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Geografia urbana – Governa e Memoli

1. Il fenomeno urbano e le città contemporanee 1


Perché parlare di urbanizzazione

Nel 2009 la popolazione residente nelle città ha superato quella che vive nelle campagne. Nei paesi
sottosviluppati un‟ampia quota della popolazione urbana vive nelle baraccopoli o slums. Gli slums
sono quartieri degradati, insediamenti marginali, informali e non pianificati, privi di servizi, spesso
diventati l‟unica opportunità abitativa delle fasce più deboli; sono diffusi soprattutto in contesti del
Sud del mondo, ma sono presenti anche nel Nord come le Favelas di Lisbona negli anni ‟90.
Categorie principali della geografia urbana sono urbanesimo, inurbamento e urbanizzazione.
Quando parliamo di urbanesimo o urbanità, ci riferiamo agli aspetti sociali della vita urbana, cioè i
modi di vita degli abitanti della città; l‟inurbamento, invece, riguarda il fenomeno di mobilità dalle
campagne verso i grandi centri abitati; l‟urbanizzazione, infine, è il termine che descrive i processi
di crescita della popolazione urbana e la conseguente espansione fisica dell‟edificato.
L‟urbanizzazione mondiale degli ultimi 50 anni è stata caratterizzata dalla cosiddetta “inflazione
urbana” (Bairoch, 1985), ovvero dall‟esplosione del fenomeno urbano nei paesi poveri, a fronte
della sostanziale stabilità in quelli ricchi. Le città rappresentano uno dei nodi problematici delle
società contemporanee, poiché in esse si materializzano le cause e gli effetti dei principali squilibri
economici, sociali, politici e ambientali. Affrontiamo il tema dell‟urbanizzazione a partire da tre
punti di osservazione:

1. Evoluzione dell‟urbanizzazione nei cinque continenti dalla metà del secolo scorso fino alle
dinamiche attuali con proiezioni al 2050, presentando i dati sulla crescita della popolazione
e sulla rapida urbanizzazione dei paesi in via di sviluppo;

2. Si sofferma sulle megacittà, grandi agglomerati urbani che hanno assunto un ruolo centrale
nella riconfigurazione delle dinamiche urbane;

3. Esemplifica l‟urbanizzazione italiana, all‟interno di un più ampio quadro europeo.

L‟urbanizzazione del mondo

Il rapporto tra crescita demografica e crescita urbana si presenta in modo diverso tra le città del
Nord del mondo, più ricche, e quelle del Sud, più povere. La Population Division delle Nazioni
Unite distingue gli Stati in “più sviluppati” e “meno sviluppati”; mentre nel 1950 nei paesi più
sviluppati la popolazione urbana e quella rurale erano già equivalenti, nei paesi meno sviluppati
questa proporzione potrebbe essere stata raggiunta intorno al 2020. Secondo le stime, la futura
crescita demografica sarà quasi interamente assorbita dalle città dei paesi in via di sviluppo. In
termini percentuali, i paesi meno sviluppati mostrano tassi di urbanizzazione più bassi della media
europea o nordamericana; tuttavia, su scala planetaria è possibile rilevare una sorta di
“contraddizione geografica” poiché, nonostante i tassi di paesi del sud come quelli di Asia e Africa
siano ancora più bassi rispetto a quelli di altri continenti, in termini assoluti in Asia, dove già vive
più della metà della popolazione mondiale, troviamo anche il numero più alto di popolazione
urbana.

Le città del mondo


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Non possiamo ricostruire un‟univoca storia dell‟urbanizzazione, ma è possibile trovare alcuni tratti
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comuni che ci permettono di delineare un approccio comparativo. La dimensione demografica
rimanda alla tradizionale modalità di classificazione delle città a partire dal numero di abitanti. In
relazione al parametro demografico, le Nazioni Unite individuano 6 classi di città:

1. Fino a 100.000 abitanti;

2. Da 100.000 a 500.000  Poco più della metà della popolazione urbana mondiale vive in
città tra 100.000 e 500.000;

3. Da 500.000 a 1 milione  queste rappresentano il 10% di tutta la popolazione urbana;

4. Da 1 milione a 5 milioni  in esse vive il 22% della popolazione urbana mondiale;

5. Da 5 milioni a 10 milioni;

6. Oltre i 10 milioni.

Bairoch individua 5 fenomeni che hanno accelerato in maniera decisiva l‟urbanizzazione dei paesi
poveri:

1. La decolonizzazione si è accompagnata all‟aumento delle funzioni amministrative;

2. Le politiche di industrializzazione hanno accelerato l‟offerta di posti di lavoro nel settore


industriale;

3. Le autorità coloniali avevano contrastato gli spostamenti verso le città, gli Stati indipendenti
hanno soppresso o ridotto le misure di contrasto all‟immigrazione urbana;

4. La balcanizzazione di alcuni imperi coloniali, o parti di essi, ha favorito l‟urbanizzazione


con la creazione di nuove capitali politiche e amministrative;

5. In molte regioni, i conflitti politici hanno determinato movimenti di rifugiati che hanno
portato all‟aumento della popolazione di alcune città.

Tuttavia, la vera grande novità dell‟urbanizzazione mondiale è rappresentata dalle megacittà,


ovvero agglomerati urbani abitati da più di 10 milioni di persone. Nel 1975 solamente New York,
Tokyo e Città del Messico potevano essere considerate tali, ad oggi tale numero è notevolmente
aumentato: sono attualmente 21, in esse si concentra il 9,4% della popolazione urbana mondiale; si
tratta di un dato destinato ad incrementarsi, nel 2025 le megalopoli dovrebbero diventare 29. Tale
fenomeno tende a spostare l‟asse dell‟urbanizzazione mondiale dai paesi dell‟Occidente sviluppato
alle regioni di nuovo sviluppo e di massima povertà. Questo mutamento costituisce fattore di
squilibrio nelle relazioni tra le diverse aree del pianeta. In alcune aree, per esempio in Argentina,
India, Messico, i tassi di crescita economica reggono il gigantismo urbano, mentre nelle realtà
dell‟Africa sub-sahariana, la crescita della popolazione urbana è indicatore di degrado, poiché non
si accompagna allo sviluppo economico.

Il fenomeno urbano in Europa e in Italia


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In Europa, più dell‟80% della popolazione vive nelle città, tuttavia, solo il 7% della popolazione
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dell‟UE vive in città con più di 5 milioni di abitanti. La Rivoluzione industriale e i grandi
movimenti migratori interni e internazionali hanno accentuato l‟urbanizzazione dell‟Europa; infatti,
tra il 1800 e il 1910 la popolazione urbana in Europa aumentò di ben 6 volte. All‟interno
dell‟Europa le differenze fra Stati in termini di urbanizzazione risultano contenute. Il “cuore” stabile
del sistema urbano europeo è costituito da città di piccola e media dimensione, caratterizzate da
un‟elevata densità territoriale. Nel corso degli ultimi anni, l‟Unione europea ha individuato
numerose delimitazioni spaziali per l‟elaborazione dei dati statistici. La delimitazione più utilizzata
fa riferimento alla NUTS (Nomenclatura delle Unità Territoriali Statistiche). Sono classificati 3
livelli di delimitazione:

1. NUTS 1: popolazione compresa tra 7.000.000 e 3.000.000 abitanti.


2. NUTS 2: popolazione compresa tra 3.000.000 e 800.000 abitanti.
3. NUTS 3: popolazione compresa tra 800.000 e 150.000 abitanti.

Per quanto concerne l‟Italia il livello NUTS 1 corrisponde grossomodo a gruppi di regioni; il livello
NUTS 2 alla regione; il livello NUTS 3 alla provincia. Ovviamente la situazione in altri Paesi può
essere diversa (ad esempio in Germania il livello NUTS 1 corrisponde al singolo Land della
Baviera). Tale classificazione si rende utile per l‟elaborazione di statistiche, analisi socio-
economiche ma anche per la distribuzione di aiuti finanziari da parte dell‟UE alla promozione dello
sviluppo economico e sociale.
Per documentare lo sviluppo delle aree urbane europee, la Commissione Europea e l‟Eurostat hanno
realizzato il progetto Audit Urbano. Tale progetto si basa su 3 livelli:
1. City level: corrisponde alle core cities (il comune centrale delle agglomerazioni urbane);
2. Larger Urban Zone (LUZ): corrisponde alle aree urbane funzionali, ovvero quelle che
contengono i flussi giornalieri casa-lavoro;
3. Sub-city district: corrisponde grossomodo ai quartieri;

Guardando al passato, la città più popolosa del 1861 era Napoli, con 430.000 abitanti; nello stesso
periodo crebbero anche Torino e Genova; il trasferimento della capitale da Torino a Firenze fece
crescere anche la popolazione di quest‟ultima; la città che fece registrare l‟incremento demografico
più significativo fu Milano. Nel corso del „900 l‟aumento demografico delle città italiane fu molto
rilevante, soprattutto quelle del “triangolo industriale” (Torino-Milano-Genova), poiché negli anni
‟50 e ‟60, lo sviluppo dell‟industria richiamò ingenti flussi di manodopera. Fattori importanti nel
determinare l‟andamento di alcune città sono il saldo naturale (differenza tra il numero dei nati
vivi e quello dei morti relativi ad un determinato periodo di tempo) e il saldo migratorio
(differenza tra il numero di immigrati e quello di emigrati riferito ad una determinata città, zona o
paese). Il processo di metropolizzazione ha investito la città di Milano, la quale ha vissuto una
metamorfosi del tessuto economico e sociale, parallela all‟addensamento di una regione urbana
vasta in cui si concentra una crescita demografica nettamente maggiore rispetto a quelle precedenti.

2. Definizioni di città: concetti e teorie nella geografia urbana

Che cos‟è la città?


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La città è l‟oggetto d‟attenzione della geografia urbana. Normalmente, quando immaginiamo la


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città, pensiamo a luoghi e momenti specifici sia nella storia che nella nostra esperienza individuale.
Le città sono, di fatto, luoghi peculiari, fondamentali sia a livello personale che a livello sociale e
politico. La città è, prima di tutto, un insediamento, relativamente circoscritto, in cui sono
localizzati edifici e abitanti. Max Weber, uno dei massimi studiosi della città moderna, la definisce
“un grande centro abitato”. Il suo studio si concentra sulla città medievale, partendo dall‟evidenza
topografica, dalla concentrazione e circoscrizione dell‟insediamento. La sua definizione si basa sul
significato immediato, rappresentabile nello spazio fisico. Lewis Mumford sostiene, però, che
questi studi non permettano di cogliere le caratteristiche e le dinamiche sociali, economiche,
politiche e culturali senza le quali la città non esisterebbe. Secondo la sua opinione, il vero
significato dell‟urbano risiede nel suo essere, al contempo, un‟organizzazione economica, un
processo istituzionale, il teatro dell‟azione sociale e il simbolo estetico dell‟unità collettiva. Per
cogliere questo secondo significato, Max Weber concentra la sua attenzione sul rapporto tra città ed
economia, attenzione derivante dal suo dialogo con Werner Sombart, secondo il quale non è
possibile pervenire ad una concettualizzazione generale della città. Secondo quest‟ultimo, avremo
diverse definizioni di città a seconda che ci si concentri sulla dimensione storica, piuttosto che su
quella economica, statistica o giuridica. Sombart, così come Weber, considera la categoria storico-
economica di mercato come essenziale per la definizione e la comprensione della vita economica
urbana, che si fonda su uno scambio continuo fra i prodotti artigianali della città e i prodotti agricoli
della campagna circostante. Nella città di Weber, però, a differenza che in quella di Sombart, i beni
vengono anche prodotti, non è solo un luogo di scambio di beni prodotti altrove. Le concezioni di
città di Weber e Sombart sottolineano un aspetto molto importante, quello della relazione tra città e
ambiente circostante. Per Weber, questa relazione è soprattutto politico-militare, poiché senza
un‟autorità cittadina non si può parlare di città. La città ha una doppia accezione, una fisica e una
sociale: il suo significato fisico rimanda a significati economici, politici e sociali, tra loro
indissociabili perché la configurazione fisica della città può riflettere e condizionare le attività delle
società e il comportamento dei cittadini. Oltre a queste due dimensioni, ve n‟è una terza astratta e
ideale, la quale fa riferimento alla natura mitologica (sacra e profana) del fatto urbano. Essa deriva
dalle grandi narrazioni dei testi sacri, nelle quali la città è espressione del divino e dell‟umano. Un
ulteriore elemento di complessità deriva dal cambiamento del fenomeno urbano, e del suo ruolo
economico, politico, culturale e sociale, nel tempo e nello spazio. L‟ambiguità della città è evidente
sia nelle parole tradizionalmente usate per nominarla (polis; urbs e civitas), sia nelle prime
riflessioni sul fenomeno urbano moderno. Il significato sociale della città è rovesciato alla fine del
„700, quando viene ridotta a entità fisica formata dall‟ambiente costruito.

La città e l‟urbano
Per Michael Pacione l‟obiettivo dello studio della città come entità fisica è la classificazione
dei diversi luoghi e la distinzione fra aree urbane e non urbane. Per raggiungere tale scopo
esistono degli indicatori molto utili quali numero di abitanti, densità della popolazione, base
economica. Tuttavia, questo modo di affrontare il problema, piuttosto che una definizione di
città, produce una classificazione dei luoghi, distinguendo quelli definibili urbani da quelli
definibili non urbani, sulla base di parametri predefiniti. Qual è la soglia minima dei vari
indicatori oltre la quale un luogo possa essere definito città? Ricordiamo che le soglie al di
sopra delle quali possiamo classificare un‟area come urbana variano nel tempo e nello
spazio.
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Urbanità e stile di vita urbano


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Al centro dell‟attenzione della sociologia urbana vi è il significato sociale della città e i suoi
effetti sullo stile di vita dei suoi abitanti. Louis Wirth, esponente della scuola di Chicago,
ritiene che ciò che definisce la città sia lo stile di vita dei suoi abitanti, derivante da tre
caratteristiche chiave: il numero degli abitanti, la densità degli insediamenti e l‟eterogeneità
sociale. La città è uno stanziamento relativamente grande, denso e permanente di individui
socialmente eterogenei. I limiti teorici della posizione di Wirth sono al centro delle
riflessioni di numerosi autori. Castells e Harvey, ad esempio, credono che i caratteri degli
stili di vita urbano delineati da Wirth non tengano conto delle dinamiche capitaliste. Allo
stesso modo, Amin e Thrift sottolineano che la teoria di Wirth si basi sui rapporti face to
face, non tenendo conto dell‟evoluzione delle modalità d‟interazione sociale anche in ambito
urbano, e quindi delle relazioni sociali a distanza. Inoltre, essi ritengono che la visione di
Wirth sia organicista: la città è vista come un organismo vivente, le cui azioni sono naturali
e immutabili, il che escluderebbe le logiche politiche, i conflitti e i rapporti di potere.

Il pensiero sulla città fra teorie e mutamenti urbani


La città come organismo vivente

La città come oggetto di studio specifico verrà riconosciuta a partire dalla seconda metà del
Novecento. Per lungo tempo se ne avrà una concezione organicista, infatti vi sono state analisi che
hanno descritto il “metabolismo” urbano fino a prendere in considerazione il ciclo di vita delle città.
Pierre Lavedan descriverà la città come un essere vivente che, in quanto tale, nasce, cresce e muore.
In tal senso, la città viene interpretata dal punto di vista evoluzionista (dal villaggio alla metropoli).
Il linguaggio organicista sarà comunque molto utilizzato per gran parte del XX secolo: tessuti,
arterie, cuore, circolazione, flussi. Elisée Reclus situa la sua analisi evoluzionista in relazione alla
lotta di classe: la città è un “personaggio”: ognuna manifesta una personalità particolare e una
personalità collettiva che si caratterizza attraverso la diversità sociale e morfologica dei suoi
quartieri. È nel periodo della Rivoluzione industriale che nasce e si sviluppa l‟urbanistica moderna.
Il ruolo dell‟industrializzazione sulla città è descritto da Henry Lefebvre attraverso i processi di
densificazione e concentrazione della città e della sua espansione e ristrutturazione. Secondo
Lefebvre, l‟industrializzazione ha messo in primo piano il valore di scambio rispetto al valore
d‟uso: il suolo è diventato merce.

La città industriale come luogo del degrado e della libertà

Nell‟interpretazione della città industriale è possibile individuare due posizioni


contrapposte:

1. La prima è una visione negativa, avente a che fare con l‟alienazione degli operai
nella città capitalista di cui parla Karl Marx. Tale posizione denuncia le
ineguaglianze, la povertà, lo sfruttamento che albergano nella città. La città è un
mostro che divora gli esseri umani, un luogo di degrado fisico, sociale e morale. In
questa prospettiva si inserisce il filone utopico, che Francois Choay suddivide in due
principali modelli: da un lato quello progressista, più razionale e scientifico,
dall‟altro quello culturalista, più attento alla dimensione estetica del vivere urbano. Il
filone utopista verrà accusato di avere aspirazioni troppo idealistiche.
2. La seconda è una visione positiva, che esalta i valori di libertà, diversità, modernità,
di emancipazione sociale, tanto dell‟individuo quanto di genere, ed elogia la
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produzione culturale, artistica e tecnologica di cui la città è espressione, attore e


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contesto.

