembra sopraffatto, e re Carlo Alberto
di Savoia dichiara guerra all’Austria (prima guerra Indipendenza, 23/3/1848). L’imperatore
concede all’Ungheria una Costituzione e larghe autonomie, abolendo i privilegi fiscali dei
nobili e la servitù contadina (11/4/1848). Il 15/5/1848 l’Imperatore annuncia la
convocazione di un’Assemblea costituente imperiale eletta a suffragio universale
maschile. Nel frattempo, il 2/6 a Praga si è aperto un Congresso dei popoli slavi
dell’Impero, con l’obbiettivo di trasformarlo in una federazione di Stati nazionali con ampie
autonomie.
A Berlino, in Germania, scoppia una rivolta il 18/3 e l’intervento dell’esercito causa 200
morti. Sia il re di Prussia che gli Stati della confederazione ordinano la convocazione di
due Assemblee costituenti. Quella Prussiana, eletta con suffragio universale maschile a
doppio turno, vede la prevalenza di avvocati e funzionari, ma con un buon numero di
contadini (49), che in quella tedesca, eletta su base censitaria, mancano (solo 4).
Entrambe hanno maggioranza liberale, ma in quella prussiana il gruppo democratico-
radicale è piuttosto fornito. Nel frattempo, vi sono insurrezioni anche a Poznan in Posnania
da parte di nazionalisti polacchi, che vengono repressi dall’esercito prussiano.
Se in primavera le rivoluzioni sembrano inarrestabili, verso la fine dell’anno l’evoluzione
politica della situazione congela le speranze dei rivoluzionari.
In Francia si tengono le elezioni per l’Assemblea costituente, composta di 880 membri
(23/4). La maggioranza va ai repubblicani moderati, ma c’è una buona fetta di deputati di
orientamento monarchico, grazie ai voti delle campagne e alla propaganda
antirepubblicana portata avanti dal clero e dai notabili nelle province. Il 15/5 i club radicali
protestano per imporre al governo di dichiarare guerra alla Polonia, ed entrano nel palazzo
dell’Assemblea chiedendo l’istituzione di un Comitato di salute pubblica. Essi vengono
esclusi dal nuovo governo. Il 22/6 il nuovo governo decide, bruscamente, di chiudere gli
Ateliers Nationaux, causando la disoccupazione di molti lavoratori. Il giorno successivo,
circa 40/50.000 operai scendono in strada a Parigi in quella che si trasforma in una vera e
propria rivolta armata, che porta a qualche migliaio di morti e più di 10.000 arresti.
Nonostante questo calo di popolarità, il 21/11 viene promulgata la Costituzione che
conferma l’assetto repubblicano e democratico dello Stato. La Costituzione prevede un
Parlamento monocamerale eletto a suffragio universale maschile, il potere viene affidato a
un presidente (anch’esso eletto a suffragio universale maschile) che è anche capo dello
Stato. La costituzione inoltre include l’abolizione della schiavitù e dei titoli nobiliari, la
libertà di stampa e di culto religioso. Le elezioni si tengono il 10/12 e i repubblicani non
riescono a trovare un accordo per concentrarsi su un solo candidato, e dunque a spuntarla
è Luigi Napoleone Bonaparte. Una volta presidente, tenta di assumere il ruolo di garante
dell’ordine politico e sociale, anche se radicali e socialisti si sono riorganizzati e riescono
ad ottenere un buon numero di consensi per l’elezione dell’Assemblea legislativa (1849).
Napoleone interviene per reprimere sul nascere tutto ciò, con una nuova legge elettorale
che limita il voto per le fasce più povere ed una che limita la libertà di stampa.
Nell’Impero austriaco è l’esercito a risolvere la situazione. Praga viene riconquistata dal
generale Windischgratz dopo l’occupazione del 12/6. Nel frattempo, si riunisce il nuovo
Parlamento nazionale ungherese, con forti correnti indipendentiste. Le truppe austriache
tentano di riconquistare Budapest ma falliscono, e sciolgono il Parlamento. Di tutta
risposta, viene creato il Comitato di difesa nazionale ungherese, che invia le proprie truppe
a Vienna, riuscendo a conquistarla. Il generale Windischgratz torna da Praga e con le sue
truppe riesce a riconquistare Vienna, causando tra i 2000 e i 5000 morti. Il 2/12/1848
Ferdinando abdica in favore di suo nipote Francesco Giuseppe, il quale fa sciogliere
l’Assemblea costituente imperiale (7/3/1849) e proclama una nuova Costituzione molto
moderata. A fine 1848, per risolvere il problema ungherese, chiede formalmente aiuto allo
zar di Russia, che gli invia 300.000 uomini: dopo una lunga resistenza, gli ungheresi sono
sconfitti a Vilagos (13/8/1849).
Nel frattempo, Carlo Alberto di Savoia aveva dichiarato guerra all’Austria, arrivando con le
sue truppe a Milano. Dopo una prima fase favorevole ai sabaudi, la riorganizzazione
dell’esercito austriaco conduce ad un’importante vittoria a Custoza (25/7/1848). Carlo
Alberto si ritira, e prova a tentare un secondo attacco agli austriaci nel marzo 1849,
fallendo e venendo sconfitto a Novara. Nel frattempo, Venezia era riuscita a sfuggire alla
riconquista degli austriaci, che la mettono sotto assedio. Capitolerà ad agosto 1849.
Nel frattempo, in Italia papa Pio IX, il granduca di Toscana e Ferdinando II di Borbone
decidono di non supportare più la guerra sabaudo-austriaca. Se Ferdinando riesce a
controllare la situazione nel Sud Italia (anche grazie al suo esercito), a Roma il Primo
ministro dello stato pontificio viene pugnalato e assassinato (15/11/1848). Il papa fugge a
Gaeta, e a Roma viene convocata un’Assemblea costituente che proclama l’istituzione
della Repubblica romana (9/2/1849), comandata da un triumvirato con a capo Giuseppe
Mazzini. Subito vengono nazionalizzate le terre ecclesiastiche, affittabili col pagamento di
un tributo alle casse dello Stato. Alla fine di aprile, una guarnigione militare francese
sbarca a Civitavecchia per porre fine alla Repubblica. Inizia una strenua resistenza da
parte di volontari (tra cui Giuseppe Garibaldi) che capitola solo il 3/7/1849. In Toscana,
anche Leopoldo II si vede costretto a fuggire (febbraio 1849) ma il governo democratico,
debole a causa di divisioni interne, viene sconfitto da una guarnigione austriaca a Livorno,
e Leopoldo torna sul trono.
L’Assemblea Prussiana viene presto sciolta dal re di Prussia, Guglielmo IV, che emana
una nuova Costituzione (5/12/1848): il potere esecutivo è del re, mentre quello legislativo
spetta al Parlamento. Qualche mese dopo, nel 1850, la revisiona imponendo il diritto di
veto del sovrano nei confronti delle leggi del Parlamento. L’Assemblea di Francoforte,
invece, opta per la creazione di un “Piccolo-Stato Tedesco”, proponendo la corona a
Guglielmo IV, il quale la rifiuta sprezzantemente. L’assemblea viene poi sciolta.
Le novità portate dalle rivoluzioni a fine 1849 sono poca cosa in confronto alle speranze
con cui erano iniziate nel 1848. Ma esse sono destinate a lasciare una grande eredità:
innanzitutto, la questione della sovranità: Essa deve spettare al popolo, o essere condivisa
dal popolo e da un monarca, ma una cosa è chiara: il popolo è un concetto chiave. In
realtà però, si nota che in molti luoghi il “popolo” non è unito (v. Parigi, gli scontri con
socialisti e radicali). L’idea di “popolo” viene presto soppiantata dal concetto di “nazione”,
dall’attaccamento alle proprie radici ma allo stesso tempo da un inquietante disprezzo
verso le altre nazioni, talvolta espresso in modo aggressivo.
12. Passioni e Sentimenti
Nell’Ottocento ci sono ancora genitori, soprattutto tra le classi più alte, che si comportano
come i loro avi, e vedono il matrimonio come una possibilità di alleanza economica e
sociale tra famiglie. Ma dai primi dell’Ottocento inizia a imporsi, soprattutto grazie a
giornali e romanzi, una visione secondo la quale un requisito fondamentale per il
matrimonio sia la passione d’amore. Questa visione diventa un modello, quello del
matrimonio affettivo, che dal XVIII sec. viene polemicamente contrapposto al matrimonio
come alleanza.
Un matrimonio “rispettabile” (meglio se anche passionale), e poi una vita dedicata alla
gestione della casa e all’educazione dei figli. Questo era ciò che spettava alle donne nel
XIX secolo, evidente anche dal sistema educativo diversificato. Ai ragazzi venivano
insegnate le professioni, mentre le ragazze stavano a casa per imparare le faccende
domestiche. La differenza si nota ancor di più negli abiti e nei costumi: se prima gli abiti di
uomini e donne, seppur diversi, avevano caratteristiche in comune (es. le parrucche, i
capelli lunghi, i tessuti); ora gli uomini portano i capelli corti, abiti scuri e pratici, utili al
lavoro, mentre le donne hanno capigliature complesse e abiti colorati e decorati, ma poco
pratici.
Le case delle famiglie agiate iniziano ad essere dotate di salotti, ammobiliati e con sedie,
dove si accolgono gli ospiti per lunghe chiacchierate e si celebrano i iriti familiari
(compleanni, il Natale). In questo salotto passano molto tempo le signore. Tra le famiglie
borghesi e contadine, invece, non è raro leggere di donne costrette a lavorare. Nelle zone
agricole, ad esempio, ci sono le braccianti che vagano di azienda in azienda per cercare
lavoro (anche se il salario femminile è sempre inferiore a quello maschile). Vi sono poi le
incombenze domestiche, per cui le famiglie più agiate dispongono di una o due
domestiche per svolgere le faccende di casa.
Buone donne e buone madri devono difendere ed esibire la loro onorabilità. Innanzitutto,
viene insegnato loro di diffidare dall’erotismo e dalla sessualità, creando una violenta
contraddizione tra le loro passioni e l’obbligo morale di contenerle: questo porta spesso
all’adulterio, che in una società come quella Ottocentesca rappresenta uno scandalo.
Anche qui, vi è differenza (in questo caso giuridica) tra uomini e donne: l’uomo può
divorziare da una donna adultera, mentre la donna può farlo solo se l’uomo introduce
l’amante in casa. L’adulterio, inoltre, porta ad un ritorno del duello per la donna, con il
combattimento che esalta l’onore e l’essere uomo.
I duelli portano spesso alla morte, e forse è per questo che hanno riscosso un così grande
successo. Dalla Rivoluzione francese in poi, c’è stata un’esaltazione della morte, del
martirio, del sacrificio eroico compiuto per una giusta causa. Se c’è un lato rispettabile in
questa visione della morte, con il rispetto del lutto e la sofferenza, dall’altro vengono
apprezzate immagini che esaltano il dolore, la sofferenza, immagini ricche di aggressività,
sia nei quadri che nella letteratura.
13. Il modello parlamentare: il Regno Unito e l’Irlanda
Le rivoluzioni del 48-49 non toccano minimamente il Regno Unito, stabile dal punto di vista
amministrativo e costituzionale da ben più di un secolo. Qui, già dalla fine del ‘700, si era
imposta la supremazia dei tory (partito conservatore, con sentimenti antifrancesi) sui
whig, anche grazie al loro trionfo nelle campagne antinapoleoniche. Inoltre, a consolidare
la loro egemonia ci pensano le Corn Laws (1815) che impongono dazi sull’importazione di
grano, favorendo la produzione britannica. I tory dominano la politica inglese dal 1812 al
1830, e gli whig riescono a riprendere piede solamente introducendo un tema differente:
quello di rendere la middle class (imprenditori, banchieri) più attiva nel panorama politica.
Accadeva infatti che molti di loro non potessero concorrere alle elezioni alle Camere per
via delle circoscrizioni territoriali. Esse erano state disegnate a fine XVII sec, e molte cose
erano cambiate: negli anni ’20 dell’Ottocento città come Manchester, Birmingham, Leeds
non avevano diritto a un deputato, mentre Dunwich (32 elettori in tutto) o Sarun (11
elettori) si. La riforma viene presentata in Parlamento ed è approvata solo grazie ad una
crisi, che spacca il movimento tory.
Dall’istituzione del Regno Unito (1801), in Irlanda era continua la richiesta di abolire i Test
Acts, che impedivano la partecipazione ai cattolici (maggioranza della popolazione) alle
cariche pubbliche. Questo causa tensioni soprattutto nelle zone rurali, tra i proprietari
terrieri (inglesi e protestanti) e i contadini (irlandesi cattolici). Il duca di Wellington, capo del
governo tory, emana due leggi (1828-29) che permettono sia ai dissidenti protestanti che
ai cattolici di concorrere alle cariche pubbliche. Le due leggi non placano i contrasti in
Irlanda e creano una spaccatura nel partito (dove molti supportavano la superiorità della
Chiesa anglicana) che si traduce in una sconfitta alle elezioni del 1830. Con l’avvento al
potere dei whig, viene approvata la riforma elettorale in Parlamento (1832).
Nel 1837 sale sul trono Vittoria Hannover, nipote 18enne del defunto re Guglielmo IV. Nel
1840 sposa il cugino Alberto di Sassonia, a cui delega poi molte delle sue responsabilità
pubbliche. Anche dopo la sua morte (1861) Vittoria mantiene un profilo pubblico molto
riservato, cercando di apparire più come una buona madre che come personaggio politico,
e questo le porta moltissima popolarità. Durante il suo regno, deve fronteggiare il continuo
alternarsi di whig e tory al governo.
I whig insistono nel volersi qualificare come una forza politica innovatrice, e nel 1833
introducono una legge che proibisce l’utilizzo di bambini con meno di 9 anni in fabbrica, il
massimo di durata di un turno a 9 ore fino a 13 anni e il divieto di far lavorare di notte chi
ha meno di 18 anni. Nel 1834 viene approvato il Poor Law Amendment Act, che regola il
lavoro delle workhouse (che ora hanno regole di disciplinamento ferreo) e aboliscono i
sussidi, costringendo i disoccupati a rimettersi sul mercato, accettando anche condizioni
poco favorevoli. I conservatori attuano, durante il governo 1841-46, un piano politico
preciso, sotto la guida di Robert Peel: egli riduce ulteriormente gli orari di lavoro per donne
e bambini e introduce le prime basilari norme di sicurezza in fabbrica (Factory Act, 1844)
ma soprattutto elimina le Corn Laws. Nel 1845, infatti, propone di eliminare i dazi doganali
per due ragioni: far fronte alla crisi che si è abbattuta sulle campagne, in particolare in
Irlanda, rovinando i raccolti di patate; e guadagnare consensi tra le classi medie-
imprenditoriali.
In Inghilterra (il cui sistema politico rappresentativo funziona attraverso un ampio
coinvolgimento dell’opinione pubblica), i politici mettono in atto vere e proprie campagne
propagandistiche: individuano i temi cari al proprio elettorato e li sfruttano con articoli di
stampa, volantini, manifestazioni pubbliche. A questo sistema si aggiungono anche
rapporti di tipo clientelare, favoriti dal fatto che il voto, fino al 1872, è palese. Nelle aree
rurali, ad esempio, il grande proprietario terriero ha un corpo elettorale composto dai sui
affittuari o da commercianti che dipendono direttamente da lui, e quindi hanno
convenienza nel votarlo. Nelle aree urbane, i seggi sono molto più combattuti, e si ricorre
ad un altro strumento: la corruzione. Un altro metodo è quello di promettere ai propri
sostenitori incarichi ben retribuiti in un futuro governo.
Se una parte dell’elettorato non vede nulla di male in queste tecniche, un’altra (operai
londinesi per lo più) fa redigere nel 1838 la Carta del Popolo, dove richiede di affrontare e
risolvere queste ingiustizie. Si richiede suffragio universale maschile a chi ha più di 20
anni, voto segreto, abolizione del requisito di censo per entrare in Parlamento, uguali
collegi elettorali e Parlamenti annuali. Quest gruppo crea un movimento politico, definito
cartista, che manifesta in piazza e firma petizioni, senza tuttavia ottenere esiti concreti e,
visti gli insuccessi, si scioglie.
Tra 1852 e 1872 lo scenario politico è ancora dominato dallo scontro conservatori-liberali.
Il dibattito politico è influenzato da alcuni temi toccati dai cartisti, in particolare
l’ampliamento del corpo elettorale. A disegnare una riforma in questo senso è lo
schieramento liberale, guidato da William Gladstone: la sua mozione viene però rifiutata
(1866). Sono i conservatori a riuscire a far passare una mozione che allarga il corpo
elettorale dal 4% all’8% (1867). Negli anni Settanta l’aumento del corpo elettorale porta i
partiti a creare forme organizzative permanenti, capaci di mobilitare continuamente gli
elettori, dislocate in varie zone e che rispondono ad un organo di coordinamento centrale.
È il primo passo verso la nascita dei moderni partiti politici. Uno degli obbiettivi principali
del governo liberale è la lotta alla corruzione, e vengono introdotte due riforme: una che
impone che per essere assegnati ad una carica pubblica si debba partecipare ad un
concorso; l’altra rende segreto il voto (1872). Vengono introdotti altri atti, come l’Education
Act che rende le scuole elementari obbligatorie.
14. La Francia del Secondo Impero e l’Unità d’Italia
Nel ventennio 1850-70 ci sono due importanti fattori di mutamento (l’attivismo francese in
ambito internazionale e la forza degli ideali nazionalisti) che portano a due importanti
novità: la formazione di due grandi Stati unitari (Italia e Germania) e la diffusione del
sistema rappresentativo costituzionale.
