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UNIVERSIT DEGLI STUDI DI TORINO FACOLT DI ECONOMIA CORSO DI LAUREA MAGISTRALE IN ECONOMIA

TESI DI LAUREA

IL RUOLO ECONOMICO NAZIONALE DEL SINDACATO OPERAIO ITALIANO NEI DUE DOPOGUERRA

Relatore: Prof.ssa Renata Allio Correlatore: Prof. Mario Deaglio

Candidato: Michele Covolan

ANNO ACCADEMICO 2006-2007

Indice

1. Introduzione. 1.1. Cesure e temi ricorrenti della storiografia sindacale italiana.

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2. La situazione economica e sociale nei due dopoguerra: analogie e differenze. 2.1. Il commercio con lestero. 2.2. Disoccupazione, recessione, inflazione: andamento dei salari e politiche monetarie. 2.3. Le politiche fiscali. 2.4. La struttura del sistema produttivo e lindustrializzazione. 2.5. Il contesto sociopolitico. 13 19 21 24 10 10

3. Il ruolo economico del sindacato durante e dopo la prima guerra mondiale. 3.1. Cenni di storia del sindacato dalla nascita allo scoppio della prima guerra mondiale. 3.2. La grande guerra. 3.2.1. La Mobilitazione industriale. 3.2.2. Economia di guerra e sviluppo del sindacato. 3.2.3. Guerra e coscienza di classe. 3.2.4. Le iscrizioni al sindacato. 3.3. Il primo dopoguerra: il biennio rosso. 3.3.1. Le conquiste sindacali. 3.3.2. Dalla Mobilitazione industriale alla contrattazione 31 39 40 52 55 56 58 62 31

nazionale collettiva. 3.4. Crisi sindacale, crisi politica e avvento del fascismo.

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4. Il ruolo economico del sindacato durante e dopo la seconda guerra mondiale. 4.1. Cenni sul sindacato fascista. 4.2. La crisi del fascismo e il ritorno del sindacato libero. 4.2.1. Laccordo Buozzi Mazzini e il Patto di Roma. 4.2.2. La centralit della fabbrica al nord. 4.2.3. Il sud e i movimenti dei contadini. 4.3. Il sindacato unitario nel dopoguerra. 4.3.1. La struttura organizzativa e linfluenza della politica. 4.3.2. Il ruolo economico nazionale tra conquiste e sacrifici. 4.3.3. Il sindacato nella Costituzione. 4.4. La fine dellesperienza unitaria. 109 118 121 77 77 80 82 89 92 94 95

5. Elementi di continuit e cesure: limportanza del periodo 1915-1920. 5.1. Le pre-condizioni per la cesura: let giolittiana. 5.2. La cesura: lorigine del ruolo economico nazionale del sindacato. 5.2.1. Il rapporto tra sindacato operaio e Stato. 5.2.2. Le relazioni industriali. 5.2.3. Struttura e organizzazione del sindacato. 5.2.4. La contrattazione collettiva. 5.2.5. Le conquiste del sindacato. 129 131 138 147 151 155 124 125

5.3. La non-cesura: il sindacato dopo il fascismo. 5.3.1. Il rapporto tra sindacato operaio e Stato. 5.3.2. Le relazioni industriali. 5.3.3. Struttura e organizzazione del sindacato. 5.3.4. Prassi e temi della contrattazione collettiva. 5.3.5. Una rilettura del Patto di Roma. 5.4. Il ruolo della politica.

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6. Conclusioni.

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Bibliografia

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1. Introduzione. Oggetto di questo lavoro lorigine del ruolo economico che il sindacato ricopre. Poich levoluzione del movimento sindacale si caratterizza diversamente da Paese a Paese, non possibile procedere ad una trattazione del tema valutandolo in unottica internazionale. Al contempo linfluenza della struttura delleconomia sullo sviluppo del sindacato tale da generare significative differenze tra le organizzazioni dei lavoratori nellagricoltura e nellindustria. Per questi motivi lo studio si focalizza sul ruolo economico nazionale del sindacato operaio italiano. Trattando dellorigine di tale ruolo la prospettiva inevitabilmente storica, tralasciando dunque ogni analisi sullattuale funzione nazionale del sindacato. Lattenzione viene rivolta a due periodi particolarmente ricchi di avvenimenti cruciali per lo sviluppo del sindacato come soggetto economico nazionale: gli anni 1915-1920 e 1943-1947. Il primo il periodo della grande guerra e del successivo biennio rosso, il secondo quello della caduta del fascismo, della Resistenza e della nascita della Repubblica. Entrambi presentano a prima vista i caratteri delle cesure, momenti di rottura nel normale fluire degli eventi, in base ai quali possibile definire dei nuovi inizi. Lo scopo di questo lavoro la ricerca e la composizione degli elementi cruciali che permettono di verificare se di cesure si pu parlare anche in merito allorigine del ruolo economico nazionale del sindacato, definendo quindi se tale categoria degli studi storici attribuibile a entrambi o a uno solo di detti periodi. Non si trover alcun modello formalizzato, giacch levoluzione del movimento operaio materia troppo complessa per ammettere qualsiasi tipo di semplificazione e di ragionamento ceteris paribus. Daltra parte lobiettivo la verifica di uninterpretazione storica e non lelaborazione di una teoria sullo sviluppo sindacale.

1.1. Cesure e temi ricorrenti della storiografia sindacale italiana. La storia del sindacato operaio italiano argomento ampiamente dibattuto e sul quale molto gi stato scritto, per cui possibile rintracciare alcuni temi ricorrenti nella relativa storiografia. Per quanto riguarda gli anni dal 1915 al 1920, si pu riscontrare negli studi pubblicati la diffusa tendenza ad attribuire scarsa importanza alla prima guerra mondiale, mentre molta attenzione viene prestata al biennio rosso. A titolo di esempi si possono considerare alcuni importanti volumi che trattano di storia sindacale. Idomeneo Barbadoro, in Storia del sindacalismo italiano dalla nascita al fascismo, passa direttamente dal capitolo sullo sviluppo economico ante-guerra a quello intitolato Riforme di struttura e potere sindacale nel dopoguerra, dedicando di fatto quattro pagine agli anni del conflitto a pi di novanta a quelli immediatamente successivi. Analoga scelta riscontrabile nella Storia del movimento sindacale in Italia di Daniel Horowitz: lo storico americano inserisce guerra e dopoguerra nel capitolo Lavvento del fascismo, parlando della prima per poche pagine e del secondo per circa quaranta. La voce sindacato curata da Antonio Tat nel Dizionario di economia politica curato da Claudio Napoleoni descrive uno sviluppo del sindacato italiano come un processo in cui tra il 1910 e il 1918 non accade nulla: la guerra non nemmeno menzionata. Stefano Musso, nella Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, dedica 3 pagine alla guerra a fronte di 17 in cui si occupa del biennio rosso, per quanto gli vada riconosciuto che non sottovaluta la portata del conflitto: il capitolo infatti intitolato La prima guerra mondiale e il fascismo e inizia definendo la guerra una svolta epocale per il mondo del lavoro1. Lindagine sui motivi di questa tendenza costituisce uno dei punti di arrivo della ricerca: per ora sufficiente citare alcune interpretazioni del periodo bellico dalle quali si deducono i caratteri che tale fase assume agli
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S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, ed. Marsilio, Venezia, 2002, p. 137.

occhi di molti storici. Angelo Bonzanini, ne Il movimento sindacale, tratteggia una storia della contrattazione collettiva nella quale la prima guerra mondiale non ha alcun ruolo: La guerra infine costrinse tutti ad una sosta sul cammino della soluzione dei grandi problemi sociali, che si ripresentarono allattenzione del paese pi impellenti e gravi negli anni che precedettero lavvento del fascismo2. Alessandro Camarda e Santo Peli, che pure alla guerra dedicano Laltro esercito. La classe operaia durante la prima guerra mondiale, danno questa interpretazione (allinterno de La conflittualit operaia in Italia 1900-1926) del ruolo del sindacato durante il conflitto: Cooptati nei Comitati [di mobilitazione industriale] in qualit di rappresentanti operai accanto agli industriali, i sindacalisti risultavano ridotti a legittimatori dellaggravamento delle condizioni materiali della classe. [...] Il sindacato venne progressivamente esautorato di ogni residua funzione rivendicativa e subisce a proprio danno laggravarsi del distacco delle masse. La stessa FIOM, che pure coglie i pericoli di questo progressivo distanziamento della classe operaia dallorganizzazione sindacale, non riesce a forzare in nessuna occasione significativa una condizione di subordinazione, che alla fine del conflitto si era ormai riflessa negativamente sulle sue possibilit di riguadagnare consenso e adesioni nei confronti degli operai metallurgici3. Lo scopo di questo lavoro si pu riassumere nel tentativo di smentire, attraverso la lettura dei dati e degli eventi, linterpretazione test riportata, che se accettata comporta inevitabilmente una valutazione riduttiva anche del biennio rosso. Infatti, se la guerra non porta con s innovazioni nel campo delle relazioni industriali in grado di influenzare gli anni successivi, le grandi lotte sindacali del dopoguerra diventano automaticamente episodi sporadici, una breve fiammata del movimento operaio connessa unicamente al momentaneo successo delle idee socialiste (sia nella declinazione riformista che in quella rivoluzionaria). Se cos fosse, ovvero se nel periodo 1915-1920 non si consolidassero una serie di fattori cruciali per la conquista di un ruolo

A. Bonzanini, Il movimento sindacale. Dinamiche sociali e azione sindacale nellItalia del dopoguerra, ed. Palombo, Palermo, 1978, p.87 3 A. Camarda, S. Peli, La conflittualit operaia in Italia 1900-1926, ed. DAnna, Firenze, 1979, p. 63.

economico nazionale da parte del sindacato, non si potrebbe dunque parlare di cesura. Per quanto concerne invece il periodo successivo alla caduta del regime fascista, si riscontra nella storiografia sindacale limplicito riconoscimento di una cesura negli anni 1943-1947. Dato che il sindacato libero rinasce con il Patto di Roma del 1944, logico che vi sia una maggiore produzione storiografica riguardo allo sviluppo del sindacato nellera repubblicana, cos come naturale che le indagini sulla nascita del movimento operaio si arrestino allavvento del fascismo. Daltra parte innegabile che il regime rappresenti una frattura nella storia del Paese; tuttavia uno degli elementi rilevanti della storiografia sindacale lassegnazione al ventennio di una scarsa influenza sulle prassi e sul ruolo della rappresentanza operaia. Leredit del sindacato unico fascista spesso non viene considerata, cos come molto raro che il regime venga, per alcuni ambiti, visto come una parentesi tragica, chiusa la quale vi il ritorno di modalit dazione tipiche degli anni 1915-1920. Naturalmente ogni tendenza generale ha le sue eccezioni: lo studio di Umberto Romagnoli e Tiziano Treu, I sindacati in Italia: storia di una strategia (19451976), mette in risalto alcuni elementi di continuit tra la CGIL post-fascista e le esperienze sindacali precedenti; non per un caso, probabilmente, che si tratti di un saggio che, tralasciando molti aspetti politici, si concentra sullevoluzione dellorganizzazione interna e della politica contrattuale del sindacato italiano. Il fine di questo lavoro, in totale antitesi alla storiografia dominante, quindi dimostrare che, a differenza degli anni 1915-1920, il periodo 1943-1947 non rappresenta una cesura per quanto riguarda il ruolo economico nazionale del sindacato e la capacit dello stesso di svolgere tale funzione. Come in precedenza, si pu riassumere il secondo obiettivo della ricerca con il tentativo di operare una smentita, in questo caso di un intervento di Giuseppe Di Vittorio:

La differente posizione in cui venuta a trovarsi la classe operaia, rispetto al complesso della societ nazionale, si pu schematizzare in due termini contrapposti: da negativa, quale era anche nel periodo prefascista, divenuta positiva e a differenza del vecchio movimento sindacale prefascista la Cgil si affermata sin dal suo sorgere, come forza nazionale di primo piano, come spina dorsale e pilastro fondamentale della nazione, della nuova Italia repubblicana4.

Giuseppe Di Vittorio, citato da A. Pepe, Lavoro, sindacato e istituzioni nella storia italiana ed europea, intervento al convegno I diritti sociali e del lavoro nella Costituzione italiana, Napoli, 11 e 12 novembre 2005, reperibile sul sito internet della Fondazione Di Vittorio (www.fondazionedivittorio.it).

2. La situazione economica e sociale nei due dopoguerra: analogie e differenze. I fenomeni economici che si presentano in Italia in entrambi i dopoguerra contengono inevitabilmente numerose analogie. Le due guerre, pur intervenendo in periodi diversi per quanto concerne il grado di sviluppo industriale e la qualit dellintervento pubblico nelleconomia, non possono che comportare le tipiche conseguenze dei conflitti di grande rilevanza.

2.1. Il commercio con lestero. LItalia, paese a vocazione manifatturiera che ha necessit di importare materie prime e di esportare prodotti finiti, risente della violenta contrazione del commercio estero, dovuta alle difficolt di effettuare trasporti commerciali durante le guerre, alla penuria di materie prime (carbone in particolare) che si verifica in tutta Europa, al crollo della domanda estera soprattutto per quanto concerne le produzioni non militari. Se vero che questa descrizione si addice a entrambe le guerre mondiali, ancor pi vero che le conseguenze si rendono pi evidenti nei periodi immediatamente successivi ad esse. Occorre infatti considerare che lapprovvigionamento di materie prime, fondamentali per il funzionamento dellindustria bellica, risulta essere una priorit inderogabile sia per lo Stato che per le imprese durante i conflitti, tanto che nel corso della prima guerra mondiale viene creato un apposito organismo statale addetto al reperimento e alla distribuzione del carbone alle imprese ausiliarie (poi affiancato da consorzi locali di distribuzione, cui danno vita le associazioni degli industriali) e viene dato un deciso impulso alla costruzione di centrali idroelettriche. A guerra finita tali organismi esauriscono la propria funzione, lasciando le imprese (ex-ausiliarie e non) nella necessit impellente di trovare sufficienti materie prime per poter continuare lattivit

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produttiva. A questo riguardo emblematico il secondo dopoguerra, nel quale gli impianti italiani sono in una condizione relativamente buona nonostante i bombardamenti: nel 1945 la capacit produttiva risulta di una volta e mezza superiore a quella registrata nel 1938-39; gli impianti a essere pi colpiti dalle bombe sono quelli siderurgici, che risultavano essere anche i pi obsoleti; in generale la riduzione della potenzialit dellapparato industriale viene stimata nel 9%1, percentuale risibile se si considera che tale potenzialit venne sfruttata al 70% nel momento di massimo utilizzo2. In questa situazione, la produzione industriale a cavallo tra il 1944 e il 1946 si trova in una condizione di stasi pressoch totale a causa della mancanza di scorte ed energia: il carbone merce rarissima3 (soprattutto per i danni di guerra ai luoghi di estrazione in Francia e Germania), le scarse precipitazioni riducono al minimo la produzione di energia idroelettrica, lafflusso di materie prime dagli Stati Uniti discontinuo in ragione della mancanza di navi per il trasporto e della genericit che viene attribuita dalla Commissione Economica degli alleati ai piani di spesa e di importazioni industriali presentati dal governo italiano. La penuria di materie prime, in particolare di risorse energetiche, rappresenta uno dei maggiori problemi anche nel periodo che segue la grande guerra. I motivi di tale scarsit sono per diversi da quelli riscontrabili nel periodo 1944-1946, per quanto lorigine ultima del problema sia comune e risieda nel drastico calo dei commerci internazionali. Negli anni 1917-1919 gli industriali italiani si trovano a fronteggiare non tanto unimpossibilit materiale di accesso al carbone, bens il limite difficilmente valicabile della burocrazia statale creata dalla mobilitazione industriale: per acquistare dallestero occorrono infatti i permessi di importazione, che vengono concessi con
Tale dato pu essere scorporato: si nota cos che i danni arrecati ai cantieri navali riguardano il 50% degli impianti, per la meccanica si scende al 12%, fino a toccare le percentuali esigue del 4% per il comparto elettrico e dello 0,5% per quello tessile. A questo riguardo, M. Legnani, LItalia dal fascismo alla Repubblica. Sistema di potere e alleanze sociali, ed. Carocci, Roma, 2000, p.131. 2 G. Gualerni, Storia dellItalia industriale dallUnit alla Seconda Repubblica, ed. Etas Libri, Milano, 1994, p.170. 3 Nel 1946 lindustria italiana ebbe a disposizione soltanto il 45% del carbone che le sarebbe stato necessario, come racconta S. Turone, Storia del sindacato in Italia 1943-1969, ed. Laterza, Bari, 1973, p. 149.
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notevole ritardo rispetto alla presentazione della domanda e che hanno una durata cos limitata da essere spesso inutili. Sono testimonianza della relativa difficolt dellindustria italiana le lamentazioni degli imprenditori: Coloro che hanno la responsabilit di far marciare industrie e dare occupazione a migliaia di operai sono in ansia per le materie prime che non arrivano, per i permessi di importare carboni domandati da mesi e non ottenuti mai. [...] Lindustriale operoso, il commerciante affaccendato non ha tempo per inoltrare carte, per sollecitare pratiche addormentate4. La drammaticit della situazione porta Dante Ferraris, presidente della Lega Industriale di Torino, a chiedere di sostituire alla funzione dello Stato, la funzione di consorzi o sindacati tra industriali, i quali possano occuparsi direttamente dellapprovvigionamento di materie prime, pur sotto il controllo statale5. Per quanto riguarda gli sbocchi, lItalia, in entrambi i periodi considerati, ha un notevole bisogno di mercati esteri verso i quali esportare: la domanda estera rappresenta infatti una componente fondamentale del PIL per un paese caratterizzato da una scarsa domanda interna, determinata essenzialmente dal minore sviluppo dellindustria e dal livello decisamente basso dei salari rispetto al resto dEuropa. Le necessit dellItalia di esportare negli anni immediatamente successivi alle guerre mondiali non si incontra per con unanaloga necessit di importare da parte delle potenze economiche europee, la cui domanda forzatamente ridotta dalla guerra stessa. A ci si aggiungano le grandi difficolt nel reperimento dei permessi allesportazione, per quanto riguarda il primo dopoguerra, e la paralisi dei mercati commerciali e finanziari per quanto concerne il secondo. Le difficolt negli approvvigionamenti, per quanto ascrivibili a motivi parzialmente diversi, e la limitata domanda estera rappresentano una delle cause
Corriere della Sera, n. 109 del 19 aprile 1919, citato in L. Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, ed. Laterza e figli, Bari, 1933, pp. 239-240. 5 D. Ferraris, Discorso pronunciato allassemblea straordinaria delle Associate, 1918, citato in M. Abrate, La lotta sindacale nella industrializzazione in Italia 1906-1926, ed. Franco Angeli, Milano, 1967, pp.200-201.
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cruciali della scarsa attivit produttiva e delle conseguenti problematiche in tema di recessione e disoccupazione tanto nel primo quanto nel secondo dopoguerra.

