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STORIA DELLE RELAZIONI ECONOMICHE INTERNAZIONALI

Sommario
1 INTRODUZIONE.........................................................................................................................................2
2 IL MODELLO ECONOMICO E SOCIALE DEGLI STATI UNITI.........................................................................7
3 L’ECONOMIA DELL’UNIONE SOVIETICA E DELLA RUSSIA........................................................................12
3.1 ECONOMIA DELLA RUSSIA E DEI PAESI DELL’EST............................................................................16
4 ASIA E AFRICA.........................................................................................................................................19
5 LA GLOBALIZZAZIONE.............................................................................................................................21
6 L’EUROPA DOPO IL 1945 (3° CAPITOLO VALLI).......................................................................................27
Tabella 83-84..............................................................................................................................................29
7 PROCESSO DI INTEGRAZIONE ECONOMICA EUROPEA (PAG 100 VALLI).................................................30
8 GERMANIA (PAG 112 VALLI)...................................................................................................................34
9 ECONOMIA ITALIA 2020 E PREVISIONI 2021 (NOTA SUI MATERIALI).....................................................35
9.1 Il colpo sull'occupazione.................................................................................................................36
9.2 Gli strumenti UE: bivio cruciale.......................................................................................................36
10 FRANCIA E INGHILTERRA....................................................................................................................42
11 IRLANDA, SPAGNA E PORTOGALLO.....................................................................................................44
12 ITALIA..................................................................................................................................................44
patrimonio storico-artistico italiano, la qualità della gastronomia e la capacità di adattarsi......................49
13 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE NEI PRIMI 20 ANNI DEL NOSTRO SECOLO........................................49
14 CRISI ECONOMICHE E RISPOSTE ALLE CRISI........................................................................................49
15 ASPETTI CULTURALI DEI PAESI ORIENTALI (LIBRO VOLPI)...................................................................51
16 GIAPPONE...........................................................................................................................................52
17 STRUTTURA DELL’INDUSTRIA GIAPPONESE........................................................................................54
18 LA CINA...............................................................................................................................................59
- la creazione delle Township and village enterprises,..........................................................................63
18.1 LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE NEL MONDO...........................................................................64
19 TAIWAN E COREA DEL SUD.................................................................................................................65
20 INDIA...................................................................................................................................................67
21 ENERGIA.............................................................................................................................................69
22 ISRAELE...............................................................................................................................................71
23 AMERICA DEL SUD..............................................................................................................................72
24 PAESI ASIATICI....................................................................................................................................74
*1° Rivoluzione industriale (seconda metà del 700) e 2° (1870).................................................................74

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1 INTRODUZIONE
LEZIONE 1 - 14/09/2020

LE PREVISIONI DI CRESCITA DEL 2020

I CONTI PUBBLICI

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Nel giugno 2020 c’è stato un calo del Pil del 4,9% causa covid, di fatto ci sarà anche una
maggior contrazione del PIL mondiale, l’impatto sul mondo del lavoro sarà catastrofico e si
tenderà a lavorare in modo diverso con smart working e telelavoro.
Per scuole e università questo è una certezza di perdita di conoscenza.
Abbiamo avuto una forte delocalizzazione di fattori da paesi sviluppati a paesi in via di sviluppo.
Si cerca di attuare un reshoring cioè tornare ad investire nel proprio paese e bisognerà vedere se
si concretizzerà questa cosa o no.
Graficamente abbiamo un uguale ordine di grandezza tra PIL dell’UE e degli USA. Riguardo il
PIL della Cina negli ultimi 20 anni c’è stata una crescita formidabile e ha portato il singolo
paese ad avvicinarsi progressivamente al PIL degli USA.

Riguardo il PIL pro capite i paesi dell’UE ce l’hanno più basso di quello degli USA.
Il PIL pro-capite è l’indicatore generalmente utilizzato per esprimere il livello di ricchezza per
abitante prodotto da un territorio in un determinato periodo, consentendo di operare confronti
tra aree di dimensione demografica diversa.
Definizione: Il Prodotto interno lordo pro capite di una regione è calcolato rapportando il
PIL espresso ai prezzi di mercato alla popolazione residente nella regione.
In ambito internazionale è misurato in Standard di Potere d’Acquisto (SPA o PPS), per depurarlo

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dall’influenza delle diverse monete e da quella dei diversi poteri di acquisto.
È dunque il PIL che assicura lo stesso potere nell’acquisto di merci ad ogni moneta dei Paesi in
esame.
La valutazione delle dinamiche dell’indicatore in termini di posizionamento possono essere colte
dalla lettura del numero indice rispetto alla media UE

LEZIONE 2 - 15/09/2020
Il Valli ci permette di vedere 3 filoni importanti:
- i casi nazionali (es. l’economia francese),
- gli scenari globali (muta per le interazioni che esistono fra sistemi economici nazionali),
- le grandi questioni un po’ trasversali (es. la questione energetica, le tematiche
ambientali, i flussi migratori).
Analizziamo i grandi quadri dal 900 ad oggi.
La Prima guerra mondiale: i sistemi, le potenze, le economie che sono le più potenti. Il
mondo occidentale è la forza più potente, ha consolidato la propria egemonia. I due grandi
poli sono gli Stati Uniti e l’Europa occidentale.

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Dal punto di vista politico i paesi dominanti su scala mondiale sono Inghilterra e Francia, che
hanno grandi imperi coloniali e quindi dominano sui continenti extra europei dell’Asia e
dell’Africa.
Questo sistema occidentale regge fino alla Prima guerra mondiale, dopodiché viene sconvolto
e dilaniato da due terrificanti conflitti e mille tensioni e contraddizioni e quindi si lacera e i
rapporti di forza nel 1945 sono decisamente cambiati in confronto a quelli del 1913 e 1914.
Per cui dal 1945 c’è solo un polo dominante, ovvero gli Stati Uniti. L’Europa ha perso la sua
egemonia quindi (anche quella politica).
Nel 1945, gli Stati Uniti si trovano poi ad avere come competitor l’Unione Sovietica (negli anni
’20- 30 è un paese isolato), più precisamente il Blocco Sovietico.
Tra il 1945 e 1989/1991 parliamo di mondo bipolare, perché l’Unione Sovietica controlla metà
dell’Europa. Il bipolarismo influenza quindi Africa e Asia ma è un bipolarismo da nord del
mondo. In questa contrapposizione a livello ideologico, L’Unione Sovietica non è un
competitor a livello economico, ma a livello politico e militare.
Dal punto di vista delle relazioni economiche noi osserveremo quelle all’interno del mondo
occidentale.
Dal 1989 con la caduta del muro di Berlino e lo scioglimento dell’URSS c’è la fine del mondo
bipolare e quindi c’è la fase della globalizzazione; nel sistema economico globale entrano
come protagonisti nuovi paesi, tra i più importanti la Cina e l’India (insieme fanno quasi 3
mld di popolazione). Avevano avuto ruoli importanti anche paesi come la Corea del Sud.
Quindi vengono meno le linee di divisione tra blocchi ed abbiamo quindi un mondo
multipolare con nuovi protagonisti.
Queste sono le tre fasi che dobbiamo tenere a mente (1913-1945, 1945-1989/1991,
1989/1991- oggi).
Riguardo il tasso di crescita fino al 1913 crescono lentamente i paesi africani, più velocemente
paesi come Europa occidentale, questo fino agli anni 50. Dal 1950 al 1973 gli USA hanno una
buona crescita ma è più lenta rispetto a quella del Giappone e della Germania. Dal 1973 al 1992
il Giappone rallenta la sua crescita, questo dovuto anche alla crisi petrolifera. Dal 1992 in poi
nell’era della globalizzazione c’è un mondo molto integrato e non più bipolare, emergono i
colossi dell’Asia (Cina e India).

Dopo il 1950 nel mondo bipolare abbiamo avuto nel mondo occidentale una competizione di
mercato dove c’è una messa in discussione dell’egemonia degli USA perché i paesi alleati
(Germania e Giappone) crescono di più. Questa competizione si complica, perché irrompono
sulla scena Cina e India. Gli Stati Uniti il pericolo che sentono di più è quello cinese. L’Africa è la
grande esclusa da questa dinamica economica in quanto ha tassi di crescita del PIL pro-capite
costantemente più bassi. E’ molto arretrata, molto in difficoltà ma è inserita nel mondo
globale.

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Esaminiamo le singole realtà nazionali.

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2 IL MODELLO ECONOMICO E SOCIALE DEGLI STATI UNITI
Questo modello si costruisce quando gli USA si costruiscono come nazione, cioè dalla metà
dell’800 fino alla Prima guerra mondiale. La dichiarazione d’indipendenza è del 1776 e dopo la
guerra contro gli inglesi nascono gli USA ma sono colonie quindi la nascita degli USA avviene nel
secolo successivo secondo la dimensione territoriale, tramite la conquista e l’acquisto di nuovi
territori. Ad esempio, nel 1803 gli USA comprano la Louisiana (ex colonia francese), nel 1867 il
governo degli USA compra dalla Russia l’Alaska; riguardo le conquiste, conquistano il Texas a
metà 800 dal Messico, più precisamente nel 1846/1848. Nel 1848 un pioniere scopre dei
giacimenti d’oro, quindi si scatena la corsa all’oro in California ed è una spinta forte alla
colonizzazione della California. Nell’epoca in cui il baricentro degli USA è molto atlantico, nel
1861/1865, il presidente di allora Lincoln negli anni della guerra civile, fa approvare due
importanti atti legislativi come la costruzione della linea ferroviaria coast to coast e una legge
che assegna le terre del west (in realtà solo lotti significativi), che vengono considerate terre
demaniali, ai coloni che le vanno ad occupare e le coltivano e questi ultimi si fanno riconoscere i
diritti e ne diventano proprietari.
Questa costruzione territoriale rimanda ad un concetto importante che è quello di frontiera.
Quando gli USA si ingrandiscono la frontiera si sposta verso l’ovest, quindi il primo è un concetto
di frontiera mobile, il secondo concetto indica terre selvagge da conquistare in cui andare a
vivere presenta grandi opportunità da un lato ma grandi rischi dall’altro. Le terre di frontiera
mettono alla prova il coraggio del cittadino degli USA (il coraggio/il peso dell’individuo). Nella
frontiera gli individui sono soli nonostante ci siano i villaggi e le comunità, l’individuo solo deve
difendersi da solo, deve avere le armi, le armi sono un diritto dell’uomo della frontiera per
difendersi perché il governo è lontano (Washington).
Gli USA si ingrandiscono come territori e come popolazione (dal 1850 alla 1°GM si è
quadruplicata) perché è in grado di poter ospitare persone provenienti dall’Europa. Da un lato
economico questi tipi di ingrandimenti portano ad una grande crescita del mercato. Le persone
che ci stanno non stanno stretti e non c’è sovrappopolazione. Gli individui che arrivano, arrivano
dall’Europa e sono tendenzialmente poveri e hanno possibilità di successo partendo da una
condizione di povertà e si può costruire un futuro, di fatto è una società che dà delle
opportunità. Nei decenni successivi sarà un po’ meno così, di fatto si parlerà di ascensore
sociale ovvero c’è la possibilità che chi parte dalla povertà può arrivare al ceto medio o anche ad
essere ricco, e negli USA l’ascensore sociale funziona molto. Più la struttura si irrigidisce nei
decenni successivi più le possibilità di successo si abbassano. I fattori legati alla mentalità e alla
cultura sono modi per leggere i sistemi economici nazionali e per leggere i successi e gli
insuccessi di un sistema economico nazionale, per cui i fattori extraeconomici ci servono per
capire l’andamento dell’economia.
Questa popolazione che diventa sempre più numerosa non è mai abbondante, una buona parte
della popolazione è la forza lavoro; la forza lavoro è scarsa rispetto alle tante possibilità di
impiego in quanto il suo costo è elevato, difatto la domanda di lavoro supera l’offerta di lavoro.
Le conseguenze sono livelli retributivi alti e quindi il cittadino americano può avere un accesso a
beni molto più alto in confronto agli altri paesi del mondo, quindi ha un reddito pro-capite assai
più elevato e come lavoratore costa caro all’imprenditore, per cui sono necessarie le strategie
di investimento labour saving che risparmino lavoro ovvero l’investimento in macchinari, per

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cui dato l’alto costo del lavoro è necessaria la meccanizzazione del lavoro, e questo favorisce la
produttività che è maggiore rispetto a quella degli altri paesi europei.
Le imprese puntano sulla meccanizzazione, quindi un mercato interno molto largo favorisce la
produzione su vasta scala. Gli USA nel tardo 800 diventano un paese segnato dalla presenza di
grandi imprese, quindi è un sistema dove le grandi imprese hanno più potere. Per cui si afferma
l’oligopolio. Nel contesto degli USA abbiamo l’affermarsi del taylorismo/fordismo; Taylor
(ingegnere) diventa uno studioso dell’organizzazione del lavoro operaio e dice che la massima
produttività dell’operaio possa avvenire tramite l’uso di macchinari, infatti il lavoratore in modo
molto elementare grazie al macchinario ripete le stesse cose. Ford produce automobili e capisce
che per l’automobile in quel contesto di mercato si può avviare una produzione di serie su larga
scala e che bisognerà produrne tante perché la domanda sarà elevata. Nel 1908 Ford lancia il
modello T (modello standardizzato) di automobili adatte per il ceto medio e pochi anni dopo
introduce nel suo stabilimento di Detroit la catena di montaggio (Five dollars for day= era una
paga dignitosa per la working class) puntando sulle economie di scale, incrementi di
produttività, riduzione dei costi unitari di produzione, prezzi del prodotto standardizzato
contenuti (in modo che sia sempre meno un prodotto di elitè ma più alla portata di tutti i
cittadini americani). Data l’alta produttività i salari sono alti e danno accesso a livelli di consumo
soddisfacenti, di fatto lo scambio è tra un lavoro che ti spreme e da poca soddisfazione ma è
pagato bene ed è sicuro e ti dà la possibilità di consumare di più. Abbiamo un ceto medio anche
nelle campagne e possono permettersi di comprare l’automobile.

LEZIONE IN PRESENZA - 21/09/2020


Per sviluppo economico si intende la crescita economica. Abbiamo infatti alle spalle una grande
crescita economica cioè una cosiddetta aspirazione allo sviluppo. Questo sviluppo ha avuto
caratteristiche specifiche, questo sviluppo ha generato una grande aspirazione allo sviluppo. Per
quanto riguarda l'aspirazione possiamo dire che gli esseri umani aspirano a stare meglio e
quindi sono importanti le risorse disponibili. L'indicatore per stare meglio è il PIL. Il PIL da solo è
stato inserito nell'indice di sviluppo umano il quale è composto da PIL, durata media della vita
(più è alta per un paese più le sue condizioni igienico-sanitarie sono migliori) e l'istruzione.
Porteremo la nostra attenzione su come i singoli paesi si sono sviluppati, quindi i processi di
sviluppo nazionali per macroaree. Quando analizziamo lo sviluppo sono importanti i modelli di
sviluppo ad esempio l'innovazione tecnologica, il capitale umano, la dotazione di risorse
naturali. Nello sviluppo c'è un binomio fondamentale: il mercato (le dinamiche di mercato) e il
ruolo dello Stato (le politiche economiche). Questi processi di sviluppo portano a modelli
economico-sociali: Il primo è il modello economico sociale capitalistico (dalla prima rivoluzione
industriale in avanti). Il mix di diversi fattori hanno portato gli studiosi ad identificare modelli
capitalistici diversi fra loro, ad esempio quello degli Stati Uniti è diverso da quelli italiano
tedesco e svedese. Nel corso del Novecento c'è stato un modello pianificato antitetico, quindi
un altro modello di sviluppo. Negli ultimi tempi abbiamo un modello che i cinesi hanno
chiamato economia socialista di mercato, seguendo un modello dell'economia pianificata. Nel
momento in cui lo stato utilizza i fondi sovrani (quindi le risorse monetarie) per risanare
un'impresa interviene nel sistema economico (in questo caso nel sistema delle imprese) oppure
utilizza il sistema della sanità o il sistema pensionistico oppure incide anche l'IRPEF e l'IVA e

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anche dove si spende e che equilibro c'è fra entrate e spese. È importante anche sapere quali
sono gli obiettivi che si dà lo Stato. I Fondi europei sono importanti e un tema è sapere come
spenderli, un modo per spenderli è spenderli per lo sviluppo. Un tipo di sviluppo importante è lo
sviluppo sostenibile quindi dedicato all'ambiente. Lo Stato sviluppista si pone l'obiettivo dello
sviluppo quindi di utilizzare al meglio le risorse per favorire lo sviluppo (un esempio è l'Unione
Sovietica che voleva far crescere il paese). Il tema della mentalità e della cultura è importante
per spiegare l'economia. Quella mentalità è funzionale allo sviluppo, lo spirito di
intraprendenza, lo spirito di iniziativa. Queste chiavi di lettura del programma guardano alle
imprese quindi consideriamo come le imprese si muovono quindi in quale contesto.

LEZIONE 3 - 22/09/2020
Riprendiamo il tema degli USA: tra i caratteri degli USA un carattere importante che permette
di arrivare alla prima guerra mondiale c’è l’importanza degli investimenti diretti esteri di
capitale i quali vengono investiti nel sistema economico americano, il quale lo abbiamo
descritto per alcune sue caratteristiche di fondo che sono: straordinaria ricchezza di risorse,
relativa scarsità di manodopera rispetto alle enormi possibilità di impiego, e sono inizialmente
anche poveri di capitale, per cui gli investimenti diretti esteri hanno un ruolo fondamentale
nella crescita degli USA fino alla prima guerra mondiale. Fino alla Prima guerra mondiale quel
modello si è strutturato.
Dopo la Prima guerra mondiale gli USA sono ancora molto dinamici ma ripiegati su sé stessi, non
esiste più una frontiera mobile che si ingrandisce, quindi la frontiera si è esaurita e iniziano a
usare una politica migratoria restrittiva e quindi stabiliscono delle quote sull’immigrazione su
chi far entrare e chi no, per cui si stabilisce il concetto di modernità. Per cui negli anni 20 gli USA
crescono ma hanno una battuta d’arresto nel 1929. La crisi del 29 è una crisi profonda come
quella degli anni successivi e non è solo una crisi finanziaria borsistica ma una crisi strutturale di
sistema perché il PIL cala del 40% tra il 1929 e il 1933. Dal 1933 c’è una ripresa, ma la vera
ripresa ai livelli pre-anni 30 si ha dal 1939-40. La crisi è aggravata dallo scoppio della
speculazione della bolla, ma è una crisi strutturale perché in quel momento c’è uno squilibrio tra
una grande offerta di beni sul mercato e domanda che è insufficiente. E’ un mercato
fondamentalmente interno che non esprime una domanda sufficiente, perciò le imprese
devono diminuire la loro produzione e per farlo licenziano i lavoratori e di fatto questi lavoratori
non percependo più uno stipendio non possono più permettersi di acquistare beni e questo
influisce negativamente sulla domanda e di fatto l’economia degli USA rimane in recessione per
4 anni.
Per uscirne il modo è cercare di rilanciare la domanda, ma la dinamica di mercato da sola non
riesce a esprimere una domanda adeguata. Di fatto entra in gioco la mano visibile, quindi lo
stato, infatti c’è un cambio di presidenza, viene eletto presidente Franklin Delano Roosvelt
(presidente del PD) che ha come obiettivo quello di sostenere la domanda tramite la spesa
pubblica, quindi usare denaro pubblico per cercare di creare lavori pubblici, quindi lo stato
americano compra eccedenze agricole aumentando la domanda in questo settore facendo in
modo che i prezzi dei settori agricoli non crollino, salvaguardando di fatto il reddito degli
agricoltori. Altro aspetto importante è come si pagano questi lavori pubblici; lo stato può
pagarli indebitandosi, infatti il bilancio dello stato può andare in deficit e questo comporta

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indebitamento. Abbiamo quindi il deficit spending, una politica economica che prevede il
disavanzo di bilancio e questo comporta appunto l’indebitamento, ma questo permette anche
di effettuare lavori pubblici che permette una ripresa del PIL americano. Questa politica è
cosiddetta politica “New Deal”, che si rifà alle politiche Keynesiane (economista), ovvero è
previsto l’intervento della mano visibile (erogando sussidi) ovvero l’ente pubblico che cerca di
correggere i fallimenti del mercato. La politica del new deal quindi supera principi rigidi come il
deficit di bilancio. In questo momento la priorità è rilanciare l’economia e non il vincolo di
bilancio quindi si può avere un deficit di bilancio. Negli anni 30 il modello keynesiano non
punta a diminuire le retribuzioni operaie, anzi devono essere buone perché i lavoratori sono
dei consumatori. Roosvelt ha nei sindacati statunitensi una base di sostegno elettorale forte.
Altro obiettivo sociale è la piena occupazione, infatti in questo paese che dava opportunità per
tutti ora si ritrova con un buon tasso di disoccupazione, quindi l’idea è il fatto che tutti
debbano avere un lavoro. Gli USA quindi si riprendono con questo tipo di politica, anche con la
situazione di guerra questo tipo di politica è portata avanti. Negli anni della guerra lo stato
deve essere rifornito di armi, quindi, c’è molta domanda di esse e quindi gli USA si occupano
della produzione di armi, solo che i soldati non possono essere impiegati come lavoratori,
quindi vengono impiegate per la produzione le donne e questo garantisce la piena occupazione
permettendo una ricrescita del PIL nel 1945 in misura maggiore rispetto al 1940.
Dopo il 1945 il modello USA diventa un modello da imitare molto più di quanto non lo fosse
stato prima. Molti industriali europei avevano visitato le fabbriche di Ford e quindi guardavano
come avrebbe potuto essere possibile introdurre strumenti americani nella loro economia. Gli
USA nella loro funzione politica di leadership sono molto disposti affinché il loro modello venga
seguito e quindi facilitano l’imitazione del loro modello. Danno aiuti economici col piano
Marshall, in quanto non faranno più distinzioni tra i paesi che sono stati alleati o nemici durante
la seconda grande guerra e tutti anche i nemici vengono aiutati come fossero alleati. Gli USA
sono disponibili a diffondere il loro know-how riguardo, ad esempio, la produzione che viene
assorbito da paesi alleati come Europa occidentale e Giappone. Questi ultimi crescono (anni 50-
60) quando è dominante il modello fordista che si diffonde in questi paesi, seguendo il modello
americano, i modelli europei diventano più moderni perché assorbono cultura manageriale
americana. Per esempio, i bambini europei giocano a indiani e cowboy e quindi vedono negli
USA il mito della frontiera. Dal punto di vista economico questo porta a una crescita dell’Europa
occidentale e del Giappone più rapida rispetto agli USA, infatti nel mondo occidentale si registra
una nuova competizione economica internazionale in cui le aziende americane subiscono la
concorrenza europea occidentale, per cui negli anni 60 gli USA che seppur continuano a
crescere, in confronto agli altri paesi europei crescono meno ed entrano più affaticati negli anni
70, infatti la loro leadership politica viene messa in discussione negli altri paesi del mondo e
quindi la posizione degli USA è criticata negli USA perché la popolazione non vuole andare a
combattere in Vietnam e ci sono altri competitor. Di fatto il presidente Nixon nel 71 sospende la
convertibilità del dollaro e dà quindi il via a un sistema di cambi fluttuanti a livello del sistema
monetario internazionale e dopo la fine del sistema di Bretton Woods, ovvero la svalutazione
del dollaro nel 1971 che avrebbe dovuto ridare un po’ più di competitività ai prodotti americani,
abbiamo nel 1973 la crisi petrolifera, di fatto il paese produttore di petrolio fa aumentare il
prezzo del petrolio contingentando la produzione, l’aumento del prezzo del petrolio nel 1973 è
uno shock perché rallenta la crescita economica nel mondo e porta a un aumento dei prezzi

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quindi l’inflazione nei paesi occidentali e nei paesi dell’est. Durante la piena occupazione, i
lavoratori occupati hanno maggior potere contrattuale in confronto ai datori di lavoro in
quanto può chiedere aumenti retributivi e in questa situazione i rapporti di forza sono più
favorevoli ai sindacati, quindi l’aumento dei costi del lavoro si scarica sull’aumento dei prezzi
così come l’aumento del prezzo del petrolio. Quindi gli anni 70 sono un oggetto di inflazione!!!
Quindi in questo periodo gli USA conoscono la fine di una grande crescita economica, quindi
viene messo in discussione il modello keynesiano e abbiamo le linee politiche economiche
neoliberiste, che ribaltano il paradigma keynesiano, le quali sono realizzate dal presidente Ronald
Reagan negli anni 81-89, con la sua politica reaganiana la quale è opposta a quella di Roosvelt
che prevede di non avere nessun rapporto privilegiato col sindacato, mano libera degli
imprenditori, riduzione delle imposte sui redditi più alti e sulle imprese, tutto questo con delle
conseguenze: ad esempio si taglia il welfare (spesa sociale=con il termine welfare aziendale
s'intende l’insieme delle iniziative di natura contrattuale o unilaterali da parte del datore
di lavoro volte a incrementare il benessere del lavoratore e della sua famiglia attraverso
modalità “alternative” alla retribuzione che possono consistere sia in somme rimborsate,
sia nella fornitura diretta di servizi, o in un mix delle due soluzioni. Es i buoni pasto, i
servizi di trasporto collettivo casa-lavoro, l’assistenza sanitaria integrativa, l’assistenza a
familiari o anziani non più autosufficienti, l’istruzione a rimborso ) e per bloccare l’inflazione
si aumenta il tasso d’interesse, che contribuisce ad aumentare il dollaro e a bloccare l’inflazione,
quindi è una politica economica restrittiva, quindi poi c’è un taglio alle imposte (diminuiscono le
entrate dello stato) che però non si traduce in una diminuzione della spesa pubblica, perché c’è
una componente della spesa pubblica ovvero la spesa militare la quale con Reagan raggiunge
livelli altissimi, in quanto in questi anni c’è ancora un mondo bipolare ove c’è un contrasto tra
USA e Unione Sovietica. Di fatto con questa politica il debito pubblico americano aumenta per via
di queste spese militari. Quindi gli USA anche per finanziare il debito pubblico devono attrarre
capitali, quindi questo favorisce la politica della Federal Reserve. Se il dollaro aumenta il suo
valore, diventa più costoso e per gli altri paesi come quelli europei diventa più difficile comprare
la merce americana. Negli anni 80 USA continua a essere importatori di beni prodotti all’estero, di
fatto anche con le reaganomics gli USA continuano ad avere concorrenza dall’Europa occidentale
e dal Giappone.
Negli anni 80 quindi nonostante il dollaro forte non viene recuperata produttività contro gli
altri paesi occidentali, a partire dagli anni 70/80 il settore più importante diventa il terziario in
quanto diventa una società post-industriale per gli USA. In questo periodo alcuni paesi degli
USA entrano in una decadenza sociale che portano ad un cambiamento nella struttura sociale
americana.
Quindi gli USA nei settori tradizionali perdono leadership e di fatto avviene una continua
integrazione dei mercati alla fine del ‘900 (quindi la globalizzazione). Questo perché i paesi
occidentali sono sempre più integrati economicamente. Le chiusure dei mercati negli anni 30
infatti si pensa che la chiusura dei mercati erano dovuti ai conflitti tra paesi, quindi c’è l’idea
forte del mondo occidentale che le economie si devono aprire. Solo che alcuni paesi come
l’Africa, l’America latina, la Cina e l’India non hanno la forza economica per integrarsi e per
giunta c’è anche il blocco sovietico. Con la fine del 900 non esiste più il blocco sovietico quindi i
paesi dell’ex blocco sovietico si inseriscono nel mercato mondiale come anche gli altri paesi
asiatici. In questa fase gli USA favoriscono l’integrazione, di fatto c’è un trattato fra USA, Canada
e Messico, il NAFTA (North America free trade agreement), ovvero accordo di libero
commercio fra questi tre paesi i quali abbattono i dazi doganali. Un altro effetto del NAFTA è

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che i prodotti industriali prodotti in Messico entrano negli USA senza avere barriere all’ingresso,
di fatto c’è la tendenza degli USA a delocalizzare le attività produttive in Messico perché lì il
lavoro costa meno che negli USA e poi vendono questi beni prodotti in Messico negli USA
avvantaggiati dal fatto che non ci sono barriere doganali (es. Toyota prodotta in Messico e
venduta sul mercato americano). Trump era fortemente contrario al NAFTA, infatti, ha
introdotto dazi doganali perché cerca di fermare un processo che è in corso da decenni, cioè la
perdita della leadership industriale degli USA. Oggi questa leadership viene minacciata nei
settori dei social, del 5G e ad esempio Tik Tok. Le azioni di Trump per la prima volta dal 1945
hanno messo in discussione l’idea di apertura e integrazione del mercato, collegato anche al
fatto che sembra che gli USA in alcuni segmenti patiscono la globalizzazione. Uno dei punti di
forza di questa economia è l’attenzione permanente all’innovazione tecnologica, più
precisamente la frontiera tecnologica. Alcuni studi dicono che questa sua capacità, ad esempio,
nell’informatica non era indipendente anche da una spesa pubblica, come quella militare per
esempio, la frontiera tecnologica è alimentata dalle imprese americane che investono in ricerca
e sviluppo, dall’istruzione, infatti le università americane all’avanguardia sono quelle che sono
in grado di attrarre cervelli dal mondo (anche se complessivamente le uni americano non sono
meglio di quelle europee). Un altro elemento importante è la critica del welfare che consente
agli USA di crescere anche se non come erano cresciuti negli anni 50/60, però c’è il problema
dell’aumento delle disuguaglianze, cioè si allarga il divario di reddito tra le persone più ricche e
quelle più povere. Quindi gli USA sono fortemente influenzati dalla concorrenza e quindi Trump
ha chiuso i mercati e ha enfatizzato l’acquisto dei prodotti, anche con alcuni slogan, ad esempio
“buy american”.