La Repubblica francese è particolarmente instabile negli anni 1850-51: dopo che il
Parlamento nega un’autorizzazione per la rielezione di Luigi Bonaparte, quest’ultimo (forte
del consenso per le azioni militari svolte in Italia) tenta un colpo di stato. Il 2/12/1851
l’esercito occupa il Parlamento, e 20 giorni dopo viene convocato un plebiscito che
sancisce la rielezione di Luigi. Egli scioglie la camera e, attraverso un altro plebiscito, si
forgia del titolo di imperatore col nome di Napoleone III. Formalmente, sopravvive un
sistema parlamentare, ma di fatto il controllo esecutivo, giudiziario, legislativo e militare
spetta all’imperatore. Egli porta avanti una politica di sviluppo economico e tecnologico,
potenziando la rete ferroviaria, siglando un accordo commerciale col Regno Unito, e viene
compiuta un’opera di ristrutturazione urbana di Parigi, con l’introduzione dei grandi
Boulevards. La sua politica estera è dinamica: tra 1853-55 si impegna insieme a Regno
Unito e Sardegna in una spedizione militare in Crimea, recitando la parte del garante della
pace dopo che la Russia aveva attaccato la Moldavia. Tuttavia, alcune sue imprese hanno
esiti disastrosi. Nel 1861 tenta di conquistare il Messico, riuscendo ad occupare Città del
Messico dopo due anni di assedio. Il Messico si ribella, appoggiato anche dagli Stati Uniti,
e riesce a liberarsi nel 1866, facendo fallire l’operazione di Luigi.
Dopo le rivoluzioni del 48-49, i gruppi mazziniani vedono fallire tutte le loro successive
insurrezioni. Dall’altro lato, però, trovano nel Regno di Sardegna un soggetto istituzionale
e politico in grado di accogliere le istanze del movimento risorgimentale, anche grazie al
fatto che Vittorio Emanuele II conferma lo Statuto Albertino dopo la sua incoronazione.
Inoltre, il regno accoglie gli esuli politici in fuga dopo le repressioni contro i patriottici.
Ulteriore popolarità viene raggiunta dopo che Camillo Benso Conte di Cavour, già ministro
dell’agricoltura, diventa capo del governo (1852). Egli ridimensiona subito i privilegi
ecclesiastici, e sostiene che i governi debbano essere scelti sulla base della maggioranza
nella Camera, non in base alla volontà del re. Partecipa alla spedizione in Crimea con
Francia e Regno Unito e, seppur non determinante dal punto di vista militare, il suo
intervento conferisce al Regno grande visibilità. Stipula poi un’alleanza con Napoleone III
in funzione antiaustriaca. I due si incontrano a Plombieres tra il 21-22 luglio 1858 e
Napoleone III promette aiuto a Cavour per formare una confederazione di Stati in Italia,
composta da 4 regni autonomi (Alta Italia, Centro Italia, Napoli e Roma) con la presidenza
guidata dal papa.
La tensione cresce tra Regno di Sardegna e Austria, con quest’ultima che invia un
ultimatum militare il 24/4/1859, dando il via alla Seconda guerra d’Indipendenza.
Napoleone si schiera a fianco del Regno e viene occupata la Lombardia, ma quando
anche il Veneto sembra ad un passo dall’essere conquistato Napoleone III sigla un
armistizio con l’Austria, dettato dall’alto numero di vittime ma anche dall’evoluzione politica
nel Ducato di Modena, di Parma e nel Granducato Toscano. Qui si formano dei governi
favorevoli all’annessione al Regno di Sardegna, e che votano attraverso dei plebisciti
(marzo 1860). Emilia-Romagna e Toscana si dicono favorevoli, così come Nizza e Savoia
un mese più tardi. Tra il 5-6/5/1860 partono da Genova un migliaio di volontari, comandati
da Giuseppe Garibaldi, alla volta della Sicilia dove sono ferventi le insurrezioni
antiborboniche. L’11 maggio sbarcano a Marsala e iniziano la loro scalata, entrando a
Napoli il 7 settembre. La situazione al sud Italia è tesa, si domanda la redistribuzione
delle terre demaniali, e scoppiano violente insurrezioni (es. Bronte) represse dagli uomini
di Garibaldi. Nonostante le tensioni, Garibaldi riesce a mantenere il controllo su queste
terre, ordinando dei plebisciti per il 21/10/1860, in cui sia la Sicilia che il Mezzogiorno
continentale votano a favore dell’annessione. Garibaldi incontra poi Cavour e Vittorio
Emanuele II a Teano, dove gli cede la sovranità sui territori conquistati. Altri plebisciti
favorevoli, a fine 1860, interessano Marche e Umbria, e l’Italia (ad eccezione di alcune
terre come Veneto, il Lazio) è unita. Sia grazie alla grande abilità diplomatica-politica degli
uomini che l’hanno reso possibile, sia grazie al favore dell’opinione pubblica.
La retorica nazional-patriottica presuppone una nazione compatta, ma l’Italia è
lontanissima dall’esserlo. Solo il 10% della popolazione usa l’italiano come strumento di
comunicazione quotidiana (gli stessi Vittorio Emanuele e Cavour parlano in francese) e
solo il 20% sa leggere e scrivere in italiano, il resto usa costantemente i dialetti. Inoltre, vi
sono 3 distinte regioni economiche: la Valle Padana, con un’agricoltura organizzata
intorno ad aziende capitalistiche, e con un buon numero di produzioni manifatturiere di
cotone, seta e lana; l’Italia Centrale è caratterizzata dalla divisione in poderi, lavorati da
famiglie a cui la terra è stata concessa in mezzadria; l’Italia meridionale si basa sul
sistema dei latifondi, con coltivazioni prevalentemente di grano, ma specializzate in altre
zone (l’olio in Puglia, gli agrumi in Sicilia). Ciò che stupisce i politici del tempo è anche il
diverso grado di civilizzazione delle due zone d’Italia. Nel Mezzogiorno, dopo l’Unità si
intensifica il fenomeno del brigantaggio come reazione. Molte di queste azioni hanno un
carattere fortemente politico, con i briganti che rivendicano un ritorno dei Borbone. Le loro
azioni, molto violente, sono represse altrettanto violentemente nel giro di qualche anno.
L’Italia è una monarchia costituzionale con un Parlamento che raccoglie i rappresentanti di
terre che fino a quel momento non erano stati rappresentati. Il Parlamento si riunisce per
la prima volta a Torino, capitale, il 18/2/1861. Viene adottato lo Statuto Albertino per tutto il
regno ma, pochi mesi dopo, Cavour muore. A prendere il suo posto è un raggruppamento
politico di ispirazione liberal-monarchica, che promette di seguire la linea di governo di
Cavour: la Destra storica. Essi hanno una visione elitista della politica, riservata solo agli
uomini più colti e ricchi, e approvano una legge elettorale secondo la quale può votare
solo il 2% della popolazione. Sono favorevoli ad un accentramento, che tolga poteri agli
enti locali e aumenti la capacità decisionale dell’organo centrale. La Destra attua una
politica doganale liberista, volta a favorire l’esportazione di prodotti italiani e l’importazione
di nuovi macchinari dall’estero, oltre a costruire una nuova rete ferroviaria nazionale.
Vengono potenziate le infrastrutture (strade, porti), introdotto l’obbligo dei primi due anni di
scuola elementare, ammodernate le zone degradate delle grandi città. Per fare ciò, c’è
bisogno di soldi, e sono dunque introdotte: un’imposta di ricchezza mobile (su ciò che si
guadagna); un’imposta fondiaria (sulle proprietà) e varie imposte indirette. Nonostante le
tensioni provocate da queste imposte, la Destra raggiunge il pareggio di bilancio (1875).
Per raggiungere questo risultato, vengono anche requisiti dei beni terrieri ecclesiastici, poi
venduti all’asta (1866-67). A favore di questa politica, volta a laicizzare lo Stato, c’è anche
l’opposizione, ovvero la Sinistra liberale. Essi sono per lo più ex mazziniani/garibaldini,
ex repubblicani. Ritengono necessario un ampliamento del corpo elettorale e un
potenziamento del sistema scolastico. Sinistra e destra non sono però due partiti politici
nel senso moderno del termine.
Nel 1866 l’Italia sigla un’alleanza con la Prussia, scatenando una guerra contro l’Austria.
L’esercito italiano è numericamente superiore a quello austriaco, impegnato su due fronti,
ma viene comunque sconfitto per due volte: il 24/6/1866 a Custoza (l’esercito di terra) e il
20/7 a Lissa (la flotta). L’Austria viene comunque sconfitta e cede all’Italia il Veneto, ma
cade il mito risorgimentale delle virtù belliche italiane. Resta il problema di Roma e lo Stato
Pontificio. Il governo non vuole agire con la forza per non attirare le attenzioni delle altre
potenze europee, ma Garibaldi disobbedisce: organizza una spedizione (illegale) con
l’obbiettivo di marciare su Roma, ma viene fermato dall’esercito italiano all’Aspromonte
(29/8/1862). Una seconda spedizione (1867) viene nuovamente bloccata, e Garibaldi
arrestato per un anno. Già dalla primavera del 1848 il pontefice si era allontanato dal
movimento nazionalista e, dopo che molti territori gli erano stati usurpati per l’unificazione,
aveva lanciato una Scomunica generale (1860). La tensione cresce a dismisura, al papa
viene riconosciuto solo una piccola area di Roma, mentre il Lazio viene annesso con un
plebiscito (2/10/1870). Il paese ha superato la fase più difficile, ma ora, dopo aver fatto
l’Italia, bisogna fare gli italiani.

15. L’unificazione tedesca e le sue conseguenze


La situazione in Germania era simile a quella italiana: un regno (quello prussiano) con la
forma di una monarchia costituzionale, un Parlamento bicamerale, un Senato di nomina
regia ed ereditario, con l’unica differenza che il “sistema elettorale delle 3 classi” da più
peso ai più ricchi. La Prussia si basa sull’alleanza tra gli Junker (proprietari terrieri, che
spesso ricoprono incarichi pubblici) e il sovrano. Nelle aree orientali quello degli Junker è
un dominio, ma non nelle aree occidentale, prevalentemente urbane, più moderne. Si
formano così due partiti: una Destra conservatrice con radici nobili e agrarie e una Sinistra
Liberale borghese e urbana. I due partiti si scontrano nel 1862, quando diventa
Cancelliere Otto von Bismarck. Egli approva, sostenuto dalla Destra conservatrice, un
piano di potenziamento dell’esercito. La sinistra è contraria, perché convinta che
comporterebbe un eccessivo aumento delle spese e dunque anche della pressione fiscale,
ma Bismarck procede comunque, creando una spaccatura. Il potenziamento dell’esercito
funziona molto bene sia grazie alle industrie meccaniche e siderurgiche della Prussia
renana, e grazie agli accordi commerciali per l’importazione con altri Stati. Forte di queste
nuove armi, e approfittando di una crisi dinastica in Danimarca, si allea con l’Austria e
invade i ducati dell’Holstein e dello Schleswig, annettendoli nell’agosto 1864. Subito
nascono dei dissidi per il governo di questi ducati tra Austria e Prussia, Bismarck si allea
con l’Italia e nel giugno 1866 scoppia la guerra. L’Austria viene sconfitta presto e, oltre a
dover cedere il Veneto all’Italia, rinuncia a qualsiasi egemonia nei confronti della
Germania. La vittoria crea grande entusiasmo nell’opinione pubblica, che vede per la
prima volta concretizzarsi la possibilità di uno Stato tedesco; viceversa le grandi potenze
europee sono spaventate da questa espansione (Napoleone III firma un’alleanza
preventiva con Russia e Austria). Nel luglio 1870 Bismarck manipola un telegramma
ricevuto da Guglielmo I, dando l’impressione che quest’ultimo volesse sfidare la Francia.
Ciò provoca una crisi diplomatica, manifestazioni nazionaliste in Francia e Prussia, e
Napoleone III dichiara guerra alla Prussia (19/7/1870): Bismarck riesce a far passare la
Prussia come paese aggredito, e sconfigge i francesi a Sedan. Napoleone III è
imprigionato e viene proclamata la repubblica. I prussiani, intanto, assediano Parigi che
chiede un armistizio (28/1/1871). Guglielmo I si fa incoronare Imperatore tedesco a
Versailles.
Il nuovo Impero Tedesco ha una Costituzione, promulgata ad aprile 1871, che stabilisce:
l’Impero è una federazione di 25 stati, autonomi ma sottoposti alle decisioni dell’Impero
centrale; l’Imperatore detiene il potere esecutivo e delle forze militari, sotto di lui il
Cancelliere (capo del governo) responsabile solo nei confronti del sovrano. Il Parlamento
ha due Camere: la Camera dei deputati, eletta a suffragio universale maschile segreto e
che ha il compito di proporre e approvare leggi, ma non può intervenire in questioni di
politica estera/militari; il Consiglio federale formato dai 25 rappresentanti degli Stati. Il
10/5/1871 viene firmata la pace definitiva con la Francia, costretta a pagare una pesante
indennità di guerra, oltre che a cedere Alsazia e Lorena.
Dopo la deposizione di Napoleone III, si forma un governo con maggioranza monarchico-
moderata, non vista di buon’occhio dagli strati popolari. Parigi insorge, dominata da
repubblicani, socialisti e radicali, ma le sue richieste d’aiuto ai comuni vicini non vengono
accolte. Il governo, capitanato da Adolphe Thiers, reprime le insurrezioni nel sangue,
provocando più di 20.000 morti tra il 21-28/5/1871. L’inizio della Terza Repubblica è a dir
poco traumatico. Non c’è il ritorno ad una monarchia anche a causa delle divisioni interne
ai monarchici, che alla fine si decidono ad accettare la repubblica. Tra il gennaio ed il
luglio 1875 sono approvate tre leggi dal valore costituzionale. Si crea la carica del
Presidente della Repubblica, carica settennale, che comanda l’esercito, le decisioni in
politica estera, può sciogliere la Camera e proporre leggi. Vi è poi un Parlamento
bicamerale: una Camera dei Deputati eletta a suffragio universale maschile; e il Senato
composto da 75 senatori stabili (che nominano il loro erede) e 225 ad elezione ristretta.
Nell’Impero austriaco, il giovane Francesco Giuseppe decide di non revocare l’abolizione
dei diritti feudali e della servitù della gleba, assicurandosi così le simpatie delle comunità
contadine. Ma nelle aree urbane continuano a formarsi movimenti indipendentisti. I colpi
più gravi l’Austria li subisce in politica estera, perdendo il Regno lombardo-veneto e
l’influenza su molte aree tedesche. Dopo un primo tentativo costituzionale poco
apprezzato (1861), nel 1867 l’assetto costituzionale viene stravolto, e l’Impero si trasforma
in Impero austro-ungarico. La Costituzione divide il regno in due: l’Austria (grosso modo
i territori ad ovest del fiume Leitha) e l’Ungheria (i territori ad est). Francesco è imperatore
d’Austria e re d’Ungheria allo stesso tempo, e i due regni hanno in comune anche il
ministro della Guerra, degli Esteri e delle Finanze. Hanno però due governi distinti: due
Parlamenti (Vienna e Budapest), entrambi bicamerali ed entrambi con un Senato. La
logica del riconoscere alle due più importanti minoranze (ungherese e tedesca) uno spazio
dominante funziona, e l’Impero raggiunge una certa stabilità.
16. Gli Stati Uniti e la Russia
L’espansione coloniale ottocentesca si basa sulla retorica che vede la civiltà occidentale
come superiore, col compito di esportare civiltà. Ci si accorge dell’orrore del commercio
degli schiavi, tanto che in Gran Bretagna nasce un movimento che spinge per abolirlo. Il
Parlamento approva una legge per vietare l’esportazione di schiavi, e a ruota seguono altri
Stati (es. Francia) che poi aboliranno definitivamente anche la schiavitù. La spinta
dell’Illuminismo universalista (che vede tutti gli esseri umani con eguali diritti) interessa
anche la servitù della gleba, che da fine Settecento viene progressivamente eliminata da
tutti gli Stati. Vi sono due importanti eccezioni: gli Stati Uniti meridionali, dove la servitù
non solo rimane ma è il perno dell’economia; e la Russia, dove la servitù della gleba
rimane.
Gli Stati Uniti avevano conosciuto una crescita demografica incredibile: la popolazione,
che era di 5.000.000 a inizio Ottocento, nel 1860 aveva raggiunto i 31.000.000, grazie
all’aumento del tasso di natalità ma anche agli immigrati europei. Era iniziato quindi un
processo di espansione verso ovest, verso terre occupate non da potenze europee ma da
tribù di nativi. I pionieri, sostenuti dall’esercito, occupano queste terre, spesso
scontrandosi con le tribù e sterminandole, costringendo i sopravvissuti a vivere in delle
“riserve”. In questi nuovi territori ad ovest nascono nuovi Stati che si uniscono alla
Confederazione. Gli Stati Uniti tentano di espandersi ancora: a nord, vengono bloccati dal
Regno Unito che impedisce la conquista del Canada (1812-15), al sud acquistano la
Louisiana dalla Francia (1803) e la Florida dalla Spagna (1819). Ciò porta a due
conseguenze ideologiche: da un lato il mito della frontiera, di espandersi e esportare civiltà
alle società inferiori; dall’altro, grazie anche ai discorsi del presidente James Monroe, si
afferma l’egemonia degli Stati Uniti sul continente americano. Ciò porta ad una politica
d’espansione degli Stati Uniti, che annettono territori come il Texas, lo Utah, la California,
l’Arizona. Con spazi così grandi, servono nuove modalità di comunicazione, e le ferrovie
sembrano la soluzione perfetta. Con il loro sviluppo, si sviluppa anche un’agricoltura
specializzata, grazie alla possibilità di trasportare più velocemente i prodotti. A nord, la
coltura dominante è quella del mais, che rende gli USA uno dei più grandi produttori al
mondo, mentre al sud domina il cotone. Lo sviluppo ferroviario favorisce anche uno
sviluppo delle produzioni industriali, soprattutto nell’area Nord-orientale. Uno dei problemi
principali è la carenza di manodopera, e questo spiega il fatto che i salari degli operai negli
USA siano più alti del 30% rispetto a quelli inglesi. Questo, che potrebbe essere uno
svantaggio, si trasforma in una possibilità: vengono adottati sempre più metodi per il
labour-saving. Una dinamica di questo genere permette all’industria americana di avere un
notevole tasso di sviluppo rispetto all’Europa. Si specializzano, oltre alle industrie tessili,
anche quelle meccaniche (in particolare, la produzione di armi).
