Sei sulla pagina 1di 10

Manfredi Alberti - L’indagine statistica sulla disoccupazione in Italia dalla

grande guerra oggi (1914-2004)

Introduzione
La storia della statistica e mi indagine che si propone di scomporre una fonte
statistica mettendo in luce i suoi elementi costitutivi, permettendo di formulare
ipotesi sulle dinamiche socio economiche che ne rappresentano lo sfondo;
L’analisi della categoria all’interno della quale vengono ricondotti una serie di
fenomeni sociali può diventare il punto di partenza per una riflessione sulle
caratteristiche del mutamento sociale.
In riferimento a quanto tratta l’opera, ricostruire l’origine e gli sviluppi della
categoria statistica di disoccupato può fornire elementi utili a una riflessione
più ampia sulle trasformazioni economiche del mercato del lavoro e sui
cambiamenti avvenuti nel campo della politica economica nel corso del 900.
Una piena comprensione di mutamenti della rappresentazione statistica del
lavoro e della disoccupazione non può non tener conto del contributo degli
studi di genere. È infatti noto che in passato le fonti statistiche hanno sempre
fornito un’immagine distorta del lavoro femminile, spesso sottovalutato e
ricondotto all’interno dell’immagine della “domesticità”. È stata infatti ho fatto
una tendenziale sottostima del lavoro femminile e una sovrastima della
partecipazione al lavoro degli uomini. La storia del lavoro femminile diventa
quindi uno strumento per scrivere anche la storia del lavoro maschile.
E nella fase tardo ottocentesca, che con la diffusione del processo di
industrializzazione e con lo sviluppo di movimento operaio che il tema della
disoccupazione emerge con chiarezza, ponendosi al centro dell’attenzione dei
riformatori sociali e del mondo sindacale. La definizione di un problema
sociale ed economico come quello della disoccupazione e l’elaborazione di
corrispondenti categorie statistiche in grado di misurarlo deriva dallo sviluppo
di un disagio sociale e dalla volontà di ricerca di rimedi capaci di fronteggiarlo.
Dall’inizio del 912 il problema della disoccupazione nelle economie
capitalistiche si è sempre collocato al centro delle analisi politiche ed
economiche. L’evoluzione della misurazione statistica della disoccupazione è
stata influenzata da dinamiche generali che hanno accumulato la storia
italiana. La disoccupazione italiana si è contraddistinta fino a oggi per tre
elementi caratterizzanti: un’elevata incidenza dei disoccupati giovani, un alto
livello di disoccupazione femminile e una notevole concentrazione territoriale,
cioè al sud.
Dalla fine dell’ottocento ad oggi l’Italia è passata dalla condizione di paese
agricolo arretrato a quello di importanti economia industriale, attraversando
nei tempi più recenti un processo di terziarizzazione dell’economia.
Dall’unità ad oggi la storia del lavoro in Italia È stata caratterizzata da uno
spostamento della popolazione attiva tra i settori produttivi, dalla diminuzione
del tasso di attività dovuta essenzialmente alla crescita della scolarità, alla
nascita e lo sviluppo del sistema pensionistico e l’aumento del numero delle
casalinghe. Se nel 1861 due terzi della popolazione era attiva nel mondo del
lavoro, oggi solo un terzo della popolazione risulta in questa condizione. Allo
stesso tempo il tasso di disoccupazione è ben diverso: nella scuola del 900
era meno del 6%, negli anni 90 è arrivato all’11%.
Nel periodo che stiamo trattando in Italia i rapporti fra lo Stato e l’economia si
sono trasformati profondamente, come pure i rapporti di forza tra lavoro
salariato e capitale e la distribuzione del reddito tra le classi.
In riferimento al caso francese Robert Salais, Nicolas Bavarez, Benedicte
Reynaud hanno distinto tre fasi dell’evoluzione del fenomeno della
disoccupazione e della sua rappresentazione statistica. Tale Periodizzazione
può risultare utile anche per comprendere molte delle trasformazioni avvenute
nella storia d’Italia.
La prima fase inizia fine ottocento e arriva agli anni che precedono la crisi del
29. In questo periodo l’ordine liberale tende a ridurre al minimo l’intervento
pubblico nell’economia fiducioso della sua sostanziale armoniosità.
