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Nel 2009 la popolazione residente nelle città ha superato quella che vive nelle campagne. Nei paesi
sottosviluppati un‟ampia quota della popolazione urbana vive nelle baraccopoli o slums. Gli slums
sono quartieri degradati, insediamenti marginali, informali e non pianificati, privi di servizi, spesso
diventati l‟unica opportunità abitativa delle fasce più deboli; sono diffusi soprattutto in contesti del
Sud del mondo, ma sono presenti anche nel Nord come le Favelas di Lisbona negli anni ‟90.
Categorie principali della geografia urbana sono urbanesimo, inurbamento e urbanizzazione.
Quando parliamo di urbanesimo o urbanità, ci riferiamo agli aspetti sociali della vita urbana, cioè i
modi di vita degli abitanti della città; l‟inurbamento, invece, riguarda il fenomeno di mobilità dalle
campagne verso i grandi centri abitati; l‟urbanizzazione, infine, è il termine che descrive i processi
di crescita della popolazione urbana e la conseguente espansione fisica dell‟edificato.
L‟urbanizzazione mondiale degli ultimi 50 anni è stata caratterizzata dalla cosiddetta “inflazione
urbana” (Bairoch, 1985), ovvero dall‟esplosione del fenomeno urbano nei paesi poveri, a fronte
della sostanziale stabilità in quelli ricchi. Le città rappresentano uno dei nodi problematici delle
società contemporanee, poiché in esse si materializzano le cause e gli effetti dei principali squilibri
economici, sociali, politici e ambientali. Affrontiamo il tema dell‟urbanizzazione a partire da tre
punti di osservazione:
1. Evoluzione dell‟urbanizzazione nei cinque continenti dalla metà del secolo scorso fino alle
dinamiche attuali con proiezioni al 2050, presentando i dati sulla crescita della popolazione
e sulla rapida urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo;
2. Si sofferma sulle megacittà, grandi agglomerati urbani che hanno assunto un ruolo centrale
nella riconfigurazione delle dinamiche urbane;
Il rapporto tra crescita demografica e crescita urbana si presenta in modo diverso tra le città del
Nord del mondo, più ricche, e quelle del Sud, più povere. La Population Division delle Nazioni
Unite distingue gli Stati in “più sviluppati” e “meno sviluppati”; mentre nel 1950 nei paesi più
sviluppati la popolazione urbana e quella rurale erano già equivalenti, nei paesi meno sviluppati
questa proporzione potrebbe essere stata raggiunta intorno al 2020. Secondo le stime, la futura
crescita demografica sarà quasi interamente assorbita dalle città dei paesi in via di sviluppo. In
termini percentuali, i paesi meno sviluppati mostrano tassi di urbanizzazione più bassi della media
europea o nordamericana; tuttavia, su scala planetaria è possibile rilevare una sorta di
“contraddizione geografica” poiché, nonostante i tassi di paesi del sud come quelli di Asia e Africa
siano ancora più bassi rispetto a quelli di altri continenti, in termini assoluti in Asia, dove già vive
più della metà della popolazione mondiale, troviamo anche il numero più alto di popolazione
urbana.
Non possiamo ricostruire un‟univoca storia dell‟urbanizzazione, ma è possibile trovare alcuni tratti
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comuni che ci permettono di delineare un approccio comparativo. La dimensione demografica
rimanda alla tradizionale modalità di classificazione delle città a partire dal numero di abitanti. In
relazione al parametro demografico, le Nazioni Unite individuano 6 classi di città:
2. Da 100.000 a 500.000 Poco più della metà della popolazione urbana mondiale vive in
città tra 100.000 e 500.000;
5. Da 5 milioni a 10 milioni;
6. Oltre i 10 milioni.
Bairoch individua 5 fenomeni che hanno accelerato in maniera decisiva l‟urbanizzazione dei paesi
poveri:
3. Le autorità coloniali avevano contrastato gli spostamenti verso le città, gli Stati indipendenti
hanno soppresso o ridotto le misure di contrasto all‟immigrazione urbana;
5. In molte regioni, i conflitti politici hanno determinato movimenti di rifugiati che hanno
portato all‟aumento della popolazione di alcune città.
In Europa, più dell‟80% della popolazione vive nelle città, tuttavia, solo il 7% della popolazione
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dell‟UE vive in città con più di 5 milioni di abitanti. La Rivoluzione industriale e i grandi
movimenti migratori interni e internazionali hanno accentuato l‟urbanizzazione dell‟Europa; infatti,
tra il 1800 e il 1910 la popolazione urbana in Europa aumentò di ben 6 volte. All‟interno
dell‟Europa le differenze fra Stati in termini di urbanizzazione risultano contenute. Il “cuore” stabile
del sistema urbano europeo è costituito da città di piccola e media dimensione, caratterizzate da
un‟elevata densità territoriale. Nel corso degli ultimi anni, l‟Unione europea ha individuato
numerose delimitazioni spaziali per l‟elaborazione dei dati statistici. La delimitazione più utilizzata
fa riferimento alla NUTS (Nomenclatura delle Unità Territoriali Statistiche). Sono classificati 3
livelli di delimitazione:
Per quanto concerne l‟Italia il livello NUTS 1 corrisponde grossomodo a gruppi di regioni; il livello
NUTS 2 alla regione; il livello NUTS 3 alla provincia. Ovviamente la situazione in altri Paesi può
essere diversa (ad esempio in Germania il livello NUTS 1 corrisponde al singolo Land della
Baviera). Tale classificazione si rende utile per l‟elaborazione di statistiche, analisi socio-
economiche ma anche per la distribuzione di aiuti finanziari da parte dell‟UE alla promozione dello
sviluppo economico e sociale.
Per documentare lo sviluppo delle aree urbane europee, la Commissione Europea e l‟Eurostat hanno
realizzato il progetto Audit Urbano. Tale progetto si basa su 3 livelli:
1. City level: corrisponde alle core cities (il comune centrale delle agglomerazioni urbane);
2. Larger Urban Zone (LUZ): corrisponde alle aree urbane funzionali, ovvero quelle che
contengono i flussi giornalieri casa-lavoro;
3. Sub-city district: corrisponde grossomodo ai quartieri;
Guardando al passato, la città più popolosa del 1861 era Napoli, con 430.000 abitanti; nello stesso
periodo crebbero anche Torino e Genova; il trasferimento della capitale da Torino a Firenze fece
crescere anche la popolazione di quest‟ultima; la città che fece registrare l‟incremento demografico
più significativo fu Milano. Nel corso del „900 l‟aumento demografico delle città italiane fu molto
rilevante, soprattutto quelle del “triangolo industriale” (Torino-Milano-Genova), poiché negli anni
‟50 e ‟60, lo sviluppo dell‟industria richiamò ingenti flussi di manodopera. Fattori importanti nel
determinare l‟andamento di alcune città sono il saldo naturale (differenza tra il numero dei nati
vivi e quello dei morti relativi ad un determinato periodo di tempo) e il saldo migratorio
(differenza tra il numero di immigrati e quello di emigrati riferito ad una determinata città, zona o
paese). Il processo di metropolizzazione ha investito la città di Milano, la quale ha vissuto una
metamorfosi del tessuto economico e sociale, parallela all‟addensamento di una regione urbana
vasta in cui si concentra una crescita demografica nettamente maggiore rispetto a quelle precedenti.
La città e l‟urbano
Per Michael Pacione l‟obiettivo dello studio della città come entità fisica è la classificazione
dei diversi luoghi e la distinzione fra aree urbane e non urbane. Per raggiungere tale scopo
esistono degli indicatori molto utili quali numero di abitanti, densità della popolazione, base
economica. Tuttavia, questo modo di affrontare il problema, piuttosto che una definizione di
città, produce una classificazione dei luoghi, distinguendo quelli definibili urbani da quelli
definibili non urbani, sulla base di parametri predefiniti. Qual è la soglia minima dei vari
indicatori oltre la quale un luogo possa essere definito città? Ricordiamo che le soglie al di
sopra delle quali possiamo classificare un‟area come urbana variano nel tempo e nello
spazio.
Geografia urbana – Governa e Memoli
La città come oggetto di studio specifico verrà riconosciuta a partire dalla seconda metà del
Novecento. Per lungo tempo se ne avrà una concezione organicista, infatti vi sono state analisi che
hanno descritto il “metabolismo” urbano fino a prendere in considerazione il ciclo di vita delle città.
Pierre Lavedan descriverà la città come un essere vivente che, in quanto tale, nasce, cresce e muore.
In tal senso, la città viene interpretata dal punto di vista evoluzionista (dal villaggio alla metropoli).
Il linguaggio organicista sarà comunque molto utilizzato per gran parte del XX secolo: tessuti,
arterie, cuore, circolazione, flussi. Elisée Reclus situa la sua analisi evoluzionista in relazione alla
lotta di classe: la città è un “personaggio”: ognuna manifesta una personalità particolare e una
personalità collettiva che si caratterizza attraverso la diversità sociale e morfologica dei suoi
quartieri. È nel periodo della Rivoluzione industriale che nasce e si sviluppa l‟urbanistica moderna.
Il ruolo dell‟industrializzazione sulla città è descritto da Henry Lefebvre attraverso i processi di
densificazione e concentrazione della città e della sua espansione e ristrutturazione. Secondo
Lefebvre, l‟industrializzazione ha messo in primo piano il valore di scambio rispetto al valore
d‟uso: il suolo è diventato merce.
1. La prima è una visione negativa, avente a che fare con l‟alienazione degli operai
nella città capitalista di cui parla Karl Marx. Tale posizione denuncia le
ineguaglianze, la povertà, lo sfruttamento che albergano nella città. La città è un
mostro che divora gli esseri umani, un luogo di degrado fisico, sociale e morale. In
questa prospettiva si inserisce il filone utopico, che Francois Choay suddivide in due
principali modelli: da un lato quello progressista, più razionale e scientifico,
dall‟altro quello culturalista, più attento alla dimensione estetica del vivere urbano. Il
filone utopista verrà accusato di avere aspirazioni troppo idealistiche.
2. La seconda è una visione positiva, che esalta i valori di libertà, diversità, modernità,
di emancipazione sociale, tanto dell‟individuo quanto di genere, ed elogia la
Geografia urbana – Governa e Memoli
Georg Simmel, sociologo tedesco quasi coevo a Weber, autore de “Le metropoli e la vita
dello spirito”, si interessa ai fenomeni della città e della metropoli da diversi punti di vista:
lavora molto sulla categoria di estraneità, dello straniero in città, a cui fa riferimento come
ad un modo di vivere e di essere città estremamente moderno. Egli riconosce un nuovo tipo
di abitante metropolitano, il cosiddetto individuo blasé, ovvero colui che non reagisce agli
stimoli, disincantato e annoiato, che non si lascia coinvolgere dalla vita, che ostenta
conoscenza ed indifferenza a ciò che gli succede intorno, le cui relazioni sono basate
sull‟anonimato, l‟indifferenza, l‟individualità e il distacco. Tuttavia, secondo Simmel, la
metropoli è il luogo della società in cui l‟essere umano gode della maggiore libertà possibile.
