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Un secondo ciclo di rivoluzioni si apre nel 1830. In Francia, nel 1824 diventa re Carlo X di
Borbone, che tenta un ritorno ad un regime di monarchia assoluta (es. con i rituali di
unzione e incoronazione, la taumaturgia, il reintegro di coloro che durante la Rivoluzione
erano stati esiliati). La sua politica riscuote poco successo a livello di opinione pubblica,
tanto che nelle elezioni del 1827 in Parlamento i liberali sono in maggioranza rispetto ai
monarchici. Carlo però nomina, nel 1829, Primo Ministro Jules de Polignac, leader dei
monarchici. La tensione che va creandosi porta Carlo sciogliere la camera e a convocare
nuove elezioni (1830), che però danno lo stesso esito delle precedenti, con una netta
vittoria liberale. Il 25/7/1830 Carlo emana 4 ordinanze: sospende la libertà di stampa,
scioglie la Camera, modifica la legge elettorale e convoca nuove elezioni. Il popolo di
Parigi insorge e, in 3 giornate (27-28-29/7) conquista la capitale, proclamando come capo
Luigi Filippo d’Orleans. Carlo, sconfitto, si esilia in Inghilterra. Il 9/8 viene approvata una
nuova Carta, che sostiene che: la religione cattolica non sia più religione di Stato; sia
proibita la censura sulla stampa; il diritto di iniziativa legislativa spetta anche al
Parlamento; il re non può emanare ordinanze che sospendano le decisioni del
Parlamento; viene adottato il tricolore rosso-bianco-blu.
I cittadini del Belgio, che era entrato a far parte del Regno dei Paesi Bassi, non
condividevano le stesse caratteristiche culturali dei loro vicini, erano contrari alle politiche
liberiste di Guglielmo I e avevano orientamenti religiosi/linguistici differenti. La tensione si
accumulano e scoppiano nel 1830. Il 4/10/1830 il governo provvisorio proclama
l’indipendenza del Belgio e, il 7/2/1831 viene approvata una nuova costituzione. Le
potenze riconoscono l’esistenza del nuovo Stato affidando la corona a Leopoldo di
Sassonia.
Dopo il Congresso di Vienna, al Regno polacco vengono riconosciute una sua
Costituzione e una certa autonomia, ma con lo zar Alessandro I e il suo successore Nicola
I esso passa sempre più sotto il controllo russo. Il 29/11/1830 un gruppo di cadetti di
Varsavia prende le armi e attacca il palazzo del governatore, che deve fuggire. Nicola I
risponde con l’esercito, e la strenua resistenza polacca è vinta il 9/1831.
8. Il Risorgimento Italiano
L’Italia è coinvolta in entrambi i cicli rivoluzionari, chiari segnali della diffusione di un
movimento politico che si ispira al concetto di nazione. Il movimento interessa solo le
grandi città, mentre dalle campagne (ancora inquiete a causa del brigantaggio) filtra
apatia. Ad aumentare le difficoltà, vi sono anche contrasti tra gli stessi rivoluzionari,
sull’eventuale gerarchia e forma di un nuovo Stato. Accade però un fatto che da nuovo
slancio a questi ideali: iniziano a essere pubblicate opere (ispirate a quelle tedesche) che
esaltano la nazione italiana, la sua storia passata (Leopardi, Manzoni, Verdi, Silvio
Pellico). Tutte queste opere tendono a descrivere, coerentemente, cosa sia la nazione
italiana. Tutti la immaginano come una comunità di parentela, legata dal sangue, con una
lingua comune, una cultura comune e un passato comune (passato di oppressione e
decadenza che si deve riscattare). In tutte le narrazioni compare sempre la figura
dell’eroe nazionale, coraggioso e leale, che si scaglia contro lo straniero e che spesso è
destinato alla morte. Vi è anche il traditore, colui che, spinto dall’ambizione, causa la
morte dell’eroe o la sconfitta della comunità nazionale. Infine, talvolta compare l’eroina
nazionale, che condivide i tratti dell’eroe. Questo modello riscuote un discreto successo
perché la sua triade ricorda le storie evangeliche: l’eroe, come Gesù, è ricco di valori e si
sacrifica per il suo popolo; il traditore, come Giuda, causa le sofferenze dell’eroe; l’eroina
richiama alla Vergine Maria. Il significato simbolico di queste figure, in un Italia dove il
cattolicesimo è profondamente radicato, contribuisce ad aizzare il popolo, anche grazie al
gran lavoro di propaganda
Nel panorama democratico italiano emerge la stella di Giuseppe Mazzini, attivo fin dal
1831 con la sua Giovine Italia. Mazzini nasce a Genova, e si avvicina agli ideali patriottici
nel corso degli anni ’20, fino a diventare affiliato di una vendita carbonara genovese
(1827). La sua dedizione lo porta ad essere arrestato (1830) e successivamente all’esilio a
Marsiglia (1831). Qui fonda la Giovine Italia sul modello dell’esperienza carbonara, di cui
però critica l’inefficace propaganda. Per questo, gli affiliati della Giovine Italia devono
distribuire opuscoli o volantini, che spieghino il programma dell’associazione, il tutto sotto il
coordinamento della direzione centrale. Mazzini vuole costruire una repubblica unitaria e
democratica, convinto che un modello federale in Italia non funzionerebbe, ma
aumenterebbe solo i localismi. La sua associazione dovrebbe, idealmente, preparare le
condizioni per un’insurrezione militare contro gli Stati italiani, coordinata da un’autorità
dittatoriale che in tempo di pace avrebbe lasciato il potere ad un’assemblea costituente
eletta dal popolo. In Mazzini vi è una forte componente religiosa: il concetto del martirio,
del sacrificio, della guerra sacra. Nonostante Mazzini sostenga di “non aver bisogno delle
masse”, la sua associazione mostra ottime capacità di reclutamento, a partire da Marsiglia
in Francia, ambiente di esuli politici. Da cui il movimento si diffonde a Genova e Livorno,
porti di scambio con la città francese, e poi nel resto d’Italia. Nelle aree urbane il
movimento riscuote gran successo nella borghesia e nella nobiltà, oltre che in ambienti
operai e artigiani, ma non sfonda in campagna. L’ottimo successo ottenuto fa si che venga
progettato un primo tentativo insurrezionale (1833), ma a causa della struttura molto
aperta della propaganda esso viene scoperto e arrestati i colpevoli. Un secondo tentativo
più articolato (che vede la partecipazione di un giovane Giuseppe Garibaldi) viene
scoperto, e Mazzini scioglie la Giovine Italia (1834). Nel frattempo fonda a Berna (dove si
era trasferito) un progetto ancor più ambizioso: la Giovine Europa, che fallisce e lo
costringe a trasferirsi a Londra. Qui, sulla base dei successi del movimento operaio
inglese, fonda una seconda Giovine Italia (1839) che non avrà più fortuna delle altre.
Negli anni Trenta la proposta di Mazzini è la più apprezzata, ma si fa strada (soprattutto
tra le autorità di governo) una concezione di rivoluzione più cauta, ispirata da un sistema
monarchico-costituzionale. Essa si sviluppa dapprima nei salotti borghesi-nobiliari, attorno
all’attività di Giovan Pietro Vieusseux, ma un programma politico compiuto si ha solo nel
1843 grazie al “Del primato morale e civile degli Italiani” di Vincenzo Gioberti, che
colleziona un grande successo tanto da far stampare 8 edizioni dell’opera. Egli sostiene
che l’Italia abbia modellato la propria identità attraverso le credenze e la guida papale, e il
fatto di ospitare la sua sede le conferisce un primato morale sugli altri popoli. Egli sostiene
che essa, oppressa dai barbari, contiene in sé le caratteristiche per il suo risorgimento e la
sua rinascita. Ma il popolo è ancora solo “un desiderio e non un fatto, un presupposto e
non una realtà”, e dunque la guida per il risorgimento nazionale dev’essere “monarchica e
aristocratica”. Egli immagina un’unione confederale degli Stati esistenti, la cui presidenza
sia attribuita al papa. Essa dovrebbe essere costruita col favore dei sovrani già presenti, e
con poche modifiche interne (al massimo un Consiglio civile). I critici del suo lavoro fanno
emergere due grossi limiti: la posizione reazionaria del papa in carica, Gregorio XVI, e la
posizione che occuperebbe l’Austria in un eventuale confederazione. Questi due punti
(insieme alla presunta superiorità morale dell’Italia) vengono criticati da Cesare Balbo. Egli
poi sostiene che se l’Austria dovesse ottenere territori nei Balcani dall’imminente caduta
dell’Impero Ottomano, chiuderebbe un occhio sull’indipendenza Lombardo-Veneta.
Comunque, prosegue Balbo, il compito di preparare l’azione spetterebbe al Piemonte, lo
stato più avanzato. Comunque, l’idea di Gioberti pare un’utopia, ma accadono due fatti, tra
1843 e 1847 destinati a cambiare tutto e dargli credibilità.