Gli Stati Uniti sono una società dove la nobiltà non è mai esistita e dove la mobilità sociale
è molto forte. Questo spiega, al suo interno, il successo degli ideali di democrazia e
egualitarismo, che hanno fatto sì che la società americana fosse sempre basata sul
suffragio universale maschile. A partire dal 1828, dal partito repubblicano (che aveva
dominato fino a quel momento la politica) si creano due fazioni: i whig, protezionisti e
statalisti, sostenuti da operai e imprenditori del Nord-est oltre che da agricoltori che
producono per il mercato interno; e i democratici, guidati da Andrew Jackson e che
sostengono l’abbassamento delle tariffe doganali e l’autocontrollo del mercato, oltre che
una poca propensità a rafforzare il governo centrale. Essi si dotano di club popolari,
giornali collegati, proprie “convenzioni”, rendendoli dei veri e propri partiti politici moderni.
Dato che queste pratiche hanno un costo, molto spesso ricchi imprenditori o proprietari
terrieri le finanziano. L’interesse per la politica è diffuso, e nel 1840 vota l’80% degli aventi
diritto.
Il sistema sociale ed economico dei vari Stati era molto diverso, soprattutto per quanto
riguarda un tema: la schiavitù. Al Nord, gli Stati l’avevano proibita già a inizio ‘800; al Sud
era il cardine dell’economia, e si contano ben 3.600.000 schiavi, un terzo della
popolazione. La loro condizione sociale è terribile: sono trattati come delle bestie, venduti
e comprati al mercato. Tra gli anni ’30 e ’40 si forma un movimento antischiavista,
soprattutto nel Nord. I capi politici degli Stati del sud reagiscono facendo approvare il
Fugitive Slave act (1850) che permette di andarsi a riprendere gli schiavi che scappano,
senza bisogno di un processo. Nel 1854 il congresso fa passare il Kansas-Nebraska Act,
che decreta che siano i nuovi Stati a dover decidere se introdurre la schiavitù o meno. Ciò
crea una spaccatura tra i whig: si dividono in repubblicani (che uniscono whig
settentrionali e antischiavisti) e whig meridionali (partito schiavista e xenofobo). Il partito
Repubblica domina negli stati del Nord e ha un programma politico chiaro: protezionismo
doganale in favore delle industrie, promette di redistribuire le nuove terre dell’Ovest a chi
le avesse lavorate, sostiene l’intervento pubblico per strade/ferrovie e punta con forza
sull’abolizione della schiavitù. I whig meridionali e i democratici differiscono sulle politiche
economiche (i primi protezionisti, i secondi liberali) ma concordano sulla difesa della
schiavitù. I due partiti non riescono a convergere le forze in un candidato comune, e le
elezioni del 1860 vengono vinte dal candidato repubblicano Abraham Lincoln col 40% dei
voti. Nel febbraio 1861, spaventati dall’ipotesi di un’abolizione della schiavitù, South
Carolina, Alabama, Mississippi, Texas, Florida, Georgia, Louisiana si uniscono negli Stati
confederati d’America, con una loro costituzione, un loro presidente (Jefferson Davis) e
una capitale (Montgomery).
Il 12/4/1861 le forze confederate attaccano un forte unionista in South Carolina e Lincoln
(che aveva temporeggiato sperando di trovare un accordo) dichiara guerra. Nel frattempo,
anche Arkansas, Virginia, Tennessee e North Carolina si uniscono alla Confederazione,
che può contare su 900.000 soldati contro i 2.000.000 dell’Unione. Grazie alle nuove armi
e alle nuove tecniche, la guerra mieterà oltre 500.000 vittime. Forte delle sue risorse
superiori (armi e uomini), l’esercito nordista guidato da Ulysses Grant respinge i
confederati a Gettysburg, Pennsylvania (1863), poi entra in Mississippi ed espugna anche
Atlanta (1864). I confederati cadono definitivamente, e il 9/4/1865 viene firmata la resa. La
frattura è netta, e pone il grandissimo problema della ricomposizione della comunità
politica statunitense.
Il 14/4/1865 un simpatizzante sudista uccide Abraham Lincoln. A Lincoln succede Andrew
Johnson, razzista convinto, che emana i Black Codes che sostanzialmente permettono la
schiavitù al sud. I repubblicani non ci stanno, e riescono a imporre l’approvazione del XIII
Emendamento della Costituzione (1865) che abolisce la schiavitù, e in un secondo
momento ai neri viene concessa la cittadinanza e il diritto di voto, creando il primo sistema
politico multirazziale. Queste decisioni trovano opposizioni: nel 1866 nasce il Ku Klux Klan,
club razzista che compie violenze nei confronti dei neri. Inoltre, i Congressi dei singoli Stati
iniziano a emanare leggi che limitano la libertà dei neri: non possono comprare casa in
determinati quartieri, divieto di matrimoni interraziali, limitazione del diritto di voto; tutte
norme che portano ad una progressiva segregazione.
Sotto il controllo dello zar Nicola I la Russia avvia, a partire dagli anni ’20 dell’Ottocento,
una campagna di espansione (annette la zona caucasica, l’area a nord del fiume Amur)
accompagnata da una grande crescita demografica. Le aree rurali sono il cuore della
Russia: qui vive il 90% della popolazione e sono fondamentali per la loro produzione di
grano che favorisce l’esportazione. Dal punto di vista politico, la Russia e un’autocrazia
amministrativa: al comando c’è lo zar, coadiuvato dal Comitato dei ministri e dal Consiglio
di Stato. Un primo segnale d’instabilità di questo sistema si verifica nel 1825, quando,
dopo la morte dello zar Alessandro I, un gruppo di ufficiali tenta un colpo di stato, venendo
represso. Un secondo segnale è dato dalle rivolte indipendentiste che scoppiano in
Polonia (1830-31). Il terzo segnale d’instabilità è dato dalle centinaia di rivolte contadine.
Infine, nel tentativo di conquistare la Moldavia e la Valacchia, la Russia è sconfitta nella
guerra di Crimea (1853). Questi fattori convincono il nuovo zar, Alessandro II, ad attuare
un piano di riforme. Innanzitutto, abolisce la servitù della gleba (1861), provvedimento che
interessa oltre 40.000.000 di contadini. La riforma prevede che nelle zone rurali venga
mantenuta l’organizzazione delle comunità di villaggio, dotate di un loro organo
amministrativo: l’assemblea dei capifamiglia. Le riforme non si fermano qui: nel 1861 viene
introdotta la coscrizione obbligatoria, vengono introdotti gli zemstvo (1864, consigli
provinciali elettivi a cui sono affidati compiti di autogoverno locale) e viene riformato il
sistema giudiziario.
17. Globalizzazione e dominio coloniale
Nel corso dell’Ottocento l’economia fa un salto: i tempi dei viaggi a lunga percorrenza si
accorciano, si può percorrere più strada in meno tempo, e ciò favorisce la
globalizzazione. Le industrie progrediscono dal punto di vista tecnologico e produttivo, e
in particolare quelle che fabbricano armi. Ciò si traduce in una superiorità bellica da parte
dell’Occidente, che inizia a occupare altre aree del mondo, a colonizzare. Le popolazioni
autoctone agiscono in diversi modi: in alcuni casi, esse tentano un processo di
modernizzazione, imitando le strutture politiche/economiche degli invasori; in altri casi
irrigidiscono i propri tratti identitari come forma di opposizione; in altri ancora tentano
di dialogare, creando un dualismo che fa convivere i tratti di entrambe le culture.

L’Impero Ottomano ha visto arretrare nettamente i propri confini, perdendo zone quali la
Dalmazia, Ungheria e Transilvania, Crimea, Bessarabia, Grecia e Algeria. Il motivo di
questa debolezza è che da tempo i sultani hanno perso il controllo delle zone periferiche
dell’Impero: qui i pascià/notabili locali hanno cominciato a comportarsi come dei signori nel
loro potentato autonomo, soprattutto dal punto di vista economico. A fine ‘700 il sultano
Selim III tenta di introdurre delle riforme nell’amministrazione e nell’esercito imitando il
modello europeo, ma gli si oppongono i musulmani più conservatori che si rivoltano e lo
costringono ad abdicare (1807). Anche il suo successore, Mahmud II, tenta una
riorganizzazione: il Gran Visir inizia a sembrare un Primo Ministro europeo, e viene creato
il Consiglio dei ministri del sultano. Vengono avviati censimenti e catasti al fine di calcolare
le imposte in base alle terre possedute. Sicuramente la riforma principale riguarda
l’esercito: nel 1826 vengono creati nuovi reparti d’élite, separati dai giannizzeri (i quali si
ribellano e vengono sciolti). Inoltre, ai governatori locali viene tolto il controllo dell’esercito
nelle province. Queste riforme intraprese da Mahmud II vengono ostacolate dalle potenze
europee, che finanziano i nobili locali per cercare di farli diventare autonomi.
Una delle province più potenti, l’Egitto, era tornata sotto il controllo dell’Impero Ottomano
nel 1805. Il suo re era Mehmet Ali che aveva schierato la sua flotta accanto a quella
ottomana nella guerra contro la Grecia negli anni ’20. Gli erano stati promessi il
governatorato di Creta e della Morea, ma dopo la sconfitta non aveva ottenuto nulla se
non gravi perdite. Si apre una fase di scontro tra Egitto e impero Ottomano, che si
conclude solo nel luglio 1841: il sultano Mahmud II muore e il suo successore, Abdul-
Mecid, conferisce a Mehmet Ali il titolo di governatore ereditario dell’Egitto. Quest’ultimo,
dal canto suo, promette il pagamento di un tributo annuale al sovrano e la sua lealtà, ma si
tratta di una sostanziale autonomia dell’Egitto dall’Impero.
Il 3/11/1839 Abdul-Mecid redige la Carta imperiale di Gulkhane, un documento
impegnativo, che apre la strada ad una completa occidentalizzazione dello Stato e della
società ottomana: tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e hanno diritto ad equo
processo, devono pagare tasse in base al reddito, ogni regione deve fornire militari in base
alla capacità. Ovviamente, un tale provvedimento rischia di incontrare la resistenza di
musulmani e sciiti. Nel 1840 viene adottato un Codice penale sul modello francese, nel
1850 un Codice di commercio, poi un Codice agrario e uno sul Commercio marino.
L’introduzione più importante è però quella del Codice civile sul modello napoleonico
(1870). Vengono creati dei tribunali a cui è affidato il compito di regolare le norme
contenute nei codici. A tutto ciò fa eccezione quello che riguarda il diritto di famiglia, che
rimane di competenza dei tribunali islamici. La famiglia ottomana è fortemente patriarcale,
il matrimonio è considerato un contratto privato: l’uomo deve trattare la moglie con
giustizia, non amarla; la donna deve rispettare regole ben precise (la segregazione
spaziale, l’uso del velo) oltre a permettere all’uomo di avere più mogli (poligamia). Ad
Istanbul, è diffuso il mercato degli schiavi, dove vengono vendute schiave, donne e
bambine. Formalmente, viene chiuso nel 1854, anche se prolifera più a lungo. I grandi
sultani o signori avevano nel loro palazzo uno spazio apposito (harem) riservato a schiave
e concubine. Anche il sistema educativo, seppur con grande lentezza e gradualmente,
viene riformato. I tentativi di costruire vere e proprie università sul modello europeo, però,
falliscono.
Nel frattempo, prosegue la riforma dell’esercito: solo una parte dei giovani in età di leva
(20 anni) viene arruolata col sistema del sorteggio. In questo periodo, le aree
problematiche per l’Impero sono 3. La prima è nei Balcani, dove nel 1856 viene
riconosciuta l’indipendenza della Serbia e una larga autonomia ai Principati di Valacchia e
Moldavia, che l’anno successivo si uniscono nel Principato di Romania; ci sono rivolte
anche in Bosnia e in Montenegro e nel 1858 viene riconosciuta larga autonomia al
Principato di Montenegro. La seconda area è a Creta, dove la comunità greca chiede a
gran voce uno stato indipendente greco e insorge (1866) costringendo il sultano a
reprimere la rivolta ma a concedere più larghe autonomie (1868). Infine, vi è il Libano, che
nel 1860 passa sotto il protettorato francese. Le potenze europee considerano l’Impero
come un’area da conquistare poco per volta, approfittando delle crisi
diplomatiche/politiche. L’Impero è un territorio ricco, grazie ai giacimenti di carbone, ferro e
argento, e la sua virata verso un sistema liberista europeizzato favorisce trattati doganali
con le varie potenze Occidentali, che incrementano gli scambi. Nasce così una Banca
imperiale ottomana (1863) e si sviluppa notevolmente il sistema ferroviario.
Ai confini orientali dell’Impero Ottomano c’è la Persia, dove il potere del sovrano fatica a
imporsi su quello dei signori/potentati locali, mentre le élite religiose islamiche hanno una
grande influenza. Il sovrano Nasir al-Din tenta di modernizzare le strutture dello Stato, ma
fallisce, anche a causa della pressione delle potenze europee: la Russia, infatti, ha già
conquistato la Georgia, e altre aree a ovest del Mar Caspio.
Ancora più a est c’è l’Afghanistan, che inizialmente non viene considerato dagli europei.
Dopo la conquista dell’India, il Regno Unito si espande verso l’Afghanistan, e nel 1838
decide di attaccarlo e di occuparlo. Qui vi è una struttura quasi feudale, che collega le
varie tribù periferiche al sovrano. Questo sistema rende l’Afghanistan facilmente
conquistabile, ma difficilmente governabile: il Regno Unito decide di mettere un re
fantoccio, che però non ha autorità, e le tribù locali insorgono. A Kabul scoppia una vera e
propria ribellione (1841) che costringe l’esercito britannico a ritirarsi verso l’India.
La questione dell’Afghanistan nasce per proteggere i domini inglesi in India. Questo
dominio si è creato a partire dal sec. XVII grazie alla East India Company. Essa si è
assicurata il controllo della parte mediana dell’India, oltre che del Bengala, dove la EIC
impone i suoi sovrani locali e si fa pagare i tributi. Con l’India Act del 1784 il Parlamento da
ai funzionari della EIC il compito di occuparsi di questioni economiche e finanziarie,
mentre quelle politiche e militari sono affidate a funzionari del governo. Il sistema fiscale si
basa sulla tassazione dei redditi provenienti dalla coltura della terra e, in caso di mancato
pagamento, le terre venivano messe all’asta. Questo sistema porta alla concentrazione
delle terre nelle mani di pochi proprietari terrieri, che introducono colture specializzate,
destinate alla commercializzazione sul mercato europeo. Nel corso dell’Ottocento gli
inglesi si espandono anche nelle coste della Birmania e nel Rangoon, fino ad arrivare al
Punjab. All’espansione territoriale corrisponde un’espansione della burocrazia, che porta
soldati e funzionari ad arrivare in India. Gli inglesi portano avanti un processo di
civilizzazione, dove tutti sono uguali davanti alla legge (cosa che va in contrasto con il
sistema indiano delle caste) e vieta alcuni rituali religiosi. Questo porta allo scoppio di una
violenta insurrezione nel 1857. L’insurrezione sembra sopraffare gli inglesi in un primo
momento, anche se con l’arrivo di rinforzi quest’ultimi riescono a reprimerla. Ciò
nonostante, il governo scioglie l’EIC nel 1858 e il governo dell’India è affidato ad un
Dipartimento di stato. Il governatore, che prende il nome di viceré, deve rendere conto al
segretario di Stato per l’India, che è parte del governo centrale del Regno Unito. Uno dei
primi provvedimenti è migliorare la rete telegrafica e ferroviaria. Viene potenziata la
burocrazia e aumenta il numero di soldati per evitare altre insurrezioni, e viceré e
governatori non tentano più di modificare usi e costumi della civiltà indiana.
I territori indiani in possesso dei Paesi Bassi sono controllati dalla Compagnia olandese
delle Indie Orientali, che viene sciolta nel 1800 a causa dei debiti. Nel 1824 il neocostituito
Regno dei Paesi Bassi riordina le modalità di gestione della colonia, senza però modificare
il prelievo forzato dei beni agricoli. Questo sistema di sfruttamento porta ad
un’insurrezione contadina (1825) che gli olandesi ci mettono 5 anni a reprimere. Nel 1830
viene introdotto dunque il sistema delle colture, con il governo olandese che da la
possibilità ai contadini di non pagare imposte in denaro, ma di sostituirle concedendo 1/5
della loro terra a coltivazioni indicate dal governo. Intorno a metà Ottocento, però, gli
amministratori olandesi iniziano a chiedere anche prestazioni lavorative ai contadini,
favorendo lo scoppio di rivolte isolate.
La Cina a metà Ottocento è l’Impero più popolato al mondo (400.000.000 abitanti) nonché
ricco di diverse fedi religiose (buddismo, taoismo, confucianesimo); la politica si basa sulla
figura sacra dell’imperatore e su una complessa burocrazia sostenuta dai suoi funzionari
(mandarini). La Cina ha scelto di chiudersi a eventuali penetrazioni commerciali europee,
lasciando aperto solo il porto di Canton. Questo, però, fa si che il paese rimanga
tecnologicamente indietro. Ciò è evidente quando, nel 1839, scoppia un caso diplomatico
con la Gran Bretagna. L’industria tessile indiana entra in crisi (a causa della concorrenza
di quella inglese, superiore grazie ai nuovi macchinari) e si inizia a non coltivare più il
cotone, ma il tè, l’indaco o il papavero. Da quest’ultimo si ottiene una droga, l’ oppio, che
viene venduto dai contrabbandieri inglesi a gruppi criminali cinesi attraverso il porto di
Canton. I danni sono anche economici, oltre che di salute, perché sul contrabbando non si
pagano tasse o dazi. Il governo cinese, nel 1839, fa bruciare 1300 tonnellate di oppio, e
ciò da adito ad una violenta reazione britannica che sfocia nella prima guerra dell’oppio
(1840-42). I britannici attaccano militarmente la Cina e conquistano l’isola di Hong Kong,
oltre ad un risarcimento e all’apertura di altri 4 porti commerciali. Nel frattempo, nel 1850
scoppia una delle più grandi rivolte di sempre. Hung Hsiu-Ch’uan fonda la Società degli
adoratori del Cielo, che professa idee del confucianesimo ma anche di derivazione
cristiana (l’uguaglianza, la redistribuzione delle proprietà terriere). Nella Cina post Guerra
dell’oppio, questa ideologia ha un gran successo soprattutto tra i contadini poveri, che si
uniscono e conquistano Nanchino nel 1853, fondando un proprio regno, nel quale
vengono abolite la proprietà privata, l’oppio, l’alcol e ridotte le imposte. Queste misure
allontanano dal movimento alcuni imprenditori e proprietari. La svolta definitiva avviene nel
1856 quando scoppia una seconda guerra dell’oppio, che coinvolge inglesi e truppe
francesi (che miravano all’espansione in Indocina). La guerra si divide in due fasi: la prima
(1856-60), approfittando della rivolta di Hung, porta truppe inglesi e francesi ad entrare a
Pechino; la seconda fase (1861-64) vede collaborare il governo cinese con le truppe
straniere per reprimere la rivolta. Il governo cinese, però, è piegato a quelli occidentali:
deve pagare 300 tonnellate d’argento alla Gran Bretagna e alla Francia.