Georg Simmel, sociologo tedesco quasi coevo a Weber, autore de “Le metropoli e la vita
dello spirito”, si interessa ai fenomeni della città e della metropoli da diversi punti di vista:
lavora molto sulla categoria di estraneità, dello straniero in città, a cui fa riferimento come
ad un modo di vivere e di essere città estremamente moderno. Egli riconosce un nuovo tipo
di abitante metropolitano, il cosiddetto individuo blasé, ovvero colui che non reagisce agli
stimoli, disincantato e annoiato, che non si lascia coinvolgere dalla vita, che ostenta
conoscenza ed indifferenza a ciò che gli succede intorno, le cui relazioni sono basate
sull‟anonimato, l‟indifferenza, l‟individualità e il distacco. Tuttavia, secondo Simmel, la
metropoli è il luogo della società in cui l‟essere umano gode della maggiore libertà possibile.
Da un lato la piccola città fa nascere legami affettivi più duraturi, al contrario delle
relazioni fredde che si instaurano nella metropoli; dall‟altro lato, l‟uomo metropolitano è
libero dai pregiudizi tipici della città di provincia ma è sottoposto a ritmi alienanti. Quindi,
la metropoli ti rende libero ma non felice. La distinzione fra città di provincia e metropoli
rinvia alla distinzione fra comunità e società. Le relazioni comunitarie implicano comunione
di interesse tra i soggetti locali, una certa solidarietà in virtù di un comune senso di
appartenenza.

Figure spaziali della città moderna

Dalla seconda metà dell‟Ottocento nelle città si tende a configurare un nuovo ordine urbano
(sociale e spaziale). Diverse città conoscono mutazioni più o meno radicali. Entrano in gioco
delle innovazioni quali illuminazione a gas, la luce elettrica, le stazioni ferroviarie, circoli,
teatri ecc. che mutano la fisionomia delle medie e grandi città rappresentando l‟ascesa della
classe borghese e del capitale. Ricordiamo sicuramente due grandi trasformazioni urbane:

1. Barcellona (sotto la guida di Cerdà): si realizza una griglia ortogonale. Il piano


rappresenta l‟idea della scacchiera, strutturato da moduli ripetitivi, dunque che mantengono
ovunque le stesse proprietà.

2. Parigi (ad opera di Haussmann): il progetto di Haussmann, sotto Napoleone III,


prevedeva lo sventramento dei quartieri popolari (per espellere così le classi pericolose dal
cuore di Parigi), la creazione di ampi boulevards, la sistemazione di nuove piazzi ed incroci,
negozi per borghesi. Il programma di Haussmann non nasconde le finalità del controllo
militare e poliziesco (soprattutto a seguito dei moti rivoluzionari del 1848).

Un altro esempio per comprendere l‟evoluzione del pensiero sulla città riguarda le
esperienze urbanistiche di carattere coloniale. Non si tratta solo di importazioni dei
modelli della madrepatria verso la colonia, ma proprio della sperimentazione con la
fondazione di nuove città oppure interventi pesanti su città preesistenti. Inoltre, in alcune
città del Marocco vigeva la teoria urbana della separazione concepita da Lyautey con le
villes neuves, o città europee, e le cités indigènes, ovvero gli insediamenti urbani
precoloniali, usualmente chiamati “medine”, parola che in arabo significa “città”, destinate
alla residenza della popolazione autoctona. Queste due entità venivano separate da una zona
in cui venivano poste le caserme.
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Il Movimento moderno e i suoi effetti sulla città del Novecento


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Il Movimento moderno è legato alla figura dell‟architetto e urbanista Le Corbusier, autore
della Carta d’Atene, considerata un vero e proprio manifesto per gli urbanisti della prima
metà del Novecento. I suoi aspetti essenziali sono riassumibili i quattro funzioni costituenti
l‟organizzazione della città: abitare, lavorare, ricrearsi nel tempo libero. I punti principali del
pensiero modernista sono: la zonizzazione, con la pianificazione di zone mono-funzionali; il
passaggio dalla scala orizzontale a quella verticale, dunque l‟abitazione doveva privilegiare
case ben alte e distanziate; importanza del tempo libero. Nella pratica, la concezione
funzionalista porterà a puntare soprattutto sull‟abitare a discapito delle altre funzioni. Questi
quartieri diventeranno luogo di segregazione urbana ed etnica, e saranno all‟origine di gravi
problemi e tensioni sociali. Jane Jacobs, sociologa e attivista politica, nella sua opera “Vita e
morte delle grandi città” critica questo modello di pianificazione urbanistica di tipo
funzionale, a cui contrappone la capacità auto-organizzativa degli abitanti. A tal
proposito Jacobs esplora le tre funzioni principali dei marciapiedi:

1. Sicurezza: l‟ordine pubblico nelle strade e nei marciapiedi non è mantenuto solo
dalla polizia, ma anche spontaneamente dagli abitanti stessi. Per risolvere i problemi
della sicurezza non occorre disperdere gli abitanti: le strade e i marciapiedi devono
essere frequentati con continuità per essere sicuri.
2. Contatti umani: sono molti i contatti umani che si instaurano nei marciapiedi:
fermarsi a bere una birra, fare due chiacchiere. Per quanto insignificanti possano
apparire queste cose, esse sono alla base della vita collettiva urbana.
3. Assimilazione dei ragazzi: i marciapiedi rappresentano aspetti positivi anche per
quanto riguarda il gioco dei ragazzi.

Un altro aspetto considerato da Jacobs riguarda la creazione di diversità nelle strade e nei
quartieri, che si può ottenere in base a quattro condizioni ben precise:

1. Il quartiere deve assolvere a più funzioni favorendo così la circolazione degli abitanti
nell‟arco dell‟intera giornata.
2. Gli isolati devono essere piccoli così che si possa svoltare velocemente (condizione
favorevole al mescolamento).
3. Gli edifici presenti devono essere diversificati, eterogenei.
4. La densità di popolazione deve essere elevata, ma non eccessiva.

Jane Jacobs analizza anche dei fattori che influiscono sullo sviluppo della diversità dei centri
urbani. La formazione degli slums ostacola lo sviluppo della diversità sia perché ci sono
pochi investimenti pubblici, sia perché gli abitanti degli slums abbandonano il territorio. Per
Jacobs deve esserci un unslamming: risanamento dello slum. In particolare deve essere
risanata la cesura slum-città così da favorire politiche di rigenerazione per tutto il territorio.

Geografia della città e geografia delle città

I geografi descrivono il fenomeno urbano in due modi principali, definiti da Umberto Toschi:

1. Geografia della città  si focalizza su come funziona la città al suo interno;


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2. Geografia delle città  è uno sguardo esterno: si focalizza sui rapporti e interconnessioni tra
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le città, in base ad un rapporto transcalare.

La scuola di Chicago

La scuola di Chicago è stata esempio del primo approccio, ovvero della geografia della città,
promuovendo studi innovativi sulla città nel periodo fra le due guerre a partire dall‟osservazione
di Chicago e di altre realtà nordamericane. Questa scuola comprende un ampio numero di
studiosi composto da diversi sociologi riuniti attorno alla figura di Robert Ezra Park. Tra questi
riordiamo Burgess, McKenzie, Louis Wirth. Questi, nel 1925,pubblicano un volume intitolato
“The City” che dà vita alla corrente di pensiero definita “ecologia urbana”, termine che deriva
dall‟intendere la città come un ambiente. Gli studiosi di questa scuola pongono al centro della
loro attenzione diverse questioni: il rapporto tra società umane e ambiente in cui si vive;
problemi sociali e forme di segregazione/assimilazione che emergono dal processo
d‟immigrazione nelle grandi città americane; gli spazi delle minoranze (Wirth analizzerà il
ghetto ebraico di Chicago, 1928); studi sull‟uomo marginale (sugli homeless); i diversi
fenomeni di devianza sociale, delinquenza giovanile e criminalità organizzata (gangs). Chicago
aveva il profilo di un‟agglomerazione multietnica: oltre ai migranti rurali del Middle West, era
popolata da comunità slave, tedesche, cinesi, italiane ecc., oltre ai gruppi di origine ebraica e
afroamericana. Gli esponenti della scuola elaborarono degli schemi spaziali che intendevano
spiegare il funzionamento urbano nel suo complesso:

1. Schema per zone concentriche  Elaborato da Burgess nel 1925. Si basa sull‟analisi
dell‟ecologia sociale di Chicago e propone una modellizzazione per “zone
concentriche”, dove in ogni cerchio è collocato un determinato gruppo sociale. Attorno
al centro degli affari, denominato loop, si organizzano gli alloggi abitati da migranti
(slums) suddivisi per origine etnica; seguono quartieri “neri” e residenze di lavoratori
immigrati; zone di abitazioni individuali e condomini per le classi borghesi; mentre
verso l‟esterno troviamo le aree residenziali più ricche. Tale modello di distribuzione
individua uno “scivolamento” di carattere sociale, etnico e residenziale dal centro verso
le periferie.
2. Schema a settori radiali  Elaborato da Homer Hoyt nel 1939. Descrive un modello di
sviluppo urbano organizzato sulla base di “settori radiali”. L‟autore individua una
distribuzione che si sviluppa lungo le principali vie di comunicazione e di trasporto.
Inoltre, evidenzia la relazione fra le residenze di maggiore pregio e lo spostamento degli
uffici, delle banche e dei centri commerciali.
3. Schema a nuclei multipli  Introdotto da Chauncy Harris e Edward Ullman nel 1945.
Si tratta di un modello “a nuclei multipli”, che combina cerchi, settori e nuclei. Questo
schema descrive una città esplosa e diffusa in centri principali, centri secondari e
quartieri periferici (suburbs), che si sviluppa in relazione all‟evoluzione delle forme
della mobilità e allo spostamento delle industrie.

L‟emergere e il consolidarsi degli studi di geografia urbana

I geografi iniziano a sistematizzare il campo della geografia urbana solo a metà degli anni
cinquanta del Novecento. Nella prima metà del Novecento, i geografi elaborano analisi
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monografiche su singole città, praticano approcci puramente descrittivi e si concentrano


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sulle caratteristiche del contesto naturale. Gli indici dei primi manuali di geografia urbana
tendono a somigliarsi tutti. I contenuti presentano criteri topografici e localizzativi della
città, forme dell‟espansione, tipologie residenziali e del paesaggio, tipologie dei servizi,
distribuzione delle attività e delle funzioni. Un cambiamento d‟impostazione arriva nel
1961, con la pubblicazione di “Précis de géographie urbaine” del geografo francofono
Pierre George. egli sottolinea che la geografia urbana non deve più occuparsi di effettuare
studi monografici sulla città, ma che debba aprirsi a una visione più ampia, rivolta a studiare
anche le città dei paesi a economia “sotto-sviluppata”. Negli anni ottanta, prenderanno piede
l‟idea di una città del Terzo Mondo e la definizione di “città in via di sviluppo”; a partire
dall‟ultimo decennio del Novecento, darà individuata la categoria di “città del Sud del
mondo” e quella di “città del sud globale”. Alla metà degli anni cinquanta, si inizia a
sperimentare la rivoluzione quantitativa grazie alla quale ci si inizia a concentrare sulle
caratteristiche economiche e funzionali delle città. Ricordiamo in merito il modello delle
località centrali di Christaller del 1933. Entrano in geografia i concetti di centralità,
spazialità e polarizzazione. In questa fase, l‟analisi funzionale delle città assume importanza
anche per lo studio delle relazioni fra città. Le “funzioni locali”, ovvero aree di gravitazione
interne all‟agglomerazione urbana, presentano un area di gravitazione continua, la cui
dimensione dipende dall‟accessibilità; le “funzioni esportatrici”, i cui ambiti si estendono
fuori dall‟agglomerazione urbana fino a raggiungere, in certi casi, l‟intero pianeta (la
Mecca), presentano una forma discontinua. La geografia urbana degli anni settanta sposta
l‟analisi sul piano politico delle contraddizioni e dei conflitti sociali generati dal sistema di
produzione capitalista. La città è intesa come parte integrante del modo di produzione
capitalista del quale si denunciano le ingiustizie. Ricordiamo tre autori principali che si
iscrivono in questo orientamento:

1. Henri Lefebvre – “Diritto alla città” (1968): tale testo vede la luce nel 1968, anno
di grandi manifestazioni, ricordiamo ad esempio il maggio francese. Per Lefebvre la
città capitalistica è una città di consumo dello spazio urbano (per Lefebvre si deve
andare alla ricerca di uno spazio demercificato), ma anche consumo culturale per
turisti (anticipa il cosiddetto fenomeno della turistizzazione). Tuttavia, gli esseri
umani hanno anche un bisogno di attività creative e di gioco. Dunque, in poche
parole per Lefebvre, agli abitanti della città viene negato il diritto di vivere e di
riprodursi. Di Lefebvre ricordiamo la concezione dello spazio tripartita: 1) Dall‟alto:
spazio urbano come fenomeno generale; 2) Dal basso: spazio urbano come fenomeno
focalizzato; 3) Spazio urbano come prodotto sociale. Soja riprende la concezione di
spazio di Lefebvre e divide: 1) Spazio percepito; 2) Spazio immaginato; 3) Spazio
vissuto (combinazione del 1° e del 2° ed è il luogo dell‟azione e della resistenza).
2. Harvey: parla della giustizia sociale in ambito urbano. Scrive Giustizia sociale e
città (1973) dove sottolinea che nella città è concentrato il modo di produzione
capitalista. Dagli anni ottanta si occupa della condizione di vita urbana nella società
capitalistica, studiando i conflitti sociali e le differenze di classe che si producono
nelle moderne città.
3. Manuel Castells: scrive La questione urbana (1972) dove sostiene che la città è una
sorta di grande fabbrica capitalistica, dove le gerarchie non si riproducono solo nei
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luoghi di lavoro ma anche nella collocazione residenziale dei lavoratori (nelle zone
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più sovraffollate e inquinate della città). Successivamente Castells rivedrà la sua
posizione in merito all‟opera e si focalizzerà sui conflitti sociali, economici e
culturali che avvengono all‟interno delle città.

Altri studi si basano su: interpretazioni grazie alle ricerche sulle percezioni e rappresentazioni delle
città, di cui, ricordiamo Kevin Lynch, con il suo libro The Image of the City (1960); apporti della
geografia umanistica con le rappresentazioni collettive e soggettività individuali, ciò sarà
accompagnato dal cultural turn che tenta di integrare le dimensioni culturali e sociali alla geografia.

La geografia delle città

Anche nella geografia delle città è possibile individuare un cambiamento delle teorie. Ci
sono due aspetti principali complementari tra loro: Teoria sistemica  considera la città
come un sistema in un sistema di città. Le relazioni interne ed esterne alla città sono
comprese in un‟unica struttura. Ogni cambiamento nelle attività economiche, professionali,
di reddito ecc. di una parte comporta la modificazione delle attività economiche,
professionali, di reddito ecc. degli altri elementi interconnessi; Approccio reticolare della
città  mette in evidenza le relazioni tra luoghi non contigui. Dunque i sistemi urbani sono
descritti come un insieme di centri legati tra loro da relazioni transcalari.

Sulla teoria sistemica si basa la rappresentazione reticolare del territorio e della città, cioè
l‟idea che i sistemi urbani possano essere descritti non solo come aree o nuclei, ma come un
insieme di centri legati fra loro da varie relazioni.

Secondo Dematteis ci sono tre modelli di reti urbane:

1. Modello delle reti a gerarchia determinata  Descrive un sistema reticolare a


base areale, in cui la città controlla il suo hinterland: una città che domina
militarmente la regione; gestisce politicamente un territorio circostante più o meno
vasto (città capitale); organizza i mercati e distribuisce i beni e i servizi nell‟area di
gravitazione posta al suo intorno.
2. Modello delle reti multipolari  Questo modello considera le relazioni tra i nodi
della rete sulla base della complementarità funzionale tra i centri. Quando in un‟area
di dimensioni macro-regionali più sistemi urbani sono collegati tra loro da relazioni
funzionali preferenziali, in cui nodi (i centri) e interazioni sono particolarmente
densi, può generarsi un unico sistema urbano, definito da Gottman “megalopoli”.
3. Modello delle reti equipotenziali  Non importa la localizzazione dei nodi, i quali
possono essere connessi ugualmente con altri in base alle loro funzioni. Situazione
tipica della recente economia dell‟informazione, organizzata da forti
interconnessioni, in cui troviamo nodi di livello superiore, le cosiddette città globali,
che controllano la rete globale di flussi e scambi. Le città sono viste come centri
perché intessono relazioni anche con centri geograficamente lontani, ma vicini dal
punto di vista delle funzioni localizzate al loro interno.
Interpretare la città oggi

Città globali e nuove gerarchie metropolitane, fra neoliberismo e deriva economicista


Geografia urbana – Governa e Memoli

Harvey è stato tra i primi geografi ad indagare le realtà urbane post-industriali. Secondo lui,
11
grazie allo sviluppo delle tecnologie di trasporto e telecomunicazione, lo spazio si
rimpicciolisce, liberandosi dai vincoli della prossimità geografica.

L‟espressione Edge City (città-margine) è stata introdotta negli studi urbani da Joel
Garreau nel volume Edge City (1991). Garreau definisce con edge city quegli spazi
urbanizzati edificati oltre i margini urbani, ma non periferici in termini sociali ed economici,
poiché sono autonomi dal punto di vista funzionale. Per individuarle, Garreau definisce
cinque criteri: che ci siano almeno 500.000 mq di spazio per gli uffici; 60.000 mq di spazio
commerciale; più posti di lavoro che stanze da letto; un senso di appartenenza dei cittadini;
il non essere stato niente di simile a una città nei decenni precedenti. Il limite di queste città
è la mancanza delle differenze e delle possibilità di socializzare.