2.2. Disoccupazione, recessione, inflazione: andamento dei salari e politiche monetarie. La guerra da un lato occupa una parte consistente della forza lavoro nellesercito (in particolare giovani maschi), dallaltro rappresenta un volano per la produzione industriale (soprattutto quella legata ai rifornimenti bellici), rendendo cos molto basso il tasso di disoccupazione e anzi provocando lallargamento della forza lavoro stessa alle donne e ai pi giovani. Da questo punto di vista paradigmatica la prima guerra mondiale. Per quanto concerne la domanda di lavoro, si consideri che anteriormente alla guerra, il numero degli operai meccanici in Italia poteva valutarsi in circa 350.000, mentre il numero degli operai meccanici necessari alle industrie della guerra poteva valutarsi, fin dai primi mesi del 1916, in circa 550.0006. In merito allampliamento della forza lavoro, basti pensare che gli stabilimenti ausiliari mobilitati occupano 200.000 donne, mentre altre 600.000 vengono impiegate nelle proprie case tramite commesse di lavoro tessile (cucitura di confezioni militari)7, a cui vanno aggiunti i minori impiegati nelle industrie di guerra che ammontano a 60.0008. Con la fine delle guerre al venir meno delle commesse belliche da parte dello Stato si aggiunge il ritorno a casa dei soldati: a fronte di una netta diminuzione della domanda di lavoro si ha unaltrettanto netta crescita dellofferta. A ci si aggiungono le difficolt di approvvigionamenti e soprattutto linsufficiente domanda aggregata: di quella estera si gi detto, la spesa pubblica langue anche a causa dei deficit che si accumulano in guerra e
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L. Einaudi, op. cit., p. 109. S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 139. 8 L. Einaudi, op. cit., p. 110.

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che occorre ripianare, i consumi privati non possono che risentire dellimprovvisa mancanza di lavoro. Appare inevitabile il crearsi del circolo vizioso tipico della cosiddetta disoccupazione keynesiana: la scarsa domanda provoca recessione, che a sua volta comporta un aumento della disoccupazione con conseguente ulteriore calo dei consumi e quindi degli investimenti. Tale descrizione si addice a entrambi i dopoguerra, sebbene occorra sottolineare alcune importanti differenze. Durante la prima guerra mondiale il PIL dapprima cresce con un tasso medio annuo del 4,97%9, per poi diminuire a partire dal 1917, tanto che dal 1917 al 1919 il prodotto si riduce annualmente del 4,52%10. Le caratteristiche della prima guerra mondiale, una guerra combattuta al fronte e non su tutto il territorio nazionale, permettono di non incappare in recessioni durante il conflitto (se non verso la conclusione dello stesso) e di contenere successivamente la crisi economica. Nella seconda guerra mondiale, in cui lItalia intera teatro delle operazioni belliche nonch di pesanti bombardamenti, landamento del PIL (prima in crescita, poi in dimunizione) simile rispetto alla grande guerra. Una differenza rappresentata dal fatto che linversione di tendenza non avviene negli ultimi anni di conflitto, bens gi allinizo: il boom ha inizio a met anni 30 (grazie soprattutto a una forte domanda pubblica per riarmo in vista della guerra e in generale a un ciclo espansivo mondiale), si esaurisce allo scoppio delle ostilit e si trasforma immeditamente in una profonda recessione11. La crisi in questo caso di proporzioni decisamente maggiori rispetto al primo dopoguerra: landamento del prodotto interno (il cui livello si dimezza durante il conflitto) segna addirittura un meno 23,34% nel 1944 e occorre attendere il
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Il dato pu apparire modesto se si pensa al forte aumento della produzione industriale, ma spiegato dallaumento del saldo negativo della bilancia commerciale, come si ricava dai dati contenuti in Istituto Centrale di Statistica (Istat), Sommario di statistiche storiche dellItalia 1861-1955, Roma, 1958, p. 152. 10 Dato rielaborato da Istat, Sommario di statistiche storiche dellItalia 1861-1955, cit., p. 211. 11 Lultimo anno di crescita appunto il 1939, in cui il Prodotto interno lordo registra un aumento del 5,84%; nel 1940 il PIL diminuisce invece del 4,05%, come si ricava da Istat, Sommario di statistiche storiche dellItalia 1861-1955, cit., p. 211.

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1949 per vedere il reddito nazionale tornare ai livelli dellante-guerra12. Il reddito pro capite, pari a 3.360 lire nel 1939, di sole 2.616 lire nel 1943 e scende ancora a 1.585 lire nel 194513. Per comprendere la dinamica dei salari, peraltro oggetto di provvedimenti di legge in tutti e due i periodi considerati, non sufficiente considerare landamento della disoccupazione e della produzione, poich in entrambi i dopoguerra vi anche linflazione a complicare vieppi il quadro economico. Il livello dei prezzi cresce con tassi a doppia cifra sin dallo scoppio della prima guerra mondiale, a causa soprattutto della decisione dellesecutivo di fare fronte alle spese belliche (pari a sette volte le entrate correnti dello Stato) senza aumentare pi di tanto la pressione fiscale per il timore di perdere consenso. Daltra la capacit contributiva estremamente bassa, considerato che il contenimento ope legis dei salari provoca una redistribuzione del reddito a favore dei profitti dimpresa, esentasse per quanto concerne quelli derivanti dalla produzione bellica. Si pu comprendere cos che la scelta del governo non pu che ricadere dapprima sullemissione prima di titoli, poi a partire soprattutto dal 1917 di moneta: posto pari a 100 lo stock di carta moneta nel 1914, esso raggiunge nel 1918 un livello pari a 44314. Leffetto inflattivo immediato, anche perch associato al calo del prodotto interno lordo, tanto che i salari reali subiscono nel solo 1917 un calo del 27%15. Vengono calmierati i prezzi dei prodotti di prima necessit nonch delle merci importate, queste ultime attraverso uno stretto controllo dei cambi verso sterlina e dollaro. Terminata la guerra, e con essa i prestiti inglesi e statunitensi con i quali si controllavano i tassi di cambio, questi tornano liberi nel marzo del 1919 e subito la lira inzia a deprezzarsi16, generando un ulteriore aumento dei prezzi al
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Dati ricavati da Istat, Sommario di statistiche storiche dellItalia 1861-1955, cit., p. 211. Dati ricavati da Istat, Sommario di statistiche storiche dellItalia 1861-1955, cit., p. 216. 14 G. Balcet, Leconomia italiana. Evoluzione, problemi e paradossi, ed. Feltrinelli, Milano, 1997, p. 30. 15 D. Horowitz, Storia del movimento sindacale in Italia, ed. Il Mulino, Bologna, 1966, p. 213. 16 Mentre nel 1919 per acquistare un dollaro occorrono 9,79 lire, lanno successivo ne servono ben 21,19, come riferito in G. Balcet, op. cit., p. 33.

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consumo: la spesa della famiglia operaia tipica milanese passa cos da 102,07 lire settimanali dellottobre 1918 a 120,05 lire nel giugno 191917. Le masse popolari si ribellano, danno vita a diversi tumulti e saccheggiano negozi finch centinaia di comuni iniziano tra luglio e agosto a emettere ordinanze per ridurre i prezzi del 50% (in alcuni comuni la riduzione generale, altrove solo per i generi di prima necessit). Il tentativo regge per qualche mese, poi ci si avvede dellinsostenibilit economica dei provvedimenti e i prezzi tornano liberi di fluttuare: la spesa settimanale della famiglia tipica operaia a Milano arriva a 124,67 lire nel gennaio 1920, a 155,12 nel luglio ed a 189,76 nel dicembre 192018. Lindice del costo della vita (posto pari a 100 nel 1914), raggiunge quota 264 nel 1918, 352 nel 1920 e continua a crescere fino a toccare il livello di 417 lanno successivo.19 Considerato, come si gi accennato, che il governo, tramite la mobilitazione industriale, persegue una politica di decisa moderazione salariale, ci si pu avvedere di come il potere dacquisto dei salari durante e dopo la prima guerra mondiale sia diminuito pesantemente (oltre il 40%), facendo cos ricadere il costo della guerra sulle classi meno abbienti. La dinamica dei prezzi tra il 1943 e il 1947-48 non dissimile da quella che si manifesta in occasione del primo conflitto mondiale, sebbene (come per landamento del PIL) i tassi di inflazione siano decisamente maggiori, tanto da superare in diversi anni il 100%. Occorre segnalare, per quanto concerne il biennio 1943-1945, che landamento del costo della vita assai differenziato tra la Repubblica di Sal e la porzione man mano crescente di Italia liberata. Al nord prosegue la politica fascista di repressione della pressione inflazionistica, attraverso il collocamento forzoso di titoli di Stato presso banche e privati al fine di compensare le immissioni di liquidit connesse alle

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L. Einaudi, La condotta economica e gli effetti sociali della guerra italiana, cit., p. 242. Ibidem, p. 245. 19 Istat, Sommario di statistiche storiche dellItalia 1861-1955, cit., p. 172.

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spese militari20. Nel Regno, dove non vengono pi messi in opera tali meccanismi di sottrazione di liquidit al settore privato, linflazione esplode. Ad alimentarla soprattutto dallemissione delle amlire, effettuata dal comando Alleato senza che le autorit italiane abbiano alcun potere di controllo per far fronte alle necessit di spesa delle truppe di occupazione. Questo avviene nello stesso momento in cui si inizia a palesare la paralisi del sistema produttivo, per cui il mercato non minimamente in grado di assorbire il denaro che viene messo in circolo e la perdita di potere dacquisto della lira immediata21: lindice dei prezzi allingrosso, su base 1938 = 100, giunge al livello 858 nel 1944 e 2.060 nel 194522. Ai lavoratori del Regno viene riconosciuto il diritto ad una indennit per il caro-vita; a ci si aggiungono misure come il blocco degli affitti e il controllo dei prezzi dei beni di prima necessit, il che contribuisce a fare s che landamento generale dei prezzi non coincida con quello del costo della vita. Nel 1945, con la fine della guerra e la riunificazione del Paese, linflazione colpisce anche le regioni settentrionali e, dopo una breve pausa nel 1946, diviene galoppante nel 194723. Linflazione, la disoccupazione e la paralisi della produzione spingono gli imprenditori a siglare nella primavera del 1945 non senza una significativa pressione statale in tal senso un accordo che crea listituto della messa in aspettativa volontaria, ossia una sorta di blocco dei licenziamenti, al fine di contenere le tensioni sociali. A seguire vengono stipulati due contratti nazionali (uno per il nord e uno per il centro-sud) che fissano in maniera precisa tutti i livelli salariali. Tutto ci non contribuisce pi di tanto alla ripresa dei consumi, anche perch tra la fine del 1946 e la prima met del 1947 lItalia vive la fase di maggiore inflazione. Ad innescarla il lancio del prestito pubblico della Ricostruzione (nel settembre del 1946): per incentivare le banche a
A. Graziani, Lo sviluppo delleconomia italiana. Dalla ricostruzione alla moneta europea, ed. Bollati Boringhieri, Torino, 1998, p. 19. 21 G. Gualerni, op. cit., p.173. 22 A. Graziani (a cura di), Leconomia italiana: 1945-1970, ed. Il Mulino, Bologna, 1972, pp. 26-27. 23 Lindice dei prezzi allingrosso, fatto il 1938 pari a 100, passa da 2.060 nel 1945 a 2.884 nel 1946, per poi schizzare a 5.159 nel 1947. (A. Graziani, Leconomia italiana: 1945-1970, cit., p. 27).
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sottoscriverlo la Banca dItalia concede loro ammontari cospicui di liquidit e accade cos che il prestito invece di raccogliere liquidit giacente presso il pubblico, ha leffetto di immetterne nel circuito monetario24. Le politiche deflazionistiche messe in campo fino al settembre del 1947 dal governo (in cui democristiani e liberali rifiutano da tempo la proposta comunista di cambio della moneta) non hanno successo: per questo motivo alcuni storici ritengono che le autorit lascino fare, al fine di generare attraverso liperinflazione25 una redistribuzione a danno dei redditi da lavoro e a favore dei profitti, la quale consenta laccumulazione di capitale necessaria per avviare la ripresa produttiva26. Nellottobre del 1947 Luigi Einaudi, lasciata la carica di governatore della Banca dItalia e assunta quella di ministro del bilancio, decide di attuare una politica monetaria decisamente restrittiva: si persegue la diminuzione dellinflazione attraverso misure rigorose per la riduzione della liquidit bancaria, pur sapendo che ci non pu che comportare una forte recessione. Ancora una volta i lavoratori fanno la loro parte: il sindacato unitario sigla tra il 1946 e il 1947 diversi accordi di moderazione salariale, nonch lo sblocco dei licenziamenti collettivi. Soltanto nel 1948 i salari reali tornano al livello del 193927: come nel caso della prima guerra mondiale, il conflitto e le sue conseguenze economiche ricadono per la maggiore parte sulle spalle delle classi meno abbienti, dei risparmiatori, dei detentori di titoli di Stato.

24 25

A. Graziani, Leconomia italiana: 1945-1970, cit., p. 29. Fatto il 1938 pari a 100, il costo della vita raggiunge il livello massimo di 5.331 proprio nel settembre del 1947. 26 G. Gualerni, op. cit., pp. 176-177. 27 Solo dal 1940 al 1944 i salari reali diminuiscono de 72,5%, come si pu ricavare dai dati riportati in V. Zamagni, Salari e profitti nellindustria italiana tra decollo industriale e anni 30, in S. Zaninelli M. Taccolini (a cura di), Il lavoro come fattore produttivo e come risorsa nella storia economica italiana, ed. Vita e Pensiero, Milano, 2002, p. 252.

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2.3 Le politiche fiscali. Di fronte al circolo vizioso disoccupazione-recessione gi descritto, due appaiono le strade percorribili per lo Stato: il sostegno alle esportazioni in vista di una ripresa della domanda estera o una politica di deficit spending, da realizzarsi tramite commesse pubbliche allindustria e/o sussidi ai redditi e dunque al consumo. La prima strada quella che viene percorsa al termine della prima guerra mondiale: il governo italiano concede infatti alcune agevolazioni e sussidi a imprese esportatrici, ma a beneficiarne sono quelle che occupano da tempo un posto di rilievo nel commercio estero e restano escluse quelle di recente costituzione, ovvero quelle che pi di altre necessitano di sostegno28. Di certo non si attua una politica di reale apertura agli scambi internazionali come auspicato e richiesto dal sindacato italiano per bocca del segretario generale della FIOM Bruno Buozzi, che afferma: Noi siamo libero scambisti. Non [...] perch convinti che con lavvento del libero scambio i lavoratori abbiano a trarne chi sa quali vantaggi. Non lo siamo neppure al punto di chiedere senzaltro e solo per lItalia la soppressione immediata di tutti i dazi, ma quel tanto che basta per chiedere linizio della loro graduale abolizione29. Occorre rilevare come lidea stessa di una politica fiscale espansiva basata su rilevanti commesse pubbliche di carattere civile non sia particolarmente diffusa al termine del secondo decennio del 900, dato che si afferma a partire dal New Deal statunitense e dalla divulgazione delle teorie keynesiane. Allo stesso tempo bisogna per ricordare nellItalia del 1918 alcune proposte in questo senso vengono avanzate, soprattutto dai (pochi) dirigenti maggiormente illuminati delle associazioni imprenditoriali: Gino Olivetti, segretario della Lega Industriale di Torino, nel 1917 gi immagina i problemi
G. Gualerni, op. cit., p.65. B. Buozzi, Lopera della Federazione Metallurgica dal 1910 al 1918, FIOM, VII Congresso Nazionale, Roma, 1-4 novembre 1918, riportato integralmente in M. Antonioli B. Bezza (a cura di), La Fiom dalle origini al fascismo 1901 1924, ed. De Donato, Bari, 1978, p. 462.
29 28

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del dopoguerra e ritiene che lo Stato, nel periodo immediatamente successivo alla pace avr necessit di provvedere a tutti quei lavori ed a tutti quei rifornimenti che la guerra ha interrotto, a tutte quelle opere pubbliche che sono indispensabili per la messa in valore delle nostre forze produttive, naturali ed umane30. Alla fine del secondo conflitto si tenta di percorrere la strada di una politica espansiva, ma perch tale scelta possa essere effettivamente attuata occorre attendere il Piano Marshall e gli aiuti provenienti dagli Stati Uniti. Come si gi rilevato, infatti, il tentativo di finanziare la riparazione e/o la ricostruzione delle opere pubbliche distrutte dalla guerra (il 60% delle strade principali, il 90% delle attrezzature ferroviarie e portuali, il 40% delle attrezzature scolastiche, il 20% di quelle ospedaliere) 31 viene attuato tramite lemissione di moneta, con conseguente spirale inflattiva e interventi delle autorit monetarie per governare landamento dei prezzi e attraverso di esso la ripresa delleconomia. I dati dicono che il deficit del bilancio statale 1945-46 ammonta a 408,5 miliardi di lire, cinque volte tanto rispetto a tre esercizi prima, sebbene non vi siano pi le spese di guerra32. Non si pu infine non rilevare come, in particolar modo nei primi anni di aiuti statunitensi, essi siano stati utilizzati per importare risorse energetiche e macchinari, senza riuscire ad armonizzare le esigenze della ricostruzione con quelle di creare nuovi posti di lavoro33, n con quelle di investire in ambiti sociali quali listruzione e le abitazioni popolari.

30 31

Appunti Olivetti sul dopoguerra, citati in M. Abrate, op. cit. , p. 182. G. Gualerni, op. cit., p. 174. 32 M. Legnani, op. cit., p.132. 33 G. Gualerni, op. cit., p. 180.

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2.4 La struttura del sistema produttivo e lindustrializzazione. Se i contesti macroeconomici dei due dopoguerra sono in molti aspetti simili, sono naturalmente differenti quegli elementi che rappresentano il frutto dello sviluppo industriale avvenuto tra le due guerre. Limportanza del settore secondario si accresce notevolmente a discapito di quello agricolo, soprattutto se si considera lapporto dei vari settori al prodotto interno lordo. Infatti nella composizione del PIL lagricoltura passa dal 43% del 1914 al 29,7% della fine degli anni 3034, sopravanzata dallindustria, che sale dal 25% al 34,2%, e dai servizi, che passano dal 32% al 36,1%35. Data la maggiore produttivit industriale rispetto allagricoltura, i dati sulla composizione della forza lavoro36 riferiscono di cambiamenti decisamente contenuti, pur confermando il trend che emerge osservando le quote di PIL: gli addetti al settore primario diminuiscono dal 59,1% al 52,0%, i lavoratori impiegati nellindustria aumentano dal 23,6% al 25,6%, mentre gli occupati nei servizi e nella pubblica amministrazione passano dal 17,3% al 22,4%37. Il cambiamento, seppur lento (soprattutto per quanto concerne la distribuzione settoriale dei lavoratori), evidenzia la continua crescita dellimportanza dellindustria non solo in termini economici, ma anche in termini sociali. La percezione della centralit dellindustria deriva anche dai mutamenti delle gerarchie tra comparti allinterno del settore secondario. Se si osservano ideali fotografie dellItalia nei due dopoguerra, si assiste alle variazioni tipiche dellindustrializzazione. Il comparto tessile, che assorbe oltre il 20% della
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Durante la seconda guerra mondiale e nellimmediato dopoguerra la composizione del PIL per settori una statistica fortemente distorta: a causa della crescente paralisi produttiva, lindustria vede diminuire il suo contributo al reddito nazionale dal 40,7% del1940 al 19,7% del 1944, con il conseguente incremento dellagricoltura dal 29,8% al 61,6%. Questi dati, esplicativi della crisi economica del periodo bellico, non sono per significativi per quanto concerne limportanza relativa dei settori produttivi. 35 La composizione del prodotto lordo per rami di attivit dal 1861 al 1955 si trova in Istat, Sommario di statistiche storiche dellItalia 1861-1955, cit., p. 213. 36 Istat, Sommario di statistiche storiche dellItalia 1861-1965, Roma, 1968, p. 96. 37 Rispettivamente il terziario passa dal 15,3% al 19,0% mentre gli impiegati presso le pubbliche amministrazioni aumentano dal 2,0% al 3,4%.