Il Giappone, ancor più della Cina, è chiuso a qualsiasi tipo di infiltrazione europea. Al
centro c’è la figura dell’imperatore, capo spirituale e religioso, anche se il potere politico è
in mano allo shogun (il massimo dignitario imperiale, controlla direttamente ¼ del paese e
i restanti ¾ in forma indiretta, attraverso 250 capi locali, i daimyo). La popolazione è per lo
più di contadini, mentre commercianti e artigiani sono ai margini, poco apprezzati dall’etica
giapponese. Nel 1853 delle navi da guerra statunitensi si recano in Giappone per chiedere
l’apertura commerciale dei porti. Lo shogun si vede costretto ad aprirne due, perché in
caso di guerra le più avanzate tecnologie americane l’avrebbero sopraffatto. Nel 1858
apre altri porti per Gran Bretagna, Russia e Francia, suscitando un malcontento tra
samurai e daimyo che nel 1867 si ribellano, deponendo lo shogun e confiscando le sue
proprietà. Viene nominato imperatore Mutsuhito di appena 15 anni, e l’obbiettivo che il
governo si pone è quello della modernizzazione del paese, per evitare ciò che è successo
in Cina. Dal 1869 inizia un processo di riforme: tutti i cittadini sono uguali davanti alla
legge, i samurai entrano nella burocrazia, viene introdotto l’obbligo di istruzione
elementare e viene formato un esercito nazionale. Viene creata una religione di Stato, lo
scintoismo, che viene utilizzata a scopo politico: l’imperatore discenderebbe dalla divinità
del sole, e quindi nasce un culto nei suoi confronti. Vengono finanziate le imprese
industriali, con l’acquisto di macchinari occidentali.
L’Australia, prima usata dal Regno Unito come luogo di deportazione per i propri
carcerati, nell’Ottocento diventa meta di immigrati. Le terre vengono sottratte alle
popolazioni aborigene e si praticano allevamento (soprattutto pecore) e agricoltura. Il vero
boom avviene nel 1851 quando si scoprono dei giacimenti d’oro e la popolazione, in cerca
di fortuna, tenta di colonizzare anche la Nuova Zelanda (processo più lento causa
presenza dei maori).
Il Canada è controllato dal Regno Unito dopo la Guerra dei Sette anni, e i coloni si
spingono a ovest creando, nel 1867, la Confederazione del Canada.
Il Sudafrica era stato sottratto dagli inglesi alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali
nel 1795, creando dissapori tra i nuovi amministratori e i coloni, che non riconoscevano gli
inglesi come capi. Qui era diffuso l’allevamento di bestiame e le piantagioni di canne da
zucchero. Inoltre, nel 1867-1886 vengono scoperti giacimenti di diamanti e di oro.
Eccezion fatta per il Sudafrica e l’Algeria, il resto dell’Africa, fino agli anni ’70
dell’Ottocento non è luogo di colonizzazione, ma più di esplorazione. Man mano che si
raccolgono informazioni cresce l’interesse economico delle potenze europee per
quest’area.

18. Popolazione e produzione


Intorno alla seconda metà dell’Ottocento si diffonde in Europa una corrente artistica, quella
del realismo, che volge lo sguardo verso il mondo circostante, gli umili, i contadini. A
partire dal sec. XIX, inoltre, sono disponibili le fonti statistiche, raccolte dagli Stati a
scopo fiscale, militare o conoscitivo, e che possono darci un’idea dell’andamento generale.
In realtà, già dal ‘600-‘700 erano iniziate queste raccolte, ma le burocrazie erano troppo
poco sviluppate perché fossero attendibili. Leggendo i censimenti, si può notare che, da
metà Ottocento al primo decennio del Novecento, vi sia una costante crescita
demografica, dovuto all’alzamento dei tassi di natalità e all’abbassamento dei tassi di
natalità. Nel secondo Ottocento, i tassi di natalità si abbassano ma, complice
l’abbassamento ulteriore di quelli di mortalità, la crescita continua. L’aspettativa di vita, in
Europa, passa da 40 a 50 anni. Questo è possibile anche ai lavori realizzati nelle grandi
città, a partire da Londra, colpita dal colera nel 1832. Nello specifico, si creano grandi
parchi interni alle città, si demoliscono gli edifici fatiscenti costruendone di nuovi, viene
creato un nuovo sistema di fogne e un sistema idrico più efficace, e viene depurata
l’acqua potabile. Oltre a questo, si progredisce anche in ambito medico: vengono costruiti
nuovi ospedali, nasce il microscopio, c’è più attenzione all’igiene e alla sterilizzazione
degli strumenti, e vengono introdotti nuovi farmaci. L’aumento della popolazione dipende
anche dai flussi migratori, a breve percorrenza (dalle aree rurali ci si trasferisce in città) o
a lunga percorrenza (dall’Europa alle Americhe soprattutto). L’aumento dell’emigrazione
transoceanica porta ad un considerevole aumento di popolazione negli Stati Uniti che, a
inizio ‘900, hanno una popolazione doppi rispetto al Regno Unito. In generale, in America
e Oceania l’aumento deriva principalmente da flussi migratori, mentre in Europa e Asia è
un fattore endogeno.
Lo spostamento della popolazione verso i centri urbani aumenta notevolmente lo sviluppo
del settore industriale. Se Russia, Africa, Asia e America centro-meridionale sono zone
per lo più rurali, l’Europa occidentale e l’America del Nord sono fortemente urbanizzate e
industrializzate. Vengono introdotte nuove innovazioni tecnologiche che favoriscono lo
slancio produttivo e che, per numero e importanza, ricordano la prima rivoluzione
industriale, tanto da essere definita seconda rivoluzione industriale. Vi sono alcune
differenze: innanzitutto, le innovazioni non sono più opera di imprenditori o dilettanti, ma di
scienziati e professore; in secondo luogo, non riguarda più solo la Gran Bretagna, ma
anche il resto d’Europa e l’America del Nord; infine, sono interessati settori produttivi
nuovi, come le produzioni di acciaio, di materie chimiche, di energia. Uno dei settori
caratterizzanti è quello della produzione dell’acciaio, più robusto e facilmente lavorabile di
ghisa e ferro, ma con processi produttivi molto più costosi, almeno fino a metà Ottocento.
Accanto al settore siderurgico, si sviluppa molto il settore chimico. In particolare, l’industria
chimica è molto avanzata in Germania e Svizzera, con la fabbricazione della soda e
sintesi di composti organici. Piuttosto vistose sono le innovazioni che riguardano la
produzione e la commercializzazione degli alimenti: dall’inscatolamento in barattoli di
metallo sterilizzato alla costruzione di grandi celle frigorifere. Un’altra innovazione sono i
motori a scoppio, alimentati da un distillato del petrolio, e che vengono montati per la
prima volta su veicoli a 3 ruote. Nascono le prime fabbriche di automobili (Benz, Peugeot,
Fiat, Ford) e la loro diffusione favorisce l’estrazione del petrolio e le raffinerie. Il motore a
scoppio viene utilizzato nei primi velivoli, ancora a livello sperimentale a inizio ‘900. Una
delle novità più importanti, però, è la capacità di immagazzinare e distribuire l’energia
elettrica ottenuta dal vapore o dall’acqua. Vengono costruite le prime centrali
termoelettriche e idroelettriche, che riforniscono interi distretti di energia attraverso cavi ad
alta tensione. L’uso di questa energia è principalmente domestico, grazie a delle nuove
invenzioni: la lampadina a filamento incandescente (Edison), il telefono (Meucci) e le
prime ferrovie elettriche.
In alcuni settori produttivi (siderurgico, chimico, meccanico) le industrie stanno diventando
sempre più grandi, e con sistemi di produzione sempre più complessi. Per questo, si
studiano dei metodi per rendere il tutto più efficace. Uno dei primi teorici del scientific
management è Frederick Taylor, operaio in un’acciaieria, che decide di cronometrare i
tempi di lavoro degli operai e misurare il costo di ogni lavorazione, creando una sorta di
tabella oraria organizzativa. Il suo sistema si diffonde in tutto il Nordamerica col nome di
taylorismo, e ispira, tra gli altri, Henry Ford che nel 1913 mette a punto la prima catena di
montaggio.
Le dimensioni delle industrie sono sempre maggiori, e nessun imprenditore ha i capitali
adatti per impiantarne una da zero. Si ricorre perciò alla vendita di azioni nelle borse
azionarie: migliaia di risparmiatori investono sulle aziende che sembrano più promettenti, e
che diventano società per azioni, dove la maggioranza delle quote è comunque detenuta
dall’imprenditore. Importante in quest’ambito è il contributo delle banche.
Tra 1873 e 1896 il prezzo dei prodotti industriali diminuisce notevolmente, tanto che alcuni
parlano di “grande depressione”: c’è paura dell’effetto di un’eccessiva quantità di prodotti
su un mercato che non può acquistarli. Per questo, gli imprenditori chiedono ai governi di
agire, introducendo dazi doganali per favorire il mercato nazionale. Inoltre, molte aziende
minori vengono acquisite da aziende più grandi e vengono stipulati degli accordi
commerciali, al fine di diminuire la concorrenza.
Uno stupefacente miglioramento si ha nei sistemi di comunicazione: reti ferroviarie ma,
soprattutto, uno sviluppo delle comunicazioni marittime, con navi a vapore in grado di
attraversare l’oceano (es. il Titanic, Londra-New York). Si sviluppano navi mercantili a
vapore in grado di compiere tratte transoceaniche, trasportando ad esempio il grano dagli
Stati Uniti. Grano e cereali d’importazione nord-americana o russa, una volta immessi sul
mercato europeo, hanno un prezzo molto minore. Innanzitutto, perché negli USA si
utilizzano tecniche innovative (mietitrebbie meccaniche) e in Russia il costo del lavoro è
molto basso. Inoltre, lo sviluppo delle navi mercantili consente di abbassare notevolmente
i costi di trasporto oltre che il deperimento delle materie prime. I vari cereali, in Europa,
hanno un costo di produzione molto più elevato, e questo porta ad azzerare i profitti dei
proprietari terrieri, in quella che viene chiamata crisi agraria. Gli imprenditori agricoli
rispondono in vari modi: chiedendo l’introduzione di dazi doganali per pareggiare il prezzo
del grano d’importazione; contraendo le aree coltivate, che vengono destinate ora ad
altri usi (es. allevare il bestiame); adottando nuove tecniche di rotazione e nuovi
macchinari per abbassare il costo di produzione.
19. Studiare, lavorare, comprare, amare
Le trasformazioni economiche e demografiche in atto causano peggioramenti delle
condizioni sociali in alcune zone. Nelle campagne dell’Europa occidentale, a causa della
crisi agraria, diminuisce la domanda di forza lavoro e molti braccianti si ritrovano
disoccupati, con due soluzioni: cercare fortuna migrando o svolgere lavori instabili e mal
retribuiti. Nelle campagne dell’Europa orientale la situazione è analoga, sia per la crescita
demografica nelle zone rurali che per l’abolizione della servitù della gleba (che immette sul
mercato molta forza lavoro, superiore però alla domanda). Le cose vanno meglio per la
manodopera industriale, dato che la richiesta di operai è sempre alta. All’interno della
classe operaia c’è una differenziazione tra operai a cui sono attribuite semplici mansioni e
altri (più preparati) con compiti più difficili. La preparazione degli operai dipende dal loro
livello d’istruzione. Tra fine ‘800 e inizio ‘900, quasi tutti gli stati in Europa e gli Stati Uniti
fondano un sistema scolastico, basato sull’obbligo d’istruzione elementare. Ciò alza l’età
minima in cui si può essere assunti in fabbrica. Inizialmente ciò incontra alcune resistenze,
ma ci si rende presto conto che la scuola forma anche dal punto di vista morale e
disciplinare, e che individui più istruiti sono lavoratori più efficienti. Tra gli anni ’70
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, dunque, tutti gli stati europei regolano l’istruzione
elementare.
Il sistema di istruzione superiore, fino al tardo Ottocento, è altalenante. Nel Regno Unito e
USA, vi sono scuole private d’élite, basate su curricula umanistici e sul modello college,
oltre che scuole pubbliche meno privilegiate con curricula più vari. In Europa continentale
sono tutte scuole pubbliche, organizzate su due livelli: una più qualificata (per chi vuole
proseguire negli studi universitari) e scuole tecnico-professionalizzanti, volte a formare
operai qualificati. In generale, è il sistema scolastico statunitense ad essere il più
progredito: qui i livelli di scolarizzazione sono più alti che in Europa/Regno Unito, e
attraverso i curricula meno selettivi si formano i ceti medi (impiegati, tecnici, funzionari,
commessi). Il loro salario non è altissimo, ma comunque sufficiente a marcare una
differenza netta con gli operai.
Nell’Ottocento viene rivoluzionato pure il sistema universitario. Le università devono
rispondere alle richieste del mercato: servono insegnanti, ingegneri, medici, chimici, notai
e avvocati. Si procede dunque ad una razionalizzazione delle facoltà e dei corsi. Negli
Stati Uniti esistono sia università statali/private con tasse di iscrizione molto basse (per
studenti di ceti medi o classi popolari) che università più prestigiose e finanziate da ricchi
imprenditori o associazioni locali (Harvard, Yale), molto selettive e con costi d’iscrizione
più alti. Nel Regno Unito vi sono ugualmente università più prestigiose (Oxford,
Cambridge) a fianco ad università finanziate pubblicamente, che offrono corsi tecnici
carenti in quelle prestigiose. Nel resto del continente europeo, quasi tutte le università
sono finanziate dallo stato, e istituti privati o ecclesiastici sono pressoché inesistenti.
Anche in questo caso domina il sistema statunitense, che conta nel sec XX il doppio di
studenti universitari rispetto all’Europa, con una selettività sociale più bassa rispetto al
Regno Unito. Nella seconda metà del sec XIX vengono fondate anche delle scuole
superiori femminili con curricula che permettono di accedere all’università, soprattutto per
formare insegnanti e maestre. Alcune università, inizialmente, sono restie (Princeton e
Yale rifiutano le donne, Cambridge e Oxford le accettano solo come uditrici, possono
partecipare alle lezioni ma non conseguire la laurea), e per questo i casi di donne che si
laureano e riescono ad esercitare la professione sono pochi. Con i primi decenni del ‘900
le donne nelle università aumentano (vedi Marie Curie), ma non se ne trova nessuna nel
ruolo di imprenditrice, di capitano d’industria.
I redditi degli imprenditori e dei ceti medi sono, a fine Ottocento, molto buoni. Anche quelli
degli operai, e perfino dei contadini, si mantengono su un buon livello. L’incontro tra
l’aumento di retribuzione e i prezzi più contenuti fa sì che molte famiglie ora investano
sull’acquisto di beni voluttuari o di consumo durevole. In poche parole, dopo aver
comprato il cibo, i soldi vengono investiti per acquistare una bicicletta, dei vestiti migliori,
un orologio, un biglietto per il Luna Park… Questo nuovo mercato, che ha i tratti di un
mercato di massa, porta alla nascita dei grandi magazzini. Questi, nati nelle più grandi
città europee (Londra, Berlino, Parigi) nella seconda metà dell’Ottocento, riducono
notevolmente i prezzi, e per la prima volta il prezzo è fisso: i commessi non possono
trattare. Per attirare nuovi clienti c’è un massiccio utilizzo della pubblicità su giornali,
volantini, manifesti. A inizio Novecento, le merci vendute nei grandi magazzini sono una
piccola percentuale (dal 2% al 10/15% massimo), ma indubbiamente essi rappresentano il
futuro.
Oltre al mercato di massa, nasce il divertimento di massa. Chi sa leggere inizia ad
acquistare quotidiani o settimanali (“Il corriere della Sera”, “Daily Mail”). Ci si appassiona
anche agli spettacoli teatrali, in particolare al melodramma (in Italia nel 1866 ci sono già
quasi 1000 teatri). All’inizio del ‘900, però, il melodramma incontra un avversario piuttosto
ostico: il cinema. In Germania, nel primo decennio del ‘900, le sale cinematografiche sono
già 2500. In realtà, a dominare sono le competizioni sportive: lo sport diventa spettacolo,
viene commercializzato. A imporsi in Europa è subito il calcio, e in vent’anni si passa da
una media di spettatori di 4-5000 ad una di 20-25000. Il calcio diventa presto un fenomeno
economico: nasce la stampa sportiva specializzata, e alcuni imprenditori iniziano a
sponsorizzare le squadre, guadagnando in popolarità e vendite.