La seconda fase si avvia con la crisi degli anni 30 fino a giungere agli anni 60
e 70. tale fase si caratterizza per la piena affermazione del processo di
industrializzazione e di urbanizzazione e il pieno sviluppo di forme di controllo
pubblico dell’economia.
La terza e ultima fase si avvia negli anni 70 ed arriva ad oggi, segnata dalla
crisi del modello di economia mista affermatasi in Occidente dopo la seconda
guerra mondiale e vede la messa in discussione delle politiche economiche di
impostazione Keynesiana. Vi è una progressiva apertura dei mercati, uno
smantellamento delle forme di regolazione pubblica dell’economia, un
aumento della precarietà del lavoro e una forte diminuzione dei salari. In
questa fase libera disoccupazione in Italia è tornato a crescere. Quest’ultima
stagione che si può definire neoliberista e si caratterizza per l’adozione di una
definizione di disoccupazione più restrittiva rispetto al periodo precedente.

Dalla grande guerra al fascismo


Lo scoppio della prima guerra mondiale ebbe delle ricadute anche sull’Italia: la
disoccupazione aumentò sia a causa dell’instabilità generale indotta dalla
guerra sia per l’impatto dei cittadini rimpatriati.
La situazione di emergenza creata dalla guerra mise in evidenza i limiti dello
Stato liberale Italiano nella capacità di indagare fronteggiare il fenomeno della
disoccupazione.
Per quanto riguarda la gestione del mercato del lavoro, essa fu direttamente
influenzata dalle esigenze belliche. Se nella fase iniziale del conflitto vi fu un
rapido aumento della disoccupazione, con il passare del tempo l’accresciuto
sforzo produttivo determinò quasi una scomparsa del fenomeno. In questa
fase di forte crescita delle richieste di manodopera l’attività degli uffici di
collocamento andò ben al di là del semplice contrasto alla disoccupazione,
tanto che anche le donne vennero inserite in settori in cui erano
tradizionalmente escluse.
Con la fine della guerra e l’emergere del problema della disoccupazione
contribuì ad aumentare la tensione sociale. In Italia per contrastare il
problema dei disoccupati e per quanto concerne l’organizzazione del mercato
del lavoro, nel 1919 viene istituita l’assicurazione obbligatoria contro la
disoccupazione. A livello internazionale nasce la Bureau International du
Travail (BIT) Che si occupa di coordinare l’attività dell’organizzazione
internazionale del lavoro (OIL), nata nel 1919.
Tra gli obiettivi principali del BIT Vi era la raccolta delle informazioni sul
mercato del lavoro e l’esercizio e di un’influenza sull’attività legislativa dei
governi. Negli anni a cavallo degli accordi di Versailles viene discussa la
definizione di disoccupazione, gli strumenti per misurarla e i rimedi per
combatterla.
In riferimento agli strumenti per misurarla nel dopoguerra si ritiene che le fonti
sindacali siano quelle più attendibili e quelle a cui il BIT Deve fare riferimento.
Per i rimedi se prima della guerra gli studiosi avevano perlopiù concordato
sull’utilità della soluzione assicurativa, nel dopoguerra viene riconosciuta la
sua parziale inefficacia.
In Italia nel 1918 viene istituito un ufficio centrale di collocamento presso il
ministero per l’industria, il commercio e il lavoro che ha il compito di studio,
controllo e coordinamento del collocamento interlocale.
Nel 1919 vengono stabilite le norme per erogare sussidi per la disoccupazione
involontaria che però andarono incontro a un sostanziale fallimento.
Nel giugno del 1920 durante il governo Nitti, nasce il ministero del lavoro e
della previdenza sociale che però anche lui avrà vita breve.
A porre fine a questo periodo vi sarà di lì a poco il fascismo, il cui avvento
determina inizialmente un vuoto disattivo nel campo del collocamento che
sarebbe colmato in un secondo momento.
In una prima fase i sindacati fascisti cercarono di occuparsi del collocamento,
che verrà poi affidato al patronato nazionale medico legale per l’infortuni
agricoli, industriali e per le assicurazioni sociali, il quale istituì a livello locale
uffici di collocamento stabilendo accordi con i datori di lavoro, e tentò di
realizzare un censimento dei disoccupati.