Da un lato la piccola città fa nascere legami affettivi più duraturi, al contrario delle
relazioni fredde che si instaurano nella metropoli; dall‟altro lato, l‟uomo metropolitano è
libero dai pregiudizi tipici della città di provincia ma è sottoposto a ritmi alienanti. Quindi,
la metropoli ti rende libero ma non felice. La distinzione fra città di provincia e metropoli
rinvia alla distinzione fra comunità e società. Le relazioni comunitarie implicano comunione
di interesse tra i soggetti locali, una certa solidarietà in virtù di un comune senso di
appartenenza.
Dalla seconda metà dell‟Ottocento nelle città si tende a configurare un nuovo ordine urbano
(sociale e spaziale). Diverse città conoscono mutazioni più o meno radicali. Entrano in gioco
delle innovazioni quali illuminazione a gas, la luce elettrica, le stazioni ferroviarie, circoli,
teatri ecc. che mutano la fisionomia delle medie e grandi città rappresentando l‟ascesa della
classe borghese e del capitale. Ricordiamo sicuramente due grandi trasformazioni urbane:
Un altro esempio per comprendere l‟evoluzione del pensiero sulla città riguarda le
esperienze urbanistiche di carattere coloniale. Non si tratta solo di importazioni dei
modelli della madrepatria verso la colonia, ma proprio della sperimentazione con la
fondazione di nuove città oppure interventi pesanti su città preesistenti. Inoltre, in alcune
città del Marocco vigeva la teoria urbana della separazione concepita da Lyautey con le
villes neuves, o città europee, e le cités indigènes, ovvero gli insediamenti urbani
precoloniali, usualmente chiamati “medine”, parola che in arabo significa “città”, destinate
alla residenza della popolazione autoctona. Queste due entità venivano separate da una zona
in cui venivano poste le caserme.
Geografia urbana – Governa e Memoli
1. Sicurezza: l‟ordine pubblico nelle strade e nei marciapiedi non è mantenuto solo
dalla polizia, ma anche spontaneamente dagli abitanti stessi. Per risolvere i problemi
della sicurezza non occorre disperdere gli abitanti: le strade e i marciapiedi devono
essere frequentati con continuità per essere sicuri.
2. Contatti umani: sono molti i contatti umani che si instaurano nei marciapiedi:
fermarsi a bere una birra, fare due chiacchiere. Per quanto insignificanti possano
apparire queste cose, esse sono alla base della vita collettiva urbana.
3. Assimilazione dei ragazzi: i marciapiedi rappresentano aspetti positivi anche per
quanto riguarda il gioco dei ragazzi.
Un altro aspetto considerato da Jacobs riguarda la creazione di diversità nelle strade e nei
quartieri, che si può ottenere in base a quattro condizioni ben precise:
1. Il quartiere deve assolvere a più funzioni favorendo così la circolazione degli abitanti
nell‟arco dell‟intera giornata.
2. Gli isolati devono essere piccoli così che si possa svoltare velocemente (condizione
favorevole al mescolamento).
3. Gli edifici presenti devono essere diversificati, eterogenei.
4. La densità di popolazione deve essere elevata, ma non eccessiva.
Jane Jacobs analizza anche dei fattori che influiscono sullo sviluppo della diversità dei centri
urbani. La formazione degli slums ostacola lo sviluppo della diversità sia perché ci sono
pochi investimenti pubblici, sia perché gli abitanti degli slums abbandonano il territorio. Per
Jacobs deve esserci un unslamming: risanamento dello slum. In particolare deve essere
risanata la cesura slum-città così da favorire politiche di rigenerazione per tutto il territorio.
I geografi descrivono il fenomeno urbano in due modi principali, definiti da Umberto Toschi:
2. Geografia delle città è uno sguardo esterno: si focalizza sui rapporti e interconnessioni tra
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le città, in base ad un rapporto transcalare.
La scuola di Chicago
La scuola di Chicago è stata esempio del primo approccio, ovvero della geografia della città,
promuovendo studi innovativi sulla città nel periodo fra le due guerre a partire dall‟osservazione
di Chicago e di altre realtà nordamericane. Questa scuola comprende un ampio numero di
studiosi composto da diversi sociologi riuniti attorno alla figura di Robert Ezra Park. Tra questi
riordiamo Burgess, McKenzie, Louis Wirth. Questi, nel 1925,pubblicano un volume intitolato
“The City” che dà vita alla corrente di pensiero definita “ecologia urbana”, termine che deriva
dall‟intendere la città come un ambiente. Gli studiosi di questa scuola pongono al centro della
loro attenzione diverse questioni: il rapporto tra società umane e ambiente in cui si vive;
problemi sociali e forme di segregazione/assimilazione che emergono dal processo
d‟immigrazione nelle grandi città americane; gli spazi delle minoranze (Wirth analizzerà il
ghetto ebraico di Chicago, 1928); studi sull‟uomo marginale (sugli homeless); i diversi
fenomeni di devianza sociale, delinquenza giovanile e criminalità organizzata (gangs). Chicago
aveva il profilo di un‟agglomerazione multietnica: oltre ai migranti rurali del Middle West, era
popolata da comunità slave, tedesche, cinesi, italiane ecc., oltre ai gruppi di origine ebraica e
afroamericana. Gli esponenti della scuola elaborarono degli schemi spaziali che intendevano
spiegare il funzionamento urbano nel suo complesso:
1. Schema per zone concentriche Elaborato da Burgess nel 1925. Si basa sull‟analisi
dell‟ecologia sociale di Chicago e propone una modellizzazione per “zone
concentriche”, dove in ogni cerchio è collocato un determinato gruppo sociale. Attorno
al centro degli affari, denominato loop, si organizzano gli alloggi abitati da migranti
(slums) suddivisi per origine etnica; seguono quartieri “neri” e residenze di lavoratori
immigrati; zone di abitazioni individuali e condomini per le classi borghesi; mentre
verso l‟esterno troviamo le aree residenziali più ricche. Tale modello di distribuzione
individua uno “scivolamento” di carattere sociale, etnico e residenziale dal centro verso
le periferie.
2. Schema a settori radiali Elaborato da Homer Hoyt nel 1939. Descrive un modello di
sviluppo urbano organizzato sulla base di “settori radiali”. L‟autore individua una
distribuzione che si sviluppa lungo le principali vie di comunicazione e di trasporto.
Inoltre, evidenzia la relazione fra le residenze di maggiore pregio e lo spostamento degli
uffici, delle banche e dei centri commerciali.
3. Schema a nuclei multipli Introdotto da Chauncy Harris e Edward Ullman nel 1945.
Si tratta di un modello “a nuclei multipli”, che combina cerchi, settori e nuclei. Questo
schema descrive una città esplosa e diffusa in centri principali, centri secondari e
quartieri periferici (suburbs), che si sviluppa in relazione all‟evoluzione delle forme
della mobilità e allo spostamento delle industrie.
I geografi iniziano a sistematizzare il campo della geografia urbana solo a metà degli anni
cinquanta del Novecento. Nella prima metà del Novecento, i geografi elaborano analisi
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1. Henri Lefebvre – “Diritto alla città” (1968): tale testo vede la luce nel 1968, anno
di grandi manifestazioni, ricordiamo ad esempio il maggio francese. Per Lefebvre la
città capitalistica è una città di consumo dello spazio urbano (per Lefebvre si deve
andare alla ricerca di uno spazio demercificato), ma anche consumo culturale per
turisti (anticipa il cosiddetto fenomeno della turistizzazione). Tuttavia, gli esseri
umani hanno anche un bisogno di attività creative e di gioco. Dunque, in poche
parole per Lefebvre, agli abitanti della città viene negato il diritto di vivere e di
riprodursi. Di Lefebvre ricordiamo la concezione dello spazio tripartita: 1) Dall‟alto:
spazio urbano come fenomeno generale; 2) Dal basso: spazio urbano come fenomeno
focalizzato; 3) Spazio urbano come prodotto sociale. Soja riprende la concezione di
spazio di Lefebvre e divide: 1) Spazio percepito; 2) Spazio immaginato; 3) Spazio
vissuto (combinazione del 1° e del 2° ed è il luogo dell‟azione e della resistenza).
2. Harvey: parla della giustizia sociale in ambito urbano. Scrive Giustizia sociale e
città (1973) dove sottolinea che nella città è concentrato il modo di produzione
capitalista. Dagli anni ottanta si occupa della condizione di vita urbana nella società
capitalistica, studiando i conflitti sociali e le differenze di classe che si producono
nelle moderne città.
3. Manuel Castells: scrive La questione urbana (1972) dove sostiene che la città è una
sorta di grande fabbrica capitalistica, dove le gerarchie non si riproducono solo nei
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luoghi di lavoro ma anche nella collocazione residenziale dei lavoratori (nelle zone
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più sovraffollate e inquinate della città). Successivamente Castells rivedrà la sua
posizione in merito all‟opera e si focalizzerà sui conflitti sociali, economici e
culturali che avvengono all‟interno delle città.
Altri studi si basano su: interpretazioni grazie alle ricerche sulle percezioni e rappresentazioni delle
città, di cui, ricordiamo Kevin Lynch, con il suo libro The Image of the City (1960); apporti della
geografia umanistica con le rappresentazioni collettive e soggettività individuali, ciò sarà
accompagnato dal cultural turn che tenta di integrare le dimensioni culturali e sociali alla geografia.
Anche nella geografia delle città è possibile individuare un cambiamento delle teorie. Ci
sono due aspetti principali complementari tra loro: Teoria sistemica considera la città
come un sistema in un sistema di città. Le relazioni interne ed esterne alla città sono
comprese in un‟unica struttura. Ogni cambiamento nelle attività economiche, professionali,
di reddito ecc. di una parte comporta la modificazione delle attività economiche,
professionali, di reddito ecc. degli altri elementi interconnessi; Approccio reticolare della
città mette in evidenza le relazioni tra luoghi non contigui. Dunque i sistemi urbani sono
descritti come un insieme di centri legati tra loro da relazioni transcalari.
Sulla teoria sistemica si basa la rappresentazione reticolare del territorio e della città, cioè
l‟idea che i sistemi urbani possano essere descritti non solo come aree o nuclei, ma come un
insieme di centri legati fra loro da varie relazioni.
Harvey è stato tra i primi geografi ad indagare le realtà urbane post-industriali. Secondo lui,
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grazie allo sviluppo delle tecnologie di trasporto e telecomunicazione, lo spazio si
rimpicciolisce, liberandosi dai vincoli della prossimità geografica.