La prima è la crisi dell’iniziativa mazziniana che, visti gli innumerevoli insuccessi,
raggiunge un minimo storico di popolarità. Nel frattempo, muore anche papa Gregorio XVI
(1846), e il nuovo pontefice Pio IX sembra rispettare la figura del papa liberale auspicata
da Gioberti. L’opinione pubblica e politica liberale e patriottica ne esce galvanizzata, fino a
quando, nel 1846, i prezzi dei prodotti agricoli iniziano a salire a dismisura (precedendo
dunque una crisi per l’anno successivo) e in tutte le città iniziano i tumulti.
9. Le rivoluzioni del 1848-49
L’Italia non è l’unico paese dove si palesano tensioni e conflitti. In Svizzera, tra 1845/47
sette cantoni cattolici e conservatori si uniscono in una Lega secessionista contro gli altri
cantoni. Un tentativo di rivolta scoppia anche in Galizia (parte dell’Impero austriaco) nel
1846, da parte di nobili proprietari terrieri. Queste tensioni si collocano in un contesto
economico-sociale preoccupante. Una serie di pessime annate agricole tra 1845 e 1847 fa
diminuire l’offerta e aumentare vertiginosamente i prezzi. La crisi si estende anche negli
altri settori, e a fine 1847 la situazione è disastrosa: in campagna la gente muore di fame,
e non va molto meglio nelle città. Tornano le Rivoluzioni, ma in maniera ancora più forte e
accentuata, andando a colpire anche Stati (Prussia, Austria) prima non considerati.
Il 12/1/1848, a Palermo scoppia un’insurrezione nella quale si mescolano motivi
patriottici/sociali/d’opposizione. Ferdinando II gioca d’anticipo e, il 29/1, annuncia di voler
concedere una Costituzione. Inizia un effetto domino: gli altri sovrani non vogliono essere
da meno. Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, annuncia la concessione di uno statuto
costituzionale (lo Statuto Albertino) emesso il 4/3. Leopoldo II, granduca di Toscana, ci
mette solo 4 giorni a creare un testo costituzionale (11/15-2). Il 14/2 Pio IX annuncia la
concessione di uno statuto per lo Stato Pontificio.
Da tempo in Francia ci si scaglia contro re Luigi Filippo, con richieste di aumento del
suffragio e con alcuni si spingono anche oltre, sognando di abbattere la monarchia. I
gruppi politici organizzano una campagna di banchetti per raccogliere firme per il
22/2/1848. Il governo la vieta, e viene promossa una manifestazione che porta qualche
migliaio di persone a scendere per strada a Parigi. La protesta è inizialmente pacifica, ma
un incidente porta un reparto dell’esercito a sparare sulla folla e uccidere 52 manifestanti.
Iniziano le barricate e Filippo abdica, fuggendo in Inghilterra. I dimostranti intervengono in
Parlamento, creando un governo provvisorio a maggioranza repubblicana, proclamando la
Seconda repubblica francese. Nelle settimane successive è abolita la pena di morte, la
schiavitù, proclamata libertà di stampa e suffragio universale maschile.
A Vienna, il 13/4/1848 una folla scende per strada chiedendo riforme simili a quelle
francesi e italiane. Il giorno successivo Ferdinando I licenzia Metternich e promette una
Costituzione, ma il 15/3/1848 la rivolta è già a Budapest, dove si forma un governo
autonomo. Ben presto, il movimento si espande al regno Lombardo-Veneto. Milano
insorge il 18/3/1848 e, dopo 5 giorni di scontri, la città viene liberata. Venezia viene
liberata e viene proclamata la repubblica. L’Impero sembra sopraffatto, e re Carlo Alberto
di Savoia dichiara guerra all’Austria (prima guerra Indipendenza, 23/3/1848). L’imperatore
concede all’Ungheria una Costituzione e larghe autonomie, abolendo i privilegi fiscali dei
nobili e la servitù contadina (11/4/1848). Il 15/5/1848 l’Imperatore annuncia la
convocazione di un’Assemblea costituente imperiale eletta a suffragio universale
maschile. Nel frattempo, il 2/6 a Praga si è aperto un Congresso dei popoli slavi
dell’Impero, con l’obbiettivo di trasformarlo in una federazione di Stati nazionali con ampie
autonomie.
A Berlino, in Germania, scoppia una rivolta il 18/3 e l’intervento dell’esercito causa 200
morti. Sia il re di Prussia che gli Stati della confederazione ordinano la convocazione di
due Assemblee costituenti. Quella Prussiana, eletta con suffragio universale maschile a
doppio turno, vede la prevalenza di avvocati e funzionari, ma con un buon numero di
contadini (49), che in quella tedesca, eletta su base censitaria, mancano (solo 4).
Entrambe hanno maggioranza liberale, ma in quella prussiana il gruppo democratico-
radicale è piuttosto fornito. Nel frattempo, vi sono insurrezioni anche a Poznan in Posnania
da parte di nazionalisti polacchi, che vengono repressi dall’esercito prussiano.
Se in primavera le rivoluzioni sembrano inarrestabili, verso la fine dell’anno l’evoluzione
politica della situazione congela le speranze dei rivoluzionari.
In Francia si tengono le elezioni per l’Assemblea costituente, composta di 880 membri
(23/4). La maggioranza va ai repubblicani moderati, ma c’è una buona fetta di deputati di
orientamento monarchico, grazie ai voti delle campagne e alla propaganda
antirepubblicana portata avanti dal clero e dai notabili nelle province. Il 15/5 i club radicali
protestano per imporre al governo di dichiarare guerra alla Polonia, ed entrano nel palazzo
dell’Assemblea chiedendo l’istituzione di un Comitato di salute pubblica. Essi vengono
esclusi dal nuovo governo. Il 22/6 il nuovo governo decide, bruscamente, di chiudere gli
Ateliers Nationaux, causando la disoccupazione di molti lavoratori. Il giorno successivo,
circa 40/50.000 operai scendono in strada a Parigi in quella che si trasforma in una vera e
propria rivolta armata, che porta a qualche migliaio di morti e più di 10.000 arresti.
Nonostante questo calo di popolarità, il 21/11 viene promulgata la Costituzione che
conferma l’assetto repubblicano e democratico dello Stato. La Costituzione prevede un
Parlamento monocamerale eletto a suffragio universale maschile, il potere viene affidato a
un presidente (anch’esso eletto a suffragio universale maschile) che è anche capo dello
Stato. La costituzione inoltre include l’abolizione della schiavitù e dei titoli nobiliari, la
libertà di stampa e di culto religioso. Le elezioni si tengono il 10/12 e i repubblicani non
riescono a trovare un accordo per concentrarsi su un solo candidato, e dunque a spuntarla
è Luigi Napoleone Bonaparte. Una volta presidente, tenta di assumere il ruolo di garante
dell’ordine politico e sociale, anche se radicali e socialisti si sono riorganizzati e riescono
ad ottenere un buon numero di consensi per l’elezione dell’Assemblea legislativa (1849).
Napoleone interviene per reprimere sul nascere tutto ciò, con una nuova legge elettorale
che limita il voto per le fasce più povere ed una che limita la libertà di stampa.
Nell’Impero austriaco è l’esercito a risolvere la situazione. Praga viene riconquistata dal
generale Windischgratz dopo l’occupazione del 12/6. Nel frattempo, si riunisce il nuovo
Parlamento nazionale ungherese, con forti correnti indipendentiste. Le truppe austriache
tentano di riconquistare Budapest ma falliscono, e sciolgono il Parlamento. Di tutta
risposta, viene creato il Comitato di difesa nazionale ungherese, che invia le proprie truppe
a Vienna, riuscendo a conquistarla. Il generale Windischgratz torna da Praga e con le sue
truppe riesce a riconquistare Vienna, causando tra i 2000 e i 5000 morti. Il 2/12/1848
Ferdinando abdica in favore di suo nipote Francesco Giuseppe, il quale fa sciogliere
l’Assemblea costituente imperiale (7/3/1849) e proclama una nuova Costituzione molto
moderata. A fine 1848, per risolvere il problema ungherese, chiede formalmente aiuto allo
zar di Russia, che gli invia 300.000 uomini: dopo una lunga resistenza, gli ungheresi sono
sconfitti a Vilagos (13/8/1849).
Nel frattempo, Carlo Alberto di Savoia aveva dichiarato guerra all’Austria, arrivando con le
sue truppe a Milano. Dopo una prima fase favorevole ai sabaudi, la riorganizzazione
dell’esercito austriaco conduce ad un’importante vittoria a Custoza (25/7/1848). Carlo
Alberto si ritira, e prova a tentare un secondo attacco agli austriaci nel marzo 1849,
fallendo e venendo sconfitto a Novara. Nel frattempo, Venezia era riuscita a sfuggire alla
riconquista degli austriaci, che la mettono sotto assedio. Capitolerà ad agosto 1849.