LEZIONE 4 - 28/09/2020

3 L’ECONOMIA DELL’UNIONE SOVIETICA E DELLA RUSSIA

Commento tabella aulaweb:

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Si fa vedere l’andamento del PIL pro capite in Unione Sovietica in confronto al PIL procapite
degli USA, quindi è un confronto tra l’andamento dell’economia russa e quella statunitense. Nel
1913 la Russia ha una popolazione maggiore di quella degli USA, il PIL è meno della metà di
quello statunitense e il PIL pro-capite è al livello del 28% di quello degli USA, quindi la Russia è
in fase di arretratezza. Dal 1917 al 1921 la situazione russa peggiora per via degli effetti
economici negative della Prima guerra mondiale e della guerra civile che segue la rivoluzione.
Nel 1928 il PIL russo rapportato a quello del 1913 è tornato ai livelli del 1913, ma nel frattempo
il PIL degli USA era cresciuto moltissimo perché si era mosso negli anni della Prima guerra
mondiale e negli anni 20 che erano stati positivi per gli USA fino alla crisi del 1929. Al 1928 il PIL
russo in rapporto al PIL statunitense è il 29% e il PIL pro-capite è il 20% rispetto a quello
statunitense. Il 1928 è un anno importante per fare questo confronto perché in Unione
Sovietica si lancia la politica economica dei piani quinquennali di Stalin (1928-1929), quindi
viene messo in atto il modello economico completamente alternativo opposto al modello
economico delle economie di mercato. Dalla tabella possiamo distinguere due fasi in cui
l’Unione Sovietica segue questa linea di pianificazione dell’economia.
Prima fase (1928-1973): Il PIL dell’Unione Sovietica è il 43% di quello statunitense nel 1973, il
PIL procapite nel 1928 era poco meno del 21%, mentre nel 1973 è il 36,5% di quello degli USA.
Nel 1973 dal punto di vista economico l’economia dell’Unione Sovietica è ben più debole di
quella degli USA perché il PIL totale è meno della metà di quello statunitense e il PIL pro-capite
è ancora inferiore nel 1973 quindi c’è ancora un divario economico netto fra USA e Unione
Sovietica.
Nel 1929 mentre l’Unione Sovietica lancia i piani quinquennali gli USA affrontano la loro crisi
del 1929, dopo la Seconda guerra mondiale l’economia americana conosce il boom della
golden age. Nel 1973, anno dello shock petrolifico, l’Unione Sovietica riduce le distanze
recuperando diversi punti percentuali di distacco di PIL, per cui si riduce il divario, questa
riduzione del divario la possiamo definire anche convergenza.
Convergenza e divergenza: considero due economie nazionali, le confronto e vedo se
l’economia più debole si avvicina a quella che stava meglio (convergenza), o se si allontana
(divergenza). In questo periodo storico di 45 anni c’è una convergenza tra l’economia
dell’Unione Sovietica e quella degli USA in termini di PIL e PIL pro capite, quindi i tassi di
crescita dell’economia che converge sono superiori ai tassi di crescita dell’economia che sta
avanti e si vede relativamente avvicinata.
Seconda fase (1973-1991): quando l’Unione Sovietica finisce di esistere c’è un andamento
opposto, quindi c’è divergenza tra andamento dell’economia Sovietica e di quella
statunitense, che prosegue fino al 1991, anno in cui l’Unione Sovietica, crolla, si frantuma e
finisce la sua esistenza.
Questi dati statistici ci dicono come l’economia pianificata ha avuto alcuni decenni in cui ha
funzionato come efficacia per raggiungere i suoi obiettivi per poi bloccarsi e funzionare sempre
meno bene. Per spiegare i periodi della convergenza (1928-1973) partiamo da alcuni concetti:
questo è un modello in cui l’offerta e la domanda non esistono con la logica dell’economia di
mercato. L’offerta nel sistema economico di mercato è determinata dalle strategie degli attori

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economici che producono beni e servizi, nel sistema economico dell’economia pianificata
l’offerta è determinata dallo Stato che determina cosa produrre e in quali quantità. La
domanda nel nostro sistema eco è determinata dal potere d’acquisto dei consumatori, e il
potere d’acquisto dei consumatori è determinato dal loro reddito, quindi il PIL pro capite. Poi
abbiamo anche le scelte dei consumatori quindi l’orientamento dei consumatori, che è libero
ma può anche essere condizionato, infatti nel modello dell’economia pianificata non c’è una
libertà di scelta, le scelte dei consumatori partono dalla necessità di ciascun individuo di
soddisfare alcuni bisogni ma nell’economia pianificata i bisogni sono decisi politicamente, e
sulla base di queste scelte politiche abbiamo la scelta di come allocare le risorse per creare una
produzione tale da soddisfare i bisogni determinati dal potere politico, quindi è lo stato stesso
che lo pianifica. Quindi è un modello nel quale la domanda e l’offerta di mercato non
esistono. Questo modello è complesso perché questo vertice politico deve organizzare una
struttura burocratica estremamente articolata che fissa obiettivi di produzione per soddisfare
quei bisogni considerati importanti dal potere e per fare in modo che il sistema articolato di un
grandissimo paese sia in movimento per raggiungere gli obiettivi della pianificazione che
vengono definiti in piani quinquennali, in questo modo tutto il sistema produttivo che è quasi
totalmente controllato dallo Stato obbedisce a delle indicazioni di piano che dice quanto
bisogna produrre. Ad esempio, per far crescere la produzione ci devono essere maggiori
quantità di trattori e macchine agricole e fertilizzanti chimici, quindi i pianificatori devono
decidere quali sono le risorse da mettere a disposizione delle industrie dei trattori, delle
macchine agricole e dei fertilizzanti chimici per raggiungere quegli obiettivi integrati nel piano.
La decisione dell’allocazione delle risorse è centralizzata così come quali bisogni sono da
soddisfare in via prioritaria. Questo sistema consente una possibilità, cioè il potere riesce ad
allocare le risorse, a stimolare, a sviluppare i settori che ritiene importanti per lo sviluppo del
paese. Questo rimanda a pensare ai settori strategici per lo sviluppo economico di un paese, i
quali sono le forze militari, la tecnologia. In un’economia di mercato il successo del portare
avanti fattori strategici è dato dall’interazione tra imprese private e amministrazione pubblica,
nell’economia pianificata la definizione degli obiettivi strategici è più semplice, come ad
esempio garantire lo sviluppo industriale di un paese, dove ha molta importanza nei piani la
produzione di beni di investimento. Altro elemento importante è la produzione di armamenti,
infatti l’Unione Sovietica vuole rafforzarsi ulteriormente quindi la potenza militare è strategica.
Dopo la Seconda guerra mondiale l’Unione Sovietica compete con gli USA nel settore militare
nonostante il PIL inferiore, e compete nel settore missilistico per la corsa allo spazio. I risultati in
questo settore sono di straordinaria rilevanza sia per Unione Sovietica che per USA. Tra queste
due superpotenze vi è una competizione equilibrata e l’Unione Sovietica riesce a competere
con gli USA nonostante un PIL più debole perché alloca risorse in un settore considerato
strategico. Per quanto riguarda i beni di consumo c’è una forte differenza tra i due sistemi, nel
sistema dell’economia di mercato il soddisfacimento della domanda di beni di consumo è
affidato al meccanismo della concorrenza tra imprese, le quali sono in concorrenza tra di loro
per soddisfare meglio la domanda dei consumatori. Il modello sovietico non prevede questa
concorrenza quindi lotte di prezzo tra produttori in competizione fra di loro (di difendere le
quote di mercato), ma punta sulle economie di scala, quantità di prodotto predeterminato dallo
Stato e su prodotti molto standardizzati, quindi non c’è innovazione dei prodotti, quindi i beni
di consumo vengono prodotti con meno attenzione e non raggiungono i livelli qualitativi dei
beni di consumo prodotti nel sistema eco occidentale, quindi nel sistema delle economie di

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mercato. I cittadini dell’Unione Sovietica fanno un confronto e vedono una notevole differenza
qualitativa a vantaggio dei beni prodotti in occidente.
Sono soddisfatti nel sistema sovietico i bisogni di base. Tra i bisogni di base c’è il posto di
lavoro (non il mercato del lavoro), e quindi l’Unione Sovietica prevede con la pianificazione il
pieno impiego delle risorse (anche se non sempre efficiente), quindi non c’è disoccupazione,
quindi i cittadini trovano lavoro. Il livello di istruzione tende ad essere buono, seppur
controllato in materie più sensibili (ad esempio un professore di storia economica doveva dire
che il modello sovietico era perfetto e l’altro faceva schifo dato che c’era stata la crisi del 29.
Anche se negli anni 50 il modello eco occidentale era il migliore, il docente era costretto a
nascondere questo). Per arrivare alla definizione degli obiettivi di piano non c’era un processo
solo top-down (dall’alto al basso) e nemmeno bottom-up. Quindi c’era un’interlocuzione col
direttore dello stabilimento siderurgico in cui gli venivano dati gli obiettivi di piano, e quindi
non c’era solo un mero percorso di imposizioni dall’alto, ma c’era qualche interlocuzione
(contrattazione tra il direttore e lo stato che gli concedeva lo stabilimento) che diventa più
diffusa quando diminuisce il terrore e l’imposizione che viene dall’alto. Questo meccanismo
funziona negli anni 30 ma dopo la Seconda guerra mondiale funziona meno perché il potere
dell’Unione Sovietica non deve spremere troppo i cittadini che lavorano anche per avere
consenso politico, quindi io potere politico ti garantisco un lavoro, ma ti garantisco anche di
non spremerti come un limone nel processo produttivo, quindi ti lascio la possibilità di
prendertela con calma. Inoltre, mancano gli incentivi ad aumentare la produttività perché è
un sistema che non premia in modo particolare chi produce di più, mentre il modello
economico occidentale è premiante perché si basa sul fare carriera, sul guadagno personale,
invece il sistema sovietica è molto più rigido, e i sistemi di incentivazione degli individui sono
più deboli. Nel caso dell’Unione sovietica il tema della produttività viene affrontato
efficacemente nei primi decenni della pianificazione perché si parte da livelli di produttività e
meccanizzazione così bassi che questo considerare la meccanizzazione strategica fa sì che la
dotazione di beni strumentali a disposizione dei lavoratori aumenti molto generando degli
automatici aumenti della produttività del sistema. Superata questa fase mancano elementi
che rendono stimolanti il sistema occidentale, infatti a partire dagli anni 70 il sistema
economico occidentale rallenta la sua crescita, ma nel sistema sovietico vediamo un
accartocciarsi su sé stesso, in quanto qualcosa non funziona e si allarga la divergenza. Negli
anni 80 USA e Unione Sovietica sono ancora in competizione fra loro, la spesa militare è forte
per entrambi ma la sopportabilità per la spesa militare è maggiore per gli USA, infatti Reagan
spende molto per gli armamenti, l’Unione Sovietica anche spende molto per gli armamenti (per
la guerra in Afghanistan). Quindi abbiamo il collasso di questo sistema che non riesce a
modernizzarsi economicamente, infatti negli anni 80 in Unione Sovietica va al potere
Gorbaciov che cerca di riformare il sistema dal punto di vista politico lasciando libertà di
discussione e mandando quindi un messaggio importante agli altri paesi europei dell’est,
ovvero essi potranno discutere liberamente dell’Unione Sovietica ed essa non interverrà
militarmente per bloccare queste discussioni. Questo crea entusiasmo negli altri paesi perché
non vedono più una forma dittatoriale nell’Unione Sovietica. Quindi Gorbaciov ha un ruolo
importante ma non riesce a riformare il sistema sovietico dal punto di vista economico. Sulla
base di quello che vedono accadere in Unione Sovietica, la Cina dice che il modello di
pianificazione sovietica deve aprirsi al mercato e quindi Den Xiaoping introduce elementi di

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economie di mercato in quel modello con particolare efficacia ma non introduce alcun tipo di
riforma del sistema politico (come ha fatto Gorbaciov). Nel 1989 quando crolla il muro di
Berlino in Cina c’è un movimento che chiede più democrazia.
Tornando all’Unione Sovietica il modello collassa negli anni 80 e nel 1991 si dissolve l’Unione
Sovietica, quindi, finisce la fase del bipolarismo politico, quindi il modello dell’economia
pianificata lo vediamo realizzato con queste fasi nel 900. Il termine “modello” lo possiamo
vedere come sistema con le sue regole di funzionamento, e come modello da imitare, ad
esempio quello degli USA. Lo stesso modello lo possiamo adottare per il modello pianificato
dell’economia sovietica. Il modello dell’economia sovietica per un certo periodo per altri è un
modello, un esempio di come possono funzionare le cose. In una certa fase storica anche
l’Unione Sovietica quando l’economia pianificata sovietica funziona riesce a essere un modello
per paesi arretrati soprattutto, in cui elementi di pianificazione economica possono consentire
una crescita accelerata con possibilità di collocare risorse in settori strategici. C’è un ulteriore
elemento da considerare che è quello di marketing politico, in cui nella fase di competizione del
mondo bipolare ciascun paese ha i suoi propagandisti. Per es, in Unione Sovietica si poteva dire
che non c’era la disoccupazione. (libro Valli: Ascesa e declino dell’URSS e dell’Europa dell’est).

3.1 ECONOMIA DELLA RUSSIA E DEI PAESI DELL’EST


Negli anni 90 accade che il modello crolla e il crollo di questo modello coincide con la
globalizzazione e permette di avere successo al modello opposto, cioè alle economie di
mercato, quindi in questa fase la cultura neoliberista è quella dominante. Quindi la Russia viene
investita da questo cambiamento radicale e abbiamo una privatizzazione del sistema
economico, per cui la nuova leadership politica non è più quella del partito comunista sovietico,
subentrano nuovi leader e questi notabili (uomini del vecchio regime (Putin che era un agente
segreto inviato in Germania) che si riciclavano nel nuovo sistema) abbracciano l’idea della
privatizzazione, di conseguenza c’è una pesante infiltrazione della criminalità organizzata nel
sistema russo. Per cui nel 1995 c’è una stima internazionale che dice quanto venga dal settore
privato del PIL russo, che è il 55%. Oltre il processo di privatizzazione, l’economia russa si apre al
mondo globale e quindi subisce la concorrenza del mondo globale e quindi non essendoci più
quel sistema economico che non prevedeva concorrenza, i soggetti dell’economia russa come le
industrie pubbliche dell’est europeo entrano in una fase di concorrenza pessima, perché i
consumatori russi in quel periodo cercano i beni di qualità. L’apparato produttivo della Russia
oltre a vivere la fase della privatizzazione è investito dalla concorrenza terrificante per cui ci
sono molte aziende che falliscono ed esplode la disoccupazione che non esisteva in quel sistema
(al massimo sottoccupazione, che avevano un lavoro e facevano poco), quindi gli anni 90 nella
Russia post Unione Sovietica e nei paesi dell’est europeo sono anni durissimi perché c’è una
transizione da un’economia pianificata a un’economia di mercato. Nel caso cinese questa
transizione è stata diretta con pugno di ferro dal governo cinese, invece nel caso russo questo è
avvenuta in un forte cambiamento politico.
LEZIONE 5 - 29/09/2020
L’economia pianificata mostra i suoi limiti a partire dagli anni 70 in quanto cresce più
lentamente e si trova in una situazione politica radicalmente diversa in cui cambia il regime, e si
trova quindi in un nuovo sistema economico. La fase di transizione è particolarmente complicata

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in cui ci sono delle analogie in tutte le realtà dell’Europa dell’est e ci sono delle differenze da
paese a paese. In Russia c’è la privatizzazione delle imprese statali che avviene rapidamente e in
maniera disordinata in quanto si impossessano di molti pezzi di questo apparato produttivo,
sono persone che sono legati ai centri del potere. Quindi c’è uno scossone del sistema
economico. Il 1989 è l’indice 100 ovvero l’anno di riferimento, agli inizi degli anni 90 questa fase
di transizione ha degli effetti pesantissimi con un crollo della produzione e si blocca il sistema.
Nel 1993 il PIL della Russia è a 72%, quindi è calato del 28% rispetto a pochissimi anni prima, nel
2000 sono pochissimi i paesi che hanno recuperato e superato i livelli del 1989 tra cui Polonia,
Slovenia, Albania, Slovacchia, Ungheria e Repubblica Ceca, tutti gli altri paesi europei sono
indietro e non hanno ancora Recuperato i livelli del 1989.

Per cui questi sono stati anni abbastanza travagliati con l’emergere della disoccupazione, forte
aumento dei prezzi, l’inflazione è forte e nel 1992 è al 1500% in Russia per cui il potere d’acquisto
della moneta si azzera praticamente (si svaluta) e quindi il rublo non viene più usato negli scambi
e si torna ad utilizzare il baratto. La situazione si risolverà solo alla fine del 900 quando il rublo
verrà ritirato e verrà sostituito con un nuovo rublo il quale vale 1000 rubli vecchi che non
valevano più nulla, quindi c’è una fortissima inflazione e una grande confusione.
Nei paesi dell’Europa orientale ci sono delle analogie, per esempio nella Germania dell’est (che
aveva il modello pianificato come l’URSS) va detto che è inglobata/assorbita dalla Germania
occidentale, quindi l’economia della Germania est è investita dal cambiamento in cui ci sono
privatizzazioni e liquidazioni di imprese, il tasso di inflazione diventa subito molto alto, però
ormai fa parte della Germania unificata che è lo stato economicamente più forte d’Europa.
Per quanto rimangono ancora forti oggi dei divari fra est e ovest in Germania abbiamo comunque

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un forte intervento del governo federale che migliora la rete infrastrutturale della Germania est,
quindi contribuisce a rendere meno dura questa fase di transizione.
In paesi come Polonia e Ungheria ci sono alcuni paesi che avevano avuto limitate aperture
all’iniziativa privata nel settore agricolo che avevano generato elementi di mercato in cui la
pianificazione non era così rigida, in cui i manager delle aziende avevano maggior autonomia
nell’allocazione delle risorse e c’era una politica di incentivi. Per cui da questo punto di vista
c’era una vitalità maggiore e una capacità maggiore di muoversi in un contesto che stava
cambiando.
Altro elemento importante nell’andamento economico di questi paesi che favorisce la transizione
all’economia di mercato è quello degli investimenti diretti esteri il quale fa sì che il tessuto
socioeconomico di questi paesi sia poi maggiormente pronto a reagire positivamente nel
contesto nuovo degli anni 90. Come vediamo i paesi dell’Europa orientale?? Sono mercato di
sbocco per prodotti dell’Europa occidentale perché l’economia dell’Europa orientale è
un’economia che è stata definita economia della penuria di beni, perché i cittadini potevano
avere anche dei redditi (magari anche non altissimi), ma il sistema produttivo non era in grado di
soddisfare una domanda di consumo durevole che quei cittadini esprimevano. Quindi c’è una
capacità di consumo nell’Europa orientale e quindi ci sono subito dei mercati molto interessanti,
ad esempio quello che colpiva nella Germania dell’est dopo la caduta del muro di Berlino era la
circolazione delle macchine prodotte in Germania occidentale dato che la gente comprava
macchine che prima non era possibile comprare oppure le televisioni a colori che iniziavano a
comparire nelle case, quindi c’era la possibilità di penetrare in questi mercati. Inoltre l’Europa
dell’est era uno spazio molto importante per gli investimenti diretti esteri che potevano essere di
due tipi: di acquisizioni di quelle parti dell’apparato produttivo dell’Europa dell’est che avevano
dei pregi, ovvero imprese che necessitavano di essere ristrutturate ma rappresentavano un
valore, ad esempio Skoda era una grande impresa moderna all’inizio del 900 la quale rimane con
i suoi stabilimenti principale nella Cecoslovacchia ma è di proprietà del blocco sovietico,
successivamente con la privatizzazione viene acquisita da Volkswagen, quindi essendo
un’impresa che viene controllata rappresenta un investimento diretto estero dato che viene
acquistata da fuori. Secondo esempio è creazione ex novo (daccapo) di unità produttive. Le
ragioni di questi investimenti diretti esteri sono: andare a investire in mercati che cresceranno, il
costo del lavoro è particolarmente basso dato che anche il costo della vita è più basso, quindi ci
possono essere vantaggi competitivi che attirano gli investimenti diretti esteri nell’Europa
orientale. Il fattore lavoro oltre a costare meno ha anche un altro ruolo nel senso che ci sono
lavoratori qualificati (sanno fare il loro lavoro). Gli investimenti diretti esteri si dirigono in quei
paesi dove i governi creano rapidamente un sistema di regole in modo che chi va a investire non
si trova in un casino normativo, per cui non è un caso che siano proprio paesi che appartenevano
all’impero austro-ungarico ad avere un recupero economico. Gli investimenti diretti esteri sono
meno significativi in Russia perché ci sono degli elementi culturali di efficienza della burocrazia.
Altro elemento importante è l’ingresso di tutti questi paesi nell’Unione Europea. E’ un grande
vantaggio perché questi paesi essendo aree arretrate come PIL e PIL pro capite godono del fatto
di essere destinatari di politiche di aiuto che l’UE mette in atto per favorire lo sviluppo delle aree
arretrate dentro l’UE. Una parte del budget è finalizzata a realizzare interventi nelle aree
depresse basate su determinati parametri come PIL, PIL pro capite e tasso di disoccupazione. I
paesi dell’est quando entrano uno dopo l’altro nell’UE si trovano ad essere destinatari di questi
flussi di denaro per cui questo è un vantaggio, ad esempio l’Irlanda quando entra nell’UE (nel
1973) è un paese arretrato che riceve dei fondi europei specifici che sa usare molto bene e
questo è un fattore della forte crescita irlandese nel 900. La Russia non è ancora nell’UE e dal
punto di vista della cultura economica diffusa non è assimilabile alla Repubblica Ceca o

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all’Ungheria, perché era un paese molto povero che con la rivoluzione permette di avere dei
vantaggi sullo sviluppo economico ma non favorisce lo sviluppo imprenditoriale, per questo
motivo è un percorso molto diverso dagli altri due paesi. Putin che governa questo paese da
tanto tempo ha altri due terreni su cui deve muoversi, la politica estera di Putin è molto più
piccola ma è ancora molto forte militarmente seppur molto meno rispetto all’Unione Sovietica
mentre nell’epoca del bipolarismo la spesa militare era pari a quella degli USA, ora lo è meno.
Quindi la Russia è meno potente ma non vuole essere considerata di serie b quindi Putin è un
nazionalista russo che difende a modo suo gli interessi russi, come ad esempio nella tensione con
l’Ucraina o l’acquisizione della Crimea dove per la Russia sono scattate sanzioni di tipo
economico. Secondo elemento: la Russia si relaziona col mercato internazionale, quindi si
posiziona come grande esportatore di materie prime e prodotti energetici dal punto di vista
economico e quindi questo crea l’interesse dei paesi dell’occidente per il commercio. Per cui c’è il
bisogno di avere prodotti energetici sul mercato internazionale. I rapporti tra Russia ed Europa
occidentale sono difficili. Per la creazione del progetto del gasdotto russo-tedesco Nord Stream 2
realizzata da Putin per ottenere un vantaggio economico, potrebbe stravolgere gli equilibri
economici e geopolitici con gli altri paesi, una su tutte, Il governo statunitense di Trump non
vuole che entri in funzione l’approvvigionamento di materiale energetico dalla Russia perché
consolida le relazioni economiche tra Russia ed Europa occidentale, ma anche altri paesi come
l’Ucraina e Polonia che hanno altre opere di gasdotto con la Russia e per loro sarebbe uno
svantaggio per la creazione di questa nuova opera perché ridurrebbero la loro esportazione.
Questa è un’economia di forza per la Russia, ma oltre a questo non ha nient’altro da minacciare
l’Europa occidentale.
Dagli anni 90 in poi c’è un aumento delle disuguaglianze molto marcato dal punto di vista della
distribuzione del reddito all’interno dei singoli paesi. Altro elemento importante è il flusso
migratorio (come l’Albaaaa), dato che questi paesi si inseriscono con la loro forza lavoro in un
mercato del lavoro globale. Per cui si aprono questi flussi migratori dai paesi dell’Europa
orientale verso l’Europa occidentale, ad esempio un lavoro operaio qualificato (nel settore
dell’edilizia e della saldatura), o il lavoro domestico a domicilio.

4 ASIA E AFRICA
Ascesa economica relativa dell’Asia e declino economico relativo dell’Africa: anche qui
sono importanti i concetti di convergenza e divergenza economica.
L’Asia è un continente che si è avvicinato e che ha giocato un ruolo da protagonista, Asia e
Africa partono da due condizioni simili, fino alla Seconda guerra mondiale sono subordinati
dall’Europa e dagli USA, nella maggior parte dei casi sono colonie e non hanno conosciuto uno
sviluppo economico industriale moderno nel 800-900. L’esperienza del colonialismo europeo
non ha favorito lo sviluppo economico dei paesi colonizzati, l’ottica della potenza europea
coloniale era di sfruttare al meglio per sé stessa la colonia. Nella maggior parte dei casi il
colonialismo finisce dopo la Seconda guerra mondiale, quindi l’India diventa indipendente dopo
questo periodo, come la maggioranza dei paesi dell’Africa nera sotto il Sahara, l’Angola e il

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Mozambico (negli anni ‘70 contro il Portogallo). Questi paesi dopo la Seconda guerra mondiale
diventano indipendenti ed erano tutti economicamente arretrati ad eccezione del Giappone,
quindi a partire dal post Seconda guerra mondiale cercano di ridurre la distanza ma in alcuni
paesi come l’Africa subsahariana non si riduce la distanza. Tra il 1950 e il 1973 c’è una crescita
dei paesi asiatici che crescono ad un ritmo consistente come ad esempio il Giappone la cui
crescita si arresta negli anni 90, mentre le tigri asiatiche (Taiwan, Corea del Sud, Singapore e
Hong Kong) hanno una crescita che si mantiene forte per tutto il 900, la Cina ha uno sviluppo
diverso in quanto cresce con un tasso di crescita media annua del PIL del 5% e questo tasso di
crescita diventa ancora più elevato alla fine del 900 e all’inizio del 21esimo secolo. L’Africa
invece ristagna in quanto dopo la fase del colonialismo c’è un altro fenomeno che non favorisce
lo sviluppo economico dell’Africa che è il neocolonialismo cioè le vecchie potenze coloniali
continuano a esercitare pesanti ingerenze nei confronti dei paesi che sono diventati autonomi e
indipendenti. Questo neocolonialismo si accompagna a una debolezza delle classi dirigenti del
posto le quali non hanno la forza o l’interesse di promuovere delle politiche autonome di
sviluppo del paese.

LEZIONE 6 - 05/10/2020
L’Africa subsahariana è stata a lungo sottoposta a dominazione coloniale, (che ha interessato
anche il Nord Africa), che ha piegato gli interessi di quei territori a quelli della potenza coloniale
che dominava politicamente queste porzioni ampie di territorio africano. La dominazione
coloniale termina dopo la Seconda guerra mondiale a cui segue una fase di neocolonialismo in
cui le ex potenze coloniali continuano ad esercitare di fatto una pesantissima influenza
sull’economia di questi paesi i quali cercano di raggiungere un’indipendenza economica ma non
è facile. Il divario tra questa parte del mondo e il resto del mondo è andato ampliandosi negli
anni a causa dei condizionamenti del passato e soprattutto del fattore climatico, ovvero il
clima equatoriale che non è favorevole all’attività umana che viene rallentata. Inoltre dobbiamo
considerare l’aspetto culturale quindi la formazione e l’istruzione che in quei paesi sono molto
bassi (come sono bassi col PIL pro capite e l’indice di sviluppo umano) e quindi c’è una
debolezza del capitale umano e c’è un altro elemento importante che è il senso di appartenenza
civica (civicness) ad una comunità, quindi l’interazione positiva fra una comunità di cittadini e
l’amministrazione pubblica, quanto più c’è coesione amalgama (fusione) e senso di
appartenenza a una comunità, tanto più è forte questo senso di appartenenza civica, e questo è
un fattore socio-culturale fondamentale anche per lo sviluppo economico in quanto garantisce
un rapporto positivo tra pubblica amministrazione e cittadini. Ulteriore elemento importante è
la qualità della pubblica amministrazione e qualità dei gruppi dirigenti, quindi le élite (la parte
più autorevole) al potere. Il tema della qualità dell’élite è un altro elemento importante, in
quanto nell’élite i livelli di corruzione sono assai elevati e questo non favorisce la crescita
economica e lascia questa area del mondo in una condizione di persistente arretratezza relativa
e il gap con le altre aree del mondo è ben lontano dall’essere colmato. Ora consideriamo che
tutte queste aree del mondo sono inserite in un sistema globale e quindi sono in grado di
influenzarsi reciprocamente.