L‟espressione Edge City (città-margine) è stata introdotta negli studi urbani da Joel
Garreau nel volume Edge City (1991). Garreau definisce con edge city quegli spazi
urbanizzati edificati oltre i margini urbani, ma non periferici in termini sociali ed economici,
poiché sono autonomi dal punto di vista funzionale. Per individuarle, Garreau definisce
cinque criteri: che ci siano almeno 500.000 mq di spazio per gli uffici; 60.000 mq di spazio
commerciale; più posti di lavoro che stanze da letto; un senso di appartenenza dei cittadini;
il non essere stato niente di simile a una città nei decenni precedenti. Il limite di queste città
è la mancanza delle differenze e delle possibilità di socializzare.
Se la logica spaziale della città moderna dell‟Ottocento era isotropica, basata sulle figure
della normalizzazione, della regolarità ecc. la figura che emerge oggigiorno è quella del
frammento, o comunque attenta alla specificità dei luoghi.
In base a tutti questi processi è estremamente difficile se non impossibile definire oggi la
città contemporanea. Gli stessi Amin e Thrift sottolineano come le città odierne non hanno
più una propria identità, i confini non sono più tracciabili, e ci sono innumerevoli
connessioni.
Per Max Weber i cambiamenti culturali sono un prerequisito fondamentale della Rivoluzione
industriale. Le città industriali crescono rispondendo alle esigenze dell‟economia capitalista
(Manchester cresce perché è dotata di materie prime e manodopera a basso costo). In questo periodo
vengono costruiti edificati appositi per le classi operaie vicino le industrie, spesso questi si trovano
in condizioni fatiscenti. Per suburbanizzazione si intende la formazione dei sobborghi, a macchia
d‟olio, attorno al nucleo storico delle città. Questa crescita urbana ha la caratteristica di essere
compatta fino a un margine esterno abbastanza netto, oltre il quale inizia la campagna. In questo
tipo di crescita distinguiamo anche conurbazione e agglomerazione. Per conurbazione si intende
l‟area urbana continua che si forma tra due o più città un tempo separate fra loro da spazi rurali
(Napoli-Caserta o Milano-Brianza). Il termine agglomerazione, invece, indica un‟espansione
compatta del centro abitato che ingloba progressivamente i centri rurali limitrofi. Accanto ai
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La distinzione netta tra spazio urbano e spazio rurale persiste fino alla globalizzazione, i cui effetti
sono più evidenti dalla seconda metà del XX secolo. I processi di globalizzazione influenzano
inevitabilmente gli spazi urbani sia esternamente che internamente. Esternamente passaggio dal
settore secondario al settore terziario dei servizi ed innovazione; l‟indebolimento dell‟economia su
base nazionale; maggiore comunicazione tra luoghi anche molto distanti tra loro; la privatizzazione
dei mezzi di trasporto. Internamente la città perde i limiti esterni ed esplode sul territorio. I
principali cambiamenti del modello insediativo in Italia a partire dagli anni „70 sono influenzati da
vari fattori: la diffusione dell‟automobile, per cui ci si può spostare anche a lunghe distanze,
favorendo la decentralizzazione delle residenze; lo spostamento dal centro verso le aree periferiche
e di conseguenza l‟indebolimento della gerarchia urbana preesistente. Per descrivere questo
cambiamento vengono utilizzati i termini periurbanizzazione e città diffusa. L‟urbanizzazione
diffusa è caratterizzata da una frammentazione delle forme urbane e delle organizzazioni
economiche e sociali ad esse collegate. Tale frammentazione riguarda sia la città, sia lo spazio non
più rurale. Questi spazi si connotano per la scarsa frequenza dell‟edificato e la compresenza di aree
agricole, aree commerciali ed aree residenziali.
Alcuni fenomeni di espansione urbana testimoniano il cambiamento nel rapporto tra città
consolidata e territorio circostante. Tra questi vi è il fenomeno di contro-urbanizzazione,
ovvero una deconcentrazione della popolazione urbana. Si caratterizza per una maggiore
crescita della popolazione nei centri minori lontani dai nuclei principali. Un altro fenomeno
è quello della riurbanizzazione, ovvero un ritorno al centro urbano. Può corrispondere
anche all‟emersione dei processi di gentrification, in cui la popolazione ad alto reddito
rientra nei centri storici riqualificati a scapito della popolazione a basso reddito originaria,
che si trova costretta a spostarsi al di fuori del centro. Il gruppo Curb ha elaborato un
modello per studiare l‟andamento demografico che riguarda la modificazione ciclica del
sistema urbano che toccano il core (città centrale) e il ring (una corona suburbana legata alla
città centrale). Questo modello riguarda il ciclo di vita di una città ed è suddiviso in quattro
fasi:
1. Urbanizzazione;
2. Suburbanizzazione;
3. Contro-urbanizzazione o disurbanizzazione;
4. Riurbanizzazione.
Il processo di periurbanizzazione
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Le aree periurbane non hanno limiti o confini identificabili, a causa della compresenza di
spazi residenziali, produttivi, commerciali, agricoli ecc. Elementi urbani, rurali e suburbani,
che prima occupavano zone distinte, adesso sono mescolati. Altra caratteristica riguarda la
minore densità territoriale degli edifici e della popolazione, con addensamenti attorno ai
borghi rurali e alle piccole città preesistenti. Inoltre, mostrano una minore concentrazione
della popolazione nelle classi superiori e inferiori. Lo stile di vita, infine, è molto simile al
modello suburbano nordamericano: villette isolate o a schiera, alta mobilità con trasporto
privato, spesa nei centri periferici.
In Italia non vi sono parti del territorio che non siano interessate da forme di diffusione
urbana. Se guardiamo la carta dell‟urbanizzazione italiana al 1991, ci rendiamo conto del
superamento di una netta distinzione tra area urbana e area rurale. Il fenomeno della città
diffusa si riscontra in varie porzioni dell‟area padana, nelle principali valli alpine e
appenniniche, nelle fasce costiere della Liguria e dell‟Adriatico, e con configurazioni a
corona nelle principali agglomerazioni. Tuttavia il processo di periurbanizzazione ha anche
degli aspetti negativi: gli elevati costi sociali ed impatti ambientali negativi; il crescente
consumo di suolo in quanto le aree agricole diventano urbane; una forte speculazione
immobiliare; il trasporto pubblico spesso è debole o inesistente. Spesso, però, gli abitanti
della città diffusa o area periurbana la preferiscono alla città centrale, relegando dunque in
secondo piano gli aspetti negativi. In altre parole, tali abitanti preferiscono vivere al di fuori
del caos cittadino.
L‟urbanizzazione reticolare
Lo sviluppo urbano policentrico si basa sull‟idea che esistano relazioni funzionali e stabili
cooperazioni tra diverse città. Ne è un esempio il Randstad dei Paesi Bassi. L‟urbanizzazione
diffusa nella parte centrale dei Paesi Bassi ha portato ad una regione urbana policentrica. Ci sono 4
città medio-grandi con elevata specializzazione funzionale:
In Italia invece, l‟area padana sembra corrispondere a un modello policentrico interconnesso (ci
sono collegamenti in particolare intorno a Milano e Torino).
Fin dai primi studi di geografia urbana, le città sono state definite anche in ragione delle loro
funzioni economiche: industriale, minerarie, rurali, portuali, commerciali, turistiche. Lo sviluppo
economico industriale e quello urbano possono considerarsi paralleli e reciproci. Nell‟ambiente
urbano si muovono due insieme interdipendenti: da una parte, i fattori di localizzazione delle
attività economiche; dall‟altra, gli attori sociali che operano direttamente o indirettamente in
tali attività. Si formano, in tal modo, zone urbane differenziate in ragione di alcuni aspetti: uso del
suolo urbano; concentrazione di attività; valori dei suoli e degli edifici; redditi degli abitanti;
provenienza etnica o appartenenza a comunità sociali e culturali; pratiche aggregative; classi d‟età
della popolazione. Negli ultimi decenni del XX secolo la terziarizzazione dell‟economia, il
decentramento funzionale, la globalizzazione, la crescita del settore finanziario ecc. hanno prodotto
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importanti novità negli spazi urbani. Le aree urbane diventano contenitori multi-variabili dove si
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mescolano economie dell‟informazione, della cultura, della religione, della socialità.
Un quadro interpretativo
La città diventa fonte di economie di consumo per le famiglie, grazie alla presenza di servizi
pubblici (istruzione, sanità), servizi privati (cultura), gestione del tempo libero. Il ragionamento
sulle economie di agglomerazione porterebbe a considerare l‟espansione urbana come inarrestabile.
Tuttavia le economie si trasformano in diseconomie di agglomerazione e i servizi offerti dalla città
presentano dei costi maggiori man mano che la città cresce di dimensione. La dimensione massima
di una città varia a seconda delle funzioni ricoperte nel territorio. Il suolo urbano presenta un
valore di mercato diverso a seconda della sua posizione (valore di posizione). Ciò che ricava il
proprietario di un suolo, indipendentemente dall‟uso che ne fa, si chiama rendita urbana. La
rendita urbana nasce con l‟avvento della Rivoluzione industriale, quando i terreni e gli edifici
all‟interno delle città cominciano ad essere richiesti in maniera più massiccia a causa della crescente
urbanizzazione. Poiché la domanda di suoli è sempre in crescita, i prezzi tendono a crescere. Nella
rendita urbana il proprietario dei terreni può trarre maggiori ricavi grazie ai vantaggi di posizione
(vicinanza o meno dal centro), ma anche dagli investimenti pubblici che vi sono fatti intorno che
possono garantire o meno lo sviluppo della società (processi di riqualificazione, disposizione di
musei, stazioni, condizioni ambientali favorevoli). Solitamente i proprietari si attivano non appena
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la differenza tra rendita attuale (ciò che si guadagna dai beni in possesso) e la rendita potenziale
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(il massimo profitto che si potrebbe guadagnare dal migliore utilizzo del bene) risulta evidente.
Tale differenza è chiamata rent gap.