È John Friedmann a concettualizzare per primo il termine “world cities”, connettendolo ai


processi della globalizzazione economica, di cui sono i principali centri di comando. Il ruolo
che investono nell‟economia globale si riflette sulla struttura dell‟economia locale. Londra,
New York e Tokyo sono definite “città globali”, ovvero centri di comando e controllo.
Questa impostazione sottolinea che la competitività delle attività economiche deriva dalla
competitività delle città in cui sono localizzate: se funzionano le città in cui le imprese si
trovano, funzionano le imprese; se funzionano le imprese, funzionano le città in cui le
imprese sono insediate. Oggigiorno è nella città che prende forma il progetto politico
neoliberista. La città neoliberista è un prodotto della globalizzazione economica e
finanziaria che pone la competitività come unico obiettivo della città poiché si intende
accaparrare risorse attraverso eventi, investimenti ecc. Tutto ciò però trascura l‟inasprimento
dell‟esclusione sociale, della povertà e della marginalità che connotano le città
contemporanee di tutto il mondo.

Contraddizioni urbane e debolezze concettuali

Se la logica spaziale della città moderna dell‟Ottocento era isotropica, basata sulle figure
della normalizzazione, della regolarità ecc. la figura che emerge oggigiorno è quella del
frammento, o comunque attenta alla specificità dei luoghi.

Parliamo, in tal senso, di eterotropia, il cui concetto si deve a Foucault. Foucault, in


contrapposizione agli spazi del potere in cui sono disciplinati i comportamenti umani,
identifica luoghi altri: ovvero dei luoghi reali che costituiscono una sorta di contro luoghi,
delle specie di utopie realizzate dove comunicano gli spazi che sovvertono i dispositivi dei
luoghi reali: ad esempio il cimitero rappresenta l‟unione o separazione simbolica della città
dei vivi e quella dei morti. Altre eterotopie sono i cinema, i teatri, le prigioni.

In base a tutti questi processi è estremamente difficile se non impossibile definire oggi la
città contemporanea. Gli stessi Amin e Thrift sottolineano come le città odierne non hanno
più una propria identità, i confini non sono più tracciabili, e ci sono innumerevoli
connessioni.

Brenner e Smith 7 tesi:

C‟è una nuova epistemologia dell‟urbano:


Geografia urbana – Governa e Memoli

1. Spazio urbano e urbanizzazione sono categorie teoriche e non oggetti empirici.


12
2. Lo spazio urbano è un processo senza confini, non è una forma universale e
delimitata.
3. L‟urbanizzazione coinvolge tre momenti: 1) urbanizzazione concentrata  persone e
insediamenti si riuniscono in un determinato luogo. 2) urbanizzazione estesa 
rendere operativi i luoghi lontani dai centri. 3) urbanizzazione differenziale  si
riassume con la metafora implosione-esplosione di Lefebvre.
4. La costruzione dell‟urbanizzazione è multidimensionale, non ci si basa più sui punti
del passato secondo cui l‟urbanizzazione ha origine solo nelle grandi città.
5. L‟urbanizzazione è diventata planetaria: ciò avviene negli anni 80 con la
globalizzazione, il liberismo, l‟era digitale ecc.
6. Tuttavia, sotto il capitalismo lo sviluppo urbano non è omogeneo dappertutto.
7. Lo spazio urbano è prodotto dai suoi utilizzatori attraverso pratiche, dibattiti,
battaglie, la vita di tutti i giorni. È questo che occorre indagare.

3. Le forme della crescita urbana in Europa


Spazio urbano e morfologia delle città

Lo spazio urbano è un insediamento umano, caratterizzato da una concentrazione elevata di edifici e


di popolazione. In quanto tale, si distingue da uno spazio rurale, ovvero un‟area coltivata. Queste
caratteristiche variano da paese a paese. Questa distinzione tra spazio urbano e spazio rurale non
prende, però, in considerazione le attività culturali, sociali, economiche e politiche che si svolgono
in città. Potremmo, quindi, definire lo spazio urbano come un‟entità fisica caratterizzata da una
base economica, forme di governo e amministrazione, presenza di attività culturali e sociali. Con la
Rivoluzione industriale le città perdono le mura, per cui non vi è più una distinzione netta tra
urbano e rurale, e crescono ad una velocità mai vista prima. La morfologia della città, cioè la
forma assunta da un insediamento urbano nel tempo e in rapporto ad un determinato luogo può
essere anche ricondotta a delle caratteristiche geometriche sebbene spesso ci siano schemi ibridi:
a scacchiera, forma radiocentrica, lineare. Morfologie diverse si sono sovrapposte nel tempo nelle
singole città, alcune si sono sovrapposte dando origine a discontinuità, ma anche a forme nuove di
interazione tra spazio urbano e società.

Dalla città della Rivoluzione industriale all‟espansione suburbana

Per Max Weber i cambiamenti culturali sono un prerequisito fondamentale della Rivoluzione
industriale. Le città industriali crescono rispondendo alle esigenze dell‟economia capitalista
(Manchester cresce perché è dotata di materie prime e manodopera a basso costo). In questo periodo
vengono costruiti edificati appositi per le classi operaie vicino le industrie, spesso questi si trovano
in condizioni fatiscenti. Per suburbanizzazione si intende la formazione dei sobborghi, a macchia
d‟olio, attorno al nucleo storico delle città. Questa crescita urbana ha la caratteristica di essere
compatta fino a un margine esterno abbastanza netto, oltre il quale inizia la campagna. In questo
tipo di crescita distinguiamo anche conurbazione e agglomerazione. Per conurbazione si intende
l‟area urbana continua che si forma tra due o più città un tempo separate fra loro da spazi rurali
(Napoli-Caserta o Milano-Brianza). Il termine agglomerazione, invece, indica un‟espansione
compatta del centro abitato che ingloba progressivamente i centri rurali limitrofi. Accanto ai
Geografia urbana – Governa e Memoli

modelli di urbanizzazione compatta, emergono anche fenomeni di espansione urbana senza


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contiguità fisica rispetto al centro di più antica formazione, come nel caso degli Stati Uniti, dove
entra di più in gioco la dipendenza economica e culturale dei poli esterni dal centro. Esempi di
questa modalità di espansione urbana sono le city-regions, ovvero forme di urbanizzazione estesa
ma legata a un centro urbano sede delle principali attività.

Diffusione urbana e periurbanizzazione

La distinzione netta tra spazio urbano e spazio rurale persiste fino alla globalizzazione, i cui effetti
sono più evidenti dalla seconda metà del XX secolo. I processi di globalizzazione influenzano
inevitabilmente gli spazi urbani sia esternamente che internamente. Esternamente  passaggio dal
settore secondario al settore terziario dei servizi ed innovazione; l‟indebolimento dell‟economia su
base nazionale; maggiore comunicazione tra luoghi anche molto distanti tra loro; la privatizzazione
dei mezzi di trasporto. Internamente  la città perde i limiti esterni ed esplode sul territorio. I
principali cambiamenti del modello insediativo in Italia a partire dagli anni „70 sono influenzati da
vari fattori: la diffusione dell‟automobile, per cui ci si può spostare anche a lunghe distanze,
favorendo la decentralizzazione delle residenze; lo spostamento dal centro verso le aree periferiche
e di conseguenza l‟indebolimento della gerarchia urbana preesistente. Per descrivere questo
cambiamento vengono utilizzati i termini periurbanizzazione e città diffusa. L‟urbanizzazione
diffusa è caratterizzata da una frammentazione delle forme urbane e delle organizzazioni
economiche e sociali ad esse collegate. Tale frammentazione riguarda sia la città, sia lo spazio non
più rurale. Questi spazi si connotano per la scarsa frequenza dell‟edificato e la compresenza di aree
agricole, aree commerciali ed aree residenziali.

I cambiamenti del processo insediativo

Alcuni fenomeni di espansione urbana testimoniano il cambiamento nel rapporto tra città
consolidata e territorio circostante. Tra questi vi è il fenomeno di contro-urbanizzazione,
ovvero una deconcentrazione della popolazione urbana. Si caratterizza per una maggiore
crescita della popolazione nei centri minori lontani dai nuclei principali. Un altro fenomeno
è quello della riurbanizzazione, ovvero un ritorno al centro urbano. Può corrispondere
anche all‟emersione dei processi di gentrification, in cui la popolazione ad alto reddito
rientra nei centri storici riqualificati a scapito della popolazione a basso reddito originaria,
che si trova costretta a spostarsi al di fuori del centro. Il gruppo Curb ha elaborato un
modello per studiare l‟andamento demografico che riguarda la modificazione ciclica del
sistema urbano che toccano il core (città centrale) e il ring (una corona suburbana legata alla
città centrale). Questo modello riguarda il ciclo di vita di una città ed è suddiviso in quattro
fasi:

1. Urbanizzazione;
2. Suburbanizzazione;
3. Contro-urbanizzazione o disurbanizzazione;
4. Riurbanizzazione.

Il processo di periurbanizzazione
Geografia urbana – Governa e Memoli

Il termine periurbanizzazione descrive i processi di espansione urbana nelle aree rurali


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esterne rispetto alla città compatta per decine di chilometri. Indica la transizione da uno
spazio urbano polarizzato, con dipendenza dal centro città, a una trama diffusa, nota anche
come città senza centro. Gli insediamenti periurbani, in Italia, prendono il nome di “città
diffusa”, organizzata secondo un modello insediativo di tipo multicentrico che si estende sul
territorio di più comuni. La campagna, pur conservando caratteristiche del paesaggio rurale,
si va urbanizzando.

Principali caratteristiche della periurbanizzazione

Le aree periurbane non hanno limiti o confini identificabili, a causa della compresenza di
spazi residenziali, produttivi, commerciali, agricoli ecc. Elementi urbani, rurali e suburbani,
che prima occupavano zone distinte, adesso sono mescolati. Altra caratteristica riguarda la
minore densità territoriale degli edifici e della popolazione, con addensamenti attorno ai
borghi rurali e alle piccole città preesistenti. Inoltre, mostrano una minore concentrazione
della popolazione nelle classi superiori e inferiori. Lo stile di vita, infine, è molto simile al
modello suburbano nordamericano: villette isolate o a schiera, alta mobilità con trasporto
privato, spesa nei centri periferici.

I principi organizzativi della periurbanizzazione a scala locale e regionale

Tuttavia, la periurbanizzazione non ha principi organizzativi riconoscibili: accanto a villette


unifamiliari si trovano capannoni industriali, aree di deposito, spazi ricreativi. I nuovi
insediamenti si affiancano a quelli preesistenti, risultando complementari o sostitutivi. In
queste aree si ridefinisce il rapporto tra gli spazi privati (residenziali e lavorativi) e gli spazi
pubblici, quest‟ultimi appaiono indeboliti, si configurano come spazio residuale o come
spazio dell‟automobile, della circolazione e della sosta.

Criticità della diffusione urbana

In Italia non vi sono parti del territorio che non siano interessate da forme di diffusione
urbana. Se guardiamo la carta dell‟urbanizzazione italiana al 1991, ci rendiamo conto del
superamento di una netta distinzione tra area urbana e area rurale. Il fenomeno della città
diffusa si riscontra in varie porzioni dell‟area padana, nelle principali valli alpine e
appenniniche, nelle fasce costiere della Liguria e dell‟Adriatico, e con configurazioni a
corona nelle principali agglomerazioni. Tuttavia il processo di periurbanizzazione ha anche
degli aspetti negativi: gli elevati costi sociali ed impatti ambientali negativi; il crescente
consumo di suolo in quanto le aree agricole diventano urbane; una forte speculazione
immobiliare; il trasporto pubblico spesso è debole o inesistente. Spesso, però, gli abitanti
della città diffusa o area periurbana la preferiscono alla città centrale, relegando dunque in
secondo piano gli aspetti negativi. In altre parole, tali abitanti preferiscono vivere al di fuori
del caos cittadino.

L‟urbanizzazione reticolare

Se consideriamo l‟organizzazione spaziale delle attività umane e la conseguente formazione di


insediamenti, le forme dell‟espansione urbana possono avere due modelli:
Geografia urbana – Governa e Memoli

1. City-region  c‟è un rapporto di dipendenza tra le aree periferiche e il centro.


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2. Megalopoli  ci si riferisce ai processi di urbanizzazione dispersa e reticolare, e a modelli
idealtipici di città. Jean Gottmann supera l‟idea tradizionale di organizzazione del sistema
urbano. Egli negli anni „50 visita gli Stati Uniti e studia l‟evoluzione del modello di
urbanizzazione della costa atlantica del Paese, in particolare identifica una struttura poli-
nucleare da Boston a Washington (la cosiddetta area BosWash). Quest‟area è caratterizzata
da una fitta rete di trasporti che permettono un elevato pendolarismo e una notevole
interdipendenza economica, oltre che a un continuum urbanizzato. Pubblicherà nel 1961
Megalopolis. In Europa presero piede diverse ipotesi di megalopoli: la “banana blu” che si
estende dal Sud-Est inglese al Nord italiano; l‟arco latino che si estende dalla Spagna centro-
meridionale, passando per le coste occidentali francesi fino a giungere in Toscana.

I modelli reticolari, legati all‟idea di policentrismo e di megalopoli rappresentano alcune forme


assunte dalle città post-industriali. Ad essere superato è dunque il rapporto centro / periferia. Le
relazioni tra le città avvengono tra nodi che appartengono a reti e possono essere descritte come
relazioni centro-centro anziché centro-periferia. Tuttavia anche a livelli locali esistono reti di centri
minori interconnessi tra loro e con un centro principale.

Lo sviluppo urbano policentrico si basa sull‟idea che esistano relazioni funzionali e stabili
cooperazioni tra diverse città. Ne è un esempio il Randstad dei Paesi Bassi. L‟urbanizzazione
diffusa nella parte centrale dei Paesi Bassi ha portato ad una regione urbana policentrica. Ci sono 4
città medio-grandi con elevata specializzazione funzionale:

1. L‟Aia: città associata alla pubblica amministrazione e alla presenza di organizzazioni


internazionali.
2. Rotterdam: città portuale importante.
3. Utrecht: è un importante centro commerciale e culturale.
4. Amsterdam: città importante nel settore finanziario ma anche turistico.

In Italia invece, l‟area padana sembra corrispondere a un modello policentrico interconnesso (ci
sono collegamenti in particolare intorno a Milano e Torino).

4. Economia, società e cambiamento urbano


Economia e città

Fin dai primi studi di geografia urbana, le città sono state definite anche in ragione delle loro
funzioni economiche: industriale, minerarie, rurali, portuali, commerciali, turistiche. Lo sviluppo
economico industriale e quello urbano possono considerarsi paralleli e reciproci. Nell‟ambiente
urbano si muovono due insieme interdipendenti: da una parte, i fattori di localizzazione delle
attività economiche; dall‟altra, gli attori sociali che operano direttamente o indirettamente in
tali attività. Si formano, in tal modo, zone urbane differenziate in ragione di alcuni aspetti: uso del
suolo urbano; concentrazione di attività; valori dei suoli e degli edifici; redditi degli abitanti;
provenienza etnica o appartenenza a comunità sociali e culturali; pratiche aggregative; classi d‟età
della popolazione. Negli ultimi decenni del XX secolo la terziarizzazione dell‟economia, il
decentramento funzionale, la globalizzazione, la crescita del settore finanziario ecc. hanno prodotto
Geografia urbana – Governa e Memoli

importanti novità negli spazi urbani. Le aree urbane diventano contenitori multi-variabili dove si
16
mescolano economie dell‟informazione, della cultura, della religione, della socialità.

Un quadro interpretativo

Fattore discriminante per la capacità di produrre innovazione e competitività è il contesto


territoriale. È molto importante non tanto il dato relativo alla nascita di nuove imprese, quanto
quello relativo alla sopravvivenza delle stesse. Il territorio è fonte di vantaggi e svantaggi di natura
economica, ma anche e conseguentemente di natura sociale. Per Teoria Marshalliana si intendono
quei vantaggi, in termini di risparmi, che derivano dalla concentrazione delle attività in un
determinato luogo o dalla loro prossimità. I vantaggi della struttura urbana si definiscono come
economie di agglomerazione, classificate in tre modi:

1. Economie interne all‟impresa, riguardanti le economie di scala  Il costo unitario del


prodotto diminuisce se aumenta la produzione. Ci sono più volumi prodotti nello stesso
luogo.
2. Economie esterne all‟impresa ma interne all‟industria o al settore produttivo, ovvero le
economie di localizzazione  Rappresentate da quei vantaggi connessi alla concentrazione
nello stesso territorio di attività simili o che partecipano allo stesso processo produttivo. Ciò
consente l‟aumento delle relazioni e degli scambi (face to face) e la diminuzione dei costi di
transazione. Alla base delle economie di localizzazione, Marshall individua tre possibili
spiegazioni: vantaggi dovuti alla manodopera specializzata; presenza di fornitori di input
specializzati; scambio di conoscenza e informazioni tra gli imprenditori delle attività
localizzate nello stesso territorio. Ciò porta alla diminuzione dei costi e alla crescita dei
profitti.
3. Economie esterne sia all‟impresa sia all‟industria, cioè le economie di urbanizzazione 
Sono legate al tipo di insediamento urbano. Queste economie nascono a seguito della
concentrazione nella città dell‟intervento pubblico per l‟infrastrutturazione del territorio. Ne
sono degli esempi: un sistema efficiente di trasporti come la metropolitana, la rete viaria,
l‟aeroporto.