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5 LA GLOBALIZZAZIONE
La piena globalizzazione la collochiamo negli ultimi 30/40 anni la quale ha portato a grandi
cambiamenti politici, come ad esempio la fine del mondo bipolare. In tutto questo ci sono dei
precedenti: nella metà dell’800, due importanti pensatori comunisti, Marx ed Engels, nel 1848
guardano allo sviluppo industriale inglese e prefigurano e prevedono la capacità di influenza
globale che il modello economico capitalistico dell’economia di mercato ha (ne percepiscono
già una serie di segnali). Più tardi nel 1964 uno studioso di teoria della comunicazione di massa,
Marshall McLuan, parla di villaggio globale e quindi teorizza per primo un fenomeno che ha
avuto sempre più evidenza, cioè che tutti come villaggio siamo dentro lo stesso circolo delle
comunicazioni e delle informazioni; i media consentono di essere in un villaggio globale, come
ad esempio i grandi eventi sportivi come i mondiali di calcio o lo sbarco dell’uomo sulla luna,
l’attentato alle torri gemelle (2001), i quali attraverso la televisione hanno catturato l’attenzione
degli abitanti di questo villaggio globale. Un altro elemento da ricordare sempre è quello che
prevede rapporti di forza quindi di potere, per cui alcune aree sono più forti, quindi egemonia,
rispetto ad altre che invece sono subalterne, quindi questo nesso (rapporto) tra egemonia e
subalternità è una chiave di lettura importante che si lega ad un’altra chiave di lettura che ci
porta ad individuare nel sistema economico globale dei centri e delle aree periferiche.
Le caratteristiche economiche della globalizzazione sono: un mercato largo, per cui c’è
interdipendenza tra mercati diversi e produttori diversi, quindi i mercati si muovono da un
paese all’altro. In questa produzione della globalizzazione hanno un aspetto importante le
imprese multinazionali e le imprese transnazionali, quindi abbiamo imprese in grado di
esportare, imprese che all’estero aprono attività produttive, imprese transnazionali che non
possono essere più ricondotte a una sola area del mondo per la composizione del loro
azionariato e del top management. In questo contesto sono importanti anche gli investimenti
diretti esteri (foreign direct investment). Quindi imprese multinazionali, investimenti diretti
esteri, un mercato sempre più integrato e catene globali del valore hanno come conseguenza
una competizione che diventa globale. Accanto a questi elementi abbiamo anche elementi di
costume, sociali, culturali, di mentalità legati al flusso dell’informazione, per cui la
globalizzazione tende a omogeneizzare un mondo che è molto vario. Di fatto ha avuto negli
ultimi tempi una forza dirompente e apparentemente inarrestabile ma si scontrerà con delle

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resistenze, per esempio, in Cina le multinazionali ci sono ma le imprese occidentali non possono
muoversi liberamente in Cina e poi ci sono le critiche dei cittadini.
Elementi importanti: un primo elemento è quello del commercio internazionale che cresce
molto non solo perché cresce molto il PIL mondiale. La percentuale dell’export sul PIL mondiale
è il 4,6% nel 1870, il 7,9% nel 1913, il 5,5% nel 1950 per cui in questo periodo le economie sono
meno integrate rispetto a quanto non lo fossero nel 1913, dopo la Seconda guerra mondiale c’è
una grande spinta del commercio internazionale, per cui abbiamo il 10,5% nel 1973, il 17,2%
nel 1998, per cui verso la fine del 900 poco meno di 1/5 del PIL mondiale veniva esportato
(logistica di trasporto).
Altri grandi protagonisti sono le imprese che sono dentro la globalizzazione. L’es della
imprenditrice marchigiana che ha un’impresa che si occupa nel settore settile per l’Armani
con dipendenti alba/macedoni e Bangladesh e crea capi per venderli negli altri paesi
soprattutto in Cina.
Gli investimenti diretti esteri (IDE) al 2000 in termini di flussi (sono i capitali che vengono
investiti all’estero da un paese oppure che entrano in quel paese da altri paesi dell’estero) e di
stock (tutto ciò che si è accumulato nel tempo flusso dopo flusso), vedono al primo posto i
paesi anglosassoni (USA e Regno Unito), la Cina cominciava a comparire ma non era ai
primissimi posti. Questa classifica da vent’anni a questa parte è cambiata. I luoghi di partenza
degli investimenti diretti esteri sono luoghi di partenza in cui c’è stata un’accumulazione di
capitali, i paesi che ricevono capitali sono paesi in cui ci sono favorevoli condizioni di
investimento.

Gli investimenti diretti esteri sono legati al fenomeno delle multinazionali e possono assumere
il carattere di imprese transnazionali, quindi si va a vedere dove sono collocati gli asset, quali
sono le quote di mercato, quanta parte hanno le vendite all’estero sul totale del fatturato,
quanti sono gli addetti occupati all’estero sul totale degli addetti e la composizione
dell’azionariato.
Non abbiamo solo i movimenti di capitale legati agli investimenti diretti esteri, abbiamo anche
flussi di capitale che sono sempre stati legati all’economia finanziaria come ad esempio

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compravendita di azioni, prestiti a stati sovrani, acquisto di azioni e acquisto di titoli del
debito pubblico di stati sovrani. I flussi finanziari hanno avuto un peso crescente
nell’economia della globalizzazione come sia gli investimenti in titoli privati sia gli investimenti
in titoli pubblici.

L’investimento in titoli privati può rispondere all’esigenza/speranza di realizzare in tempi molto


rapidi dei guadagni significativi con un aumento del valore del titolo comprato. Questo è un tipo
di investimento che non presuppone nessun tipo di attaccamento all’investitore all’impresa in
cui si investono i soldi, denotano solo un interesse legittimo nel veder aumentato il valore
dell’azione in modo da poterla rivendere facendoci un guadagno significativo (capital gain o
plusvalenza).
L’investimento in titoli pubblici questo ha a monte il problema dei debiti pubblici, delle politiche
economiche delle amministrazioni pubbliche che cercano finanziamenti sul mercato
internazionale dovendo essere credibili come debitori, quindi devono avere un determinato
rating. Altro aspetto importante è il mercato del lavoro. Il mercato del lavoro è diventato molto
più largo, ma alcuni paesi come l’Italia erano inseriti nel mondo globale ma crescevano poco. La
precarietà del lavoro è un tratto distintivo molto più di quanto non fosse 40 anni fa in cui c’era
una maggior stabilità nei rapporti di lavoro. Questo mercato del lavoro globale si lega anche agli
andamenti demografici che sono diversi nel mondo. Nel 2020 ci sono state un po’ più di 100
milioni di nascite e un po’ più di 40 milioni di morti, per cui c’è stato un saldo positivo tra nascite
e morti di 62 milioni circa di persone (a inizio ottobre) quindi questi andamenti demografici
denotano come in alcuni paesi la popolazione cresce più rapidamente ed è anagraficamente più
giovane rispetto ad altri paesi dove la popolazione non cresce ed è più anziana, questo significa
che la disponibilità di trovare giovani persone che entrano nel mercato del lavoro non è uguale
dappertutto, e questo favorisce gli spostamenti di popolazione, per cui parliamo di mercato del
lavoro e flussi migratori: questi ultimi possono essere all’interno dei paesi o anche a livelli
internazionali. Questa tendenza della globalizzazione è una forza dirompente e che suscita
reazioni, in quanto c’è una tendenza ad abbattere le barriere e far circolare le persone ha alla
base delle tendenze demografiche diverse, degli squilibri economici fortissimi e ci sono poi
squilibri specifici in singoli mercati del lavoro globale che chiamano e favoriscono il movimento
di forza lavoro tutto ciò crea tensioni, c’è il tema dell’identità collettiva e della multietnicità

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nelle nostre società.
LEZIONE 7 - 06/10/2020
L’andamento della popolazione nel mondo e in alcuni paesi importanti: vi è una fortissima
crescita nella popolazione mondiale, il dato riferito al 2015 è un dato stimato, oggi si superano i
7 miliardi e mezzo di individui, nei prossimi anni raggiungeremo gli 8 miliardi. Nel 1980 c’erano
4 miliardi di persone per cui c’è stata una crescita demografica straordinaria. All’interno di
questa crescita abbiamo andamenti diversi a seconda dei paesi che consideriamo, nei paesi ad
alto reddito la crescita è assai meno sostenuta sia in numeri assoluti sia in tassi di crescita, la
crescita è particolarmente forte nei paesi a basso reddito con dei cambiamenti come ad
esempio in Cina dato che in questo paese la crescita è stata molto forte nel 900 ma è rallentata
nel 21esimo secolo, questo è stato dovuto alle politiche di controllo demografico del governo
cinese che sono state efficaci nel fermare la crescita cinese.

Nel 1980 la popolazione italiana registrava 56 milioni di abitanti, nel 1989 era di 58 milioni e
c’era una previsione di 55 milioni di abitanti per il 2015, invece oggi la popolazione italiana
supera di poco i 60 milioni di abitanti, questo perché è entrata in gioco una variabile che è
quella dei flussi migratori in quanto non era considerata per le dimensioni che è andata
assumendo, infatti secondo l’ISTAT la popolazione italiana al 01/01/2018 è esattamente 60
milioni e mezzo di abitanti dei quali gli stranieri residenti sono 5 milioni di persone che
equivalgono all’8,5% della popolazione italiana. Quindi c’è stato un significativo aumento del
flusso migratorio verso l’Italia. Gli stranieri residenti in Italia passano dall’1,4% nel 1990 al 2,2%
nel 1997 della popolazione totale, quindi abbiamo una crescita sostenuta dei flussi migratori in
Italia e la percentuale degli stranieri residenti in Italia dell’8,5% era già stata raggiunta dagli altri
paesi europei e dagli USA vent’anni, quindi l’Italia ha raggiunto livelli di immigrati analoghi a
quelli registrati da altri paesi da tempo.

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Gli stranieri residenti oggi a Genova sono 56.000 su circa 580.000 di residenti totali (anno
2018), quindi quasi il 10% della popolazione. C’è inoltre una quota non registrata di clandestini
del 10% rispetto agli stranieri registrati all’anagrafe. Di questi 56.000 stranieri residenti molti
provengono dalla comunità dell’Ecuador (13.500) e dell’Albania (quasi 6.000). Per ragioni
storiche c’è un movimento che dall’Ecuador si sposta verso l’Italia perché Genova è un mercato
che per queste persone offre degli sbocchi lavorativi. Questo è il cosiddetto fenomeno delle
catene migratorie.

Questi flussi si collegano col mercato del lavoro.

Per quanto riguarda il mercato del lavoro genovese, Genova non sta attraversando una fase di
crescita economica ma esprimeva una domanda nel settore delle badanti, inoltre abbiamo una
realtà in cui il numero degli anziani in Italia aumenta decennio dopo decennio perché la vita si
allunga, abbiamo un indebolimento o trasformazione dei nuclei familiari e quindi quel tipo di

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integrazione all’interno del nucleo familiare dei nonni è sempre meno presente. Il mercato del
lavoro può essere composto da altri sotto mercati del lavoro a seconda delle aree geografiche e
delle professioni (ad esempio quello dei piastrellisti, dei musicisti, degli insegnanti), quindi
l’analisi del mercato del lavoro può essere condotta guardando a specifici mestieri, settori e
aree territoriali. Quando guardiamo ai mestieri parliamo di lavoro in regola e abbiamo un
ventaglio retributivo che può essere anche significativo. Il mercato del lavoro diventa sempre
più concorrenziale e instabile, in quanto la forma di lavoro a tempo indeterminato è ancora la
forma dominante nel mercato del lavoro ma è affiancata da tante tipologie di contratti che
rendono in molti casi più precario il lavoro, inoltre abbiamo una differenziazione più marcata
tra lavori qualificati e lavori poco qualificati (bad jobs), quindi il mercato del lavoro ha avuto
queste trasformazioni con il diffondersi di questi bad jobs. Questa precarizzazione si lega anche
a una perdita di status di un ceto medio basso dato che ora c’è una situazione incerta dato che
non c’è una certezza di continuità di rapporti di lavoro. Questo mix di elementi, quindi, rende il
tema migrazioni così delicato in grado da generare tensioni da essere vissuto anche in modo
drammatico.

Riguardo le disuguaglianze economiche a livello internazionale, nel 2000 gli USA avevano il 4,5%
della popolazione mondiale e realizzavano il 22% del PIL mondiale, l’Europa occidentale aveva il
6,5% della popolazione mondiale e produceva il 20% del PIL mondiale, quindi
complessivamente questi paesi avevano l’11% della popolazione e il 42% del PIL mondiale, dal
lato opposto l’Africa aveva il 13% della popolazione mondiale e solo il 3% del PIL mondiale.
Abbiamo altri fattori significativi dal punto di vista dell’analisi socioeconomica, infatti in Cina e
in India ci sono centinaia di milioni di persone che hanno aumentato il loro reddito personale,
quindi si è affermato un nuovo diffuso ceto medio in paesi emergenti e questo ci mostra una
riduzione dei divari. In altri parti del mondo c’è un ceto medio che cresce e crea un benessere
che non è distribuito in modo omogeneo, quindi il divario tra gli estremi si ampia. Le
disuguaglianze quindi si possono leggere dentro ai paesi oltre che a livello globale, o anche
dentro aree regionali dello stesso paese come, ad esempio, un’analisi storica o economica delle
disuguaglianze in Italia tra nord e sud; poi abbiamo le disuguaglianze di genere tra uomo e
donna, e le disuguaglianze che guardano ai gruppi etnici. Le disuguaglianze in termini di reddito
sono misurate dall’indice di Gini (27,3 alla fine del ‘900 in Italia, gli altri paesi europei variano
tra 25-30, USA 40,8, Brasile 59) che va a vedere la distribuzione del reddito all’interno di una
data popolazione e tanto più alto è questo indice tanto più la distribuzione del reddito è
sperequata (diversa). Gli economisti fanno una serie di riflessioni sul rapporto che c’è tra la
distribuzione del reddito e l’impatto sul sistema economico, e sostengono che una domanda
diffusa è sostenuta se c’è reddito per tutti, ma se il reddito è concentrato nelle mani di pochi la
domanda complessiva immediata tende ad essere più debole; c’è chi difende questo modello
sperequato e dice che coloro che sono molto ricchi potrebbero investire. Quando la
disoccupazione aumenta ovviamente diminuisce la contrattazione dei lavoratori e viceversa se
c’è piena occupazione, i datori di lavoro hanno meno potere di scelta per quanto riguarda le
assunzioni.
Nel paragrafo successivo invece, abbiamo nella governance organismi sovranazionali come
l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite), Unione Europea, il Fondo monetario internazionale,
la Banca mondiale, la Banca centrale europea, l’organizzazione mondiale del commercio (World
Trade Organization). Riguardo le dinamiche di governance in Italia abbiamo il Parlamento e il

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Governo, i sindacati come ad esempio Confindustria. La governance deve tenere conto degli
orientamenti molecolari, quindi di milioni e milioni di individui/famiglie/imprese che si
muovono sul terreno economico. Nella globalizzazione questa complessità della governance
diventa ancora maggiore perché ci sono dei soggetti che sono i grandi Gruppi
nazionali/internazionali/investitori di capitali che influenzano pesantemente il quadro
complessivo e sono meno facilmente controllabili dai soggetti sopracitati che dovrebbero
garantire governance al sistema.

LEZIONE 8 - 12/10/2020

6 L’EUROPA DOPO IL 1945 (3° CAPITOLO VALLI)

Dobbiamo fare due considerazioni sull’andamento dell’economia europea:


La frammentazione politica dell’Europa deve tenere conto che fino al periodo fra il 1989 e il
1991 c’era una spaccatura politica dell’Europa con regimi politici ed economici diversi, solo dopo
gli anni 90 questa parte politica dell’Europa si apre e quindi c’è un processo di maggior
integrazione politica ed economica.Guardando all’Europa in generale, ma anche all’Europa
occidentale, all’indomani della seconda guerra mondiale esistevano differenze economiche
rilevanti fra paesi, l’Europa non era un’area omogenea, era un’area in cui le diversità fra regioni
dello stesso paese erano significative, quindi alcuni paesi come Regno Unito, Germania
Occidentale, Svizzera, Francia e Norvegia, avevano una percentuale inferiore di addetti
all’agricoltura rispetto alla percentuale di addetti all’industria, non era così per Italia, Spagna e
Portogallo in cui l’agricoltura era ancora un settore in cui lavorava il maggior numero di addetti.
Nel corso della seconda metà del 900 fino ad oggi ci sono quei processi di ridimensionamento
del settore agricolo in quei paesi in cui il settore agricolo all’indomani della Seconda guerra
mondiale era più forte e quindi portano a una maggiore omogeneità delle strutture economiche
dei diversi paesi, e quindi negli anni finali del 900 abbiamo un passaggio dal predominio del
settore secondario al predominio del settore terziario. Quindi questa terziarizzazione
dell’economia investe il continente europea quindi gli dà un’omogeneità strutturale ed
economica. Il catching up (la riduzione del gap (l’avvicinamento rispetto all’economia
statunitense)) fra l’economia europea e gli USA è significativa tra il 1950 e il 1990. Fino agli anni
70 questo catching up interessa sia i paesi dell’Europa occidentale che dell’Europa orientale.
Negli anni 70-80 la performance dei paesi dell’Europa orientale è meno brillante di quella dei
paesi dell’Europa occidentale, quindi per loro il processo di catching up agli USA si blocca,
continua invece l’avvicinamento agli USA da parte dei paesi dell’Europa occidentale. Quindi c’è
una riduzione del catching up tra il 1950 e il 1990. Questo avviene perché vengono introdotte in
Europa tecnologie avanzate e quindi abbiamo non solo una ricostruzione ma anche una
modernizzazione dell’economia europea con l’adozione di tecnologie più avanzate, con forti
incrementi di produttività di sistema che consentono di avere delle performance economiche
migliore degli USA. Nell’ultimo decennio del 900, gli USA vanno meglio rispetto all’Europa quindi
la distanza aumenta un po’. Facendo un confronto tra i dati del 1950 e quelli del 2000 il gap si è
ridotto. Quando si parla di introduzione di nuove tecnologie avanzate provenienti spesso dagli
USA abbiamo nell’Europa occidentale l’adozione di un modello che si era fermato da tempo, il
modello fordista (in Europa negli anni 50-60 golden age). Il fordismo è un modo per organizzare

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la produzione della grande fabbrica, produzione di serie, centralizzata e di massa. Per cui quella
fordista è una società in cui si sviluppano i consumi di massa centralizzati, quindi ci sono molti
più beni di consumo a disposizione delle popolazioni interessate. Altro elemento importante è
l’allargamento e l’integrazione dei mercati, abbiamo una fase in cui i paesi occidentali sono
integrati a livello internazionale perché alcuni paesi aderivano all’accordo sul commercio e i dazi
e a livello europeo con la CECA (Comunità europea del carbone e acciaio creata col Trattato di
Parigi del 18 aprile 1951 ) e la CEE (comunità economica europea 1957 Trattato di Roma firmato
da Belgio, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Germania occidentale). In questo periodo
che va dalla Seconda guerra mondiale a oggi individuiamo alcune fasi: la prima fase è quella
della ricostruzione, si entra in una fase di sviluppo molto forte negli anni 50 e 60 che termina nel
1973 (anno del primo shock petrolifero), la seconda fase in cui la crescita dell’economia dei
paesi dell’Europa occidentale negli anni 70-80 (rallentamento della crescita) è più lenta ma non
si ferma in confronto alla crescita tra il 1950 e il 1973. Quel fenomeno fa parlare molti
osservatori economici per la crisi degli anni ’70 la quale non è una recessione ma un
rallentamento della crescita molto forte. Questo secolo sono decenni di crescita molto lenta per
l’Europa, nel 2012 alcuni stati hanno una crisi legata a criticità dei conti pubblici e nel 2020 c’è la
crisi covid. Per cui gli ultimi 12-13 anni dal punto di vista economico sono stati tormentati.
Confronto tra l’andamento del PIL di alcuni paesi europei rispetto al PIL USA (indice 100) tra
1950 e 1990:
Tabella 83-84

nel 1950 il PIL della Germania ovest è un po’ meno del 15% del PIL degli USA, nel 1990 è
diventato il 21,6% del PIL statunitense, il PIL italiano nel 1950 è l’11% di quello USA ed è quasi il
17% del PIL statunitense nel 1990, il PIL francese è il 15% del PIL degli USA nel 1950 e il 18,5%
nel 1990, gli anni 90 registrano una crescita dell’economia statunitense maggiore di quella
degli altri paesi europei ma c’è una forte eccezione cioè il Regno Unito che ha un PIL equivalente
al 23,7% di quello USA nel 1950, al 17% nel 1990 e al 15,6% nel 1999. Nel 1995 il PIL pro capite
inglese era più alto rispetto al 1950. Facendo un confronto tra il PIL pro capite dei diversi paesi
europei rispetto al PIL pro capite statunitense Il PIL pro capite della Germania ovest è nel 1950 il
51% rispetto a quello degli USA. Nel 1990 il PIL pro capite dei tedeschi occidentali è il 97,5% di

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quello statunitense.

L’Italia nel 1950 ha un PIL pro capite del 36% del PIL americano, nel 1990 siamo al 73% del PIL
statunitense. L’Austria passa dal 39% del PIL degli USA nel 1950 al 76,8% nel 1990. Si manifesta
la società della produzione dei consumi di massa e gli stili e le mode diventano più simili.
All’interno dei singoli paesi europei le condizioni materiali di vita diventano sempre più simili,
c’è quindi un forte avvicinamento.

Nel 1950 gli USA del punto di vista economico erano superiori rispetto ai paesi dell’Europa
occidentale, alla fine del 900 questa superiorità non esiste più e gli USA non la recuperano più
rispetto all’Europa occidentale. Il discorso economico genera nella società americana un senso
di perdita di egemonia. Flash sulla campagna elettorale degli USA: Trump col suo slogan
“make America great again” evidenzia e ammette la perdita di supremazia totale degli USA, e
un desiderio di questo paese di tornare a primeggiare e l’abilità di Trump nel gestire un
messaggio e una comunicazione politica rispetto a pezzi di elettorato degli USA.

7 PROCESSO DI INTEGRAZIONE ECONOMICA EUROPEA (PAG 100 VALLI)


Ci sono delle importanti fondamenta politico-ideali, infatti nel 1941 furono protagonisti alcuni
italiani, tra cui Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, i quali trovandosi confinati nell’isola di
Ventotene in quanto oppositori del fascismo, scrivono questo manifesto per un Europa libera e
unita. I nemici di Rossi e Spinelli sono la divisione dell’Europa, in quanto i paesi divisi si sono
lanciati nelle due guerre mondiali che li hanno visti contrapposti con dei danni enormi e loro
volevano superare questa divisione politica dell’Europa che aveva portato alle due guerre
mondiali. Questo è un grande messaggio culturale che all’indomani della Seconda guerra
mondiale viene ritenuto importante da molte persone. Questo manifesto deve fare i conti con
la situazione reale dell’Europa all’indomani della Seconda guerra mondiale, infatti l’Europa è
suddivisa in due blocchi e quindi diventa impossibile immaginare l’Europa libera e unita negli
anni della Guerra fredda.
L’Europa dal punto di vista economico è molto fragile e per rinforzarsi ha bisogno di
integrazione, quindi se l’orizzonte del manifesto di Ventotene era un manifesto ideale, c’è una

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considerazione che si aggiunge dopo il 1945, ovvero i singoli paesi europei devono integrarsi gli
uni con gli altri per non essere troppo deboli economicamente, quindi chi governa i paesi
europei accettano di essere alleati degli Stati Uniti ma si muovono per rafforzarsi dal punto di
vista economico e questo ha un elemento importante nell’integrazione dei paesi europei. Quindi
c’è la nascita di un pensiero europeista che tiene conto della divisione dell’Europa in due
blocchi, della Guerra fredda (Fu definita guerra fredda la situazione di conflitto non bellico che
venne a crearsi tra due blocchi internazionali, generalmente categorizzati come Ovest (gli
Stati Uniti d'America, gli alleati della NATO (L'Organizzazione del Trattato dell'Atlantico del
Nord (in inglese North Atlantic Treaty Organization, in sigla NATO, è un'organizzazione
internazionale per la collaborazione nel settore
della difesa).ed i Paesi amici) ed Est (l'Unione Sovietica, gli alleati del Patto di Varsavia ed i Paesi
amici) tra la fine della seconda guerra mondiale e l'ultimo decennio del Novecento (circa 1945-
1991)., della leadership degli USA e si muove con un obiettivo economico funzionale,
realizzando l’integrazione fra paesi che hanno un denominatore comune. I denominatori
comuni sono l’appartenere all’Europa occidentale ed essere democratici. L’integrazione
interessa alcuni paesi dell’Europa occidentale, questo processo ha delle tappe, dei dialoghi e dei
risultati che sono i trattati fra paesi. Alla fine degli anni 40 i paesi dell’Europa occidentale si
confrontano fra di loro per trovare un accordo su come suddividere gli aiuti americani del
piano Marshall, per cui alcuni di questi paesi europei siglano degli accordi economici fra di loro,
il primo è il Benelux cioè un trattato di libero scambio con abolizione dei dazi doganali fra
Belgio, Olanda e Lussemburgo. Il processo viene sviluppato e diventano protagonisti di questo
processo la Germania occidentale, l’Italia e la Francia. Germania federale, Italia, Francia, Belgio,
Olanda e Lussemburgo stipulano nel 1951 un trattato che dà vita alla Comunità Europea del
Carbone e dell’Acciaio (CECA), il quale è un esempio di integrazione funzionale, dove non ci
sono dazi per cui il carbone della Ruhr (tedesco) può essere venduto in Francia. Per cui è un
organismo sovranazionale che viene creato per dare regole comuni a questi sei paesi nel settore della
siderurgia e del carbone e che prevede dei fondi di aiuti sociali per i lavoratori che perdono il posto di
lavoro. Nel 1957 si firma il trattato di Roma dove gli stessi sei paesi sopracitati danno vita alla Comunità
Economica Europea (CEE). Questo è un accordo fra stati sovrani che creano di comune accordo un’area
di libero mercato, meno settoriale rispetto alla CECA, in cui l’obiettivo è l’abolizione dei dazi doganali fra
paesi. I dazi doganali vengono progressivamente ridotti fino alla loro cancellazione nel 1968. Per quanto
riguarda la libera circolazione della forza lavoro, questi paesi fanno circolare liberamente oltre le merci
anche i lavoratori i quali possono andare a lavorare liberamente da uno stato all’altro di quelli
appartenenti alla comunità, quindi c’è un mercato unificato del lavoro. Questa è una comunità che
diventa progressivamente più larga in quanto ci sono altri tre paesi che entrano nella comunità nel 1973,
ovvero Regno Unito, Danimarca e Irlanda, nel 1981 entra la Grecia e nel 1986 Spagna e Portogallo (dopo
la dittatura del decennio precedente). Negli anni 90 entrano nella comunità, (ormai Unione Europea
dopo il trattato di Maastricht del 1992), Finlandia, Svezia e Austria, e con questo secolo entreranno
anche i paesi dell’est europeo (27 paesi).

Abbiamo inoltre anche politiche agricole, sociali e regionali.