Industrializzazione e urbanizzazione
L‟industria è stata il motore dello sviluppo urbano. Questa influenza reciproca si palesa
soprattutto nel passaggio dalla fase in cui la produttività dipendeva principalmente da
condizioni specifiche del territorio alla fase in cui le condizioni dello sviluppo economico
dipendevano da elementi anche esterni all‟impresa. Soprattutto con l‟avvento del modello
industriale di tipo fordista, il collegamento tra crescita industriale e sviluppo urbano
diventerà peculiare, tanto per le città che vivono a pieno l‟industrializzazione, quanto per
quelle che ne risentono indirettamente. Si avranno fasi di boom economico e diffusione del
benessere. Il termine “fordismo” è stato coniato da Gramsci, e indica una forma di
produzione basata sulla catena di montaggio, ovvero un processo di assemblaggio
utilizzato nelle moderne industrie e introdotto da Henry Ford nei primi anni del Novecento,
teso ad ottimizzare il lavoro degli operai e incrementare la produttività. Questa
trasformazione produrrà effetti molteplici, ad esempio la suddivisione dei compiti e delle
mansioni dei lavoratori o la scomposizione del ciclo produttivo in fasi. La teoria
perroussiana dei poli industriali interpreta i vantaggi determinati dalla costituzione di reti
urbane gerarchizzate e polarizzate attorno a grandi città industriali. Ciò influenzò le politiche
italiane concentrando gli investimenti prioritariamente nelle aree urbane del Nord (in
particolare nel triangolo industriale). Il fordismo apporta cambiamenti tanto sulla geografia
della città, quanto sulla geografia delle città. Il territorio urbano si ritrova a gestire una serie
di rimodulazioni: fenomeni di conurbazione, la formazione di comunità miste date da
migrazioni nazionali e internazionali, problematiche urbane più complesse.
La società urbana del fordismo è quasi un‟estensione del modello di fabbrica, per cui
parliamo di città-fabbrica. Si formano nuovi scenari urbani: emergono “quartieri
dormitorio” per operai e sotto-proletari; operai e impiegati sono separati tra rioni proletari e
quartieri piccolo o medio-borghesi. L‟urbano favorisce la mobilità sociale, sia orizzontale (la
città offre infinite possibilità di inserimento in altri ambiti lavorativi), sia verticale
(passaggio da operaio a impiegato all‟interno della stessa impresa). La società urbana del
Novecento industriale esprime bisogni nuovi: istruzione, trasporti, casa, sanità, lavoro ecc.
Tuttavia nella società fordista i rapporti avvengono fra ruoli e non persone. Vige un corpo
sociale piramidale per il quale sono chiare le distinzioni di compiti, diritti e doveri,
opportunità e comportamenti.
Negli ultimi decenni del Novecento, con l‟apparire di novità tecnologiche, economiche e
delle dinamiche spaziali, il modello fordista inizia a mostrarsi inadeguato. L‟innovazione
tecnologica investe soprattutto i settori dei trasporti e delle comunicazioni: la possibilità di
Geografia urbana – Governa e Memoli
far viaggiare merci e informazioni in tempi e a costi ridotti (tempo reale) rende più prossimi
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anche spazi lontanissimi, ponendo in discussione i vantaggi della concentrazione spaziale. A
livello economico, avviene il processo di integrazione aziendale che può essere di tipo:
orizzontale le imprese maggiori acquisiscono le imprese minori che non riescono a
competere nel mercato; verticale le imprese maggiori acquisiscono imprese fornitrici;
diagonale le imprese maggiori acquisiscono imprese che operano in settori diversi. C‟è,
inoltre, la concentrazione e centralizzazione dell‟attività economica, e non quella spaziale
delle economie di agglomerazione. La prima comporta l‟eliminazione delle imprese più
piccole e la fusione delle grandi aziende; la seconda promuove la nascita di aziende operanti
a livello multinazionale. Per definire questo nuovo modello socio-economico, spesso, si fa
uso di termini quali post-fordismo, post-industriale o post-moderno. Nel post-fordismo
scompare tutto ciò che aveva caratterizzato l‟età di Ford: il gigantismo industriale, la
concentrazione e centralizzazione spaziale, la separazione fra idea, azione, esecuzione e
controllo. Le città subiscono processi di deindustrializzazione, passando dall‟essere luoghi
di produzione a luoghi di consumo. Si tratta di una città innovata. Le categorie urbane che
superano il fordismo avvalorano ciò che diceva Lefebvre: “lo spazio sociale è un prodotto
sociale”. È uno spazio auto-generato dal basso, nello spazio infra-urbano, nella relazione tra
gruppi di attori distinti. Per Baudrillard si delinea un mondo post- in cui perdono valore le
distinzioni un tempo importanti (classi, tendenze politiche ecc.). Questo mondo è formato
dall‟implosione del campo economico, sociale e spaziale intersecati tra loro.
2. Sociale: riguarda gli attori, agenti ed azioni: gentrifier, classe meno abbiente
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(working class, disoccupati, immigrati ecc.), agenti immobiliari, fenomeno
dell‟espulsione.
3. Edilizio: riguarda il recupero di vecchie abitazioni e la valorizzazione immobiliare.
Anche i quartieri distanti dal centro subiscono processi di gentrification. In particolare, dopo
l‟era post-fordista si creano occasioni di rigenerazione urbana grazie alle aree industriali
dismesse. Subentra spesso in tali occasioni anche la politica Teoria della growth machine: Ci
sono diversi attori, sia pubblici che privati, che si uniscono e che intendono investire in
determinate zone per favorirne, teoricamente, la crescita in termini di nuovi impieghi e
riqualificazione dei luoghi. Nel 1991, si volle rigenerare il centro storico di San Paolo. Ci fu
un dibattito che vide coinvolti due gruppi sociali. Il dibattito si incentrava su quale tipologia
di rigenerazione attuare. I cittadini della classe media avevano posizioni più o meno
speculative; i settori più popolari propendevano per un carattere maggiormente
sostenibile. Nelle città investite dai processi di gentrification si presentano dunque strategie
conflittuali fatte da pratiche dall‟alto e dal basso.
Milano dal punto di vista geo-economico e geo-politico è vista come una “terra di mezzo”:
costituisce il vertice meridionale del pentagono europeo. Milano ha un forte carattere reticolare
grazie a tre fattori principali:
1. Mercato.
2. Produzione di servizi.
3. Luogo di eccellenza tecnologico-scientifica.
- Non tutte le città competono non tutte le città riescono ad essere competitive al fine di
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attrarre investimenti privati o pubblici. A tal proposito vediamo città che hanno attuato un
network passivo: relazioni passive attuate da attori svincolati dal sistema locale; network
attivo: relazioni attive attraverso la partecipazione delle città a reti locali e globali.
- Sacrificio della socialità spesso la pressione competitiva ed economica mettono in
secondo piano il valore della socialità, della cultura ecc. poiché la città è considerata solo
come una macchina competitiva.
- Bisognerebbe privilegiare tutti i settori l‟inserimento in un meccanismo competitivo,
non deve tradursi sulla focalizzazione di un solo settore, ma dovrebbe abbracciare tutte le
dinamiche della città.
- Non esistono solo città globali le reti urbane mondiali non sono fatte solo da città
globali. Esistono anche reti di grandi metropoli, o anche città di medie o piccole dimensioni
specializzate in determinati settori. Le città devono essere aperte allo sviluppo di relazioni
transcalari. Inoltre, la presenza di città globali presuppone una gerarchia, di cui queste sono
in cima grazie al loro livello di internazionalizzazione e presenza di servizi finanziari.
Nella pratica, ogni spazio urbano può rappresentare tanti nodi quanti sono i diversi sistemi-rete a
quali la città partecipa. In questo senso la costruzione di un‟immagine della città basata sul suo
carattere prioritario (città dell‟innovazione, città finanziaria, città della cultura ecc.) non racconta
l‟insieme della complessità urbana di cui è composta. Ci sono infatti dei frammenti all‟interno delle
città:
L‟ambiente urbano ha avuto un forte impatto sui fenomeni culturali e altrettanti ne ha ricevuti. La
citta, ancora oggi, possiede delle caratteristiche che le permettono di essere riconosciuta come
spazio relativamente circoscritto, al cui interno sono presenti differenti culture. La mescolanza di
culture e popolazioni incide sulla città attraverso una serie di azioni e interazioni. La geografia
culturale si è concentrata principalmente su due campi problematici:
La svolta culturale si manifesta negli anni ‟70 in Gran Bretagna. Questa, determina lo studio della
vita sociale non nella sua totalità, ma nella sua pluralità, cioè si inizia a percepire la cultura come
una serie di pratiche disgiunte. La diversità culturale era un tema divenuto prioritario, così come vi
fu sempre più attenzione nei confronti dei contesti urbani dove si potevano cogliere le negoziazioni
politiche e sociali. Rispetto al concetto di paesaggio, a partire dagli anni ‟80, si sviluppano quattro
orientamenti principali:
2. Il paesaggio come “testo da leggere” che focalizza l‟interpretazione sugli aspetti simbolici;
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3. La scena urbana;
4. Critica femminista agli studi sul paesaggio.
Un altro concetto molto importante è quello di cultura. La definizione migliore riguarda quella che
fa riferimento all‟espressione “way of life”, intesa come una particolare maniera di vivere
all‟interno di un popolo, o di un gruppo o dell‟umanità, ma anche a come queste forme siano
espresse, comprese ed interpretate. La cultura è direttamente coinvolta nella formazione di
paesaggi, anche urbani. Di fatto, vediamo che la città assume l‟immagine delle ideologie, dei valori
e delle forme di potere che le circolano dentro e intorno. Per leggere e comprendere la città,
dobbiamo osservarne sia le manifestazioni visibili, sia quelle meno visibili che riguardano le
rappresentazioni simboliche delle espressioni culturali. È necessario scorgere il paesaggio urbano
nelle sue permanenze e nelle sue metamorfosi. Spesso, utilizziamo il concetto di patrimonio come
contenitore in cui vi sono tutti gli elementi rilevanti delle nostre città, ma è chiaro che non si tratta
di un concetto stabile nel tempo, è bensì mutabile, le sue politiche rispondono più a un‟azione di
rigenerazione urbana che all‟idea di ripristinare la modernità.
Interpretare i paesaggi urbani: dalla geografia delle sedi alla geografia culturale
Lo studio della città in Italia si è formato attraverso diversi riferimenti. Alla metà degli anni ‟60,
Toschi fu il primo a raccomandare ai geografi italiani di curare il nuovo indirizzo della geografia
delle città. Negli stessi anni, Gambi diceva che la città non poteva essere solamente descritta, ma
era necessario esaminarla come infrastruttura delle realtà urbane. Le immagini proposte in quegli
anni indirizzavano verso l‟analisi del fenomeno urbano nel suo complesso: relazioni tra le città e il
territorio circostante. Mario Ortolani, nel suo Geografia delle sedi, definisce tre fasi di sviluppo
della geografia urbana:
1. Una, anteriore alla II guerra mondiale, la quale svolge indagini di tipo morfologico;
2. Un‟altra, successiva ai conflitti mondiali, che studia le funzioni della città;
3. L‟ultima, più legata ai rapporti tra città e campagna e tra città e regione.
Negli anni ‟90, Dematteis propone di leggere il fenomeno urbano attraverso la metafora delle reti.
Si prende atto del fatto che il territorio circostante non sia più strettamente dipendente dal centro.