Nel frattempo, in Italia papa Pio IX, il granduca di Toscana e Ferdinando II di Borbone
decidono di non supportare più la guerra sabaudo-austriaca. Se Ferdinando riesce a
controllare la situazione nel Sud Italia (anche grazie al suo esercito), a Roma il Primo
ministro dello stato pontificio viene pugnalato e assassinato (15/11/1848). Il papa fugge a
Gaeta, e a Roma viene convocata un’Assemblea costituente che proclama l’istituzione
della Repubblica romana (9/2/1849), comandata da un triumvirato con a capo Giuseppe
Mazzini. Subito vengono nazionalizzate le terre ecclesiastiche, affittabili col pagamento di
un tributo alle casse dello Stato. Alla fine di aprile, una guarnigione militare francese
sbarca a Civitavecchia per porre fine alla Repubblica. Inizia una strenua resistenza da
parte di volontari (tra cui Giuseppe Garibaldi) che capitola solo il 3/7/1849. In Toscana,
anche Leopoldo II si vede costretto a fuggire (febbraio 1849) ma il governo democratico,
debole a causa di divisioni interne, viene sconfitto da una guarnigione austriaca a Livorno,
e Leopoldo torna sul trono.
L’Assemblea Prussiana viene presto sciolta dal re di Prussia, Guglielmo IV, che emana
una nuova Costituzione (5/12/1848): il potere esecutivo è del re, mentre quello legislativo
spetta al Parlamento. Qualche mese dopo, nel 1850, la revisiona imponendo il diritto di
veto del sovrano nei confronti delle leggi del Parlamento. L’Assemblea di Francoforte,
invece, opta per la creazione di un “Piccolo-Stato Tedesco”, proponendo la corona a
Guglielmo IV, il quale la rifiuta sprezzantemente. L’assemblea viene poi sciolta.
Le novità portate dalle rivoluzioni a fine 1849 sono poca cosa in confronto alle speranze
con cui erano iniziate nel 1848. Ma esse sono destinate a lasciare una grande eredità:
innanzitutto, la questione della sovranità: Essa deve spettare al popolo, o essere condivisa
dal popolo e da un monarca, ma una cosa è chiara: il popolo è un concetto chiave. In
realtà però, si nota che in molti luoghi il “popolo” non è unito (v. Parigi, gli scontri con
socialisti e radicali). L’idea di “popolo” viene presto soppiantata dal concetto di “nazione”,
dall’attaccamento alle proprie radici ma allo stesso tempo da un inquietante disprezzo
verso le altre nazioni, talvolta espresso in modo aggressivo.
12. Passioni e Sentimenti
Nell’Ottocento ci sono ancora genitori, soprattutto tra le classi più alte, che si comportano
come i loro avi, e vedono il matrimonio come una possibilità di alleanza economica e
sociale tra famiglie. Ma dai primi dell’Ottocento inizia a imporsi, soprattutto grazie a
giornali e romanzi, una visione secondo la quale un requisito fondamentale per il
matrimonio sia la passione d’amore. Questa visione diventa un modello, quello del
matrimonio affettivo, che dal XVIII sec. viene polemicamente contrapposto al matrimonio
come alleanza.
Un matrimonio “rispettabile” (meglio se anche passionale), e poi una vita dedicata alla
gestione della casa e all’educazione dei figli. Questo era ciò che spettava alle donne nel
XIX secolo, evidente anche dal sistema educativo diversificato. Ai ragazzi venivano
insegnate le professioni, mentre le ragazze stavano a casa per imparare le faccende
domestiche. La differenza si nota ancor di più negli abiti e nei costumi: se prima gli abiti di
uomini e donne, seppur diversi, avevano caratteristiche in comune (es. le parrucche, i
capelli lunghi, i tessuti); ora gli uomini portano i capelli corti, abiti scuri e pratici, utili al
lavoro, mentre le donne hanno capigliature complesse e abiti colorati e decorati, ma poco
pratici.
Le case delle famiglie agiate iniziano ad essere dotate di salotti, ammobiliati e con sedie,
dove si accolgono gli ospiti per lunghe chiacchierate e si celebrano i iriti familiari
(compleanni, il Natale). In questo salotto passano molto tempo le signore. Tra le famiglie
borghesi e contadine, invece, non è raro leggere di donne costrette a lavorare. Nelle zone
agricole, ad esempio, ci sono le braccianti che vagano di azienda in azienda per cercare
lavoro (anche se il salario femminile è sempre inferiore a quello maschile). Vi sono poi le
incombenze domestiche, per cui le famiglie più agiate dispongono di una o due
domestiche per svolgere le faccende di casa.
Buone donne e buone madri devono difendere ed esibire la loro onorabilità. Innanzitutto,
viene insegnato loro di diffidare dall’erotismo e dalla sessualità, creando una violenta
contraddizione tra le loro passioni e l’obbligo morale di contenerle: questo porta spesso
all’adulterio, che in una società come quella Ottocentesca rappresenta uno scandalo.
Anche qui, vi è differenza (in questo caso giuridica) tra uomini e donne: l’uomo può
divorziare da una donna adultera, mentre la donna può farlo solo se l’uomo introduce
l’amante in casa. L’adulterio, inoltre, porta ad un ritorno del duello per la donna, con il
combattimento che esalta l’onore e l’essere uomo.
I duelli portano spesso alla morte, e forse è per questo che hanno riscosso un così grande
successo. Dalla Rivoluzione francese in poi, c’è stata un’esaltazione della morte, del
martirio, del sacrificio eroico compiuto per una giusta causa. Se c’è un lato rispettabile in
questa visione della morte, con il rispetto del lutto e la sofferenza, dall’altro vengono
apprezzate immagini che esaltano il dolore, la sofferenza, immagini ricche di aggressività,
sia nei quadri che nella letteratura.
13. Il modello parlamentare: il Regno Unito e l’Irlanda
Le rivoluzioni del 48-49 non toccano minimamente il Regno Unito, stabile dal punto di vista
amministrativo e costituzionale da ben più di un secolo. Qui, già dalla fine del ‘700, si era
imposta la supremazia dei tory (partito conservatore, con sentimenti antifrancesi) sui
whig, anche grazie al loro trionfo nelle campagne antinapoleoniche. Inoltre, a consolidare
la loro egemonia ci pensano le Corn Laws (1815) che impongono dazi sull’importazione di
grano, favorendo la produzione britannica. I tory dominano la politica inglese dal 1812 al
1830, e gli whig riescono a riprendere piede solamente introducendo un tema differente:
quello di rendere la middle class (imprenditori, banchieri) più attiva nel panorama politica.
Accadeva infatti che molti di loro non potessero concorrere alle elezioni alle Camere per
via delle circoscrizioni territoriali. Esse erano state disegnate a fine XVII sec, e molte cose
erano cambiate: negli anni ’20 dell’Ottocento città come Manchester, Birmingham, Leeds
non avevano diritto a un deputato, mentre Dunwich (32 elettori in tutto) o Sarun (11
elettori) si. La riforma viene presentata in Parlamento ed è approvata solo grazie ad una
crisi, che spacca il movimento tory.
Dall’istituzione del Regno Unito (1801), in Irlanda era continua la richiesta di abolire i Test
Acts, che impedivano la partecipazione ai cattolici (maggioranza della popolazione) alle
cariche pubbliche. Questo causa tensioni soprattutto nelle zone rurali, tra i proprietari
terrieri (inglesi e protestanti) e i contadini (irlandesi cattolici). Il duca di Wellington, capo del
governo tory, emana due leggi (1828-29) che permettono sia ai dissidenti protestanti che
ai cattolici di concorrere alle cariche pubbliche. Le due leggi non placano i contrasti in
Irlanda e creano una spaccatura nel partito (dove molti supportavano la superiorità della
Chiesa anglicana) che si traduce in una sconfitta alle elezioni del 1830. Con l’avvento al
potere dei whig, viene approvata la riforma elettorale in Parlamento (1832).
Nel 1837 sale sul trono Vittoria Hannover, nipote 18enne del defunto re Guglielmo IV. Nel
1840 sposa il cugino Alberto di Sassonia, a cui delega poi molte delle sue responsabilità
pubbliche. Anche dopo la sua morte (1861) Vittoria mantiene un profilo pubblico molto
riservato, cercando di apparire più come una buona madre che come personaggio politico,
e questo le porta moltissima popolarità. Durante il suo regno, deve fronteggiare il continuo
alternarsi di whig e tory al governo.