LEZIONE 9 - 13/10/2020

Abbiamo una serie di cerchi concentrici, l’economia mondiale, dentro l’economia mondiale c’è
l’economia europea, dentro la storia economica e politica europea abbiamo il processo di
integrazione economica-europea. Per leggere il processo di integrazione economica europea

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dobbiamo considerare alcuni elementi: i contesti storici, quando parliamo del processo di
integrazione economica europea abbiamo in mente un’evoluzione nel tempo, quindi significa
che il processo che noi analizziamo si svolge e si sviluppa in contesti storici diversi. Per definire i
contesti storici adottiamo una prospettiva di storia politica, in quanto gli anni di grande svolta
sono il 1989 con la caduta del muro di Berlino e la trasformazione dell’Unione Sovietica in Russia
nel 1991, per quanto riguarda gli aspetti economici un turning point sono gli anni 70 in cui
finisce quella fase di intensa espansione che aveva caratterizzato tutti i paesi europei dalla fine
della seconda guerra mondiale all’inizio degli anni 70, per quanto riguarda il processo di
integrazione europea in sé abbiamo tre piani di analisi che si intrecciano gli uni con gli altri, il
primo riguarda le istituzioni dell’integrazione europea, il secondo gli aspetti economici
dell’integrazione europea, il terzo sono gli aspetti politici e ideali come l’europeismo, quindi
cosa rappresenta l’Europa per noi cittadini europei, poi se vogliamo possiamo dare anche un
bilancio storico di quello che questo processo ha dato ad oggi. Fra gli aspetti istituzionali
abbiamo da un lato un progressivo allargamento dei paesi partecipanti e delle istituzioni
europee col trattato della CECA e della CEE. I sei paesi della CEE stipulano anche l’EURATOM nel
1957, ovvero la comunità europea dell’energia atomica, successivamente come abbiamo visto
entrano nell’Unione europea anche altri paesi. Dal punto di vista istituzionale l’altro aspetto
importante è il trattato di Maastricht la CEE diventa Unione europea.
Per quanto riguarda le politiche dentro il processo di integrazione europea abbiamo due filoni,
quello del libero mercato e le politiche di intervento delle istituzioni comunitarie. Le politiche
di libero mercato rispondono a una filosofia di un area economicamente integrata e quindi dopo la
seconda guerra mondiale l’idea di abbattere le barriere doganali è molto forte, quindi c’è l’idea di
costituire un mercato unitario con la libera circolazione delle merci quindi significa che i prodotti
circolano liberamente nei paesi aderenti grazie all’abolizione dei dazi doganali e l’Unione europea
decide il tipo di dazio da imporre a prodotti che entrano nel mercato europeo venendo da paesi
extracomunità prima e unione dopo. Quindi siamo in un’ottica di libero mercato per quanto riguarda la
circolazione dei prodotti, la forza lavoro e la circolazione dei capitali.
Poi ci sono politiche di intervento diretto di regolazione del mercato oppure di intervento con
finanziamenti dedicati che hanno un obiettivo, alcuni esempi di intervento attivo nel sistema
economico sono stati quelli delle politiche agricole, in quanto l’agricoltura era un settore che
aveva conosciuto dei cambiamenti fortissimi e che occupava meno addetti ed espelleva addetti
che si trasferivano verso altri settori in cui era possibile produrre occupando sempre meno forza
lavoro e questa agricoltura pesava sempre meno sul settore economico nel complesso perché
contestualmente al declino relativo dell’agricoltura cresceva l’importanza del settore di
industria e quello terziario. L’agricoltura era però considerata un settore strategico dalle
istituzioni comunitarie, le quali la difendono in vari modi cercando di tutelare i produttori
agricoli che sono sempre meno numerosi ma sono anche capaci di fare pressioni sulle
istituzioni comunitarie in quanto hanno delle associazioni di categoria che li difendono quindi
da un lato c’è la pressione di interessi economici definiti e dall’altro c’è la consapevolezza che il
settore agricolo è un settore strategico. Per tutelare il reddito dei produttori agricoli bisogna che
i prezzi dei prodotti agricoli non crollino, per cui da un lato la CEE che ha la possibilità di imporre
dazi doganali sulle importazioni nette ai suoi confini dei dazi significativi sull’importazione di
prodotti agricoli che vengono da aree extraeuropee, questo frena la possibilità di esportare i
prodotti verso l’Europa per i paesi del terzo mondo e di attuare una politica volta a stabilizzare il
livello prezzi nel mercato comunitario, per fare ciò bisogna che l’offerta di prodotti agricoli sul

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mercato non sia largamente eccedente la domanda, perché se l’offerta dei prodotti agricoli
superasse di molto la domanda si creerebbe un gap e il livello di prezzi dei prodotti agricoli
tenderebbe a scendere, per far sì che non accada quando la produttività agricola può offrire più
prodotti sul mercato rispetto al livello della domanda l’Unione europea si fa carico di comprare
le eccedenza di prodotti agricoli che non hanno sbocco sul mercato con i soldi del bilancio
comunitario. La comunità con le eccedenze può fare due cose, a volte distruggere il prodotto e
poi queste eccedenze venivano esportate dall’UE nei paesi del terzo mondo mettendo in
difficoltà gli agricoltori del terzo mondo. Poi erano previsti sussidi diretti agli agricoltori e per
cercare di ridurre l’offerta, anche dei contributi se si lasciavano incolti dei terreni per evitare
che l’offerta crescesse molto, inoltre per evitare il calo dei prezzi la comunità stabilì quote di
produzione che i proprietari dovevano rispettare, in quanto l’offerta di prodotti non è lasciata
alla piena incontrollata iniziativa dei produttori ma viene decisa limitando l’offerta per far sì che
i prezzi non calino e si mantengano a un buon livello (quote latte per es). un caso per es riguarda
la protesta degli agricoltori sardi che vendevano il latte per venderlo all’azienda “Pecorino”, il
quale decise di comprarlo altrove, sempre nei paesi dell’UE perché lo ritenevano più
conveniente (Ungheria e Romania). Per quanto riguarda le politiche sociali nel settore della
CECA il trattato preveda che a livello comunitario potessero scattare dei contributi per gli
individui che si potevano trovare privati del posto di lavoro; nel campo delle politiche sociali ci
sono anche le politiche della formazione professionale. Dentro il bilancio della comunità dal
1957 ci sono stati sempre dei fondi che servivano per finanziare dei progetti per far arrivare
denaro alle aree economicamente arretrate all’interno della comunità, per individuare queste
aree si prendono indicatori come il PIL pro capite regione per regione, il tasso di
disoccupazione. In questo intervento di politica economica la dinamica di mercato ha creato o
non ha risolto delle differenze fra regione e regione quindi si interviene per cercare di ridurre il
problema. Riguardo le aree depresse adottando una dimensione cronologica temporale, cioè
quando la CEE è nata le aree depresse che avevano un PIL pro capite molto più basso della
media comunitaria e un tasso di disoccupazione molto più alto, erano largamente aree dell’Italia
meridionale. Per cui l’Italia era beneficiaria degli aiuti per le aree arretrate della CEE. Il 1973
vede gli ingressi nella comunità di Danimarca, Regno Unito e Irlanda. L’Irlanda quando entra era
uno dei paesi più poveri, quindi inizia a ricevere molti finanziamenti in quanto paese con tante
aree che erano depresse. Grazie a questi finanziamenti e il saper sfruttare al massimo tali
finanziamenti, l’Irlanda ha un recupero economico fortissimo, dato che si trova nella posizione
di raccogliere finanziamenti che possono essere utilizzati bene. Quando l’UE si allarga ai paesi
dell’est Europa le aree depresse europee sono beneficiari di aiuti significativi per lo sviluppo
regionale. Abbiamo anche un altro campo di intervento importante che è quello delle politiche
monetarie, infatti i paesi fondatori della CEE hanno ciascuno la sua moneta e si trovano dentro
un sistema internazionale di cambi fissi ovvero il sistema di Bretton Woods che prevede che i
cambi tra le diverse monete nazionali siano mantenuti stabili per escludere il rischio di cambi. Il
sistema di Bretton Woods regge fino al 1971, anno in cui il governo degli USA era il cardine di
questo sistema in quanto il dollaro era l’unica moneta convertibile in oro e quando il presidente
Nixon decide di sospendere la convertibilità allora finisce questo sistema. I paesi europei
dell’Europa occidentale nel 1979 decidono di creare un sistema di cambi fissi tra monete
europee, il quale prende il nome di sistema monetario europeo, quindi i paesi che sottoscrivono
questo accordo decidono di creare questo sistema che mantenga una certa stabilità fra i cambi
e le valute nazionali. Nel 1992 col trattato di Maastricht la CEE diventa Unione Europea e decide

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di arrivare ad adottare come moneta comune ovvero l’euro la quale entra in circolazione come
moneta effettiva nel 2002. I parametri del trattato di Maastricht sono indicazioni da rispettare
per quanto riguarda le politiche economiche e le politiche dei bilanci pubblici, quindi non dà
solo obiettivi ma anche regole, da un lato dà gli obiettivi di seguire un percorso che porta
all’adozione dell’euro per gli stati interessati, dall’altro dà degli obiettivi e delle indicazioni di
politica economica e di bilancio dello stato. Uno degli obiettivi negli anni 90 è che il tasso di
inflazione nei diversi paesi non deve superare dell’1,5% il tasso di inflazione dei tre paesi più
virtuosi dove l’inflazione è più bassa, quindi ci dev’essere un controllo dell’inflazione. Riguardo
le politiche di bilancio dello stato, esso non deve avere un deficit nell’anno superiore al 3% del
PIL, quindi fissa un rapporto percentuale tra il deficit annuale del bilancio pubblico e il PIL del
paese che si sta considerando, altro rapporto è fra lo stock di debito pubblico e il PIL del paese
quindi lo stock di debito pubblico non deve essere superiore al 60% del PIL di quel paese.
Quando il trattato viene siglato Italia e Belgio hanno un debito pubblico superiore al 60% del PIL
e quindi non sono in grado di rispettare i parametri del trattato di Maastricht, per cui si
stabilisce che il 60% del PIL sul debito pubblico non è una condizione vincolante ma un obiettivo
da raggiungere. Poi c’erano i parametri che riguardavano i tassi di interesse che in ogni singolo
paese non dovevano essere troppo alti rispetto ai tassi di interesse applicati negli altri paesi, per
cui i paesi aderenti al trattato di Maastricht dovevano seguire delle politiche economiche
omogenee. Questo tipo di politiche economiche hanno avuto anche dei critici in quanto
essendoci la crisi lo stato vede diminuire le sue entrate ma riceve anche richieste di aiuti, per cui
nei momenti di crisi la finanza pubblica è messa sotto pressione. Dal 2000 in poi alcuni
momenti di crisi sono stati vissuti spesso da alcuni paesi europei, le regole europee mettono dei
paletti sulla finanza pubblica, questi paletti delle politiche di bilancio nel 2020 si è deciso di
metterli da parte a causa della crisi covid che nasce per una pandemia non prevedibile. Un dato
che possiamo assumere come bilancio è che il processo di integrazione economica con queste
istituzioni politiche europee si è accompagnato a decenni di pace tra i paesi europei.

8 GERMANIA (PAG 112 VALLI)


Dopo gli anni della 2° GM l’economia della Germania è a pezzi nel 1946, ed è occupata dai paesi
vincitori e perde territori a est dove prima della 2° GM abitava il 13% della popolazione tedesca
i quali vengono sottratti da Polonia e Cecoslovacchia. In questo contesto c’è un movimento di
profughi significativo da zone dell’est (che erano della Germania e dopo la 2°GM non lo sono
più) verso la Germania occidentale, perché in questa situazione la Germania si trova a essere
politicamente divisa, la zona occupata dall’Unione Sovietica nel 1949 diventa Germania est e
quella occupata dagli anglo-americani e dai francesi diventa nel 1949 Germania occidentale. La
Germania occidentale in quegli anni riceve circa 10 milioni di profughi tedeschi dalla Germania
est. Con la guerra fredda l’occupazione militare delle due zone fa cadere la possibilità di
unificazione della Germania e quindi c’è una situazione che si congela con la nascita di due stati
la Germania occidentale, nell’orbita occidentale la quale farà anche parte del processo di
integrazione economica europea e socio fondatore della CECA e della CEE, e la Germania
dell’est controllata dall’Unione Sovietica. Berlino era divisa in due in quanto quando la guerra
era vinta non è ancora scoppiato il contrasto tra USA e Unione Sovietico. Berlino era controllata
militarmente solo dalle truppe dell’Unione Sovietica e Stalin per lavorare a una Germania unita
ritenne utile che una parte della capitale dovesse essere assegnata anche agli americani, poi

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succede che esplode il contrasto tra i vincitori della 2° GM, la Germania diventa l’emblema di
questo contrasto e Berlino viene controllata da USA e Unione Sovietica e Stalin cerca di
mandare via gli americani da Berlino ovest in modo che tutta Berlino torni sotto il controllo della
Germania est. Il muro di Berlino verrà costruito nel 1961, per cui Berlino è una città in cui per
tutti gli anni 50 nonostante ci fosse la guerra fredda, e la Germania dell’est e la Germania
dell’ovest, i cittadini potevano andare dalla Germania dell’est a quella dell’ovest e viceversa.
LEZIONE IN PRESENZA - 19/10/2020

Le slides caricate su aulaweb di CSC (Centro Studi Confidustria: PIL etc..) e Banca d’Italia
(economia internazionale e italiana nel 2019 e l’inizio del 2020)

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9 ECONOMIA ITALIA 2020 E PREVISIONI 2021 (NOTA SUI MATERIALI)
Nei primi giorni di ottobre 2020 il Centro Studi Confindustria (CSC) presente il suo rapporto in
cui traccia un bilancio-previsione (manca ancora il quarto trimestre dell’anno) sull’andamento
dell’economia italiana nel 2020 e formula ipotesi su quella che potrebbe essere la dinamica
economica del paese nel 2021.
Confindustria evidenzia inoltre alcune delle criticità da affrontare.
Alla presentazione del rapporto interviene anche il ministro dell’Economia Gualtieri. Da poco il
governo ha redatto la Nota di Aggiornamento al Documento di Economia e Finanza (NADEF) e
l’evento-presentazione del rapporto CSC è occasione di confronto tra le stime sul PIL dell’Italia
contenute nel documento confindustriale e in quello governativo (non clamorosamente
divergenti peraltro; le differenze si basano su diversa previsione dell’andamento dell’economia
nell’ultimo trimestre).
La Confindustria è la principale organizzazione rappresentativa delle imprese
manifatturiere e di servizi italiani, raggruppando su base volontaria oltre 150000
imprese, comprendendo anche banche[1] e dal 1993 anche aziende pubbliche.
Il Csc parla di una crisi, quella del Covid, che in termini di ricchezza nazionale riporta
il Paese indietro di 23 anni. "Una vera e propria "tempesta perfetta", causata in marzo-
aprile da un doppio shock di domanda e offerta, che ha prodotto effetti dirompenti.
sull'economia italiana. Con la fine del lockdown, la domanda, che in vari settori si era
azzerata, è risalita, rilanciando l'attività nell'industria. Questo ha determinato un
rimbalzo del PIL nel terzo trimestre 2020, nonostante il recupero lento nei servizi,
gravati dal crollo dei flussi turistici". Il problema è che la tempesta è arrivata su una
nave che faticava a muoversi. "Nei 30 anni tra 1991 e 2021 il PIL italiano ha
accumulato una distanza di 29 punti percentuali dalla Germania, 37 dalla Francia, 54
dalla Spagna, soprattutto a causa della flebile - talvolta nulla o negativa - dinamica
della produttività del lavoro negli ultimi decenni. Tra il 1996 e il 2019 l’Italia ha
registrato, in media, un aumento dello 0,3% annuo della produttività del lavoro, mentre
in Germania è salita dello 0,7% annuo e in Francia e Spagna dello 0,8%”.

9.1 Il colpo sull'occupazione


Nella stima del Csc, il prossimo anno il Pil recupererà il 4,8%. Poco: "Il rimbalzo del PIL italiano
nel 2021 compenserà solo parzialmente il crollo di quest’anno: nel quarto trimestre del
prossimo anno il livello del reddito sarà ancora inferiore di oltre il 3% rispetto a fine 2019. E
molto lontano dai massimi di inizio 2008, di circa otto punti percentuali".
Tutto questo ha già avuto e avrà ancora "un pesante riflesso sull’input di lavoro impiegato, che
in termini di monte ore lavorate è diminuito del 15,1% annuo nella media dei primi due
trimestri del 2020: la maggior parte dell’aggiustamento è avvenuto tramite un calo di ore
lavorate pro-capite (- 13,5%), mentre il numero di persone occupate è sceso solo dell’1,5%.
Questo è dovuto al ricorso imponente a strumenti di integrazione del reddito da lavoro, in
primis la Cassa Integrazione Guadagni, che il Governo ha messo a disposizione in deroga. In
media d’anno, tuttavia, nel 2020 le unità di lavoro equivalenti a tempo pieno (ULA)
registreranno un -10,2%, pari a un calo di 2 milioni e 452mila unità. Il numero di persone

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occupate ha ricominciato a puntare verso l’alto contemporaneamente alla ripresa dell’attività
(+170mila unità a luglio-agosto), ma nel resto dell’anno si prevede che questa tendenza non
proseguirà, considerando un livello del PIL ancora depresso rispetto al pre-COVID-19.
L’occupazione registrerà, quindi, un -1,8% in media nel 2020, pari a circa 410mila persone
occupate in meno rispetto al 2019". Anche l'anno prossimo, inoltre, "il numero di persone
occupate si aggiusterà verso il basso: -230mila unità".

9.2 Gli strumenti UE: bivio cruciale


Secondo gli economisti, le contromisure comunitarie all'impatto economico dell'emergenza Covid
- Sure, Mes e Next Generation Ue - offrono "una opportunità unica per programmare un futuro
in cui la dinamica del Pil sia più elevata". Il Centro studi di Confindustria, aggiornando le sue
previsioni economiche, sottolinea così che "per l'Italia l'utilizzo degli strumenti europei
costituisce un bivio cruciale: se si riusciranno a utilizzare in modo appropriato le risorse e a
potenziarne l'effetto, portando avanti riforme troppo a lungo rimaste ferme, allora si sarà
imboccata la strada giusta pe risalire la china. Altrimenti - avvertono gli economisti di via
dell'Astronomia - l'Italia rimarrà un Paese in declino, che non sarà in grado di ripagare il suo
enorme debito pubblico".
Da un box di approfondimento del rapporto emerge anche il punto sull'effettivo impiego delle
risorse messe a disposizione dal governo, dal Cura Italia in avanti, in risposta alla crisi: ad oggi
sono stati effettivamente utilizzati circa 76,8 miliardi dei 100 miliardi messi in campo dal governo
per riequilibrare l'impatto devastante sull'economia del Coronavirus. All'appello mancano
dunque ancora 23 miliardi rispetto a quanto indicato nei documenti di accompagnamento dei
decreti.
Il Csc per fine anno stima però un ulteriore 'assottigliamento' del gap dell'ordine di 5-7 miliardi.
Una differenza, si legge, "riconducibile alla prudenza con cui ha correttamente operato il
Governo nelle quantificazioni", dicono gli economisti di viale dell'Astronomia che però non
escludono anche il fattore burocratico. "Non è da escludere anche la farraginosità dei
provvedimenti adottati e le difficoltà di implementazione che possono incidere sull'effettiva
erogazione delle risorse", dice il Csc. Complessivamente comunque, calcola Confindustria, gli
interventi decisi dal Governo prevedono l'adozione di 208 decreti attuativi ma di questi ad oggi
ne sono stati adottati soltanto 64.

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"Il nostro intervento è stato molto forte, per evitare la distruzione della capacità produttiva", ha
rivendicato Gualtieri. "Abbiamo realizzato interventi sulle causali che erano necessari e che
spero di poter prolungare nel nuovo quadro", ha poi aggiunto parlando delle misure per
proteggere il lavoro durante l'emergenza Coronavirus. "Abbiamo fatto bene, nei limiti del
possibile, e abbiamo tutelato l'occupazione nei momenti più difficili della crisi".

LEZIONE 10 - 20/10/2020
La Germania è occupata per un pezzo dall’Unione Sovietica e per un pezzo da USA, Inghilterra e in
piccola parte anche Francia. Da questa occupazione nascono due stati diversi, Germania est e
Germania ovest. Nella divisione tedesca era un problema anche la divisione di Berlino perché in
parte era stata data dall’Unione Sovietica ai paesi occidentali, ovvero Berlino ovest. La Germania
occidentale alla fine della guerra era investita da un’ondata di profughi tedeschi che hanno reso
complicato il processo di ricostruzione del sistema economico.
La Germania ovest riesce a tornare al livello del PIL pro capite prebellico del 1938 solo nel 1955.
La Germania est raggiunge il livello prebellico nel 1956/1957. Per la ricostruzione della
Germania ovest contano tre elementi, ovvero la voglia di ripartire del popolo tedesco, le sue
competenza, quindi il capitale umano il quale è un fattore di sviluppo forte che non è stato
intaccato dagli sconvolgimenti bellici, e l’aiuto da parte degli americani col piano Marshall;
questo piano prevede di fornire aiuti a tutti i paesi alleati degli USA nel 1947/1948 anche se sono stati
nemici durante la seconda guerra mondiale, quindi Germania ovest, Giappone e Italia. Questi aiuti non
sono solo capitali e prestiti ma sono anche contributi a fondo perduto che servono per pagare
investimenti e acquistare macchinari. L’acquisto di questi macchinari non si traduce semplicemente nel
ricostituire la capacità produttiva dell’economia tedesca occidentale o anche italiana com’era prima della
guerra ma si traduce anche in una modernizzazione dell’apparato tedesco- occidentale. Quindi c’è una
ristrutturazione-modernizzazione perché coi macchinari americani c’è un’acquisizione di competenze.
A partire dalla metà degli anni 50 abbiamo una crescita economica sostenutissima da parte
della Germania, la performance economica per 10/15 anni fino agli anni 70, migliore rispetto
agli altri paesi europei. Quindi sia per Germania che Italia per descrivere la dinamica economica
della fine degli anni 50 e dell’inizio degli anni 60 si parla di miracolo economico. La Germania
occidentale è la punta di diamante di questa crescita europea ed è un modello vincente e
questa sua capacità di proporsi come modello crea un’ulteriore tensione con la Germania
dell’est. Berlino aveva le caratteristiche, quindi quello occidentale era uno stile di vita più
attraente, brillante, infatti nel mondo occidentale c’era la possibilità per le persone con
formazione qualificata di fare carriera.
Quindi succede che quando la Germania ovest si mette in movimento nel 1958/1959/1960, ci
sia un flusso crescente di cittadini della Germania est che si trasferiscono in Germania ovest, e
questo processo indebolisce la Germania dell’est. Quindi nel 1961 si costruisce il muro di
Berlino con l’obiettivo di bloccare questo deflusso di persone. Nel 1962 il presidente degli USA
John F. Kennedy (c’è su YouTube) si presentò a Berlino ovest in visita ufficiale e lui
rappresentava la nazione che tutelava la Germania occidentale e quindi era il grande alleato
che aveva aiutato la ricostruzione, per cui questa visita di Kennedy a Berlino è una visita
trionfale e gli fanno tenere un discorso davanti a una folla sterminata davanti al muro di Berlino
e lui davanti a questa folla pronuncia un discorso politico esemplare e di un impatto notevole.
La Germania occidentale come la repubblica democratica tedesca nascono come stati nel 1949,

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però per la Germania occidentale nel 1948 quando non esisteva ancora lo stato della Germania
ovest, ma c’erano le zone di occupazione americana, inglese e francese che avevano
un’amministrazione coordinata nelle zone della Germania occidentale viene introdotta la
riforma monetaria, quindi le autorità introducono il nuovo marco tedesco sostituito con quello
vecchio che deve dare stabilità al sistema e questo è un fatto importante perché da questo
momento lo stato tedesco segue i principi della stabilità dei prezzi, per cui della forza della
moneta. Quindi questa riforma monetaria è un anticipo della nascita (1948) della repubblica
federale tedesca. Gli americani nei primi anni di occupazione della Germania ovest introducono
delle regole antimonopolistiche o anti-oligopolistiche in favore di quella disciplina che deve
garantire una maggior concorrenza fra imprese. Queste regole vengono introdotte in Germania
dagli americani e quindi approdano nel continente europeo in particolare in Germania e sono
regole a favore della libera competizione della concorrenza (smantellamento dei trust
industriali). Un altro elemento importante è la cogestione (prevede la costituzione di un
Consiglio di vigilanza), un percorso che riguarda un aspetto delle relazioni tra datori di lavoro e
lavoratori delle imprese, che però va inserito in un quadro più generale. Il quadro più generale
che caratterizza l’economia tedesca è la concertazione (intesa tra questi soggetti) ovvero le
grandi linee di politica economica in Germania vengono discusse e concordate da tre soggetti: lo
stato, gli imprenditori e l’organizzazione sindacale (in Germania, infatti c’è un grande sindacato
unico). In questo rapporto triangolare, chiamato anche Neo-corporativismo (assignment
problem si rovescia rispetto al modello tradizionale: il sindacato è responsabile per l’inflazione e
il governo per l’occupazione), ciascuno dà qualcosa, ad esempio lo stato si impegna a costruire il
welfare (sistemi pensionistici, i sistemi di istruzione che vengono finanziate dallo stato),
imprenditori e sindacato seguono un percorso poco conflittuale, in quanto viene rigettata da
questa cultura l’idea di una lotta di classe e si deve collaborare, per cui il sindacato riconosce
che ci saranno degli aumenti salariali ma questo doveva accompagnarsi a maggiori rendimenti
del lavoro nelle fabbriche, quindi gli aumenti di produttività erano un obiettivo condiviso che
consentiva alle imprese di aumentare le retribuzioni dei lavoratori (meccanismo virtuoso). Altro
elemento di questo modello è che lo stato garantiva la piena occupazione, quindi negli anni del
miracolo economico nello stato tedesco non c’erano disoccupati, anzi richiama forza lavoro da
altri paesi. Dentro questo modello politico abbiamo in alcuni settori la cogestione, quindi è un
aspetto specifico che riguarda il settore del carbone e dell’acciaio e riguarda le grandi imprese.
La struttura degli organi societari delle grandi imprese è una struttura duale (sistema
dualistico). Nelle società italiane c’è un organo di vertice che è il CdA. In Germania invece c’è il
CdA e il consiglio di sorveglianza (controllo e nomina il CdA e approva il bilancio) che si affianca
al CdA. Inoltre, abbiamo il consiglio di sorveglianza che è composto per metà del capitale del
management e per metà dei lavoratori dell’impresa, questo è importante perché riconosce un
ruolo fondamentale dei lavoratori nella gestione dell’impresa. La cogestione (Mitbestimmung)
viene introdotta nel 1951 in tutti i grandi complessi dell’acciaio siderurgici e nel 1976 viene
esteso a tutte le imprese che avevano più di 2000 addetti. Lo sciopero per es per farlo ci deve
essere il referendum tra i lavoratori e soltanto se si raggiunge la maggioranza si può esercitare lo
sciopero. Questo modello della Germania è il modello della Germania ovest il quale regge per
molto tempo e viene definito il modello dell’economia sociale di mercato (Soziale
Markwirtschaft), influenzato dalle idee della scuola di Friburgo, che ha questa visione di una
società coesa (appartenenza a gruppi con il compito di collaborare collettivamente a differenza
di USA che pensano più a livello individuale). Si trattava di un modello che può essere riassunto

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nella formula “quanto più libertà possibile, tanta regolazione quanto sia necessario”, cioè che lo
stato deve intervenire nell’economia salvo per garantire la libera concorrenza e per correggere
gli abusi. Quindi questo modello ha delle ottime performance economiche, fino al 1955 c’è
questa ricostruzione che riporta la Germania ai livelli di PIL pro capite prebellico, dal 1955 in poi
ci sono stati tassi di crescita fortissimi, poi c’è stato assorbimento della forza lavoro quindi
questo attrae lavoratori da altri paesi. Per cui sono moltissimi i lavoratori italiani che vanno a
lavorare in Germania, quindi questi lavoratori sono inseriti in un sistema che è sempre più
moderno ed efficiente. Il costo del lavoro tedesco aumenta ma aumenta molto anche la
produttività del lavoro. Questo fa sì che i prodotti tedeschi siano competitivi, quindi la
competitività tedesca non si basa sul basso costo del lavoro ma si basa sull’efficienza. Otre la
Volkswagen, ci sono l’Audi, la Mercedes e tante altri settori meccanici che hanno una crescita
notevole.

Tra il 1955 e il 1965 l’export tedesco cresce più velocemente del PIL e quindi questa economia

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inizia a realizzare investimenti diretti esteri. È molto forte nell’export, ma anche una moneta
forte e questo è causata dalla qualità del prodotto. Abbiamo una sottovalutazione del marco.
La svalutazione della moneta tende a favorire l’export, invece una moneta forte la sfavorisce!!!
Negli anni 70 la Germania è investita dallo shock petrolifero quindi la crescita rallenta (ma non
perde le caratteristiche della svalutazione della moneta e l’aumento dei prezzi) e compare un
fenomeno che nell’economia tedesca dal 1945 in poi non esisteva ovvero la disoccupazione
per cui le imprese si devono ristrutturare e devono reggere questo quadro nuovo e i governi
tedeschi mantengono fermo un punto che è il contenimento dell’inflazione.