Era, dunque, necessario osservare la città con uno sguardo nuovo. Tale passaggio ha coinciso con
l‟evoluzione della società contemporanea, la riflessione sulla realtà urbana e metropolitana entra nel
campo degli interessi della geografia culturale. Le culture che agiscono all‟interno della città
spostano l‟accento sulla dimensione politica del fenomeno urbano, intendendo non solamente la
funzione delle istituzioni, bensì le capacità interne ad ogni città che producono spazi di
trasformazione. L‟azione delle comunità nel contesto urbano genera e lascia tracce. Vi è
un‟interdipendenza tra città e rappresentazione.
Immagini urbane
Tutte le città hanno una o più immagini che la identificano, ma non è detto che queste rappresentino
la realtà urbana. Da un lato, potremmo dire che sia effettivamente così, poiché guardando una foto
del Duomo di Milano oppure della Torre Eiffel, automaticamente pensiamo alla città che essi
rappresentano; tuttavia, potremmo anche pensare il contrario, poiché si tratta di immagini evocative
Geografia urbana – Governa e Memoli
che non ci parlano delle città nella loro interezza, bensì rimandano ad una cartolina, che
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corrisponde, tuttalpiù, a quanto vogliamo che il turismo veda e consumi. Inoltre, il consumo
turistico dei luoghi storici ha portato a fenomeni e dinamiche quali gentrification e disneyzzazione,
figlie di politiche di rigenerazione urbana che hanno causato, rispettivamente, lo spostamento di
popolazioni e attività, e l‟impoverimento degli elementi culturali a vantaggio di un‟idea di centro
storico come parco tematico. Questo tipo di immagini ha avuto conseguenze pure sulla
partecipazione civica; l‟avanzamento del degrado culturale ha ridotto spazi e identità di luoghi,
ormai, visti solo come turistici. Nonostante ciò, parliamo di immagini urbane perché esse ci
mostrano come viene raccontata una città e perché, attraverso di esse, possiamo comprendere le
culture urbane e i loro segni distintivi. Queste narrazioni urbane si formano in quella zona di
confine tra il reale e l‟immaginario. Poiché è impossibile conoscere l‟intera città, riduciamo la sua
complessità a singole impressioni, escludendone alcuni aspetti. La doppia vita della città, ovvero la
sua realtà e la sua rappresentazione, può avere effetti positivi e negativi. Le stragi siciliane del 1992
hanno fatto sì che Palermo venisse rappresentata come città estremamente pericolosa, il che ha
messo in crisi la sua economia turistica.
I grandi eventi: la città di fronte allo straordinario I grandi eventi sono un‟occasione
per rendere operative delle considerevoli trasformazioni urbane. Questi, infatti, non
implicano il ripensare ad un singolo frammento della città, bensì a tutta la sua
organizzazione. Eventi come esposizioni universali e nazionali, le Olimpiadi, i Campionati
mondiali di calcio, vengono “montati” e “smontati” trasformando in movimento
l‟immobilità presunta dei territori. In gioco vi è il dare vita a progetti di riqualificazione
urbana, creazione di nuove parti della città che vengono cucite con la già esistente; ma non
solo, in gioco vi è la stessa capacità di rappresentarsi, l‟abilità di attirare risorse finanziare,
così da poter competere con altre città. Durante l‟operazione di montaggio, avviene una
chiusura dello spazio con dei muri, con le sue aperture, si determina la grandezza dell‟area,
si misura l‟afflusso. Nella fase di smontaggio, vi sono problemi legati ai costi di cambio di
destinazione d‟uso della città e di ricucitura con la città. Questi eventi sono anche un
momento di incontro per le masse. Le trasformazioni che hanno luogo durante queste
manifestazioni sono sia di ordine architettonico che di tipo urbanistico. Zone rifiutate dalla
città vengono riutilizzate, terreni bonificati ecc. Una delle trasformazioni nate dalle
esposizioni è, per esempio, la stessa Torre Eiffel, diventata simbolo di Parigi dal 1889.
Competizione tra luoghi: rigenerazione dei paesaggi urbani I grandi eventi non sono
un fenomeno recente. Negli ultimi anni si sono modificati, però, due aspetti:
Reagan si passa al neoliberismo (libero mercato). Per quanto riguarda le politiche di rinnovo
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urbano, la conseguenza di questi cambiamenti è stato l‟ingresso di attori privati. Come aveva
già anticipato Benjamin, il paesaggio urbano non è solo formato e riformato dai poteri forti
che operano attraverso il capitale, ma anche da pratiche di resistenza. Dunque, i paesaggi
sono prodotti anche dalle relazioni sociali. Questa nuova dialettica socio-spaziale permette
di guardare alla città da nuovi punti di vista: da un lato, passiamo dagli eventi straordinari
alla vita quotidiana, dall‟altro, affiorano le diversità delle popolazioni che si muovono nella
città.
Grazie ai Cultural Studies le scienze sociali hanno iniziato ad interessarsi alla vita quotidiana
definita attraverso la cultura. Fino ad ora abbiamo visto in che modo sono rappresentati i paesaggi
urbani, adesso dobbiamo esaminare in che modo li percepiamo e li consumiamo. Per comprendere
questo connubio percezione-consumo, è importante la visione di Lefebvre, il quale fa una costante
riflessione critica sulla vita quotidiana. In particolare, parla delle famiglie operaie, le quali per poter
permettersi “equipaggiamenti” come un televisore o una lavatrice, sacrificano altro, per esempio la
nascita di un figlio. Mentre ai tempi di Lefebvre il consumo era “funzionale”, tipico della società di
massa, oggi ha come caratteristica l‟estetizzazione. Conta, cioè, più la moda, lo status dell‟oggetto e
dove lo si è comprato, rispetto alla sua funzione. Le nuove classi sociali adottano stili di vita
riconoscibili attraverso gli oggetti del loro consumo. Il consumo, quindi, si pone come scontro tra
classi e gruppi sociali. In questo contesto, la pubblicità è fondamentale. Lo spazio urbano non è
omogeneo. Troviamo ad esempio le differenze spaziali (gentrification e gated communities) e le
differenze di popolazione (reddito o etnie).
La svolta culturale ha convinto molti a ritenere che tutte le categorie (binarie e non) siano
una costruzione sociale. Queste giustificano relazioni asimmetriche di potere. Negli studi
urbani, il rapporto di coppia più citato è quello centro/periferia. Bisogna annullare l‟idea
secondo cui tutti i centri siano diversi e tutte le periferie siano uguali. La letteratura sulle
periferie le ha sempre definite con criteri parziali e carenti, e attraverso una differenza
implicita dal centro. Centro e periferia vengono contrapposti sulla base della distanza fisica,
spiegando la distanza dal centro con il rapporto dominanza-dipendenza, e sulla base della
mancanza di identità delle periferie, data dalla brevità di storia di questi pezzi di città. Le
periferie sono zone pioniere, di estrema mobilità e in rapida trasformazione. La definizione
di periferie deve rispondere a due requisiti: il primo è quello che le periferie debbano evitare
di inseguire il centro per somigliargli; il secondo è la separazione tra città compatta e non.
La città compatta è quella del progetto, la città borghese, quella che era pensata come un
tutt‟uno. Le discontinuità sono nate da un progetto di città che ha dovuto rispondere
rapidamente al problema dell‟alloggio. Il fenomeno si ripropone un po‟ in tutte le grandi
città d‟Italia dopo la Seconda guerra mondiale. Ciò che hanno in comune queste periferie è,
spesso, un progetto dimenticato.
Le gated communities
La città interetnica
La globalizzazione ha messo in crisi l‟idea di Stato come luogo in cui coincidono un‟unica
lingua, un‟unica cultura e un‟unica religione, e come luogo chiuso e stabile. Il luogo come
entità unicamente fisica e delimitata rimanda ad una compattezza etnica che non è mai
esistita; i luoghi sono sempre stati aperti agli scambi. Per comprendere la città interetnica è
necessario partire dai percorsi dei migranti. È necessario seguire le reti di relazioni presenti
nei loro percorsi: dai territori di origine fino a quelli di arrivo. I luoghi di interculturalità
sono, per loro natura, ibridi, complessi e di non agevole identificazione. Il manifestarsi di
associazioni solidaristiche rappresenta l‟accettazione della responsabilità della comunità
straniera verso quella dell‟accoglienza. Un altro modo per cogliere la città interetnica è
quello di lavorare sulle rappresentazioni, che oscillano tra uno sguardo stereotipato e uno
critico.
Ogni descrizione geografica richiede di effettuare delle scelte sia sul versante teorico, quindi le
domande della ricerca e l‟approccio, che su quello metodologico, ovvero quali metodi o tecniche
impiegare. Il metodo ipotetico-deduttivo (dal generale al particolare) parte dalla formulazione
iniziale di ipotesi complessive, è utilizzato dalla geografia nomotetica, cioè che ricerca leggi
generali nel funzionamento dei diversi territori che descrive; il metodo induttivo (dal particolare al
generale) parte dallo studio di casi specifici e definisce possibili generalizzazioni, è utilizzato dalla
geografia idiografica, la quale si concentra su specificità e unicità; il metodo comparativo analizza
contemporaneamente due o più contesti, comparando ad esempio uno o più fenomeni in città
diverse. Altri metodi sono la cartografia e i GIS. I GIS, a partire dalle immagini satellitari,
facilitano la rappresentazione cartografica dei fatti territoriali e la loro mediazione con dati
quantitativi. Non esiste una metodologia unica e “ideale” per descrivere una città, ma diverse
metodologie fra le quali scegliere quella che più risponde ai criteri di:
Ad esempio, se dobbiamo studiare le caratteristiche economiche delle città, l‟analisi di dati statistici
e l‟uso di metodologie quantitative si rivelerà più utile; mentre, se dobbiamo descrivere gli stili di
vita urbani, in cui alla base vi sono esperienze e soggettività, più utili risulteranno le metodologie
qualitative.
Limiti delle metodologie quantitative Alcuni elementi non sono veramente o del tutto
misurabili. Una realtà estremamente complessa come quella urbana verrebbe solo
“semplificata” da quantificazioni e misurazioni. Delle volte, tale semplificazione è
accettabile poiché ci porta a capire cose che altrimenti non saremmo in grado di trattare,
altre volte non lo è perché maschera più cose di quante permetta di svelare. Infine, esse sono
solo apparentemente più precise di quelle qualitative, ma in realtà anche il linguaggio
numerico, in quanto linguaggio, va interpretato attraverso azioni sempre soggettive, che
possono essere imprecise e seguire intuizioni personali, preferenze e pregiudizi.
Limiti delle metodologie qualitative Uno dei nodi critici riguarda la possibilità di
generalizzazione, vale a dire che studi di casi specifici e localizzati possono assumere un
valore generale. Un altro riguarda il rapporto che si instaura fra ricercatore e contesto della
ricerca: da un lato abbiamo il ricercatore insider, giudicato positivamente ma impossibile da
attuare, dall‟altro il ricercatore outsider, inevitabile ma giudicato negativamente.