Nei primi anni del fascismo l’assicurazione contro la disoccupazione viene
affidata la gestione della cassa nazionale per le assicurazioni sociali, Che
negli anni 20 furono la principale fonte di informazione statistica sulla
disoccupazione. sull’attendibilità di queste informazioni Vengono fin da subito
espresso delle perplessità.i dati pubblicati mensilmente dalla cassa nazionale
per le assicurazioni sociali indicavano il numero di disoccupati registrate
l’ufficio di collocamento, dei disoccupati sussidiati, di quelli parziali e di quelli
intermittenti, fornendo dati separati per donne e uomini.
Ernesto Rossi, in un articolo apparso nel 1926 sottolinea che la sottostima del
numero di disoccupati prodotta dai dati della cassa nazionale, evidenziando
l’assenza di una esplicitazione Dei criteri usati nel rilevamento.
Giuseppe Galletti in un articolo del 1926 pur riconoscendo in attendibilità delle
fonti statistiche della cassa nazionale dal punto di vista dei valori assoluti,
tentò di costruire dei numeri indice, con il fine di predisporre uno strumento in
grado di valutare le variazioni della disoccupazione nel corso del tempo.
Venne aperta una discussione sulla definizione del termine disoccupato,
anche per comprendere a quali categorie doveva essere applicata la
normativa del regime sul collocamento per cercare di controllare il fenomeno
della disoccupazione. Una corrente liberista, vicina alle posizioni degli
imprenditori, considerava la disoccupazione come la libertà dal lavoro di
durata indefinita; altre posizioni e più favorevoli al potenziamento dei compiti
degli uffici di collocamento, riconoscevano a questi ultimi non solo una
funzione di servizio ai disoccupati e, ma anche un ruolo nell’indagine statistica
sulla domanda e l’offerta, in questo modo la disoccupazione andava intesa
come la ricerca di lavoro sia dei giovani che dei lavoratori che avevano perso
un impiego o dei lavoratori sottoccupati. Da questa definizione deriva l’idea di
disporre l’obbligo di iscrizione all’ufficio di collocamento anche ai lavoratori
occupati e l’obbligo per i datori di lavoro di comunicare il numero di nuovi posti
di lavoro creati nelle aziende.
L’applicazione della normativa del regime andrebbero incontro a diverse
difficoltà e interferenze tanto che nel 1933 lo stesso Mussolini sottolinea di
nettezza dei dati sulla disoccupazione fino allora prodotti, favorendo così il
passaggio al rilevamento e all’elaborazione dei dati relativi alla
disoccupazione al ministero delle corporazioni.
Nonostante ciò perdura un certo scetticismo sull’attendibilità dei dati relativi al
mercato del lavoro. Alcuni osservatori giunsero a sostenere l’esistenza di una
notevole sovrastima del numero dei senza lavoro, anche grazie ad una serie
di elementi che mostrano una probabile tendenza del regime a nascondere o
sottovalutare l’esistenza di squilibri nel mercato del lavoro.
Si può affermare che nel complesso il regime cercò di controllare il mercato
del lavoro per contenere le tensioni derivanti da una cronica sovrabbondanza
dell’offerta di braccia, causata anche dal venir meno della valvola di sfogo
dell’emigrazione.
Il riordinamento complessivo del servizio statistico fu un’opera del regime
fascista. 1926 nasce infatti l’Istituto centrale di statistica (ISTAT), come un
ente dotato di personalità giuridica e gestione autonoma, e fu posto alle
dipendenze dirette del capo del governo. Nonostante ciò però i problemi
permasero.
Nel 1931 e nel 1936 vennero portati a termine i primi due censimenti della
popolazione realizzato dall’Istat. Al loro interno il tema della disoccupazione fu
ugualmente presente anche se con alcune differenze. il censimento del 1931
infatti inserì la disoccupazione involontaria escludendo però i malati, gli
invalidi, i disoccupati stagionali. Erano considerati in stato di disoccupazione
le persone che “nonostante idonee attitudini fisiche e capacità professionali, si
trovavano disoccupate per ragioni indipendenti dalla loro volontà”. Anche se
rimanevano esclusi dalla categoria i giovani e le donne. Vi era insomma una
definizione restrittiva del fenomeno, anche se i dati rivelati risultavano
comunque alti.
La definizione di disoccupato adottata nel censimento del 1931 non venne
stampata sui fogli di famiglia, confidando nel fatto che il censimento avesse
una nozione sufficientemente chiara del concetto in questione, creando così
dei problemi di rilevamento.