In quegli anni, la Germania vive un fortissimo boom economico, sono gli anni del
cosiddetto "Wirtschaftswunder" (miracolo economico). Dopo le devastazioni della 2°GM, la
Germania Federale riesce in breve tempo a diventare nuovamente una nazione rispettata
per la sua forza economica. Ma ha un grande problema: mancano i lavoratori. Negli anni 60
i tedeschi lavorano tutti, la percentuale di disoccupati
è intorno all'1% e c'è un
disperato bisogno di lavoratori
stranieri.
Vengono chiamati i cosiddetti "Gastarbeiter" (lavoratori ospiti) e tra i primi, ancora negli anni 50, ci sono
gli italiani. Vengono a lavorare soprattutto nell'edilizia, nell'industria automobilistica e nelle miniere di
carbone. Ma quelli che arrivano dai paesi dell'appena fondata CEE (Comunità Europea Economica,
all'inizio di soli 6 stati) non bastano. E così, la Germania fa degli accordi, tra il 1960 e il 1968, con
numerosi altri stati (Spagna, Portogallo, Turchia, Jugoslavia, Grecia e altri ancora) per attirare
lavoratori stranieri.
Solo con la crisi del petrolio nel 1973 che colpisce duramente tutte le economie occidentali
cessa il sistematico reclutamento di lavoratori stranieri.

L’aumento del prezzo del petrolio è un fattore esogeno che spinge all’aumento dei prezzi. Con
gli anni 70 la Germania non perde queste caratteristiche ma la crescita continua a rallentare
come quella di tutti i paesi occidentali. Alla fine degli anni 80 vi fu il crollo del muro di Berlino, quindi
la fine del blocco sovietico e la fine della divisione della Germania. La riunificazione si conclude il 3
Ottobre del 1990. La parte dell’est è più debole, quindi ci sono delle differenze regionali significative tra
parte occidentale e parte orientale. Fino al 1998 circa il 4% del PIL della Germania ovest si è trasferito
nella Germania dell’est con investimenti e infrastrutture sociali (trasferimento di risorse). Questo 4% del
PIL della Germania ovest corrisponde a 1/3 del PIL delle zone dell’est della Germania e questo comportò
un aumento del deficit pubblico per l’ormai ex Ge dell’Ovest. Negli anni 90 il rapporto di cambio tra
marco orientale e marco occidentale divenne equivalente in quanto il governo della Germania ovest
decise di offrire ai cittadini della Germania dell’est lo stesso numero di marchi occidentali in cambio dello
stesso numero di marchi orientali (si fa un regalo perché la moneta del marco occidentale aveva un
valore maggiore rispetto a quello orientale), quindi ci fu l’unificazione della moneta. Il divario però a due
Germanie ad oggi è ancora notevole.

LEZIONE 11 - 26/10/2020

Il modello tedesco è servito anche per arrivare a descrivere un modello di capitalismo, nel 1991
fu pubblicato un libro di uno studioso francese, Michèl Albert, che si intitolava “capitalismo
contro capitalismo” in cui l’autore metteva a confronto due modelli di capitalismo, quello

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anglosassone statunitense e britannico) e quello renano (franco- tedesco).

Individuando in questa Europa renana (quindi Germania e Francia) un’area in cui il sistema
socioeconomico aveva delle caratteristiche diverse rispetto a quelle del capitalismo anglo-
americano. Sia gli USA che l’Inghilterra nel 1991 sono guidati da Reagan e dalla Tatcher i
quali sono due alfieri politici del neoliberismo.
Le caratteristiche del capitalismo anglosassone sono una concertazione tra le parti sociali con
lo stato e tra di loro quindi abbiamo concertazione, e cogestione a livello di impresa. Per
quanto riguarda il finanziamento dell’impresa è molto più importante il sistema della borsa
piuttosto che quello bancario.

10 FRANCIA E INGHILTERRA

In Francia e in Inghilterra abbiamo degli elementi comuni, infatti entrambi attraversano la


Golden age, ovvero gli anni 50 e 60 di grande crescita dell’economia occidentale, subiscono
l’impatto del rallentamento della crescita negli anni 70, sono entrambi proiettati nella
globalizzazione negli ultimi 30 anni ed entrambi questi paesi dopo la seconda guerra mondiale
perdono i loro imperi coloniali, la Francia perde il suo impero coloniale perdendo la guerra del
Vietnam, negli anni 50 perde anche l’Algeria (comunità francese forte che faceva pressione sul
governo per ottenere l’Algeria).

L’Inghilterra rinuncia senza combattere ai suoi imperi coloniali, ad esempio nel 1947 avviene

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l’indipendenza delle colonie indiane perché l’Inghilterra si ritira, inoltre, molla anche le sue
colonie africane (Sudan, Nigeria). Dal punto di vista economico, la più penalizzata è la UK. Il
commonwealth britannico nel 1955 intercettava il 50% del commercio estero inglese, alla fine
degli anni 70 intercetta 1/7 del commercio britannico quindi un mercato verso cui i prodotti
inglesi potevano indirizzarsi è molto meno importante. La Francia è un socio-fondatore della
Comunità Economica Europea, quindi la Francia ha partecipato fin dall’inizio a questo processo
in cui l’Inghilterra si è inserita nel 1973, quest’ultima ha un rapporto sempre più conflittuale con
la costituzione dell’Unione Europea (con la Brexit).
La Francia nel 1950 riesce a superare il livello del PIL del 1939, e il tasso medio annuo di crescita
del PIL francese tra il 1950 e il 1973 è sul +5%. Questo è un risultato che è migliore di quello
dell’Inghilterra e di quello degli USA. La crescita dell’economia francese coincide con politiche
economiche in un sistema di economie di mercato che vedono una forte presenza dello stato.
In Francia l’intervento della mano visibile (libro Volpi) è significativo, all’indomani della 2°GM il
governo francese comincia a nazionalizzare, quindi a rendere pubbliche, alcune importanti
imprese del paese, come ad esempio Air France e la Renault (confiscata dallo stato perché la
proprietà di Renault aveva finanziato con la Germania durante la 2°GM). Questo elemento di
dare indirizzi all’indomani della 2°GM è un elemento che è fortemente presente in molte
politiche economiche per cui implica il ruolo che lo stato deve avere nell’indirizzare l’attività
economica. Lo stato non obbliga le imprese perché siamo in un sistema di economia di mercato
quindi le imprese sono libere nella scelta di quanto e come investire, ma lo stato può prevedere
dei canali di finanziamento agevolati per un certo tipo di attività, degli incentivi che vengono dati
ai sistemi di imprese che seguono determinate situazioni, alla persuasion etc…. Lo stato per
orientare l’azione delle imprese può fare leva sulla spesa pubblica, ad esempio dopo la 2°GM
negli anni 50 la Francia punta sul nucleare che ha una doppia valenza: economica e politico-
militare. Quest’ultima perché la Francia nonostante abbia perso il suo impero coloniale ha
ancora l’ambizione di essere una grande potenza. Dopo la 2°GM per quanto l’opinione pubblica
sia spaventata dagli effetti militari del nucleare, il governo francese segue comunque la sua
ambizione. Il governo francese fa costruire centrali nucleari per la produzione di energia
elettrica. I manager di più alto livello del mondo delle imprese private venivano da percorsi di
formazione che erano gli stessi. Le persone che andavano ad occupare i posti di vertice
nell’amministrazione pubblica e i posti di vertice nelle imprese private venivano dal sistema
delle grandi scuole (grand école= università molto selettive). Il sistema francese alla fine degli
anni 80 vive per un certo periodo qualche perdita di questi caratteri e gli uni agli altri. Però
conserva ancora tratti del modello descritto (es la Fincantieri aveva acquistato azioni di controllo
a una società francese e c’è stato un intervento dello stato nei confronti della società francese
perché voleva controllare cosa succedesse).
Nel 1958 in Francia c’era un sistema politico con tanti partiti ed era una repubblica
parlamentare con una certa instabilità dei governi. Nel 1958 la Francia vive una crisi politica
legata in particolare alla guerra di Algeria, infatti la Francia si ritrova a dover gestire la rivolta in
Algeria e non è capace e l’esercito pretende nel 1958 il ritorno al potere di quello che è stato il
capo della resistenza francese ovvero il generale De Gaulle che era stato ritirato dopo la 2°GM.
Quest’ultimo riscrive la costituzione della repubblica presidenziale (prima era repubblica
parlamentare) dove il presidente viene eletto direttamente dagli elettori (il sistema
proporzionale viene sostituito con il collegio uninominale a doppio turno) e il presidente ha un
ruolo esecutivo, ha un ruolo importante per la politica estera e di difesa. De Gaulle

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successivamente viene eletto presidente della repubblica francese. De Gaulle era a favore della
forza militare-nucleare francese e del ruolo della Francia nell’Europa.

L’Inghilterra durante la 2°GM è una società che è più avanti rispetto a quello degli altri paesi
dell’Europa continentale. Nel 1950 guardando la struttura dell’occupazione britannica, solo il 4%
della forza lavoro era attiva nel settore agricolo (si era ridimensionata rispetto al settore 2° e 3°.
Tra il 1945 e il 1951 viene governata dai laburisti, infatti il partito laburista inglese vince le
elezioni dopo la 2°GM, quindi viene sconfitto Churchill alle elezioni dai laburisti i quali portano
avanti un modello di costruzione del welfare quindi il modello inglese dopo la 2°GM non è il
modello della Tatcher (Inghilterra neoliberista), in quanto punta al welfare e quindi nazionalizza
le imprese nel settore siderurgiche, ferroviario etc. Crea anche il servizio sanitario statale che poi
vedremo che in Italia verrà dopo. L’Inghilterra quindi cresce, ma cresce più lentamente rispetto
agli altri paesi europei e conosce un declino, in quanto c’è una crescita lenta del PIL e quindi della
produttività.
Quel modello in cui era forte il ruolo dello stato, anche a causa del declino economico negli anni
70 viene messo sotto accusa da una parte dell’opinione pubblica inglese che ha nella Tatcher il
suo leader politico, per cui i conservatori inglesi con la Tatcher alla guida alla fine degli anni 70
vincono le elezioni e inizia l’economia neoliberista della Tatcher in cui abbiamo la
privatizzazzione delle imprese che sono state pubbliche, la deregolamentazione dei mercati del
lavoro (deregulation= il governo cessa i controlli sul mercato ed eliminano le restrizioni
nell'economia, al fine di incoraggiare le operazioni del mercato stesso, che in questa
misura sarebbe considerato come un organismo autoregolatore.)in cui non riconosce
nessun ruolo di rilievo ai sindacati. Inoltre, aumenta la disoccupazione con un sistema che tutela
meno, in cui c’è un aumento delle disuguaglianze nella distribuzione del reddito.
Una delle caratteristiche dell’UK è la fidelizzazione della sterlina, infatti anche con l’entrata in UE
continuerà ad avere la sterlina. Negli anni 60-70 entra in crisi anche del carbone che è sempre
stata specializzata in quel settore e molte miniere verranno chiuse perché erano diventati molto
costosi e questo avrà un forte impatto sociale che porterà a ridurre il welfare (taglia della spesa
pubblica). La politica della Tatcher è molto rigida anche per quanto riguarda il bilancio pubblico,
segue una politica molto ortodossa, non deve essere in disavanzo.
L’Inghilterra ha la fortuna di scoprire tra fine anni 70 a inizio anni 80 il petrolio dei mari del nord,
questo avviene quando si era conclusa la parabola del carbone inglese in quanto esso non è più
redditizio dal punto di vista economico. Quindi negli ultimi anni la UK non ha avuto degli
andamenti clamorosamente diversi rispetto agli altri paesi citati nei paragrafi prec, e adesso la
vedremo con la Brexit + Covid.

11 IRLANDA, SPAGNA E PORTOGALLO


Spagna e Portogallo sono più arretrati rispetto al resto dell’Europa occidentale, non partecipano
al processo di integrazione europea perché hanno delle dittature fascistoidi fino alla metà degli
anni 70, tornano ad essere paesi democratici nella seconda metà degli anni 70 e negli anni 80
entrano nel processo di integrazione europea. L’ingresso in Europa (1986) coincide con una
forte modernizzazione dell’economia spagnola e portoghese, per cui alla fine degli anni 90
Spagna e Portogallo crescono, tuttavia l’impatto del covid è abbastanza forte sulla Spagna.
L’impatto del covid è particolarmente forte anche sull’Irlanda ma quest’ultimo è il paese che ha
avuto la performance economica più positiva, quindi forte ruolo degli investimenti diretti esteri.

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Nel 1950 solo il 4% degli addetti dei lavoratori inglesi erano occupati nel settore agricolo, in Irlanda
nel 1950 erano occupati in agricoltura il 45% degli addetti. Il boom irlandese è dal 1988-2000.
12 ITALIA
LEZIONE 12 - 27/10/2020

AGRICOLTURA INDUSTRIA SERVIZI P.A.


1881 59 24 17 -
1911 59,1 23,6 15,3 2,0
1936 52,2 25,6 19,0 3,4
1963 26,6 40,1 25,6 7,7
1981 11,1 41,5 34,4 13,0
2016 3,9 26,1 70,0
Tabella 1 – Composizione % forza lavoro per settori

The World Economy: A Millennial Perspective by Angus Maddison (OECD)

GDP pro capita [USD]


20000
17759
18000

16000

14000
GDP pro capita [USD]

12000
10643
10000

8000

6000

4000 3502
2564
1499
2000

0
1870 1913 1950 1973 1998

1870 1913 1950 1973 1998


1499 2564 3502 10643 17759
Tabella 2 – GDP PRO-CAPITA [USD]

Nella composizione della forza lavoro per settori in Italia vi è una prevalenza dell’occupazione
in agricoltura fino alla 2°GM, all’indomani della 2°GM nel 1951 la composizione della forza
lavoro in agricoltura era il 44,3% (UK 4%, Irlanda 45%), questo vuol dire che l’Italia era un
paese rurale. Quindi c’è stato un calo enorme del peso dell’agricoltura come settore che
assorbe la forza lavoro. Per quanto riguarda industria e pubblica amministrazione: l’industria
ha un andamento crescente fino alla 2°GM e poi ha una grossa espansione negli anni
50/60/70; il 1981 come anno di censimento è quello che fa registrare il massimo peso

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percentuale degli addetti al settore industriale sull’economia italiana, quindi al calo
dell’agricoltura corrispondevano una crescita del settore industriale e del terziario, ma dal
1981 l’agricoltura continua la sua discesa come numero di addetti ma comincia anche il calo
del numero di addetti del settore industriale mentre cresce il peso degli occupati del settore
terziario. Quindi c’è un progressivo declino dell’agricoltura, un grande sviluppo dell’industria
dal secondo dopoguerra fino agli anni 70, dagli anni 80 c’è un avvio del processo di
deindustrializzazione o terziarizzazione dell’economia. Lo spostamento dall’agricoltura al
terziario è da collegare ai flussi migratori, i flussi migratori in Italia furono dalle campagne alle
città e anche da regioni meridionali a regioni settentrionali, quindi c’è un aumento marcato del
benessere. Per cui ricapitolando abbiamo cambiamenti strutturali dell’economia, per
cambiamenti strutturali dell’economia si intende il peso dei diversi settori, spostamento delle
persone sul territorio, quindi i flussi migratori, e aumento dei redditi, che si traduce in
aumento dei consumi e cambiamento degli stili di vita. Con riguardo ai tassi di crescita del PIL
reale notiamo che il PIL reale del paese cresce con il ritmo più alto tra il 1950 e il 1973 ovvero
con un tasso medio annuo del 6%, nel periodo tra il 1973 e il 2000 il tasso di crescita è del 2% e
negli ultimi 20 anni molto peggio.

Nel periodo tra fine 800 e 1°GM si consolida in alcune parti d’Italia una struttura industriale
soprattutto nelle città del triangolo industriale, ovvero Torino, Milano e Genova. Il periodo
atipico e irripetibile era quello degli anni 50/60, poi i ritmi di crescita tornano ad essere più in
linea con quelli che si erano registrati prima. La produttività reale (PIL/forza lavoro e
investimenti lordi) del sistema cresce come tassi medi annui di crescita in maniera significativa
nel periodo 1950-1973, e nel periodo della Golden age crescono molto anche gli investimenti
(beni reali come macchinari, oppure le costruzioni come edilizia). Il settore edilizio in quegli anni
era importantissimo. Gli spostamenti dalle campagne alle città fanno crescere il tessuto
edificato. Lo spostamento di forza lavoro dal settore secondario a quello terziario significa il
passaggio di forza lavoro da un settore che ha una minore produttività (quello agricolo) a settori
che hanno una produttività maggiore (industria e terziario) quindi questo trasferimento di forza
lavoro si traduce in una maggiore produttività del sistema economico nazionale. La
terziarizzazione dell’economia significa una serie di lavori in cui non possiamo avere lo stesso
incremento della produttività che si ha avuto quando il settore industriale si è
potenziato/allargato/modernizzato con gli investimenti (il settore terziario in certi aspetti non

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consente l’incremento della produttività l’es della homebanking che ora si può fare da solo il
bonifico e non hai bisogno dell’impiegato).
Tra il 1950 e il 1973 c’è una grande crescita delle esportazioni la quale è legata all’apertura
del commercio internazionale con l’accordo GATT (General Agreement on Tariffs and Trade)
e per l’Italia il processo di integrazione economica europea. Abbiamo in quei 20 anni la
definitiva affermazione dell’industria.
* Alla fine i paesi che erano stati sconfitti dalla 2°GM, sono quelli erano andati meglio (GE
ovest, Italia e Giappone), grazie anche agli aiuti della USA.
L’Italia vive come altri paesi europei l’affermarsi del modello fordista dopo la 2°GM; il modello
fordista vuol dire anche una produzione di massa e consumi di massa (eco di scala) che erano
sostenuti dall’aumento di produzione e di produttività. Il modello fordista italiano aveva dei
luoghi simbolici che erano le grandi fabbriche del triangolo industriale. In questa Italia che si
trasforma esistono dei problemi che non riescono ad essere risolti: un primo problema riguarda il
mercato del lavoro, in quanto c’è sempre una forza lavoro in eccesso, quindi l’offerta di lavoro è
superiore alla domanda di lavoro. Una parte della forza lavoro che non trova sistemazione in
Italia si sposta verso l’estero (anche in forte crescita economica). Negli anni 50 e 60 abbiamo
nuove migrazioni verso l’estero, non tanto verso l’America ma verso i paesi della CEE. Negli anni
60 la disoccupazione interna si riduce moltissimo per l’effetto combinato di crescita economica
che assorbe forza lavoro e per la forza lavoro che emigra e quindi non fa più pressione sul
mercato del lavoro interno al paese. A partire dagli anni 70 diminuisce il flusso migratorio verso
l’estero e quindi il problema della disoccupazione riemerge ed è un problema un po’ permanente
nel nostro sistema economico. Il meridione è l’area più arretrata. Data questa differenza tra nord
e sud si cerca di ridurla con delle politiche economiche. E’ importante nel 1950 l’istituzione di
un’agenzia dello stato, che si chiama Cassa per il Mezzogiorno che ha il compito di investire
risorse pubbliche nelle regioni dell’Italia meridionale per dotarle di migliori infrastrutture e
agevolando investimenti industriali. Altra cosa è che siamo nella fase del fordismo quindi lo
sviluppo industriale viene pensato (dai politici decision maker) come legato alla grande fabbrica,
come modernità del sistema economico. Le grandi fabbriche contribuiscono alla modernizzazione
del territorio ma non hanno però le ricadute positive che si pensava potessero avere. Fino agli
anni 70 c’è una piccola riduzione del divario ma poi aumenta di nuovo e ad oggi esiste ancora
questo divario. Oltre la parabola del fordismo c’è anche il rapporto tra grande impresa e piccola-
media impresa (grande fabbrica e piccole-medie unità produttive). Anche negli anni 50 e 60 era
importante in Italia la presenza di piccole-medie imprese, in quanto c’era un tessuto di piccole-
medie imprese che creava lavoro, ma quello che veniva osservato attentamente era la grande
fabbrica. Negli anni 70 c’è un rallentamento dei tassi di crescita e quindi della domanda, la
grande impresa fordista è pensata avendo un’attenzione prevalente al momento della
produzione che si basa sulla volontà di raggiungere economie di scala crescenti e che parte dal
presupposto che la domanda abbia una espansione inevitabile e tale da assorbire tutto quello che
viene prodotto dal sistema fordista.
Abbiamo una domanda che diventa un po' più varia e impone al sistema che produce la
necessità di essere più flessibile, quindi non si può puntare solamente alla produzione di massa
perché ormai i consumatori chiedono anche dell’altro. La seconda difficoltà del modello
fordista: la grande fabbrica era diventata di enormi dimensioni per cui non c’era più un
miglioramento delle economie di scala ma diventavano enormi i problemi di gestione di una
grande fabbrica (uno degli elementi più difficile da gestire è la forza lavoro). Le rivendicazioni

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sindacali rendono difficilmente gestibili le grandi fabbriche, quindi questo modello viene messo
in crisi e induce due tipi di risposta ovvero l’esternalizzazione (certe attività vengono affidate
all’estero e inducono alla riduzione dell’attività) e la delocalizzazione (tanti paesi si sono
delocalizzati nell’est Europa). Le piccole- medie imprese non sono investite da questo tipo di
crisi, erano meno dinamiche, meno oggetto di attenzione ma c’erano e non subiscono la crisi
del fordismo, i rapporti sindacali sono diversi all’interno delle piccole-medie imprese. Le piccole-
medie imprese non sono localizzate nei grandi centri industriali dell’Italia del boom economico
ma sono localizzate in aree di provincia e soprattutto nel nord-est e nell’Italia centrale, quindi la
crisi del fordismo si traduce nell’inizio di un cambiamento di peso delle regioni trainanti
dell’economia italiana, fino agli anni 70 le regioni trainanti erano state quelle del nord-ovest, a
partire dagli anni 70 il baricentro dell’economia italiana si sposta verso nord-est (Veneto, Emilia-
Romagna, Marche, Umbra, Toscana) e si userà l’acronimo NEC (Nord, Est, Centro). Sono
importanti anche i distretti industriali caratterizzati dalla presenza di un tessuto robusto di
piccole-medie imprese e le quali sono attive nello stesso settore produttivo. Altri distretti
industriali sono per es i distretti della produzione della ceramica (Sassuolo), delle calzature etc.
Altri elementi importanti per le piccole-medie imprese sono la dinamica sociale che si crea in
quelle zone, infatti in queste zone le piccole-medie imprese riescono a fare rete in queste zone,
e la dimensione sociale.
LEZIONE 13 - 02/11/2020
La presenza di un robusto tessuto delle piccole-medie imprese nell’economia italiana la si
poteva vedere negli anni del grande miracolo economico in cui l’attenzione generale era rivolta
non tanto alle piccole-medie imprese ma alle grandi imprese; negli anni 70 il modello fordista
entra in crisi in Italia nei paesi industriali più avanzati. Il tessuto delle piccole-medie imprese
dimostra una gran vitalità e nel fenomeno piccole-medie imprese abbiamo un tema specifico
che è quello dei distretti industriali, ovvero l’individuazione di una porzione limitata provinciale
o sub-provinciale del territorio italiano dove il tessuto industriale è caratterizzato dalla presenza
rilevante di piccole medie-imprese che si occupano in larga parte di una determinata filiera
produttiva. Dentro il distretto ci sono ulteriori elementi che presuppongono dei sistemi che
possono essere supportate dalle amministrazioni locali che promuovono delle azioni comuni per
favorire lo sviluppo del distretto e l’affermazione del distretto. Quando il distretto è calato nella
realtà locale vuol dire che in quella società locale ci sono elementi di contesto che favoriscono
un certo tipo di cultura industriale (cultura del distretto=voglia di fare, di intraprendere). Un
secondo elemento è una coesione sociale che è data dal ruolo delle famiglie, per cui nelle
imprese distrettuali ci può essere un’impresa che è quella dei fondatori di essa che viene
continuata con passaggi generazionali. Un ulteriore elemento è il senso civico (civicness), come
senso di appartenenza alla comunità di cui si fa parte, induce una serie di comportamenti
positivi extraeconomici, ma che gli economisti l’hanno ritenuto importante per lo sviluppo dei
distretti. Le grandi imprese hanno più risorse da dedicare a ricerca e sviluppo ma questo apre
un problema per i paesi che hanno nelle piccole-medie imprese dei punti di forza ovvero proprio
la ricerca e sviluppo.
I punti di forza dell’Italia sono il made in Italy, il quale garantisce una capacità di esportare, il
patrimonio storico-artistico italiano, la qualità della gastronomia e la capacità di adattarsi.
I punti di debolezza sono il non essere posizionati nei settori ad alta tecnologia, i quali sono dei
settori che dal punto di vista economico possono essere considerati settori con basse barriere

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all’ingresso (cioè possono entrare imprese di altri paese perché ne abbiamo poche) e questo
porta le piccole-medie imprese ad essere sempre più esposte a una concorrenza internazionale
che si fa sempre più aspra, bassa percentuale di occupati sulla popolazione, il divario regionale,
problemi dell’amministrazione pubblica, la quale è riconducibile al tema dell’efficienza
complessiva e al tema del debito del bilancio pubblico, altra grande debolezza dell’economia
italiana è la forte dipendenza energetica (fra i maggiori paesi industrializzati l’Italia è infatti uno
dei paesi che più dipende, per il proprio fabbisogno energetico, dalle importazioni come il
petrolio, gas naturale e carbone), la scarsa dotazione di infrastrutture (che colpisce tutto il
paese, soprattutto il Mezzogiorno) e l’elevata corruzione.
*L’export dell’Italia è mutata nel tempo: nel 1861 esportava solamente prodotti agricoli, all’inizio
del ‘900 il settore settile e verso la metà del ‘900 il settore meccanico

13 L’ECONOMIA INTERNAZIONALE NEI PRIMI 20 ANNI DEL NOSTRO SECOLO


Sono aree di grande forza economica l’America del Nord, il complesso dei paesi dell’Unione
europea, il Giappone, le quali erano aree di forza economica nel 900 ma ora non sono più sole
in quanto ci sono paesi che si sono affermati come le tigri asiatiche che modificano con la loro
ascesa il quadro economico internazionale, abbiamo inoltre paesi che sono in faticosa rincorsa
come il Brasile, la Turchia, e la Russia che però è molto indebolita in confronto all’Unione
Sovietica. Al giorno d’oggi la povertà assoluta viene calcolata su un livello di reddito giornaliero
che è la povertà assoluta nel mondo ovvero chi vive con meno di 1,90 dollari al giorno e sono
circa 700 milioni di persone nel mondo su 7.7 miliardi. In questo mondo così diverso in cui il
tema dell’egemonia economica e politica è così acuto (penetrante) è un mondo in cui ci sono
problematiche trasversali, tra cui le problematiche ambientali, le disuguaglianze, i flussi
migratori. Per quanto riguarda la Francia ad es, ci sono 6 milioni di musulmani in questo paese e
ci sono stati dei forti cambiamenti rispetto agli anni ‘50. Altro elemento importante è quello dei
modelli di capitalismo.