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manodopera operaia negli anni 10, si riduce a circa il 15% allo scoppio del secondo conflitto mondiale; gli addetti del settore metallurgico passano dall1,9% al 3% del totale, mentre il maggiore sviluppo appartiene al comparto della meccanica e dellelettro-meccanica, che diviene il primo settore in termini occupazionali (passando dal 16,7% al 24,9%); acquistano maggiore peso anche i comparti della chimica (dal 2,6% al 4,5% dei lavoratori dellindustria) e delle costruzioni edili38. Se si considerano i dati in termini di valore aggiunto, si rileva come il comparto tessile vale pi dun terzo dellintera industria a inizio secolo, per rappresentare poco pi del 10% del prodotto industriale nel secondo dopoguerra. Proprio a ridosso della met del XX secolo, il settore chimico e petrolchimico a diventare il primo generatore di valore aggiunto, sopravanzando il comparto della meccanica. I tassi di crescita della produzione manifatturiera nei diversi comparti sono tipici delle fasi di sviluppo industriale:
Tabella 2.1: Produzione dellindustria manifatturiera 1922-1938 (totale dei principali comparti): tassi annui composti di variazione a prezzi costanti 39.

Comparto Alimentare Tessile Metallurgico Meccanico Chimico

Tasso annuo composto di variazione a prezzi costanti 2,1 1,3 5,7 6,6 7,6

Le variazioni della struttura industriale italiana, con la crescita di comparti quali il meccanico e il chimico, comportano la crescita della
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V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dellItalia (1861-1990), ed. Il Mulino, Bologna, 1990, p. 51. 39 P. Ciocca, G. Toniolo (a cura di), Leconomia italiana nel periodo fascista, ed. Il Mulino, Bologna, 1976, p. 70.

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dimensione media delle imprese. Nel censimento industriale 1937-1940 si riscontrano i seguenti dati:
Tabella 2.2: Censimento industriale 1937-1940. Esercizi industriali per classi di ampiezza 40.

Numero addetti Esercizi totali

2-5 89.779

6-10 16.730

11-50 23.800

51-100 4.981

101-500 oltre 500 4.303 816

Se si effettua una rielaborazione del tutto prudenziale, attribuendo cio il massimo di addetti alle piccole imprese e il minimo alle grandi, si osserva che le aziende fino a 10 addetti occupano non pi di 616.195 lavoratori, mentre le fabbriche con pi di 50 maestranze impiegano almeno 1.097.450 persone: si pu affermare quindi, realisticamente, che allo scoppio della seconda guerra mondiale il numero di addetti nelle grandi imprese pi che doppio rispetto a quello delle piccole. Questo permette da un lato la realizzazione di importanti economie di scala, dallaltro il superamento della figura tipica dellinizio del Novecento delloperaio di mestiere simile allartigiano. questo un elemento di fondamentale importanza per quanto concerne lo sviluppo delle organizzazioni sindacali. A questo riguardo occorre per effettuare una precisazione: la dinamica dellindustrializzazione dal 1914 al 1939 non ascrivibile a un processo lineare, bens a un forte impulso ricevuto dalla prima guerra mondiale41, durante la quale lapporto del settore secondario al prodotto interno lordo cresce dal 25% al 30,6%, e a una successiva lenta fase di crescita durante il ventennio fascista.

40 Istat, Censimento industriale e commerciale 1937-1940, vol. I, industrie, Roma, 1943, pp. 16-17, 270271. 41 Basti pensare che gli stabilimenti industriali mobilitati per la produzione militare passano da 215 allentrata in guerra dellItalia a 1.976 al momento dellarmistizio, come riportato in A. Caracciolo, La crescita e la trasformazione della grande industria durante la prima guerra mondiale, in G. Fu (a cura di), Lo sviluppo economico in Italia. Storia delleconomia italiana negli ultimi cento anni, ed. Franco Angeli, Milano, 1969, pp. 200-202. A ci si aggiunga che gli investimenti industriali netti salgono da meno di 310 milioni di lire nel 1915 a 1250 milioni nel 1916, 3150 milioni nel 1917 e oltre 2200 milioni nel primo semestre del 1918, come riportato in I. Barbadoro, Storia del sindacalismo italiano dalla nascita al fascismo, vol II: la Confederazione Generale del Lavoro, ed. La Nuova Italia, Firenze, 1973, p. 330.

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Lo sviluppo del comparto meccanico dopo il 1914 dirompente42, cos come notevole il fenomeno, nella seconda met degli anni 10, dellaggregazione di imprese siderurgiche, meccaniche ed elettromeccaniche, che danno vita a grandi fabbriche43 integrate verticalmente. Paradigmatico il caso della Fiat: grazie alle forniture allesercito italiano (e in parte anche agli Alleati) passa dai 4.000 addetti del 191444 ai 40.000 del 1918; quando, nel 1921, viene inaugurato il nuovo stabilimento del Lingotto (che produce pi di 10.000 vetture allanno), la Fiat il terzo gruppo industriale italiano ed considerata non pi una grande impresa, ma gi una vera e propria corporation45. A ci si aggiunga che il settore chimico inizia a svilupparsi nel medesimo periodo e che in occasione della guerra emergono in Italia comparti industriali sino ad allora quasi insignificanti, come quello aeronautico.

2.5. Il contesto sociopolitico. Non v dubbio che siano gli aspetti sociopolitici quelli che marcano pi nettamente la diversit dellItalia del 1945 rispetto a trentanni prima. A fronte di uno sviluppo economico che, con alti e bassi, segue la strada dellindustrializzazione e subisce i contraccolpi delle due guerre, si verificano i grandi cambiamenti politici che vedono la fine dello Stato liberale, lavvento del fascismo, la costituzione e la crescita del Partito Comunista, il peso rilevante che assume il cattolicesimo democratico, e infine la lotta di Resistenza, la nascita della Repubblica e il varo della Costituzione. Non si pu sostenere, per, che le radicali modifiche del quadro politico e la relativa continuit di
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quello economico

dimostrino una

qualche assenza

di

Solo dal 1914 al 1917 lincidenza del comparto meccanico sul totale della produzione dellindustria manifatturiera passa dal 21,6% al 31,8%, mentre la siderurgia passa dal 5,2% al 10,8%, come riportato in R.Romeo, op. cit. , p. 94. 43 Tra le maggiori protagoniste economiche degli anni di guerra, emergono lIlva e la Terni nel comparto siderurgico, la Breda nella meccanica pesante, la Fiat nel settore automobilistico e meccanico, lAnsaldo in quello siderurgico, elettrotecnico, navalmeccanico ed aeronautico. 44 Nel 1905, sei anni dopo la nascita, gli addetti sono solamente 847. 45 G. Balcet, op. cit., pp.31-32.

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interdipendenza tra politica ed economia. Al contrario, la situazione economica venutasi a creare dopo la prima guerra mondiale, con il suo portato di rivendicazioni sindacali e di accese conflittualit, uno degli elementi cruciali per comprendere lascesa al potere del fascismo. Di converso, le difficolt delleconomia italiana nel periodo 1918-22 e il deflagrare delle tensioni sociali non sono spiegabili facendo esclusivo ricorso ai dati macroeconomici. In riferimento al secondo dopoguerra, le scelte di politica fiscale e monetaria pur operate spesso da tecnici, come Einaudi sono state attuate e rese possibili grazie a una combinazione di decisioni e dinamiche politiche, tra le quali di importanza fondamentale la strategia togliattiana adottata dal Partito Comunista nel 1944. Pur non volendo svolgere una disamina di tutta la storia politica dItalia dal 1914 al 1948, occorre soffermarsi su alcuni elementi imprescindibili per comprendere le dinamiche socioeconomiche dei due periodi in esame e in particolare il contesto politico con il quale il sindacato ha inevitabilmente a che fare.

Il periodo 1914-1922. Allo scoppio della guerra nel 1914, il governo italiano proclama una politica di neutralit intorno alla quale maturano grandi consensi nel Paese: solo i nazionalisti chiedono di intervenire a fianco di Austria e Germania, mentre repubblicani, radicali e massoni premono per una guerra a fianco della Triplice Intesa46. Quando, nel maggio 1915, il primo ministro Salandra porta lItalia in guerra contro gli Imperi Centrali, gli unici a rimanere contrari allintervento sono i socialisti e i cattolici. Entrambi i gruppi optano per per la strategia del n aderire n sabotare, per utilizzare la nota formula inventata dal segretario del Partito Socialista Lazzari. I due gruppi hanno unimportante caratteristica
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Successivamente, quando le possibilit di un ingresso in guerra a fianco dellAustria sono ormai svanite, anche i nazionalisti ripiegano su una posizione a favore dellintervento dalla parte gli Alleati.

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comune: sono quelli di espressione popolare, legati ai maggiori sindacati e quindi alle classi operaia (i socialisti) e contadina (i cattolici). Saranno queste le classi che pi di tutte sconteranno gli effetti della guerra: i contadini in termini di morti al fronte, gli operai in termini di una compressione dei diritti sindacali a fronte di una perdita del potere dacquisto dei salari. Occorre precisare per che nessun paragone possibile tra socialisti e cattolici durante la guerra: mentre i primi sono organizzati in un partito da pi di ventanni47 e hanno un forte legame con la CGL (maggiore sindacato italiano, nato nel 1906), i secondi sono impegnati in varie piccole formazioni (di cui solo alcune di tipo partitico) e sono legati a un sindacato cattolico non ancora unito e poco radicato nellindustria48. La decisione dei socialisti e della CGL di non sabotare la guerra italiana (motivata, come dir Buozzi nel 1918, dalla constatazione che eravamo stati incapaci di impedire la guerra e sarebbe stato puerile, ridicolo pensare di impedirne le conseguenze)49 permette ai sindacalisti di partecipare ai Comitati per la Mobilitazione Industriale, con conseguenze tuttaltro che irrilevanti50. La durata della guerra, ben superiore a quanto molti si aspettassero, causa un diffuso malcontento, rafforzato dal caro-vita del 1917 e dal razionamento: di fronte a molti italiani assume credito la direzione del Partito Socialista, dal principio contraria alla guerra e che si presenta con un programma per la pace e il dopoguerra basato su riforme radicali e non su velleit rivoluzionarie. Analogo successo riscuotono le posizioni dei cattolici, in particolare lappello di Benedetto XV perch i governi in guerra cessino linutile massacro. Tutto questo, unito a un diffuso senso di responsabilit e ad unimpostazione fortemente concertativa dei sindacalisti socialisti, pare a molti
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Il Partito Socialista, nel 1914, conta circa 58.000 iscritti. Nel 1912 linsieme di artigiani fittavoli, piccoli mezzadri e piccoli proprietari terrieri rappresenta l84,61% degli iscritti ai sindacati cattolici, come riferito dal Supplemento al Bollettino dellUfficio del Lavoro del Ministero dellAgricoltura, Industria e Commercio, 1913, citato in D. Horowitz, op. cit., p. 189. 49 B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 446. 50 Cfr., infra, 3.2.1.

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osservatori la premessa non solo per un successo elettorale dei socialisti e del neonato Partito Popolare alle elezioni del 1919, ma addirittura per un ingresso dei socialisti al governo. Effettivamente la somma dei due partiti ottiene il 53% dei consensi51, ma le rispettive posizioni ideologiche rimangono comunque troppo distanti per un governo di cattolici e socialisti. Le condizioni sarebbero adatte per il varo di un governo di socialisti e altri partiti democratici progressisti, se nel frattempo il Partito Socialista non fosse attraversato dalle pulsioni estremiste figlie della rivoluzione russa di due anni prima: la maggioranza massimalista e la sinistra comunista superano il programma moderato del 1917 in nome della dittatura del proletariato e dellideale rivoluzionario. Il gruppo parlamentare, a maggioranza riformista, e la CGL prendono le distanze e criticano la dirigenza del partito, ma allo stesso tempo non possono certo staccarvisi. Come osserva Horowitz: Il Partito Socialista nella scelta tra riforme e rivoluzione, segue una linea verbosamente rivoluzionaria, ma, in sostanza, non sceglie nulla. Durante tutto il 1919 e il 1920 non fa altro che predicare la rivoluzione; nel marzo 1919, ad esempio, la direzione del partito proclama come imminente uno sciopero generale rivoluzionario la cui organizzazione sar fatta appena il lavoro per lorganizzazione delle forze proletarie dar affidamento per il suo pieno e completo successo. Incita i lavoratori e terrorizza il resto della societ con un costante flusso di manifesti, di proclami, di discorsi e di agitazioni. Respinge le fondamenta parlamentari della societ democratica e promette la costruzione di soviets [...] in un futuro promesso come immediato. In questo periodo [...] non si prepara la conquista del potere creando unorganizzazione o dei piani. [...] Non stupisce il suo rapido declino, in forza ed in prestigio, non appena diviene evidente che loratoria assolutamente lontana da ogni volont dazione52. La speranza che vengano attuate riforme sociali in grado di sedare i malcontenti e di permettere uno sviluppo armonico dellItalia si arena cos nel velleitarismo socialista, mentre dopo un biennio di tumulti per il caro-vita e al

In particolare il Partito Socialista ottiene 1.834.000 voti (circa un terzo del totale) e 156 deputati su 508, il Partito Popolare 1.167.000 voti (il 20,5%) e 100 seggi, come si legge dal Compendio delle statistiche elettorali italiane dal 1848 al 1934 dellIstituto Centrale di Statistica e Ministero per la Costituente, 1947, citato in D. Horowitz, op. cit., p. 192. 52 D. Horowitz, op. cit., pp. 219-220.

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contempo di grandi conquiste sindacali53 gli industriali iniziano ad alzare il livello dello scontro. Il governo Giolitti, pur agendo con responsabilit di fronte alle serrate e alloccupazione delle fabbriche, perde il consenso di tutti coloro che vedono il disordine pubblico (acuito da movimenti come quello torinese dellOrdine Nuovo di Gramsci) sempre pi tollerato54. In questo contesto il nazionalismo populista di Mussolini, altro lato della medaglia delle squadracce fasciste, si presenta come risolutore della crisi dello Stato liberale, incapace di riformarsi in senso democratico e di promuovere il miglioramento sociale.

Il periodo 1943-1948. Con lo sbarco degli Alleati in Sicilia, la conseguente convocazione del Gran Consiglio del fascismo e la destituzione di Mussolini si apre uno dei periodi pi drammatici per lItalia. Il Paese risulta diviso in due, con il nord in mano nazista tramite la Repubblica di Sal teatro della resistenza partigiana e il Regno dItalia attraversato man mano dalla guerra di liberazione condotta dagli Alleati. In breve tempo il quadro politico muta radicalmente: la fine del fascismo e il prendere piede della Resistenza vedono tornare prepotentemente sulla scena nazionale i partiti antifascisti, i cui dirigenti riemergono letteralmente dallesilio, dal confino o dalle carceri. Emergono subito alcune novit rispetto alle forze politiche di ventanni prima: i liberali (eredi di Giolitti) non hanno pi grande seguito, mentre risultano radicati e circondati da ampio consenso i comunisti; emerge il Partito dAzione come avanguardia intellettuale antifascista dotata per di scarsa adesione; appaiono invertiti i rapporti di forza tra i socialisti (meno organizzati rispetto al periodo prefascista) e i democristiani, eredi del Partito Popolare di Don Sturzo55.
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Cfr., infra, 3.3.1. Cfr., infra, 3.4. 55 A conferma di ci arriveranno i dati elettorali del 1946: Democrazia Cristiana 35,2%, Partito Socialista 20,7%, Partito Comunista 19%, Partito Repubblicano 4,4%, Partito dAzione 1,5%. Occorre rilevare

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Il seguito di cui gode il Partito Comunista merita unattenzione particolare per quanto concerne le cause di tale consenso, ma anche in quanto indicatore di cambiamenti sociali rilevanti. I comunisti sono presenti e riconosciuti in ampi strati della classe operaia grazie allininterrotta opera clandestina antifascista condotta durante il ventennio, in particolare nelle grandi fabbriche. A questa capacit di mobilitazione si aggiunge una strategia quasi scientifica di egemonia politica e culturale che si svolge tanto nelle campagne del sud quanto allinterno delle formazioni partigiane nel nord. Con specifico riferimento a queste ultime, i comunisti si pongono spesso alla testa del movimento di liberazione con lo scopo dichiarato di unire tutte le forze antifasciste in nome della democrazia e dellinteresse nazionale. A partire da ci, si attua nel tempo un disegno politico che da un lato tende a cavalcare ogni movimento spontaneo e di protesta al fine di incardinarlo nelle proprie strutture politiche e parapolitiche, dallaltro subordina qualunque posizione ideologica alla vittoria bellica e alla ricostruzione economica e civile dellItalia. In questo modo troviamo i comunisti al governo dal 1944 al 1947 e contemporanemante alla testa dei movimenti popolari (favoriti dalle difficilissime condizioni sociali) per laumento dei salari, il controllo dei prezzi, loccupazione delle terre incolte, il blocco dei licenziamenti. Come accennato, il consenso diffuso intorno al Partito Comunista (insieme alla sempre maggiore forza della Democrazia Cristiana) altres una spia di un ragguardevole cambiamento sociale: a differenza del periodo prefascista non sono pi dominanti n tantomeno radicate le forze politiche che fanno riferimento alla borghesia economica e che rappresentano i valori della conservazione. Anzi, mentre la popolarit del Partito Comunista, forte delle parole dordine ispirate al concetto di giustizia sociale, si estende ben oltre i tradizionali confini degli operai e dei braccianti, la Democrazia Cristiana si afferma velocemente come partito interclassista, rappresentante tanto gli
come a partire dalle elezioni del 1948 il Partito Comunista sopravanzi quello Socialista e che tale tendenza si confermi per tutta la prima repubblica.

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imprenditori conservatori quanto i lavoratori desiderosi di maggiori diritti e tutele. Si pu sostenere che paradossalmente ventanni di regime, con il combinato disposto di assenza di libert politiche e di lenta industrializzazione, portano a unItalia in cui le classi meno abbienti non sono pi subalterne e possono ragionevolmente sperare in reali miglioramenti del proprio status. Come si gi detto, per, tali speranze in gran parte rimangono tali e i costi sociali della guerra e della ricostruzione ricadono proprio sulle classi pi povere56. Lunit di intenti delle forze antifasciste, fortemente voluta da Togliatti al suo ritorno a Napoli dallUrss nel 1944, la condizione preliminare per gli ulteriori sviluppi politici: il lavoro dei CLN, i governi di unit nazionale, lunit sindacale sancita con il Patto di Roma57, la vittoria della Repubblica attraverso il referendum del 2 giugno 1946, la seguente stesura della Costituzione italiana. Questi stessi sviluppi, che sono allo stesso tempo causa e conseguenza del tentativo dei maggiori partiti di esercitare unegemonia politica nel Paese, sono la premessa per una ricostruzione economica che, pur comportando sacrifici per molti e pur essendo attraversata da diversi movimenti di protesta, risulta foriera di tensioni sociali in maniera decisamente inferiore rispetto al primo dopoguerra. Senza la scelta strategica comunista, socialista e democristiana di cooperare per il bene dellItalia non potremmo assistere nel biennio 1946-47 allinsieme di moderazione salariale, inflazione e sblocco dei licenziamenti senza che si realizzino gravi moti insurrezionali. Per quanto riguarda i partiti di sinistra, la scelta di accettare sacrifici anche pesanti viene attuata in nome dellinteresse nazionale e pi tatticamente del tentativo di accreditarsi come classe dirigente del Paese.

56 57

Cfr. 2.2. Cfr., infra, 4.2.1.