I whig insistono nel volersi qualificare come una forza politica innovatrice, e nel 1833
introducono una legge che proibisce l’utilizzo di bambini con meno di 9 anni in fabbrica, il
massimo di durata di un turno a 9 ore fino a 13 anni e il divieto di far lavorare di notte chi
ha meno di 18 anni. Nel 1834 viene approvato il Poor Law Amendment Act, che regola il
lavoro delle workhouse (che ora hanno regole di disciplinamento ferreo) e aboliscono i
sussidi, costringendo i disoccupati a rimettersi sul mercato, accettando anche condizioni
poco favorevoli. I conservatori attuano, durante il governo 1841-46, un piano politico
preciso, sotto la guida di Robert Peel: egli riduce ulteriormente gli orari di lavoro per donne
e bambini e introduce le prime basilari norme di sicurezza in fabbrica (Factory Act, 1844)
ma soprattutto elimina le Corn Laws. Nel 1845, infatti, propone di eliminare i dazi doganali
per due ragioni: far fronte alla crisi che si è abbattuta sulle campagne, in particolare in
Irlanda, rovinando i raccolti di patate; e guadagnare consensi tra le classi medie-
imprenditoriali.
In Inghilterra (il cui sistema politico rappresentativo funziona attraverso un ampio
coinvolgimento dell’opinione pubblica), i politici mettono in atto vere e proprie campagne
propagandistiche: individuano i temi cari al proprio elettorato e li sfruttano con articoli di
stampa, volantini, manifestazioni pubbliche. A questo sistema si aggiungono anche
rapporti di tipo clientelare, favoriti dal fatto che il voto, fino al 1872, è palese. Nelle aree
rurali, ad esempio, il grande proprietario terriero ha un corpo elettorale composto dai sui
affittuari o da commercianti che dipendono direttamente da lui, e quindi hanno
convenienza nel votarlo. Nelle aree urbane, i seggi sono molto più combattuti, e si ricorre
ad un altro strumento: la corruzione. Un altro metodo è quello di promettere ai propri
sostenitori incarichi ben retribuiti in un futuro governo.
Se una parte dell’elettorato non vede nulla di male in queste tecniche, un’altra (operai
londinesi per lo più) fa redigere nel 1838 la Carta del Popolo, dove richiede di affrontare e
risolvere queste ingiustizie. Si richiede suffragio universale maschile a chi ha più di 20
anni, voto segreto, abolizione del requisito di censo per entrare in Parlamento, uguali
collegi elettorali e Parlamenti annuali. Quest gruppo crea un movimento politico, definito
cartista, che manifesta in piazza e firma petizioni, senza tuttavia ottenere esiti concreti e,
visti gli insuccessi, si scioglie.
Tra 1852 e 1872 lo scenario politico è ancora dominato dallo scontro conservatori-liberali.
Il dibattito politico è influenzato da alcuni temi toccati dai cartisti, in particolare
l’ampliamento del corpo elettorale. A disegnare una riforma in questo senso è lo
schieramento liberale, guidato da William Gladstone: la sua mozione viene però rifiutata
(1866). Sono i conservatori a riuscire a far passare una mozione che allarga il corpo
elettorale dal 4% all’8% (1867). Negli anni Settanta l’aumento del corpo elettorale porta i
partiti a creare forme organizzative permanenti, capaci di mobilitare continuamente gli
elettori, dislocate in varie zone e che rispondono ad un organo di coordinamento centrale.
È il primo passo verso la nascita dei moderni partiti politici. Uno degli obbiettivi principali
del governo liberale è la lotta alla corruzione, e vengono introdotte due riforme: una che
impone che per essere assegnati ad una carica pubblica si debba partecipare ad un
concorso; l’altra rende segreto il voto (1872). Vengono introdotti altri atti, come l’Education
Act che rende le scuole elementari obbligatorie.
14. La Francia del Secondo Impero e l’Unità d’Italia
Nel ventennio 1850-70 ci sono due importanti fattori di mutamento (l’attivismo francese in
ambito internazionale e la forza degli ideali nazionalisti) che portano a due importanti
novità: la formazione di due grandi Stati unitari (Italia e Germania) e la diffusione del
sistema rappresentativo costituzionale.
La Repubblica francese è particolarmente instabile negli anni 1850-51: dopo che il
Parlamento nega un’autorizzazione per la rielezione di Luigi Bonaparte, quest’ultimo (forte
del consenso per le azioni militari svolte in Italia) tenta un colpo di stato. Il 2/12/1851
l’esercito occupa il Parlamento, e 20 giorni dopo viene convocato un plebiscito che
sancisce la rielezione di Luigi. Egli scioglie la camera e, attraverso un altro plebiscito, si
forgia del titolo di imperatore col nome di Napoleone III. Formalmente, sopravvive un
sistema parlamentare, ma di fatto il controllo esecutivo, giudiziario, legislativo e militare
spetta all’imperatore. Egli porta avanti una politica di sviluppo economico e tecnologico,
potenziando la rete ferroviaria, siglando un accordo commerciale col Regno Unito, e viene
compiuta un’opera di ristrutturazione urbana di Parigi, con l’introduzione dei grandi
Boulevards. La sua politica estera è dinamica: tra 1853-55 si impegna insieme a Regno
Unito e Sardegna in una spedizione militare in Crimea, recitando la parte del garante della
pace dopo che la Russia aveva attaccato la Moldavia. Tuttavia, alcune sue imprese hanno
esiti disastrosi. Nel 1861 tenta di conquistare il Messico, riuscendo ad occupare Città del
Messico dopo due anni di assedio. Il Messico si ribella, appoggiato anche dagli Stati Uniti,
e riesce a liberarsi nel 1866, facendo fallire l’operazione di Luigi.
Dopo le rivoluzioni del 48-49, i gruppi mazziniani vedono fallire tutte le loro successive
insurrezioni. Dall’altro lato, però, trovano nel Regno di Sardegna un soggetto istituzionale
e politico in grado di accogliere le istanze del movimento risorgimentale, anche grazie al
fatto che Vittorio Emanuele II conferma lo Statuto Albertino dopo la sua incoronazione.
Inoltre, il regno accoglie gli esuli politici in fuga dopo le repressioni contro i patriottici.
Ulteriore popolarità viene raggiunta dopo che Camillo Benso Conte di Cavour, già ministro
dell’agricoltura, diventa capo del governo (1852). Egli ridimensiona subito i privilegi
ecclesiastici, e sostiene che i governi debbano essere scelti sulla base della maggioranza
nella Camera, non in base alla volontà del re. Partecipa alla spedizione in Crimea con
Francia e Regno Unito e, seppur non determinante dal punto di vista militare, il suo
intervento conferisce al Regno grande visibilità. Stipula poi un’alleanza con Napoleone III
in funzione antiaustriaca. I due si incontrano a Plombieres tra il 21-22 luglio 1858 e
Napoleone III promette aiuto a Cavour per formare una confederazione di Stati in Italia,
composta da 4 regni autonomi (Alta Italia, Centro Italia, Napoli e Roma) con la presidenza
guidata dal papa.
La tensione cresce tra Regno di Sardegna e Austria, con quest’ultima che invia un
ultimatum militare il 24/4/1859, dando il via alla Seconda guerra d’Indipendenza.
Napoleone si schiera a fianco del Regno e viene occupata la Lombardia, ma quando
anche il Veneto sembra ad un passo dall’essere conquistato Napoleone III sigla un
armistizio con l’Austria, dettato dall’alto numero di vittime ma anche dall’evoluzione politica
nel Ducato di Modena, di Parma e nel Granducato Toscano. Qui si formano dei governi
favorevoli all’annessione al Regno di Sardegna, e che votano attraverso dei plebisciti
(marzo 1860). Emilia-Romagna e Toscana si dicono favorevoli, così come Nizza e Savoia
un mese più tardi. Tra il 5-6/5/1860 partono da Genova un migliaio di volontari, comandati
da Giuseppe Garibaldi, alla volta della Sicilia dove sono ferventi le insurrezioni
antiborboniche. L’11 maggio sbarcano a Marsala e iniziano la loro scalata, entrando a
Napoli il 7 settembre. La situazione al sud Italia è tesa, si domanda la redistribuzione
delle terre demaniali, e scoppiano violente insurrezioni (es. Bronte) represse dagli uomini
di Garibaldi. Nonostante le tensioni, Garibaldi riesce a mantenere il controllo su queste
terre, ordinando dei plebisciti per il 21/10/1860, in cui sia la Sicilia che il Mezzogiorno
continentale votano a favore dell’annessione. Garibaldi incontra poi Cavour e Vittorio
Emanuele II a Teano, dove gli cede la sovranità sui territori conquistati. Altri plebisciti
favorevoli, a fine 1860, interessano Marche e Umbria, e l’Italia (ad eccezione di alcune
terre come Veneto, il Lazio) è unita. Sia grazie alla grande abilità diplomatica-politica degli
uomini che l’hanno reso possibile, sia grazie al favore dell’opinione pubblica.