I dati sulla disoccupazione ricavati dal censimento vengono messi a confronto
con quelli della cassa nazionale per le assicurazioni sociali. I disoccupati
registrati dal cisti mento erano nettamente superiori rispetto a quelli rilevati
dalla cassa.
Nel 1936 viene realizzato un nuovo censimento della popolazione e data la
vicinanza con il censimento precedente vengono tralasciate dall’indagine
determinati fenomeni come quello della disoccupazione.
Il censimento del 39 mette in evidenza comunque per la prima volta la figura
della persona in attesa della prima occupazione, il riferimento a coloro che pur
sapendo svolgere un’attività professionale per limiti di età e per preparazione
non l’avevano ancora mai svolta.
Durante gli anni di avvio e di consolidamento del regime fascista le
informazioni statistiche sulla disoccupazione e su quasi tutti i rami
dell’apparato pubblico di rilevamento furono caratterizzate nel complesso da
lacune.
La seconda guerra mondiale produsse inevitabilmente una fase di forte
instabilità sia sul fronte del mercato del lavoro sia sul fronte dell’indagine
statistica. I rilevamenti sul lavoro condotti in questo periodo risultarono
direttamente condizionati dalle esigenze belliche.

Dalla nascita della Repubblica a oggi


Il ministero del lavoro nella primavera del 1946 avvia un’indagine sulla
disoccupazione, fornendo una stima dei disoccupati. Tuttavia tale stima viene
contestata sia dalla Cgil sia dal ministro dell’industria, il quale afferma che le
rivelazioni della disoccupazione tramite gli uffici di collocamento producevano
dei valori inferiori alla realtà essendo più vigenti l’obbligo di iscrizioni a tali
uffici.
Nel 1947 viene prospettata la creazione di un’anagrafe del lavoro, con sede
presso i comuni e con l’obiettivo di garantire il rilevamento statistico della
disoccupazione, degli occupati ed è disponibili per categoria, con il fine di
assicurare la conoscenza delle qualità tecniche del lavoratore per l’efficienza
di collocamento.
Con il dopo guerra e a partire dagli anni 50 la statistica ufficiale italiana entrò
in una fase di ricostruzione e innovazione.sul fronte dell’attività di ricerca le
maggiori novità furono la ripresa di intensi contatti internazionali, l’avvio del
metodo di indagine campionaria e lo sviluppo della contabilità nazionale. Le
profonde trasformazioni delle tecniche statistiche in Italia fu influenzata
dall’affermarsi di nuove preoccupazioni economiche e sociali Sia per la
collocazione internazionale dell’Italia che per l’egemonia culturale degli Stati
Uniti.
Negli anni dopo guerra non mancarono le contrapposizioni sul significato da
dare alla disoccupazione italiana e sugli strumenti adatti per contrastarla. Un
lato vi erano le posizioni di liberisti Che si contrapponevano a quelle
Keynesiani. I liberisti individuavano nella formazione del risparmio e nella
creazione di capitale le precondizioni per incrementare l’occupazione, i
keynesiani invece ritenevano che all’origine della disoccupazione italiana vi
fosse un’insufficienza della domanda complessiva.
Tra il 1951 e il 1953 vengono avviate le grandi indagini campionarie dell’Istat
sul valore aggiunto delle imprese, quelle sui bilanci delle famiglie e quelle
sulla forza lavoro.
Nel 1952 vengono istituite due commissioni parlamentari di inchiesta, una
sulla miseria in Italia e sui mezzi per combatterla e l’altra sulla disoccupazione
in Italia. inchiesta parlamentare fu un’occasione per sviluppare il dibattito fra
gli economisti certificato e le cause della disoccupazione in Italia.
I rapporti tra l’Istat e le tue commissioni parlamentari rimangono ancora
ampiamente inesplorati.sicuramente l’istituto collaborò venendo incontro alle
richieste delle commissioni.
La prima indagine sulla disoccupazione con metodo campionario avviata
dall’Istat avviene su scala nazionale nel 1952 proprio per volere della
commissione parlamentare di inchiesta sulla disoccupazione. Dal 1954 la
rilevazione diviene annuale e dal 59 diventa trimestrale.