14 CRISI ECONOMICHE E RISPOSTE ALLE CRISI


Il tema delle crisi si intreccia fortemente col tema dello sviluppo. Questo tema delle crisi ha
acceso un dibattito con le politiche economiche preferibili da adottare. Tra le crisi che
analizziamo abbiamo: la crisi del 1929, quella degli anni 70, quella del 2008 e quella del 2020.
(libro Volpi) La crisi del 1929 arriva dopo un periodo di forte espansione dell’economia
occidentale, si abbatte sugli USA e poi si propaga nel mondo più sviluppato dell’epoca, è quindi
una crisi mondiale che nasce con una forte dimensione dentro la crisi di speculazione borsistica
(wall street). Questa è una crisi che dura anni e non viene superata immediatamente, ma viene
superata progressivamente nei singoli paesi grazie a un forte intervento dello stato
nell’economia, che crea domanda, che sostiene comparti produttivi in crisi, che cerca di non far
crollare i prezzi, che eroga sussidi, che crea lavoro con bilanci pubblici in disavanzo. La crisi del 29
è una lezione forte per chi pensa di costruire dopo la 2°GM il mondo post-bellico, il quale deve
differenziarsi dagli anni 30 per la frantumazione politica internazionale. C’è un elemento di
continuità dopo la 2°GM che è dato dal ruolo che viene maggioritariamente riconosciuto allo
stato. Il forte ruolo dello stato viene riconosciuto con un approccio che possiamo definire

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istituzionalista, ovvero sottolinea l’importanza delle istituzioni pubbliche nell’economia, quindi
ritiene assolutamente centrale il rapporto tra istituzione ed economia per leggere l’economia. Gli
aspetti che le istituzioni garantiscono perché funzioni il sistema economico è il sistema delle
regole che permettono agli attori economici di agire per avere delle garanzie reciproche (il diritto,
i codici etc), il sistema monetario che è garantito dalle istituzioni, la regolazione dei rapporti di
lavoro, la forma dello stato e il ruolo delle istituzioni nel dare un’organizzazione alla società.
Cosa significa il bilancio dello stato in termini di prelievo da un lato e dall’altro in termini di
spesa pubblica?? Lo stato lo possiamo vedere anche come gestore diretto di attività
economiche oppure come orientatore dell’attività economica. Un es lo è il trasporto pubblico.
Questo ruolo dello stato dopo la 2°GM nel sistema delle economie di mercato è riconosciuto e
accettato e questo riconoscimento era diventato molto forte in seguito alla crisi del 29, con
l’affermarsi delle politiche Keynesiane. Questo ruolo dello stato era accettato con due grandi
ordini di motivazioni: 1. evitare il ripetersi di crisi economiche pesanti come quelle del 1929,
quindi garantire uno sviluppo economico senza clamorose battute d’arresto 2. Uno sviluppo che
dia più tutele sociali ai cittadini (renda la società più giusta), come ad esempio la lotta alla
disuguaglianza e la costruzione del welfare. Questa economia occidentale con questa
impostazione vive 25/30 anni di forte crescita, quindi tutto sembra funzionare bene fino agli anni
70, anni in cui il modello entra in difficoltà per una serie di ragioni come la difficoltà del modello
fordista, l’aumento dei prezzi del petrolio, la conflittualità sociale che diventa molto forte, e
quindi c’è un rallentamento della crescita che porta a ripensare il modello fordista-keynesiano e
quindi porta a rimettere in discussione anche quel ruolo che lo stato aveva nell’economia, questo
a causa del peso fiscale e quindi il costo dello stato sociale e tutto ciò portò ad alcune critiche,
quella alla eccessiva pressione fiscale, quella al troppo potere delle organizzazioni sindacali e
quella della voglia di avere meno regole. Abbiamo quindi un ribaltamento delle filosofie
economiche con l’avvio della stagione neoliberista che ha come punta di diamante la presidenza
Reagan negli USA (1981-1989) e i governi della Tatcher in Gran Bretagna. Questa fase del
neoliberismo porta una forte crescita dell’economia a livello mondiale (i paesi emergenti) per
decenni la quale ha una battuta d’arresto nel 2008 (sempre in USA), in cui torna importante il
ruolo dello stato che interviene. Gli interventi dell’anticrisi dello stato ammontavano all’incirca
1/3 del PIL mondiale.
(La rivincita della mano invisibile (libro Volpi) esprime questo cambiamento dell’approccio). Nel
1974 all’indomani dello shock petrolifero viene dato il premio Nobel dell’economia a due grandi
economisti, Gunnar Mirdal (svedese) il quale è un tipico economista del modello keynesiano
attento al welfare e quindi allo stato sociale, Freiderich Von Heich (filosofo economista
austriaco), il quale ritiene che lo stato debba fare il meno possibile per lasciare più spazio
all’iniziativa degli individui. Nel 1976 riceve il premio Nobel un economista americano
neoliberista, Milton Friedman. Questo approccio neoliberista trova nell’età della globalizzazione
dei punti di forza che sono dati dal crollo del modello sovietico e il fatto che la Cina si apre
all’economia di mercato, quindi questa corrente va avanti vincente fino al 2008. Nel 2008 riceve
il premio Nobel Paul Krugam, un economista statunitense neokeynesiano, quindi nell’ambito
dell’intervento dello stato.
Quindi la storia ci dice che in momenti di crisi si inizia a farsi delle domande di questi modelli e
vengono criticati.
LEZIONE 14 - 03/11/2020

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15 ASPETTI CULTURALI DEI PAESI ORIENTALI (LIBRO VOLPI)
Il confucianesimo e il taoismo sono elementi forti della cultura orientale.
Il confucianesimo, recentemente denominato ruismo in alcune pubblicazioni specialistiche
("insegnamento dei ru"), è una delle maggiori tradizioni filosofico-religiose, morali e politiche
della Cina. Sviluppatosi nel corso di due millenni, esercitò un'influenza grandissima anche in
Giappone, Corea e Vietnam. Confucio elaborò un sistema rituale ed una dottrina morale e
sociale, che si proponevano di rimediare alla decadenza spirituale della Cina, in un'epoca di
profonda corruzione e di gravi sconvolgimenti politici.
Riguardo il confucianesimo, Confucio (intellettuale cinese vissuto A.C. a circa 2500 anni fa)
come filosofo e pensatore si prefigge di dare una serie di regole per disciplinare le relazioni
sociali nei rapporti tra il sovrano e il popolo, nei rapporti familiari tra padri e figli, tra marito e
moglie, tra fratelli, e tra le persone in relazione di amicizia. Queste sono regole morali che
disciplinano queste relazioni e sottolineano l’importanza della comunità (è impo essere membri
della comunità, rispettare le regole e venire accettati dalla comunità). Quindi è significativo il
senso di appartenenza alla comunità e lo è anche il giudizio del gruppo in cui si appartiene.
Questo modo di pensare ha due implicazioni, da un lato c’è un certo conformismo quindi la
singolarità di un individuo non è sottolineata, dall’altro c’è una forte spinta a una
partecipazione sociale attiva degli individui in quanto elementi di una comunità (diverso dalla
USA in cui l’individuo era attivo in quanto singolo che seguiva il suo percorso individuale).

Il taoismo è una dottrina che ha origini in Cina. La filosofia enfatizza il concetto di vivere in armonia
con il Tao, cioè la via. Taoismo significa insegnamento della via, del percorso. Nei testi del Taoismo
si parla chiaramente dei comportamenti da tenere: essere umili e cercare di rendere il mondo un
posto migliore. Mentre si fa questo, bisogna comprendere che l’uomo è fallace, che ogni sua azione
comporta delle conseguenze, e che pertanto, se non si raggiunge uno stato di armonia, nel quale
l’intervento umano è limitato, le cose possono andare solo peggio. Il taoismo si basa su una morale:
la religione disapprova gli omicidi, i furi, le bugie, la promiscuità sessuale e tutte quelle pratiche
pericolose che possono pregiudicare la sicurezza e l’incolumità dei membri della comunità.
Incoraggia invece un approccio positivo e altruistico, nonché un comportamento solidale e
collaborativo. La differenza tra Taoismo e Confucianesimo risiede nel fatto che non adotta rigidi
rituali e non prevede un ordine sociale ben preciso. C’è però un richiamo al digiuno rituale e alla
pratica del mangiare vegetariano. Un altro aspetto del Taoismo riguarda l’impiego dell’astrologia e
della divinazione.
Dal punto di vista dei generi sessuali, per il Taosimo non fa differenza che a seguire i principi sia un
uomo o una donna. Secondo il concetto dello yin yang, uomini e donne sono complementari,
inseparabili e uguali. La religione ritiene che le donne siano uguali agli uomini e che debbano avere
importanti ruoli nella vita spirituale della comunità. Tra le divinità del Taoismo vi sono infatti delle
figure femminili, che rappresentano la morbidezza di carattere, la modestia, la concordia.

Il taoismo si basa sui due elementi che compongono l’unità che sono elementi diversi e il
rapporto tra l’uomo e la natura. Il taoismo è molto più attivo rispetto al confucianesimo e
quindi induce meno all’attività sociale. Secondo gli autori c’è un denominatore comune tra
taoismo e confucianesimo che è quello della composizione dei punti di vista, il taoismo ricerca
l’armonia evitando la contrapposizione, il confucianesimo ricerca questa armonia in una
dimensione più sociale. Il confucianesimo dal 500 a.C. si diffonde come cultura, valori e modi
di pensare nell’estremo oriente (Cina e Giappone). Il confucianesimo va tenuto presente per
leggere le dinamiche sociali ed economiche.

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16 GIAPPONE
Alla metà dell’800 quando il mondo occidentale aveva già avviato un processo di
industrializzazione, il Giappone aveva contatti limitatissimi col mondo occidentale (solo le navi
olandesi), ed era estremamente arretrato dal punto di vista della tecnologia rispetto ai paesi
europei che si stavano muovendo verso una moderna industrializzazione. Nel 1854 una squadra
navale statunitense arriva davanti alla baia di Tokyo portando un messaggio del governo degli
USA che impone al governo giapponese di aprire il mercato giapponese ai prodotti occidentali.
Questo episodio è vissuto dal Giappone come una profonda umiliazione nazionale dai paesi
occidentali per la quale decide di non reagire militarmente perché non ha la stessa forza militare
dei paesi occidentali ma che non viene dimenticato. Dopo alcuni anni, il governo del Giappone
viene travolto e rimane al vertice dello stato giapponese la figura dell’imperatore, ma l’impero
vuole assolutamente evitare che questa umiliazione si ripeta e vuole recuperare il distacco
economico, tecnologico e militare che lo separa dai paesi occidentali, quindi avvia un percorso
di modernizzazione. Per farlo non può imporre dei dazi doganali perché sono stati vietati da una
serie di trattati imposti dagli occidentali, per cui deve imparare a essere competitivo cercando di
impadronirsi delle tecnologie occidentali e deve cercare di acquisire conoscenze e competenze.
Fino alla 1°GM lo stato ha un ruolo molto importante perché fa nascere delle aziende industriali
che poi vengono cedute a imprenditori privati giapponesi, favorisce l’acquisizione di know-how
e modernizza la struttura sociale abolendo un sistema di caste (gruppi sociali chiusi). Questa
rincorsa del Giappone ha dei risultati eccellenti e porta il Giappone a voler essere pari ai paesi
occidentali dal punto di vista economico, industriale e militare. Di fatto il Giappone alla fine
dell’800 occupa la Corea e successivamente Taiwan 1937 a cui impediscono di usare la loro
lingua per imporre l’uso della lingua giapponese, inoltre sconfigge la Russia zarista nel 1904-1905
e questo atteggiamento militarista del Giappone permane anche dopo la 2°GM. Dagli anni 30,
nonostante la crisi mondiale, del 900 grazie alla sua voglia di riscatto l’aggressività giapponese è
evidente e porta a occupare nel 1931 la Manciuria, ad attaccare la Cina nel 1937 e ad entrare in
guerra (aveva posto l’alleanza con la Germania e Italia, cosiddetto asse Roma , Berlino e Tokyo)
nel 1941 attaccando gli USA alle Hawaii al porto di Pearl Harbour. Nella 2°GM il Giappone
vorrebbe proporsi come il paladino dell’Asia contro gli USA. Il Giappone combatte la 2°GM fino ad
essere pesantemente sconfitto dagli USA con le due bombe atomiche statunitense sganciate sulle
città di Hiroshima e Nagasaki (1945 che causarono 3 mila morti). Tutta questa rincorsa dal 1800
fino alla 2°GM era un percorso di tipo imperialistico che invade praticamente tutta l’Oriente,
voleva invadere anche le indie inglesi e questo dimostra la sua forza militare.
Dopo la sconfitta nella 2°GM il Giappone è militarmente occupato dalle truppe americane e viene
governato fino agli inizi degli anni 50 dal Generale McArthur, il quale riscrive la costituzione
giapponese (norme a favore di USA). L’occupazione militare degli USA favorisce dei cambiamenti
nella società giapponese, viene introdotta una riforma scolastica in cui si va da 6 a 9 anni di
scuola obbligatoria, il governo americano fa alcuni processi ai criminali di guerra giapponesi e
introduce una riforma agraria nella quale espropria grandi latifondi e queste terre vengono
suddivise in appezzamenti che vengono cedute a prezzi molto bassi ai contadini, smantella le
zaibazu, ovvero le grandi holding conglomerate che esistevano nell’economia giapponese e
introduce alcune norme antimonopolistiche. Questo formare e plasmare riforme governative
giapponesi è un evento significativo. Questo controllo politico degli USA perde presto ogni
connotazione punitiva nei confronti del Giappone e viene considerato un prezioso alleato. Da lì a

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poco inizierà la guerra fredda e in questo contesto il Giappone diventa un importante tassello del
sistema delle alleanze statunitensi. Quindi gli USA danno aiuti finanziari significativi per la
ricostruzione dell’economia giapponese. È importante nella storia giapponese la guerra di Corea
(ancora oggi è divisa in due), in quanto nel 1950 la Corea del nord attacca la Corea del sud e la
guerra dura fino al 1953; la Corea del nord è aiutata militarmente e finanziariamente
dall’Unione Sovietica, la Corea del Sud è aiutata dagli USA che inviano loro delle truppe; al
fianco della Corea del nord arrivano truppe dell’esercito cinese in quanto alleate con l’Unione
Sovietica. Il confine tra Corea del nord e Corea del sud però rimane lo stesso di quello che c’era
all’inizio della guerra, quindi nessuno dei due paesi conquista territori, ma tuttavia dal punto di
vista economico questo fornisce l’occasione al Giappone di essere un valido alleato degli USA e la
struttura produttiva del Giappone produce per rifornire le truppe americane. Per cui nel 1951
viene siglato il definitivo trattato di pace fra USA e Giappone e c’è anche un trattato di alleanza
e nel 1952 c’è la definitiva conclusione dell’occupazione militare americana. Il Giappone dopo la
2°GM cambia la strategia geopolitica rispetto a quella che aveva adottato fino alla 2°GM, quindi
non segue più una politica di tipo militarista e si concentra sull’economia. Dal punto di vista
storico i giapponesi dopo la 2°GM, cercano di non raccontare mai la loro storia passata (anche nei
libri di scuola), dei crimini e delle sconcezze che hanno fatto.

Da questo momento in poi la crescita giapponese nella fase iniziale è sostenuta dagli aiuti
americani, il PIL giapponese nel 1956 supera quello degli anni 30 e i tassi di crescita dalla metà
degli anni 50 fino al 1973 registrano il 9% e si traduce in un’esplosione del benessere giapponese
e nella capacità di fare diventare il Giappone una delle più forti economie del mondo. I fattori
che determinano la crescita economica post-bellica del Giappone sono il rapporto con gli USA
con gli aiuti da parte di questi ultimi, l’eredità culturale del Giappone (le guerre sconfitte non
cancellano la mentalità e i valori di un popolo), l’innovazione tecnologica (favorita dagli stessi
statunitensi) e il ruolo dello stato giapponese, il quale si pone l’obiettivo dello sviluppo
economico e in questo ha un ruolo molto importante il MITI (Minister of International Trade and
Industry), il quale è un organismo di ottimo livello che si propone degli obiettivi economici e che
vuole indicare al sistema eco giapponese degli obiettivi da perseguire.

Altri interventi da parte dello stato lo abbiamo visto:


- UK: governo laburista che nazionalizza alcune imprese in certi settori come nel
carbone e interviene sul welfare
- Francia: intervento alle imprese tramite il commissario au plan (intervento tecnico)
e nazionalizza tante imprese anche per punizione (es Renault)
- Germania: con la congestione e la concertazione con il rapporto reciproco tra lo stato,

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sindacalisti e imprenditori
- Italia: con la Cassa per il Mezzogiorno e abbiamo anche le imprese pubbliche come IRI (grande
holding che viene salvata dallo stato), ENI, ENEL etc….

Il MITI fissa degli obiettivi di sviluppo incentivando economicamente le imprese perché puntino
su determinati settori, concedendo dei contributi all’export, incitando a fare e favorendo processi
di fusione tra imprese. Il Giappone quindi si sviluppa molto industrialmente, aggredisce il
mercato mondiale in quanto è un paese fortemente esportatore (made in Japan) chiamato anche
export led. Le esportazioni giapponesi sono favorite dalla loro capacità di lavorare e di assimilare
le più avanzate tecnologie statunitensi (avendo negli anni 50-60 una retribuzione più bassa di
quello di USA ed Europa occidentale). Per cui l’economia giapponese si industrializza, cresce
significativamente ed è capace di essere competitiva sul mercato internazionale.

LEZIONE 15 - 09/11/2020
Il Giappone dopo la 2°GM era ripartito dopo una catastrofe pesantissima, e negli anni 60
conseguì una grandissima crescita economica e un grandissimo benessere. Nel 1967 la classe
media corrisponde all’88% della popolazione giapponese, per cui il benessere è largamente
diffuso nella società giapponese. Questa crescita del benessere è coincisa con
l’industrializzazione. Nel 1964 si inaugura la ferrovia ad alta velocità che collega Tokyo e Osaka
e questo contribuisce alla crescita urbana.

17 STRUTTURA DELL’INDUSTRIA GIAPPONESE


È assolutamente corretto parlare di dualismo dell’industria giapponese, individuando due realtà
distinte: la realtà delle piccole-medie imprese e la realtà delle grandi aziende. Al sistema delle
grandi imprese può essere ricondotto il 30% della forza lavoro industriale. Negli altri paesi a
quell’epoca la tensione è rivolta alla grande impresa giapponese. Le grandi imprese giapponese
hanno una storia che inizia ben prima della 2°GM, e nella quale si erano formate da tempo dei
grandi gruppi industriali, ovvero gli zaibatsu che erano delle grandi conglomerate che ruotavano
attorno a una grande famiglia imprenditoriale. Essi avevano una holding controllata dalla famiglia
che detenevano delle azioni su grandi varietà di aziende. Nel caso dei zaibatsu più grossi esisteva
una banca che garantiva alle imprese del gruppo una specifica attenzione riguardante i
finanziamenti delle attività aziendali. Con la 2°GM e quindi con l’occupazione degli USA questi si
occupano di smantellare gli zaibatsu in quanto gli americani hanno una cultura antimonopolistica
e considerano gli zaibatsu colonne portanti del Giappone militarista e aggressivo degli anni 30.
Tuttavia, nel tempo gli zaibatsu si ricostituiscono con forme leggermente diverse, chiamandosi
keiretsu e cambia anche la forma del grande gruppo in quanto non c’è più la holding della
famiglia che controlla una serie di imprese, ma ci sono molte imprese collegate tramite un
meccanismo di partecipazioni azionarie incrociate; c’è sempre una banca dentro il gruppo, e una
trade company, quindi c’è una strategia unitaria e c’è un’apertura al management (non
appartengono alla famiglia). In queste grandi imprese c’è una cultura specifica che rimanda al
modello culturale confuciano in cui ci sono dei pilastri che sono la cultura del lavoro, la
comunità, l’accettazione di un sistema di regole. Le grandi imprese giapponesi grazie ai modelli
confuciani si considera una grande famiglia allargata, chiamata kaisha, in cui ci sono dei
riconoscimenti impliciti di membro di una famiglia allargata anche per il dipendente. L’essere

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parte di una famiglia responsabilizza l’impresa nei confronti dei dipendenti, di fatto ha
l’obiettivo di garantire il posto di lavoro a tempo indeterminato al dipendente. Il verbo
“licenziare” si traduce in lingua giapponese come tagliare la testa. Dentro la famiglia è
importante inoltre riconoscere il ruolo degli anziani, dentro la kaisha è importante riconoscere il
valore dell’anzianità aziendale. Il fattore anzianità aziendale è importante anche nei percorsi di
carriera interni. Le grandi imprese oltre la retribuzione danno ai lavoratori dei benefits extra
monetari allo scopo di favorire il welfare aziendale. Negli anni 50 l’associazione dei manager
giapponesi già teorizza dei concetti che noi occidentali abbiamo ricondotto dentro la
responsabilità sociale dell’impresa ed è un modello culturale che ha anche degli esempi nelle
culture industriali europee (da noi si è usato tantissimo il termine paternalismo).
Negli anni 70 anche l’economia giapponese rallenta la sua crescita a causa dello shock
petrolifero del 1973, il quale ha un impatto significativo sull’economia giapponese in quanto il
Giappone è una di quelle potenze industriali prive di materie prime energetiche proprie (come
l’Italia) e quindi aumentano i prezzi, per cui c’è una combinazione tra rallentamento della
crescita economica unito a una dinamica inflazionistica, la cosiddetta stagflazione (fusione tra
stagnazione e inflazione). Abbiamo una situazione di stagflazione anche nell’economia
giapponese degli anni 70 e reagisce bene ai due shock petroliferi perché le imprese si adeguano
in quanto il rallentamento della crescita è pagato soprattutto dai lavoratori molto meno
garantiti delle piccole imprese, e perché il Giappone dimostra una capacità di innovazione nella
gestione manageriale dell’impresa. In questo frangente è importante il toyotismo il quale è un
modello di gestire l’impresa e di organizzare la produzione, diverso dal modello fordista. Il
toyotismo aveva delle radici in Giappone le quali erano individuabili negli anni 50 e uno dei
primi teorici di un modello di organizzazione non strettamente fordista in Giappone è uno
statunitense, William Deming (ingegnere studioso), il quale tiene dei seminari in Giappone e
mette al centro dei suoi seminari il ciclo di Deming chiamato PDCA (plan-pianificare, do-
eseguire, check-controllare, act- azione/intervento). Il fordismo non seguiva tanto il check e
l’act, infatti aveva dei top/down nel processo. Quindi il toyotismo parte da questo e poi si adatta
a un mondo che è cambiato, in quanto rallenta la crescita e rallenta anche la domanda, i
consumatori hanno dei gusti più complessi e quindi la produzione dev’essere flessibile, per cui
negli anni 70 si concettualizza la produzione snella (lean production) contrapposta al modello
fordista. Il signor Ohno è il top manager della Toyota che scrive dei testi sullo spirito Toyota e da
questo venne fuori il termine “toyotismo”. I risultati della Toyota negli anni 70 e 80 sono
eccellenti. Nell’impresa automobilistica uno degli indicatori che viene assunto per misurare la
produttività per addetto è quello di quante vetture ogni anno siano prodotte da un dipendente,
per cui si divide il numero di vetture prodotte dall’impresa per il numero di dipendenti. Alla
fine degli anni 80 in Toyota questo indicatore è di 56 vetture per ogni dipendente, nettamente
migliore in confronto a Chrysler (16 vetture per dipendente) e Ford (12 vetture per dipendente),
non sappiamo l’unità di tempo considerata però. Un fenomeno che potrebbe spiegare in parte
questa differenza è quello dell’esternalizzazione (il prof è convinto che il toyota sia
esternalizzata più di ford e chrysler), il quale si lega sia al fordismo che al toyotismo. Tanto più è
alta e ampia la gamma di attività che sono esternalizzate, tanto più cala il numero dei
dipendenti dell’impresa e quindi il rapporto vetture/dipendenti tende a migliorare. Il modello
Toyota viene guardato sempre di più anche dalle imprese occidentali e nord-americane. Altri
ingredienti del toyotismo sono il controllo della qualità, la riduzione degli scarti e la lotta agli
sprechi. Il modello fordista considerava le scorte come immobilizzazione di capitali, in quanto

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più alto è il volume delle scorte più alto è la quantità di capitale che ho impegnato per il loro
acquisto e questo per il modello fordista non è un problema perché la produzione aumenta
costantemente ed è automatico che le scorte vengano usate pienamente. Con gli anni 70 il
problema delle scorte come elemento di immobilizzazione di capitale diventa un problema
molto più stringente e quindi bisogna ridurre le scorte in magazzino. Abbiamo una differenza
anche su forza lavoro perché nel modello fordista il lavoratore non qualificato è inserito in un
sistema produttivo senza avere alcuna autonomia di movimento e svolge una mansione
composta da azioni ripetute le cui direttive sono impartite dall’alto, un esempio è la catena di
montaggio che svolge la stessa ripetuta azione. Nel modello toyotista il lavoratore è
attivamente partecipe a un processo ed è più qualificato che gli si riconosce il ruolo e deve
avere anche una formazione più varia. Nel toyotismo il lavoratore è coinvolto nel processo
produttivo (casette delle idee da parte dei lavoratori per il miglioramento del processo e che i
manager potevano tener conto), nel modello fordista invece questo coinvolgimento non c’è;
inoltre è prevista la partecipazione del lavoratore all’azione e alla strategia aziendale. Il quadro
descritto fino adesso viene usato con la denominazione Kaizen (miglioramento continuo).
Nel fordismo c’era solamente un aspetto contrattuale invece nel toyotismo era un po'
diverso e questo lo era anche per la loro cultura.
Per quanto riguarda la partecipazione del lavoratore all’azione alla strategia aziendale era
leggermente diversa anche rispetto al modello della cogestione tedesco che si dava un ruolo
specifico ai lavoratori e ai loro rappresentanti nel definire le strategie dell’impresa e non
l’organizzazione del lavoro a livello di reparto. Di fatto riconosce ai lavoratori e ai loro
rappresentanti sindacali un ruolo formale come di un soggetto autonomo (governance dualistica).
Il Giappone negli anni 70 nonostante la stagflazione e il rallentamento della crescita è molto
forte sul mercato internazionale.

LEZIONE 16 - 10/11/2020
Al mondo delle grandi imprese poteva essere ricondotto il 30% della forza lavoro industriale.
Oltre ai benefits della grande impresa esiste anche un sistema di differenziazione dei salari, in
quanto le retribuzioni dei lavoratori delle piccole-medie imprese sono del 30% inferiori delle
retribuzioni dei lavoratori delle grandi imprese.
Ohno (ingengere che aveva passato tutta la vita nella Toyota) comincia a dedicarsi dopo la 2°GM
ad occuparsi di quella parte del settore della Toyota che si occupava della produzione di
automobili e studia un modello di organizzazione della produzione che è altamente produttivo.
L’elemento della produttività per addetto è il risultato di diversi fattori: le esternalizzazioni (se
sommiamo il numero degli addetti diretti Toyota al numero di addetti delle forniture abbiamo un
cambio del coefficiente di vetture prodotte per addetto), l’industria automobilistica (ci sono degli
stabilimenti dove si produce la panda o la punto in cui abbiamo un numero di vetture prodotto
per addetto sensibilmente alto, all’interno del gruppo Fiat Chrysler FCA in Italia abbiamo anche
gli stabilimenti Ferrari e Maserati dove il numero di vetture prodotto per addetto è più basso
perché il prodotto auto non è lo stesso, è un prodotto molto sofisticato e richiede dei tempi di
lavorazione molto più lunghi), il monte ore lavorativo annuo che può essere diverso (in Giappone
il monte ore annuo dei lavoratori dell’auto era superiore a quello dei lavoratori dell’auto
statunitense).