La retorica nazional-patriottica presuppone una nazione compatta, ma l’Italia è
lontanissima dall’esserlo. Solo il 10% della popolazione usa l’italiano come strumento di
comunicazione quotidiana (gli stessi Vittorio Emanuele e Cavour parlano in francese) e
solo il 20% sa leggere e scrivere in italiano, il resto usa costantemente i dialetti. Inoltre, vi
sono 3 distinte regioni economiche: la Valle Padana, con un’agricoltura organizzata
intorno ad aziende capitalistiche, e con un buon numero di produzioni manifatturiere di
cotone, seta e lana; l’Italia Centrale è caratterizzata dalla divisione in poderi, lavorati da
famiglie a cui la terra è stata concessa in mezzadria; l’Italia meridionale si basa sul
sistema dei latifondi, con coltivazioni prevalentemente di grano, ma specializzate in altre
zone (l’olio in Puglia, gli agrumi in Sicilia). Ciò che stupisce i politici del tempo è anche il
diverso grado di civilizzazione delle due zone d’Italia. Nel Mezzogiorno, dopo l’Unità si
intensifica il fenomeno del brigantaggio come reazione. Molte di queste azioni hanno un
carattere fortemente politico, con i briganti che rivendicano un ritorno dei Borbone. Le loro
azioni, molto violente, sono represse altrettanto violentemente nel giro di qualche anno.
L’Italia è una monarchia costituzionale con un Parlamento che raccoglie i rappresentanti di
terre che fino a quel momento non erano stati rappresentati. Il Parlamento si riunisce per
la prima volta a Torino, capitale, il 18/2/1861. Viene adottato lo Statuto Albertino per tutto il
regno ma, pochi mesi dopo, Cavour muore. A prendere il suo posto è un raggruppamento
politico di ispirazione liberal-monarchica, che promette di seguire la linea di governo di
Cavour: la Destra storica. Essi hanno una visione elitista della politica, riservata solo agli
uomini più colti e ricchi, e approvano una legge elettorale secondo la quale può votare
solo il 2% della popolazione. Sono favorevoli ad un accentramento, che tolga poteri agli
enti locali e aumenti la capacità decisionale dell’organo centrale. La Destra attua una
politica doganale liberista, volta a favorire l’esportazione di prodotti italiani e l’importazione
di nuovi macchinari dall’estero, oltre a costruire una nuova rete ferroviaria nazionale.
Vengono potenziate le infrastrutture (strade, porti), introdotto l’obbligo dei primi due anni di
scuola elementare, ammodernate le zone degradate delle grandi città. Per fare ciò, c’è
bisogno di soldi, e sono dunque introdotte: un’imposta di ricchezza mobile (su ciò che si
guadagna); un’imposta fondiaria (sulle proprietà) e varie imposte indirette. Nonostante le
tensioni provocate da queste imposte, la Destra raggiunge il pareggio di bilancio (1875).
Per raggiungere questo risultato, vengono anche requisiti dei beni terrieri ecclesiastici, poi
venduti all’asta (1866-67). A favore di questa politica, volta a laicizzare lo Stato, c’è anche
l’opposizione, ovvero la Sinistra liberale. Essi sono per lo più ex mazziniani/garibaldini,
ex repubblicani. Ritengono necessario un ampliamento del corpo elettorale e un
potenziamento del sistema scolastico. Sinistra e destra non sono però due partiti politici
nel senso moderno del termine.
Nel 1866 l’Italia sigla un’alleanza con la Prussia, scatenando una guerra contro l’Austria.
L’esercito italiano è numericamente superiore a quello austriaco, impegnato su due fronti,
ma viene comunque sconfitto per due volte: il 24/6/1866 a Custoza (l’esercito di terra) e il
20/7 a Lissa (la flotta). L’Austria viene comunque sconfitta e cede all’Italia il Veneto, ma
cade il mito risorgimentale delle virtù belliche italiane. Resta il problema di Roma e lo Stato
Pontificio. Il governo non vuole agire con la forza per non attirare le attenzioni delle altre
potenze europee, ma Garibaldi disobbedisce: organizza una spedizione (illegale) con
l’obbiettivo di marciare su Roma, ma viene fermato dall’esercito italiano all’Aspromonte
(29/8/1862). Una seconda spedizione (1867) viene nuovamente bloccata, e Garibaldi
arrestato per un anno. Già dalla primavera del 1848 il pontefice si era allontanato dal
movimento nazionalista e, dopo che molti territori gli erano stati usurpati per l’unificazione,
aveva lanciato una Scomunica generale (1860). La tensione cresce a dismisura, al papa
viene riconosciuto solo una piccola area di Roma, mentre il Lazio viene annesso con un
plebiscito (2/10/1870). Il paese ha superato la fase più difficile, ma ora, dopo aver fatto
l’Italia, bisogna fare gli italiani.
L’Impero Ottomano ha visto arretrare nettamente i propri confini, perdendo zone quali la
Dalmazia, Ungheria e Transilvania, Crimea, Bessarabia, Grecia e Algeria. Il motivo di
questa debolezza è che da tempo i sultani hanno perso il controllo delle zone periferiche
dell’Impero: qui i pascià/notabili locali hanno cominciato a comportarsi come dei signori nel
loro potentato autonomo, soprattutto dal punto di vista economico. A fine ‘700 il sultano
Selim III tenta di introdurre delle riforme nell’amministrazione e nell’esercito imitando il
modello europeo, ma gli si oppongono i musulmani più conservatori che si rivoltano e lo
costringono ad abdicare (1807). Anche il suo successore, Mahmud II, tenta una
riorganizzazione: il Gran Visir inizia a sembrare un Primo Ministro europeo, e viene creato
il Consiglio dei ministri del sultano. Vengono avviati censimenti e catasti al fine di calcolare
le imposte in base alle terre possedute. Sicuramente la riforma principale riguarda
l’esercito: nel 1826 vengono creati nuovi reparti d’élite, separati dai giannizzeri (i quali si
ribellano e vengono sciolti). Inoltre, ai governatori locali viene tolto il controllo dell’esercito
nelle province. Queste riforme intraprese da Mahmud II vengono ostacolate dalle potenze
europee, che finanziano i nobili locali per cercare di farli diventare autonomi.
Una delle province più potenti, l’Egitto, era tornata sotto il controllo dell’Impero Ottomano
nel 1805. Il suo re era Mehmet Ali che aveva schierato la sua flotta accanto a quella
ottomana nella guerra contro la Grecia negli anni ’20. Gli erano stati promessi il
governatorato di Creta e della Morea, ma dopo la sconfitta non aveva ottenuto nulla se
non gravi perdite. Si apre una fase di scontro tra Egitto e impero Ottomano, che si
conclude solo nel luglio 1841: il sultano Mahmud II muore e il suo successore, Abdul-
Mecid, conferisce a Mehmet Ali il titolo di governatore ereditario dell’Egitto. Quest’ultimo,
dal canto suo, promette il pagamento di un tributo annuale al sovrano e la sua lealtà, ma si
tratta di una sostanziale autonomia dell’Egitto dall’Impero.
Il 3/11/1839 Abdul-Mecid redige la Carta imperiale di Gulkhane, un documento
impegnativo, che apre la strada ad una completa occidentalizzazione dello Stato e della
società ottomana: tutti i cittadini sono uguali davanti alla legge e hanno diritto ad equo
processo, devono pagare tasse in base al reddito, ogni regione deve fornire militari in base
alla capacità. Ovviamente, un tale provvedimento rischia di incontrare la resistenza di
musulmani e sciiti. Nel 1840 viene adottato un Codice penale sul modello francese, nel
1850 un Codice di commercio, poi un Codice agrario e uno sul Commercio marino.
L’introduzione più importante è però quella del Codice civile sul modello napoleonico
(1870). Vengono creati dei tribunali a cui è affidato il compito di regolare le norme
contenute nei codici. A tutto ciò fa eccezione quello che riguarda il diritto di famiglia, che
rimane di competenza dei tribunali islamici. La famiglia ottomana è fortemente patriarcale,
il matrimonio è considerato un contratto privato: l’uomo deve trattare la moglie con
giustizia, non amarla; la donna deve rispettare regole ben precise (la segregazione
spaziale, l’uso del velo) oltre a permettere all’uomo di avere più mogli (poligamia). Ad
Istanbul, è diffuso il mercato degli schiavi, dove vengono vendute schiave, donne e
bambine. Formalmente, viene chiuso nel 1854, anche se prolifera più a lungo. I grandi
sultani o signori avevano nel loro palazzo uno spazio apposito (harem) riservato a schiave
e concubine. Anche il sistema educativo, seppur con grande lentezza e gradualmente,
viene riformato. I tentativi di costruire vere e proprie università sul modello europeo, però,
falliscono.