La rilevazione trimestrale sulle forze di lavoro (RTFL) ha caratterizzato fino ai
tempi recenti la misurazione e l’analisi del mercato del lavoro in Italia,
assumendo un ruolo centrale per la statistica sul mercato del lavoro a causa
della mancanza di altri dati affidabili sugli occupati e sui disoccupati.
L’avvio della RTFL suscitò un dibattito tra gli statistici con il conseguente
crescere di posizioni critiche. una critica mossa fu il fatto che Nell’ambito dell
RTFL la misurazione dell’occupazione, era vista solo sotto il profilo
dell’impiego, indipendentemente dal livello di retribuzione e dalla capacità di
quest’ultima di garantire un adeguato tenore di vita individuale e familiare,
Non tenendo quindi conto di fenomeni come la sottoccupazione o la
disoccupazione parziale.
Poi una parte di statistici che invece guardavano con fiducia da un lato ai dati
sulle prestazioni lavorative prodotte dal ministero del lavoro, in quanto capaci
di rivelare anche il costo del lavoro E dall’altro ai dati amministrativi sul
collocamento, in quanto esaustivi.
Le radici teoriche della RTFL possono essere ricondotte a un insieme misto di
elementi neoclassici e keynesiani.
La concezione involontaria della disoccupazione ha portato all’attenzione la
dimensione della volontarietà dell’offerta di lavoro. l’indagine sulle forze di
lavoro hanno quindi fatto leva innanzitutto sul concetto di ricerca attiva di un
lavoro. Era insomma considerato disoccupato colui che stava comunque
cercando un lavoro.
Il contesto italiano elemento della ricerca attiva di lavoro si è rivelato
problematico a causa della lunga persistenza di condizioni di arretratezza in
ampie parti del territorio nazionale.
L’avvio della RTFL sono stati individuati nel corso del tempo diversi problemi
nell’impostazione e nelle pratiche di rilevamento, a cominciare dalla questione
dell’attendibilità delle risposte degli intervistati.
Facendo tesoro delle ipotesi post-keynesiane Sul “lavoratore scoraggiato“,
ovvero colui che rinuncia alla ricerca del lavoro perché deluso da un’inutile
ricerca fatta in precedenza o perché convinto di non possedere i requisiti
necessari richiesti a datore di lavoro, nel 1971 e poi nel 73 e 75, viene
condotto un importante indagine con l’obiettivo di valutare con maggiore
precisione l’entità dei disoccupati scoraggiati. Attraverso l’applicazione nuovi
criteri vengono rivelati un gran numero di disoccupati sostanziali che non
risultavano attivi nella ricerca di un lavoro.
Nel 1977 avviene quindi una revisione del questionario della RTFL, cercando
di includere anche il lavoro a domicilio, il lavoro occasionale e marginale, il
doppio lavoro e le episodiche partecipazioni alla vita lavorativa e anche coloro
che non non avevano compiuto una ricerca attiva del lavoro ma erano
comunque disoccupati. L’adozione di questi nuovi criteri determinò sia un
aumento Del tasso di occupazione che dì di disoccupazione.
Nel 1986 l’Istat elimina dalle categorie della disoccupazione le persone che
avendo dichiarato di essere in cerca di lavoro avevano poi risposto di non
aver iniziato la ricerca.
Nel 1992 l’Italia adotta l’impostazione europea per misurare il livello di
occupazione, in tal modo il tasso di disoccupazione nazionale si ridusse
notevolmente.
L’ultima importante modifica dell’Istat avviene nel 2004 con la rilevazione
continua sulle forze di lavoro distribuite su tutte le settimane dell’anno
attraverso i criteri europei. La nuova RTFL adotta come criteri una
classificazione gerarchica per cui si individuano gli occupati fino ad arrivare
all’esclusione definendo i disoccupati e gli inattivi.
La condizione di occupato è vincolata dallo svolgimento della settimana di
riferimento di almeno un’ora di lavoro retribuito.
Per essere definito disoccupato invece bisogna avere un’età compresa tra i 15
e 74 anni, risultare Nunca poco, essere disponibile a lavorare entro le due
settimane successive all’intervista e aver effettuato almeno un’azione di
ricerca di lavoro tra quelle previste nelle quattro settimane precedenti
all’intervista, chi non rispetta tali requisiti è considerato come inattivo.