La città diventa fonte di economie di consumo per le famiglie, grazie alla presenza di servizi
pubblici (istruzione, sanità), servizi privati (cultura), gestione del tempo libero. Il ragionamento
sulle economie di agglomerazione porterebbe a considerare l‟espansione urbana come inarrestabile.
Tuttavia le economie si trasformano in diseconomie di agglomerazione e i servizi offerti dalla città
presentano dei costi maggiori man mano che la città cresce di dimensione. La dimensione massima
di una città varia a seconda delle funzioni ricoperte nel territorio. Il suolo urbano presenta un
valore di mercato diverso a seconda della sua posizione (valore di posizione). Ciò che ricava il
proprietario di un suolo, indipendentemente dall‟uso che ne fa, si chiama rendita urbana. La
rendita urbana nasce con l‟avvento della Rivoluzione industriale, quando i terreni e gli edifici
all‟interno delle città cominciano ad essere richiesti in maniera più massiccia a causa della crescente
urbanizzazione. Poiché la domanda di suoli è sempre in crescita, i prezzi tendono a crescere. Nella
rendita urbana il proprietario dei terreni può trarre maggiori ricavi grazie ai vantaggi di posizione
(vicinanza o meno dal centro), ma anche dagli investimenti pubblici che vi sono fatti intorno che
possono garantire o meno lo sviluppo della società (processi di riqualificazione, disposizione di
musei, stazioni, condizioni ambientali favorevoli). Solitamente i proprietari si attivano non appena
Geografia urbana – Governa e Memoli

la differenza tra rendita attuale (ciò che si guadagna dai beni in possesso) e la rendita potenziale
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(il massimo profitto che si potrebbe guadagnare dal migliore utilizzo del bene) risulta evidente.
Tale differenza è chiamata rent gap.

Dal mutamento industriale alla società flessibile

Industrializzazione e urbanizzazione

L‟industria è stata il motore dello sviluppo urbano. Questa influenza reciproca si palesa
soprattutto nel passaggio dalla fase in cui la produttività dipendeva principalmente da
condizioni specifiche del territorio alla fase in cui le condizioni dello sviluppo economico
dipendevano da elementi anche esterni all‟impresa. Soprattutto con l‟avvento del modello
industriale di tipo fordista, il collegamento tra crescita industriale e sviluppo urbano
diventerà peculiare, tanto per le città che vivono a pieno l‟industrializzazione, quanto per
quelle che ne risentono indirettamente. Si avranno fasi di boom economico e diffusione del
benessere. Il termine “fordismo” è stato coniato da Gramsci, e indica una forma di
produzione basata sulla catena di montaggio, ovvero un processo di assemblaggio
utilizzato nelle moderne industrie e introdotto da Henry Ford nei primi anni del Novecento,
teso ad ottimizzare il lavoro degli operai e incrementare la produttività. Questa
trasformazione produrrà effetti molteplici, ad esempio la suddivisione dei compiti e delle
mansioni dei lavoratori o la scomposizione del ciclo produttivo in fasi. La teoria
perroussiana dei poli industriali interpreta i vantaggi determinati dalla costituzione di reti
urbane gerarchizzate e polarizzate attorno a grandi città industriali. Ciò influenzò le politiche
italiane concentrando gli investimenti prioritariamente nelle aree urbane del Nord (in
particolare nel triangolo industriale). Il fordismo apporta cambiamenti tanto sulla geografia
della città, quanto sulla geografia delle città. Il territorio urbano si ritrova a gestire una serie
di rimodulazioni: fenomeni di conurbazione, la formazione di comunità miste date da
migrazioni nazionali e internazionali, problematiche urbane più complesse.

Società industriale urbana

La società urbana del fordismo è quasi un‟estensione del modello di fabbrica, per cui
parliamo di città-fabbrica. Si formano nuovi scenari urbani: emergono “quartieri
dormitorio” per operai e sotto-proletari; operai e impiegati sono separati tra rioni proletari e
quartieri piccolo o medio-borghesi. L‟urbano favorisce la mobilità sociale, sia orizzontale (la
città offre infinite possibilità di inserimento in altri ambiti lavorativi), sia verticale
(passaggio da operaio a impiegato all‟interno della stessa impresa). La società urbana del
Novecento industriale esprime bisogni nuovi: istruzione, trasporti, casa, sanità, lavoro ecc.
Tuttavia nella società fordista i rapporti avvengono fra ruoli e non persone. Vige un corpo
sociale piramidale per il quale sono chiare le distinzioni di compiti, diritti e doveri,
opportunità e comportamenti.

Flessibilità nell‟epoca globale

Negli ultimi decenni del Novecento, con l‟apparire di novità tecnologiche, economiche e
delle dinamiche spaziali, il modello fordista inizia a mostrarsi inadeguato. L‟innovazione
tecnologica investe soprattutto i settori dei trasporti e delle comunicazioni: la possibilità di
Geografia urbana – Governa e Memoli

far viaggiare merci e informazioni in tempi e a costi ridotti (tempo reale) rende più prossimi
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anche spazi lontanissimi, ponendo in discussione i vantaggi della concentrazione spaziale. A
livello economico, avviene il processo di integrazione aziendale che può essere di tipo:
orizzontale  le imprese maggiori acquisiscono le imprese minori che non riescono a
competere nel mercato; verticale  le imprese maggiori acquisiscono imprese fornitrici;
diagonale  le imprese maggiori acquisiscono imprese che operano in settori diversi. C‟è,
inoltre, la concentrazione e centralizzazione dell‟attività economica, e non quella spaziale
delle economie di agglomerazione. La prima comporta l‟eliminazione delle imprese più
piccole e la fusione delle grandi aziende; la seconda promuove la nascita di aziende operanti
a livello multinazionale. Per definire questo nuovo modello socio-economico, spesso, si fa
uso di termini quali post-fordismo, post-industriale o post-moderno. Nel post-fordismo
scompare tutto ciò che aveva caratterizzato l‟età di Ford: il gigantismo industriale, la
concentrazione e centralizzazione spaziale, la separazione fra idea, azione, esecuzione e
controllo. Le città subiscono processi di deindustrializzazione, passando dall‟essere luoghi
di produzione a luoghi di consumo. Si tratta di una città innovata. Le categorie urbane che
superano il fordismo avvalorano ciò che diceva Lefebvre: “lo spazio sociale è un prodotto
sociale”. È uno spazio auto-generato dal basso, nello spazio infra-urbano, nella relazione tra
gruppi di attori distinti. Per Baudrillard si delinea un mondo post- in cui perdono valore le
distinzioni un tempo importanti (classi, tendenze politiche ecc.). Questo mondo è formato
dall‟implosione del campo economico, sociale e spaziale intersecati tra loro.

Frammenti urbani e attori sociali

L‟ambiente urbano contemporaneo appare frammentato. Se prima la società urbana


d‟epoca fordista individuava le persone divise in classi, adesso non sembra essere più
possibile. Adesso ci sono pratiche, comportamenti e bisogni differenti. In questa epoca post-
fordista si tende a parlare di attori e agenti sociali sul territorio. Gli attori sociali sono
coloro che sono provvisti di intenzionalità, che prendono decisioni; gli agenti sociali sono
coloro che sono dominati da strategie esterne. Emerge una società plurale (individui,
famiglie, imprese, istituzioni, migranti, comunità, poveri ecc.) e frammentata che può
essere sia attore che agente sul territorio. Nelle città contemporanee compaiono, in
particolare nei centri storici, spazi pubblici, spazi ricreativi, spazi commerciali. In molte
città, dapprima specialmente nei centri storici, si inizia ad assistere a processi di
gentrification, ovvero il processo attraverso il quale famiglie di classe media si
reimpossessano dei quartieri abitati dai ceti meno abbienti provocando l‟espulsione di questi
ultimi. Il primo lavoro a tal proposito fu svolto da Ruth Glass che si focalizzò su Londra. Le
aree maggiormente propense a subire fenomeni di gentrification sono quelle con alto tasso
di persone che vivono in affitto; livelli alti di congestione metropolitana.; valori abitativi
comparativamente bassi. Per parlare di gentrification bisogna tenere assolutamente in
considerazione il ruolo svolto dai costruttori, imprenditori, proprietari terrieri, agenti
immobiliari. Per questa ragione la gentrification attiva tre punti di vista che sono connessi
tra loro:

1. Geografico: riguarda prettamente il luogo: i quartieri centrali delle città, ma anche


fuori dal centro.
Geografia urbana – Governa e Memoli

2. Sociale: riguarda gli attori, agenti ed azioni: gentrifier, classe meno abbiente
19
(working class, disoccupati, immigrati ecc.), agenti immobiliari, fenomeno
dell‟espulsione.
3. Edilizio: riguarda il recupero di vecchie abitazioni e la valorizzazione immobiliare.

Il fenomeno di gentrification può essere letto secondo due aspetti:

1. Economico: il fenomeno è caratterizzato da spiegazioni economiche riguardanti l‟offerta


immobiliare. Ricordiamo a tal proposito la teoria sul rent gap (differenziale di rendita)
introdotta da Smith. Un ruolo forte intorno a ciò è apportato dagli investimenti e
disinvestimenti fatti intorno alla zona e sugli edifici. Queste azioni possono aumentare o
diminuire il differenziale di rendita.
2. Domanda di spazio da parte dei gentrifiers: i gentrifiers si ritengono attratti dagli stili di
vita e di consumo del centro città.

Anche i quartieri distanti dal centro subiscono processi di gentrification. In particolare, dopo
l‟era post-fordista si creano occasioni di rigenerazione urbana grazie alle aree industriali
dismesse. Subentra spesso in tali occasioni anche la politica Teoria della growth machine: Ci
sono diversi attori, sia pubblici che privati, che si uniscono e che intendono investire in
determinate zone per favorirne, teoricamente, la crescita in termini di nuovi impieghi e
riqualificazione dei luoghi. Nel 1991, si volle rigenerare il centro storico di San Paolo. Ci fu
un dibattito che vide coinvolti due gruppi sociali. Il dibattito si incentrava su quale tipologia
di rigenerazione attuare. I cittadini della classe media avevano posizioni più o meno
speculative; i settori più popolari propendevano per un carattere maggiormente
sostenibile. Nelle città investite dai processi di gentrification si presentano dunque strategie
conflittuali fatte da pratiche dall‟alto e dal basso.

Città, reti, flussi

Nell‟epoca post-fordista e globale il mondo assiste a rilevanti cambiamenti. Lo sviluppo economico


è sempre più legato a una dialettica locale / globale. In realtà si può parlare anche di glocale dove si
intersecano globale e locale: le azioni svolte nel globale influenzano il locale e viceversa. Alcune
città contemporanee sono dei nodi di reti planetarie interconnesse tra loro grazie alla
globalizzazione dell‟informazione, ai mercati finanziari, all‟innovazione ecc. Tali relazioni non
toccano appunto l‟intero globo e dunque tutte le città. Infatti ci sono città che competono ed altre
che non riescono a competere nello scenario internazionale.

Milano dal punto di vista geo-economico e geo-politico è vista come una “terra di mezzo”:
costituisce il vertice meridionale del pentagono europeo. Milano ha un forte carattere reticolare
grazie a tre fattori principali:

1. Mercato.
2. Produzione di servizi.
3. Luogo di eccellenza tecnologico-scientifica.

Critiche sulla competitività.


Geografia urbana – Governa e Memoli

- Non tutte le città competono  non tutte le città riescono ad essere competitive al fine di
20
attrarre investimenti privati o pubblici. A tal proposito vediamo città che hanno attuato un
network passivo: relazioni passive attuate da attori svincolati dal sistema locale; network
attivo: relazioni attive attraverso la partecipazione delle città a reti locali e globali.
- Sacrificio della socialità  spesso la pressione competitiva ed economica mettono in
secondo piano il valore della socialità, della cultura ecc. poiché la città è considerata solo
come una macchina competitiva.
- Bisognerebbe privilegiare tutti i settori  l‟inserimento in un meccanismo competitivo,
non deve tradursi sulla focalizzazione di un solo settore, ma dovrebbe abbracciare tutte le
dinamiche della città.
- Non esistono solo città globali  le reti urbane mondiali non sono fatte solo da città
globali. Esistono anche reti di grandi metropoli, o anche città di medie o piccole dimensioni
specializzate in determinati settori. Le città devono essere aperte allo sviluppo di relazioni
transcalari. Inoltre, la presenza di città globali presuppone una gerarchia, di cui queste sono
in cima grazie al loro livello di internazionalizzazione e presenza di servizi finanziari.

Nella pratica, ogni spazio urbano può rappresentare tanti nodi quanti sono i diversi sistemi-rete a
quali la città partecipa. In questo senso la costruzione di un‟immagine della città basata sul suo
carattere prioritario (città dell‟innovazione, città finanziaria, città della cultura ecc.) non racconta
l‟insieme della complessità urbana di cui è composta. Ci sono infatti dei frammenti all‟interno delle
città:

- sul piano spaziale (quartieri e zone differenti).


- sul piano politico (riferito alla governance).
- sul piano sociale (obiettivi e interessi contrapposti degli attori sociali).

5. La città contemporanea di fronte al cutural turn


Formarsi e riformarsi del paesaggio urbano

L‟ambiente urbano ha avuto un forte impatto sui fenomeni culturali e altrettanti ne ha ricevuti. La
citta, ancora oggi, possiede delle caratteristiche che le permettono di essere riconosciuta come
spazio relativamente circoscritto, al cui interno sono presenti differenti culture. La mescolanza di
culture e popolazioni incide sulla città attraverso una serie di azioni e interazioni. La geografia
culturale si è concentrata principalmente su due campi problematici:

1. Le modificazioni del paesaggio urbano;


2. Cambiamenti dei “modi di vivere” la città.

La svolta culturale si manifesta negli anni ‟70 in Gran Bretagna. Questa, determina lo studio della
vita sociale non nella sua totalità, ma nella sua pluralità, cioè si inizia a percepire la cultura come
una serie di pratiche disgiunte. La diversità culturale era un tema divenuto prioritario, così come vi
fu sempre più attenzione nei confronti dei contesti urbani dove si potevano cogliere le negoziazioni
politiche e sociali. Rispetto al concetto di paesaggio, a partire dagli anni ‟80, si sviluppano quattro
orientamenti principali:

1. L‟idea di paesaggio attraverso lo sviluppo storico;


Geografia urbana – Governa e Memoli

2. Il paesaggio come “testo da leggere” che focalizza l‟interpretazione sugli aspetti simbolici;
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3. La scena urbana;
4. Critica femminista agli studi sul paesaggio.

Un altro concetto molto importante è quello di cultura. La definizione migliore riguarda quella che
fa riferimento all‟espressione “way of life”, intesa come una particolare maniera di vivere
all‟interno di un popolo, o di un gruppo o dell‟umanità, ma anche a come queste forme siano
espresse, comprese ed interpretate. La cultura è direttamente coinvolta nella formazione di
paesaggi, anche urbani. Di fatto, vediamo che la città assume l‟immagine delle ideologie, dei valori
e delle forme di potere che le circolano dentro e intorno. Per leggere e comprendere la città,
dobbiamo osservarne sia le manifestazioni visibili, sia quelle meno visibili che riguardano le
rappresentazioni simboliche delle espressioni culturali. È necessario scorgere il paesaggio urbano
nelle sue permanenze e nelle sue metamorfosi. Spesso, utilizziamo il concetto di patrimonio come
contenitore in cui vi sono tutti gli elementi rilevanti delle nostre città, ma è chiaro che non si tratta
di un concetto stabile nel tempo, è bensì mutabile, le sue politiche rispondono più a un‟azione di
rigenerazione urbana che all‟idea di ripristinare la modernità.

Interpretare i paesaggi urbani: dalla geografia delle sedi alla geografia culturale

Lo studio della città in Italia si è formato attraverso diversi riferimenti. Alla metà degli anni ‟60,
Toschi fu il primo a raccomandare ai geografi italiani di curare il nuovo indirizzo della geografia
delle città. Negli stessi anni, Gambi diceva che la città non poteva essere solamente descritta, ma
era necessario esaminarla come infrastruttura delle realtà urbane. Le immagini proposte in quegli
anni indirizzavano verso l‟analisi del fenomeno urbano nel suo complesso: relazioni tra le città e il
territorio circostante. Mario Ortolani, nel suo Geografia delle sedi, definisce tre fasi di sviluppo
della geografia urbana:

1. Una, anteriore alla II guerra mondiale, la quale svolge indagini di tipo morfologico;
2. Un‟altra, successiva ai conflitti mondiali, che studia le funzioni della città;
3. L‟ultima, più legata ai rapporti tra città e campagna e tra città e regione.

Negli anni ‟90, Dematteis propone di leggere il fenomeno urbano attraverso la metafora delle reti.
Si prende atto del fatto che il territorio circostante non sia più strettamente dipendente dal centro.
Era, dunque, necessario osservare la città con uno sguardo nuovo. Tale passaggio ha coinciso con
l‟evoluzione della società contemporanea, la riflessione sulla realtà urbana e metropolitana entra nel
campo degli interessi della geografia culturale. Le culture che agiscono all‟interno della città
spostano l‟accento sulla dimensione politica del fenomeno urbano, intendendo non solamente la
funzione delle istituzioni, bensì le capacità interne ad ogni città che producono spazi di
trasformazione. L‟azione delle comunità nel contesto urbano genera e lascia tracce. Vi è
un‟interdipendenza tra città e rappresentazione.