Geografia urbana – Governa e Memoli
l‟emergere delle teorie dello sviluppo economico industriale e della connessa espansione dei tassi di
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urbanizzazione.
Le metodologie qualitative più consolidate e più comunemente usate sono quelle basate su
fonti orali, fonti testuali e sull‟osservazione diretta. I metodi che interrogano le fonti orali
sono basati sul parlare con le persone, indagano dal punto di vista dei soggetti sociali. Le
fonti orali possono essere utilizzate in forme e modalità diverse, in relazione sia alla scelta
delle persone con cui parlare, sia ai modi con cui si conduce la conversazione. Le interviste
si suddividono in tre forme principali:
Altre fonti di indagine sono quelle testuali, scritte e iconografiche, che presentano varie
differenze. Possiamo leggere e interpretare testi documentari; descrizioni di città; lo stesso
paesaggio. Ognuna delle fonti può essere interrogata per diverse cose, ad esempio un
articolo di giornale può parlarci dei rapporti tra le élites urbane, una fotografia si interroga
sulle caratteristiche del paesaggio urbano, sulle modificazioni subite dai luoghi nel tempo
oppure sul diverso uso dei luoghi da parte di diversi attori urbani. Il terzo gruppo di
metodologie qualitative è basato sull‟osservazione diretta. Si sottolinea l‟importanza della
ricerca sul campo. Importanti da questo punto di vista sono l‟osservazione partecipante e
l‟approccio etnografico. Tramite l‟esperienza diretta, e abbandonando ogni forma di
interazione formalizzata, il metodo dell‟osservazione partecipante intende incrementare la
conoscenza geografica facendo sì che il ricercatore entri a far parte della città, della sua vita,
delle sue modalità implicite di interazione. Un‟evoluzione dell‟osservazione partecipante è
la “ricerca-azione” che, non solo intende analizzare e descrivere la realtà urbana, ma agire
attivamente per il suo cambiamento, mettendo in gioco la responsabilità sociale e politica
della geografia nelle forme di oppressione e nelle pratiche di resistenza. Le metodologie
qualitative concentrano gli studi di geografia urbana sulle pratiche quotidiane,
l‟imprevedibilità e il carattere routinario delle stesse. Interessante da questo punto di vista è
la flânerie di Walter Benjamin, ispirata alla poesia e ai racconti di Baudelaire ed Edgar Allan
Poe. Le peregrinazioni urbane permettono di immergersi a livello percettivo, emozionale e
sensoriale nei percorsi della città. La capacità di effettuare una descrizione attraverso il
Geografia urbana – Governa e Memoli
vagabondaggio all‟interno della città rimanda alla sensibilità del flâneur di evocare ricordi e
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cogliere gli elementi che caratterizzano quel luogo urbano. Nonostante sia impossibile
razionalizzare la condotta del flâneur, questa pratica permette di comprendere il senso stesso
della città. Negli anni Cinquanta, la pratica del vagabondaggio urbano è ripresa da Guy
Debord che scrive un articolo intitolato Introduzione a una critica della geografia urbana, in
cui propone la psicogeografia per studiare gli effetti della città sui comportamenti affettivi
degli individui. Questo obbiettivo può essere raggiunto perdendosi consapevolmente nella
città attraverso la pratica delle derive urbane. Questo porta all‟elaborazione di mappe
diverse rispetto a quelle ufficiali, perché basate su punti di vista “altri”, sulla soggettività
dello sguardo dei singoli individui.
La città è la forma privilegiata della politica. Nella polis greca si compone la premessa originaria
della relazione tra politica e condizioni urbane: l‟appartenenza alla comunità (cittadinanza); il
governo e i suoi simboli; le forme di controllo e di protezione (il dominio); i presupposti della
partecipazione e dell‟emancipazione (consenso e conflitto). La polis ha una duplice valenza:
1. Unicità ideale tra il corpo fisico della città, gli abitanti e le espressioni di potere;
2. La relazione tra politica e città si fonda sulle condizioni di vantaggio rappresentate dagli
agglomerati urbani per le ragioni del potere
Dalla città si governano, amministrano, organizzano, controllano territori vasti e complessi, locali,
nazionali e internazionali; nella città si determinano le condizioni migliori per la produzione, il
contagio, la diffusione di teorie, idee, lotte e pratiche della politica. Nelle città si concentrano le
forme visibili e simboliche del potere politico, i cosiddetti apparati istituzionali, i quali trovano in
esse i vantaggi della centralità territoriale che facilita la gestione del potere. La politica, quando
deve governare società e territori, utilizza il potere adottando strutture simboliche e operative, come
eserciti e forze di polizia, partiti e sindacati, parlamenti, corti, tribunali, ministeri, amministrazioni
decentrate ecc. Max Weber, nel 1922, fa una distinzione tra potere come forza e potere come
consenso. Per quanto riguarda il primo, intende qualsiasi possibilità di fare valere la propria volontà
attraverso la forza; il secondo, invece, si intende come la possibilità di trovare obbedienza ad un
comando, mediante il potere legittimo. La concezione unidimensionale del potere, lo riduce alle sue
manifestazioni politiche, cioè è il potere visibile, che nelle istituzioni dello Stato costituisce un
sistema socio-territoriale in grado di produrre decisioni capaci di vincolare comportamenti.
Foucault, in particolare, possiede una concezione relazionale del potere. Il potere, cioè, è dato dai
rapporti di forze. Il potere urbano non è trascendente, cioè esterno al mondo, bensì immanente,
ovvero interno al mondo. Ogni stato di potere (condizione di potere) assume una forma politica
finalizzata al controllo dell‟entropia sociale (annullamento delle gerarchie interne al sistema) e a
ridurre il rischio di disordine che ne minaccia la stabilità. Ad ogni stato di potere corrisponde una
forma territoriale politica nella quale coesistono la determinatezza dell‟organizzazione e le
condizioni della sua messa in discussione. Il potere politico urbano si costituisce attraverso la
comunicazione, condizione che può comportare conflitto o consenso. La natura del potere è
inscindibile dall‟urbano: è negli ambiti urbani che si concentrano le attività che procurano,
Geografia urbana – Governa e Memoli
assicurano, replicano e riproducono il potere, e non negli spazi rurali. Il potere, sia esso monarchico
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o repubblicano, designerà una propria città come capitale, insediandovi gli organi e le funzioni che
ha giudicato necessari all‟esercizio della vita pubblica. Tuttavia, che il potere politico si cristallizzi
in un unico luogo è vero solo apparentemente. Il potere non è una prerogativa di una categoria
d‟attori oppure di un‟altra, ma esiste nel momento in cui si crea una relazione tra questi attori; allo
stesso modo, non è prerogativa di un oggetto geografico piuttosto che di un altro, ma si costituisce
nella relazione tra essi. È vero che le capitali abbiano proprietà che le differenziano dalle città che
non lo sono (istituzioni, centralità, risorse, monumenti, carica simbolica ecc.), ma è anche vero che
ogni città abbia una natura politica e intessa relazioni di potere. Si potrebbe distinguere tra le città
del potere politico e le città di potere politico. L‟ipotesi è che la città sia luogo del Potere politico,
attinente al campo delle relazioni intessute tra questa e lo Stato; mentre la città sia luogo del potere
politico, attinente ai campi di relazioni che intesse con l‟economia, la società, la storia, la geografia,
le politiche ecc.
La fondazione degli Stati territoriali necessita di una città particolarmente grande e autorevole che,
spesso, corrisponde alla capitale politica. La presenza o l‟assenza delle forme materiali di potere
politico determinano la centralità di una città, su tutte le altre. Molte capitali sono città-potere già
prima della costituzione dello Stato (antecedenti o originarie); altre sono fondate ad hoc
(susseguenti o fondate); alcune nascono dallo spostamento da una centralità precedente; in altri
casi, infine, si assiste ad una scissione delle funzioni strategiche in due o più centri. Dunque,
definiamo capitali originarie, fondate e designate. Tra le capitali originarie possiamo annoverare
Parigi, Roma, Londra, Lisbona e Vienna. Innumerevoli volte e in tanti paesi si è verificata la
ridefinizione della capitale politica dello Stato, le cosiddette capitali spostate, a causa di conflitti di
natura politica, territoriale, strategica, civica, culturale. Ne distinguiamo principalmente tre
tipologie:
Uniti che hanno costruito ex novo Washington rendendola capitale. Gli interessi locali
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contrastanti, come nel caso della comunità francofona e quella anglofona in Canada, trovano
esempi di compromesso politico-territoriali sui rischi di egemonizzare il governo del Paese
da parte di una comunità sulle altre.
Forme della politica nella città: occasioni internazionali e ribellismo urbano
Gli elementi di cui si compone lo status delle città capitali sono diversi e difficili da definire. In
primo luogo, vi sono le condizioni dimensionali, ovvero l‟estensione territoriale, la densità
demografica, le risorse, la ricchezza della popolazione. Nonostante la rilevanza di questi elementi
quantitativi, però, essi non bastano a definirne il ruolo. Infatti, molto spesso, la capitale è una città
in tal senso “minore” rispetto ad altre. In secondo luogo, abbiamo condizioni relazionali di natura
politica intessute dalla città capitale. Anche la presenza di tali elementi, però, non individua
inequivocabilmente la superiorità della capitale, in quanto città seconde, ex capitali, città
internazionali, riescono ad espandere il loro dinamismo politico nonostante la loro “perifericità”
istituzionale. Una terza classe di fattori riguarda la capacità di controllo territoriale, tanto
economico quanto emozionale. Se, come abbiamo detto, per Foucault il potere deve essere inteso
come qualcosa che circola, che non appartiene esclusivamente ad una classe piuttosto che ad
un‟altra, è possibile ipotizzare che le città del potere politico si diffondono, diventano tutte, non si
concentrano in una sola sede, non vi è più una dominante e tante dominate. Ogni città è prova di
territorializzazione della politica: ogni città esprime proprie dimensioni, capacità relazionali e di
controllo. La sfera politica non si concentra e non si esaurisce nelle capitali degli Stati.
1. Il primo fattore riguarda la natura dello spazio urbano in cui avvengono questi eventi
(i sistemi metropolitani facilitano l‟affluenza, l‟accesso ecc.);
2. Un secondo fattore riguarda la gestione dell‟ordine pubblico, affidata alle forze di
polizia;
3. Un terzo fattore riguarda la natura politica della città e dell‟ambiente urbano
(esistono prossimità di strati sociali oppositivi) che favorisce le pratiche di conflitto,
della messa in discussione del potere.
Geografia urbana – Governa e Memoli
Elementi psico-geografici (Guy Debord) riguarda gli effetti che l'ambiente geografico esercita
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sul comportamento umano. La città può produrre effetti politici in virtù dei suoi significati simbolici
e psicologici. Ne è un esempio il maggio francese del 1968 quando riappaiono le barricate.