Nel frattempo, prosegue la riforma dell’esercito: solo una parte dei giovani in età di leva
(20 anni) viene arruolata col sistema del sorteggio. In questo periodo, le aree
problematiche per l’Impero sono 3. La prima è nei Balcani, dove nel 1856 viene
riconosciuta l’indipendenza della Serbia e una larga autonomia ai Principati di Valacchia e
Moldavia, che l’anno successivo si uniscono nel Principato di Romania; ci sono rivolte
anche in Bosnia e in Montenegro e nel 1858 viene riconosciuta larga autonomia al
Principato di Montenegro. La seconda area è a Creta, dove la comunità greca chiede a
gran voce uno stato indipendente greco e insorge (1866) costringendo il sultano a
reprimere la rivolta ma a concedere più larghe autonomie (1868). Infine, vi è il Libano, che
nel 1860 passa sotto il protettorato francese. Le potenze europee considerano l’Impero
come un’area da conquistare poco per volta, approfittando delle crisi
diplomatiche/politiche. L’Impero è un territorio ricco, grazie ai giacimenti di carbone, ferro e
argento, e la sua virata verso un sistema liberista europeizzato favorisce trattati doganali
con le varie potenze Occidentali, che incrementano gli scambi. Nasce così una Banca
imperiale ottomana (1863) e si sviluppa notevolmente il sistema ferroviario.
Ai confini orientali dell’Impero Ottomano c’è la Persia, dove il potere del sovrano fatica a
imporsi su quello dei signori/potentati locali, mentre le élite religiose islamiche hanno una
grande influenza. Il sovrano Nasir al-Din tenta di modernizzare le strutture dello Stato, ma
fallisce, anche a causa della pressione delle potenze europee: la Russia, infatti, ha già
conquistato la Georgia, e altre aree a ovest del Mar Caspio.
Ancora più a est c’è l’Afghanistan, che inizialmente non viene considerato dagli europei.
Dopo la conquista dell’India, il Regno Unito si espande verso l’Afghanistan, e nel 1838
decide di attaccarlo e di occuparlo. Qui vi è una struttura quasi feudale, che collega le
varie tribù periferiche al sovrano. Questo sistema rende l’Afghanistan facilmente
conquistabile, ma difficilmente governabile: il Regno Unito decide di mettere un re
fantoccio, che però non ha autorità, e le tribù locali insorgono. A Kabul scoppia una vera e
propria ribellione (1841) che costringe l’esercito britannico a ritirarsi verso l’India.
La questione dell’Afghanistan nasce per proteggere i domini inglesi in India. Questo
dominio si è creato a partire dal sec. XVII grazie alla East India Company. Essa si è
assicurata il controllo della parte mediana dell’India, oltre che del Bengala, dove la EIC
impone i suoi sovrani locali e si fa pagare i tributi. Con l’India Act del 1784 il Parlamento da
ai funzionari della EIC il compito di occuparsi di questioni economiche e finanziarie,
mentre quelle politiche e militari sono affidate a funzionari del governo. Il sistema fiscale si
basa sulla tassazione dei redditi provenienti dalla coltura della terra e, in caso di mancato
pagamento, le terre venivano messe all’asta. Questo sistema porta alla concentrazione
delle terre nelle mani di pochi proprietari terrieri, che introducono colture specializzate,
destinate alla commercializzazione sul mercato europeo. Nel corso dell’Ottocento gli
inglesi si espandono anche nelle coste della Birmania e nel Rangoon, fino ad arrivare al
Punjab. All’espansione territoriale corrisponde un’espansione della burocrazia, che porta
soldati e funzionari ad arrivare in India. Gli inglesi portano avanti un processo di
civilizzazione, dove tutti sono uguali davanti alla legge (cosa che va in contrasto con il
sistema indiano delle caste) e vieta alcuni rituali religiosi. Questo porta allo scoppio di una
violenta insurrezione nel 1857. L’insurrezione sembra sopraffare gli inglesi in un primo
momento, anche se con l’arrivo di rinforzi quest’ultimi riescono a reprimerla. Ciò
nonostante, il governo scioglie l’EIC nel 1858 e il governo dell’India è affidato ad un
Dipartimento di stato. Il governatore, che prende il nome di viceré, deve rendere conto al
segretario di Stato per l’India, che è parte del governo centrale del Regno Unito. Uno dei
primi provvedimenti è migliorare la rete telegrafica e ferroviaria. Viene potenziata la
burocrazia e aumenta il numero di soldati per evitare altre insurrezioni, e viceré e
governatori non tentano più di modificare usi e costumi della civiltà indiana.
I territori indiani in possesso dei Paesi Bassi sono controllati dalla Compagnia olandese
delle Indie Orientali, che viene sciolta nel 1800 a causa dei debiti. Nel 1824 il neocostituito
Regno dei Paesi Bassi riordina le modalità di gestione della colonia, senza però modificare
il prelievo forzato dei beni agricoli. Questo sistema di sfruttamento porta ad
un’insurrezione contadina (1825) che gli olandesi ci mettono 5 anni a reprimere. Nel 1830
viene introdotto dunque il sistema delle colture, con il governo olandese che da la
possibilità ai contadini di non pagare imposte in denaro, ma di sostituirle concedendo 1/5
della loro terra a coltivazioni indicate dal governo. Intorno a metà Ottocento, però, gli
amministratori olandesi iniziano a chiedere anche prestazioni lavorative ai contadini,
favorendo lo scoppio di rivolte isolate.
La Cina a metà Ottocento è l’Impero più popolato al mondo (400.000.000 abitanti) nonché
ricco di diverse fedi religiose (buddismo, taoismo, confucianesimo); la politica si basa sulla
figura sacra dell’imperatore e su una complessa burocrazia sostenuta dai suoi funzionari
(mandarini). La Cina ha scelto di chiudersi a eventuali penetrazioni commerciali europee,
lasciando aperto solo il porto di Canton. Questo, però, fa si che il paese rimanga
tecnologicamente indietro. Ciò è evidente quando, nel 1839, scoppia un caso diplomatico
con la Gran Bretagna. L’industria tessile indiana entra in crisi (a causa della concorrenza
di quella inglese, superiore grazie ai nuovi macchinari) e si inizia a non coltivare più il
cotone, ma il tè, l’indaco o il papavero. Da quest’ultimo si ottiene una droga, l’ oppio, che
viene venduto dai contrabbandieri inglesi a gruppi criminali cinesi attraverso il porto di
Canton. I danni sono anche economici, oltre che di salute, perché sul contrabbando non si
pagano tasse o dazi. Il governo cinese, nel 1839, fa bruciare 1300 tonnellate di oppio, e
ciò da adito ad una violenta reazione britannica che sfocia nella prima guerra dell’oppio
(1840-42). I britannici attaccano militarmente la Cina e conquistano l’isola di Hong Kong,
oltre ad un risarcimento e all’apertura di altri 4 porti commerciali. Nel frattempo, nel 1850
scoppia una delle più grandi rivolte di sempre. Hung Hsiu-Ch’uan fonda la Società degli
adoratori del Cielo, che professa idee del confucianesimo ma anche di derivazione
cristiana (l’uguaglianza, la redistribuzione delle proprietà terriere). Nella Cina post Guerra
dell’oppio, questa ideologia ha un gran successo soprattutto tra i contadini poveri, che si
uniscono e conquistano Nanchino nel 1853, fondando un proprio regno, nel quale
vengono abolite la proprietà privata, l’oppio, l’alcol e ridotte le imposte. Queste misure
allontanano dal movimento alcuni imprenditori e proprietari. La svolta definitiva avviene nel
1856 quando scoppia una seconda guerra dell’oppio, che coinvolge inglesi e truppe
francesi (che miravano all’espansione in Indocina). La guerra si divide in due fasi: la prima
(1856-60), approfittando della rivolta di Hung, porta truppe inglesi e francesi ad entrare a
Pechino; la seconda fase (1861-64) vede collaborare il governo cinese con le truppe
straniere per reprimere la rivolta. Il governo cinese, però, è piegato a quelli occidentali:
deve pagare 300 tonnellate d’argento alla Gran Bretagna e alla Francia.