20. Il “Sole dell’Avvenire”
A fine Ottocento gli operai hanno tutti frequentato qualche classe delle elementari, sanno
leggere e scrivere e riescono a farsi un’idea della loro collocazione sociale e delle loro
aspirazioni politiche. Anche chi magari è analfabeta è raggiunto da nuove idee in luoghi di
ritrovo, ad esempio i pub. Si diffondono nuovi pensieri e speranze, derivanti da filosofi che
criticano l’industrializzazione e i suoi effetti, proponendo delle soluzioni. Ad esempio,
Claude-Henri de Saint-Simon teorizza la nascita di una società dominata da produttori e
da tecnici capaci di usare le innovazioni a beneficio dell’intera collettività sociale. Più
critico è Robert Owen, imprenditore gallese, che crea un’impresa modello che edifica
case per i propri operai, scuole per i loro figli e luoghi di incontro per la collettività, ma che
si rivela un insuccesso economico. Molto più estremo è Etienne Cabet, il primo a usare la
parola “comunismo”, che teorizza il superamento delle contraddizioni e dei contrasti della
società industriale, per dar vita a una dimensione nella quale beni e strumenti di
produzione siano usati in modo unitario. Tutte queste dottrine sono influenti a livello locale,
ma non riescono a dare un quadro preciso e ben definito. I primi a riuscirci sono due
pensatori tedeschi, Karl Marx e Friedrich Engels. Essi analizzano il capitalismo, le sue
forme di produzione e le novità introdotte dalla rivoluzione industriale e dal macchinismo.
Pubblicano il “Manifesto del partito Comunista” nel 1848. Engels aveva già pubblicato il
“Situazione politica della classe operaia inglese” nel 1845 e Marx pubblicherà un’opera
ancora più dettagliata, il Capitale, in 3 volumi a partire dal 1867. In quest’opera, Marx
sostiene che il capitalismo (il sistema produttivo nato con la rivoluzione industriale) abbia
dei limiti e delle contraddizioni che lo spingono verso una crisi generale e verso
un’irrimediabile fine. I limiti derivano dal rimodellamento della società, con un numero
sempre più grande di operai impoveriti (proletariato) e un numero sempre minore di
imprenditori nelle cui mani si concentrano tutte le risorse e i mezzi di produzione
(borghesia). Essi si scontrano in una lotta di classe. Il sistema capitalistico mostra inoltre
crisi periodiche di sovrapproduzione, dovute al sovrainvestimento di capitali in settori che
finiscono per offrire più merci di quante il mercato possa comprarne. Dopo queste analisi,
formulano una chiara proposta politica: il capitalismo cadrà di sicuro, ma bisogna creare
delle organizzazioni politiche in grado di accelerare la lotta di classe, e portare ad una
rivoluzione che, insieme alla caduta del capitalismo, riesca a formare una società nuova. Il
Manifesto è innovativo, perché si vuole che il partito comunista sia un movimento
internazionalista, in quanto i proletari soffrono ovunque, contrapposto ai vari movimenti
politici borghesi fondati sul nazionalismo.
A Londra, nel 1864, nasce la prima grande organizzazione del movimento operaio (grazie
al contributo di Marx e Engels): l’Associazione internazionale dei lavoratori o Prima
Internazionale. Al suo interno vi sono due correnti contrapposte. La prima è di stampo
fortemente Marxista, e sostiene che si debbano preparare i presupposti per la rivoluzione,
che sarà seguita da una fase transitoria (la dittatura del proletariato) nella quale si
riorganizzerà la società. La seconda corrente, quella anarchica, è guidata da un esule
russo, Michail Bakunin. Egli sostiene che l’abolizione di ogni forma di autorità statale sia
l’unico modo di arrivare ad una società di individui liberi e uguali. Gli anarchici sono inoltre
contrari ad ogni forma di strutture partitiche in quanto ogni forma di gerarchia contiene
caratteri di oppressione. Al V Congresso dell’Associazione internazionale dei Lavoratori
(1872) viene approvata una risoluzione che sostiene la “…costituzione del proletariato in
un partito politico”. È scissione. Il movimento anarchico riscuote successo nelle aree rurali
poco industrializzate (Italia, Spagna, Russia) dove le analisi sul capitalismo e
sull’industrializzazione suonano poco familiari ai cittadini. Negli anni successivi, emerge
l’idea che la più importante azione dimostrativa che può portare ad una rivoluzione sia
l’attacco terroristico. In realtà, la serie di attentati tra fine ‘800 e primi decenni del ‘900 non
fa altro che rendere scarsamente credibile il movimento anarchico.
La scissione indebolisce molto l’Associazione, che nel 1876 si scioglie. Dalle sue ceneri,
però, nascono diversi partiti operai: il Partito socialista dei lavoratori di Germania (1875,
poi Partito socialdemocratico tedesco, a fine ‘800 conta ben 400.000 iscritti), il Partito
operaio Francese (1880), il Partito dei lavoratori italiani (1892, poi Partito socialista
italiano).
La struttura di queste organizzazioni le rende a tutti gli effetti i primi partiti politici
moderni. Essi sono associazioni federali nel senso che raccolgono adesioni e donazioni a
livello locale, promettendo di agire a livello nazionale. Sono anche associazioni formali, nel
senso che possiedono uno statuto che enuncia i principi e le regole del partito, che i
militanti devono seguire. Inoltre, vengono spesso organizzati dei congressi, dove si
eleggono i dirigenti, si discutono le linee da seguire e se modificare alcuni punti dello
statuto. I partiti socialisti si dotano anche di organi di stampa a livello nazionale (es.
“Avanti!”, nato in Italia nel 1896). I partiti socialisti si dotano anche di una serie di
associazioni collaterali per ampliare il consenso (circoli ricreativi) e importante è il loro
collegamento con i sindacati. Partiti e sindacati, sulla carta, sono elementi paralleli e
autonomi, ma spesso la coincidenza di obbiettivi fa si che essi collaborino. La loro
collaborazione è importante anche perché la forma di protesta più importante diventa lo
sciopero: inizialmente esso ha solo carattere sindacale (richiedere condizioni migliori per
gli operai), ma successivamente inizia ad avere carattere politico (1/5/1890, sciopero
generale Europeo per ribadire la forza del partito comunista). I partiti socialisti vengono
accompagnati da una serie di simboli: la donna che rappresenta la Libertà, il Sole
nascente, l’operaio che spezza le catene. Inoltre, viene istituita nel 1889 una giornata per
celebrare la dura vita dei lavoratori, il 1° Maggio. L’idea di rivoluzione, che da un lato da
speranza agli operai, dall’altro spaventa industriali e borghesi. Nel 1889 viene fondata a
Parigi l’Internazionale Socialista (o Seconda internazionale), che ha la forma di
federazione tra i partiti socialisti nazionali di orientamento marxista.

All’interno dei partiti socialisti ci sono diverse visioni della finalità e della lotta politica. In
Germania, Eduard Bernstein fa notare come in realtà le condizioni retributive di una parte
degli operai siano notevolmente migliorate. Per questo, il Partito socialdemocratico non
deve puntare subito alla rivoluzione sociale, ma ad ottenere riforme che migliorino le
condizioni di vita operaie, se serve anche collaborando con altri partiti democratici. A
questa visione “riformista” si contrappone la linea radicale di Karl Liebknecht e Rosa
Luxemburg, che sostengono la necessità di una rivoluzione immediata. A mediare queste
due posizioni, Karl Kautsky: attendere i tempi naturali della rivoluzione non in modo
passivo, ma tentando di migliorare le condizioni degli operai.
All’interno del Partito operaio socialdemocratico Russo (nato nel 1898) si sviluppano due
posizioni: una (minoritaria, quindi detta menscevica) sostiene le posizioni moderate di
Kautsky; l’altra (maggioritaria, dunque bolscevica) che, capeggiata da un trentenne Lenin,
sostiene la necessità di una rivoluzione immediata. Alla fine, i bolscevichi si separeranno
dai menscevichi fondando il Partito operaio socialdemocratico (1912).
Un’altra esperienza diffusa è quella del sindacalismo-rivoluzionario: essi sostengono che
l’unico modo di far scattare una rivoluzione siano gli scioperi generali, capaci di bloccare
l’intera società e di mostrare la forza delle masse operaie.
In Gran Bretagna, una parte degli operai si avvicina al liberalismo di Gladstone, mentre
alcuni nutrono simpatie per i conservatori. Nel 1883 nasce la Social Democratic
Federation basata sui principi del marxismo, ma che ottiene pochissimo successo. Di
diversa caratura è la Fabian Society (1884), nata con una visione gradualistica
dell’avvento del socialismo, e che sostiene che tutte le trasformazioni che porteranno ad
una società socialista debbano avvenire in una cornice parlamentare e costituzionale. Pur
non diventando mai un partito politico, la Fabian Society ha una grande influenza
nell’opinione pubblica. Grande influenza ce l’hanno anche i sindacati operai: riconosciuti
legalmente con il Trade Unions Act (1871) essi collaborano col Partito Liberale, che fa
eleggere alcuni sindacalisti alla Camera dei Comuni. La crisi del Partito Liberale negli anni
’90 porta un sindacalista, James Keir Hardie, a fondare l’Independent Labour Party (1893).
La loro carriera politica non parte bene, ma con le repressioni degli scioperi, la debolezza
del Partito Liberale e l’insofferenza del Partito Conservatore a approvare norme a favore
degli operai, essi guadagnano consensi. Si riorganizzano nel Labour Representation
Comitee e stringono un accordo elettorale politico segreto col Partito liberale, riuscendo a
far eleggere 29 candidati nel 1906. Il partito diventa Labour Party e presenta un
programma moderatamente riformista.
Negli Stati Uniti la principale organizzazione sindacale è l’American Federation of Labour
(1886), che ha un carattere apolitico e non punta ad una rivoluzione, ma organizza molti
scioperi in modo efficiente. Nel 1901 nasce il Socialist Party of America, che non riesce a
ottenere successo (miglior risultato il 6% di voti) per tre ragioni: innanzitutto la presenza di
due partiti di massa (repubblicano e democratico) radicati e con un buon seguito; in
secondo luogo, la divisione interna alla classe operaia, a causa della sua multietnicità;
infine, il mito della mobilità sociale che cozza col movimento socialista.

21. Nazionalismo e razzismo


A fine Ottocento, il discorso nazionalista offre una base di legittimazione per le élite
politiche, che basano i loro discorsi sul concetto di popolo-nazione. I politici hanno il
compito di insegnare la nazione anche a operai, contadini e braccianti, persone
analfabete. All’inizio dell’Ottocento il compito era molto più difficile, in quanto i movimenti
nazionalisti erano movimenti politici eversivi, ma nella seconda metà del secolo essi hanno
ottenuto grandi consensi e risultati. Gli strumenti per educare sono vari:
Innanzitutto, la scuola, che diventa centrale per le élite politiche, e che deve educare i
bambini a pensarsi come parte della propria comunità nazionale. Gli si insegna la “propria”
lingua, la “propria” cultura, la “propria” storia, la geografia per riconoscere i “propri” confini.
Attraverso la storia si esaltano re ed eroi, che in guerra hanno forgiato la nazione con il
loro sacrificio e il loro coraggio. Vi è un’idea secondo la quale le donne sono le madri della
nazione, mentre gli uomini il braccio, sempre pronti a difendere la propria terra.
Visto l’elevato tasso di bellicismo, non stupisce che un veicolo di diffusione del
nazionalismo siano gli eserciti. Il modello prussiano della coscrizione obbligatoria si
diffonde in quasi tutta Europa (Austria-Ungheria, Italia, Francia), e far parte dell’esercito
diventa segno di mascolinità, di buona salute, quasi un rito di passaggio dal ragazzo
all’uomo. Inoltre, nell’esercito si utilizza la lingua nazionale (costringendo i soldati ad
impararla e a mettere da parte i dialetti); si spostano i soldati in caserme lontane, per fargli
conoscere ogni angolo del loro paese; infine si preme con forza sull’idea di servizio per la
patria, grazie anche a dei rituali come l’omaggio alla bandiera, le parate.
Infine, un veicolo importante per il nazionalismo sono i rituali pubblici. Si stabiliscono una
serie di simboli e di rituali da celebrare per sottolineare la propria appartenenza alla
nazione. Spesso questi rituali sono intrisi di un’aurea religiosa, si esalta la morte e il
sacrificio compiuti dai valorosi eroi per la nazione (tanto che alcuni re o eroi
particolarmente valorosi vengono seppelliti in piazza o in luoghi di culto).
Nel nazionalismo del primo Ottocento, la componente razziale non trova quasi mai spazio.
È nella seconda metà dell’Ottocento che i discorsi sull’appartenenza di sangue si
intrecciano con le riflessioni “scientifiche” sulla differenziazione razziale (influenzati da
Darwin). Nascono in tutta Europa degli “zoo umani”, dove popolazioni di altri continenti
vengono messe in mostra, e questa loro animalizzazione fa passare l’idea che siano
inferiori. Importante per la diffusione del razzismo fu il “Saggio sull’ineguaglianza delle
razze umane” (1853) di Joseph Arthur de Gobineau. Egli sostiene l’esistenza di tre razze:
quella bianca (superiore, con valori come la nobiltà, la lealtà), quella gialla (con valori
puramente materiali) e quella nera (potente ma animalesca). Sostiene inoltre che dalla
loro mescolanza sia iniziata la decadenza delle razze. Una risposta a questa tesi arriva da
Francis Galton che nel suo “Il genio ereditario” (1869) afferma che le differenze tra uomini
derivino non dall’ambiente quanto dai geni, e per evitare la decadenza propone
l’eugenetica. Vi è poi Georges Vacher de Lapouge, che nei suoi vari trattati sostiene la
superiorità della razza bianca europea, che però presenta delle differenziazioni al suo
interno: vi è l’Homo europaeus (alto, biondo, forte, discendente dagli ariani), poi l’Homo
alpinus (più basso e con carnagione più scura) e infine l’Homo mediterraneus (capelli e
occhi neri, carnagione ancora più scura). Sotto la razza bianca europea cita anche quella
ebraica, che ritiene infima e pericolosa. Anch’egli sostiene che non vi sia più purezza a
causa della mescolanza tra razze, e propone in una futura società socialista un processo
di eutanasia razziale. Il valore scientifico di tutte queste produzioni è nullo, ma esse sono
destinate a influenzare la politica occidentale nel corso del XX secolo.
Negli USA, dopo la guerra civile, inizia una politica di segregazione dei neri. In alcuni
Stati vengono varate leggi che prevedono il pagamento di una tassa per votare, o che si
sappia leggere/scrivere, o che possa votare solo chi ha avuto avi che l’hanno già fatto: in
pratica, i neri sono esclusi dalla vita pubblica. Viene applicata la regola del separati ma
uguali, vengono fondate scuole, bar, ristoranti, negozi solo per bianchi, e chi si prova a
ribellare è vittima di aggressioni. I neri non sono l’unica minoranza che subisce questi
trattamenti. La fine dell’Ottocento è il periodo più intenso delle guerre indiane. L’episodio
più increscioso è il massacro di Wounded Knee (1890) dove vengono uccisi almeno 300
donne e bambini. I loro territori vengono distrutti, deforestati, e gli indiani costretti a vivere
in delle riserve. Inoltre, i flussi migratori portano molti spagnoli/slavi/italiani negli USA, per i
quali l’integrazione non è per niente semplice (spesso segregati nei ghetti urbani).
In Europa, le discriminazioni più gravi si scatenano contro gli ebrei. In Russia, alcune città
(Mosca, San Pietroburgo) sono vietate agli ebrei, che possono stabilirsi solo in alcuni
Distretti (indicati dal governo) e sono sottoposti a leggi svantaggiose e all’odio della
comunità. Accade che nel 1903 a Kisinev decine di ebrei vengano massacrati. Molti di loro
migrano verso gli USA, dove le discriminazioni antiebraiche sono pressoché nulle.
Nell’Europa Occidentale gli ebrei sono vittime di emancipazioni che talvolta li costringono
a vivere nei ghetti. In Francia, le discriminazioni iniziano presto (con delle leggi del 1790-
91) ma nel corso dell’Ottocento si diffondono in tutta Europa. Il grado di emancipazione o
di integrazione con la società varia, e molti ebrei tra fine Ottocento/inizio Novecento
riescono a ottenere posizioni di prestigio (i Rothschild, Sigmund Freud, Henri Bergson..).
Molto spesso essi sopravvivono più come comunità religiosa, con i loro riti e la loro
organizzazione interna. Le difficoltà di integrazione sono causate dalla diffusione di miti
del cristianesimo medievale, che accusano gli ebrei di aver ucciso Cristo, di rapire bambini
cristiani e bere il loro sangue. Molti ebrei che lavoravano in porti/mercati avevano fatto
amicizia con ebrei di altri porti, e il movimento nazionalista arrivò ad accusarli di essere
“irriducibilmente estranei” alla nazione che li ospita. Anche la pratica dei matrimoni
intracomunitari (tra due ebrei) era malvista. Il tutto, favorito dal razzismo “scientifico”,
favorì l’antisemitismo.
L’antisemitismo iniziò ad essere usato da qualche partito, ma l’episodio più eclatante fu il
caso Dreyfus. Il 22/12/1894 il Consiglio di guerra francese condanna Alfred Dreyfus, capo
d’artiglieria ebreo, alla deportazione per aver trasmesso della documentazione segreta al
governo tedesco. Le accuse e il processo sono svolte in modo sommario, e molta stampa
socialista/radicale interviene in difesa di Dreyfus. Il caso ha ancora più clamore quando ad
intervenire è lo scrittore Emile Zola. Si crea un acceso dibattito politico intorno alla
questione tra innocentisti e colpevolisti. Si diffonde anche un mito antiebraico, che avrà
molto successo in futuro, secondo il quale esiste un complotto internazionale ebraico per
portare ad una crisi economica-sociale. Questa teoria trova appoggio in un documento
falso del 1897-98 scritto da antisemiti francesi. A Dreyfus viene concessa la grazia nel
1902 e viene assolto nel 1906. Nel frattempo un giornalista ebreo inviato per studiare il
caso Dreyfus, Theodor Herzl, sostiene che l’integrazione degli ebrei sia stato un
fallimento, e che essi necessitino di un loro Stato nazionale (la Palestina, loro terra
d’origine) dove vivere e avere la sovranità. Nasce il movimento sionista e alcuni ebrei
iniziano a migrare in Palestina e a creare degli insediamenti (Tel Aviv ad esempio).