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Si possono ottenere dei risultati rilevanti anche se si riesce a sostituire addetti con macchine.
Gli operai si occupavano anche di verniciare le auto, ma questo era un lavoro un po’ nocivo per
la loro salute, e infatti successivamente in questo lavoro è stato automatizzato in quanto sono
stati impiegati dei robot che si occupavano di spruzzare la vernice sulla carrozzeria dell’auto. Poi
ci sono tutti i principi di controllo organizzativo e capacità gestionale per cui il toyotismo è stato
campione come modello di organizzazione produttiva.
Riprendendo l’andamento dell’economia giapponese, la quale abbiamo detto che è stata brillante
fino agli anni ’70 per poi risentire del rallentamento generale della crescita economica nei paesi
più avanzati e degli shock petroliferi del 1973 e del 1979. Nonostante ciò, la capacità di reagire
del modello giapponese è consistente e il toyotismo è uno degli elementi forti di questa
reazione che fa sì che il Giappone pur rallentando la sua economia sia sempre molto capace negli
anni ’70 e ‘80 di entrare coi suoi prodotti nei mercati esteri, in particolare nel mercato
nordamericano e in quello dell’Europa occidentale. Negli anni ’70 e ’80 il Giappone viene
presentato a volte come un competitore sleale e accusato di praticare il dumping, ovvero di
andare a vendere all’estero prodotti sotto costo di produzione. Il Giappone è comunque capace
di tenere però suscita polemica in particolare da parte degli USA, i quali negli anni ’70 cominciano
a percepire il declino della loro struttura industriale tradizionale perché in un sistema multipolare
con molti più competitor, il sistema industriale degli USA ha molta più concorrenza e quindi c’è
un ridimensionamento della struttura industriale statunitense. Nel 1985 gli USA con i loro due
concorrenti più forti sul mercato, ovvero il Giappone e la Germania, concordano-spingono
fortemente questi due paesi a rivalutare le loro monete (accordo di Plaza), per frenare la
capacità di queste due economie di penetrazione nel mercato americano (cosi diventano più cari
i prodotti). Quindi nel 1985 il Giappone vede rallentare la crescita del suo export e deve puntare
di più sul mercato interno, ovvero deve compensare il rallentamento della domanda estera che è
effetto di questa rivalutazione dello yen con una maggiore vivacità del mercato interno. Negli
anni ’80 si affermano anche in Giappone le politiche neoliberiste che si traducono in
privatizzazioni delle ferrovie, della società statale delle telecomunicazioni; c’è inoltre un
tentativo di controllare la spesa pubblica e di stimolare il mercato finanziario e immobiliare.
Tutto questo crea un forte trend di crescita dei valori azionari alla borsa di Tokyo. L’indice della
borsa di Tokyo è il “Nikkei“ fondato nel 1950 (in USA c’era invece l’indice Dow Jones Industrial
Average). Questo indice nel 1989 si aggira sui 40.000 yen, ed è un valore di cinque volte superiore
ai valori degli anni ’70. Nel 1990 questa bolla speculativa esplode e precipita il valore delle

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azioni. Nel 2009/2010 l’indice oscillava tra i 10.000 e 11.000 yen, quindi aveva perso il 75%
rispetto al 1989.
Negli anni ’80 abbiamo una politica economica espansiva decisa dal governo giapponese che
finanzia i lavori pubblici, l’euforia finanziaria si accompagna a fenomeni di aumento delle
disuguaglianze sociali perché in quel momento c’è un mondo legato alla finanza che guadagna di
più del mondo legato alla produzione di beni e inoltre abbiamo un individualismo che arriva nella
società giapponese dal mondo occidentale. Altro elemento di grande crescita dal punto di vista
dei valori è quello delle case che da un lato è legato al processo di urbanizzazione giapponese e
dall’altro la crescita dei valori immobiliari (era un po' come puntare sulle azioni) e anche in
questo caso scoppia una bolla speculativa nel 1990 un po’ com’era avvenuto con la crisi del 1929,
con degli effetti a catena in quanto il valore degli immobili era stato alla base di mutui ipotecari,
ovvero le banche concedevano dei prestiti che non avevano più la garanzia che avevano prima,
quindi le persone non riescono più a restituire il capitale concesso a prestito e le banche che
avevano concesso il credito non sono più garantiti dalle ipoteche sul valore degli immobili, quindi
la crisi diventa sistemica e il Giappone entra in recessione economica negli anni ’90 e quindi in
una lunga fase di stagnazione. Viene definito anche il decennio perduto perché il Giappone dopo
questo non cresce più. Di questa crisi nei risentono anche i keiretsu e quindi anche i grandi
gruppi i quali messi sotto pressione sull’attenzione della gestione delle risorse umane licenziano
personale. Il debito pubblico giapponese aveva iniziato a crescere significativamente negli anni
’80 e arrivava al 200% del PIL, e questo era un debito pubblico detenuto da soggetti giapponesi.
Nel 1997 sul Giappone si abbatte la crisi asiatica (non la Cina) che interessa paesi asiatici che
avevano rapporti col Giappone. In questo contesto il governo interviene per promuovere dei
processi di raggruppamento e ristrutturazione piuttosto efficaci. Nel 2003 quando finisce questo
ciclo economico negativo (il cosiddetto “decennio perduto”) il mercato azionario ha perso l’81%
dei suoi valori borsistici e il mercato immobiliare ha perso l’85% del valore medio dei fabbricati
commerciali. Questo suscita anche nella società giapponese un senso di diffidenza nei confronti
dell’élite, in quanto il Giappone era un paese abituato a credere molto in chi governava. Il
Giappone come tutti i paesi nel 21esimo secolo si muove in un contesto internazionale che è
stato segnato dalla crisi dei mutui subprime del 2008-2009 (crisi sistemica) e dalla crisi del 2020;
inoltre l’economia giapponese si muove in un contesto in cui sono comparsi dei nuovi
competitors come, ad esempio, la Cina che è molto forte nel mercato internazionale e
soprattutto in Asia. Con riguardo alla demografia il Giappone è un paese vecchio come l’Italia e
la Germania in cui la quota di anziani è molto alta ed è un paese molto meno dinamico rispetto
agli anni ’50 e ’60 e questo porta a dei costi sociali più elevati. Altro problema è il debito
pubblico.

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LEZIONE 17 - 16/11/2020

18 LA CINA
Individuiamo due macro-periodi della storia della Cina: il primo va dal 1839 al 1949. Nel 1839 c’è
la prima guerra dell’oppio. Il 1949 è l’anno della nascita della Repubblica popolare cinese. Il
secondo va dal 1949 al 2049. Il 2049 è stato indicato dalla leadership cinese come l’anno in cui
la Cina sarà davvero la prima potenzia mondiale. Il 1839 è importante perché ha come
protagonisti la Cina da un lato e l’Inghilterra dall’altro. Nel 1839 la Cina era un grande impero
dell’Asia che però era molto arretrato dal punto di vista economico e tecnologico rispetto ai
paesi europei che stavano conoscendo (in UK soprattutto) una trasformazione industriale
sconosciuta ai cinesi. L’Inghilterra utilizza questa sua forza economica per affermarsi nel mondo.
Nel 1839 l’Inghilterra controlla economicamente vaste zone dell’India che viene esercitata dalla
compagnia inglese delle Indie orientali la quale sviluppa business tra cui la coltivazione del
papavero per produrre droga per poi fare in modo di venderla. Gli inglesi vogliono vendere
l’oppio sul mercato cinese e quindi le navi inglesi partono dall’India portandolo in Cina ma il
governo dell’impero cinese non gradisce questa diffusione dell’oppio sul mercato cinese e
quindi cerca di impedirlo, per cui nel 1839 a Canton dei soldati dell’esercito cinese impediscono
lo sbarco di un carico d’oppio e lo sequestrano.
L’Inghilterra considera questo un atto non accettabile e comincia quindi la prima guerra
dell’oppio
(Succo condensato, parzialmente solubile in acqua e in alcol, ottenuto per incisione
delle capsule dei fiori del papavero indiano (o papavero bianco ); per l'alto tenore di
alcaloidi, esercita, a dosi terapeutiche, azione antispastica, analgesica, ipnotica e
sedativa sui centri respiratori; a dosi eccessive provoca disturbi di entità variabile, che
possono compromettere le funzioni cardio-circolatoria, respiratoria, nervosa, fino a
provocare il coma e la morte; fino al XIX sec., ingerito o fumato, fu anche in occidente la
droga più comune; oggi viene inoltre usato come materia prima per estrarne o ricavarne
diversi stupefacenti (morfina, eroina)) fra Inghilterra e Cina e finisce nel 1842 con il successo
dell’Inghilterra la quale è militarmente molto più forte e viene siglato un trattato, considerato
ineguale dai cinesi, il quale prevede che gli inglesi possono continuare a vendere in Cina tutto
l’oppio che vogliono; inoltre gli inglesi non hanno la forza e l’interesse di arrivare a dominare
politicamente la Cina in quanto a loro basta poter penetrare nel mercato cinese per cui si
prendono Hong Kong come base per gestire le loro attività economiche nei confronti della Cina.
Dopo la guerra dell’oppio tra Inghilterra e Cina anche gli altri paesi occidentali stipulano dei
trattati ineguali con la Cina imponendo il fatto di poter penetrare coi loro prodotti nei mercati
cinesi e di avere delle zone da loro controllate per commerciare con la Cina. Questi trattati
ineguali sono visti come una grande umiliazione dalla Cina (come uno schiaffo). Oltre la Cina
pure il Giappone subisce un’umiliazione siglando trattati coi paesi occidentali. Il Giappone si
risolleva molto più velocemente mentre la Cina si dimostra incapace di
risollevarsi/trasformarsi, per cui rimane un grande paese ma molto debole dal punto di vista
economico e politico. Nel 1911 questa debolezza della Cina porta a un cambio di governo e
nasce la Repubblica cinese (non la popolare); il cambiamento istituzionale non riesce però ad
avviare una significativa trasformazione economica del paese, un paese contadino il quale è
molto povero.

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Negli anni ‘20 esplode una guerra civile in Cina che vede contrapposti il partito comunista
cinese e il movimento nazionalista borghese. Oltre questa guerra civile abbiamo un paese allo
sfascio in cui ci sono delle zone comandate da generali delle loro truppe chiamati signori della
guerra. A tutto questo si aggiunge l’aggressione giapponese alla Cina che vede nel 1931-1932
l’occupazione della Manciuria (Cina del Nord) da parte del Giappone e nel 1937 il resto della
Cina. Tutto questo termina con la sconfitta del Giappone nel 1945. Con la sconfitta del
Giappone nel 1945 riesplode la guerra civile interna tra i comunisti guidati da Mao Tze-Tung e i
nazionalisti guidati da Chiang Kai-shek che avevano momentaneamente sospeso le ostilità
reciproche per fronteggiare il comune nemico giapponese; la guerra civile si concluse nel 1949
con la vittoria dei comunisti.
Quindi nel 1949 nasce la Repubblica popolare cinese guidata da Mao Tze-Tung. Dopo la
sconfitta Chiang Kai-shek fugge nell’isola di Taiwan che faceva parte della Cina e crea uno stato
che non riconosce il governo di Pechino. Per cui abbiamo la Repubblica popolare cinese nella
Cina continentale e a Taiwan si crea un altro stato cinese. Entrambi questi stati ritengono di
essere i veri rappresentanti legittimi della Cina dal punto di vista politico. Nel 1949 siamo in
piena guerra fredda, l’Unione Sovietica appoggia la Cina e gli USA appoggiano Taiwan. Nel
1949 Mao Tze-Tung che è andato al potere, si trova davanti a problemi enormi perché la Cina
aveva sì fatto dei progressi ma era un paese estremamente povero, per cui egli si pone come
obiettivo di sviluppare l’economia cinese e risolvere i problemi di base della società cinese
(sfamare il popolo e lottare contro l’analfabetismo). L’Unione sovietica è il modello per la Cina di
Mao Tze-Tung e quindi il modello dal punto di vista economico è quello dell’economia
pianificata e il modello dal punto di vista politico è quello del partito unico al potere, ovvero il
partito comunista cinese. Quindi con l’economia pianificata lo stato cinese controlla il sistema
economico e quindi ci sono i piani quinquennali con cui lo stato controlla le fabbriche che
vengono create e nel 1957 la grande maggioranza delle famiglie contadine cinesi aderisce a un
sistema cooperativo. Questo avviene anche grazie ad alcuni aiuti dell’URSS come l’USA fece con
l’Europa occidentale e con il Giappone.

Quindi in questi anni si devono ricordare:


- l’arretratezza della Cina
- la subordinazione della Cina ai paesi occidentali vissuta come un umiliazione
- la nascita dei due stati che non si riconoscono (Cina e Taiwan)

Considerando il macro-periodo 1949-2049 dobbiamo fare una suddivisione in due sottoperiodi,


la Cina di Mao dal 1949 al 1976 (anno della morte di Mao), dal 1976 e in particolare dal 1978 si
apre una fase nuova, la fase post-maoista. Dopo la morte di Mao c’è una lotta interna al partito
comunista cinese in cui si afferma un nuovo leader, Deng Xiao Ping, il quale succede a Mao nel
1978 e aprirà al mercato l’economia cinese. Per cui nel periodo di Mao il modello è quello
dell’Unione sovietica, nel periodo di Deng invece c’è la progressiva apertura al mercato
dell’economia cinese. Xi Yin Ping, l’attuale leader della Cina nel 2020 è un continuatore della
linea aperta da Deng Xiao Ping nel 1978.

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Il regime politico cinese non cambia è sempre concentrato sul partito comunista sia nel periodo
di Mao, che in quello di Deng che in quello di Xi Yin Ping. Il modello maoista è un modello che ha
alti e bassi, però ha anche dei risultati, infatti alla fine degli anni ’50 col primo piano
quinquennale 1953-1958, secondo stime occidentali, il PIL cinese cresce del 4,6% l’anno. Alla
fine degli anni 50 Mao vuole accelerare lo sviluppo industriale per cui vengono spinti
investimenti nella creazione di nuove fabbriche, i contadini sono obbligati ad andare a lavorare
nelle fabbriche e il risultato di quest’azione forzata è un crollo della produzione agricola del
20% tra il 1958 e il 1960 che si traduce in carestia e quindi si verifica una mortalità per
denutrizione di circa 30 milioni di cinesi. In questo caso Mao voleva prendere le distanze e
rendersi autonomo dall’Unione sovietica. La Cina di Mao, infatti, non accetti di essere agli
ordini dell’Unione sovietica. Negli anni ’60 si verifica la frattura dell’alleanza fra Cina e Unione
sovietica. Dal punto di vista economico dopo il fallimento del tentativo del grande balzo in
avanti la leadership cinese torna a fare attenzione alla produzione agricola, cerca di aggiustare
il tiro per una crescita graduale e dà più peso ai quadri tecnici come ad esempio ingegneri, periti
agrari ecc. Nella Cina di Mao esistevano dei contrasti politici tra due correnti politiche
(comuniste): una corrente politica tecnocratica/pragmatica di persone meno attente
all’ideologia e più attente a privilegiare l’esperienza e le competenze e una corrente che è più
ideologica ed egualitaria (populista). Nel 1966 la corrente egualitaria-ideologica sostenuta da
Mao lanciò la sua offensiva contro i tecnici-pragmatici in cui c’è un attacco politico-ideologico.
Tra il 1966 e il 1969 gli esponenti della corrente ideologica-egualitaria prendono il sopravvento
sui pragmatici e quest’ultimi vengono perseguitati e mandati in galera. Questa emarginazione
viene sofferta dal padre di Xi Yin Ping il quale apparteneva alla corrente tecnocratica e viene
emarginato e spedito a zappare la terra. La stessa emarginazione viene sofferta da Deng Xiao
Ping, il quale anche lui viene allontanato (suo figlio viene paralizzato proprio alla sua università).
Nel 1969 questa fase termina e i pragmatici prendono il potere e alla metà degli anni ’70
lanciano l’idea delle quattro grandi modernizzazioni della Cina che sono la modernizzazione
dell’agricoltura, dell’industria, dell’apparato militare cinese e la modernizzazione scientifica e
tecnologica. La Cina dal punto di vista diplomatico comincia a guardare di più agli USA e gli USA
cominciano a guardare con più interesse alla Cina dato che è lontana dall’Unione Sovietica.
L’avvicinamento diplomatico tra Cina e USA ha avuto nel viaggio della nazionale di ping-pong
(come viene presentato nel film di Forest Grump) statunitense in Cina per fare alcuni incontri
sportivi contro i cinesi un suo momento iniziale perché per la prima volta una delegazione
statunitense andava con un viaggio ufficiale nella Repubblica popolare cinese, di fatto nel 1971
gli USA riconoscono la Repubblica popolare cinese presidiata da Mao. Nel 1971 gli USA
riconoscono la Cina come paese sovrano e non più Taiwan (perché così lo riteneva come
contro regola il governo cinese). Fino al 1971 nel consiglio di sicurezza dell’ONU il quinto seggio
è occupato da Taiwan, ma quando gli USA riconoscono la Cina essa entra al posto di Taiwan.

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Nel 1976 Mao muore e c’è un anno di scontri violenti tra le due correnti del partito comunista
cinese e gli eredi della rivoluzione culturale vengono sconfitte da Deng e dai suoi sostenitori,
quindi nel 1978 si afferma il potere di Deng Xiao Ping (elimina gli oppositori politici come loro
avevano fatto con lui). Deng si pone l’obiettivo di proseguire il cammino della modernizzazione.
(slide proiettate: l’aspettativa di vita è cresciuta nel periodo di Mao dal’60 al ‘76 (da 45 a 65),
questo vuol dire che è migliorata la condizione alimentare e sanitaria, anche la popolazione è
aumentata fino agli anni ’70 e poi vedremo che scenderà anche dalle nuove norme attuate (1
child for family)). Con Deng c’è una rivoluzione alla maniera cinese nel senso che egli vuole
accelerare la crescita economica della Cina e si rende conto che per farlo bisogna aprire il
sistema economico al mercato. Di conseguenza fa questo e tiene molto fermo il sistema
politico. Deng dal 1978 dà il via a riforme importanti: nelle campagne esisteva il sistema delle
cooperative (lavorano tutti per lo stato e poi si divideva in parti uguali) e Deng decide di dare
alle famiglie contadine la responsabilità diretta ed economica della coltivazione di
appezzamenti di terra, per cui se lo coltivano per conto loro e poi vendono il loro
appezzamento sul mercato. Quindi c’è una forte spinta all’incentivazione dei nuclei familiari di
produrre sempre di più. Questo fa sì che tra il 1978 e il 1984 la produzione agricola lorda reale
cresca quasi dell’8% l’anno e tra il 1984 e il 1994 di quasi il 6% all’anno. C’è una crescita
ulteriore e molto significativa che consente un’ulteriore crescita demografica e un miglior
nutrimento della popolazione cinese. Inoltre, Deng fa nascere nelle zone rurali delle imprese
collettive sotto la supervisione dell’autorità locale (quindi abbandona il modello pianificato)
chiamate TVE (Township village enterprise). Viene liberato anche il mercato, cioè i prezzi
vengono fatti da domanda e offerta e quindi non c’è più una predeterminazione a monte delle
quantità da produrre, ma sono i soggetti produttivi a decidere autonomamente la quantità
necessaria da produrre. Altro aspetto importante è la creazione delle zone economiche speciali
(ZES) le quali sono delle zone che il governo cinese individua dove si creano delle aree piuttosto
estese dov’è possibile per gli investitori internazionali avviare delle attività in Cina. Per cui le
ZES sono fatte per attirare in Cina investimenti diretti esteri. Una delle prime e più importanti di
queste ZES è quella di Shenzen il cui ideatore è il padre di Xi Yin Ping (il leader di adesso). Le
ZES sono zone di rapida crescita, arrivano investimenti di capitale dall’estero, si avviano delle
attività le quali richiamano forza lavoro dalle zone interne della Cina e quindi c’è la crescita di
importantissime città che sono dei formidabili centri di crescita economica e di arrivo in Cina di
tecnologie.
LEZIONE 18 - 17/11/2020
L’apertura al mercato dell’economia cinese si sostanzia in alcune linee di azione:
- il mondo delle campagne con la gestione di appezzamenti di terra da parte dei contadini che
permette di far crescere la produzione e di conseguenza la popolazione (con un aumento
notevole della popolazione la Cina cerca di contenere la crescita demografica tramite la
politica del figlio unico la quale dà degli incentivi alle famiglie con un solo figlio),
- la creazione delle Township and village enterprises,
- una maggiore autonomia delle imprese statali nella retribuzione dei dipendenti,
- un’apertura al sistema della fissazione dei prezzi affidata al mercato
- le ZES per attirare investimenti diretti esteri in Cina e anche conoscenze tecnologiche.

Dal punto di vista giuridico Deng promuove l’approvazione di una nuova costituzione della Cina

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(1982) in cui c’è un riconoscimento esplicito alla funzione dell’imprenditoria privata e quindi
sono accettate le imprese individuali che abbiano fino a otto dipendenti e c’è ancora nel 1982
l’idea di apertura al mercato in presenza di un ruolo ancora molto forte delle imprese
pubbliche.
Nel 1989 succede che mentre nell’Europa dell’est si sentono molti movimenti di protesta contro
i regimi dell’Europa dell’est dei fenomeni analoghi avvengono anche in Cina in quanto i giovani
vogliono aggiungere una quinta modernizzazione ovvero un’apertura alla democrazia, quindi
libera circolazione delle idee, possibilità di riunirsi liberamente e di associarsi. Queste
manifestazioni hanno come sede piazza Tien Amnem a Pechino e avvengono fino alla
repressione nell’estate del 1989 ordinata da Deng il quale fa intervenire l’esercito coi
carrarmati, i quali pongono fine alla manifestazione. La situazione dal punto di vista economico
accelera e nel 1992 Deng compie un viaggio nelle zone meridionali della Cina e lancia una
politica e una definizione che riguarda la creazione di un’economia socialista di mercato, la
quale è un’economia molto aperta al mercato pur conservando il ruolo della mano visibile
all’interno dello stato. Nel 1999 c’è una nuova revisione della costituzione della Repubblica
popolare cinese in cui si leva il limite degli otto dipendenti nelle imprese private, si ritiene che le
imprese private abbiano un ruolo essenziale (es. Huawei, Ali Baba). Dopo il viaggio a sud di
Deng nel 1992 abbiamo un’accelerazione dell’apertura al mercato dell’economia cinese in
quanto cominciano processi di privatizzazione delle imprese statali e inizia quindi una
progressiva riduzione dell’importanza delle imprese statali nel sistema dell’economia cinese.
Nel PIL che cresce abbiamo una fetta vasta prodotta da imprese private, ma alcune imprese
come quelle bancarie rimangono statali. La Cina contemporaneamente a questa apertura al
mercato vive in modo accelerato ed estremamente veloce una grande trasformazione
strutturale dell’economia col cambiamento di peso dei macrosettori dell’economia, ad
esempio l’agricoltura perde peso in confronto a settori che crescono di più. Nel 1998 la forza
occupata in agricoltura era il 47%, nel 2008 il 36-37%, nel 2018/2019 il 19%. Questo 30% in
meno di forza lavoro significa centinaia di milioni di lavoratori che si spostano da un
macrosettore economico ad un altro che porta a una crescita formidabile del settore
industriale e dei servizi. C’è quindi una forza lavoro molto meno numerosa in agricoltura ma
con innovazioni tecnologiche, miglioramenti gestionali, meccanizzazione dell’agricoltura,
abbiamo comunque un fortissimo incremento della produzione agricola. Queste
trasformazioni strutturali dell’economia vedono lo spostamento di forza lavoro da un settore
all’altro e lo spostamento della popolazione da una parte all’altra della Cina, per cui si creano
delle macroaree differenziate in Cina. Abbiamo tre macroaree:
- le aree costiere dove il processo di industrializzazione e di trasformazione economica è
stato molto più intenso, dove ci sono anche le ZES;
- le aree interne che sono soprattutto rurali dal punto di vista economico, sono state dei
serbatoi di manodopera per il settore industriale
- aree ancora più interne come il Tibet (buddisti) e un’area della Cina che va verso l’Asia
centrale (gli Uiguri che sono di religione musulmana). Su queste zone si esercita un controllo
ferreo militare da parte di Pechino perché non sono accolte dallo stesso governo, ma hanno
interesse di tenerle all’interno dello stato perché sono zone ricche soprattutto quello degli
Uiguri (danno meno autonomia anche per la paura della diffusione islamica) -> movimento
indipendentista simile alla Catalogna con la Spagna, e la Scozia con UK (non accettano la
situazione della Brexit).

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Il lavoro cambia in Cina e nel mercato del lavoro dobbiamo considerare i flussi migratori interni
e i lavori che si vanno a fare perché abbiamo degli occupati in imprese grosse che sono più
tutelati e abbiamo una massa di forza lavoro che va a lavorare in quello che viene definito il
settore informale dell’economia dove c’è più precariato, minor retribuzioni e meno tutele per i
lavoratori. L’etnia degli Han rappresenta il 92% della popolazione cinese, quindi il popolo
buddista e musulmano è ridottissimo. Il miglioramento c’è lo stesso anche sulla forza lavora che
operano nel settore informale. Queste trasformazioni dell’economia cinese hanno lanciato da
decenni la Cina nell’economia mondiale.

18.1 LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE NEL MONDO


La Cina si riavvicina agli USA e riallaccia rapporti diplomatici con essi nel 1971. Con l’apertura al
mercato dell’economia cinese abbiamo l’inizio di una storia di relazioni economiche forti, un
primo esempio sono le ZES con gli investimenti diretti esteri, di questi investimenti diretti esteri i
primi protagonisti sono investitori cinesi che vivevano all’estero (nel corso dei tempi la Cina era
emigrata dappertutto). Oltre gli IDE in ingresso abbiamo anche gli IDE in uscita con diverse
destinazioni geografiche ed economiche, ad esempio gli investimenti cinesi in titoli del debito
pubblico degli USA, investimenti cinesi nelle infrastrutture. La Cina recupera l’idea della via della
seta per sottolineare la sua volontà di intensificare gli scambi commerciali con l’Europa. Dentro
la strategia della via della seta c’è la volontà di investire all’estero in infrastrutture (un esempio
il porto Pereo di Atene, Suning l’Inter). I cinesi cominciano a investire nei paesi a loro vicini come
l’Asia per poi allargarsi in Africa perché è un continente ricco di risorse naturali e materie prime
e perché ci sono delle zone agricole che possono essere controllate per garantire in prospettiva
strategica una produzione agricola in Africa per sostenere la domanda di prodotti agricoli-
alimentari cinesi. Dal punto di vista del commercio internazionale la Cina apre
progressivamente il suo mercato a prodotti esteri e penetra nei mercati esteri; la Cina aderisce
all’Organizzazione mondiale del commercio (WTO) nel 2001 e i prodotti made in China
invadono il mondo. Tuttavia, bisogna considerare anche i prodotti che entrano nel mercato
cinese.
L’export cinese è sempre stata una componente molto forte della crescita del PIL cinese;
all’inizio riguardano prevalentemente prodotti industriali di livello tecnologico medio-basso
(settore tessile, elettrodomestici etc), progressivamente diventa più alto il livello tecnologico
medio dell’industria cinese (huawei, 5G). La Cina, il Giappone, la Corea del Sud, Australia e
Nuova Zelanda (in totale sono 15 paesi dell’Asia e dell’Oceania) fanno un trattato di libero
scambio che abbatte i dazi doganali creando una grande area commerciale per cui i prodotti di
alcuni paesi (soprattutto quelli cinesi) possono andare negli altri (accordo stipulato qualche
mese fa).

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LEZIONE 19 - 23/11/2020

19 TAIWAN E COREA DEL SUD


Sono due possibili potenze industriali:
Taiwan: nel 1945 si conclude la 2°GM, il Giappone è sconfitto, termina l’occupazione della
Cina da parte del Giappone e riprende in Cina la guerra civile combattuta dalle forze comuniste
guidate da Mao e dalle forze nazionaliste guidate da Chiang kai-shek. Nel 1949 la guerra civile
della Cina si conclude con la vittoria delle truppe comuniste di Mao e nasce la repubblica
popolare cinese e Chang kai-shek si rifugia nell’isola di Taiwan (che è povera) portandosi dietro
persone, oro della banca nazionale cinese, competenze, ma è uno sconfitto. Chang kai-shek
quindi governa Taiwan che però ha l’appoggio degli USA in quanto questi riconoscono il
governo di Chang kai-shek come governo legittimo della Cina che quindi conserva il seggio che
spetta alla Cina nel consiglio di sicurezza dell’ONU e Taiwan non potrebbe resistere se non
avesse la protezione statunitense.
Taiwan da un’isola abitata da contadini e pescatori diventa una potenza industriale, ovvero un
paese molto sviluppato e dal reddito elevato. Il governo di Chang kai-shek è una dittatura di
tipo militare che viene giustificata dagli USA in ottica della guerra fredda. Nel 1950 scoppia la
guerra di Corea con l’intervento degli USA. Chang kai-shek avvia un grande processo di
modernizzazione e di sviluppo dell’economia di Taiwan puntando sull’industrializzazione. Le
politiche di sviluppo si legano allo sviluppo del settore industriale, nel caso di Taiwan il ruolo
dello stato è importante (mano visibile), in quanto lo stato nel promuovere le
industrializzazioni ha delle aziende statali che sono o create dal governo di Chan kai-shek
oppure sono le imprese che sono diventate statali dello stato di Taiwan che erano quelle che
erano state create dai giapponesi che avevano controllato e dominato a lungo sull’isola. Le
imprese pubbliche daranno una bella fetta della produzione industriale e le imprese pubbliche
sono i settori a maggior intensità di capitale e di dimensioni considerevoli. Accanto a queste
imprese pubbliche che forniscono una buona parte dell’output industriale di Taiwan abbiamo un
tessuto crescente di piccole-medie imprese. Per cui c’è una grande attenzione all’export. Il
costo del lavoro è basso, una libera sindacalizzazione non è consentita quindi le condizioni di
lavoro di Taiwan sono pesanti, ci sono dei sussidi governativi per l’import di materie prime
necessarie per la loro trasformazione su Taiwan. In Taiwan si formano delle zone economiche
speciali ZES per attrarre investimenti diretti esteri che in prima battuta sono giapponesi. Chang
kai-shek governa fino agli anni ’70 poi muore e gli succede il figlio. Questo processo di crescita
economica si accompagna ad un progressivo upgrading del livello tecnologico dell’industria di
Taiwan in quanto all’inizio la produzione industriale di Taiwan si basa su produzioni di basso
livello tecnologico poi progressivamente si consolida la struttura e abbiamo questo upgrading
dove prendono sempre più peso settori tecnologicamente più avanzati. In questo upgrading
abbiamo una perdita di peso dell’industria leggera (il tessile, il giocattolo etc) e si passa quindi
ad industrie più avanzate, negli anni ’70 a Taiwan è forte il settore della siderurgia, è forte il
settore della petrolchimica, è forte il settore della cantieristica navale. Questi settori sono poco
labour intensive e si rivolgono al mercato internazionale. Negli anni ‘70/’80 Taiwan viene
considerata una delle 4 tigri asiatiche emergenti; era già emerso il Giappone che non faceva
parte delle 4 tigri asiatiche. Le altre tigri o dragoni asiatiche erano Corea del Sud, Singapore e

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Hong Kong. Alla fine del ‘900 a Taiwan la dittatura di Chan kai-shek e di suo figlio lascia spazio ad
un processo di democratizzazione. Taiwan oggigiorno ha un’economia che si è molto
trasformata, gli addetti all’agricoltura rappresentano il 5% della forza lavoro, gli addetti
all’industria sono il 27% della forza lavoro, gli addetti nel settore dei servizi il 67%, quindi è
un’economia che da agricola nel 1950 diventa una forte economia industriale. Questa economia
avanzata è tale anche guardando ai redditi in quanto è incredibilmente cresciuto il prodotto
interno lordo e questo ha portato alla crescita del reddito (dagli anni 50 in avanti). Alla fine del
‘900 nel periodo neoliberista c’è stato un processo di privatizzazione di imprese anche a
Taiwan.
Resta il problema con la Cina, la quale rivendica la sua piena sovranità su Taiwan (in quanto lo
considera cinese), ma non è facile in quanto Taiwan nel corso degli anni ha acquisito una
notevole potenza militare (24esima alla classifica mondiale) e la popolazione di Taiwan da un
lato è interessata ad avere delle relazioni economiche con la Cina ma dall’altro vuole
mantenere una serie di diritti che ha ottenuto dopo tanto tempo. I principali clienti di Taiwan
sono la Cina al primo posto, Hong Kong al secondo posto, Stati Uniti al terzo posto e
Giappone al quarto posto, i principali fornitori invece sono la Cina al primo posto, seguita da
Giappone e USA, e Corea del Sud al quarto posto. I computer e cellulari Aceer sono taiwanesi.
Anche a Taiwan valgono i valori confuciani come in Cina, Giappone e Corea del Sud.