Immagini urbane

Tutte le città hanno una o più immagini che la identificano, ma non è detto che queste rappresentino
la realtà urbana. Da un lato, potremmo dire che sia effettivamente così, poiché guardando una foto
del Duomo di Milano oppure della Torre Eiffel, automaticamente pensiamo alla città che essi
rappresentano; tuttavia, potremmo anche pensare il contrario, poiché si tratta di immagini evocative
Geografia urbana – Governa e Memoli

che non ci parlano delle città nella loro interezza, bensì rimandano ad una cartolina, che
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corrisponde, tuttalpiù, a quanto vogliamo che il turismo veda e consumi. Inoltre, il consumo
turistico dei luoghi storici ha portato a fenomeni e dinamiche quali gentrification e disneyzzazione,
figlie di politiche di rigenerazione urbana che hanno causato, rispettivamente, lo spostamento di
popolazioni e attività, e l‟impoverimento degli elementi culturali a vantaggio di un‟idea di centro
storico come parco tematico. Questo tipo di immagini ha avuto conseguenze pure sulla
partecipazione civica; l‟avanzamento del degrado culturale ha ridotto spazi e identità di luoghi,
ormai, visti solo come turistici. Nonostante ciò, parliamo di immagini urbane perché esse ci
mostrano come viene raccontata una città e perché, attraverso di esse, possiamo comprendere le
culture urbane e i loro segni distintivi. Queste narrazioni urbane si formano in quella zona di
confine tra il reale e l‟immaginario. Poiché è impossibile conoscere l‟intera città, riduciamo la sua
complessità a singole impressioni, escludendone alcuni aspetti. La doppia vita della città, ovvero la
sua realtà e la sua rappresentazione, può avere effetti positivi e negativi. Le stragi siciliane del 1992
hanno fatto sì che Palermo venisse rappresentata come città estremamente pericolosa, il che ha
messo in crisi la sua economia turistica.

I grandi eventi: la città di fronte allo straordinario  I grandi eventi sono un‟occasione
per rendere operative delle considerevoli trasformazioni urbane. Questi, infatti, non
implicano il ripensare ad un singolo frammento della città, bensì a tutta la sua
organizzazione. Eventi come esposizioni universali e nazionali, le Olimpiadi, i Campionati
mondiali di calcio, vengono “montati” e “smontati” trasformando in movimento
l‟immobilità presunta dei territori. In gioco vi è il dare vita a progetti di riqualificazione
urbana, creazione di nuove parti della città che vengono cucite con la già esistente; ma non
solo, in gioco vi è la stessa capacità di rappresentarsi, l‟abilità di attirare risorse finanziare,
così da poter competere con altre città. Durante l‟operazione di montaggio, avviene una
chiusura dello spazio con dei muri, con le sue aperture, si determina la grandezza dell‟area,
si misura l‟afflusso. Nella fase di smontaggio, vi sono problemi legati ai costi di cambio di
destinazione d‟uso della città e di ricucitura con la città. Questi eventi sono anche un
momento di incontro per le masse. Le trasformazioni che hanno luogo durante queste
manifestazioni sono sia di ordine architettonico che di tipo urbanistico. Zone rifiutate dalla
città vengono riutilizzate, terreni bonificati ecc. Una delle trasformazioni nate dalle
esposizioni è, per esempio, la stessa Torre Eiffel, diventata simbolo di Parigi dal 1889.

Competizione tra luoghi: rigenerazione dei paesaggi urbani  I grandi eventi non sono
un fenomeno recente. Negli ultimi anni si sono modificati, però, due aspetti:

1. La competizione riguarda l‟intero mondo delle città;


2. La frequenza di questi eventi straordinari è molto più assidua rispetto al passato.

I motivi di tali cambiamenti sono la globalizzazione e la debolezza strutturale delle politiche


urbane che coinvolto l‟Europa occidentale e gli Stati Uniti. Gli anni settanta e ottanta sono
cruciali poiché molte città hanno subito una vera e propria trasformazione, passando
dall‟essere città produttive, legate al settore secondario, a città di consumo, luoghi dove
merci e servizi sono comprati e venduti, quindi legate al settore terziario. Tale cambiamento
parte dalla crisi del sistema economico fordista che si ripercuote anche nelle politiche. Il
sistema pubblico welfaristico entra fortemente in crisi e grazie agli interventi di Thatcher e
Geografia urbana – Governa e Memoli

Reagan si passa al neoliberismo (libero mercato). Per quanto riguarda le politiche di rinnovo
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urbano, la conseguenza di questi cambiamenti è stato l‟ingresso di attori privati. Come aveva
già anticipato Benjamin, il paesaggio urbano non è solo formato e riformato dai poteri forti
che operano attraverso il capitale, ma anche da pratiche di resistenza. Dunque, i paesaggi
sono prodotti anche dalle relazioni sociali. Questa nuova dialettica socio-spaziale permette
di guardare alla città da nuovi punti di vista: da un lato, passiamo dagli eventi straordinari
alla vita quotidiana, dall‟altro, affiorano le diversità delle popolazioni che si muovono nella
città.

Everyday life nella città

Grazie ai Cultural Studies le scienze sociali hanno iniziato ad interessarsi alla vita quotidiana
definita attraverso la cultura. Fino ad ora abbiamo visto in che modo sono rappresentati i paesaggi
urbani, adesso dobbiamo esaminare in che modo li percepiamo e li consumiamo. Per comprendere
questo connubio percezione-consumo, è importante la visione di Lefebvre, il quale fa una costante
riflessione critica sulla vita quotidiana. In particolare, parla delle famiglie operaie, le quali per poter
permettersi “equipaggiamenti” come un televisore o una lavatrice, sacrificano altro, per esempio la
nascita di un figlio. Mentre ai tempi di Lefebvre il consumo era “funzionale”, tipico della società di
massa, oggi ha come caratteristica l‟estetizzazione. Conta, cioè, più la moda, lo status dell‟oggetto e
dove lo si è comprato, rispetto alla sua funzione. Le nuove classi sociali adottano stili di vita
riconoscibili attraverso gli oggetti del loro consumo. Il consumo, quindi, si pone come scontro tra
classi e gruppi sociali. In questo contesto, la pubblicità è fondamentale. Lo spazio urbano non è
omogeneo. Troviamo ad esempio le differenze spaziali (gentrification e gated communities) e le
differenze di popolazione (reddito o etnie).

Tutti i centri storici sono diversi e tutte le periferie sono uguali?

La svolta culturale ha convinto molti a ritenere che tutte le categorie (binarie e non) siano
una costruzione sociale. Queste giustificano relazioni asimmetriche di potere. Negli studi
urbani, il rapporto di coppia più citato è quello centro/periferia. Bisogna annullare l‟idea
secondo cui tutti i centri siano diversi e tutte le periferie siano uguali. La letteratura sulle
periferie le ha sempre definite con criteri parziali e carenti, e attraverso una differenza
implicita dal centro. Centro e periferia vengono contrapposti sulla base della distanza fisica,
spiegando la distanza dal centro con il rapporto dominanza-dipendenza, e sulla base della
mancanza di identità delle periferie, data dalla brevità di storia di questi pezzi di città. Le
periferie sono zone pioniere, di estrema mobilità e in rapida trasformazione. La definizione
di periferie deve rispondere a due requisiti: il primo è quello che le periferie debbano evitare
di inseguire il centro per somigliargli; il secondo è la separazione tra città compatta e non.
La città compatta è quella del progetto, la città borghese, quella che era pensata come un
tutt‟uno. Le discontinuità sono nate da un progetto di città che ha dovuto rispondere
rapidamente al problema dell‟alloggio. Il fenomeno si ripropone un po‟ in tutte le grandi
città d‟Italia dopo la Seconda guerra mondiale. Ciò che hanno in comune queste periferie è,
spesso, un progetto dimenticato.

Rigenerazione tra gentrification e resistenze


Geografia urbana – Governa e Memoli

Il movimento di popolazione, normalmente giovane e di classe agiata, che si concentra nei


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quartieri centrali e storici, dopo la messa in atto di rigenerazione urbana, prende il nome di
gentrification. Questo fenomeno modifica l‟ambiente urbano sia dal punto di vista sociale
che da quello economico. Infatti, poiché aumenta il costo degli immobili, gli antichi
residenti si spostano altrove. È un fenomeno che si è diffuso anche in Italia, per esempio a
Torino, Genova e Palermo.

Le gated communities

Le gated communities sono delle aree residenziali delimitate da recinzioni, provviste di


cancelli presidiati, ad accesso limitato e previa identificazione dell‟ospite. Gli individui che
vivono all‟interno di esse possiedono determinate caratteristiche: hanno un considerevole
capitale economico, con un capitale sociale composto da relazioni ad alto livello e con un
elevato profilo professionale e culturale.

La città interetnica

La globalizzazione ha messo in crisi l‟idea di Stato come luogo in cui coincidono un‟unica
lingua, un‟unica cultura e un‟unica religione, e come luogo chiuso e stabile. Il luogo come
entità unicamente fisica e delimitata rimanda ad una compattezza etnica che non è mai
esistita; i luoghi sono sempre stati aperti agli scambi. Per comprendere la città interetnica è
necessario partire dai percorsi dei migranti. È necessario seguire le reti di relazioni presenti
nei loro percorsi: dai territori di origine fino a quelli di arrivo. I luoghi di interculturalità
sono, per loro natura, ibridi, complessi e di non agevole identificazione. Il manifestarsi di
associazioni solidaristiche rappresenta l‟accettazione della responsabilità della comunità
straniera verso quella dell‟accoglienza. Un altro modo per cogliere la città interetnica è
quello di lavorare sulle rappresentazioni, che oscillano tra uno sguardo stereotipato e uno
critico.

6. Descrivere la città: metodologie, metodi e tecniche


Approcci e metodologie

Ogni descrizione geografica richiede di effettuare delle scelte sia sul versante teorico, quindi le
domande della ricerca e l‟approccio, che su quello metodologico, ovvero quali metodi o tecniche
impiegare. Il metodo ipotetico-deduttivo (dal generale al particolare) parte dalla formulazione
iniziale di ipotesi complessive, è utilizzato dalla geografia nomotetica, cioè che ricerca leggi
generali nel funzionamento dei diversi territori che descrive; il metodo induttivo (dal particolare al
generale) parte dallo studio di casi specifici e definisce possibili generalizzazioni, è utilizzato dalla
geografia idiografica, la quale si concentra su specificità e unicità; il metodo comparativo analizza
contemporaneamente due o più contesti, comparando ad esempio uno o più fenomeni in città
diverse. Altri metodi sono la cartografia e i GIS. I GIS, a partire dalle immagini satellitari,
facilitano la rappresentazione cartografica dei fatti territoriali e la loro mediazione con dati
quantitativi. Non esiste una metodologia unica e “ideale” per descrivere una città, ma diverse
metodologie fra le quali scegliere quella che più risponde ai criteri di:

- Utilità per il perseguimento degli obiettivi;


Geografia urbana – Governa e Memoli

- Coerenza rispetto al quadro teorico definito;


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- Praticabilità rispetto al contesto che si intende descrivere.

Ad esempio, se dobbiamo studiare le caratteristiche economiche delle città, l‟analisi di dati statistici
e l‟uso di metodologie quantitative si rivelerà più utile; mentre, se dobbiamo descrivere gli stili di
vita urbani, in cui alla base vi sono esperienze e soggettività, più utili risulteranno le metodologie
qualitative.

Fra il mito dell‟oggettività e la ricerca della soggettività

Le metodologie utilizzate dalla geografia urbana possono essere distinte in quantitative e


qualitative: le prime si basano sulla misurazione dei fenomeni, degli oggetti e delle relazioni
geografico-spaziali; le seconde si concentrano sulle caratteristiche qualitative dei fenomeni, degli
oggetti e delle relazioni geografico-spaziali. Entrambe presentano vantaggi e svantaggi. Benché
siano spesso state considerate in opposizione o in alternativa, il loro uso può essere anche
complementare. È ormai superata la considerazione secondo la quale le metodologie quantitative
rappresentino la “scienza” perché oggettive, mentre quelle qualitative siano la “non scienza” perché
soggettive, in realtà entrambe presentano vantaggi e limiti.

Vantaggi delle metodologie quantitative  permettono l‟utilizzo del metodo scientifico,


favoriscono il rapporto con altre scienze e consentono una maggiore incisività delle analisi,
rendendo misurabili i comportamenti e le vicende umane;

Limiti delle metodologie quantitative  Alcuni elementi non sono veramente o del tutto
misurabili. Una realtà estremamente complessa come quella urbana verrebbe solo
“semplificata” da quantificazioni e misurazioni. Delle volte, tale semplificazione è
accettabile poiché ci porta a capire cose che altrimenti non saremmo in grado di trattare,
altre volte non lo è perché maschera più cose di quante permetta di svelare. Infine, esse sono
solo apparentemente più precise di quelle qualitative, ma in realtà anche il linguaggio
numerico, in quanto linguaggio, va interpretato attraverso azioni sempre soggettive, che
possono essere imprecise e seguire intuizioni personali, preferenze e pregiudizi.

Vantaggi delle metodologie qualitative  L‟impiego di metodologie qualitative permette


di vedere le attività economiche, le relazioni sociali e il comportamento territoriale degli
individui come un insieme di azioni concrete messe in atto da soggetti reali e non da
“oggetti” di ricerca. Tali metodologie vengono impiegate per descrivere ciò che prima si
considerava non conoscibile, per esempio il ruolo delle emozioni, degli affetti, delle paure,
dei sogni e delle percezioni nello studio dei comportamenti spaziali degli individui e le
relazioni che tutto ciò ha con i processi urbani e territoriali. Questo approccio mette in
evidenza l‟importanza dei soggetti che abitano le realtà urbane, sottolineando la necessità di
dare voce agli ultimi.

Limiti delle metodologie qualitative  Uno dei nodi critici riguarda la possibilità di
generalizzazione, vale a dire che studi di casi specifici e localizzati possono assumere un
valore generale. Un altro riguarda il rapporto che si instaura fra ricercatore e contesto della
ricerca: da un lato abbiamo il ricercatore insider, giudicato positivamente ma impossibile da
attuare, dall‟altro il ricercatore outsider, inevitabile ma giudicato negativamente.
Geografia urbana – Governa e Memoli

Metodologie per la descrizione della città


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Il metodo di studio geografico prevede due fasi: la prima è quella dell‟osservazione, la seconda è
quella della valutazione quantitativa. Il fenomeno urbano si mostra particolarmente adatto
all‟applicazione di procedimenti d‟ordine statistico-quantitativo. Riguardo la definizione di città, un
primo tema è la distinzione tra ciò che è urbano e ciò che non lo è. Si è soliti distinguere tra città e
spazio rurale, tuttavia si tratta di una divisione necessariamente arbitraria. Nonostante ciò, le città
continuano ad essere classificate in base al peso demografico e alla loro estensione spaziale. In base
alla “taglia” urbana troviamo: città piccole, medie, grandi, metropoli, aree metropolitane,
megalopoli ecc. Chiaramente, tutte queste denominazioni soffrono di limiti logici d‟ordine
temporale, cioè non tengono conto delle fasi di crescita e le fasi di decrescita, e contestuali (città in
espansione, in fase di controurbanizzazione). Il tema della taglia demografica permane
discriminante nella pianificazione urbanistica e territoriale, così come nella discussione inerente alla
grandezza ideale che la città possa raggiungere per avere maggiore equilibrio spaziale, crescita
economica, qualità della vita, controllo sociale ecc. Scindiamo il contesto urbano in città-luogo e
città-spazio. La prima si qualifica per la densità e varietà di popolazione, superfici, tassi di crescita,
reddito, attività, unità locali ecc.; la seconda si identifica nei rapporti con il territorio circostante,
quindi flussi, mobilità, trasporti ecc. Già nei primi studi statistici, la città era descritta in base alle
funzioni che vi si svolgevano. L‟analisi funzionale di una città (economica, politica, culturale) ci
rivela soprattutto l‟intensità, la forma e la qualità dei suoi rapporti interni ed esterni. Le funzioni
urbane possono essere suddivise in due tipologie: funzioni speciali, che si ritrovano quindi solo in
alcune città, indicano qualità specifiche proprie ad un‟area urbana e non riproducibili dappertutto, è
il caso della Mecca per l‟Islam; funzioni generali, comuni a tutte le città, proprie al fatto urbano,
tutte le città hanno una centralità religiosa, reti di comunicazioni e trasporti, attività finanziare ecc.
In quest‟ottica, le città si intendono come sistemi di città, e non come città isolate e chiuse. La
teoria delle località centrali di Christaller (1933) è la prima a proporre una sistemazione
metodologica quantitativa nelle discipline territoriali. Tale modello si regge sul presupposto che la
città agisca come luogo centrale, cioè nasce allo scopo di svolgere i compiti necessari alla vita del
territorio. Per cogliere tale centralità urbana non bastano le quantità demografiche, il grado di
importanza di un centro può essere misurato solo in base ai beni e i servizi offerti. Questi, però,
sono offerti dalle città in quantità e qualità differenti e variabili. In base a ciò, Christaller propone
due concetti fondamentali: la soglia della popolazione, cioè la quantità minima di popolazione
necessaria a sostenere l‟offerta di un determinato bene o servizio; il raggio d‟azione di un bene o
servizio, cioè la distanza massima che le persone sono disposte a percorrere per acquistare quel
bene o quel servizio. Il modello di Christaller è una novità perché, mentre prima si utilizzava il
percorso induttivo, egli usa quello deduttivo, cioè parte da un postulato originario e ne deduce una
serie di conseguenze logiche. Ogni città è la località centrale, il nodo focale che serve e governa il
territorio e, con quest‟ultimo, forma un sistema di fatti territoriali interconnessi. A partire dagli anni
‟50, l‟uso di metodi derivati da questa teoria si formalizzerà nel filone di studi della new geography
che interpreta la città come un insieme di componenti distinti, legati tra loro da un certo numero di
relazioni. La tradizionale distinzione tra città industriali, minerarie, commerciali ecc. svanisce in
favore di quella di città/sistema, vale a dire insiemi equiparabili tra loro perché fatti di componenti
confrontabili. La distribuzione urbana è determinata dai condizionamenti spaziali di due
componenti principali: il lavoro e il capitale. Tale priorità economica finirà per coincidere con
Geografia urbana – Governa e Memoli

l‟emergere delle teorie dello sviluppo economico industriale e della connessa espansione dei tassi di
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urbanizzazione.