22. La politica in Occidente
Uno degli aspetti più diffusi della politica occidentale è l’estensione del diritto di voto,
voluta sia da liberal-conservatori e liberal-democratici. Tra i primi, ricordiamo Benjamin
Disraeli che nel 1867 amplia il corpo elettorale dal 4% all’8% della popolazione, o Otto von
Bismarck, acceso sostenitore del suffragio universale maschile. Tra i secondi, molta
influenza ha il filosofo John Stuart Mill, a favore dell’ampliamento di voto a donne e classi
meno abbienti; e William Gladstone. L’estensione del diritto di voto viene attuata più per
evitare che le masse, non sentendosi prese in causa, seguano ideali anarchici/socialisti.
Da questi processi di estensione sono ovviamente escluse le donne, considerate ancora
inadatte o dipendenti dagli uomini. Ma qualcosa sta cambiando: innanzitutto, alcune opere
(La servitù delle donne, Mill) sostengono il loro diritto a votare; in secondo luogo proprio le
donne creano organizzazioni per cercare di ottenere più diritti. Questi movimenti, diffusi in
tutta Europa, si sviluppano particolarmente nei paesi protestanti (dove alla base c’è
un’idea di uguaglianza). Essi chiedono una piena eguaglianza civile e politica, e i
movimenti suffragisti si sviluppano in particolare in USA e Regno Unito, e alla loro base
c’è la richiesta del diritto di voto, considerata fondamentale. Nel resto d’Europa, soprattutto
nei paesi cattolici (dove non viene messa in discussione la gerarchia dei generi) i
movimenti sono meno radicali.
All’interno dei movimenti socialisti si creano dei nuclei femminili, che però sono cauti con
la richiesta del voto alle donne: innanzitutto, sono spaventate che molte donne possano
votare cattolici e conservatori; in secondo luogo, credono che l’obbiettivo primario sia
raggiungere il suffragio universale maschile nei paesi dove ancora non c’è; infine
sostengono la teoria di August Bebel secondo la quale una vera parità dei sessi potrà
esserci solo dopo la rivoluzione socialista.
Il movimento femminile ha risultati piuttosto deludenti (voto alle donne introdotto solo in
paesi marginali come Finlandia, Australia, Norvegia), ma per quanto riguarda gli uomini si
raggiunge in molti paesi il suffragio universale maschile o il suffragio allargato.
Vengono introdotte delle politiche sociali per avvicinare tutti (anche operai e contadini) alle
istituzioni, attraverso sistemi previdenziali o assistenziali, che migliorino le loro condizioni
di vita. Il processo di integrazione non è così facile. Questi sistemi
assistenziali/previdenziali sostituiscono attività prima eseguite dalla Chiesa cattolica, che
si oppone alla laicizzazione dello Stato. Le tensioni aumentano anche vista la contrarietà
di papa Pio IX alla formazione dello Stato italiano e alla sottrazione di territori alla Chiesa.
Il discorso cambia poco col suo successore Leone XIII che in un’enciclica (1891)
condanna il socialismo, ma invita comunque gli imprenditori a migliorare i trattamenti nei
confronti degli operai, che non sono semplice merce. Da questa enciclica si sviluppa una
corrente ideologia detta democrazia cristiana, teorizzata da Giuseppe Toniolo e basata
sull’idea di collaborazione tra lavoratori e datori come presupposto per uno sviluppo
economico. In parallelo a questa corrente si sviluppa il modernismo, che auspica un
rinnovamento del corpo dottrinale. Questo movimento si scontra con la Chiesa (papa Pio
X scomunica tutti i modernisti nel 1907).
Le numerose riforme messe a punto dagli stati europei completano un ciclo, iniziato coi
monarchi assoluti nel sec. XVIII, nel quale si cerca di dare una netta divisione tra la sfera
religiosa e quella statale, col trasferimento allo Stato di molte funzioni che prima
spettavano alla Chiesa.
Negli USA, dopo la guerra di Secessione, i partiti erano due: quello democratico, con
politiche antiprotezioniste, favorevole alle autonomie dei singoli Stati e radicato soprattutto
tra agricoltori e contadini del Sud-Ovest; e quello repubblicano, con politiche
protezioniste e che sostengono gli imprenditori, particolarmente apprezzato a Nord-Est. La
lotta politica è animata da campagne elettorali, ma anche da corruzione e clientelismo, con
molti parlamentari che vengono “comprati” per far passare certe leggi.
Negli anni ’80, nelle campagne dell’Ovest l’abbassamento dei prezzi del grano per la
troppa offerta mette in crisi i proprietari terrieri e agricoltori, che formano diverse Farmers’
Alliance le cui richieste, però, vengono ignorate dai due principali partiti. Queste
associazioni si uniscono nel 1892 nel People’s Party (Partito populista), che alle elezioni
prende l’8%, e che nel suo programma politico richiede la nazionalizzazione delle ferrovie
e dei telegrafi e la creazione di nuovi magazzini di stoccaggio federali che permettano ai
farmers di avere tariffe più convenienti. Nel 1896 si alleano col Partito democratico ma il
loro candidato viene sconfitto alle elezioni, e così il People’s Party si scioglie, anche se
rimane fortemente radicato il loro attacco morale ad un sistema politico corrotto.
Il Partito populista aveva attaccato le città come luoghi di degrado e corruzione, e il Partito
Repubblicano (che nelle città aveva il suo nucleo di elettori) decide di mettere in atto delle
riforme. A dare iniziò a questa età progressista è Theodor Roosevelt, presidente
repubblicano dal 1901 al 1909. Egli introduce delle leggi per monitorare i “trust” delle
grandi aziende (le cordate), oltre ad approvare leggi che aumentano i controlli sulla qualità
dei prodotti delle aziende (carne, farmaci, medicinali). Nei vari Stati vengono introdotte
assicurazioni per i lavoratori, oltre che leggi che controllino la lunghezza dei turni di donne
e bambini. Con l’Hepburn Act (1906) impone ai ferrovieri tariffe di trasporto e stoccaggio
più basse (come richiesto dai farmers) e, con la sua azione contro i “trust”, limita la pratica
della corruzione. Inoltre, vieta ai vari partiti di consegnare schede precompilate agli
elettori, tagliando fuori una parte di analfabeti dal corpo elettorale.
Dopo due mandati, Roosevelt lascia spazio al suo collega di partito William H. Taft, eletto
presidente. Nel 1912 Roosevelt, che si trova in disaccordo con le scelte di Taft, fonda il
Partito progressista: la frattura è netta e avvantaggia i democratici, che nel 1916
riescono a far eleggere Thomas Woodrow Wilson. Egli crea subito la Federal Reserve,
una banca centrale col compito di tenere sott’occhio le banche private. Introduce una
tassa sul reddito e la possibilità di eleggere direttamente i Senatori. Istituisce la Federal
Trade Commission (1914) per assicurare la libera concorrenza di mercato, oltre a leggi
che regolarizzano i sindacati e fissano il limite massimo dell’orario di lavoro per bambini e
operai. I mutamenti dell’età progressista sono molti, ma non viene reciso del tutto il
legame tra grandi industrie e politica.
Molte delle riforme volte a moralizzare la politica (es. il divieto di schede precompilate)
tagliano fuori la parte meno colta della popolazione. Per bilanciare ciò, il governo da il via
a delle iniziative a stampo nazionalistico: innanzitutto, la guerra coloniale con la Spagna
che porta alla conquista di Cuba (1898) e gli USA vengono esaltati come “potenza
liberatrice e civilizzatrice”. Inizia ad essere festeggiato il Flag Day (ogni 14/6, con tanto di
discorso annuale del presidente) e il Columbus Day (12 ottobre). Questo nazionalismo,
però, lascia fuori chiunque non sia di pelle bianca. Nel 1915 inizia ad essere proiettato un
film muto di David Griffith intitolato “Nascita di una nazione” che esalta il ruolo del Ku Klux
Klan nella fondazione degli USA, ottenendo consensi ovunque.
Nel Regno Unito i partiti principali, nella seconda metà dell’Ottocento, sono quello
conservatore (guidato da Benjamin Disraeli) e quello liberale (guidato da William
Gladstone). Entrambi favoriscono l’estensione del corpo elettorale, portandolo dal 4%
all’8% e infine al 16%. Vengono inoltre varate, dai governi liberali, delle leggi
anticorruzione nel periodo 1853-1883. Viene confermato l’obbligo di un concorso per
ricoprire le cariche pubbliche e vengono poste delle limitazioni alle spese elettorali, che
rendono più importante il ruolo delle organizzazioni di partito, che devono avvicinare più
elettori possibile. Due sono le questioni che tengono banco nel Regno Unito a fine
Ottocento:
La prima, il rapporto con le classi operaie e col movimento sindacale. Nel 1871 viene
approvata una legge che regolarizza i sindacati ma vieta il picchettaggio (cioè che
manifestanti stiano davanti alla fabbrica impedendo a chi vuole di lavorare). Nel 1875
viene legalizzato il picchettaggio pacifico. Il Partito liberale entra in stabile collaborazione
coi sindacati grazie all’Employers’ Liability Act (1880) che scarica la responsabilità di ogni
infortunio involontario all’imprenditore.
La seconda questione, più spinosa, è quella irlandese. Qui l’unione con la Gran Bretagna
è vissuta quasi come una sottomissione, visione a cui contribuisce anche l’aspetto
religioso: gli irlandesi sono cattolici, gli inglesi protestanti. Quest’ultimi hanno anche
imposto la lingua inglese a favore del gaelico. Varie sono le associazioni nate per
conservare le tradizioni e il folklore, in particolare l’Irish National Land League (1879) e un
partito politico nazionalista guidato da Charles Parnell che nel 1880 riesce a eleggere 60
deputati alla camera dei Comuni. A fianco a queste associazioni ve ne sono anche di
segrete, che organizzano atti terroristici, come l’uccisione del Primo Ministro per l’Irlanda
(8/5/1882). La politica del governo liberale di Gladston è indecisa su come agire, e questo
porta ad una perdita di seggi nelle elezioni del 1885. Con una mossa a sorpresa,
Gladstone annuncia l’Home Rule (1886), ovvero una larga autonomia concessa all’Irlanda,
che fa si che i nazionalisti irlandesi si alleino con lui nella formazione di un nuovo governo.
D’altro lato, però, 93 liberali guidati da Joseph Chamberlain si staccano dal partito,
permettendo l’ascesa di un governo conservatore. Alle elezioni del 1892 Gladstone riesce
a diventare primo ministro (a fatica, e solo grazie ai nazionalisti irlandesi) e l’Home Rule
viene approvata dalla Camera dei Comuni ma rifiutata a gran voce dalla Camera dei Lord.
Il Partito liberale è in crisi (non governerà più dal 1896 al 1906), mentre quello
conservatore ottiene sempre più consensi opponendosi all’autonomia dell’Irlanda e
iniziando una politica coloniale in Asia e Africa. Inizia una campagna di rafforzamento
della flotta e dell’esercito, e iniziano ad essere instillati sempre più sentimenti patriotici. La
monarchia (in questo caso, la regina Vittoria) aveva perso sempre più potere dal punto di
vista pratico, ma guadagna in autorità simbolica e prestigio. A Vittoria viene assegnato il
titolo di imperatrice dell’India e vengono effettuate maestose cerimonie per celebrare i suoi
50 e 60 anni di regno. La solidità del Regno Unito dalla fusione di questi sentimenti
nazionalisti/conservatori, l’amore per il monarca e il rispetto delle istituzioni parlamentari,
viste come un qualcosa di sacro e inviolabile.
Lo scenario politico cambia ancora quando i liberali stringono un accordo col Partito
Laburista (1903) che li porta a vincere le elezioni del 1906. Inizia una stagione di riforme:
viene imposto il limite massimo di 8 ore per il turno in miniera, imposti i limiti salariali,
creati uffici di ricollocamento per i disoccupati e creato un sistema pubblico di previdenza
sociale. Per far fronte a queste riforme il ministro delle Finanze, David Lloyd George, vara
una riforma finanziaria che inasprisce i prelievi fiscali a chi ha redditi e possedimenti
elevati. La Camera dei Lord, composta quasi totalmente di ricci proprietari terrieri, pone il
veto. Nel 1910 viene avanzato il Parliament Act, col tentativo di sminuire l’importanza della
camera dei Lord. I Lord sono inizialmente contrari, ma il Primo Ministro Herbert Asquith
minaccia di sostituirli con l’accordo di re Giorgio V, ed essi cedono. Ora i Lord non
possono più porre il veto su leggi finanziarie e possono porre il veto su una legge al
massimo due volte (quindi se la si propone una terza volta essa passa di default).
Nel frattempo, si fa forte il movimento suffragista. Di fronte alla sua crescita
esponenziale e ai cortei/manifestazioni lungo le strade, il capo del Governo Asquith si dice
disposto ad intavolare un dialogo (1910). La proposta di legge perde alla Camera dei
Comuni per pochi voti (1912) e le suffragette si fanno più aggressive, con lanci di pietre e
scontri coi poliziotti, e molte vengono arrestate. Se è vero che la questione ha forte
risonanza mediatica, i Parlamentari sembrano inamovibili sulle loro decisioni.
Dopo l’approvazione del Parliament Act, la questione irlandese sembra dirigersi
finalmente verso una conclusione. L’Home Rule viene proposta per la terza volta e passa
(1912). Nell’Ulster, regione Nord-Occidentale d’Irlanda a maggioranza protestante,
iniziano le proteste dei parlamentari locali per la contrarietà a questa legge, e l’armata
volontaria dell’Ulster raccoglie 100.000 uomini. Nell’Irlanda cattolica, invece, i nazionalisti
desidererebbero ancora più autonomia. La situazione è tesissima, ma Asquith decide di
dare la possibilità all’Ulster di dissociarsi dall’Home Rule con un plebiscito (1914). Nel
frattempo, è scoppiata la guerra, e la legge viene messa in stand-by fino fine ostilità.
La Francia è dal 1875 una Repubblica presidenziale la cui vita politica è dominata da due
raggruppamenti: quello repubblicano e quello radicale. Non si può parlare di veri e propri
partiti, in quanto si è ancora molto legati alle figure di singoli politici di grande fama, che
dispongono di seguaci personali e dell’appoggio della stampa. Inoltre, si ricorre ancora
molto spesso a corruzione e clientelismo, e a intrecci politici con grandi aziende e banche
private. Ci sono però diverse spaccature: a destra ci sono gruppi di filomonarchici,
neobonapartisti e cattolici intransigenti, mentre a sinistra gruppi socialisti.
La Terza Repubblica rischia di cadere due volte di fronte a dei colpi di Stato. La prima
volta con Edmè Patrice Maurice MacMahon che nel 1877 scioglie la Camera e indice
nuove elezioni. A queste, però, trionfano i repubblicani e dunque MacMahon si arrende. Il
secondo tentativo si deve a Georges Boulangers, Ministro della Guerra che dal 1886
aveva iniziato una campagna di riorganizzazione e rafforzamento dell’esercito in ottica
antitedesca (una sorta di rivincita per la guerra franco-prussiana). Viene allontanato dal
governo per aver espresso simpatie verso la destra e si candida alle elezioni del 1888/89.
Il suo piano, però, era di attuare un colpo di Stato ma, una volta scoperto, viene
processato e fugge in Belgio, dove si suicida.
Questo periodo di fragilità politica è però anche un periodo di riforme. Viene riformato il
sistema educativo (1880-85), introducendo le scuole elementari obbligatorie e gratuite e
rendendo l’educazione una prerogativa dello Stato (gli istituti privati non possono più
rilasciare titoli riconosciuti). Ovviamente, a scuola si insegna l’amore per la patria francese.
Anche l’esercito basato sulla coscrizione obbligatoria e il sistema elettorale basato sul
suffragio universale maschile fanno sì che molti contadini o abitanti delle zone rurali
partecipino attivamente alla vita politica, e imparino come essere francesi.
Nel primo Novecento, inoltre, avviene la completa laicizzazione dello Stato. Le elezioni del
1902 vedono la vittoria del “blocco delle sinistre” e la presidenza dello Stato è affidata al
radicale Emile Combes. Vengono chiuse oltre 3000 scuole cattoliche e nel 1905 viene
approvata una legge che decreta la definitiva separazione tra Stato e Chiesa, incrinando
notevolmente i rapporti della Francia con la Santa Sede.
Dal punto di vista della legislazione sociale, a tenere banco è la questione operaia, e si
procede con un alternarsi di politiche repressive e misure assistenziali. Molto spesso il
governo interviene in modo violento, reprimendo le azioni sindacali; ma dall’altro lato
vengono introdotte norme per l’assicurazione volontaria per gli infortuni sul lavoro (1898),
un nuovo sistema pensionistico (1910), il limite massimo di dieci ore per turno di lavoro
(abbassato poi a otto) e l’obbligo di concedere un giorno di riposo settimanale. Tutto ciò
non basta ad accontentare tutti, e un gruppo di socialisti insoddisfatti fonda nel 1905 la
SFIO (Sezione Francese dell’Internazionale Operaia), di stampo marxista. Accanto ad
essa è attiva dal 1895 la CTG (Confederazione Generale del Lavoro, unione di sindacati).
Le proteste e gli scioperi organizzati da queste due associazioni vengono repressi e
portano a diversi arresti, creando un quadro politico frammentato: le sinistre socialiste
sono ormai solo all’opposizione, mentre domina la destra conservatrice.
Nel nuovo Stato tedesco a dominare sono l’imperatore e il suo esecutivo, ma è presente
anche un Parlamento Imperiale. Il cancelliere Otto von Bismarck è favorevole alla
democratizzazione del diritto di voto, ma vuole anche limitare il potere dei Junker (nobili
prussiani). Egli crede che il potere della nobiltà debba essere conservato, ma in maniera
diversa, adattandolo ai tempi che corrono. Bismarck presenta dunque un piano che
prevede l’abolizione delle giurisdizioni feudali: al signore feudale sarebbero sottratte
diverse prerogative (i funzionari di polizia diventerebbero a nomina governativa, sindaci e
amministrazioni locali sarebbero elettivi..). Dopo essere stata respinta una prima volta, la
legge passa nel 1872. Uno dei principali partiti fuori dalla maggioranza bismarckiana è il
Zentrum, un partito cattolico nato nel 1870 con lo scopo di tutelare la libertà della Chiesa,
la libertà di culto e difendere le autonomie locali contro la centralizzazione dell’Impero.