Corea del Sud: all’indomani della 2°GM, la Corea è divisa in due stati: Corea del Nord e Corea
del Sud. Nel periodo 1950-1953 c’è la guerra di Corea dove la Corea del Sud è invasa dalle
truppe della Corea del Nord, poi intervengono le truppe statunitensi le quali ricacciano a nord le
truppe nordcoreane, intervengono dei volontari cinesi e nel 1953 la guerra termina. La Corea
aggiunge questa pesantissima guerra a decenni precedenti in cui era stata colonizzata fino al
1945 dai giapponesi. Nel 1953 la Corea del Sud ha un PIL che deriva per il 90% dal settore
agricolo e quindi è un paese caratterizzato da una miseria diffusa e caratterizzato da regimi
autoritari. Nel 1961 prende il potere il Generale Park Chung e lo conserva fino al 1979 quando
viene ucciso dai servizi segreti. Park ha un ruolo fondamentale nel promuovere la
modernizzazione dell’economia coreana (stato sviluppista). Park dal 1962 introduce dei piani
quinquennali e crea sul modello del MITI giapponese un’agenzia per la pianificazione economica
in un sistema in cui non c’è il controllo totale dello stato sulle imprese, in quanto le imprese
sono private ma nel caso MITI c’è un’agenzia che orienta, definisce dei progetti prioritari
riguardanti l’allocazione delle risorse, il sistema bancario è controllato dallo stato quindi le
linee di credito alle imprese rispondono anche a delle indicazioni strategiche nazionali, quindi
c’è un controllo dello stato sul settore del credito. I grandi gruppi industriali coreani chiamati
CHAEBOL (cebol) sono confrontabili con i keiretsu giapponesi, ad esempio Hyundai, Daewoo,
Samsung ecc. In generale si caratterizzano come gruppi di imprese controllati da una famiglia. I
CHEABOL coreani vedono i rapporti familiari di sangue molto più forti rispetto ai keiretsu
giapponesi. In questo modello le donne erano escluse dalla leadership dell’impresa. Nei keiretsu
giapponesi in confronto ai CHEABOL c’è sempre una banca del gruppo e quindi c’è una certa
autonomia nelle imprese del gruppo nell’avere dei canali di credito specifici che sono garantiti
dalla banca del gruppo, nei Cheabol invece è controllato dallo stato. Un’altra differenza tra i
CHEABOL coreani coi keiretsu è che il concetto dell’impresa come famiglia nel ‘900 in un regime
dittatoriale della Corea del Sud è vissuto in maniera molto più autoritaria di quanto non lo sia in

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Giappone. Nel caso della Corea abbiamo l’upgrading tecnologico come a Taiwan, ovvero la
Corea si afferma nei settori dell’industria leggera, poi nella siderurgia, nelle costruzioni navali e
poi nell’industria automobilistica. Alla fine del ‘900 abbiamo l’apertura al sistema della
democrazia per la Corea del Sud, nel 1990 si allacciano relazioni diplomatiche con la Russia, nel
1992 con la Cina e nel 1993 c’è il ritorno alla democrazia e alle libere elezioni. Il punto in
comune di Taiwan e Corea del Sud è l’istruzione, in quanto questo processo di sviluppo
industriale si accompagna a un processo di aumento di livello di istruzione della popolazione
con dei punti di eccellenza (PISA Programme for International Student Assesment). Tra i fattori
del successo di Taiwan e Corea del Sud c’è il fatto che il costo del lavoro è più basso rispetto a
quello dei competitor a livello internazionale, inoltre migliorano le condizioni di vita dei
lavoratori, migliorano le condizioni salariali, inoltre c’è stato l’upgrading tecnologico per cui il
livello di istruzione di questi lavoratori è aumentato.
A Taiwan il valore complessivo dell’export corrisponde al 60% del PIL, in Corea del Sud siamo al
42%. Sono elevamenti alti rispetto a quelli europei e Cina e Usa anche per la variabile
dimensionale (i piccoli paesi tenderanno sempre ad avere un impatto maggiore su export
rispetto ai grandi paesi) e il costo del lavoro basso. Dati pre-Covid: in Germania il valore
dell’export sul PIL è del 46%, in Italia è 30%, in Francia è il 29%. Per Germania, Italia e Francia
vale il discorso dell’integrazione economica europea. Per la Cina il valore dell’export è il 20%
del PIL, per gli USA è il 12%. Per USA e Cina per quanto sia importante l’export la domanda
interna è ancora largamente dominante e ci sono dei margini di crescita per la popolazione
cinese, invece per quanto riguarda le tigri asiatiche non crescerà particolarmente la
popolazione così come in Europa.

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LEZIONE 20 - 24/11/2020

20 INDIA
L’India conosce dei percorsi simili a quelli della Cina (paese arretrato), infatti nell’800 e per quasi
tutta la prima metà del ‘900 fino al 1947 è una colonia inglese. L’indipendenza di queste colonie
riguardava stati come l’India e il Pakistan (comprendeva anche il Bangladesh), e quindi nascono
questi due stati, in quanto quest’area del mondo era abitata da popolazioni con religioni diverse,
nella zona a nord-ovest dove c’è l’attuale Pakistan e nella zona a nord-est dove c’è l’attuale
Bangladesh la maggioranza della popolazione era di religione musulmana, in quella che oggi è
l’India la maggior parte della popolazione è di religione induista. Gli induisti e i musulmani erano
in contrasto fra di loro e nel momento in cui gli inglesi si ritirano scoppiano delle ostilità e degli
scontri sanguinosi fra gli indù e i musulmani, per cui si arriva a una spartizione politica del paese
in quanto i musulmani creano uno stato che ha due parti separate fra di loro, il Pakistan e il
Pakistan orientale (attualmente è il Bangladesh) e il resto è dell’India. In tempi successivi la
parte del Pakistan orientale si separerà con una guerra da quello che oggi è il Pakistan. L’India
vede nel 1948 l’assassinio di Ghandi il quale era il leader del movimento non violento di
opposizione al colonialismo inglese; venne assassinato da un fanatico estremista indù perché
nella visione di Ghandi c’era una coesistenza dentro lo stesso paese di induisti e musulmani. Al
potere va Nehru, uno dei suoi collaboratori, che guiderà l’India fino al 1964 e dopo di lui sarà
sua figlia a guidare l’India per altri vent’anni la quale si chiamava Indera Ghandi perché aveva
sposato un signore che si chiamava Ghandi che però non aveva alcuna parentela con Ghandi.
Anche lei sarà assassinata da estremisti dell’etnia sic. Successivamente per alcuni anni prende il
potere il figlio di Indera Ghandi fino a quando non viene assassinato anch’egli dall’etnia degli
estremisti tamil. I musulmani rappresentano quasi il 15% della popolazione indiana (tot 1mld e
300 mila). India non ha rapporti tranquilli con i suoi vicini anche adesso con il Pakistan e la Cina.
Il governo indiano è sempre stato il risultato di elezioni parlamentari libere con più partiti e
schieramenti politici in contrapposizione gli uni con gli altri. L’obiettivo del governo indiano è
garantire lo sviluppo economico al paese che era mancato al paese che arriva all’indipendenza
in condizioni di grande arretratezza, di conseguenza il confronto con la Cina viene naturale in
quanto quest’ultima ha un nuovo governo nel 1949 e si pone come l’India il problema dello
sviluppo e della crescita. Il modello di sviluppo scelto dai governi di Nehru e dalla figlia prevede
il ruolo dello stato, nel caso indiano siamo in un sistema di economie di mercato, più
precisamente un modello di economia mista che prevede un ruolo dello stato che introduce
protezioni doganali per consentire una maggior capacità di crescita riducendo la concorrenza
dei produttori esteri coi dazi doganali. C’è l’idea di rendere migliore l’agricoltura in paese
prevalentemente abitato da agricoltori e questo vuol dire dare cibo a una popolazione che
cresce. L’India ha avuto negli ultimi 20-30 anni una crescita molto significativa ma rimane un
paese dalle enormi contraddizioni, dalle profonde disuguaglianze e rimane ancora un paese
che ha molto cammino da compiere per arrivare al livello dei giorni nostri nei paesi occidentali.
L’India è un paese di enormi dimensioni dove possiamo trovare delle zone dove lo sviluppo e
l’eccellenza è significativa accanto a zone dove la miseria è fortissima. Un esempio è Madre
Teresa di Calcutta (città indiana), in quanto il pensare quello che ha fatto dà un’idea di una larga
parte dell’India urbana. Facendo altri esempi, vicino alla città di Bangalore si era sviluppato un
distretto industriale dell’informatica e dell’elettronica che era diventato una punta

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dell’industria a livello mondiale; Mital è il nome di una famiglia indiana che ha costruito un
impero economico forte in particolare nel settore della siderurgia. Questa impresa indiana era
cresciuta molto e aveva anni fa acquisito una grande impresa siderurgica europea chiamata
Arselor (franco-lussemburghese). L’ex Ilva per es è stata acquisita da loro e ora è diventata
Arselor-Mital.
Nel 1999 tra gli adulti in India gli analfabeti erano il 43%, nel 2018 l’analfabetismo degli adulti è
al 37-38%. Uno degli elementi forti di trasformazione di questa economia è il
ridimensionamento del settore agricolo come in tutti i paesi e in tutti i processi di sviluppo. Nel
1980 il 70% dei lavoratori sulla popolazione totale lavorava nel settore agricolo, nel 2018 siamo
al 43%. Questo cambiamento ha significato la crescita delle aree urbane e il tasso di crescita
della popolazione indiana è significativo.
L’indice per ogni figlio donna indiana è di 2,3 e questo ovviamente porta a una notevole crescita
della popolazione, invece in Cina è 1,6 (grazie alle nuove norme emesse come la politica del
figlio unico (avevano provato anche in India ma non ha avuto successo) e questo porterà a
recuperare la popolazione cinese e lo supererà. Invece in Europa adesso succede il contrario,
cioè si incentivano le famiglie a fare più figli (es baby bonus)
*Alla fine del ‘900 hanno avuto anche loro il neoliberalismo. Il modello dell’India è
un’economia emergente ma ha avuto molte criticità rispetto a quello cinese.
Riguardo le automobili in India abbiamo 17 automobili ogni 1000 abitanti, in Italia invece
ogni 1000 abitanti abbiamo 629 automobili.

21 ENERGIA
La produzione di carbone è aumentata di quasi 6 volte tra il 1955 e il 2014, la produzione di
petrolio è aumentata di 5,5 volte e
la produzione di energia elettrica è
aumentata di oltre 16 volte, quindi
il sistema dell’economia mondiale
ha prodotto e consumato molta più
energia. La produzione mondiale di
petrolio grezzo e gas naturale nel
1950 ipotizziamo fosse 100, nel
1999 era 659. Riguardo i paesi
produttori e consumatori di petrolio
abbiamo al primo posto sia come
produttore che come consumatore
gli USA che hanno
una forte produzione ed un ancor più forte consumo, inoltre sono i maggiori produttori e
consumatori di gas naturale. Nell’ordine abbiamo tra i produttori di petrolio Arabia Saudita,
Russia e Iran che ritroviamo anche fra i consumatori (anche se l’Iran non è tra i primi 10) e
Arabia Saudita e Russia hanno una produzione di petrolio che è largamente eccedente i loro consumi
che sono significativi, quindi sono due paesi che sono esportatori netti di petrolio.

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Tra i paesi produttori abbiamo anche la Cina la quale deve importare parecchio petrolio. Il
problema dell’approvvigionamento energetico diventa un problema fondamentale: la Cina ha
una buona capacità di produzione, è forte sulla produzione di carbone ma la produzione di
carbone si lega anche ad un elevato livello di inquinamento. La riduzione o il controllo dei
consumi è un obiettivo importante economicamente perché i consumi sono costosi. Il tema
dell’approvvigionamento energetico rende molto sensibile il tema del contesto internazionale
e quindi si aprono delle questioni di politica estera di approvvigionamento di fonti energetiche.
Il consumo di risorse energetiche ha un impatto significativo sugli equilibri ambientali del

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pianeta. Il tema ambiente è stato oggetto di accordi internazionali che l’amministrazione di
Trump negli USA non aveva voluto ratificare, Biden invece dopo la sua vittoria ha detto che
tornare ad accordare. È importante in questo contesto tenere conto delle zone del mondo
politicamente instabili dove ci sono delle forti concentrazioni di risorse di materie prime
energetiche. La zona medio-orientale come la Libia che è ricchissima di risorse energetiche e
non esiste più uno stato unitario libico in quanto è divisa (governo di Tripoli e Bengasi) ed è
difficile avere rapporti con questi paesi e c’è un elevato tasso di criminalità.
L’Arabia Saudita, gli Emirati arabi e il Kuwait sono paesi autoritari, l’Iraq ha una situazione
politica piuttosto instabile dove ci sono delle truppe americane che dovrebbero mantenere la
stabilità. L’Iran ha una forte conflittualità con l’Arabia Saudita. Di fatto il quadro della zona
medio- orientale è molto confusionario. A sud-est abbiamo quindi quest’area medio-orientale
che è ricca di petrolio ma è piena di conflittualità. In ottica Europa occidentale possiamo
guardare a sud-est dove tra i fornitori di petrolio ci sono la Russia la quale ha interesse a
esportare le sue materie prime energetiche. Anche l’Azerbaigian è un esportatore del gas
naturale, il quale esporta anche in Puglia. Un ruolo importante per la produzione di energia lo
hanno le centrali idroelettriche, a carbone e a gas. Anche i pannelli solari producono energia
elettrica, così come le pale eoliche e le centrali nucleari (Francia, Chernobyl), che se non viene
controllato porta all’esplosione come a Chernobyl. L’Italia ha una dipendenza per quanto
riguarda l’energia in quanto le importazioni nette di energia sono del 76%, per cui le risorse
energetiche italiane coprono il 24% dei nostri consumi. In Giappone le importazioni nette di
energia coprono il 93% dei consumi energetici giapponesi, cioè il Giappone è autosufficiente per
il 7% dei suoi consumi, negli USA le importazioni coprono il 7% del consumo energetico
statunitense, quindi, sono autosufficienti al 93%, infine riguardo alla Cina le importazioni nette
di energia coprono il 15% del fabbisogno energetico cinese e hanno un 85% di autosufficienza.
La Germania importa oltre il 60% del suo fabbisogno energetico, quindi è autosufficiente al 39%
e la Francia importa il 44-45% del suo fabbisogno energetico e per metà è autosufficiente (tra
cui il nucleare ha circa il 20%).

LEZIONE 21 - 30/11/2020
Riflessione del prof.: Le imprese e gli imprenditori sono tanti e diversi. Molti sono imprenditori
di successo, mentre la stragrande maggioranza sono persone normali che conducono in modo
normale la loro azienda. L’imprenditore di successo è una persona che ha bisogno di due insiemi
di elementi per essere vincente: un insieme di qualità personali, ovvero deve essere bravo in
qualcosa e di fortuna, ovvero deve trovarsi nel posto giusto e nel momento giusto. Questo ci
riconduce ad alcune fasi storiche, ad esempio un’impresa familiare con tre generazioni: il nonno
che l’ha creata e sviluppata, il padre che l’ha portata avanti e poi il nipote, immaginiamo che
questa sia un’impresa italiana, il nonno è nato nel 1930 e fa partire l’impresa negli anni ’50 e la
fa crescere negli anni ’60 e ’70, il padre è nato nel 1955 e gestisce l’impresa dagli anni ‘80/’90 e
va incontro ad un rallentamento e alla crisi del 1992 quindi si muove in un contesto più
complesso, il nipote nasce nel 1980 e gestisce l’impresa a partire dal 2010 per cui si muove in un
contesto molto meno favorevole; queste tre persone hanno tutte una grande intelligenza e
dedizione al lavoro comune ma non tutti loro si sono mossi nello stesso contesto economico
quindi l’elemento fortuna è molto rilevante. Accanto alle figure di successo ci sono persone
normali e vivono l’economia senza essere dei protagonisti.

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Nome di persone che abbiamo incontrato nel corso i quali le abbiamo citate e non:

- Ohno e Ford (imprenditori) - Tibetani e confucianesimo


- Mital - Uomini della frontiera (USA)
- Mao Tze-Tung - Piccoli e medi imprenditori italiani
- Regan (politica neoliberista) - Migranti (il portoghese in Ge)
- Tatcher - Burocrati dell’eco pianificata in Russia

22 ISRAELE
Negli ultimi giorni di novembre 2020 è stato compiuto in Iran un attentato in cui è stato ucciso
uno scienziato a capo di un programma di sviluppo del nucleare. Questo programma è
osteggiato da altri paesi per ragioni politiche per questo si è commesso questo attentato. La
stampa iraniana dice che è stato il governo israeliano a farlo. Fino alla 2°GM non esiste lo stato
di Israele, in realtà ci sono pochi ebrei che abitano in Palestina dove c’è Israele oggi, e quelle
terre sono parte dell’impero ottomano fino alla 1°GM e poi sono controllate dall’Inghilterra fra
la prima e la 2°GM quando l’impero ottomano perde i suoi domini coloniali. Il popolo ebreo fino
alla Shoà era stato perseguitato ripetutamente; alla fine dell’800 si diffonde fra le comunità
ebraiche in Europa un pensiero politico che è quello del ritorno degli ebrei in Palestina dove
costituire uno stato ebraico chiamato Sionismo, ovvero il ritorno degli ebrei nella terra di Sion.
Nel mondo degli ebrei europei all’inizio del ‘900 ci sono due tendenze: c’è una tendenza degli
ebrei che vivono in Francia, Germania e Italia di essere accettati e integrati nei paesi dove
vivono per essere cittadini con pieni diritti e c’è la tendenza che ha l’obiettivo quello dello stato
ebraico. Successivamente arriva la 2°GM con lo sterminio degli ebrei, all’indomani della
seconda grande guerra c’è un grande afflusso di ebrei (sopravvissuti ai campi di sterminio) in
Palestina nel 1948 con l’obiettivo di creare lo stato di Israele. In quel periodo l’Inghilterra finisce
di amministrare quel territorio e quando gli ebrei tornano nelle loro terre e trovano le
popolazioni arabe le quali non hanno voglia di avere lì lo stato degli ebrei, per cui si crea una
situazione di grande tensione e l’ONU decide la spartizione della Palestina in cui una zona è
abitata dagli ebrei che possono creare lo stato di Israele e un altro dove non c’è lo stato di
Israele ma ci sono gli arabi. Quest’ultimi non accettano la spartizione in quanto non si sentono
responsabili della persecuzione degli ebrei e non si sentono di ospitarli per cui c’è subito una
guerra fra arabi ed israeliani vinta dai primi. Nel 1973 con la prima crisi petrolifera del mondo
occidentale c’è un’altra guerra fra Israele e paesi arabi dove Israele non la vince ma resiste e i
paesi arabi (produttori di petrolio) aumentano per ragioni economiche e politiche il prezzo del
barile greggio per fare pressioni nei confronti delle potenze occidentali accusate di stare dalla
parte di Israele. Questo tema è costantemente presente. Gli USA sono sempre stati dei grandi
sostenitori dello stato di Israele da quando è nato lo stesso stato.

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LEZIONE 22 - 01/12/2020
23 AMERICA DEL SUD
Brasile: il Brasile diventa indipendente all’inizio dell’800 dopo essere stato una colonia del
Portogallo. L’economia brasiliana è un’economia costruita dai colonizzatori portoghesi che si
basava sull’agricoltura e sulle materie prime. L’agricoltura era un’agricoltura di piantagione
con schiavi come nelle colonie inglesi del Nord America, che usavano una forza lavoro
composta da schiavi che venivano portate sia nell’America dei Caraibi che del Sud. Queste
piantagioni presupponevano un’integrazione di quel sistema economico nel mercato
internazionale. Oltre all’agricoltura di piantagione che è schiavista abbiamo anche lo
sfruttamento di risorse naturali, ad esempio legnami pregiati. Nel corso del ‘900 l’élite
brasiliane si pongono il problema della modernizzazione economica del paese. La
modernizzazione economica del paese significa sempre porsi il problema dello sviluppo
industriale. La modernizzazione coincide con lo sviluppo dell’industria quindi l’élite brasiliane
ponendosi il problema dello sviluppo economico si pongono come obiettivo quello di far
sviluppare l’industria nazionale. Le scelte strategiche per sviluppare il settore industriale
sono il protezionismo, per proteggere i produttori locali, e la sostituzione delle importazioni. Il
protezionismo frena una concorrenza libera e quindi viene considerato in certi momenti non
idoneo a migliorare il livello di efficienza tecnologica delle imprese di un sistema- paese. Negli
anni ’80 la fase neoliberista interessa anche il Brasile, quindi c’è una maggiore liberalizzazione
degli scambi brasiliani, una graduale riduzione del protezionismo e una maggior apertura del
mercato internazionale al settore industriale. Il settore agricolo era da sempre aperto al
mercato internazionale. Negli anni ’90 c’è la creazione di un’area di libero scambio
nell’America del Sud, il MERCOSUR. Nella fase neoliberista ci sono anche le privatizzazioni, un
Brasile più integrato nel mercato internazionale vede anche la crescita della presenza di
capitale estero in Brasile nel settore industriale. Quindi c’è un cambiamento degli assetti
proprietari. Il Brasile è uno dei paesi in cui le disuguaglianze sono più forti, ad esempio ci sono
molte disuguaglianze nel sistema delle piantagioni, negli ultimi decenni del ‘900 quando in
Brasile c’è una crescita delle aree urbane c’è gente miserabile che lascia le zone più povere
per andare nelle città dove non trova sempre un lavoro stabile e sicuro, quindi il precariato ha
uno spazio larghissimo. La crescita del Brasile è stata molto forte dopo la 2°GM negli anni
della Golden Age che spesso si lega al settore industriale che comporta aumenti di
produttività del sistema e del PIL. Sul finire del ‘900 c’è un rallentamento della crescita
nell’economia brasiliana. La disuguaglianza del Brasile è una disuguaglianza sociale, è una
disuguaglianza di istruzione, ad esempio alla fine del ‘900 il tasso di analfabetismo fra gli
adulti è del 15%, a distanza di una ventina d’anni abbiamo un analfabetismo del 7%, ma
rimangono le disuguaglianze e le zone molto povere. L’Amazzonia è un grande polmone per
la creazione di ossigeno nell’atmosfera, quindi è una risorsa del mondo ma è nello stato
brasiliano e quindi la sua conservazione negli equilibri naturali impedisce ai brasiliani di
sfruttare al massimo le risorse naturali dell’Amazzonia.

Messico: Il Messico raggiunge l’indipendenza all’inizio dell’800, è un paese agricolo dove ci


sono grandi proprietà terriere e masse di contadini molto poveri. Nel ‘900 anche il governo
messicano si pone il problema della crescita economica, in questo caso lo stato interviene e

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crea le condizioni di base per la crescita economica, ad esempio con la nazionalizzazione del
petrolio e con una politica che porta alla sostituzione delle importazioni (import substitution
strategy) per lo sviluppo di un’industria nazionale. Il Messico verso la fine del ‘900 diventa un
sistema sempre più aperto al mercato internazionale, e negli anni ’90 stipula il trattato di libero
commercio nordamericano con USA e Canada, ovvero il NAFTA, il quale favorisce l’afflusso di
investimenti diretti esteri in Messico. Questi possono essere investimenti diretti esteri sia degli
USA sia europei che giapponesi, i quali contribuiscono allo sviluppo ulteriore del tessuto
industriale messicano, all’opposto aggrediscono l’industria statunitense in quei segmenti in cui
non ha più primati tecnologici, quindi l’industria siderurgica, automobilistica, di materiale
elettrico. Questo porta a una deindustrializzazione che ha come effetto quello di diffondere
questo senso di primato, di perdita di benessere e di declino degli USA. Alla fine del ‘900 il 10%
più ricco della popolazione dispone del 43% del PIL, il 10% più povero dispone dell’1,4% del
reddito del paese. L’economia di piantagione può essere un elemento di debolezza perché
rende fortemente dipendente da un solo settore produttivo l’economia nazionale.

Venezuela: in Venezuela c’era la vecchia colonizzazione spagnola che creava una struttura
sociale di grandi proprietari terrieri dove lavoravano gli schiavi. Nel ‘900 comincia ad avere
giacimenti petroliferi, il confronto con gli emirati arabi va bene ma fino a un certo punto perché
dobbiamo tenere conto della ricchezza di risorse petrolifere e la numerosità della popolazione
e in popolazioni molto ridotte come quelle degli emirati arabi o dell’Arabia Saudita la ricchezza
petrolifera cade su una popolazione molto ridotta e quindi il benessere materiale cresce per
tutti, il Venezuela ha molto risorse petrolifere ma ha una popolazione molto numerosa, come la
Russia, e quindi questo combinato con una disuguaglianza con una distribuzione del reddito non
si traduce subito in un miglioramento nel tenore di vita della popolazione. In Venezuela Chavez
aveva seguito una politica di tipo nazionalistico e aveva posto sotto il controllo dello stato la
principale compagnia venezuelana che si occupava del settore petrolifero entrando in rotta di
collisione con gli investitori diretti esteri e creando quindi delle tensioni molto forti. Queste
scelte fatte dal governo venezuelano non hanno favorito lo sviluppo.

24 PAESI ASIATICI
Il Giappone è il primo paese asiatico che si è industrializzato ed è il paese capofila, subito dopo
abbiamo le tigri asiatiche (’50), Corea del Sud, Taiwan, Hong Kong e Singapore. Dal punto di
vista industriale lo sviluppo industriale parte sempre da settori a tecnologia considerata non di
particolare livello e pian piano si passa a settori più avanzati. Il vantaggio competitivo di questi
paesi è il costo del lavoro e quindi riescono a costruire una base industriale e ad essere
competitivi sui mercati internazionali. In terza fila abbiamo paesi come Thailandia, Malesia,
Indonesia, Filippine e Vietnam. Questa immagine descrive le dinamiche dello sviluppo
industriale in Asia.
Abbiamo due linee interpretative, la prima di carattere economico: ovvero guardano da un lato
al progressivo inserimento di questi paesi in un mercato più ampia e alle dinamiche di mercato
e dall’altro al ruolo dello stato sviluppista. Riguardo le dinamiche di mercato, il mercato è un
mercato internazionale con il quale questi paesi interagiscono e si propongono. Fondamentale è
la categoria dei vantaggi economici comparati, in questo caso il vantaggio comparato è il costo
del lavoro. Questo vantaggio comparato progressivamente si riduce. Altro elemento importante

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è l’upgrading tecnologico, il quale aumenterà anche il costo del lavoro.
Dal punto di vista della linea interpretativa culturale è importante il tema della cultura e della
mentalità orientale, quindi ad esempio il confucianesimo. Dal punto di vista culturale possiamo
individuare delle macroaree, quella confuciana, quella europea-nordamericana, una grande
area culturale dell’Americana Latina, il mondo islamico e l’Africa, dove si individuano dei
denominatori culturali comuni che poi pesano anch’essi sull’economia. Quindi il mondo è
sempre più integrato ma ci sono sempre delle parti di mondo che si scontrano fra loro. Fra i
punti di debolezza della Cina abbiamo: la mancanza della democrazia può essere un punto
debole in Cina perché può creare tensioni (un es ce l’abbiamo ultimamente col caso Wuhan che
il governo impedì al popolo di raccontare la vera storia), come i comportamenti demografici, il
consumo di risorse energetiche e il problema dell’ambiente, le differenze culturali ecc.
*1° Rivoluzione industriale (seconda metà del 700) e 2° (1870)

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