I criteri utilizzati dall’Istat sono quelli definiti dall’OIL, Che però nel dibattito
italiano hanno suscitato una serie di critiche in quanto secondo alcuni I criteri
utilizzati non permettono di acquisire una conoscenza reale della
disoccupazione. Ci si domanda infatti come può essere considerato occupato
un individuo che lavora solo un’ora a settimana.
L’impatto che la crisi economica del 2008 avuto in Italia ha poi permesso di
mantenere vivo l’interesse Nei confronti dei criteri utilizzati dall’Istat per
misurare la disoccupazione. È stato sottolineato infatti che in realtà la
disoccupazione in Italia e cinque volte maggiore rispetto a quella delle
statistiche. Tra disoccupati ufficiali non vengono infatti considerati chi non ha
effettuato una ricerca nel mese precedente all’indagine o noi siamo disposti a
lavorare alle condizioni offerte, Sono esclusi poi anche i lavoratori in cassa
integrazione guadagni.
Vi è poi una parte di lavoratori occupati che si può considerare in condizioni di
disagio o di sottoccupazione dal momento in cui anche colui che lavora 10 ore
a settimana è ipotizzabile realisticamente una carenza economica.
Anche la stessa relazione annuale della Banca d’Italia del 2009 sottolinea che
il tasso di disoccupazione non coglie appieno il grado di sottoutilizzo delle
forze di lavoro.
Si è aperta quella che si può definire la stagione del neoliberismo in cui vi è
l’abbandono della priorità della preoccupazione A favore del lavoro che
diventa una condizione di variabile dipendente dell’economia.
Si sono fatte seguito politiche ispirate al monetarismo e all’idea dell’esistenza
di un livello naturale di disoccupazione, Secondo quest’ottica quindi la
disoccupazione involontaria sarebbe l’espressione della volontà di non
accettare un salario più basso. Nella prospettiva della teoria monetarista ogni
intervento dello Stato a favore del pieno impiego non potrebbe che produrre
effetti negativi.
La maggiore flessibilità dei processi produttivi introdotti a partire dagli anni 80,
la diffusione di rapporti di lavoro precari e la compressione dei diritti dei
lavoratori rischiano di rendere sempre più problematica la vecchia definizione
di lavoratore disoccupato. Il radicale mutamento di orientamenti di politica
economica gli ultimi trent’anni ha portato ad un progressivo indebolimento
della posizione del lavoratore nel mercato del lavoro, contribuendo a
determinare una sottostima a livello statistico di disagio occupazionale.
Nel complesso gli anni repubblicani della storia d’Italia si caratterizzano per
una pluralità di statistiche sulla disoccupazione i cui dati risultano poco
comparabili. Si riscontra una discordanza tra i dati forniti dal ministero del
lavoro e dall’Istat, siamo di fronte quindi al comprendere che la
disoccupazione non è solo fatto oggettivo ma dipende anche dalle azioni e
dalla rappresentazione che i soggetti coinvolti ne danno.

Conclusioni
La definizione della categoria statistica di disoccupato si è mostrata nel corso
del tempo legata a caratteristiche generali del sistema economico,
all’impostazione teorica utilizzata per interpretarne il funzionamento e alle
soluzioni di volta in volta utilizzate per fronteggiare il disagio sociale prodotto
da esso.
La storia della statistica della disoccupazione è stata influenzata nel corso del
tempo da problemi tecnici e operativi.
Il confronto tra capitalismo, socialismo ed economia mista tra ottocento e 900
hanno condizionato le diverse definizioni date nel corso del tempo e della
disoccupazione, facendo effettivamente notare l’invenzione della categoria di
disoccupati.
lo stato attuale delle statistiche sulla disoccupazione in Italia dimostrano che i
perfezionamenti delle tecniche di rilevamento, pur rendendo sempre più
efficiente l’indagine, non possono e non potranno eliminare il carattere
parziale e politico della definizione statistica di disoccupazione. Si può
insomma sostenere che la rappresentazione statistica del mercato del lavoro
varia in relazione all’alternarsi di governi e politiche diverse e delle diverse
concezioni del modo di funzionare del sistema economico, di conseguenza il
carattere più restrittivo delle definizioni di “disoccupato” e “occupato” sono
influenzate dai diversi orientamenti di politica economica di volta in volta
prevalenti nel corso del tempo.

Potrebbero piacerti anche