Descrivere l‟immateriale: soggettività e pratiche urbane

Le metodologie qualitative più consolidate e più comunemente usate sono quelle basate su
fonti orali, fonti testuali e sull‟osservazione diretta. I metodi che interrogano le fonti orali
sono basati sul parlare con le persone, indagano dal punto di vista dei soggetti sociali. Le
fonti orali possono essere utilizzate in forme e modalità diverse, in relazione sia alla scelta
delle persone con cui parlare, sia ai modi con cui si conduce la conversazione. Le interviste
si suddividono in tre forme principali:

1. Strutturate  Sono un elenco predefinito di domande; ad ogni persona si chiedono le


stesse cose e nello stesso ordine. Le domande vanno accuratamente preparate,
devono essere chiare e non ambigue.
2. Semistrutturate  Impiegano una sorta di “guida” alle domande che definisce un
insieme di questioni ordinato, ma flessibile.
3. Non strutturate  Prevedono varie forme di conversazione basate
sull‟improvvisazione e l‟empatia con il soggetto intervistato. A differenza degli altri
due tipi, ogni intervista non strutturata è unica: le domande sono determinate dalle
risposte. Da questo punto di vista, un metodo molto utilizzato dalla geografia urbana
è quello del focus group, caratterizzato dall‟interazione di gruppo. Prevede il
coinvolgimento di un piccolo gruppo di persone chiamate a discutere un tema o una
questione definita dal ricercatore. Quest‟ultimo deve formulare il tema di discussione
in modo da permettere la partecipazione di tutti e favorire lo scambio.

Altre fonti di indagine sono quelle testuali, scritte e iconografiche, che presentano varie
differenze. Possiamo leggere e interpretare testi documentari; descrizioni di città; lo stesso
paesaggio. Ognuna delle fonti può essere interrogata per diverse cose, ad esempio un
articolo di giornale può parlarci dei rapporti tra le élites urbane, una fotografia si interroga
sulle caratteristiche del paesaggio urbano, sulle modificazioni subite dai luoghi nel tempo
oppure sul diverso uso dei luoghi da parte di diversi attori urbani. Il terzo gruppo di
metodologie qualitative è basato sull‟osservazione diretta. Si sottolinea l‟importanza della
ricerca sul campo. Importanti da questo punto di vista sono l‟osservazione partecipante e
l‟approccio etnografico. Tramite l‟esperienza diretta, e abbandonando ogni forma di
interazione formalizzata, il metodo dell‟osservazione partecipante intende incrementare la
conoscenza geografica facendo sì che il ricercatore entri a far parte della città, della sua vita,
delle sue modalità implicite di interazione. Un‟evoluzione dell‟osservazione partecipante è
la “ricerca-azione” che, non solo intende analizzare e descrivere la realtà urbana, ma agire
attivamente per il suo cambiamento, mettendo in gioco la responsabilità sociale e politica
della geografia nelle forme di oppressione e nelle pratiche di resistenza. Le metodologie
qualitative concentrano gli studi di geografia urbana sulle pratiche quotidiane,
l‟imprevedibilità e il carattere routinario delle stesse. Interessante da questo punto di vista è
la flânerie di Walter Benjamin, ispirata alla poesia e ai racconti di Baudelaire ed Edgar Allan
Poe. Le peregrinazioni urbane permettono di immergersi a livello percettivo, emozionale e
sensoriale nei percorsi della città. La capacità di effettuare una descrizione attraverso il
Geografia urbana – Governa e Memoli

vagabondaggio all‟interno della città rimanda alla sensibilità del flâneur di evocare ricordi e
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cogliere gli elementi che caratterizzano quel luogo urbano. Nonostante sia impossibile
razionalizzare la condotta del flâneur, questa pratica permette di comprendere il senso stesso
della città. Negli anni Cinquanta, la pratica del vagabondaggio urbano è ripresa da Guy
Debord che scrive un articolo intitolato Introduzione a una critica della geografia urbana, in
cui propone la psicogeografia per studiare gli effetti della città sui comportamenti affettivi
degli individui. Questo obbiettivo può essere raggiunto perdendosi consapevolmente nella
città attraverso la pratica delle derive urbane. Questo porta all‟elaborazione di mappe
diverse rispetto a quelle ufficiali, perché basate su punti di vista “altri”, sulla soggettività
dello sguardo dei singoli individui.

7. Politica e città: forme di territorializzazione urbana del potere


Potere, politica, città

La città è la forma privilegiata della politica. Nella polis greca si compone la premessa originaria
della relazione tra politica e condizioni urbane: l‟appartenenza alla comunità (cittadinanza); il
governo e i suoi simboli; le forme di controllo e di protezione (il dominio); i presupposti della
partecipazione e dell‟emancipazione (consenso e conflitto). La polis ha una duplice valenza:

1. Unicità ideale tra il corpo fisico della città, gli abitanti e le espressioni di potere;
2. La relazione tra politica e città si fonda sulle condizioni di vantaggio rappresentate dagli
agglomerati urbani per le ragioni del potere

Dalla città si governano, amministrano, organizzano, controllano territori vasti e complessi, locali,
nazionali e internazionali; nella città si determinano le condizioni migliori per la produzione, il
contagio, la diffusione di teorie, idee, lotte e pratiche della politica. Nelle città si concentrano le
forme visibili e simboliche del potere politico, i cosiddetti apparati istituzionali, i quali trovano in
esse i vantaggi della centralità territoriale che facilita la gestione del potere. La politica, quando
deve governare società e territori, utilizza il potere adottando strutture simboliche e operative, come
eserciti e forze di polizia, partiti e sindacati, parlamenti, corti, tribunali, ministeri, amministrazioni
decentrate ecc. Max Weber, nel 1922, fa una distinzione tra potere come forza e potere come
consenso. Per quanto riguarda il primo, intende qualsiasi possibilità di fare valere la propria volontà
attraverso la forza; il secondo, invece, si intende come la possibilità di trovare obbedienza ad un
comando, mediante il potere legittimo. La concezione unidimensionale del potere, lo riduce alle sue
manifestazioni politiche, cioè è il potere visibile, che nelle istituzioni dello Stato costituisce un
sistema socio-territoriale in grado di produrre decisioni capaci di vincolare comportamenti.
Foucault, in particolare, possiede una concezione relazionale del potere. Il potere, cioè, è dato dai
rapporti di forze. Il potere urbano non è trascendente, cioè esterno al mondo, bensì immanente,
ovvero interno al mondo. Ogni stato di potere (condizione di potere) assume una forma politica
finalizzata al controllo dell‟entropia sociale (annullamento delle gerarchie interne al sistema) e a
ridurre il rischio di disordine che ne minaccia la stabilità. Ad ogni stato di potere corrisponde una
forma territoriale politica nella quale coesistono la determinatezza dell‟organizzazione e le
condizioni della sua messa in discussione. Il potere politico urbano si costituisce attraverso la
comunicazione, condizione che può comportare conflitto o consenso. La natura del potere è
inscindibile dall‟urbano: è negli ambiti urbani che si concentrano le attività che procurano,
Geografia urbana – Governa e Memoli

assicurano, replicano e riproducono il potere, e non negli spazi rurali. Il potere, sia esso monarchico
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o repubblicano, designerà una propria città come capitale, insediandovi gli organi e le funzioni che
ha giudicato necessari all‟esercizio della vita pubblica. Tuttavia, che il potere politico si cristallizzi
in un unico luogo è vero solo apparentemente. Il potere non è una prerogativa di una categoria
d‟attori oppure di un‟altra, ma esiste nel momento in cui si crea una relazione tra questi attori; allo
stesso modo, non è prerogativa di un oggetto geografico piuttosto che di un altro, ma si costituisce
nella relazione tra essi. È vero che le capitali abbiano proprietà che le differenziano dalle città che
non lo sono (istituzioni, centralità, risorse, monumenti, carica simbolica ecc.), ma è anche vero che
ogni città abbia una natura politica e intessa relazioni di potere. Si potrebbe distinguere tra le città
del potere politico e le città di potere politico. L‟ipotesi è che la città sia luogo del Potere politico,
attinente al campo delle relazioni intessute tra questa e lo Stato; mentre la città sia luogo del potere
politico, attinente ai campi di relazioni che intesse con l‟economia, la società, la storia, la geografia,
le politiche ecc.

La capitale dello Stato

La fondazione degli Stati territoriali necessita di una città particolarmente grande e autorevole che,
spesso, corrisponde alla capitale politica. La presenza o l‟assenza delle forme materiali di potere
politico determinano la centralità di una città, su tutte le altre. Molte capitali sono città-potere già
prima della costituzione dello Stato (antecedenti o originarie); altre sono fondate ad hoc
(susseguenti o fondate); alcune nascono dallo spostamento da una centralità precedente; in altri
casi, infine, si assiste ad una scissione delle funzioni strategiche in due o più centri. Dunque,
definiamo capitali originarie, fondate e designate. Tra le capitali originarie possiamo annoverare
Parigi, Roma, Londra, Lisbona e Vienna. Innumerevoli volte e in tanti paesi si è verificata la
ridefinizione della capitale politica dello Stato, le cosiddette capitali spostate, a causa di conflitti di
natura politica, territoriale, strategica, civica, culturale. Ne distinguiamo principalmente tre
tipologie:

1. Cambio di quadro politico generale del paese  Il mutamento di scenario politico è


spesso accompagnato dallo spostamento della capitale, quale segno simbolico, materiale e
strategico delle avvenute modificazioni. Si pensi agli avvenimenti degli Stati africani negli
anni seguenti la decolonizzazione, oppure al cambio di centralità determinato dalla
Rivoluzione d‟ottobre del 1917 che riporta la capitale della “europea” San Pietroburgo alla
maggiormente “orientale” Mosca.
2. Riposizionamento politico-territoriale  In alcuni casi, lo spostamento della capitale
avviene in ragione di un cambio strategico di direzione e ri-equilibrio territoriale dello
spazio nazionale. È il caso della Turchia con lo spostamento da Istanbul ad Ankara, o del
Brasile da Rio de Janeiro a Brasilia. In questi due Paesi si può scorgere dalle loro scelte
anche la necessità di distinguere la città luogo dell‟istituzione politica dai centri principali e
di maggiore potere. Infatti, la metropoli primaziale presenta il rischio di esporre il territorio
nazionale agli interessi e legami internazionali più che a quelli nazionali. Per questo, in
quest‟ottica, lo spostamento verso questi centri minori protegge l‟indipendenza e
l‟autonomia dello Stato.
3. Pacificazione tra più poli in conflitto  Nei territori coloniali e nei giovani Stati nati dalle
indipendenze, soprattutto nei primi anni dalle loro indipendenze, lo spostamento delle
capitali è molto comune. È il caso del Canada, la cui capitale oggi è Ottawa, o degli Stati
Geografia urbana – Governa e Memoli

Uniti che hanno costruito ex novo Washington rendendola capitale. Gli interessi locali
30
contrastanti, come nel caso della comunità francofona e quella anglofona in Canada, trovano
esempi di compromesso politico-territoriali sui rischi di egemonizzare il governo del Paese
da parte di una comunità sulle altre.
Forme della politica nella città: occasioni internazionali e ribellismo urbano

Gli elementi di cui si compone lo status delle città capitali sono diversi e difficili da definire. In
primo luogo, vi sono le condizioni dimensionali, ovvero l‟estensione territoriale, la densità
demografica, le risorse, la ricchezza della popolazione. Nonostante la rilevanza di questi elementi
quantitativi, però, essi non bastano a definirne il ruolo. Infatti, molto spesso, la capitale è una città
in tal senso “minore” rispetto ad altre. In secondo luogo, abbiamo condizioni relazionali di natura
politica intessute dalla città capitale. Anche la presenza di tali elementi, però, non individua
inequivocabilmente la superiorità della capitale, in quanto città seconde, ex capitali, città
internazionali, riescono ad espandere il loro dinamismo politico nonostante la loro “perifericità”
istituzionale. Una terza classe di fattori riguarda la capacità di controllo territoriale, tanto
economico quanto emozionale. Se, come abbiamo detto, per Foucault il potere deve essere inteso
come qualcosa che circola, che non appartiene esclusivamente ad una classe piuttosto che ad
un‟altra, è possibile ipotizzare che le città del potere politico si diffondono, diventano tutte, non si
concentrano in una sola sede, non vi è più una dominante e tante dominate. Ogni città è prova di
territorializzazione della politica: ogni città esprime proprie dimensioni, capacità relazionali e di
controllo. La sfera politica non si concentra e non si esaurisce nelle capitali degli Stati.

Le occasioni urbane della politica internazionale

I summit e i grandi eventi della politica internazionale spesso oggigiorno avvengono in


piccoli centri. Prima, queste occasioni politiche erano appannaggio delle città primato o
delle capitali. Oggi invece, questi piccoli centri divengono nuove città della politica. La
scelta di delocalizzare questi grandi eventi in centri più piccoli è anche, soprattutto, una
risposta per contrastare la concentrazione di movimenti di protesta ed opposizione e dunque
di ridurre gli scontri. Ad esempio, l‟organizzazione dei summit G7/G8 è stata decentrata
verso città meno note o più isolate, ciò anche in ragione degli scontri avvenuti in occasione
del G8 di Genova nel luglio 2001. Città più decentrate sono meno raggiungibili, più
controllabili, presentano ambienti sociali meno complessi.

Scenari del ribellismo urbano

Questi grandi eventi assumono un rilievo urbano per diversi fattori:

1. Il primo fattore riguarda la natura dello spazio urbano in cui avvengono questi eventi
(i sistemi metropolitani facilitano l‟affluenza, l‟accesso ecc.);
2. Un secondo fattore riguarda la gestione dell‟ordine pubblico, affidata alle forze di
polizia;
3. Un terzo fattore riguarda la natura politica della città e dell‟ambiente urbano
(esistono prossimità di strati sociali oppositivi) che favorisce le pratiche di conflitto,
della messa in discussione del potere.
Geografia urbana – Governa e Memoli

Elementi psico-geografici (Guy Debord)  riguarda gli effetti che l'ambiente geografico esercita
31
sul comportamento umano. La città può produrre effetti politici in virtù dei suoi significati simbolici
e psicologici. Ne è un esempio il maggio francese del 1968 quando riappaiono le barricate.

Manuel Castells ha lavorato molto sulle lotte urbane con riferimento alla giustizia sociale. Secondo
Castells, fenomeni urbani come le condizioni legate all‟alloggio, all‟accesso ai servizi (sanità,
istruzione, trasporti ecc.), all‟isolamento delle periferie, alla condizione delle minoranze ecc. sono
derivanti dalle contraddizioni sociali che formano una consapevolezza politica della
partecipazione, mettono in discussione l‟ordine esistente.

Dalla svolta neoliberista, nelle città contemporanee si sono prodotte molte situazioni di
marginalizzazione e di conflitto urbano e suburbano. Ricordiamo ad esempio le banlieues francesi
nel 2005; la riappropriazione dello spazio pubblico del centro storico di Napoli; le rivolte legate alla
raccolta di rifiuti. D‟altra parte, i luoghi della marginalità urbana rappresentano lo spazio sociale e
fisico dell‟inventiva, della solidarietà, dei legami sociali, ma anche il contesto di forme di
resistenza.

Harvey: “la rivoluzione sarebbe stata urbana… o non sarebbe stata affatto”.

8. Attori, città e politiche urbane


Popolazioni urbane e rappresentazioni della città

Le popolazioni che abitano la città sono i principali attori implicati nella formazione delle politiche
urbane e delle “immagini di città”. Guido Martinotti, considerando le tre principali attività che i
soggetti svolgono nella città (abitare, lavorare e consumare), distingue quattro “popolazioni” tra gli
abitanti delle città e metropoli contemporanee:

1. I residenti  Abitano, vivono e lavorano nella città;


2. I pendolari  Non abitano, ma lavorano e a volte consumano nella città;
3. I city-users  Non abitano e non lavorano, ma consumano nella città;
4. Metropolitan businessmen  Non abitano, ma lavorano e consumano nella città.