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3. Il ruolo economico del sindacato durante e dopo la prima guerra mondiale.

3.1. Cenni di storia del sindacato dalla nascita allo scoppio della prima guerra mondiale. Il sindacalismo italiano, per quanto abbia avuto uno sviluppo tardivo se rapportato a quello inglese o tedesco1, affonda le sue radici nel periodo antecedente allunit dItalia: nel 1848 nasce la Societ dei compositori tipografi torinesi2, le cui finalit di mutuo soccorso tra i soci lasciano presto il posto alle rivendicazioni concernenti i problemi retributivi e le condizioni di lavoro3. Nel 1872 questa ed altre dodici organizzazioni cittadine danno vita alla Federazione Nazionale dei Tipografi, la prima federazione sindacale italiana, con un programma in cinque punti: osservanza dei concordati salariali; sussidi ai soci disoccupati; sussidi ai soci viaggianti; fissazione di standard di condizioni lavorative e per lammissione degli apprendisti; mantenimento di contatti tra le organizzazioni affiliate4. Le societ di mutuo soccorso appaiono dapprima in Piemonte (a partire dal 1848) e successivamente nel resto dItalia (dopo lUnit), con lo scopo principale di porre rimedio alla precariet e allincertezza dovute allassenza di sicurezza sociale5, attraverso una cassa da cui attingere in caso di disoccupazione, malattia o inabilit. La prima societ con una composizione mista in termini di mestieri e con una valenza puramente territoriale nasce a Pinerolo, proprio nel 1848. Nel 1885 ne vengono censite 4.772 con 781.491

Il motivo principale di tale ritardo rappresentato dallo sviluppo incerto e modestissimo del sistema capitalistico di produzione in Italia, come scrive A. Tat, voce Sindacato in C. Napoleoni (a cura di), Dizionario di economia politica, Edizioni di Comunit, Milano, 1956, p.1504. 2 Come associazione mutualistica nasce nel XVIII secolo, ma nel 1848 che si trasforma in societ di mutuo soccorso. 3 D. Horowitz, op. cit., p. 65. 4 T. Bruno, La Federazione del Libro nei suoi primi cinquantanni di vita, ed. Coop. Tipografica Mareggiani, Bologna, 1925, pp. 17-20. 5 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p.114.

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soci6, di cui la maggior parte sono operai di mestiere, di origine artigiana7. Gli scioperi sono ancora rari, ma quando avvengono possono essere anche di lunga durata, rappresentando una sorta di gara di resistenza con la controparte padronale. Con il passare del tempo, soprattutto nelle regioni dellItalia centrale, le societ di mutuo soccorso prendono a versare contributi agli scioperanti, per permettere loro di resistere pi a lungo nellastensione dal lavoro, trasformandosi in organizzazioni sindacali denominate leghe di resistenza. Questa evoluzione si fonda in parte sulla crescente diffusione delle idee socialiste, tenacemente predicate dai militanti del Partito Operaio Italiano e di altre forze minori che insieme fondano il PSI nel 18928, e in altra parte sullo sviluppo dellindustria (soprattutto quella tessile) che rende il miglioramento della condizione operaia non pi determinabile dallinterno delle classi lavoratrici mediante laiuto reciproco, presupponendo invece lo scontro con coloro che detengono i mezzi di produzione9. Il sindacato italiano palesa cos una peculiarit che lo distingue e lo distinguer dagli altri sindacati europei: la volont e la capacit di estendere le proprie finalit dalle rivendicazioni puramente economiche operando in un

L. Tomassini, Lassociazionismo operaio: aspetti e problemi della diffusione del mutualismo nellItalia liberale, in S. Musso (a cura di), Tra fabbrica e societ. Mondi operai nellItalia del Novecento, ed. Feltrinelli, Milano, 1999. 7 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p.116. 8 Luigi Einaudi (citato in R. Rigola, Rinaldo Rigola e il movimento operaio nel biellese: autobiografia, ed. Laterza, Bari, 1930, pp. 155-158) descrive cos sulla Gazzetta Piemontese la situazione osservata in una visita nel biellese e tipica di molte zone del nord effettuata in occasione degli scioperi del 1897: La conversione al socialismo si effettu in massa da parte degli operai. [...] Tra gli operai rimangono fuori dal socialismo solo i vecchi, refrattari alle idee nuove [...], le donne sono le pi infervorate. [...] I ragazzi di quindici anni sono gi socialisti. [...] Come tutte le propagande, che fanno appello al cuore e allintelligenza, il socialismo ha appunto nelle vallate biellesi la forma di una nuova religione. Essa adempie al tempo stesso per le popolazioni operaie alle funzioni della scuola e della chiesa. [...] Perch possano assimilarsi bene i principi del socialismo, occorre che gli operai sappiano leggere ed acquistino labitudine alla lettura. La trasformazione che si operata nella cultura intellettuale degli operai davvero grandissima. Prima il leggere i giornali era considerato come opera di puro lusso, ora essi sono diffusissimi. [...] Il programma massimo lascia fino ad un certo punto indifferenti gli operai; ci che li tange e li fa agire il programma minimo politico ed economico. [...] Sovratutto per gli operai si vogliono affermare sulla parte economica del programma minimo: lorganizzazione in leghe di resistenza per la diminuzione dellorario, laumento delle paghe, la modificazione dei regolamenti interni in fabbrica, ecc.. 9 I. Barbadoro, op. cit., p.73.

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ambito che forse non prettamente politico, ma che vi si allontana di poco10. Questo non significa che il sindacato nasca subalterno alla politica: fino allavvento del fascismo le maggiori organizzazioni sindacali, pur legate a partiti politici11, mantengono unindipendenza da essi che non di rado sfocia in aspri contrasti. Occorre per rilevare come la storia del sindacato italiano si intrecci con la politica soprattutto per latteggiamento proprio delle organizzazioni sindacali teso ad incardinare ogni vertenza e lotta in una prospettiva di ampio respiro, legata a obiettivi programmatici di carattere generale. questa caratteristica, presente sin dalla nascita, che fa s che il sindacato da un lato parli di lotta di classe, dallaltro abbia a cuore non solo gli interessi economici dei lavoratori, ma gli interessi in tema di sviluppo e giustizia sociale dellintero Paese12. Il ritardo accumulato dallItalia in termini di progresso dellapparato industriale continua a fare prevalere nel mondo del lavoro la figura delloperaio di mestiere, caratterizzato dagli attributi particolari di origine artigianale: di conseguenza si ha la presenza di leghe di resistenza strutturate sulla base non del settore (tessile, metalmeccanico, chimico, ecc.) e neppure della fabbrica13, con la relativa esclusione in questa fase della massa degli operai non qualificati. Ovviamente, rileva Barbadoro, scaturiscono grossi intralci alla formazione di una larga piattaforma rivendicativa [...] e alla stessa condotta delle lotte, che presuppone lazione concomitante dei tutti i lavoratori di una branca industriale o di un singolo stabilimento14.
10 Occorre infatti sottolineare come i sindacati inglese e tedesco agiscano in un ambito pi rigorosamente economico-rivendicativo: il primo per una scelta di fondo che lo porter relativamente tardi a seguire da vicino lagenda politica, facendosi fondatore del Labour Party e relegandolo allazione parlamentare; il secondo in quanto sorto per opera del partito e delegato da esso a occuparsi dellamministrazione di uno dei fattori della crescita economica (il fattore lavoro), attraverso la contrattazione della quantit e qualit del lavoro, del salario e dellorario. 11 Cfr. 2.5. 12 Basti citare la relazione di Bruno Buozzi al congresso dalla FIOM del 1918: mentre lultimo paragrafo intitolato Ancora e sempre per la lotta di classe, tre paragrafi prima lo stesso Buozzi chiede un pi sano industrialismo e invita gli imprenditori, per il bene del Paese, a studiare quali sono e potranno essere le esigenze del nostro paese [...] e prepararsi a soddisfarle, B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza op. cit., pp. 461, 463. 13 I. Barbadoro, op. cit., p. 82. 14 Ibidem, p. 83.

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Due sono gli strumenti organizzativi che vengono a crearsi, a ridosso del cambio di secolo, per ovviare a tali problemi: uno a carattere territoriale o orizzontale, le camere del lavoro, laltro a carattere settoriale o verticale, le federazioni nazionali di categoria. La compresenza delle due strutture organizzative, rilevabile ancora oggi nel sindacato italiano, rappresenta una delle maggiori fonti di dibattito in materia di organizzazione interna tanto nel periodo pre-fascista quanto al termine della seconda guerra mondiale15. Le camere del lavoro sorgono, a imitazione delle Bourses de Travail francesi, a partire dal 1891, quando nascono prima quella di Milano e poi quelle di Torino e Piacenza. Nel 1894 se ne contano gi sedici16, che diventano 76 dieci anni dopo17. Esse scaturiscono dalliniziativa delle societ di mutuo soccorso e, perlomeno inizialmente, sono strutture territoriali simili a tali societ, tanto che lazione di resistenza non compare negli statuti18, i quali delineano invece finalit di intermediazione tra lofferta e la domanda di lavoro, tutela legale dei lavoratori, controllo sullapplicazione della legislazione sul lavoro femminile e minorile, rappresentanza dei bisogni delle masse operaie presso le pubbliche amministrazioni19. Proprio le amministrazioni locali contribuiscono con appositi finanziamenti allattivit delle prime camere del lavoro, che nel 1893 scelgono di coordinarsi dando vita alla Federazione Italiana delle Camere del Lavoro. Allinizio del XX secolo le camere del lavoro divengono sempre pi soggetti sindacali alla testa di scioperi, agitazioni e vertenze; in molti casi sono governate da esponenti del sindacalismo rivoluzionario, che si oppongono al gradualismo dei riformisti (maggiormente impegnati nelle federazioni di categoria). Lorganizzazione territoriale permette alle camere del lavoro di essere costantemente percepite come vicine agli operai
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Cfr. 5.2.3. O. Gnocchi-Viani, Dieci anni di camere del lavoro, 1899, citato in D. Horowitz, , op. cit., pp. 72-73. Le sedici camere del lavoro sono a Milano, Torino, Piacenza, Venezia, Brescia, Roma, Bologna, Parma, Padova, Pavia, Cremona, Firenze, Verona, Monza, Bergamo e Napoli. evidente la predominanza, in tale elenco, di citt del nord (soprattutto lombarde ed emiliane), mentre del mezzogiorno la sola Napoli. 17 I. Barbadoro, op. cit., p. 118. 18 Ad esclusione delle camere del lavoro di Terni e di Sestri Ponente. 19 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., pp. 118-119.

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e alle fabbriche: questo uno dei punti di forza delle camere, che nel 1912 arrivano ad annoverare 528.151 iscritti (a fronte dei 197.589 delle federazioni di categoria)20. La nascita delle federazioni di categoria avviene nei primi del Novecento ed rapidissima: la stragrande maggioranza di esse sorgono tra il 1900 e il 190221, giungendo nel 1904 a contare 155.102 iscritti. I sindacati dellindustria sono il frutto delliniziativa degli organizzatori riformisti, che mutuando i modelli gi applicati allestero ritengono pi efficiente lorganizzazione professionale in quanto pi compatta e in grado di agire sulla base di interessi omogenei di categoria. Daltra parte la tendenza in atto da parte delle leghe di mestiere lattuazione di una forte cooperazione tra quelle operanti nel medesimo comparto produttivo, con la conseguente nascita (a volte formale, altre volte solamente di fatto) di sindacati locali di categoria, bisognosi tanto di un coordinamento territoriale (rappresentato dalle camere del lavoro) quanto di un raccordo con i medesimi sindacati nel resto del Paese. Ciononostante, lintroduzione della nuova struttura associativa a base professionale si rivela irta di difficolt. Come rileva Barbadoro, in Italia mancano proprio quelle condizioni che altrove avevano assicurato il successo: ossia una organizzazione produttiva e industriale sviluppata e un proletariato numeroso e abbastanza omogeneo. Cos le federazioni, pur diffuse sin dagli inizi nelle principali attivit, non sempre raggiungono uno stabile assetto organizzativo e, nella magior parte dei casi, inquadrano un numero modesto di lavoratori22. Federalisti e cameralisti si fronteggiano anche aspramente allinterno del movimento sindacale, soprattutto in merito allattribuzione del ruolo di guida
Ibidem, p.124. I dati riportati da Musso stridono con quelli di Cabrini (citati in D. Horowitz, op. cit., p. 104), secondo cui gi nel 1902 gli iscritti alle federazioni di categoria ammontano a 480.000 (di cui 50.000 nella FIOM). I dati di Musso sembrano confermati se si considera che Buozzi, in occasione del congresso della FIOM del 1918, relaziona di 7.000 iscritti nel 1910 (B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 453) e che i dati ufficiali della FIOM attestano il superamento dei 50.000 iscritti solo a partire dal 1919. 21 Prima di allora esistono solo la gi citata Federazione del Libro (tipografi), le piccole federazioni dei litografi e dei panettieri e la Federazione delledilizia, nata nel 1886, come riportato in I. Barbadoro, op. cit., p. 92. 22 I. Barbadoro, op. cit., p. 90.
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delle vertenze e degli scioperi, nonch per quanto concerne i criteri di utilizzo dello sciopero stesso. Infatti, mentre tra i primi prevalgono i gradualisti, che negano lutilit degli scioperi politici e che preferiscono operare in un ambito pi prettamente sindacale, i secondi in maggioranza sindacalisti rivoluzionari fanno un uso quasi spregiudicato dello sciopero generale territoriale, spesso proclamato per questioni politiche o di solidariet tra le diverse categorie, senza essere per in grado di coordinare realmente le masse in agitazione e di garantire stabilit e forza al movimento operaio. I conflitti tra le diverse organizzazioni rendono necessaria la creazione del Segretariato Centrale della Resistenza, che nasce nel 1902 con lo scopo di dirimere i contrasti tra camere del lavoro e federazioni e sostenere lo sviluppo organizzativo del movimento sindacale. La guida del Segretariato, inizialmente in mano ai riformisti, passa ai rivoluzionari nel 1904, in seguito al primo sciopero generale nazionale (di carattere squisitamente politico), proclamato dalla camera del lavoro di Milano per protestare contro lennesimo eccidio perpetrato dalle forze dellordine nei confronti di lavoratori in agitazione23. Il Segretariato, per i ruoli che gli sono attribuiti, non pu elaborare la strategia generale e non risponde quindi allesigenza di una direzione centralizzata del movimento sindacale24. Laspirazione ad avere un forte centro nazionale di guida del movimento accresciuta dalla necessit di rafforzare lautonomia del sindacato rispetto al partito, di distinguere bene le sfere di competenza delle due istanze, soprattutto dopo che le recenti esperienze hanno dimostrato quanto si indebolisce lazione rivendicativa allorch subordinata a direttive di ordine politico25. Liniziativa di superamento del Segretariato intrapresa dalla FIOM, che organizza nel 1906 un convegno proponendo la convocazione del congresso fondativo di unorganizzazione unitaria del lavoro. Al convegno ideato e diretto dalla corrente riformista del sindacato aderiscono quasi tutte le
A. Tat, op. cit., p.1507. A. Piccioni, Un secolo per il lavoro. La Cgil 1906-2006, supplemento di Rassegna Sindacale, n. 35, ed. Edit Coop, Roma, settembre 2006, p.7, oltre che S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p.127. 25 I. Barbadoro, op. cit., pp. 163-164.
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federazioni nazionali di categoria. Per quanto da tale proposta emerga un chiaro ridimensionamento sia del Segretariato che delle camere del lavoro, i riformisti evitano lo scontro, presentando liniziativa come aperta e unitaria. Lopposizione tentata dai sindacalisti rivoluzionari non supportata da valide proposte alternative, per cui il 29 settembre 1906 si riunisce il congresso fondativo della Confederazione Generale del Lavoro (CGL), cui presto aderiscono oltre ai sindacati professionali la maggioranza delle camere del lavoro. Le funzioni della CGL sono: (a) la direzione generale del movimento proletario, industriale e contadino, al di sopra di qualsiasi distinzione politica, coordinando lazione che devono svolgere le Federazioni di mestiere e le Camere del Lavoro [...] in quanto le funzioni delle due organizzazioni debbono intendersi circoscritte rispettivamente agli interessi generali e nazionali per le prime e a quelli locali dei gruppi di mestiere per le seconde; [...] (c) di secondare, disciplinare e coordinare ogni iniziativa dei lavoratori in materia legislativa [...] per strappare allo Stato, alle Province e ai Comuni quelle leggi e quei provvedimenti richiesti e chiaramente voluti dalla classe lavoratrice; [...] (f) di risolvere i conflitti che eventualmene avessero a sorgere fra vari enti nelle organizzazioni di mestiere [...]; [...] (h) di stabilire e disciplinare i rapporti di solidariet fra le varie organizzazioni di mestiere nel campo della resistenza, sviluppando maggiormente il concetto della solidariet nazionale e internazionale della classe operaia; [...] (m) di abilitare in conclusione la massa proletaria direttamente e per mezzo dei suoi organi rappresentativi a muoversi al di sopra di ogni Partito o scuola pel conseguimento intero del suo programma di rivendicazioni.26 Gli iscritti alla CGL, inizialmente in numero inferiore ai 200.000, superano quota 300.000 nel 1909, toccando il punto massimo del periodo anteguerra nel 1911 con 383.770 aderenti27. La linea del sindacato, diretto
Statuto della Confederazione Generale del Lavoro, citato in I. Barbadoro, op. cit., pp. 171-172. R. Rigola-L. DAragona, La Confederazione Generale del Lavoro nel sessennio 1914-1920, Rapporto del Consiglio Direttivo al X Congresso Nazionale della Resistenza, V della Confederazione Generale del Lavoro, Livorno, 1921, citato in D. Horowitz, op. cit., p. 125. Horowitz segnala come i dati siano fortemente sottostimati, poich Rigola impone nella CGL di compilare le statistiche degli iscritti in base unicamente alle quote versate dalle federazioni di categoria. Le quote sociali, per, vengono versate alla confederazione per un numero di iscritti di gran lunga inferiore a quello effettivo: ad esempio, il sindacato dei marittimi nel triennio 1911-1913 versa quote annuali per 5.000 iscritti, mentre i rapporti governativi gliene attribuiscono 53.800. Questa sottostima dei dati, una volta tenuta da conto in merito al peso e al ruolo nazionale esercitato dalla CGL, non fonte di problemi per quanto riguarda i confronti intertemporali, poich la metodologia di compilazione delle statistiche sindacali continuer a lungo a seguire la medesima impostazione.
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ininterrottamente dai riformisti, tenta immediatamente di affermarsi come attenta alle esigenze del Paese e non soltanto della classe operaia, tanto da mutare la tradizionale posizione contraria al cottimo, accettando esplicitamente la retribuzione a incentivo considerata lunica che consente al contempo di accrescere le paghe e di sostenere la concorrenzialit delle imprese28. Ciononostante le lotte sindacali nel primo quindicennio del secolo scorso si presentano isolate, disperse per localit, interessano per lo pi singoli mestieri, singole fabbriche o al pi gruppi di fabbriche affini. La frammentariet delle vertenze legata alla difficolt di un coordinamento degli obiettivi rivendicativi, dovuta allestrema diversit delle condizioni di lavoro tra comparti produttivi, e tra piccole e grandi aziende nello stesso settore: variano la stabilit dellimpiego, la struttura della retribuzione e i livelli salariali, differenziati per mercati del lavoro locali, sesso, et, qualifiche29. Il periodo giolittiano, pur caratterizzato da una parziale apertura alle istanze delle classi lavoratrici e soprattutto dal riconoscimento implicito del diritto di sciopero30, attraversato da una crescente conflittualit operaia: la media annua dei lavoratori scioperanti passa dai 50.000 dellultimo decennio dell800 ai 300.000 tra linizio del secolo e lo scoppio della prima guerra mondiale31, con un costo in termini di salari perduti (solamente nellindustria) oscillante tra un minimo di 2.247.982 lire nel 1905 ed un massimo di 15.307.784 lire nel 191332. Molti scioperi hanno come finalit primaria il riconoscimento del sindacato da parte padronale. Infatti, sebbene il governo tenti gi dallinizio del secolo di dare vita a momenti di dialogo tra le opposte rappresentanze, gli imprenditori si rifiutano spesso di contrattare con le strutture sindacali, alle quali negano qualunque titolarit in merito al collocamento dei lavoratori.
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S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 130. Ibidem, pp. 130-131. 30 Il diritto di sciopero non viene ufficialmente riconosciuto, n tantomeno tutelato. Occorre per rilevare come esso abbia smesso di essere un reato a partire dallemanazione del Codice Zanardelli (1889). 31 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 130. 32 L. Einaudi, op. cit., p. 14.