Il Giappone, ancor più della Cina, è chiuso a qualsiasi tipo di infiltrazione europea. Al
centro c’è la figura dell’imperatore, capo spirituale e religioso, anche se il potere politico è
in mano allo shogun (il massimo dignitario imperiale, controlla direttamente ¼ del paese e
i restanti ¾ in forma indiretta, attraverso 250 capi locali, i daimyo). La popolazione è per lo
più di contadini, mentre commercianti e artigiani sono ai margini, poco apprezzati dall’etica
giapponese. Nel 1853 delle navi da guerra statunitensi si recano in Giappone per chiedere
l’apertura commerciale dei porti. Lo shogun si vede costretto ad aprirne due, perché in
caso di guerra le più avanzate tecnologie americane l’avrebbero sopraffatto. Nel 1858
apre altri porti per Gran Bretagna, Russia e Francia, suscitando un malcontento tra
samurai e daimyo che nel 1867 si ribellano, deponendo lo shogun e confiscando le sue
proprietà. Viene nominato imperatore Mutsuhito di appena 15 anni, e l’obbiettivo che il
governo si pone è quello della modernizzazione del paese, per evitare ciò che è successo
in Cina. Dal 1869 inizia un processo di riforme: tutti i cittadini sono uguali davanti alla
legge, i samurai entrano nella burocrazia, viene introdotto l’obbligo di istruzione
elementare e viene formato un esercito nazionale. Viene creata una religione di Stato, lo
scintoismo, che viene utilizzata a scopo politico: l’imperatore discenderebbe dalla divinità
del sole, e quindi nasce un culto nei suoi confronti. Vengono finanziate le imprese
industriali, con l’acquisto di macchinari occidentali.
L’Australia, prima usata dal Regno Unito come luogo di deportazione per i propri
carcerati, nell’Ottocento diventa meta di immigrati. Le terre vengono sottratte alle
popolazioni aborigene e si praticano allevamento (soprattutto pecore) e agricoltura. Il vero
boom avviene nel 1851 quando si scoprono dei giacimenti d’oro e la popolazione, in cerca
di fortuna, tenta di colonizzare anche la Nuova Zelanda (processo più lento causa
presenza dei maori).
Il Canada è controllato dal Regno Unito dopo la Guerra dei Sette anni, e i coloni si
spingono a ovest creando, nel 1867, la Confederazione del Canada.
Il Sudafrica era stato sottratto dagli inglesi alla Compagnia Olandese delle Indie Orientali
nel 1795, creando dissapori tra i nuovi amministratori e i coloni, che non riconoscevano gli
inglesi come capi. Qui era diffuso l’allevamento di bestiame e le piantagioni di canne da
zucchero. Inoltre, nel 1867-1886 vengono scoperti giacimenti di diamanti e di oro.
Eccezion fatta per il Sudafrica e l’Algeria, il resto dell’Africa, fino agli anni ’70
dell’Ottocento non è luogo di colonizzazione, ma più di esplorazione. Man mano che si
raccolgono informazioni cresce l’interesse economico delle potenze europee per
quest’area.
All’interno dei partiti socialisti ci sono diverse visioni della finalità e della lotta politica. In
Germania, Eduard Bernstein fa notare come in realtà le condizioni retributive di una parte
degli operai siano notevolmente migliorate. Per questo, il Partito socialdemocratico non
deve puntare subito alla rivoluzione sociale, ma ad ottenere riforme che migliorino le
condizioni di vita operaie, se serve anche collaborando con altri partiti democratici. A
questa visione “riformista” si contrappone la linea radicale di Karl Liebknecht e Rosa
Luxemburg, che sostengono la necessità di una rivoluzione immediata. A mediare queste
due posizioni, Karl Kautsky: attendere i tempi naturali della rivoluzione non in modo
passivo, ma tentando di migliorare le condizioni degli operai.
All’interno del Partito operaio socialdemocratico Russo (nato nel 1898) si sviluppano due
posizioni: una (minoritaria, quindi detta menscevica) sostiene le posizioni moderate di
Kautsky; l’altra (maggioritaria, dunque bolscevica) che, capeggiata da un trentenne Lenin,
sostiene la necessità di una rivoluzione immediata. Alla fine, i bolscevichi si separeranno
dai menscevichi fondando il Partito operaio socialdemocratico (1912).
Un’altra esperienza diffusa è quella del sindacalismo-rivoluzionario: essi sostengono che
l’unico modo di far scattare una rivoluzione siano gli scioperi generali, capaci di bloccare
l’intera società e di mostrare la forza delle masse operaie.
In Gran Bretagna, una parte degli operai si avvicina al liberalismo di Gladstone, mentre
alcuni nutrono simpatie per i conservatori. Nel 1883 nasce la Social Democratic
Federation basata sui principi del marxismo, ma che ottiene pochissimo successo. Di
diversa caratura è la Fabian Society (1884), nata con una visione gradualistica
dell’avvento del socialismo, e che sostiene che tutte le trasformazioni che porteranno ad
una società socialista debbano avvenire in una cornice parlamentare e costituzionale. Pur
non diventando mai un partito politico, la Fabian Society ha una grande influenza
nell’opinione pubblica. Grande influenza ce l’hanno anche i sindacati operai: riconosciuti
legalmente con il Trade Unions Act (1871) essi collaborano col Partito Liberale, che fa
eleggere alcuni sindacalisti alla Camera dei Comuni. La crisi del Partito Liberale negli anni
’90 porta un sindacalista, James Keir Hardie, a fondare l’Independent Labour Party (1893).
La loro carriera politica non parte bene, ma con le repressioni degli scioperi, la debolezza
del Partito Liberale e l’insofferenza del Partito Conservatore a approvare norme a favore
degli operai, essi guadagnano consensi. Si riorganizzano nel Labour Representation
Comitee e stringono un accordo elettorale politico segreto col Partito liberale, riuscendo a
far eleggere 29 candidati nel 1906. Il partito diventa Labour Party e presenta un
programma moderatamente riformista.
Negli Stati Uniti la principale organizzazione sindacale è l’American Federation of Labour
(1886), che ha un carattere apolitico e non punta ad una rivoluzione, ma organizza molti
scioperi in modo efficiente. Nel 1901 nasce il Socialist Party of America, che non riesce a
ottenere successo (miglior risultato il 6% di voti) per tre ragioni: innanzitutto la presenza di
due partiti di massa (repubblicano e democratico) radicati e con un buon seguito; in
secondo luogo, la divisione interna alla classe operaia, a causa della sua multietnicità;
infine, il mito della mobilità sociale che cozza col movimento socialista.
Molto spesso, però, ai confini tra le colonie si sviluppano degli scontri tra le potenze. E’ il
caso, ad esempio, della tensione tra Russia e Regno Unito per l’Afghanistan. Nel 1878 gli
inglesi vi inviano un corpo di spedizione di 400.000 uomini ma, presi alla sprovvista dalle
continue ribellioni e dagli eserciti tribali, sono costretti a ritirarsi (1881). Nel 1885 la Russia
si spinge verso sud inglobando alcuni territori afghani: la diplomazia britannica riconosce
queste conquiste ma blocca l’espansione sul nascere. Un accordo definitivo si raggiunge
nel 1907, con l’Afghanistan considerato una sorta di “stato cuscinetto”.
Un’altra crisi scoppia nel 1898 in Sudan tra Francia e Regno Unito. I britannici, guidati da
Horatio Kitchener, dopo aver riconquistato una parte del Sudan si erano spinti a Sud,
verso le foci del Nilo. I francesi, intanto, si erano mossi dal Congo francese e avevano
creato un forte a Fashoda per evitare che i britannici si spingessero oltre. Quando
l’esercito inglese arrivò a Fashoda, si fu sul punto di una crisi diplomatica: per evitare la
guerra contro una potenza bellica superiore, i francesi fecero ritirare l’esercito.
I britannici nel frattempo hanno occupato il territorio della Rhodesia, a nord dei due stati di
Transvaal e Orange, controllati dai boeri (cittadini di origine olandese, fuggiti dalla Colonia
del Capo una volta che è diventata britannica). In Transvaal vengono scoperti dei
giacimenti d’oro che i commercianti inglesi provano a sfruttare, ma il governo locale
impone loro pesanti tasse. Nel 1895 una spedizione militare britannica prova a inglobare i
due stati boeri, fallendo. La tensione non si placa, e nel 1899 vengono emessi due
ultimatum, uno per parte: è guerra. La guerra si protrae più a lungo di quanto speravano
gli inglesi (1899-1902), e i boeri combattono sfruttando per lo più azioni di guerriglia. Il
Regno Unito inizia a ordinare repressioni di grande brutalità: esecuzioni sul campo e la
nascita dei primi campi di concentramento. Alla fine, Transvaal e Orange entrano a far
parte dell’Unione sudafricana.
Nel frattempo, a Cuba (colonia spagnola) scoppia una rivolta indipendentista nel 1895, che
viene repressa ma non placa le ostilità. Gli Stati Uniti decidono di intervenire militarmente
in ottica espansionistica, e approfittano dell’esplosione di un loro incrociatore fermo
all’Havana, la cui colpa viene attribuita agli Spagnoli. La guerra dura da febbraio a
dicembre 1898, e la Spagna, sconfitta, riconosce l’indipendenza di Cuba (solo formale,
sotto il protettorato USA) e agli Stati Uniti le Filippine, Porto Rico e l’Isola di Guam. Anche
nelle Filippine scoppiano rivolte indipendentiste, represse con violenza. Gli USA si
schierano a fianco di una secessione di Panama dalla Colombia (1903) per assicurarsi il
diritto di costruire e sfruttare il canale di Panama.