Tuttavia, questa suddivisione della popolazione urbana non tiene conto né che i comportamenti
spaziali degli individui e dei gruppi sono influenzati dalle pratiche, né della pluriappartenenza dei
soggetti (un individuo può appartenere contemporaneamente a più popolazioni). Le quattro
popolazioni hanno bisogni diversi e diversi interessi in merito alla trasformazione urbana: i residenti
possono essere interessati alle politiche di limitazione del traffico, mentre i pendolari possono
essere maggiormente interessati alle politiche che favoriscono la mobilità; i city-users possono
richiedere iniziative che favoriscano l‟accesso ai servizi per lo svago e il consumo. L‟interazione fra
le diverse immagini di una città può essere cooperativa oppure conflittuale, risultando come un
gioco di potere in cui i vari soggetti lottano, mettendo in gioco le proprie risorse. La rilevanza delle
immagini per il territorio è dunque, prima di tutto, politica.

Problemi pubblici, problemi della città: chi fa e cosa sono le politiche urbane?

Le politiche urbane sono un ambito specifico delle politiche pubbliche. Fra i diversi soggetti che
abitano la città, alcuni, per esempio politici e amministratori, hanno la responsabilità
Geografia urbana – Governa e Memoli

rappresentativa e le competenze istituzionali di organizzare le trasformazioni urbane, articolando e


32
traducendo le filosofie politiche generali in programmi di azione. La politica (politic) è l‟insieme
degli orientamenti politici generali; le politiche (policy) sono le scelte e le azioni messe in atto da un
insieme di soggetti per la soluzione di un problema pubblico. Le politiche pubbliche non sono fatte
solo dai soggetti, per definizione, pubblici (Comune, Regione, Sindaco, Assessore, Ministro), ma da
una pluralità di attori che agiscono (o non agiscono) per trattare un problema collettivo. Le politiche
pubbliche, infatti, non sono fatte solo di azioni, ma anche di non-azioni: la non-decisione è, di per
sé, una decisione. Il carattere pubblico delle politiche pubbliche non è definito dagli attori che fanno
la politica, ma dal problema che le politiche affrontano, cioè se questo è un problema pubblico o
percepito come tale. Le politiche urbane possono essere definite in due modi diversi: il primo è
definirle come quell‟insieme di azioni che, generalmente, si svolgono nella città oppure hanno
ricadute sulla città. Tuttavia, in questo caso, sarebbe solo la localizzazione delle azioni a renderle
tale, e non il problema che affrontano. Un secondo modo di definirle riguarda il problema che esse
affrontano, cioè avremo politiche urbane quando queste affronteranno un problema
specificatamente urbano. Secondo questa seconda considerazione, le politiche urbane sono:

1. Locali  perché il problema che caratterizza l‟insieme di azioni è individuato e trattato con
riferimento ad un ambito territoriale specifico, ovvero la città.
2. Integrate  perché non riguardano solo un ambito di politiche settoriali, ma sono capaci di
comprendere le diverse dimensioni dei problemi territoriali e soprattutto le interdipendenze
tra tali dimensioni.
3. Multiattoriali  perché vedono la partecipazione di una molteplicità di attori e non solo
soggetti pubblici, ma anche da altri soggetti come le imprese, associazioni di categoria, i
sindacati, comitati di quartiere, gruppi di cittadini ecc.
4. Multilivello  perché le dinamiche urbane devono considerare la rete transcalare (locale,
regionale, nazionale, sovranazionale) che investe la città.

Vecchie e nuove pratiche urbane

Nelle politiche urbane, il soggetto pubblico riveste un ruolo specifico. Il governo centrale è
affiancato da livelli di governo decentrati, che agiscono su ambiti territoriali più piccoli rispetto a
quello nazionale. Il ruolo del soggetto pubblico non è uguale dappertutto e non è stabile o
immutabile, ma si modifica in relazione al cambiamento dell‟organizzazione istituzionale dello
Stato. L‟urbanistica moderna nasce alla fine del XIX secolo, quando diventa necessario intervenire
sistematicamente nella regolazione della crescita e dell‟organizzazione della città. L‟avvento della
Rivoluzione industriale ha pesanti conseguenze a livello sociale e a livello di salute e qualità della
vita nelle città industriali. Nella descrizione delle città inglesi di fine Ottocento, Engels evidenzia
una divisione dei quartieri per classi sociali: i quartieri degli operai sono spesso malsani e poveri. In
risposta ai mali della città industriale vi sono tre filoni principali: il filone del socialismo utopista,
il quale vuole costruire una nuova città per dare avvio ad una nuova società; il filone igienico-
sanitario, che si propone di realizzare interventi tecnici; il filone socialista, che propone una
trasformazione della società nel suo insieme. Nel corso del Novecento, nei Paesi occidentali, il
ruolo esercitato dal soggetto pubblico (tenendo conto delle sue articolazioni su più livelli) può
essere descritto individuando due momenti:
Geografia urbana – Governa e Memoli

1. Trentennio glorioso (1945-1975)  durante questo periodo abbiamo un modello di


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produzione (fordismo) e uno specifico modello di regolazione economica e sociale dove il
governo locale erogava solo i servizi di trasporti, sanità, istruzione, assistenza ecc.
finanziati dallo Stato centrale;
2. Gli anni „70  dal punto di vista istituzionale ci sono 3 aspetti da prendere in
considerazione: 1) La ridefinizione della sovranità statale. Difatti acquisiscono importanza
organismi e istituzioni sovra-statali. 2) Il superamento del cosiddetto “stato piramide” a
favore dello “stato rete”, che porta al superamento delle relazioni gerarchiche fra i diversi
livelli istituzionali. 3) Il decentramento politico e istituzionale di competenze e l‟affermarsi
del principio di sussidiarietà (se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito,
l'ente superiore non deve intervenire).

All‟interno di questo nuovo quadro, cambiano il ruolo e la modalità di azione del soggetto pubblico,
il quale passa dall‟avere un ruolo decisionale all‟avere un ruolo di accompagnamento. In mancanza
di risorse finanziarie, e dunque con la necessità di attrarre risorse esterne, il soggetto pubblico si fa
da imprenditore costruendo accordi con gruppi privati (banche, imprese private, associazioni di
categoria ecc.) che spesso ne influenzano ed indirizzano gli obiettivi delle politiche. Un ruolo
importante in questo senso è giocato anche dall‟Unione Europea. Queste politiche sono basate su
una visione della città come prodotto economico, una urban growth machine che compete sullo
scenario mondiale al fine di attrarre risorse finanziare e investitori. In altre parole, il successo delle
azioni delle élites politiche locali dipende dalla loro capacità di accedere a risorse esterne.

Dal governo urbano alla governance delle città

Government e governance

Il termine “governo” (government) indica il potere dello Stato; il termine “governance”


indica l‟insieme delle relazioni che si instaurano tra attori anche estranei all‟arena politica.
Ciò si attua con: procedure contrattuali; partenariato fra attori pubblici e privati;
coinvolgimento e partecipazione dei cittadini ai processi decisionali. Dunque gli elementi
essenziali della governance possono essere sintetizzati così: una pluralità di attori e di
interessi che entrano in gioco; ridefinizione del ruolo del soggetto pubblico che diventa
enabler piuttosto che provider. La differenza tra government e governance è chiarita da
diversi autori. Dente definisce “governance” l‟insieme di azioni e pratiche che connotano
l‟esercizio del governo; “government” riguarda le istituzioni politiche e le loro strutture. La
government prevede il coinvolgimento dei governmental actors, ovvero dei soggetti
appartenenti alle istituzioni del governo; la governance, invece, prevede non solo la
partecipazione degli attori istituzionali, ma anche dei non-governmental actors, ovvero i
soggetti esterni all‟arena politica, come imprese private, mass media, organizzazioni
sovranazionali ecc. L‟impiego del termine governance, tuttavia, è abbastanza impreciso sul
piano teorico e metodologico. Possiamo distinguere diverse accezioni del termine:
definizioni di tipo istituzionale; riferimenti teorici e gli ambiti di esercizio in cui si attuano
azioni di governance.

Definizioni istituzionali
Geografia urbana – Governa e Memoli

Alla fine degli anni ‟80, la Banca Mondiale introduce il termine good governance per
34
valutare gli investimenti nei paesi del Sud del mondo secondo modalità trasparenti ed
efficienti. Secondo la Banca Mondiale le azioni di good governance sono basate su relazioni
tra Stato, società civile ed economia privata. Anche il Centro delle Nazioni Unite per
l‟insediamento Umano indica nella buona governance una risposta efficiente ed efficace ai
problemi urbani da parte dei governi responsabili. L’UE: Nel 2001 l‟UE promulga il Libro
bianco sulla governance europea in cui sono definiti i principi generali relativi all‟uso del
termine e ai suoi ambiti di applicazione nel territorio comunitario. Nell‟impostazione
dell‟Unione Europea, la governance è indicata come strategia generale per rafforzare due
principi: Proporzionalità  le misure scelte sono proporzionate al raggiungimento degli
obiettivi; Sussidiarietà  vedere se il livello europeo è quello più appropriato nel mettere
in campo delle misure. Il dibattito sulla governance è stato oggetto di alcune critiche: Good
governance di stampo neoliberista  la concezione di good governance della Banca
Mondiale deriva dalla corporate governance (governance delle imprese), dunque è basata
sul modello neoliberista occidentale: le politiche e gli investimenti nei Paesi del Sud del
mondo non tengono conto delle specificità dei diversi contesti.

Interpretazioni teoriche e ambiti di applicazione

Ci sono diversi ambiti di interpretazione della governance:

1. Minimal State: un primo ambito di interpretazioni considera la governance come


sinonimo di minimal state, che indica la “ritirata” dell‟intervento del soggetto
pubblico nell‟erogazione dei servizi pubblici, e la conseguente avanzata dei privati
nella loro erogazione. Tuttavia, un indizio della svolta aziendalistica
nell‟organizzazione del soggetto pubblico lo si individua anche nella
riorganizzazione della macchina amministrativa municipale. Infatti, in diversi Paesi,
tra cui l‟Italia, è stata introdotta la figura del city manager. Tale innovazione si
iscrive perfettamente nella prospettiva città-impresa: il city manager introduce
capacità manageriali nell‟ambito dell‟azione del soggetto pubblico al fine di
migliorare la gestione delle risorse finanziarie.
2. Secondo altri autori, tra cui Stoker, il termine governance enfatizza il cambiamento
rispetto al passato in relazione alla sempre maggiore importanza assunta da una
pluralità di attori e alla molteplicità delle forme di azione che possono mettere in
gioco. Questa interpretazione mostra il superamento delle separazioni tra pubblico-
privato-società civile, ma prevede una commistione degli stessi.

La città è vista così come un attore collettivo. Tuttavia, ciò non vuol dire pensare alla città
senza differenze o conflitti. Ed ancora, questo attore collettivo non è dunque fatto da attori e
organizzazioni che fanno parte esclusivamente del livello urbano, ma la governance urbana è
definita come governance multilivello, in cui assumono rilevanza centrale le relazioni
transcalari fra attori che si muovono, agiscono ed hanno interessi a diverse scale.

Potenzialità e limiti della governance urbana

Vedremo adesso quali sono le caratteristiche e i limiti della governance urbana:


Geografia urbana – Governa e Memoli

Caratteristiche:
35
1. costituisce una modalità di organizzazione di una pluralità di attori che si fonda sulla
costruzione di partenariati e coalizioni (attori pubblici e privati) orientati verso il
raggiungimento di un obiettivo definito congiuntamente.
2. deriva dal gioco di contrattazione tra attori e interessi in cui si scambiano risorse e si
costruiscono obiettivi.
3. non è connessa unicamente al ruolo delle istituzioni formali (attori del governo), ma dalle
relazioni che instaura.

Limiti:

1. complessità del contesto città in cui si costruiscono le azioni di governance: elementi di


conflittualità urbana ecc.
2. difficoltà nel far combaciare una molteplicità di attori ed interessi: allungamento dei
tempi delle politiche; il cambiamento del ruolo del soggetto pubblico (diventa ruolo di
accompagnatore); la modalità della partecipazione degli abitanti ai processi decisionali
senza riuscire ad incidere attivamente sulle trasformazioni urbane; capire chi detiene
l‟accountability (chi è responsabile delle decisioni).
La governance delle città europee fra competitività e coesione

In generale, la governance urbana indica un cambiamento del modo in cui si costruiscono le


politiche urbane. Principalmente due ambiti di politiche urbane: rigenerazione urbana;
promozione dello sviluppo economico, attrazione di investimenti, imprese ed eventi.

Governance urbana e rigenerazione della città

Politiche di rigenerazione urbana: si intende quell‟insieme di azioni e interventi messi in


atto in “parti” specifiche della città caratterizzate da situazioni più o meno acute di degrado,
fisico e sociale, per promuovere migliori condizioni di vita e di qualità urbana.

Alla fine degli anni sessanta, i quartieri più poveri di molte città nordamericane furono
interessati da interventi di rigenerazione urbana, spesso consistenti in operazioni di
demolizione delle parti più degradate dei quartieri per fare spazio a investimenti pubblici e
privati e a interventi infrastrutturali per rispondere alle esigenze di città. Spesso queste
operazioni hanno però determinato l‟espulsione degli abitanti originari, spesso quelli di
colore (urban renewal).

La rigenerazione urbana in Europa si attiva soprattutto dagli anni 70 con la crisi del modello
fordista e i conseguenti processi di deindustrializzazione che ne derivarono e che investirono
tuttavia le città nel loro complesso.

Ciò provocò i cosiddetti “vuoti urbani”. E la rigenerazione urbana si concentra proprio in


questi vuoti lasciati dalle fabbriche abbandonate e dagli stabilimenti dismessi (ricordiamo il
caso di Torino con la trasformazione dello stabilimento FIAT del Lingotto sulla base del
progetto di Renzo Piano).
Geografia urbana – Governa e Memoli

grandi edifici e infrastrutture: centri direzionali, centri culturali, edifici per servizi e uffici,
36
parchi tecnologici, strutture sportive ecc.

La rigenerazione urbana dunque assume i connotati dei grandi progetti: ne è un esempio il


Museo Guggenheim di Bilbao.

Tuttavia questi processi hanno poco o nulla a che vedere con l‟attenzione ai temi della
coesione sociale e si risolvono in meccanismi di pura valorizzazione immobiliare sembra
che il contenitore sia più importante del contenuto. La visione della città assume dunque
le caratteristiche del neoliberismo urbano dove contano i meccanismi del mercato e della
competitività economica.

Aumentano così le polarizzazioni sociali. Ci sono: coloro che hanno le competenze per
integrarsi in questo nuovo sistema; coloro che non hanno tali competenze e che vivono in
condizioni sempre più precarie.

Ovviamente il tutto accompagnato dalla “ritirata” del ruolo del soggetto pubblico nella
fornitura dei servizi pubblici e dalla crisi del welfare state.

L‟Unione Europea ha promosso iniziative e programmi di rigenerazione urbana diffondendo


alcuni principi chiave: combattere l‟emarginazione sociale; difendere l‟ambiente;
integrazione delle minoranze; sviluppo sostenibile; coinvolgimento degli abitanti nei
processi decisionali.

Ricordiamo in particolare l‟iniziativa Urban con due esperienze:

1. Urban I (1994-1999): ha dato luogo ad attività di progettazione a livello locale.


2. Urban II (2000-2006): ha coinvolto città caratterizzate da situazioni più
problematiche dal punto di vista socio-economico.

Governance della città e promozione dello sviluppo economico urbano

Un secondo ambito di politiche urbane in cui si trovano tracce di governance è quello delle
politiche per la competitività. L‟obiettivo di queste politiche è lo sviluppo economico
urbano e il coinvolgimento degli attori forti (investitori, imprenditori ecc.)

In queste forme di governance, le città sono considerate come attori competitivi che
agiscono nel mercato globale, competendo con altre città, per accaparrarsi risorse (eventi,
investimenti ecc.). A tal fine, esse attuano:

- piani strategici: il più recente è un approccio “reticolare-visionario” dove il


coinvolgimento delle élites urbane è una modalità attraverso cui definire strategie ed
obiettivi condivisi. Molte città nel corso degli anni hanno attuato piani strategici
(Barcellona nel 1988 ne è un esempio, per prepararsi alle Olimpiadi 1992).
- strategie di marketing urbano: il marketing delle città nasce per rispondere al nuovo
insieme di obiettivi cui i soggetti pubblici sono chiamati a rispondere nel nuovo
clima economico che si innesca dagli anni 80. Le città devono contendersi
l‟attrazione di residenti, turisti, investimenti, imprese: assumono un ruolo centrale la
Geografia urbana – Governa e Memoli

concorrenza e la competitività. Di conseguenza, la città è vista come un prodotto


37
da vendere.

In altre parole, il campo d‟azione principale del marketing urbano è la promozione della
città come sede ideale per gli investimenti.

Limiti dei piani strategici e delle strategie di marketing urbano

In primo luogo, la governance urbana che prende forma attraverso piani strategici o azioni di
marketing appare spesso come un insieme di obiettivi generici, incapaci quindi di esprimere
una capacità effettiva di azione. In secondo luogo, le forme di governance affermano solo in
parte l‟esistenza di interessi condivisi pienamente dagli attori. Infatti è difficile percepire dai
piani strategici e dalle strategie di marketing urbano, la presenza di differenti visioni del
governo delle città. Ciò poiché, spesso, la governance finalizzata allo sviluppo economico e
alla competitività rischia di ridursi alla promozione della strategia espressa dalle classi
dominanti, senza dare spazio a visioni alternative dello sviluppo urbano.