Manuel Castells ha lavorato molto sulle lotte urbane con riferimento alla giustizia sociale. Secondo
Castells, fenomeni urbani come le condizioni legate all‟alloggio, all‟accesso ai servizi (sanità,
istruzione, trasporti ecc.), all‟isolamento delle periferie, alla condizione delle minoranze ecc. sono
derivanti dalle contraddizioni sociali che formano una consapevolezza politica della
partecipazione, mettono in discussione l‟ordine esistente.
Dalla svolta neoliberista, nelle città contemporanee si sono prodotte molte situazioni di
marginalizzazione e di conflitto urbano e suburbano. Ricordiamo ad esempio le banlieues francesi
nel 2005; la riappropriazione dello spazio pubblico del centro storico di Napoli; le rivolte legate alla
raccolta di rifiuti. D‟altra parte, i luoghi della marginalità urbana rappresentano lo spazio sociale e
fisico dell‟inventiva, della solidarietà, dei legami sociali, ma anche il contesto di forme di
resistenza.
Harvey: “la rivoluzione sarebbe stata urbana… o non sarebbe stata affatto”.
Le popolazioni che abitano la città sono i principali attori implicati nella formazione delle politiche
urbane e delle “immagini di città”. Guido Martinotti, considerando le tre principali attività che i
soggetti svolgono nella città (abitare, lavorare e consumare), distingue quattro “popolazioni” tra gli
abitanti delle città e metropoli contemporanee:
Tuttavia, questa suddivisione della popolazione urbana non tiene conto né che i comportamenti
spaziali degli individui e dei gruppi sono influenzati dalle pratiche, né della pluriappartenenza dei
soggetti (un individuo può appartenere contemporaneamente a più popolazioni). Le quattro
popolazioni hanno bisogni diversi e diversi interessi in merito alla trasformazione urbana: i residenti
possono essere interessati alle politiche di limitazione del traffico, mentre i pendolari possono
essere maggiormente interessati alle politiche che favoriscono la mobilità; i city-users possono
richiedere iniziative che favoriscano l‟accesso ai servizi per lo svago e il consumo. L‟interazione fra
le diverse immagini di una città può essere cooperativa oppure conflittuale, risultando come un
gioco di potere in cui i vari soggetti lottano, mettendo in gioco le proprie risorse. La rilevanza delle
immagini per il territorio è dunque, prima di tutto, politica.
Problemi pubblici, problemi della città: chi fa e cosa sono le politiche urbane?
Le politiche urbane sono un ambito specifico delle politiche pubbliche. Fra i diversi soggetti che
abitano la città, alcuni, per esempio politici e amministratori, hanno la responsabilità
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1. Locali perché il problema che caratterizza l‟insieme di azioni è individuato e trattato con
riferimento ad un ambito territoriale specifico, ovvero la città.
2. Integrate perché non riguardano solo un ambito di politiche settoriali, ma sono capaci di
comprendere le diverse dimensioni dei problemi territoriali e soprattutto le interdipendenze
tra tali dimensioni.
3. Multiattoriali perché vedono la partecipazione di una molteplicità di attori e non solo
soggetti pubblici, ma anche da altri soggetti come le imprese, associazioni di categoria, i
sindacati, comitati di quartiere, gruppi di cittadini ecc.
4. Multilivello perché le dinamiche urbane devono considerare la rete transcalare (locale,
regionale, nazionale, sovranazionale) che investe la città.
Nelle politiche urbane, il soggetto pubblico riveste un ruolo specifico. Il governo centrale è
affiancato da livelli di governo decentrati, che agiscono su ambiti territoriali più piccoli rispetto a
quello nazionale. Il ruolo del soggetto pubblico non è uguale dappertutto e non è stabile o
immutabile, ma si modifica in relazione al cambiamento dell‟organizzazione istituzionale dello
Stato. L‟urbanistica moderna nasce alla fine del XIX secolo, quando diventa necessario intervenire
sistematicamente nella regolazione della crescita e dell‟organizzazione della città. L‟avvento della
Rivoluzione industriale ha pesanti conseguenze a livello sociale e a livello di salute e qualità della
vita nelle città industriali. Nella descrizione delle città inglesi di fine Ottocento, Engels evidenzia
una divisione dei quartieri per classi sociali: i quartieri degli operai sono spesso malsani e poveri. In
risposta ai mali della città industriale vi sono tre filoni principali: il filone del socialismo utopista,
il quale vuole costruire una nuova città per dare avvio ad una nuova società; il filone igienico-
sanitario, che si propone di realizzare interventi tecnici; il filone socialista, che propone una
trasformazione della società nel suo insieme. Nel corso del Novecento, nei Paesi occidentali, il
ruolo esercitato dal soggetto pubblico (tenendo conto delle sue articolazioni su più livelli) può
essere descritto individuando due momenti:
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All‟interno di questo nuovo quadro, cambiano il ruolo e la modalità di azione del soggetto pubblico,
il quale passa dall‟avere un ruolo decisionale all‟avere un ruolo di accompagnamento. In mancanza
di risorse finanziarie, e dunque con la necessità di attrarre risorse esterne, il soggetto pubblico si fa
da imprenditore costruendo accordi con gruppi privati (banche, imprese private, associazioni di
categoria ecc.) che spesso ne influenzano ed indirizzano gli obiettivi delle politiche. Un ruolo
importante in questo senso è giocato anche dall‟Unione Europea. Queste politiche sono basate su
una visione della città come prodotto economico, una urban growth machine che compete sullo
scenario mondiale al fine di attrarre risorse finanziare e investitori. In altre parole, il successo delle
azioni delle élites politiche locali dipende dalla loro capacità di accedere a risorse esterne.
Government e governance
Definizioni istituzionali
Geografia urbana – Governa e Memoli
Alla fine degli anni ‟80, la Banca Mondiale introduce il termine good governance per
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valutare gli investimenti nei paesi del Sud del mondo secondo modalità trasparenti ed
efficienti. Secondo la Banca Mondiale le azioni di good governance sono basate su relazioni
tra Stato, società civile ed economia privata. Anche il Centro delle Nazioni Unite per
l‟insediamento Umano indica nella buona governance una risposta efficiente ed efficace ai
problemi urbani da parte dei governi responsabili. L’UE: Nel 2001 l‟UE promulga il Libro
bianco sulla governance europea in cui sono definiti i principi generali relativi all‟uso del
termine e ai suoi ambiti di applicazione nel territorio comunitario. Nell‟impostazione
dell‟Unione Europea, la governance è indicata come strategia generale per rafforzare due
principi: Proporzionalità le misure scelte sono proporzionate al raggiungimento degli
obiettivi; Sussidiarietà vedere se il livello europeo è quello più appropriato nel mettere
in campo delle misure. Il dibattito sulla governance è stato oggetto di alcune critiche: Good
governance di stampo neoliberista la concezione di good governance della Banca
Mondiale deriva dalla corporate governance (governance delle imprese), dunque è basata
sul modello neoliberista occidentale: le politiche e gli investimenti nei Paesi del Sud del
mondo non tengono conto delle specificità dei diversi contesti.
La città è vista così come un attore collettivo. Tuttavia, ciò non vuol dire pensare alla città
senza differenze o conflitti. Ed ancora, questo attore collettivo non è dunque fatto da attori e
organizzazioni che fanno parte esclusivamente del livello urbano, ma la governance urbana è
definita come governance multilivello, in cui assumono rilevanza centrale le relazioni
transcalari fra attori che si muovono, agiscono ed hanno interessi a diverse scale.
Caratteristiche:
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1. costituisce una modalità di organizzazione di una pluralità di attori che si fonda sulla
costruzione di partenariati e coalizioni (attori pubblici e privati) orientati verso il
raggiungimento di un obiettivo definito congiuntamente.
2. deriva dal gioco di contrattazione tra attori e interessi in cui si scambiano risorse e si
costruiscono obiettivi.
3. non è connessa unicamente al ruolo delle istituzioni formali (attori del governo), ma dalle
relazioni che instaura.
Limiti:
Alla fine degli anni sessanta, i quartieri più poveri di molte città nordamericane furono
interessati da interventi di rigenerazione urbana, spesso consistenti in operazioni di
demolizione delle parti più degradate dei quartieri per fare spazio a investimenti pubblici e
privati e a interventi infrastrutturali per rispondere alle esigenze di città. Spesso queste
operazioni hanno però determinato l‟espulsione degli abitanti originari, spesso quelli di
colore (urban renewal).
La rigenerazione urbana in Europa si attiva soprattutto dagli anni 70 con la crisi del modello
fordista e i conseguenti processi di deindustrializzazione che ne derivarono e che investirono
tuttavia le città nel loro complesso.
grandi edifici e infrastrutture: centri direzionali, centri culturali, edifici per servizi e uffici,
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parchi tecnologici, strutture sportive ecc.
Tuttavia questi processi hanno poco o nulla a che vedere con l‟attenzione ai temi della
coesione sociale e si risolvono in meccanismi di pura valorizzazione immobiliare sembra
che il contenitore sia più importante del contenuto. La visione della città assume dunque
le caratteristiche del neoliberismo urbano dove contano i meccanismi del mercato e della
competitività economica.
Aumentano così le polarizzazioni sociali. Ci sono: coloro che hanno le competenze per
integrarsi in questo nuovo sistema; coloro che non hanno tali competenze e che vivono in
condizioni sempre più precarie.
Ovviamente il tutto accompagnato dalla “ritirata” del ruolo del soggetto pubblico nella
fornitura dei servizi pubblici e dalla crisi del welfare state.
Un secondo ambito di politiche urbane in cui si trovano tracce di governance è quello delle
politiche per la competitività. L‟obiettivo di queste politiche è lo sviluppo economico
urbano e il coinvolgimento degli attori forti (investitori, imprenditori ecc.)
In queste forme di governance, le città sono considerate come attori competitivi che
agiscono nel mercato globale, competendo con altre città, per accaparrarsi risorse (eventi,
investimenti ecc.). A tal fine, esse attuano:
In altre parole, il campo d‟azione principale del marketing urbano è la promozione della
città come sede ideale per gli investimenti.
In primo luogo, la governance urbana che prende forma attraverso piani strategici o azioni di
marketing appare spesso come un insieme di obiettivi generici, incapaci quindi di esprimere
una capacità effettiva di azione. In secondo luogo, le forme di governance affermano solo in
parte l‟esistenza di interessi condivisi pienamente dagli attori. Infatti è difficile percepire dai
piani strategici e dalle strategie di marketing urbano, la presenza di differenti visioni del
governo delle città. Ciò poiché, spesso, la governance finalizzata allo sviluppo economico e
alla competitività rischia di ridursi alla promozione della strategia espressa dalle classi
dominanti, senza dare spazio a visioni alternative dello sviluppo urbano.