Il Giappone avvia una politica di espansione territoriale, attaccando la Cina per il controllo
della Corea (1894). Dopo solo un anno di guerra, la Cina è sconfitta, costretta a pagare
un’indennità di guerra al Giappone, Taiwan annesso al Giappone e la Corea dichiarata
indipendente (anche se molto legata economicamente al Giappone). Questa vittoria
favorisce lo sviluppo dell’economia e delle aziende metallurgiche e siderurgiche
giapponesi. Anche la Russia, però, sembra interessata alla Corea, e si scontra col
Giappone nella battaglia navale di Tsushima, perdendo (1904).
In un accordo del 1904, la Francia riconosceva il protettorato britannico in Egitto, mentre il
Regno Unito promette di sostenere diplomaticamente eventuali azioni francesi in Marocco.
L’imperatore tedesco Guglielmo II, però, in uno scalo a Tangeri tiene un discorso alla
popolazione marocchina, parlando di un “grande stato sovrano e indipendente”. Nasce
una crisi diplomatica che viene parzialmente risolta, ma si ripresenta nel 1911, quando la
Francia interviene in Marocco per risolvere delle insurrezioni, ma la Germania si presenta
con una cannoniera davanti al porto di Agadir. Alla fine, interviene la Gran Bretagna, alla
Germania viene riconosciuto un pezzo di territorio e la Francia può continuare le
operazioni militari in Marocco.
Una delle difficoltà più grandi è mantenere il controllo sulle colonie, dove periodicamente
scoppiano insurrezioni, dovute alla riscoperta delle proprie radici religiose e alla volontà di
un’identità autonoma da parte delle popolazioni colonizzate. Uno dei paesi più in difficoltà
è il Regno Unito: nel 1881 in Sudan, Muhammad Ahmad, un religioso musulmano, si
proclama una sorta di “messia” per guidare le popolazioni alla libertà. L’appello, che ha il
carattere della jihad, funziona: nel 1884/85 la capitale Karthum viene conquistata. Qualche
mese dopo, Ahmad muore, e l’esercito inglese inizia un’opera di riconquista che viene
completata nel 1898 grazie anche alla superiorità bellica. Sempre in quegli anni, in
Somalia Britannica iniziano delle azioni di guerriglia, comandate da Mohammed Abdullah
Hassan e che durano dal 1899 al 1920. Anche in Egitto si sviluppa un movimento
nazionalista, che affonda le radici nel modernismo islamico.
Da anni le risorse della zona persiana sono suddivise tra Regno Unito e Russia (che
rinnovano l’accordo nel 1907). Questo atteggiamento non è molto gradito dalla
popolazione locale, in particolare dalle massime autorità musulmane dell’area, che nel
1890 danno vita ad un vero e proprio movimento politico e iniziano a sabotare il tabacco
nazionale. Nel 1906 questo movimento impone al sovrano locale, lo shah, una
Costituzione che prevede un Parlamento e l’Islam come religione di Stato. È un evento
temporaneo. Nel 1911 l’esercito russo pone fine alla vicenda, anche se la Persia non
tornerà mai del tutto sotto il suo controllo.
In India, alla regina Vittoria viene conferito il titolo di imperatrice (1876). Nello spirito di una
collaborazione coi britannici, nasce il Congresso nazionale indiano, un’associazione
politica animata da indiani colti e letterati. Al suo interno però si sviluppa, a inizio XX sec,
una corrente indipendentista che porta alla scissione del movimento (1907) e a diverse
condanne da parte dei britannici. Nel frattempo, iniziano a muoversi anche le élite
islamiche indiane, che si uniscono nel 1906 nella Lega musulmana.
Tra il 1883-85 la Cina ha provato a bloccare l’espansione francese in Vietnam, fallendo.
Dopo la sconfitta contro il Giappone e la condanna a pagare una pesante indennità di
guerra (1895), la Cina si rivolge alle potenze europee per domandare finanziamenti. I
prestiti arrivano, ma la Cina deve permettere ad alcune nazioni (Russia, Germania, Regno
Unito, Francia) di costruire basi sul territorio. La popolazione locale è insofferente contro
gli stranieri europei, e tutto ciò convoglia nei boxer (società segrete). Le loro proteste
culminano con l’uccisione dell’ambasciatore tedesco a Pechino (1900), e vengono
represse. Nel frattempo, però, il potere imperiale è sempre meno potente e nel 1911 con
un colpo di Stato si forma la Repubblica cinese, che ben presto diventa una dittatura. Alla
morte del suo capo, però (1916), essa va in frantumi, creando grandi disordini in Cina.
25. Alleanze e contrasti fra le grandi potenze
Le principali fratture delle alleanze in Europa sono: Francia-Germania (contrasti dovuti
alla cessione di Alsazia e Lorena dopo la guerra franco prussiana, 1870-71); Austria-
Ungheria e Russia che si scontrano per il possesso dei Balcani; Regno Unito e
Germania, con quest’ultimi che tentano di pareggiare la potenza navale inglese.
Per isolare la Francia, Bismarck sigla un accordo politico-militare (Lega dei tre
imperatori¸1873) tra Austria-Ungheria, Russia e Germania. Dopo la crisi dell’Impero
Ottomano, però, si comprende che gli interessi di Austria e Russia sono troppo
contrastanti. Tra il 1875-76 scoppiano rivolte violentemente represse in Erzegovina,
Bosnia, Montenegro e Bulgaria, e la violenza con cui gli ottomani trattano i cristiani fa eco
nell’opinione pubblica europea. Nel frattempo, con un colpo di Stato Abdul Hamid II
prende il potere nell’Impero Ottomano (agosto 1876), promettendo una Costituzione per
tentare di calmare le acque anche con le potenze europee. La Russia dichiara guerra agli
ottomani per “difendere i fratelli slavi” nei Balcani e l’Impero, dopo solo un anno, viene
sconfitto, con le truppe russe che arrivano ad Istanbul. Nella pace che viene firmata (1878)
si riconosce l’indipendenza di Serbia, Montenegro e Romania, e la Bulgaria diventa uno
stato satellite russo. Gli stati europei non tollerano la presenza russa nei Balcani, l’Austria
mobilita l’esercito: sta per scoppiare una guerra, quando Bismarck convoca una
conferenza a Berlino (1878). Qui, si diminuisce la dimensione del Principato di Bulgaria, la
Bosnia-Erzegovina diventa un protettorato austriaco e Cipro viene ceduta al Regno Unito.
La Russia non rinnova la “Lega dei tre imperatori”, mentre Germania e Austria-Ungheria
sì. Ad esse si aggiunge l’Italia nel 1882, creando così la triplice alleanza, un trattato
difensivo. Non è una scelta facile visto la grande rivalità con l’Austria soprattutto nel
Risorgimento, ma l’Italia vuole reagire all’occupazione Francese di Tunisi (1881), che
Depretis riteneva area di influenza italiana. La triplice alleanza viene rinnovata di anno in
anno fino al 1914. Nel frattempo, Bismarck firma un trattato di non aggressione segreto
con la Russia (1887), che viene però revocato da Guglielmo II (1890). La scelta si rivela
un errore: nel 1894 la Russia sigla un trattato di mutua protezione con la Francia: i due
paesi non hanno interessi comuni in Europa (alla Francia non interessano i Balcani) né
nelle colonie; ed entrambe temono molto la Germania. La Germania tenta inoltre un piano
di potenziamento della marina (1898) per poter competere col Regno Unito. Quest’ultimo
sigla nel 1904 un patto con la Francia (Entante Cordiale) che risolve i contenziosi coloniali,
e nel 1907 è l’ora dell’intesa anglo-russa. I due schieramenti sono ora completi: triplice
alleanza (Germania, Austria, Italia) da un lato; triplice intesa (Russia, Inghilterra, Francia)
dall’altro.
L’Impero Ottomano, nel frattempo, crolla. Nel 1881 i francesi occupano Tunisi, nel 1882 gli
inglesi l’Egitto. Il sultano, dopo aver revocato la Costituzione ed essere stato sconfitto dai
Russi, decide di fare appello all’islam, per rafforzare il proprio potere, favorito anche dal
fatto che tutte le potenze con cui si scontra (es. Russia) sono cristiane. In realtà, si
sviluppano comunque molti movimenti nazionalisti e di opposizione interna. Dopo la rivolta
di Creta il sultano è costretto a riconoscergli una certa autonomia (1897). Ma ciò che più
spaventa è il movimento nazionalista armeno, che possiede un suo organo religioso ed è
formato da persone colte, talvolta anche funzionari ottomani. Il sultano decide di usare la
violenza: le rivolte del 1894-96 a Samsun e Trebisonda sono represse nel sangue
(200.000 armeni uccisi) e nel 1909 nella città di Adana ne vengono uccisi altri 15/20.000.