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Per concludere il quadro del movimento sindacale italiano di inizio secolo, occorre citare la nascita, avvenuta nel 1912, dellUsi (Unione Sindacale Italiana, fondata dai sindacalisti rivoluzionari fuoriusciti dalla CGL e destinata a ulteriori scissioni), nonch lo sviluppo del sindacalismo di matrice cattolica, che dal 1910 inizia ad avere una sua vitalit, forte di 374 unioni professionali e di due sindacati nazionali di categoria (tessili e ferrovieri). Entrambe le realt, piuttosto deboli nel nord e nel settore secondario33, godono di maggiori favori tra i lavoratori dellagricoltura nel sud, dove la presenza della CGL decisamente scarsa. Accanto ad essi, evolvono le associazioni di categoria degli imprenditori: mentre quelle nazionali di comparto cominciano a sorgere a partire dal 1900, nel 1906 nasce la prima organizzazione locale intersettoriale (la Lega Industriale di Torino), che a sua volta d vita alla Confederazione Nazionale dellIndustria nel 1910. Il sindacato padronale e la presenza alla sua guida di alcuni dirigenti illuminati saranno di importanza fondamentale per quanto concerne il riconoscimento di un ruolo contrattuale ed economico al sindacato operaio. Nel 1914, allo scoppio della guerra in Europa, la CGL raccoglie nelle industrie ancora 399.271 su 473.292 organizzati, toccandone appena 40.009 alle leghe cattoliche e 34.012 a quelli che ufficialmente si dicono indipendenti34.

3.2. La grande guerra. Come scrive Musso, la grande guerra rappresenta per il mondo del lavoro una svolta epocale sia perch stimola lo sviluppo in Italia della grande industria, sia perch crea le condizioni per laffermarsi di nuove modalit di intervento dello stato nelleconomia, nei rapporti sociali e tra le organizzazioni di interessi, con notevoli conseguenze sulle politiche del lavoro35.
33 LUSI, al momento della fondazione, conta al massimo 10 camere del lavoro affiliate, oltre a 19 leghe di mestiere e ad un solo sindacato nazionale (quello dei ferrovieri). 34 L. Einaudi, op. cit., p. 16. 35 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 137.

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Elemento cruciale in termini di sviluppo dellindustria e di innovazione delle relazioni industriali e dei rapporti sociali listituto della Mobilitazione industriale, i cui fini e il cui funzionamento spiegano gran parte dellevoluzione sindacale del periodo bellico e rappresentano le premesse allulteriore sviluppo del dopoguerra. Oltre a ci occorre considerare le conseguenze sul sindacato italiano dellindustrializzazione intesa a prescindere dal ruolo della Mobilitazione industriale e dei cambiamenti sociali generati da essa e pi generalmente dallattivit bellica. 3.2.1. La Mobilitazione industriale. La Mobilitazione industriale viene decisa con un decreto del 26 giugno 1915 che conferisce al governo poteri atti ad assicurare il rifornimento di materiale, durante lo stato di guerra, allesercito ed alla marina; gli d facolt di imporre e far eseguire le opere occorrenti a crescere la potenzialit degli stabilimenti privati la cui produzione giovasse alla difesa del paese e di assoggettarne, ove facesse duopo ad assicurare la continuit della produzione, il personale alla giurisdizione militare; ed impone agli industriali di fabbricare e fornire il materiale necessario agli usi di guerra, a prezzi fissati dimpero se lamministrazione reputi eccessivi quelli richiesti dagli industriali, lecito il reclamo solo dinnanzi ad arbitri inappellabili36. Due sono i motivi che spingono il generale Dallolio sottosegretario per le armi e munizioni dal 1915 al 1917 a varare la Mobilitazione industriale. Il primo, ufficiale, di carattere economico e militare: lo Stato ha bisogno di dirigere direttamente la produzione a scopi bellici e non pu permettersi di effettuare i rifornimenti mediante commesse in un regime di libero mercato; la Mobilitazione serve allora ad esercitare unopera di controllo e coordinamento sulle imprese private, poich lindustria militare statale non in grado di soddisfare le esigenze produttive e daltra parte si ritiene che il governo sia fatalmente un industriale pi lento, e
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L. Einaudi, op. cit., pp. 101-102.

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forse anche meno efficace dei privati cosicch, nelle sue mani, la produzione invece daumentare, probabilmente diminuirebbe e sarebbe pi costosa37. La seconda motivazione, mai ufficializzata e rilevata da Tomassini38, legata a esigenze di ordine pubblico e controllo sociale: a questo proposito bene ricordare che lItalia entra in guerra con lesplicita opposizione del maggiore partito rappresentante della classe operaia39, per cui lesecutivo ritiene necessario dotarsi di ampi strumenti per governare economicamente e socialmente le masse dei lavoratori. Tutti gli stabilimenti ritenuti adatti, per la dotazione tecnica, a produrre materiale necessario per i rifornimenti bellici vengono dichiarati ausiliari con atto del ministro della guerra e devono sottostare ai regolamenti della Mobilitazione, cos come le officine che non possono essere dichiarate stabilimenti ausiliari ma a cui sono connesse lavorazioni che interessino lesercito e la marina40 individuate dal Comitato di Mobilitazione industriale (CMI). Negli stabilimenti ausiliari tutto il personale, dal gestore agli operai, passa sotto la giurisdizione militare, lo sciopero vietato, gli straordinari sono resi obbligatori, i licenziamenti sono bloccati, i contratti in essere sono prorogati automaticamente per tre anni, i salari e le condizioni di lavoro vengono determinati ad opera arbitrale dai Comitati regionali di Mobilitazione industriale (CRMI). Inoltre gli imprenditori possono ottenere lesonero dalla chiamata alle armi degli operai necessari alla produzione bellica. I risultati in termini di coercizione disciplinare degli operai sono notevoli, al punto che tra i lavoratori mobilitati le assenze dal lavoro si dimezzano. In particolare vengono quasi totalmente eliminate le assenze
Relazione parlamentare di accompagnamento al regolamento della Mobilitazione industriale del 22 agosto 1915, firmata dal ministro Zuppelli (ma elaborata da Ugo Ancona), come riportata in L. Tomassini, Mobilitazione industriale e classe operaia, in G. Procacci (a cura di), Stato e classe operaia in Italia durante la prima guerra mondiale, ed. Franco Angeli, Milano, 1983, p.83. 38 L. Tomassini, Mobilitazione industriale e classe operaia, cit., pp. 79-80. 39 Anche nelle altre Nazioni europee i movimenti socialisti sono contrari al conflitto, ma occorre rilevare che ovunque, tranne che in Italia, essi votano a favore dei crediti di guerra. In ogni caso le esigenze di controllo sociale della manodopera e di coordinamento della produzione non rappresentano una peculiarit italiana, tant vero che si hanno piani di mobilitazione in tutti i Paesi belligeranti. 40 Decreto Luogotenenziale del 1 ottobre 1916, n. 1576, come riportato in L. Einaudi, op. cit., p. 104.
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ingiustificate, poich le leggi militari approvate appositamente per la Mobilitazione prevedono in caso di allontanamento dal lavoro la reclusione in un carcere militare da due mesi a un anno. Per avvantaggiarsi della disciplina militare, nonch dellopportunit di selezionare la manodopera pi qualificata tramite listituto dellesonero, molti imprenditori avanzano richiesta di dichiarazione di ausiliariet, il cui esito giustificato dal crescente fabbisogno di forniture belliche spesso accolto. Cos, se gli stabilimenti mobilitati sono 221 nel 1915, essi diventano 797 nel 1916, 1.463 lanno successivo e 1.976 al momento dellarmistizio, di cui la maggior parte nei comparti della meccanica, della siderurgia e della chimica.41 La gestione della Mobilitazione affidata al CMI e agli undici comitati regionali, presediuti da un militare e composti da membri civili nominati dal governo, cui si aggiungono rappresentanti suddivisi pariteticamente delle organizzazioni padronali e operaie con ruolo puramente consultivo (anchessi di nomina statale). Molto spesso i membri civili sono industriali, come dimostra emblematicamente la presenza in tale veste, allinterno del comitato piemontese, del segretario della Lega Industriale di Torino, Gino Olivetti42. Tralasciando i compiti dei comitati in merito al coordinamento delle commesse, alla fissazione del relativo prezzo o alla distribuzione delle materie prime, utile esaminarne lattivit per quanto riguarda i temi del lavoro e delle organizzazioni sindacali. Daltra parte, come rileva Tomassini, con il passare del tempo le questioni legate alla produzione di materiale bellico si accentrano sempre pi presso il sottosegretariato per le armi e munizioni, rivelando in questo modo come la Mobilitazione industriale sia un organismo specificatamente dedicato alla questione operaia43. I CRMI hanno prioritariamente compiti di natura arbitrale in tema di controversie che nascano sul luogo di lavoro, al fine di evitare agitazioni e di
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A. Caracciolo, La crescita e la trasformazione della grande industria durante la prima guerra mondiale, in G. Fu (a cura di), Lo sviluppo economico in Italia, ed. Franco Angeli, Milano, 1981, p. 211. 42 M. Abrate, op. cit., p. 163. 43 L. Tomassini, Mobilitazione industriale e classe operaia, cit., pp. 80-81.

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rendere effettivo il divieto di sciopero. Qualunque disputa sorga tra un lavoratore e un imprenditore, che non giunga a una veloce risoluzione, viene portata davanti al comitato regionale, la cui decisione appellabile di fronte a quello nazionale. Larbitrato si svolge con le caratteristiche proprie della vertenza, data la presenza di rappresentanti degli industriali e degli operai. Allinizio del 1918 liter vertenziale, per quanto concerne le istanze operaie collettive, vede lintroduzione di un ulteriore fase iniziale: le richieste delle maestranze devono infatti essere presentate per iscritto allindustriale per mezzo della commissione operaia ove esiste, oppure per mezzo di una propria rappresentanza costituita caso per caso44. Si tratta del primo riconoscimento ufficiale delle commissioni interne da parte dello Stato, per quanto come Bezza sottolinea un decreto ministeriale abbia unefficacia giuridica limitata, da cui si deduce che, pi che di un riconoscimento, si tratta della constatazione della loro esistenza45. I comitati, oltre a dirimere le controversie, si occupano di regolamentare ogni aspetto dellattivit lavorativa negli stabilimenti mobilitati, dalle condizioni di lavoro allorario, dal livello dei salari o dellindennit di caro-vita alle tutele sanitarie, dal cottimo al collocamento. In questi ambiti molte norme emanate dal CMI hanno valenza nazionale (per tutti gli stabilimenti o per quelli di un settore produttivo) e rappresentano un primo embrione di contratti nazionali di lavoro46; una di esse, particolarmente rilevante perch riferita a un tema oggetto di vertenze ed agitazioni da pi di un decennio, riguarda il cottimo e stabilisce, nel 1917, che la revisione dei prezzi ammessa solo in presenza di variazioni nelle condizioni di lavoro. Come si vedr pi avanti, tale disposizione viene rivendicata dalla FIOM quale importante vittoria sindacale47.
Art. 1 del Decreto Ministeriale del 23 gennaio 1918, citato in B. Bezza, Gli aspetti normativi nelle relazioni industriali nel periodo bellico (1915-1918), in G. Procacci, op. cit., p. 117. 45 B. Bezza, op. cit., pp. 117-118. 46 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 138. 47 Afferma nel 1918 Bruno Buozzi: Attraverso la mobilitazione industriale siamo riusciti a imporre per tutta Italia [...] che i prezzi dei cottimi non possano essere modificati per tutta la durata della guerra, salvo che non vengano apportate modificazioni dei sistemi di lavorazione (B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 448).
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Per quanto riguarda la materia salariale, di notevole interesse lindicazione, cui si devono attenere i CRMI, di fare salvo il principio giuridico dellequo trattamento. Questo, concesso nel 1906 ai lavoratori delle imprese private di servizi ferroviari esercitati per conto dello Stato48, permette agli organi amministrativi di generalizzare allintera massa operaia [...] i principi informatori della politica salariale e normativa e di pervenire [...] a dare il la alla formazione di un tessuto comportamentale in materia contrattuale comune ai vari soggetti49. La scelta viene motivata sostenendo che militarizzando il personale bisogna assicurargli un equo trattamento, salvaguardarlo da eventuale sfruttamento e permettergli di far valere le sue giuste ragioni, nellinteresse stesso della produzione50. Un effetto fondamentale della norma la perdita di valore dei regolamenti aziendali, tradizionalmente vincolanti per gli operai ma mai oggetto di contrattazione, bens fissati unilateralmente dallimprenditore. La presenza ufficiale di rappresentanti sindacali in un organismo statale non una novit assoluta (gi nel 1902 la composizione dei neonati Ufficio del lavoro e Consiglio superiore del lavoro vede la partecipazione di sindacalisti51), ma in alcuni comitati di Mobilitazione avviene uninnovazione sostanziale: anzich essere cooptati, i membri del comitato piemontese vengono nominati direttamente da CGL e Lega Industriale, come richiesto dalle due organizzazioni congiuntamente52. In Lombardia viene ottenuto un risultato simile in termini di riconoscimento della CGL: nel 1917, allampliamento dei comitati regionali, i confederali riescono ad opporsi al tentativo di ridurli in minoranza attraverso la cooptazione di sindacalisti interventisti e cattolici, risultando quindi lunico sindacato industriale interlocutore ufficiale dello Stato

48

Il principio applicato nel 1906, cui si attengono poi i comitati di Mobilitazione, prevede il controllo statale sulle norme disciplinari ed economiche dei contratti, nonch il diritto di ogni lavoratore di ricorrere a un arbitro imparziale per qualunque controversia. 49 B. Bezza, op. cit., p. 104. 50 Relazione parlamentare di accompagnamento al regolamento della Mobilitazione industriale del 22 agosto 1915, firmata dal ministro Zuppelli (ma elaborata da Ugo Ancona), come riportata in B. Bezza, op. cit., p. 110. 51 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 133. 52 M. Abrate, op. cit., p. 176.

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e delle associazioni imprenditoriali53. Non a caso, in riferimento alla Mobilitazione industriale Horowitz ritiene si possa dire che la CGL assume la rappresentanza per i lavoratori54.

Mobilitazione industriale e sviluppo della previdenza. Attraverso la Mobilitazione industriale si iniziano a porre le basi dellintervento dello Stato in materia di welfare e, data la modalit di lavoro dei comitati (simili a vere e proprie vertenze)55, a questo fenomeno corrisponde una analoga e parallela estensione della sfera dazione del sindacato. Come rileva Einaudi, accanto alla coercizione, la tutela56: tra laprile e il luglio del 1917 viene decretata lobbligatoriet, per le maestranze addette agli stabilimenti ausiliari e assimilati, dellassicurazione per linvalidit e la vecchiaia, fino ad allora facoltativa. Il fine quello di indurre ad un risparmio forzato gli operai che ricevono i maggiori salari (quelli degli stabilimenti mobilitati) in vista di un futuro meno favorevole. I contributi sono in parte trattenuti dal salario, in parte versati dagli industriali in aggiunta al salario stesso, in ultima parte sono integrati da parte dello Stato. La previdenza pubblica obbligatoria una assoluta novit, per quanto durante la guerra sia limitata ai soli operai mobilitati, con alcune conseguenze paradossali: operai di settori diversi (quindi con salari anche molto differenti) sono assoggettati allo stesso contributo, mentre sono esclusi dal provvedimento altri operai che lavorano nei medesimi settori ma la cui impresa non mobilitata. Altri problemi sorgono nei casi di mobilit dei lavoratori da o verso uno stabilimento ausiliario. Tali critiche, fatte proprie dalla Confederazione Italiana dellIndustria57, si sommano a quelle della FIOM: il sindacato, pur tra i richiedenti una legislazione in tema di assicurazioni sociali e previdenza, contesta il concetto del dare le pensioni ad
53 54

L. Tomassini, Mobilitazione industriale e classe operaia, cit., p. 92. D. Horowitz, op. cit., p. 212. 55 B. Bezza, op. cit., p. 103. 56 L. Einaudi, op. cit., pp. 114-115. 57 M. Abrate, op. cit., pp. 173-175.

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una parte sola del proletariato58 e denuncia linsufficienza di una cassa per le sole invalidit e vecchiaia che non contempla anche una sorta di sussidio di disoccupazione. La maggiore preoccupazione della FIOM per unaltra: che lo Stato si occupi direttamente di erogare i contributi, accantonati nella Cassa Depositi e Prestiti. Tale posizione deriva sia dalla scarsa fiducia nutrita verso le amministrazioni pubbliche, sia dallesigenza naturale per un sindacato non ancora del tutto sviluppato e soprattutto non del tutto riconosciuto dallo Stato e dagli industriali di avere saldo il controllo di tutti quegli strumenti previdenziali che rappresentano un imprescindibile strumento di aggregazione e radicamento59. Non a caso la stessa FIOM, in collaborazione con le imprese, diffonde in quegli anni, ovunque si presenti loccasione, listituzione di casse di previdenza contro la malattia e la disoccupazione, preoccupata soprattutto dalla forte disoccupazione prevista alla fine del conflitto nel comparto della metalmeccanica. La speranza della FIOM di riuscire a dimostrare che i sindacati dei lavoratori sono in grado di organizzare per loro conto in accordo con gli industriali, che laddove acconsentono, pagano parte dei contributi le casse di previdenza, in modo da vedersi poi assegnare la gestione dei fondi derivanti dallassicurazione statale obbligatoria. La Confindustria condivide questo approccio e in unassemblea del 6 luglio 1917 d mandato alla presidenza di sottoporre al governo, possibilmente dintesa colle organizzazioni operaie, un progetto completo di provvidenze sociali per gli infortuni, le malattie, linvalidit e la vecchiaia, sulla base del triplice contributo degli industriali, degli operai e dello Stato60. Lidea degli imprenditori che la gestione della previdenza possa essere affidata a enti bilaterali partecipati da rappresentanti delle organizzazioni operaie e padronali, sulla scorta di quanto gi avviene in molte parti del Paese. Alcuni imprenditori dotati di ampie vedute si trovano daccordo con la FIOM anche sullestensione delle casse cogestite di
B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 448. Lorganizzazione di resistenza acquista vita sicura quanto pi integrata da altri servizi (B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 444). 60 Bollettino della Lega Industriale, Anno XI (1917), numero unico, citato in M. Abrate, op. cit., pp. 173-174.
59 58

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previdenza alla disoccupazione, sulla traccia di quanto realizzato a Torino allinizio del 1918, quando sorge la prima cassa di sovvenzione per i disoccupati del dopoguerra (creata da CGL e Lega Industriale), con 50.000 assicurati. Se gli esiti del dibattito saranno solo in parte soddisfacenti61, da sottolineare latteggiamento della Confindustria: non solo si fa promotrice di una maggiore legislazione sociale (posizione opposta rispetto a prima della guerra), ma di fatto riconosce alla CGL ed alle sue federazioni di categoria il ruolo di rappresentanti nazionali degli operai.