Visti i suoi buoni risultati (63 seggi nel 1871), Bismarck decide di attaccare la Chiesa: tenta
una laicizzazione delle istituzioni introducendo delle leggi (1873-75) e i vescovi che si
rifiutano di applicarle vengono imprigionati; e tenta di limitare il potere politico del Zentrum,
fallendo. Nel frattempo, nasce nel 1875 il Partito socialista dei lavoratori di Germania che,
agli occhi del Cancelliere, è una minaccia ben più grande del Zentrum. Per questo, nel
1878 viene approvato un pacchetto di leggi antisocialiste (proibizione di assemblee e
manifestazioni, censura sui giornali) e accanto ad esse vengono approvate una serie di
leggi sociali (1883-89, assicurazioni per infortuni e malattie sul lavoro e piano
pensionistico).
Nel 1888 diventa imperatore Guglielmo II, che decide di concentrarsi sulla politica estera
( a suo dire trascurata) e spinge Bismarck a dare le dimissioni. Dal 1890 il “Neuer Kurs”
abolisce le leggi antisocialiste e potenzia il sistema di leggi sociali. Il Partito
socialdemocratico guadagna sempre più consensi ma senza avere mai una vera e propria
influenza politica (infatti dominano ancora liberali e conservatori). Iniziano ad esserci delle
iniziative di stampo nazional-patriottico: fastose celebrazioni pubbliche, monumenti
nazionali.
L’Impero austro-ungarico inizia una coraggiosa politica di laicizzazione dello Stato,
revocando il concordato firmato con la Chiesa (1870). Uno dei problemi principali che si
trova ad affrontare è l’insoddisfazione, in Boemia e Moravia, di gruppi di nazionalisti cechi.
Uno dei punti più salienti è la questione della lingua: nelle scuole e negli uffici pubblici si
usa il tedesco, ma i cechi chiedono venga utilizzato il ceco. Vi sono poi gruppi più radicali
che domandano a gran voce maggiore autonomia rispetto alla Costituzione del 1867.
L’imperatore da l’incarico di Primo Ministro ad un conservatore, Eduard von Taaffe, in
carica dal 1879 al 1893. Egli introduce delle leggi sociali (diminuzione orario di lavoro,
assicurazioni) per placare la situazione, dato che la Boemia-Moravia è una delle zone più
industrializzate dell’Impero. Inoltre, consente l’utilizzo del ceco in alcuni uffici pubblici.
Queste sue azioni, però, non placano il malcontento. Questa crisi porta alla nascita di tre
formazioni politiche: nel 1885 il Movimento pangermanico (nazionalista radicale,
violentemente antisemita, favorevole a dissoluzione della monarchia); nel 1889 il Partito
socialdemocratico unificato (di ispirazione marxista ma che considera la rivoluzione una
possibilità lontana, e che vorrebbe uno stato federale al posto dell’Impero) e nel 1893 il
Partito cristiano sociale (con una visione paternalistica e conservatrice della società,
contrario a politica di laicizzazione).
La situazione è sempre più tesa: anche l’etnia slovena inizia a chiedere il riconoscimento
della propria lingua, mentre in Boemia, quando il governo propone delle leggi per
riconoscere la parità della lingua ceca e tedesca, incontra le proteste dei nazionalisti
tedesco-boemi. Il governo è costretto a proclamare lo stato d’assedio (1908) e ad
annullare queste leggi. Ogni decreto d’emergenza che viene proposto risulta però troppo
debole, e la situazione non migliora.
Anche nella parte ungherese dell’Impero la situazione non è semplice. Il governo si è
sempre opposto alle richieste di autonomia di tutte le minoranze etniche (croati, serbi,
rumeni, slovacchi). L’opposizione è facilitata dal fatto che il Parlamento, a causa di una
legge elettorale censitaria, è composto quasi totalmente da uomini di etnia ungherese (i
più ricchi). A causa di questa politica di chiusura, si formano dei movimenti nazionalisti,
come quello croato (del quale una parte vorrebbe una zona federata autonoma ma interna
all’Impero, e un’altra la formazione di una Grande Croazia indipendente). Il movimento
nazionalista croato si scontra con quello serbo, differente sia per lingua che per religione,
ma che può contare sull’appoggio esterno del Regno di Serbia, indipendente dal 1878.
In Russia, dopo l’attentato ad Alessandro II sale al potere Alessandro III che attua una
politica repressiva verso i non russi, in particolare gli ebrei. Sia Alessandro III che il
successore Nicola II attuano un programma di potenziamento delle infrastrutture (strade,
ferrovie) e di sostengo alle imprese, anche grazie al Ministro delle Finanze e
successivamente Primo Ministro Sergej Witte. Egli sfrutta la pressione fiscale elevata sui
grandi proprietari terrieri per garantire incentivi alle imprese e armi all’esercito, concentrato
in politica estera su 3 direttrici: l’Europa Balcanica, l’estremo oriente e l’area centro-
asiatica della Persia e dell’Afghanistan. L’inattesa sconfitta dell’esercito russo contro il
Giappone (1904) porta ad una protesta anti-zarista, scoppiata nel 1905 e repressa nel
sangue. Questa repressione non ferma gli scioperi, che continuano grazie alla nascita di
organismi di rappresentanza degli operai (soviet). Lo zar decide di convocare un
Parlamento elettivo (Duma), ma alle elezioni vincono i costituzionali democratici, e lo zar,
non felice, scioglie la Duma. La riconvoca una seconda volta ma le elezioni danno lo
stesso esito e viene nuovamente sciolta. Al terzo tentativo (1907), grazie anche a
modifiche sulla legge elettorale che favoriscono i più ricchi, a imporsi sono i conservatori.
Fin da subito vengono attuate delle riforme: vengono aboliti i mir (assemblee dei
capifamiglia del villaggio) e vengono dati incentivi alle famiglie che vogliono acquistare
terra, con l’obbiettivo di creare uno strato di medi proprietari terrieri. Sembra funzionare,
fino a quando il capo del governo Stolypin non viene ucciso in un attentato (1911). La
situazione non è delle migliori: molte famiglie non sono riuscite a sfruttare gli incentivi, e il
malcontento è sempre più diffuso sia nelle campagne che tra gli operai, nei distretti
industriali.
23. La politica in Italia da Depretis a Giolitti
In Italia il mondo cattolico intransigente, dopo la laicizzazione dello Stato, si era unito in
un’associazione politica nazionale, l’Opera dei Congressi (1874). Questa associazione,
per scelta, non partecipava alle elezioni politiche (per disconoscere il regno d’Italia), ma
partecipava a quelle amministrative (comunali e locali), ottenendo buoni risultati. Negli
anni ’70 dell’Ottocento succede che un gruppo di uomini all’opposizione, la Sinistra, punti
a sostituire la Destra italiana: personalità del calibro di Agostino Depretis, Francesco
Crispi, Benedetto Cairoli, Giovanni Nicotera. Tutti in gioventù sono stati repubblicani,
ma hanno messo da parte le loro convinzioni in favore dell’indipendenza. Essi, molto più
che l’aristocratica Destra, sostengono l’importanza del “fare gli italiani”. Già nel 1874 la
Sinistra aveva ottenuto discreti risultati elettorali nel sud Italia (che accusava il governo di
una “piemontizzazione” dello Stato). Nel 1876 una crisi interna al governo di Destra
permette alla Sinistra di salire al potere. La Destra voleva nazionalizzare le ferrovie,
mentre la Sinistra era contraria. Un gruppo della Destra toscana, che possedeva industrie
ferroviarie, si schiera al fianco della Sinistra, creando una scissione che porta Depretis alla
presidenza del Consiglio.
La prima riforma porta il nome del ministro dell’Istruzione Michele Coppino, che nel 1877
fissa l’obbligo di frequenza scolastica fino ai nove anni. Questa legge è un preambolo alla
successiva riforma elettorale del 1882: viene abbassata l’età di voto (da 25 a 21 anni), il
reddito necessario (da 40 a 19 lire di tasse annue) e viene introdotto il criterio
dell’alfabetizzazione. La legge amplia il corpo elettorale dal 2% all’8%. Un tale
ampliamento del corpo elettorale, però, può accrescere i consensi di gruppi più estremi
(radicali, socialisti). Per questo Depretis propone la creazione di un “grande partito di
Centro”, senza opposizioni, che unisca Destra e Sinistra. Molti rappresentanti della Destra
e della Sinistra stringono accordi elettorali e presentano liste comuni. Gli oppositori
attaccano questo trasformismo, accusando chi abbandona i propri ideali pur di salire al
governo. La Sinistra al governo, intanto, introduce una prima tariffa protezionistica (1878)
per difendere le industrie tessili e metallurgiche; crea un’acciaieria a Terni (1884), primo
passo verso una siderurgia nazionale; e introduce una seconda tariffa protezionistica
(1887) per tutelare i contadini dalla “crisi agraria”.
Nel 1887 Depretis muore e gli succede un politico molto ambizioso, Francesco Crispi.
Uno dei suoi primi obbiettivi è quello di nazionalizzare le masse, esaltando ad esempio il
Risorgimento e le sue figure principali (Mazzini, Garibaldi); riformando i programmi di
studio per le scuole elementari (con lo studio della lingua italiana, della storia e della
geografia per “amare la patria”); ergendo nuovi monumenti pubblici agli eroi nazionali.
Crispi è anche autore di una serie di riforme pubbliche: rende elettiva la carica di
sindaco, abolisce la pena di morte, legittima gli scioperi e conferisce grande potere alla
polizia contro individui politicamente pericolosi. Uno degli aspetti significativi del governo
Crispi è la repressione dei conflitti sociali. In particolare, ciò che è avvenuto in Sicilia
con i Fasci, associazioni di idee democratiche e socialiste che uniscono i lavoratori. Nel
1893 essi si uniscono in congresso e chiedono l’abolizione dei patti agrari, scatenando
una serie di manifestazioni in tutta l’isola. Crispi dichiara lo stato d’assedio (1894) e
procede con 2000 arresti e pene pesantissime. Nel frattempo, un gruppo di anarchici in
Lunigiana insorge contro le repressioni di Crispi, che dichiara nuovamente lo stato
d’assedio. Crispi presenta anche tre “leggi anti anarchiche” in Parlamento, con l’obbiettivo
di disfarsi anche del Partito socialista dei lavoratori italiani, ma senza riuscirci. Crispi tenta
anche una politica colonialista, per mettere l’Italia sul livello delle grandi potenze
europee. Nel 1882 viene conquistata la baia di Assab, nel 1885 il porto di Massaua, e da
qui si punta verso l’Etiopia, dove però l’esercito Italiano incontra notevoli difficoltà. Nel
1890 l’area coloniale italiana viene riorganizzata col nome di Colonia Eritrea, e vengono
acquistati territori in Somalia dall’Inghilterra. L’Italia continua a combattere in Etiopia, ma
viene sconfitta definitivamente ad Adua: Crispi da le dimissioni, e viene siglato un accordo
di pace (26/10/1896) che riconosce l’indipendenza etiope.
Dopo la caduta del governo Crispi, nelle più grandi città italiane scoppiano insurrezioni a
causa dell’aumento del prezzo del pane. Antonio di Rudini, presidente del Consiglio,
decide di usare la violenza come Crispi e di dichiarare lo stato d’assedio. A Milano, il tutto
ha esiti tragici: l’8-9/5/1898 vengono sparati colpi d’artiglieria sulla folla, provocando 80
morti. In Parlamento, il “trasformismo” cade, e si creano due fazioni distinte e in scontro:
da un lato i conservatori, come di Rudini o Luigi Pelloux, che vogliono tornare a mettere il
re al centro del sistema politico, in una svolta antiparlamentare; dall’altro i liberali, come
Giuseppe Zanardelli e Giovanni Giolitti. Lo scontro parlamentare è accesissimo, fino a
quando un evento sconvolge tutto: il 29/7/1900 Gaetano Bresci, un anarchico, uccide re
Umberto I. A lui succede Vittorio Emanuele III, e tutti credono che per mettere fine alla crisi
egli possa nominare un governo conservatore (visto che ha la maggioranza in
Parlamento), ma invece affida l’incarico di Primo Ministro a Zanardelli che sceglie come
ministro dell’Interno Giolitti.
È proprio Giolitti a dare il tono al nuovo governo, sostenendo che esso debba fare da
arbitro nelle lotte sociali, intervenendo senza violenza. Giolitti si impone come una delle
più importanti personalità progressiste e, dopo la morte di Zanardelli (1903), ricopre per tre
mandati la carica di Presidente del Consiglio. Si impegna perché cessi la repressione
violenta e sistematica degli scioperi, e in questo modo i conflitti di lavoro aumentano
significativamente. L’area più calda è il Nord, in particolare la Valle Padana: qui le aziende
agrarie, favorite dai dazi protezionistici del 1887, hanno introdotto innovazioni tecnologiche
(macchine, fertilizzanti artificiali) che hanno ridotto la richiesta di manodopera. I braccianti
rimangono disoccupati o trovano lavori instabili e mal retribuiti, e non stupisce dunque che
da essi parta un’ondata di scioperi agrari senza eguali in Europa. Anche nel settore
industriali, seppur in modo meno eclatante, gli scioperi aumentano, soprattutto nella zona
Genova/Torino/Milano. A seguito di questi scioperi, i salari aumentano, e sia Zanardelli
che Giolitti non stanno certo a guardare: nel 1902 viene istituito l’Ufficio del Lavoro per
facilitare i rapporti di lavoro, viene limitato l’utilizzo delle donne in fabbrica e perfezionate le
leggi sul lavoro dei bambini, e vengono introdotte assicurazioni obbligatorie per gli
infortuni sul lavoro. Nel 1905 vengono nazionalizzate le ferrovie. Uno dei problemi
principali è però la questione meridionale, il divario economico e di sviluppo tra Sud e
Nord Italia. Al Sud, infatti, esistono distretti industriali come al Nord (es. Napoli), ma il loro
progresso è bloccato sia da questioni ambientali (carenza di strade, vie di comunicazione,
acquedotti) che da questioni “umane” (bande criminali, carenza di capacità tecniche).
Giolitti viene accusato di non curarsi del problema del Sud Italia e in particolare di non
affrontare il problema delle bande criminali, tanto che Gaetano Salvemini lo definisce il
“ministro della malavita”. In realtà, grazie a delle legislazioni speciali, egli tenta di aiutare il
sud Italia: nel 1902 inizia la costruzione dell’acquedotto pugliese; nel 1904 vengono
approvati dei Provvedimenti speciali per Napoli, che prevedono sgravi su acquisto di
macchinari e materie prime, poi ampliati a tutto il sud Italia nel 1906; sempre nel 1906
vengono riformati i contratti agrari. Ovviamente il divario non viene colmato, ma questi
provvedimenti danno una spinta importante all’economia, tanto che dal 1899 al 1914 il
prodotto interno lordo è in continua crescita.
Dal punto di vista politico, Giolitti vuole includere la Sinistra (radicali e socialisti moderati)
all’interno del quadro liberale. Si tentano delle manovre personalistiche, approcciando i
singoli deputati, ma molti rifiutano. Durante i governi Giolitti-Zanardelli il Partito Socialista
rimane su una linea “riformista” caldeggiata da Filippo Turati, che vede il supporto al
governo come necessario in vista di una “futura conquista”. Al congresso del 1904 prevale
però una linea intransigente, più deciso e ambizioso, e viene organizzato anche uno
sciopero nazionale (16-21/9/1904). Gli effetti non sono quelli sperati, e i riformisti prendono
il controllo del partito e lo mantengono fino al 1911.
Gli anni 1911-1913 sono fondamentali per Giolitti. Nel 1911 si festeggia il 50esimo
anniversario dell’Unità, e il Capo del governo intraprende una politica di manifestazioni e
cerimonie pubbliche fastose, che culminano con l’inaugurazione di un monumento
nazionale a Vittorio Emanuele II in piazza a Roma. Nel 1911, approfittando di una crisi
dell’Impero Ottomano, decide di attaccare la Libia, sostenuto da molti altri politici (che
volevano dimostrare la “grandezza militare” dell’Italia) e anche imprenditori (che
speravano di ampliare i loro commerci). In modo sbrigativo, Giolitti invia un ultimatum alla
Libia e a ottobre 1911 inizia la guerra. L’Impero Ottomano, in crisi a causa dello scoppio
della prima guerra Balcanica, firma un trattato di pace (18/10/1892) con il quale riconosce
la sovranità dell’Italia in Libia (anche se il suo totale assoggettamento richiederà tempo).
Nel 1912 viene approvata una nuova legge elettorale per integrare il Quarto stato
all’interno della vita politica, col rischio di aumentare i voti dei socialisti. Nel frattempo, al
Congresso nazionale del Partito Socialista (7-10/7/1912) alcuni esponenti, che
sostenevano una svolta “laburista”, vengono espulsi e fondano il Partito socialista
riformista italiano. Gli altri, la maggioranza, seguono una linea intransigente, radicale e
rivoluzionaria. Nel 1904 l’Opera del Congresso viene sciolta, e il cattolicesimo politico si
riorganizza nell’Unione elettorale cattolica. Papa Pio X, in funzione antisocialista, è
favorevole ad una loro partecipazione alle elezioni. Alla vigilia delle elezioni del 1913
Vittorio Ottorino Gentiloni invita i suoi elettori a votare UC solo quando si è sicuri che essa
vinca, altrimenti di dare il voto ai liberali. Quest’ultimi ottengono il 60% dei seggi (contro il
10% dei socialisti). La situazione non è però delle migliori, molti dei parlamentari che
hanno sottoscritto il Patto Gentiloni non sono veri liberali e Giolitti, che non vuole
dipendere da loro, decide di dimettersi da Capo del Governo. Egli crede che questa possa
essere una soluzione temporanea e che il nuovo governo, presieduto da Antonio
Salandra, naufraghi in fretta e sia costretto a richiamare Giolitti. In realtà, non sarà così.