9. Metamorfosi urbane. Progetti, pratiche e riusi della città


contemporanea
Metamorfosi urbane

Le città contemporanee sono soggette a spinte economiche, politiche, sociali, culturali, migratorie
che producono effetti spaziali sulla sua forma fisica e sulle sue modalità di governo. I paesaggi di
alcuni spazi urbani sembrano evolvere, cambiare funzione o rivitalizzarsi. Tuttavia le tracce
primordiali non scompaiono del tutto, spesso riappaiono nella nostra mente come memoria e
immaginario. Ciò avviene anche per una questione di inerzia urbana, ovvero un retaggio
originario da cui poter ripartire per la ricostruzione di una città in seguito crisi o catastrofi di diversa
natura. Nonostante i cambiamenti, la rimodernizzazione, la ristrutturazione industriale, la
riqualificazione dei territori non si può cancellare la memoria del territorio. I mutamenti delle
città sono dettati contemporaneamente da trasformazioni:

- dall‟alto  trasformazioni indotte dalle politiche, dagli attori istituzionali pubblici e


privati forti.
- dal basso  trasformazioni indotte dagli attori ordinari (residenti, migranti, pendolari
ecc.) con pratiche sociali, forme di appropriazione, riqualificazione che con temporalità e
modalità differenti usano, vivono, percorrono, animano e significano le città.
Consumo privato di spazio e spazio pubblico del consumo

Gli spazi pubblici costituiscono il motore della rigenerazione e dell‟animazione urbana. Il concetto
di spazio pubblico è ripreso, nelle scienze sociali, da Habermas nel 1962; si diffonde, poi, nel
linguaggio politico, urbano, geografico ecc. assumendo nuovi significati. Lo spazio pubblico viene
contemplato come dispositivo di socializzazione della città, in opposizione allo spazio privato
abitativo. Ragionare sullo spazio pubblico della città contemporanea vuol dire fondamentalmente
considerare l‟instabilità costitutiva del suo status in relazione agli usi sociali che vi prendono
luogo. Dal punto di vista sociale, uno spazio, purché pubblico, implica che chi lo pratica realizzi un
“accordo minimo” sulla maniera di poterne usufruire collettivamente. Gli spazi pubblici
Geografia urbana – Governa e Memoli

comportano una doppia dimensione egualitaria sulla condizione del libero accesso: tutti hanno la
38
possibilità e il diritto di praticarli e di usarli; ognuno si sottopone allo sguardo dell‟altro. Tuttavia,
vi sono spazi pubblici retti da norme particolari o politiche di uso che ne regolamentano le pratiche.
Dunque, negli spazi pubblici alcune cose possono farsi, altre no, alcune sempre, altre
saltuariamente, altre mai. L‟utilizzo degli spazi pubblici, inoltre, dipende da diverse variabili, come
quella climatica o come il passaggio dal giorno alla notte. I ritmi sociali dello spazio pubblico sono
stati concettualizzati da Henry Lefebvre attraverso un approccio definito rythmanalyse. L‟autore
sostiene che ogni città ha un proprio ritmo: quest‟ultimo si ritrova nei tempi dell‟organizzazione
sociale del quotidiano, nelle sonorità, nelle voci e nei rumori delle strade. Guidare al Cairo è
un‟esperienza diversa rispetto a farlo a Milano. L‟appropriazione sociale degli spazi pubblici
produce forme di aggregazione di individui e gruppi, ma anche disordine e caos urbano. Tuttavia,
come suggerisce Sennett: “il disordine è una risorsa della città”.

Dalle politiche agli interventi: aree dismesse, waterfront e centri storici

Nelle città contemporanee sono stati frequenti i processi di dismissione e di riuso di alcune parti. Si
tratta perlopiù di aree abbandonate come aree industriali dismesse (a partire dalla fase di
deindustrializzazione), spazi residenziali, edifici di interesse pubblico (scuole, ospedali ecc.), porti,
aeroporti. Spesso queste aree sono situate in zone periferiche, peri-centrali, o waterfront, e con la
loro dismissione hanno originato i cosiddetti vuoti urbani. Nel contesto post-fordista questi spazi
assumono un notevole rilievo, e sono sottoposti a processi di riconversione e di riqualificazione
all‟interno di politiche di rigenerazione.

- Vuoti industriali  in un quadro politico-economico caratterizzato da una progressiva


limitazione dell‟intervento pubblico, le operazioni di riconversione vedono sempre più
coinvolti gli interessi di attori privati.
- Waterfront  la rigenerazione dei waterfront – in seguito alla necessità di ristrutturare le
funzioni industriali e portuali che sorgono sul mare – costituisce un ambito esemplare
per cogliere le trasformazioni in corso. Il processo è iniziato negli Stati Uniti nel decennio
1950-1960 interessando Baltimora e San Francisco, e si è successivamente esteso in
Inghilterra e nelle principali agglomerazioni portuali dei Paesi mediterranei e in metropoli
asiatiche.
- Centri storici  anche i centri storici hanno fatto registrare trasformazioni importanti, dopo
aver subito fasi di degrado caratterizzate dal disinteresse, dall‟incuria, dalla pauperizzazione
delle popolazioni residenti. A partire dagli ultimi decenni del XX secolo, molti centri storici
hanno vissuto dinamiche di rigenerazione con conseguenze anche dal punto di vista del
tessuto sociale locale. In particolare, ciò ha dato luogo ai processi di gentrificazione e
quindi di sostituzione della popolazione più povera con i ceti più abbienti.

Il “progetto urbano” nella città contemporanea: l‟incerto rapporto fra pubblico e privato

Molte trasformazioni si attuano nell‟alveo di ciò che, in ambito internazionale, si definisce


“progetto urbano” (in Italia definito “progetto urbanistico”). Il progetto urbano viene sempre
più realizzato in autonomia rispetto alla pianificazione della città. Dunque vi sono degli
interventi isolati finanche decontestualizzati dagli altri. Tale regime viene detto “Island
planning”. Si afferma dunque questo nuovo paradigma di azione: Governare per progetto.
Geografia urbana – Governa e Memoli

L‟agire per progetto tende a prediligere forme negoziali, partenariali (tra pubblico e privato)
39
nelle scelte da adottare. Spesso per i progetti di rigenerazione urbana emergono logiche
privatiste e ultraliberiste che tendono a privatizzare intere fasi progettuali e dunque spesso
non avviene alcun coinvolgimento della società civile. Spesso, per la realizzazione dei
progetti urbani dove ci sono attori privati forti, sono attuate delle deroghe alle norme vigenti sia
in campo fiscale che urbanistico. A giustificarle vengono elencate varie ragioni: favorire lo
sviluppo economico e l‟occupazione, fornire servizi. Ovviamente il rischio è quello di favorire
solo gli interessi privati a scapito di quelli collettivi (ad esempio della tutela degli spazi verdi,
della preservazione di alcune aree particolari ecc.). Dunque, sempre con maggiore frequenza,
associazioni di abitanti, ambientalisti ecc. mettono in atto delle pratiche di opposizione e di
critica verso tali interventi. Ad esempio alcuni di essi riguardano la decisione di realizzare
discariche e inceneritori, l‟edificazione di centri commerciali, strutture ricettive. Anche
l‟edificazione di monumenti può risultare oggetto di critiche e proteste. La Grande Moschea
Hassan II di Casablanca, inaugurata nel 1993, ad esempio, è stata contestata soprattutto perché
il programma urbanistico prevedeva la realizzazione di un asse viario di collegamento tra il
complesso monumentale e il centro della città, con la conseguente demolizione dei quartieri
vicini e la delocalizzazione forzata di decine di migliaia di persone.

Il “modello” di rigenerazione urbana di Barcellona

L‟esempio di Barcellona risulta esemplificativo non solo delle tre diverse tipologie di spazi che
stiamo analizzando (spazio pubblico, waterfront, centri storici) ma anche per cogliere le
politiche adottate e i loro effetti. La preparazione della città alle Olimpiadi del 1992 è stata
concepita strategicamente nel senso della sostenibilità e del riuso successivo e ordinario di
spazi, strutture, attrezzature e servizi realizzati per l‟evento. Tra le operazioni principali
ricordiamo: riconquista del fronte marittimo con la riconversione e bonifica delle aree industriali
prossime al mare; la disposizione di un lungomare pedonale; l‟edificazione del Forum, cioè un
grande centro congressi ed impianto polifunzionale. Nel Poblenou, quartiere popolare ed
operaio è in corso un intervento di rigenerazione chiamato 22@ (22 Arobas): il numero 22
riprende il codice di destinazione d‟uso industriale indicato nei vecchi piani urbanistici, mentre
la chiocciola è emblema della nuova funzione tecnologica e di servizi a cui è destinato il
quartiere. Tuttavia, nel corso dei primi anni del nuovo secolo, le operazioni hanno assunto una
marcata impronta neoliberista a scapito del ruolo di coordinamento assunto dagli attori
istituzionali locali e dell‟attenzione posta agli spazi pubblici. La crescente iniziativa privata
accompagnata da una speculazione immobiliare ha favorito i processi di gentrificazione.
Anche il centro storico (Ciutat Vella) ha conosciuto grandi trasformazioni. Questa era segnata
da un‟immagine prevalentemente negativa, in ragione del degrado urbano e sociale. Tuttavia, gli
attori pubblici hanno tenuto maggiormente a freno gli appetiti degli speculatori, anche se, con i
processi di riqualificazione c‟è stato un inevitabile aumento dei prezzi del mercato immobiliare.
Oggi la Ciutat Vella è composta da una popolazione molto eterogenea e coniuga al suo interno i
monumenti della città, attività commerciali, ludiche, culturali e turistiche. La folla multicolore e
multietnica di vecchi e nuovi abitanti e di turisti, la presenza di artisti di strada, piazzette
ricolme di tavolini di caffè, ristoranti animati ecc. corrisponde al successo della riconquista del
centro storico e dei suoi spazi pubblici.

Il ruolo dei “contenitori culturali” nei processi di rigenerazione urbana


Geografia urbana – Governa e Memoli

Centro Pompidou di Parigi  riguarda l‟apertura del centro culturale e museale del Beaubourg
40
a Parigi. Esso è concepito con uno stile innovativo dagli architetti Renzo Piano e Rogers e fu
realizzato negli anni 70 nello spiazzo di un quartiere allora malfamato e fatiscente.

Museo Guggenheim di Bilbao  ricordiamo anche il Museo Guggenheim di Bilbao realizzato


dall‟architetto Frank O Gehry. Esso ha una struttura metallica. La realizzazione del museo ha
integrato arte, architettura e spazi dismessi con ricadute territoriali notevoli sia sulla
rigenerazione del quartiere, sia sull‟immagine globale della città.

Istanbul  a Istanbul vi è stata la riconversione di una centrale elettrica dismessa in un campus


di un‟università privata. L‟iniziativa si inserisce in una dinamica neoliberista riguardo l‟uso di
spazi dismessi.

Napoli  la realizzazione di questo tipo di operazioni può richiedere anche tempi molto lunghi,
per ragioni d‟ordine politico (l‟assunzione della decisione e delle scelte strategiche), economico
(la disponibilità dei capitali), tecnico-urbanistico (le opzioni di progettazione), ambientale (la
bonifica di aree industriali molto inquinate). È il caso della riconversione del quartiere
industriale di Bagnoli, avviata negli anni 90 in seguito alla dismissione dell‟impianto
siderurgico dell‟Italsider.

La rivincita contemporanea dei centri storici

Vecchi o più recenti quartieri centrali di tante città sono stati investiti da varie forme di
rigenerazione. Spesso ciò ha comportato mutazioni radicali del tessuto urbano, come
conseguenza di politiche pubbliche o di iniziative private speculative in contrasto con una presa
di coscienza dei valori patrimoniali collettivi. Tali operazioni hanno comportato lo sventramento
di interi quartieri, la demolizione di antichi edifici e la costruzione di nuovi. Le trasformazioni
in questo caso si sono avvalse della spinta innovativa e creativa delle generazioni più giovani e
anche della presenza di abitanti stranieri.

Napoli ha conosciuto una fase di rilancio a partire dalla riconquista degli spazi della sua
centralità storica. È il G7 del 1994 a costituire l‟occasione per ripensare al progetto per la città.
Gli elementi fondanti della riappropriazione collettiva del centro storico sono:

- salvaguardia del patrimonio.


- pedonalizzazione di piazze e strade.
- politica d‟immagine urbana.

Gli spazi sono così rivissuti sia dagli abitanti stessi della città, che dai turisti. Per i quartieri del
centro storico di Napoli non si può propriamente parlare del fenomeno di gentrification
residenziale, in quanto i tipi di insediamento restano generalmente popolari, quanto piuttosto si
potrebbe parlare di una gentrification del consumo nell‟uso degli spazi del centro storico,
legata cioè a una frequentazione pendolare e temporale di quegli spazi in cui si sono sviluppate
attività commerciali e culturali, di ristorazione, alberghiere ecc. Sebbene in questa logica, i
prezzi degli alloggi come la rendita immobiliare hanno registrato un incremento d‟ordine
speculativo.
Geografia urbana – Governa e Memoli

Verso la fine del XX secolo, molti quartieri storici della sponda sud del Mediterraneo hanno
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attratto l‟attenzione degli attori istituzionali nazionali ed internazionali, interessati alla loro
riqualificazione patrimoniale, sociale ed economica.

Tunisi: L‟Associazione di Salvaguardia della Medina di Tunisi è riuscita con azioni


concrete nell‟intervento di rivalorizzare il tessuto storico della città, sebbene appaiano
fenomeni di gentrification da parte dei ceti medi dovuti in particolare all‟attrattività
turistica.
Marrakech: È soprattutto a Marrakech in Marocco che si concentrano, dalla metà degli
anni 90, gli interessi di agenzie immobiliari internazionali, imprenditori ed investitori
stranieri. Ciò ha comportato la riconversione di vecchi palazzi fatiscenti in dimore
private e sfarzosi ryad destinati ad alberghi di lusso per turisti, con la conseguente
espulsione dei residenti appartenenti ai ceti più disagiati.
Beirut: dopo la guerra civile che ha coinvolto il Libano dal 1975 al 1989, a causa della
complessa realtà sociale e cosmopolita, in mancanza di fondi pubblici per la
ricostruzione del centro martoriata dai bombardamenti, il progetto di ricostruzione viene
preso in carica da una società privata: SOLIDERE. Insieme alla ristrutturazione della
Place des Martyrs, gli abitanti hanno riscoperto il lungomare, La Corniche, un luogo
pubblico dove possono trovarsi le famiglie di tutte le generazioni, ceti sociali e
confessioni religiose.
Fra Europa e Mediterraneo

Riva Nord: la Marsiglia di Euroméditerranée

L‟Operazione urbanistica Euroméditerranée avviata nel 1995, può essere considerata tra i
più importanti ed estesi interventi di ristrutturazione urbana in Europa. Il progetto è volto al
rilancio della città di Marsiglia che aveva attraversato sul finire degli anni „80 una profonda
crisi economica e sociale: alti tassi di disoccupazione, crisi delle attività portuali, povertà in
alcuni quartieri. La sua originalità consiste in tre aspetti principali:

1. Il forte interesse del governo centrale nazionale.


2. La complessità della trasformazione urbanistica che investe diversi quartieri della
città.
3. La forte vocazione per lo sviluppo economico locale.

L‟operazione Euroméditerranée si articola su quattro poli di sviluppo:

1. Il quartiere della Joliette.


2. L‟area posta tra la stazione ferroviaria Saint-Charles e la Porte d‟Aix.
3. La zona dismessa della Belle de Mai.
4. L‟area litorale di Saint-Jean.

Gli interventi più spettacolari riguardano da un lato l‟interfaccia tra la città e il porto che
ricuce la cesura tra queste due entità, e dall‟altro la riconversione di depositi, silos ecc. in
musei e centri culturali.

Dal punto di vista del rilancio economico, l‟operazione Euroméditerranée è volta allo
sviluppo di quattro settori chiave:
Geografia urbana – Governa e Memoli

1. Servizi finanziari: grazie alla presenza di istituti di credito.


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2. Settore marittimo legato al commercio internazionale.
3. Settore delle telecomunicazioni e delle tecnologie dell‟informazione.
4. Turismo e attività crocieristica.

Critiche sull‟operazione: scarsa dimensione partecipativa, neoliberismo, speculazione


immobiliare ed espulsioni

- Scarsa dimensione partecipativa: Gli abitanti e le associazioni più che essere


consultati, sono stati solo informati.
- Neoliberismo: l‟operazione racchiude un carattere troppo neoliberista.
- Speculazione immobiliare ed espulsione: riguarda l‟operazione di
riqualificazione della Avenue de la République. Gli edifici di questo asse urbano
sono passati nelle mani di grosse società multinazionali che hanno attuato
operazioni di compra-vendita che ne hanno rallentato la fase di ristrutturazione,
mentre diversi fondi pubblici sono stati investiti per la sistemazione dei
marciapiedi, la realizzazione di una linea tranviaria ecc.

La compravendita ha permesso alle società private di accumulare guadagni speculativi,


mentre gli affittuari più poveri sono stati costretti a spostarsi altrove a causa dell‟aumento
degli affitti.

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