La FIOM nella Mobilitazione industriale. Del credito acquisito dalla CGL nei confronti delle organizzazioni padronali (e in parte anche dello Stato) grazie alla partecipazione ai comitati di Mobilitazione industriale si gi detto. Ciononostante la valutazione che il sindacato fa dellesperienza dei comitati, sia ex ante che ex post, non certo entusiastica. Daltra parte una valutazione sullimportanza dellinstaurarsi di certe prassi concertative durante la guerra non pu venire fatta che alla luce della conoscenza dellevoluzione sindacale in tutto il XX secolo. Prima di tutto opportuno mettere in evidenza limportanza della FIOM nellesperienza sindacale legata alla Mobilitazione. Da un lato il settore della metalmeccanica quello che annovera il maggior numero di stabilimenti ausiliari62 e dunque la FIOM ad essere coinvolta nella maggioranza delle vertenze ed alla FIOM appartengono molti dei sindacalisti presenti nei CRMI, dallaltro la federazione dei metalmeccanici rappresenta lavanguardia del riformismo sindacale: la FIOM che nel 1906 si fa promotrice della nascita della CGL, cos come la FIOM che guidata da Bruno Buozzi, uno dei pi

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Lassicurazione obbligatoria alla cassa per linvalidit e la vecchiaia verr estesa a tutti i lavoratori, ma senza contemplare la disoccupazione. (Cfr. 3.3). 62 Nel 1918 sono 762 (di cui 204 metallurgici e 558 meccanici) su un totale di 1.976, seguiti dai 358 stabilimenti ausiliari del comparto della chimica, come riportato in V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dellItalia (1861-1990), cit., p. 278.

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autorevoli, influenti e capaci sindacalisti italiani63. Non quindi un caso che nellautunno del 1915 la Confederazione stia ancora parlando del problema della disoccupazione (ormai in fase di veloce superamento), mentre la FIOM tenta di inserirsi nella preparazione della Mobilitazione. Ovviamente listituto della Mobilitazione preoccupa il sindacato, per quanto sia stato ampiamente previsto: Quando lItalia decise di intervenire nel conflitto, prevedemmo gi che la mobilitazine ci avrebbe raggiunto poco dopo. Eravamo stati incapaci di impedire la guerra e sarebbe stato puerile, ridicolo pensare di impedirne le conseguenze. E quando ci sentimmo la mobilitazione alle spalle, ci demmo dattorno perch essa riuscisse il meno peggiore possibile e perch la nostra Federazione venisse considerata come si meritava. [...] Noi non labbiamo cercata ma subita64. Analogamente la valutazione della mobilitazione come organismo di intervento statale nella produzione negativa: Abbiamo gi detto altra volta che la Mobilitazione industriale si risolta nella sola militarizzazione degli operai. [...] Dobbiamo [...] ancora una volta constatare che alla classe industriale [...] stato fatto un trattamento assai pi favorevole che alla classe operaia. Vi sono quindi il realismo e il senso di responsabilit della FIOM alla base della scelta di entrare nei comitati sin da subito: Queste amare constatazioni, prevedibili del resto e da noi fatte sin dallinizio della mobilitazione, non potevano per indurci ad una azione diversa da quella compiuta. Agli operai era stata tolta la libert di usare della sua [sic] pi formidabile arma, quella dello sciopero, e noi non potevamo abbandonarli, senza difesa a dei comitati arbitrali che tali sono i Comitati di mobilitazione mancanti di una loro legittima rappresentanza. Se il giudizio sulla Mobilitazione decisamente critico, invece positivo quello sul lavoro della Federazione: La nostra presenza e il nostro controllo nei Comitati di mobilitazione ha impedito innumerevoli e ignobili speculazioni politiche ed altrettanto
Non a caso la relazione di Buozzi al Congresso della FIOM del 1918, in cui tratta dellattivit sindacale connessa alla guerra ed alla Mobilitazione, considerata pressoch unanimemente la posizione del sindacato italiano sugli anni 1915-1918. 64 Questa e le successive citazioni provengono da B. Buozzi, Lopera della Federazione Metallurgica dal 1910 al 1918, in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 438-464.
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innumerevoli sfruttamenti economici. [...] Nelle loro prime sedute i comitati di mobilitazione si trovarono subito costretti a discutere nostri memoriali. Noi non abbiamo aderito alla guerra [...] ma ci sono situazioni e considerazioni che simpongono anche agli avversari pi inflessibili. La nostra azione diede a questi limpressione che noi non avremmo tollerato sopraffazioni di sorta e la nostra presenza nei Comitati di mobilitazioni impose riguardi verso le nostre organizzazioni [...]. Tutto ci diede modo a noi di diendere il nostro movimento e di contribuire al suo rigoglioso sviluppo e a ci si deve in gran parte se la nostra Federazione oggi la pi forte e temuta dItalia65. Queste parole dimostrano che latteggiamento della FIOM rientra a pieno titolo nel Non aderire n sabotare socialista, con laggiunta del Non subire le conseguenze della guerra, ma prevenirle privilegiando quindi i fini allopposizione di principio verso i mezzi. La mobilitazione ha per permesso al sindacato di conseguire anche alcuni risultati importanti, soprattutto dopo il 1916. Linverno 1915-16 infatti uno spartiacque per quanto concerne latteggiamento dello Stato verso la FIOM, prima di allora trattata con estrema durezza. La svolta dovuta al nascere di alcune agitazioni (soprattutto in Liguria), durante le quali la conduzione della lotta, ad opera di sindacalisti rivoluzionari, mette a dura prova gli organismi della Mobilitazione. Il sistema di controllo della manodopera, appena messo a punto, rischia subito di crollare: da qui la necessit per il governo di avere un interlocutore rappresentativo degli operai, anche a costo di dovere scendere a patti con la FIOM. Emblematico del mutato clima nelle relazioni industriali lincontro ufficiale, avvenuto nellestate del 1916, tra i rappresentanti sindacali e Dallolio, per presentare la piattaforma di richieste elaborata in un convegno della FIOM. Levento ha delleccezionale, come ricorder Buozzi: era la prima volta che la nostra organizzazione saliva le scale di un ministero 66.

65

Effettivamente al 30 settembre 1918 la FIOM annovera 47.192 soci suddivisi in 102 sezioni territoriali, pi del quadruplo rispetto al momento dello scoppio del conflitto mondiale. Il dato particolarmente significativo se si considera il regime fortemente limitativo dellazione sindacale imposto dai decreti di Mobilitazione industriale. 66 In questo caso citato da L. Tomassini, Mobilitazione industriale e classe operaia, cit., p. 91.

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Cos nella seconda parte dellesperienza bellica, il Comitato nazionale emana una serie di decreti che recepiscono istanze della FIOM e che si applicano (almeno in teoria) a tutti gli stabilimenti ausiliari, rappresentando una ragguardevole innovazione in merito alle politiche del lavoro. Buozzi riconosce questo aspetto proficuo: Attraverso la Mobilitazione industriale siamo riusciti a imporre per tutta Italia: a) lorario normale di lavoro giornaliero non superiore a dieci ore; b) che le ore di lavoro in pi delle dieci dei giorni feriali e le festive vengano retribuite con un compenso minimo variante dal 25 al 50 per cento della paga; c) che le ore di lavoro dei turni di notte vengano pure retribuite col 25 per cento; d) che agli operai specialisti e dei servizi vari, che per ragioni indipendenti dalla loro volont non possono lavorare a cottimo, venga corrisposto un compenso extra sulla paga oraria; e) che i prezzi dei cottimi non possano essere modificati per tutta la durata della guerra, salvo che non vengano apportate modificazioni dei sistemi di lavorazione; f) che alle donne vengano corrisposti gli stessi prezzi di cottimo degli uomini. Si tratta di conquiste non di poco conto: in particolare le 10 ore di lavoro giornaliere saranno la base, appena dopo la fine della guerra, per lanciare la battaglia nazionale delle 8 ore67. I successi della FIOM nei comitati di mobilitazione sono a dire il vero ancora maggiori, se si considerano anche le misure sul caro-viveri e sul suo adeguamento automatico (la scala mobile), e nellinsieme costituiscono i motivi della crescente forza del sindacato tra gli operai. Ci non toglie che, sul finire della guerra, lorganizzazione si dichiari fortemente contraria alla prosecuzione della mobilitazione, come qualcuno propone, in tempo di pace. La ragione principale di tale categorico rifiuto, peraltro condiviso dagli industriali, risiedono nella constatazione che terminata la guerra gli unici a rimanere mobilitati sarebbero gli operai, visto che gli imprenditori reclamerebbero la propria libert dazione in assenza di commesse pubbliche e del rifornimento statale di materie prime: come afferma efficacemente Buozzi la Mobilitazione industriale dopo la guerra non rimarrebbe quindi che la mobilitazione degli operai ci che poco e troppo ad
67

Cfr. 3.3.

50

un tempo!. Inoltre non va dimenticato che la mobilitazione implica larbitrato obbligatorio, norma strettamente connessa al divieto di sciopero, ed entrambe sono imposizioni decisamente antitetiche alle esigenze di un sindacato libero. Occorre infine far notare, per quanto riguarda la FIOM, che il forte aumento dei suoi iscritti e della sua rappresentativit frutto anche della capacit del sindacato di adeguarsi organizzativamente alla configurazione dei comitati di mobilitazione, mediante la creazione di comitati regionali. Non per nulla la crescita della Federazione direttamente proporzionale al suo coinvolgimento nei diversi comitati regionali di mobilitazione e al numero delle vertenze risolte o decise con ordinanza degli stessi68.

Limportanza relativa della Mobilitazione industriale. Einaudi riporta alcuni dati di grande interesse riguardo ai lavoratori coinvolti dalla Mobilitazione69: al momento dellarmistizio gli esonerati in vit di essa sono 165.000, di cui solo l8% appartenenti alle classi giovani dei nati dopo il 1890. Infatti, dopo Caporetto, il governo decide che i giovani esonerati devono andare al fronte, per ridare allesercito nuove energie,70 e che negli stabilimenti mobilitati essi debbano essere sostituiti da lavoratori pi anziani. In totale i lavoratori al servizio delle imprese ausiliarie sono 903.21071. Da ci si deduce che i lavoratori impiegati nei 1.976 stabilimenti ausialiari rappresentano una porzione minoritaria del totale degli operai; una minoranza perdipi con unet media abbastanza elevata. Questo dato potrebbe portare alla considerazione secondo cui limpatto della Mobilitazione sulle relazioni industriali e sulle tutele dei lavoratori sia stato in fin dei conti limitato, cos come sarebbero da ritenere non molto significative le conquiste sindacali ottenute dalla FIOM. Effettivamente le ricadute positive delle norme emanate
68 69

B. Bezza, op. cit., p. 104. L. Einaudi, op. cit., pp. 108-109. 70 In trincea vengono mandati anche molti diciottenni, noti come i ragazzi del 99. 71 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 133.

51

dal CMI debbono essere valutate tenendo conto che esse non hanno effetti per gli operai degli stabilimenti non mobilitati; daltra parte il sindacato stesso ha ben presente la dicotomia tra lavoratori mobilitati e non, come rileva la posizione tenuta riguardo allassicurazione sociale obbligatoria. Tuttavia occorre sottolineare come le modalit di confronto e accordo emerse dalla Mobilitazione rappresentino uninnovazione non trascurabile, cos come di grande rilevanza sono le novit contenute nei decreti emanati. Lestensione della contrattazione a livello nazionale e di alcune tutele per i lavoratori saranno la dimostrazione del fondamentale ruolo di avanguardia svolto dalla Mobilitazione industriale nonch della crescita della forza del sindacato, in grado di ottenere proprio tali risultati72. 3.2.2. Economia di guerra e sviluppo del sindacato. Come si detto73, lo sforzo industriale volto alla produzione bellica modifica strutturalmente leconomia italiana, favorendo lo sviluppo dei comparti avanzati e la crescita dimensionale delle imprese. In particolare ricevono uno straordinario impulso i settori della meccanica, della siderurgia e della chimica, anche a prescindere dalla Mobilitazione industriale. Infatti occorre considerare che molte fabbriche, pur non essendo dichiarate ausiliarie, vedono aumentare sensibilmente le commesse: sono ancora poche le imprese verticalmente integrate e quindi i produttori di materiale bellico per conto dello Stato alimentano la crescita delle aziende fornitrici, operanti anche in settori diversi. La necessit di produrre elevati quantitativi di merce standardizzata porta inevitabilmente allampliamento degli impianti e allintroduzione di alcune metodologie di organizzazione aziendale che si affermeranno con il taylorismo. Produzione in serie e accresciute dimensioni delle imprese sono due aspetti
72 73

Cfr. 3.3. Cfr. 2.4.

52

interdipendenti delleconomia di guerra: da un lato una grande fabbrica necessita di una gestione ordinata delle maestranze, dallaltro i nuovi metodi di lavorazione permettono economie di scala realizzabili solo in medio-grandi stabilimenti. La situazione che si viene a creare doppiamente favorevole allo sviluppo del sindacato nazionale. Prima di tutto pi semplice per le organizzazioni operaie aggregare nuovi lavoratori se le imprese sono di maggiori dimensioni: ci sono maggiori probabilit che allinterno vi siano maestranze gi iscritte al sindacato, i sindacalisti che operano dallesterno possono contare sulla solidariet che si crea tra gli operai, il controllo padronale inferiore rispetto a quello delle officine la cui manodopera costituita da poche persone. Per un sindacato ancora in fase di sviluppo pi agevole occuparsi di un numero limitato di stabilimenti dove sono impiegati molti operai che di una moltitudine di piccole imprese. Questo, a dire il vero, utile allevoluzione del sindacato in generale, che si tratti di federazioni nazionali, di camere del lavoro o di una singola organizzazione locale. Contribuisce laffermazione ad accrescere della la forza del sindacato nazionale La definitiva figura delloperaio comune.

semplificazione delle lavorazioni e la standardizzazione delle produzioni, nonch limmissione nel mercato del lavoro di migliaia di giovani e donne, provocano fondamentalmente il confinamento del lavoro qualificato, lemancipazione si potrebbe dire del ciclo produttivo dalla dipendenza delloperaio di mestiere74. Si ha cos una frantumazione delle gerarchie sociali nellorganizzazione sindacale, laffermazione di un mondo di valori sempre pi industriale e una modifica sostanziale delle qualificazioni operaie: la novit ora che non pi il mestiere che fa il mercato, ma lazienda che fa le qualifiche, ci significa la fine dei mercati del lavoro paralleli [e]

74

A. Camarda, S. Peli, La conflittualit operaia in Italia 1900-1926, cit., p. 60.

53

lestinzione delle vecchie comunit professionali75. Scomparendo di fatto i tornitori e i conciatori, non hanno pi senso le relative leghe di resistenza; specularmente, imponendosi le qualifiche legate al settore merceologico (metalmeccanico, tessile), acquistano importanza le federazioni sindacali di riferimento. Ulteriore elemento di rafforzamento per queste ultime la diffusione di rivendicazioni salariali egualitarie, a partire dal 1917, tese a ridurre i differenziali retributivi per qualifica, sesso, et76. Il netto declino della figura delloperaio di mestiere non un effetto congiunturale delleconomia bellica, destinato a mitigarsi gi allindomani dellarmistizio: si tratta invece di un punto darrivo, [...] rappresenta il risultato fondamentale acquisito in questi anni dal capitale italiano77 e, occorre aggiungere, dal sindacato italiano. Altri effetti sono invece congiunturali, tuttavia alcune loro conseguenze sono destinate se non a durare, perlomeno a lasciare un segno nella storia dello sviluppo sindacale. Uno tra tutti, la carenza di manodopera per gli stabilimenti ausiliari e pi in generale per le imprese dei settori che godono di una maggiore domanda. La disoccupazione, problema costantemente allordine del giorno fino al 1915, lascia il posto subito dopo lo scoppio della guerra alla scarsit di maestranze (soprattutto nei comparti meccanici e siderurgici) per il combinato disposto dellaumento delle commesse e dellinvio al fronte di molti lavoratori. Non a caso viene creato listituto dellesonero, con cui gli industriali possono richiamare dal fronte gli operai pi qualificati, che per non risulta sufficiente. Questa situazione ideale per lo sviluppo di unattivit strettamente connessa alle organizzazioni sindacali: il collocamento. Fin dagli inizi del secolo gli uffici di collocamento o sono di classe, tanto padronale che operaia, o nelle mani di intermediari privati che [lucrano] indebitamente sui disoccupati

75 76

B. Bezza, op. cit., p. 107. S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 140. 77 A. Camarda, S. Peli, La conflittualit operaia in Italia 1900-1926, cit., pp. 59-60.

54

in cerca di lavoro78. Il collocamento effettuato dalle organizzazioni operaie ha come fine, prima ancora della diminuzione della disoccupazione attraverso lincontro tra domanda e offerta, il supporto allazione di resistenza, impedendo lassunzione di maestranze non sindacalizzate e disposte a lavorare per salari inferiori alla tariffa sindacale. Le resistenze imprenditoriali al riconoscimento di tali uffici sono molto forti79 perch lofferta di lavoro stabilmente maggiore della domanda, ponendo i padroni nella condizione di chi ha il coltello dalla parte del manico. Quando per inizia la guerra, lofferta diventa il lato corto del mercato del lavoro: gli uffici di collocamento sindacali acquistano potere (nonostante, per gli stabilimenti ausiliari, i salari vengano fissati dai CRMI) e con essi si accresce il radicamento delle organizzazioni che li gestiscono. Naturalmente non si ha la stessa situazione in tutti i settori produttivi: la mobilit dei lavoratori non massima, il mercato del lavoro ancora compartimentato e vi sono branche industriali che la guerra fa entrare in crisi. La disoccupazione dunque non scompare, ma si concentra in alcuni comparti. Il fatto che la carenza di manodopera si verifichi per nei settori pi rilevanti un dato da tenere in debita considerazione anche per quanto concerne lo sviluppo del collocamento sindacale. 3.2.3. Guerra e coscienza di classe. Se le grandi fabbriche, in particolare quelle militarizzate in cui le gerarchie tra operai vengono di colpo abolite, favoriscono la solidariet tra operai, un fenomeno simile avviene nelle trincee, dove si incontrano operai provenienti dalle grandi citt ma soprattutto centinaia di migliaia di contadini. Riguardo a questi ultimi, rileva Barbadoro:

78 79

S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 134. Tanto che laccordo di closed shop siglato tra Itala e FIOM nel 1906 (in cui quindi lItala si impegna ad assumere solo tramite la FIOM) viene accolto con stupore e rappresenta uno dei rari casi di contratti del genere.