Le città contemporanee sono soggette a spinte economiche, politiche, sociali, culturali, migratorie
che producono effetti spaziali sulla sua forma fisica e sulle sue modalità di governo. I paesaggi di
alcuni spazi urbani sembrano evolvere, cambiare funzione o rivitalizzarsi. Tuttavia le tracce
primordiali non scompaiono del tutto, spesso riappaiono nella nostra mente come memoria e
immaginario. Ciò avviene anche per una questione di inerzia urbana, ovvero un retaggio
originario da cui poter ripartire per la ricostruzione di una città in seguito crisi o catastrofi di diversa
natura. Nonostante i cambiamenti, la rimodernizzazione, la ristrutturazione industriale, la
riqualificazione dei territori non si può cancellare la memoria del territorio. I mutamenti delle
città sono dettati contemporaneamente da trasformazioni:
Gli spazi pubblici costituiscono il motore della rigenerazione e dell‟animazione urbana. Il concetto
di spazio pubblico è ripreso, nelle scienze sociali, da Habermas nel 1962; si diffonde, poi, nel
linguaggio politico, urbano, geografico ecc. assumendo nuovi significati. Lo spazio pubblico viene
contemplato come dispositivo di socializzazione della città, in opposizione allo spazio privato
abitativo. Ragionare sullo spazio pubblico della città contemporanea vuol dire fondamentalmente
considerare l‟instabilità costitutiva del suo status in relazione agli usi sociali che vi prendono
luogo. Dal punto di vista sociale, uno spazio, purché pubblico, implica che chi lo pratica realizzi un
“accordo minimo” sulla maniera di poterne usufruire collettivamente. Gli spazi pubblici
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comportano una doppia dimensione egualitaria sulla condizione del libero accesso: tutti hanno la
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possibilità e il diritto di praticarli e di usarli; ognuno si sottopone allo sguardo dell‟altro. Tuttavia,
vi sono spazi pubblici retti da norme particolari o politiche di uso che ne regolamentano le pratiche.
Dunque, negli spazi pubblici alcune cose possono farsi, altre no, alcune sempre, altre
saltuariamente, altre mai. L‟utilizzo degli spazi pubblici, inoltre, dipende da diverse variabili, come
quella climatica o come il passaggio dal giorno alla notte. I ritmi sociali dello spazio pubblico sono
stati concettualizzati da Henry Lefebvre attraverso un approccio definito rythmanalyse. L‟autore
sostiene che ogni città ha un proprio ritmo: quest‟ultimo si ritrova nei tempi dell‟organizzazione
sociale del quotidiano, nelle sonorità, nelle voci e nei rumori delle strade. Guidare al Cairo è
un‟esperienza diversa rispetto a farlo a Milano. L‟appropriazione sociale degli spazi pubblici
produce forme di aggregazione di individui e gruppi, ma anche disordine e caos urbano. Tuttavia,
come suggerisce Sennett: “il disordine è una risorsa della città”.
Nelle città contemporanee sono stati frequenti i processi di dismissione e di riuso di alcune parti. Si
tratta perlopiù di aree abbandonate come aree industriali dismesse (a partire dalla fase di
deindustrializzazione), spazi residenziali, edifici di interesse pubblico (scuole, ospedali ecc.), porti,
aeroporti. Spesso queste aree sono situate in zone periferiche, peri-centrali, o waterfront, e con la
loro dismissione hanno originato i cosiddetti vuoti urbani. Nel contesto post-fordista questi spazi
assumono un notevole rilievo, e sono sottoposti a processi di riconversione e di riqualificazione
all‟interno di politiche di rigenerazione.
Il “progetto urbano” nella città contemporanea: l‟incerto rapporto fra pubblico e privato
L‟agire per progetto tende a prediligere forme negoziali, partenariali (tra pubblico e privato)
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nelle scelte da adottare. Spesso per i progetti di rigenerazione urbana emergono logiche
privatiste e ultraliberiste che tendono a privatizzare intere fasi progettuali e dunque spesso
non avviene alcun coinvolgimento della società civile. Spesso, per la realizzazione dei
progetti urbani dove ci sono attori privati forti, sono attuate delle deroghe alle norme vigenti sia
in campo fiscale che urbanistico. A giustificarle vengono elencate varie ragioni: favorire lo
sviluppo economico e l‟occupazione, fornire servizi. Ovviamente il rischio è quello di favorire
solo gli interessi privati a scapito di quelli collettivi (ad esempio della tutela degli spazi verdi,
della preservazione di alcune aree particolari ecc.). Dunque, sempre con maggiore frequenza,
associazioni di abitanti, ambientalisti ecc. mettono in atto delle pratiche di opposizione e di
critica verso tali interventi. Ad esempio alcuni di essi riguardano la decisione di realizzare
discariche e inceneritori, l‟edificazione di centri commerciali, strutture ricettive. Anche
l‟edificazione di monumenti può risultare oggetto di critiche e proteste. La Grande Moschea
Hassan II di Casablanca, inaugurata nel 1993, ad esempio, è stata contestata soprattutto perché
il programma urbanistico prevedeva la realizzazione di un asse viario di collegamento tra il
complesso monumentale e il centro della città, con la conseguente demolizione dei quartieri
vicini e la delocalizzazione forzata di decine di migliaia di persone.
L‟esempio di Barcellona risulta esemplificativo non solo delle tre diverse tipologie di spazi che
stiamo analizzando (spazio pubblico, waterfront, centri storici) ma anche per cogliere le
politiche adottate e i loro effetti. La preparazione della città alle Olimpiadi del 1992 è stata
concepita strategicamente nel senso della sostenibilità e del riuso successivo e ordinario di
spazi, strutture, attrezzature e servizi realizzati per l‟evento. Tra le operazioni principali
ricordiamo: riconquista del fronte marittimo con la riconversione e bonifica delle aree industriali
prossime al mare; la disposizione di un lungomare pedonale; l‟edificazione del Forum, cioè un
grande centro congressi ed impianto polifunzionale. Nel Poblenou, quartiere popolare ed
operaio è in corso un intervento di rigenerazione chiamato 22@ (22 Arobas): il numero 22
riprende il codice di destinazione d‟uso industriale indicato nei vecchi piani urbanistici, mentre
la chiocciola è emblema della nuova funzione tecnologica e di servizi a cui è destinato il
quartiere. Tuttavia, nel corso dei primi anni del nuovo secolo, le operazioni hanno assunto una
marcata impronta neoliberista a scapito del ruolo di coordinamento assunto dagli attori
istituzionali locali e dell‟attenzione posta agli spazi pubblici. La crescente iniziativa privata
accompagnata da una speculazione immobiliare ha favorito i processi di gentrificazione.
Anche il centro storico (Ciutat Vella) ha conosciuto grandi trasformazioni. Questa era segnata
da un‟immagine prevalentemente negativa, in ragione del degrado urbano e sociale. Tuttavia, gli
attori pubblici hanno tenuto maggiormente a freno gli appetiti degli speculatori, anche se, con i
processi di riqualificazione c‟è stato un inevitabile aumento dei prezzi del mercato immobiliare.
Oggi la Ciutat Vella è composta da una popolazione molto eterogenea e coniuga al suo interno i
monumenti della città, attività commerciali, ludiche, culturali e turistiche. La folla multicolore e
multietnica di vecchi e nuovi abitanti e di turisti, la presenza di artisti di strada, piazzette
ricolme di tavolini di caffè, ristoranti animati ecc. corrisponde al successo della riconquista del
centro storico e dei suoi spazi pubblici.
Centro Pompidou di Parigi riguarda l‟apertura del centro culturale e museale del Beaubourg
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a Parigi. Esso è concepito con uno stile innovativo dagli architetti Renzo Piano e Rogers e fu
realizzato negli anni 70 nello spiazzo di un quartiere allora malfamato e fatiscente.
Napoli la realizzazione di questo tipo di operazioni può richiedere anche tempi molto lunghi,
per ragioni d‟ordine politico (l‟assunzione della decisione e delle scelte strategiche), economico
(la disponibilità dei capitali), tecnico-urbanistico (le opzioni di progettazione), ambientale (la
bonifica di aree industriali molto inquinate). È il caso della riconversione del quartiere
industriale di Bagnoli, avviata negli anni 90 in seguito alla dismissione dell‟impianto
siderurgico dell‟Italsider.
Vecchi o più recenti quartieri centrali di tante città sono stati investiti da varie forme di
rigenerazione. Spesso ciò ha comportato mutazioni radicali del tessuto urbano, come
conseguenza di politiche pubbliche o di iniziative private speculative in contrasto con una presa
di coscienza dei valori patrimoniali collettivi. Tali operazioni hanno comportato lo sventramento
di interi quartieri, la demolizione di antichi edifici e la costruzione di nuovi. Le trasformazioni
in questo caso si sono avvalse della spinta innovativa e creativa delle generazioni più giovani e
anche della presenza di abitanti stranieri.
Napoli ha conosciuto una fase di rilancio a partire dalla riconquista degli spazi della sua
centralità storica. È il G7 del 1994 a costituire l‟occasione per ripensare al progetto per la città.
Gli elementi fondanti della riappropriazione collettiva del centro storico sono:
Gli spazi sono così rivissuti sia dagli abitanti stessi della città, che dai turisti. Per i quartieri del
centro storico di Napoli non si può propriamente parlare del fenomeno di gentrification
residenziale, in quanto i tipi di insediamento restano generalmente popolari, quanto piuttosto si
potrebbe parlare di una gentrification del consumo nell‟uso degli spazi del centro storico,
legata cioè a una frequentazione pendolare e temporale di quegli spazi in cui si sono sviluppate
attività commerciali e culturali, di ristorazione, alberghiere ecc. Sebbene in questa logica, i
prezzi degli alloggi come la rendita immobiliare hanno registrato un incremento d‟ordine
speculativo.
Geografia urbana – Governa e Memoli
Verso la fine del XX secolo, molti quartieri storici della sponda sud del Mediterraneo hanno
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attratto l‟attenzione degli attori istituzionali nazionali ed internazionali, interessati alla loro
riqualificazione patrimoniale, sociale ed economica.
L‟Operazione urbanistica Euroméditerranée avviata nel 1995, può essere considerata tra i
più importanti ed estesi interventi di ristrutturazione urbana in Europa. Il progetto è volto al
rilancio della città di Marsiglia che aveva attraversato sul finire degli anni „80 una profonda
crisi economica e sociale: alti tassi di disoccupazione, crisi delle attività portuali, povertà in
alcuni quartieri. La sua originalità consiste in tre aspetti principali:
Gli interventi più spettacolari riguardano da un lato l‟interfaccia tra la città e il porto che
ricuce la cesura tra queste due entità, e dall‟altro la riconversione di depositi, silos ecc. in
musei e centri culturali.
Dal punto di vista del rilancio economico, l‟operazione Euroméditerranée è volta allo
sviluppo di quattro settori chiave:
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