24. L’Occidente alla conquista del mondo
L’Europa conquista politicamente e militarmente quasi tutto il mondo: entro il 1914, infatti,
tutta l’Oceania, tutta l’Africa (tranne l’Etiopia) e tutta l’Asia (tranne Penisola Arabica, Cina,
Afghanistan, Tibet e Nepal) sono controllati da potenze europee. Per descrivere questo
dominio si inizia ad usare il termine imperialismo. Ovviamente, l’espansione è favorita dal
grande divario tecnologico che si è creato tra l’Occidente e il resto del mondo dopo le
rivoluzioni industriali. I motivi dell’espansione possono essere vari: l’offerta di materie
prime delle colonie, la possibilità di esportarvi i prodotti della madrepatria, la possibilità per
gli imprenditori di investirvi capitali o degli specifici vantaggi ambientali.
L’economista inglese John A. Hobson, nel 1902, sostiene che la sovraccumulazione di
capitali spinga le potenze europee a cercare nuovi territori in cui investire. L’aspetto
economico è ovviamente fondamentale. In questo periodo vi sono anche dei domini
economici indiretti, come avviene nei paesi del centro America, che dopo aver conosciuto
un grandissimo sviluppo economico, ha instaurato rapporti speciali con la Gran Bretagna.
A fine secolo subentrano anche i capitali delle aziende statunitensi. Quello del centro
America, però, è un caso isolato: nel resto del mondo il dominio si ottiene attraverso la
conquista militare. L’Egitto, ad esempio, è formalmente ancora sotto l’Impero Ottomano
ma di fatto del tutto indipendente. Tra il 1859 e il 1869 vengono effettuati dei lavori per
tagliare l’istmo di Suez, in modo da mettere in contatto diretto Mediterraneo e Mar Rosso.
Per riuscire a compiere questi lavori, il governo egiziano si fa finanziare da banche
europee, ma a inizio anni ’70 si dichiara incapace di pagare il debito. Viene creato, nel
1875, un organismo di gestione del debito pubblico egiziano, affidato a delegati francesi e
inglesi. Ciò suscita malcontento tra la popolazione, oltre che un tentativo di colpo di Stato
(1881). Il governo inglese interviene reprimendo violentemente le insurrezioni e ponendo
l’Egitto sotto il protettorato britannico (1882). In questo modo il governo britannico controlla
il canale di Suez, collegamento fondamentale con l’India. Negli anni successivi, gli inglesi
risanano il debito pubblico, applicando sull’Egitto una dominazione diretta.
Oltre che al fattore economico, l’espansione coloniale può avvenire per motivi strategici
o per ragioni di politica interna (dimostrare la forza di un governo, o le capacità belliche di
una nazione). Spesso, il senso di razzismo e di superiorità nei confronti dei coloni portano
ad azioni violente. Oppressioni fiscali e normative sono la norma in queste colonie, come
accade nel Congo belga. Tra il 1884/85 era stato riconosciuto a Leopoldo il controllo su
un’area che era stata rinominata Stato Libero del Congo. Egli, dopo aver finanziato le
spedizioni militari per conquistarlo, deve ora trarre profitto da quest’area. Inizia la raccolta
dell’avorio e del caucciù. Gli abitanti locali, che non possono pagare le tasse, sono
costretti a lavorare gratuitamente per lo Stato, pena punizioni quali le frustate,
l’imprigionamento o la mutilazione. Queste forme di controllo creano accese polemiche in
Belgio e in Regno Unito, costringendo Leopoldo a cedere il Congo (che era un suo
possedimento) allo Stato.
Avviene in altri luoghi che popolazioni locali si ribellino e vengano massacrate. È il caso
dell’Algeria, dove i francesi reprimo in maniera molto violenta almeno due insurrezioni
locali (1832-47 e 1870-71). Viene poi introdotto anche le code de l’indigenant, che punisce
gli abitanti locali per una serie di reati di insurrezione. Gli effetti di questa aggressività sono
pessimi: in Nord America, gli indigeni passano da 5.000.000 a poco più di 200.000, mentre
in Algeria gli abitanti passano da 3.000.000 nel 1830 a 2.300.000 nel 1870.

Molto spesso, però, ai confini tra le colonie si sviluppano degli scontri tra le potenze. E’ il
caso, ad esempio, della tensione tra Russia e Regno Unito per l’Afghanistan. Nel 1878 gli
inglesi vi inviano un corpo di spedizione di 400.000 uomini ma, presi alla sprovvista dalle
continue ribellioni e dagli eserciti tribali, sono costretti a ritirarsi (1881). Nel 1885 la Russia
si spinge verso sud inglobando alcuni territori afghani: la diplomazia britannica riconosce
queste conquiste ma blocca l’espansione sul nascere. Un accordo definitivo si raggiunge
nel 1907, con l’Afghanistan considerato una sorta di “stato cuscinetto”.
Un’altra crisi scoppia nel 1898 in Sudan tra Francia e Regno Unito. I britannici, guidati da
Horatio Kitchener, dopo aver riconquistato una parte del Sudan si erano spinti a Sud,
verso le foci del Nilo. I francesi, intanto, si erano mossi dal Congo francese e avevano
creato un forte a Fashoda per evitare che i britannici si spingessero oltre. Quando
l’esercito inglese arrivò a Fashoda, si fu sul punto di una crisi diplomatica: per evitare la
guerra contro una potenza bellica superiore, i francesi fecero ritirare l’esercito.
I britannici nel frattempo hanno occupato il territorio della Rhodesia, a nord dei due stati di
Transvaal e Orange, controllati dai boeri (cittadini di origine olandese, fuggiti dalla Colonia
del Capo una volta che è diventata britannica). In Transvaal vengono scoperti dei
giacimenti d’oro che i commercianti inglesi provano a sfruttare, ma il governo locale
impone loro pesanti tasse. Nel 1895 una spedizione militare britannica prova a inglobare i
due stati boeri, fallendo. La tensione non si placa, e nel 1899 vengono emessi due
ultimatum, uno per parte: è guerra. La guerra si protrae più a lungo di quanto speravano
gli inglesi (1899-1902), e i boeri combattono sfruttando per lo più azioni di guerriglia. Il
Regno Unito inizia a ordinare repressioni di grande brutalità: esecuzioni sul campo e la
nascita dei primi campi di concentramento. Alla fine, Transvaal e Orange entrano a far
parte dell’Unione sudafricana.
Nel frattempo, a Cuba (colonia spagnola) scoppia una rivolta indipendentista nel 1895, che
viene repressa ma non placa le ostilità. Gli Stati Uniti decidono di intervenire militarmente
in ottica espansionistica, e approfittano dell’esplosione di un loro incrociatore fermo
all’Havana, la cui colpa viene attribuita agli Spagnoli. La guerra dura da febbraio a
dicembre 1898, e la Spagna, sconfitta, riconosce l’indipendenza di Cuba (solo formale,
sotto il protettorato USA) e agli Stati Uniti le Filippine, Porto Rico e l’Isola di Guam. Anche
nelle Filippine scoppiano rivolte indipendentiste, represse con violenza. Gli USA si
schierano a fianco di una secessione di Panama dalla Colombia (1903) per assicurarsi il
diritto di costruire e sfruttare il canale di Panama.
Il Giappone avvia una politica di espansione territoriale, attaccando la Cina per il controllo
della Corea (1894). Dopo solo un anno di guerra, la Cina è sconfitta, costretta a pagare
un’indennità di guerra al Giappone, Taiwan annesso al Giappone e la Corea dichiarata
indipendente (anche se molto legata economicamente al Giappone). Questa vittoria
favorisce lo sviluppo dell’economia e delle aziende metallurgiche e siderurgiche
giapponesi. Anche la Russia, però, sembra interessata alla Corea, e si scontra col
Giappone nella battaglia navale di Tsushima, perdendo (1904).
In un accordo del 1904, la Francia riconosceva il protettorato britannico in Egitto, mentre il
Regno Unito promette di sostenere diplomaticamente eventuali azioni francesi in Marocco.
L’imperatore tedesco Guglielmo II, però, in uno scalo a Tangeri tiene un discorso alla
popolazione marocchina, parlando di un “grande stato sovrano e indipendente”. Nasce
una crisi diplomatica che viene parzialmente risolta, ma si ripresenta nel 1911, quando la
Francia interviene in Marocco per risolvere delle insurrezioni, ma la Germania si presenta
con una cannoniera davanti al porto di Agadir. Alla fine, interviene la Gran Bretagna, alla
Germania viene riconosciuto un pezzo di territorio e la Francia può continuare le
operazioni militari in Marocco.
Una delle difficoltà più grandi è mantenere il controllo sulle colonie, dove periodicamente
scoppiano insurrezioni, dovute alla riscoperta delle proprie radici religiose e alla volontà di
un’identità autonoma da parte delle popolazioni colonizzate. Uno dei paesi più in difficoltà
è il Regno Unito: nel 1881 in Sudan, Muhammad Ahmad, un religioso musulmano, si
proclama una sorta di “messia” per guidare le popolazioni alla libertà. L’appello, che ha il
carattere della jihad, funziona: nel 1884/85 la capitale Karthum viene conquistata. Qualche
mese dopo, Ahmad muore, e l’esercito inglese inizia un’opera di riconquista che viene
completata nel 1898 grazie anche alla superiorità bellica. Sempre in quegli anni, in
Somalia Britannica iniziano delle azioni di guerriglia, comandate da Mohammed Abdullah
Hassan e che durano dal 1899 al 1920. Anche in Egitto si sviluppa un movimento
nazionalista, che affonda le radici nel modernismo islamico.
Da anni le risorse della zona persiana sono suddivise tra Regno Unito e Russia (che
rinnovano l’accordo nel 1907). Questo atteggiamento non è molto gradito dalla
popolazione locale, in particolare dalle massime autorità musulmane dell’area, che nel
1890 danno vita ad un vero e proprio movimento politico e iniziano a sabotare il tabacco
nazionale. Nel 1906 questo movimento impone al sovrano locale, lo shah, una
Costituzione che prevede un Parlamento e l’Islam come religione di Stato. È un evento
temporaneo. Nel 1911 l’esercito russo pone fine alla vicenda, anche se la Persia non
tornerà mai del tutto sotto il suo controllo.
In India, alla regina Vittoria viene conferito il titolo di imperatrice (1876). Nello spirito di una
collaborazione coi britannici, nasce il Congresso nazionale indiano, un’associazione
politica animata da indiani colti e letterati. Al suo interno però si sviluppa, a inizio XX sec,
una corrente indipendentista che porta alla scissione del movimento (1907) e a diverse
condanne da parte dei britannici. Nel frattempo, iniziano a muoversi anche le élite
islamiche indiane, che si uniscono nel 1906 nella Lega musulmana.
Tra il 1883-85 la Cina ha provato a bloccare l’espansione francese in Vietnam, fallendo.
Dopo la sconfitta contro il Giappone e la condanna a pagare una pesante indennità di
guerra (1895), la Cina si rivolge alle potenze europee per domandare finanziamenti. I
prestiti arrivano, ma la Cina deve permettere ad alcune nazioni (Russia, Germania, Regno
Unito, Francia) di costruire basi sul territorio. La popolazione locale è insofferente contro
gli stranieri europei, e tutto ciò convoglia nei boxer (società segrete). Le loro proteste
culminano con l’uccisione dell’ambasciatore tedesco a Pechino (1900), e vengono
represse. Nel frattempo, però, il potere imperiale è sempre meno potente e nel 1911 con
un colpo di Stato si forma la Repubblica cinese, che ben presto diventa una dittatura. Alla
morte del suo capo, però (1916), essa va in frantumi, creando grandi disordini in Cina.
25. Alleanze e contrasti fra le grandi potenze
Le principali fratture delle alleanze in Europa sono: Francia-Germania (contrasti dovuti
alla cessione di Alsazia e Lorena dopo la guerra franco prussiana, 1870-71); Austria-
Ungheria e Russia che si scontrano per il possesso dei Balcani; Regno Unito e
Germania, con quest’ultimi che tentano di pareggiare la potenza navale inglese.
Per isolare la Francia, Bismarck sigla un accordo politico-militare (Lega dei tre
imperatori¸1873) tra Austria-Ungheria, Russia e Germania. Dopo la crisi dell’Impero
Ottomano, però, si comprende che gli interessi di Austria e Russia sono troppo
contrastanti. Tra il 1875-76 scoppiano rivolte violentemente represse in Erzegovina,
Bosnia, Montenegro e Bulgaria, e la violenza con cui gli ottomani trattano i cristiani fa eco
nell’opinione pubblica europea. Nel frattempo, con un colpo di Stato Abdul Hamid II
prende il potere nell’Impero Ottomano (agosto 1876), promettendo una Costituzione per
tentare di calmare le acque anche con le potenze europee. La Russia dichiara guerra agli
ottomani per “difendere i fratelli slavi” nei Balcani e l’Impero, dopo solo un anno, viene
sconfitto, con le truppe russe che arrivano ad Istanbul. Nella pace che viene firmata (1878)
si riconosce l’indipendenza di Serbia, Montenegro e Romania, e la Bulgaria diventa uno
stato satellite russo. Gli stati europei non tollerano la presenza russa nei Balcani, l’Austria
mobilita l’esercito: sta per scoppiare una guerra, quando Bismarck convoca una
conferenza a Berlino (1878). Qui, si diminuisce la dimensione del Principato di Bulgaria, la
Bosnia-Erzegovina diventa un protettorato austriaco e Cipro viene ceduta al Regno Unito.
La Russia non rinnova la “Lega dei tre imperatori”, mentre Germania e Austria-Ungheria
sì. Ad esse si aggiunge l’Italia nel 1882, creando così la triplice alleanza, un trattato
difensivo. Non è una scelta facile visto la grande rivalità con l’Austria soprattutto nel
Risorgimento, ma l’Italia vuole reagire all’occupazione Francese di Tunisi (1881), che
Depretis riteneva area di influenza italiana. La triplice alleanza viene rinnovata di anno in
anno fino al 1914. Nel frattempo, Bismarck firma un trattato di non aggressione segreto
con la Russia (1887), che viene però revocato da Guglielmo II (1890). La scelta si rivela
un errore: nel 1894 la Russia sigla un trattato di mutua protezione con la Francia: i due
paesi non hanno interessi comuni in Europa (alla Francia non interessano i Balcani) né
nelle colonie; ed entrambe temono molto la Germania. La Germania tenta inoltre un piano
di potenziamento della marina (1898) per poter competere col Regno Unito. Quest’ultimo
sigla nel 1904 un patto con la Francia (Entante Cordiale) che risolve i contenziosi coloniali,
e nel 1907 è l’ora dell’intesa anglo-russa. I due schieramenti sono ora completi: triplice
alleanza (Germania, Austria, Italia) da un lato; triplice intesa (Russia, Inghilterra, Francia)
dall’altro.
L’Impero Ottomano, nel frattempo, crolla. Nel 1881 i francesi occupano Tunisi, nel 1882 gli
inglesi l’Egitto. Il sultano, dopo aver revocato la Costituzione ed essere stato sconfitto dai
Russi, decide di fare appello all’islam, per rafforzare il proprio potere, favorito anche dal
fatto che tutte le potenze con cui si scontra (es. Russia) sono cristiane. In realtà, si
sviluppano comunque molti movimenti nazionalisti e di opposizione interna. Dopo la rivolta
di Creta il sultano è costretto a riconoscergli una certa autonomia (1897). Ma ciò che più
spaventa è il movimento nazionalista armeno, che possiede un suo organo religioso ed è
formato da persone colte, talvolta anche funzionari ottomani. Il sultano decide di usare la
violenza: le rivolte del 1894-96 a Samsun e Trebisonda sono represse nel sangue
(200.000 armeni uccisi) e nel 1909 nella città di Adana ne vengono uccisi altri 15/20.000.

Nel frattempo in Turchia si sviluppa un gruppo politico animato da ideali liberali e


patriottici, i Giovani Turchi, che puntano ad una modernizzazione dell’Impero. Questo
movimento si diffonde e penetra anche tra l’esercito, e nel luglio 1908, dopo la notizia
dell’accordo anglo-russo, c’è una sollevazione militare che costringe il sultano a ripristinare
la Costituzione. Lo smembramento dell’Impero è sempre più evidente. Il nazionalismo
turco di questo movimento provoca però fratture tra le altre etnie. Nel 1912 Grecia,
Bulgaria, Serbia e Montenegro attaccano l’Impero Ottomano per conquistare e spartirsi la
Macedonia. È la prima guerra balcanica. Il trattato di pace, oltre a riconoscere
l’indipendenza dell’Albania, suddivide la Macedonia. La Bulgaria, non contenta della
suddivisione, attacca Grecia e Serbia (1913) nella seconda guerra balcanica, ma viene
sconfitta.
La Serbia, indipendente dal 1878, era sempre stata alleata con l’Austria-Ungheria. Nel
1903 una rivolta nazionalista rovescia il governo, e porta al potere Pietro I, sostenuto dal
Partito radicale serbo. La tensione cresce quando l’Austria blocca le importazioni di
bestiame serbo (1906) e annette la Bosnia-Erzegovina (1908). La Serbia, che ha paura di
fare la stessa fine della Bosnia, firma un trattato di alleanza con la Russia, irritando
Vienna. Nel frattempo, la situazione di tensione si fa sentire anche in Bosnia: qui un 45%
della popolazione è serba, favorevole ad un’unione con la Serbia; un 30% musulmano
favorevole all’Impero austro-ungarico; e un 25% croato diviso a metà tra Serbia e Austria-
Ungheria. I serbi, più attivi, si raccolgono in società segrete, come quella della Mano nera.
Proprio quest’associazione organizza l’attentato all’arciduca Francesco Ferdinando, futuro
erede al trono, ucciso a Sarajevo il 28 giugno 1914. Contando sull’appoggio tedesco,
Vienna invia un ultimatum nel quale chiede che il governo serbo condanni la propaganda
antiaustriaca, che vengano catturati i militari e soldati responsabili dell’atto e che al
processo partecipino magistrati austro-ungarici. L’ultimatum viene accettato in tutti i punti
tranne che per l’ultimo e il 28 luglio 1914 l’Austria dichiara guerra alla Serbia. Inizia un
valzer che, in pochi mesi, trascina tutte le potenze in guerra. Nella Prima Guerra
Mondiale.

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