55

Con la mobilitazione, masse sterminate di contadini erano state strappate alle loro case e alle situazioni disgregate e di tradizionale sottomissione dei piccoli centri rurali e posti bruscamente a contatto con gli immani orrori del conflitto, ma anche con condizioni sociali diverse, pi progredite. Nel fango e nel sangue delle trincee, avevano appreso la sconvolgente lezione che la loro sorte, la loro vita medesima dipendevano dalle decisioni politiche e che queste erano state sempre prese al di sopra della loro testa80. In generale, masse proletarie composte da lavoratori dellindustria e della terra maturano, tanto nella trincea quanto nella fabbrica militarizzata, una coscienza politica che le avvicina agli obiettivi del socialismo, ma anche al sindacato (dunque alla CGL), inteso come mezzo di conquista dei propri diritti. Le posizioni socialiste fermamente contrarie alla guerra, unendosi allopera di assistenza di croce rossa civile81 effettuata dai sindacati e dai comuni amministrati dal PSI82, giovano alla nascita di una coscienza di classe, elemento imprescindibile per lo sviluppo del sindacato nazionale. Daltra parte, senza considerare questo elemento risulta arduo comprendere i movimenti e le rivendicazioni che nellimmediato dopoguerra coinvolgono le masse operaie di tutto il Paese. 3.2.4. Le adesioni al sindacato Come si visto, gli iscritti alla FIOM al termine del conflitto sono pi del quadruplo di quelli del 1914, con una crescita che ha dellincredibile se si considera che avviene quando le maggiori fabbriche meccaniche e metallurgiche sono militarizzate, con lo sciopero vietato e larbitrato obbligatorio:

80 81

I. Barbadoro, op. cit., p. 345. Ibidem, p. 347. 82 Pur agendo con indiscussa indipendenza, la CGL ancora strettamente legata al Partito Socialista: le fortune della Confederazione avvantaggiano il Partito e viceversa.

56

Tabella 3.1: Numero di sezioni e di adesioni alla FIOM (1914-1918)83.

Data di rilevazione 31 dicembre 1914 31 dicembre 1915 31 dicembre 1916 31 dicembre 1917 30 settembre 1918

Sezioni 50 52 62 72 102

Soci 11.471 13.800 22.445 32.482 47.192

Non si ha lo stesso riscontro per quanto concerne le adesioni alla Confederazione:


Tabella 3.2: Numero di iscritti alla CGL (1915-1918)84.

Anno 1915 1916 1917 1918

Adesioni 233.863 201.291 237.560 249.039 A questo riguardo occorre ricordare la gi citata notevole sottostima

operata dalla stessa CGL in merito al numero dei propri iscritti85. I dati possono allora essere valutati solo per esaminarne il trend: a partire dal 1916, ovvero da quando il sindacato inizia a essere considerato un interlocutore affidabile e con il quale elaborare intese da parte del governo, le iscrizioni registrano un aumento del 25% in due anni. Il risultato in ogni caso inferiore a quello ottenuto dalla FIOM, che per la federazione che si dimostra pi capace di usare i limiti cui soggetta dalla Mobilitazione industriale ai propri fini, e risente anche della diminuzione di iscritti di alcune categorie, prima tra tutte la Federterra.
83 84

B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 453. D. Horowitz, op. cit., p. 125. 85 Cfr. 3.1.

57

Il radicamento del sindacato comunque in crescita nonostante la guerra e nonostante la Mobilitazione: senza tenere conto di tale dato e delle sue ragioni non possibile comprendere appieno la crescita esponenziale delle adesioni (e quindi della forza) della Confederazione nellimmediato dopoguerra.

3.3. Il primo dopoguerra: il biennio rosso. La fine della guerra implica inevitabilmente la fine della Mobilitazione industriale: il sindacato riacquisisce cos il diritto allo sciopero, uno dei suoi strumenti di lotta pi efficaci. Allo stesso tempo, la fissazione dei salari e delle condizioni di lavoro torna a essere frutto della contrattazione tra le parti, cos come la risoluzione delle controversie tra padroni e maestranze. Il clima per mutato: da un lato il sindacato si radicato e vede accresciuta la sua forza, dallaltro le masse operaie hanno acquisito un potenziale di mobilitazione86 accumulato negli anni del conflitto. La prima guerra mondiale porta con s alcune ragguardevoli conquiste sindacali, limitate per agli ormai ex stabilimenti ausiliari, e al tempo stesso una consapevolezza diffusa, nelle classi meno abbienti, che giunto il momento di reclamare diritti e tutele in misura uguale per tutti i lavoratori. A ci si aggiunge la rivendicazione del mantenimento delle promesse effettuate dal governo in seguito alla sconfitta di Caporetto, ossia loccupazione garantita per gli operai al fronte e la distribuzione di terre ai contadini. Esplodono cos le lotte operaie: nel 1919 si registrano 1.663 scioperi nellindustria, con 1.049.000 operai partecipanti e 18.880.000 giornate lavorative perse; nel 1920 gli scioperi sono addirittura 1.881, con 16.398.000 giornate lavorative perse da 1.268.000 operai87. Rielaborando i dati si ottengono dei risultati di notevole interesse:

86 87

S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 140. D. Horowitz, op. cit., p. 231.

58

Tabella 3.3: Variazione percentuale del numero di scioperi, operai coinvolti e giornate lavorative perse dal 1919 al 1920.

Variazione 1919-1920 Scioperi Operai coinvolti Giornate lavorative perse + 13,1 % + 20,9 % 13,1 %

Laumento della conflittualit e delle rivendicazioni indicato dalla crescita del numero di scioperi proclamati, mentre lincremento pi che proporzionale del numero di scioperanti rispetto al numero di agitazioni denota la maggiore capacit del sindacato di coinvolgere gli operai nelle lotte. Linsieme delle giornate lavorative perse ha un andamento opposto e quindi, poich un maggior numero di lavoratori partecipa a una quantit anchessa maggiore di scioperi e contemporaneamente i giorni di astensione dal lavoro diminuiscono, la durata media di ogni agitazione diminuisce drasticamente: la forza delle organizzazioni operaie tale da riuscire non solo a divenire pi capillare, ma altres a ottenere pi vittorie con lotte meno intense. Allo stesso tempo, per, questo dato indicatore di una variet di scioperi che nel 1920 avvengono con minor coordinamento rispetto allanno precedente: gli obiettivi sono molti e differenziati88, cos come diversi sono i promotori delle agitazioni (CGL, CIL, USI, UIL)89. Gli episodi pi acuti di lotta operaia del 1919 sono i tumulti per il carovita che si sviluppano nei mesi di giugno e luglio in molte citt italiane90, alla cui testa sono le camere del lavoro locali, data la posizione prudente che tengono la CGL e le relative federazioni nazionali. Il governo, cos come gli imprenditori, si trova in un periodo di relativa debolezza e nel dare ascolto alle
Discorso a parte va fatto per il grande movimento delloccupazione delle fabbriche, a riguardo del quale cfr. 3.4. 89 La CIL il sindacato cattolico legato al Partito Popolare, entrambi fondati nel 1919; la USI, nata nel 1912, lorganizzazione dei sindacalisti rivoluzionari, dalla cui scissione si crea a cavallo con lo scoppio della guerra la UIL, fondata dai rivoluzionar-interventisti la Mussolini. 90 Cfr. 2.2.
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rivendicazioni dei lavoratori mosso dal timore che i moti assumano carattere rivoluzionario91. Entro pochi giorni dallo scoppio dei disordini viene data potest ai comuni di intervenire sui prezzi dei beni di prima necessit con apposite ordinanze. Con lintermezzo dello sciopero generale del 20 e 21 luglio, ininfluente da un punto di vista economico92, si ha in agosto linizio della seconda ondata di agitazioni dellanno. Loggetto del contendere laumento dei salari: gi nellinverno gli operai conquistano diversi rialzi senza che ci sia una decisa opposizione da parte degli imprenditori93, che rispondono con laumento dei prezzi, il quale a sua volta comporta ulteriori rivendicazioni. In estate gli industriali si dimostrano per meno propensi a concedere gli aumenti richiesti, in particolare nel comparto metalmeccanico. Occorre infatti considerare che la FIOM la federazione sindacale pi forte e al tempo stesso la Confindustria controllata da rappresentanti di imprese meccaniche e metallurgiche: in tale settore che si fissano quindi i limiti di resistenza alle richiete operaie. Mentre in Piemonte la vertenza risolta senza una sola ora di sciopero, in Liguria, Lombardia ed Emilia ne sono necessari ben sessanta giornate, al termine delle quali le richieste dei lavoratori vengono accolte. In generale, grazie anche alle vittorie dei metalmeccanici, le retribuzioni aumentano in ogni settore, tanto che i salari reali a fine anno recuperano quasi tutto il terreno perso durante il conflitto. Un dato strettamente correlato con laumento esponenziale delle lotte operaie riguarda le adesioni ai sindacati. Da questo punto di vista nel biennio 1919-20 si assiste a una vertiginosa ascesa del numero di iscritti alle organizzazioni dei lavoratori.
Si ricordi, a questo proposito, che da meno di due anni avvenuta la Rivoluzione russa, con la cacciata dello Zar e lascesa al potere del comunismo. 92 Si tratta di uno sciopero politico, indetto dai sindacati socialisti di tutta Europa (su proposta italiana) per protestare contro lintervento delle armate alleate in Russia. I socialisti italiani parlanno da tempo di un movimento generale per intraprendere la rivoluzione, pur negando allultimo che quello sciopero sia loccasione tanto attesa, ma dopo gli impegnativi moti per il caro-vita gli operai italiani considerano quei due giorni di sciopero [...] pi come vacanza. (D. Horowitz, op. cit., p. 229). 93 D. Horowitz, op. cit., p. 230.
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La CGL, che annovera 249.039 iscritti a fine 1918, ne ha circa 600.000 solo pochi mesi dopo94, termina il 1919 con 1.159.062 iscritti e giunge ad averne 2.200.100 nel 192095. Contribuiscono a questo successo anche gli impiegati e i tecnici che in misura sempre maggiore si avvicinano per la prima volta al sindacato96. La FIOM, i cui soci sono cresciuti del 311% durante la guerra fino ad essere 47.192 nel 1918, diventano 96.196 lanno successivo e 151.930 alla fine del 192097. Il sindacato dei tessili afferente alla CGL, che gi passa da 7.000 a 35.000 iscritti nel periodo bellico, arriva ad averne 80.000 nel 191998 e 145.000 nel 1920, anno in cui si contano anche 176.000 adesioni al sindacato degli edili99. La forza della CGL si rispecchia anche nel Partito Socialista (che tocca la vetta di 216.000 iscritti nel 1920), cos come c una relazione biunivoca tra la crescita del Partito Popolare (secondo dietro ai socialisti nelle elezioni del 1919)100 e quella della CIL. Nel 1920 gli associati al sindacato cattolico sono 1.182.000, di cui 945.000 lavoratori agricoli101: dei restanti 237.000 operai, pi della met (130.000) sono tessili102. In generale, per citare un dato complessivo in grado di descrivere il grande sviluppo delle organizzazioni dei lavoratori, gli operai iscritti a un sindacato sono 1.500.000 nel 1919 e 2.387.000 nel 1920103.

L. Einaudi, op. cit., p. 312. D. Horowitz, op. cit., p. 125. 96 M. Abrate, op. cit., p. 209. 97 B. Buozzi, Cinque anni di lotte intense e di opere feconde, FIOM, VIII Congresso Nazionale, Milano, 24-26 aprile1924, riportato in M. Antonioli B.Bezza, op. cit., p.705. 98 L. Einaudi, op. cit., p. 312. 99 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 140. 100 Cfr. 2.5. 101 Allinterno di tale cifra, poi, i braccianti sono una esigua minoranza: Il 90% (850.000 iscritti) sono infatti mezzadri, affituari o piccoli proprietari. 102 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 140. 103 Dati del 1924 del Ministero dellEconomia Nazionale, citati in V. Zamagni, Dalla periferia al centro. La seconda rinascita economica dellItalia (1861-1990), cit., p. 301.
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3.3.1. Le conquiste sindacali. Il biennio rosso un periodo di vittorie del sindacato che sanciscono lintroduzione di nuovi diritti e di condizioni economiche e lavorative migliori: alcuni progressi conseguiti in questi due anni rappresentano delle pietre miliari per il movimento operaio italiano. Il pi noto tra essi, e forse il pi importante, la riduzione dellorario di lavoro a 48 ore settimanali divise su sei giorni, meglio noto come la conquista delle 8 ore104. Liniziativa parte dalla FIOM, che nel congresso del novembre 1918 ne fa il perno della sua piattaforma rivendicativa, tanto che alle 8 ore dedicata lintera relazione di Gino Baldesi, il quale ricorda come la richiesta sia propria dei movimenti operai da tempo immemorabile: Il desiderio di ottenere le otto ore di lavoro di data antichissima, e, sembra [...] che rimonti al periodo del regno di re Alfredo [...] ma malgrado la sua venerabile anzianit, questo desiderio non ha trovato ancora il modo di realizzarsi per la resistenza opposta dalle classi dirigenti di tutte le epoche. [...] Riferendoci a tempi pi moderni, possiamo dire che non vi stato congresso operaio [...] in cui [il] problema degli orari di lavoro non sia stato sottoposto a discussione e considerato come uno dei capisaldi della lotta operaia contro il capitalismo industriale105. Gli argomenti con cui il sindacato supporta la rivendicazione sono sia di ordine fisiologico (riferiti cio alleccessiva fatica dei lavoratori), sia di ordine produttivo (concernenti laumento della produttivit e della qualit del prodotto finito): La massa operaia [ha] lobbligo di conquistare [le 8 ore], quando sia stabilito e lo che gli orari oggi in vigore sorpassano quello che deve essere considerato il limite da consentirsi perch la fatica non danneggi lorganismo al di sopra di quanto lorganismo stesso consenta, perch possibile riparare al
Tale dicitura, pur utilizzata dagli stessi sindacalisti, non per precisa. La lotta per la riduzione dellorario si affianca, e nel caso della FIOM preceduta, da quella per il cosiddetto sabato inglese (ovvero il pomeriggio del sabato libero), conquistato dai metalmeccanici lombardi gi nel novembre 1918. Spesso quindi le 48 ore settimanali non si traducono in 8 ore al giorno, bens in 8 ore e mezzo giornaliere dal luned al venerd, seguite da 5 ore e mezza al sabato. A questo proposito, B. Buozzi, Cinque anni di lotte intense e di opere feconde, in M. Antonioli B.Bezza, op. cit., pp. 690-691. 105 G. Baldesi, Relazione sulla conquista dellorario di otto ore, FIOM, VII Congresso Nazionale, Roma, 1-4 novembre 1918, in M.Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 518-519.
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danno sopportato con le energie riacquistabili durante le ore di riposo. [...] Per quale motivo gli industriali non cercano [...] di istituire nei loro stabilimenti i due turni di lavoro in maniera da usufruire per 16 ore del macchinario disponibile invece di sole 10 ore? [...] La lotta per la limitazione dellorario ha spostato il proprio asse. [...] il solo modo di eccitare lindustria a perfezionarsi nei suoi mezzi di produzione come disponibilit e funzionamento del macchinario in un periodo maggiore di ore nonch la conquista per loperaio del mezzo di accrescere le proprie potenzialit produttrici anche allargando le possibilit intellettuali106. Limportanza che il sindacato assegna alla battaglia per le 8 ore frutto anche del timore che la smobilitazione delle truppe e la conversione dellindustria di guerra [produca] una larga disoccupazione107, evitabile se lo stesso quantitativo di merce necessita di un numero maggiori di lavoratori per essere prodotto. Il primo tentativo di avviare una contrattazione in materia svolto dalla CGL, che ha lobiettivo di siglare un concordato con la Confindustria con valore per tutte le imprese italiane. Lassociazione degli industriali, in un clima di nuove relazioni industriali figlio della Mobilitazione industriale, si dichiara concorde sul principio della riduzione dellorario e altres sullidea di farne oggetto di una contrattazione nazionale. Se laccordo non va in porto solo perch la Confindustria stessa non in grado di garantire limpegno di tutti i suoi aderenti (in particolare dei tessili)108. Il ruolo di apripista spetta cos, come dabitudine, alla FIOM: il 20 febbraio 1919 sindacalisti e industriali metalmeccanici siglano il concordato sullintroduzione delle 8 ore109. Seguono analoghi accordi raggiunti dalle federazioni nazionali dei diversi comparti produttivi, supportate dalla CGL che nel marzo minaccia lo sciopero generale se le associazioni imprenditoriali di tutti i settori non accettano la riduzione dellorario. Solo un mese dopo la Confederazione si trova a constatare che le maggiori industrie hanno introdotto le 8 ore per contratto rialzando al

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G. Baldesi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 520-527. D. Horowitz, op. cit., p. 225. 108 D. Horowitz, op. cit., p. 226. 109 Cfr., infra, 3.3.2.

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contempo i salari, in modo da far guadagnare agli operai salario eguale o maggiore a quello di prima110 e si rivolge allo Stato, reclamando una legge di immediata applicazione che le assicuri anche agli addetti ai servizi di pubblica assistenza111. Il principio accolto dallamministrazione, che introduce le 8 ore negli arsenali, nelle fabbriche darmi e nelle ferrovie112. Altre conquiste degne di essere menzionate avvengono nei confronti tanto del governo (una prima normativa sul collocamento e listituzione dellassicurazione contro la disoccupazione)113, quanto degli imprenditori (lintoduzione delle ferie pagate e di procedure per la conciliazione delle controversie)114. Discorso a parte merita il tema delle rappresentanze operaie nei luoghi di lavoro, in particolare la diffusione e il riconoscimento delle commissioni interne. Esse nascono ben prima della guerra senza alcuna formalizzazione (si tratta delle delegazioni di lavoratori che trattano con il padrone in merito alle pi disparate controversie) e ricevono un primo riconoscimento ufficiale allinizio del 1918115. Il sindacato non ha una posizione unitaria in merito: da un lato parte della minoranza massimalista della FIOM le bolla come strumenti di collaborazione che portano alla diminuzione dellardore rivoluzionario degli operai, dallaltro vi chi (sindacalisti rivoluzionari e una diversa parte di estremisti interni alla FIOM) ritiene che non possano essere composte solo da iscritti al sindacato, ma debbano rappresentare tutte le maestranze mantenendo una certa indipenenza dalle federazioni di categoria. Tra le due posizioni c spazio per quella che tengono i dirigenti riformisti della FIOM, Buozzi in testa: occorre ottenere il riconoscimento delle associazioni padronali per commissioni interne fiduciarie della Federazione e dotate di compiti conciliatori rispetto ai

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L. Einaudi, op. cit., p 311. I. Barbadoro, op. cit., pp. 373-374. 112 L. Einaudi, op. cit., p 311. 113 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 147. 114 D. Horowitz, op. cit., p. 233. 115 Cfr. 3.2.1.

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problemi interni a uno stabilimento116. proprio questa la linea che viene recepita dagli industriali metalmeccanici e che viene inserita nello stesso concordato che introduce lorario di 48 ore settimanali. Gli esponenti del sindacato confederale sanno bene che le commissioni tendono inevitabilmente a rappresentare tutte le maestranze, dimostrandosi autonome dalle federazioni e non sempre rispettose delle direttive impartite loro dallalto; allo stesso tempo, per, i sindacalisti sono anche consci che lunico modo per continuare a coordinare il movimento operaio tentare di governare le commissioni, introducendole quindi ufficialmente ma legate al sindacato stesso. Il tema delle commissioni interne evoca per molti quello, molto dibattuto tra politici e sindacalisti ma poco interessante per le maestranze, del controllo operaio della produzione: al fine di conseguire qualche risultato in tale direzione, i dirigenti sindacali sono disponibili anche a rischiare la diffusione tramite le commissioni interne di una sorta di sindacalismo fai-da-te117. 3.3.2. Dalla Mobilitazione industriale alla contrattazione nazionale collettiva. Nonostante la fine della Mobilitazione industriale, le rappresentanze sociali continuano a partecipare a una sorta di riedizione del CMI118, la Commissione per gli studi e i provvedimenti occorrenti al passaggio dalleconomia di guerra alleconomia di pace, che sorge alcuni mesi prima della fine del conflitto. In questo organismo si verifica sin da subito uninnovazione di non poco conto: i rappresentanti degli operai e degli industriali non sono pi nominati dal governo, bens eletti direttamente dalle rispettive organizzazioni. La CGL procede cos a designare i membri operai, come richiesto dal governo, nonostante le accuse di collaborazionismo provenienti dagli ambienti
D. Horowitz, op. cit., p. 235, nonch I. Barbadoro, op. cit., pp. 389-390. Una rassegna sullevoluzione delle commissioni interne durante e dopo la prima guerra mondiale si trova in S. Ortaggi, Dalle commissioni interne ai consigli di fabbrica, in G. Procacci, op. cit., pp. 212-229. 117 Cfr., infra, 3.4. 118 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 147.
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massimalisti del Partito Socialista: Rigola le repinge rivendicando per il sindacato un ruolo di controllo nei confronti delloperato statale, impossibile da realizzarsi senza partecipare ai lavori della commissione119. Nei primi mesi del 1919 le relazioni industriali si muovono cos sulla falsariga dellesperienza della mobilitazione120 e, soprattutto nel comparto metalmeccanico, la conflittualit risulta limitata. Lesperienza della mobilitazione, unita alla trasformazione ormai avvenuta del sindacato dalle leghe di mestiere alle federazioni di categoria, spinge la contrattazione collettiva, rapidamente verticalizzatasi prima a livello zonale e provinciale e successivamente, dopo la prima guerra mondiale, a livello nazionale121. Paradigmatico, in questo senso, il concordato sulle 8 ore. A prescindere dal contenuto di per s importantissimo occorre rilevare prima di tutto che la FIOM ottiene una piena vittoria senza che ci sia bisogno di una sola ora di sciopero. Inoltre laccordo il primo esempio in Italia di un contratto nazionale collettivo di categoria: come segnala Bezza, vi lesplicito rinvio allallegato regolamento unico di tutte le officine meccaniche, navali e affini122. Dal verbale di accordo risulta che: Con lapprovazione avvenuta del Regolamento unico per tutte le Officine Meccaniche, Navali ed Affini, lorario di lavoro viene ridotto rispettivamente da 55, 60 a 48 ore settimanali come indicato dallart. 6 del Regolamento stesso. [...] Tali orari dovranno essere attuati non oltre il 1 maggio per Officine meccaniche, navali ed affini e non oltre il 1 luglio per gli stabilimenti Siderurgici. [...] Le parti concordano nella necessit di applicare lunito Regolamento unico, discusso ed approvato dalle parti, il quale sar applicato nelle Officine il giorno in cui entrer in vigore il nuovo orario. Il concordato riguarda anche altre materie (salario, cottimo, straordinari, commissioni interne, previdenze sociali), che divengono cos implicitamente materia di contrattazione nazionale:
F. Catalano, La Confederazione Generale del Lavoro, in S. Zaninelli (a cura di), Introduzione allo studio della storia del movimento sindacale italiano, ed. Celuc, Milano, 1972, p. 191. 120 Ibidem. 121 M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 722. La tendenza rilevata anche da Horowitz: La contrattazione collettiva prese piede stabilmente nellindustria, e, nei settori pi importanti, si allarg fino a divenire nazionale (D. Horowitz, op. cit., p. 233). 122 B. Bezza, op. cit., p. 106.
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La paga oraria di ciascun operaio sar reintegrata in modo che il suo importo complessivo per 48 ore di lavoro sia uguale a quello attuale per 55, 60 oppure 72 ore. I cottimi in vigore saranno tutti aumentati del 16% per quelle Officine che riducono lorario da 60 a 48 ore, e del 10% per le altre in cui lorario sia ridotto da 55 a 48 ore. [...] Le ore straordinarie oltre lorario normale, saranno compensate con le seguenei percentuali di aumento in pi della paga oraria:
per le prime due ore straordinarie: per le successive tre ore straordinarie: per le ore straordinarie successive: 30% 60% 100%

salvo per le percentuali maggiori eventualmente in vigore. [...] Le ore di lavoro notturno saranno compensate con un aumento del 25% sulla paga oraria, ed a questo effetto saranno considerate diurne le 12 ore lavorative successive allinizio del primo turno (del mattino). [...] Gli industriali aderiscono alla richiesta della istituzione delle Commissioni interne, il funzionamento delle quali dettagliatamente stabilito [dal] Regolamento unico. [...] Le parti concordano nella nomina di una Commissione di studio per la elaborazione di provvedimenti sociali nei rapporti della legislazione del lavoro 123. Infine occorre sottolineare come laccordo rimandi, per alcune norme concernenti il cottimo negli stabilimenti siderurgici, a successivi accordi su base regionale, riprendendo dunque larticolazione territoriale della mobilitazione, cui come si visto la FIOM si adegua gi prima della fine della guerra, istituendo i livelli regionali della Federazione. Il concordato sulle 8 ore rappresenta linizio di una tendenza, di cui espressione il cosiddetto Concordato di Roma del 19 settembre 1920. Con esso si introducono le ferie retribuite e lindennit di licenziamento, ma soprattutto si stabiliscono aumenti dei salari nominali a livello nazionale: [Si fissa] un aumento di L. 4 al giorno sui guadagni globali effettivi agli uomini sopra i 20 anni. [...] Tali aumenti sono per tutte le regioni dItalia, esclusa la Venezia Giulia. I personali addetti alle piccole industrie che hanno meno di 75 operai, avranno l80 per cento di tali aumenti124.

Verbale di accordo per gli stabilimenti meccanici, navali e siderurgici, Milano, 20 febbraio 1919, riportato in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 740-743. 124 Concordato di Roma, Roma, 19 settembre 1920, riportato in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 750-751.

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Emblematico riguardo allavvenuto passaggio al sindacato di categoria il successivo concordato supplementare del 1 ottobre 1920, che introduce una netta semplificazione nella qualificazione degli operai, divisi ormai solo in qualificati e non: Il personale degli stabilimenti delle industrie meccaniche ed affini, verr diviso in quattro gruppi: 1 Gruppo: donne di ogni et, garzoni ed apprendisti di et fino a 18 anni; 2 Gruppo: manovali comuni di ogni et ed aiutanti operai fino a 20 anni; 3 Gruppo: operai non qualificati; 4 Gruppo: operai qualificati. Da notare che laccordo in questione, siglato (in seguito al movimento di occupazione delle fabbriche)125 anche dal Prefetto di Milano, contiene una postilla di fondamentale importanza: N.B. Il presente Concordato firmato per le parti dai rispettivi rappresentanti in vigore per tutte le Ditte 126. Come si visto, tanti e tali passi in avanti per il movimento sindacale sono resi possibili anche dallatteggiamento di apertura al confronto tenuto dagli industriali. Lex presidente della Confindustria Dante Ferraris, mentre diviene ministro dellindustria e del lavoro nel giugno del 1919, fa pubblicare un articolo sulla rivista dellAssonime (lassociazione delle societ per azioni) in cui chiede allo Stato di affidare a industriali e operai la gestione del collocamento, il riconoscimento giuridico delle organizzazioni sindacali e la sanzione legale degli accordi collettivi per rendere le organizzazioni responsabili del rispetto dei patti sottoscritti, una legge per le otto ore massime di lavoro nellintera industria e iniziative per ligiene e la sicurezza del lavoro127: al sindacato ormai riconosciuto un ruolo economico nazionale.

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Cfr., infra, 3.4. Questa e la successiva citazione provengono dal Concordato fatto a Milano il 1 ottobre 1920 in esecuzione al Concordato di Roma 19 settembre 1920, Milano, 1 ottobre 1920, riportato in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 752-754. 127 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., pp. 147-148.

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3.4 Crisi sindacale, crisi politica e avvento del fascismo. Il biennio rosso un periodo di difficile interpretazione: se da un lato si vedono i frutti del radicamento sindacale e dellesperienza della Mobilitazione industriale, dallaltro cominciano a combinarsi elementi di conflittualit che divengono ingestibili con il passare del tempo, sfociando in disordini tali da causare la reazione borghese che spiana la strada allavvento della dittatura fascista. In particolare due sono gli aspetti peraltro intrecciati che indeboliscono il sindacato e peggiorano drasticamente la qualit delle relazioni industriali: il movimento delloccupazione degli stabilimenti (o meglio, alcune sue conseguenze) e quello dei consigli di fabbrica, legato a una deriva estremista di settori del sindacato e soprattutto del PSI. Nel giugno del 1920 la FIOM presenta alla Confindustria un memoriale in base al quale avviare una vertenza nazionale sullaumento dei salari. Gli industriali, dopo un anno e mezzo trascorso a temere la rivoluzione e a non vederla mai nemmeno tentare, sentono di avere una maggiore forza e rispondono negativamente a ogni richiesta, allinfuori delle variazioni gi stabilite del caro-vita128. Il sindacato invece in una posizione tuttaltro che semplice: non pu permettersi di indire uno sciopero considerata la riluttanza in merito dimostrata dagli iscritti in diverse zone dItalia, ma non pu nemmeno accettare una sconfitta senza lotta che equivarrebbe a un segnale di debolezza, da cui il rischio di unoffensiva padronale contro il movimento operaio129. La strada che viene scelta quella dellostruzionismo, una combinazione di rallentamento della produzione senza dare limpressione della fermata130 e applicazione pi che scrupolosa delle regole, in primis quelle relative alla sicurezza sul lavoro. Per Buozzi lostruzionismo ben applicato sar una magnifica dimostrazione [il cui] danno per gli industriali sar maggior di quello
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M. Abrate, op. cit., pp. 284-285. D. Horowitz, op. cit., p. 242. 130 Intervento di Emilio Colombino (membro del Comitato Centrale della FIOM) al Convegno straordinario nazionale del 16 e 17 agosto 1920, come da resoconto dell Avanti!, a. XXIV, nn. 196 e 197 del 17 e 18 agosto 1920, riportato integralmente in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 608.

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degli operai, [e] render meno giustificabile la reazione degli industriali e lintervento violento dello Stato131. La FIOM molto precisa nel dare istruzioni agli operai, affinch siano evitati sabotaggi, provocazioni o altra ogni azione aggressiva che possa fornire un pretesto agli imprenditori per praticare una serrata. I dirigenti sindacali sanno per che una reazione sar inevitabile e che la serrata la prospettiva pi probabile: dicono quindi a chiare lettere che in tal caso vi sar loccupazione delle fabbriche: Se per gli industriali vorranno reagire e lo Stato prester loro manforte, bisogna che il proletariato dica chiaramente che non uscir dalle officine se non sar scacciato con la forza! [...] Se gli industriali attueranno delle serrate si dovr ugualmente entrare nelle officine. Cederemo soltanto quando saremo sopraffatti dalla violenza132. A fronte del successo dellostruzionismo (la produzione negli stabilimenti coinvolti scende al 40% del livello normale), il governo retto da Giolitti tenta una mediazione, gradita a FIOM e CGL che condividono lorientamento dellesecutivo teso a mantenere la vertenza in un ambito prettamente sindacale, ma gli industriali negano la disponibilit a qualunque accordo. La situazione degenera in soli tre giorni, dopo che gli organi di stampa iniziano a diffondere notizie (in alcuni casi vere, in molti altri no) riguardanti sabotaggi nelle officine e operai che durante il lavoro costruirebbero armi per prepararsi alla rivoluzione. Il 30 agosto lAlfa Romeo proclama la serrata, che ottiene come risposta immediata loccupazione operaia di 208 stabilimenti metallurgici milanesi, dato che il sindacato convinto che lesempio dellAlfa Romeo sar presto seguito dalle altre aziende. Lindomani gli industriali estendono la serrata a livello nazionale, seguiti dalla FIOM: a partire dal 1 settembre 1920 e in pochissimi giorni le fabbriche meccaniche e metallurgiche italiane vengono occupate dai lavoratori, che nei limiti degli scarsi materiali disponibili continuano la produzione sotto la direzione di un comitato di
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Relazione di Buozzi al Convegno straordinario nazionale del 16 e 17 agosto 1920, in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 607-608. 132 Ibidem.

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stabilimento133. Gli operai metalmeccanici coinvolti sono 400.000, che superano poi il mezzo milione quando, in molte citt, si mettono in moto quelli di altri settori produttivi134. Il Partito Socialista spinto dai massimalisti e dalla crescente corrente comunista135 che controlla la federazione socialista torinese a ritenere che loccupazione delle fabbriche rappresenti linizio di un percorso rivoluzionario, cui occorre immediatamente dare seguito. FIOM e CGL continuano per a considerare la vertenza puramente economica, pur ammettendo che, data la situazione, al tema dei salari si affianca quello del controllo operaio sulla produzione. Lo scontro tra partito e sindacato aspro: i dirigenti sindacali dichiarano la propria indisponibilit verso quello che definiscono il suicidio del proletariato e minacciano le dimissioni; i socialisti, consci della maggiore forza della CGL e dellimpossibilit di fare a meno dei vari Buozzi, DAragona, Dugoni, Baldesi, Colombino, rimettono la decisione al Consiglio Nazionale della Confederazione, che vota con DAragona contro la rivoluzione. A questo riguardo non si pu non sottolineare lingenuit del PSI (peraltro spaccato in due tra riformisti e massimalisti): da un lato vuole la rivoluzione senza avere la forza per realizzarla, dallaltro arriva alla decisione assurda, come rileva Barbadoro, di mettere la rivoluzione ai voti in un organismo sindacale!136. Latteggiamento socialista presta il fianco agli industriali, che invocano un intervento armato del governo per ripristinare lordine negli stabilimenti. Giolitti, per, rimane persuaso che la vertenza debba restare nellalveo sindacale e continua a proporre occasioni di incontro e dialogo tra FIOM e Confindustria. Il mancato uso della forza da parte dello Stato rivendicato dallo stesso Giolitti in un intervento al Senato: Gli industriali mi dissero [...] quando passai da Torino prima che il conflitto scoppiasse, che avevano intenzione di procedere alla serrata [...]. Io li
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D. Horowitz, op. cit., p. 244. I. Barbadoro, op. cit., p. 406. 135 Sar pochi mesi dopo, al congresso di Livorno, che la corrente comunista si scinder fondando il Partito Comunista dItalia, guidato da Amedeo Bordiga. 136 I. Barbadoro, op. cit., p. 411.

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sconsigliai in tutti i modi; e siccome comprendevo perfettamente che trattandosi di una massa di molte centinaia di migliaia di operai sarebbe stato impossibile intervenire con la forza, ho dichiarato a questi industriali che non contassero in alcun modo sullintervento della forza pubblica. [...] Avvenne dunque loccupazione delle fabbriche. [...] Dovevo poi, avvenuta loccupazione, fare sgombrare le fabbriche con la forza? Evidentemente per far ci occorreva iniziare veri e propri combattimenti, vere battaglie, la guerra civile insomma; e questo dopo che la Confederazione generale del lavoro aveva solennemente dichiarato che escludeva al movimento qualunque carattere politico, che il movimento doveva essere mantenuto nei limiti di una contestazione economica. La Confederazione generale del lavoro, nella quale io allora ebbi fiducia, dimostr di meritarla137. La stessa FIOM avanza analoga richiesta di incontri, affermando a pi riprese che loccupazione terminer non appena gli imprenditori saranno disponibili a siglare un accordo. Questo avviene dopo tre settimane, quando il governo convoca Confindustria, CGL e FIOM al tavolo delle trattative: si stabiliscono gli aumenti salariali da applicare a tutta lindustria italiana e in assenza di una mediazione sul tema del controllo operaio della produzione Giolitti emana un decreto per istituire una commissione che formuli proposte in merito: Il Presidente del Consiglio dei ministri: premesso che la Confederazione generale del lavoro ha formulato la richiesta di modificare i rapporti finora intercorsi tra datori di lavoro ed operai in modo che questi ultimi, attraverso i loro sindacati, siano investiti della possibilit di un controllo sulle industrie [...] decreta: viene costituita una Commissione paritetica [...] la quale formuli delle proposte [...] per la presentazione di un progetto di legge allo scopo di organizzare le industrie sulla base dellintervento degli operai al controllo tecnico e finanziario allamministrazione dellazienda. [...] Il personale riprender il suo posto138. Il progetto di legge non vedr mai la luce: gli industriali fanno fallire la commissione e il sindacato dopo unestenuante lotta non ha pi la forza di ingaggiare unaltra battaglia. Le responsabilit di questa sconfitta non sono
137 138

Intervento di Giolitti al Senato del 26 settembre 1920, riportato in A. Piccioni, op. cit., p. 30. Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 19 settembre 1920, riportato in G. Epifani (a cura di), Bruno Buozzi. Scritti e discorsi, Editrice Sindacale Italiana, Roma, 1975, p.171.

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facilmente attribuibili: Horowitz sostiene che per la maggior parte di coloro che avevano creduto di essere alle soglie della presa del potere, della rivoluzione, laccordo [viene] considerato come una sconfitta, e tale [] latteggiamento psicologico degli operai139; Buozzi dar quattro anni dopo una lettura in parte diversa: Parve a noi che, dal punto di vista sindacale, si fosse ottenuto tutto lumanamente ottenibile. Cos per non la pens la frazione estremista specialmente quella facente capo al giornale lOrdine Nuovo di Torino la quale si diede ad una violenta campagna di svalutazione del controllo collo specioso pretesto che esso non aveva pi alcun valore perch sanzionato da un decreto. [...] Se, dopo chiusa lagitazione, il proletariato avesse sorretto, colla sua pressione, i suoi negoziatori incaricati di concretare la legge sul controllo, il controllo sarebbe diventato realt. [...] Purtroppo invece la svalutazione che della conquista fecero gli estremisti rinforz gli industriali e indebol la rappresentanza operaia. Quando il 29 ottobre, constata la impossibilit di un accordo, la Commissione ruppe le trattative, la corrente estremista quasi ne gio e rese impossibile alla Confederazione generale del lavoro lingaggiare una nuova battaglia140. Non si tratta della prima volta che le correnti massimaliste del movimento sindacale bollano come una sconfitta quella che ai riformisti appare una conquista: gi nel 1919, a seguito dellaccordo sullorario settimanale di 48 ore, lUSI e altri estremisti dichiarano che la FIOM tradisce il proletariato perch non vuole la diminuzione dellorario a 44 ore141. Quanto allOrdine Nuovo, si tratta di un movimento sorto a Torino nel 1919 ad opera della corrente comunista del sindacato e del PSI, facente capo a Gramsci, Togliatti e Terracini. Le posizioni e le attivit degli ordinovisti sono di grande importanza per comprendere la crisi che nei primi anni 20 colpisce il sindacato e pi generalmente la sinistra, fino alla vittoria del fascismo: infatti, oltre alla gi descritta influenza in merito alla sconfitta sul controllo operaio, il

D. Horowitz, op. cit., p. 249. B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 695-696. 141 La richiesta dellorario settimanale di 44 ore rientra anche nel memoriale che presenta lUSI nel giugno 1920, parallelamente a quello elaborato dalla FIOM. I confederali per non aderiscono alla richiesta, nella convinzione che le industrie italiane non avrebbero potuto sopportare lorario di 44 ore settimanali (B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p.691).
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raggruppamento dellOrdine Nuovo gioca un ruolo di primo piano anche nello sviluppo del movimento torinese dei consigli di fabbrica. Prima ancora di descriverne i caratteri, occorre annotare come le vicende torinesi abbiano una rilevanza non solo locale: a Torino operano Agnelli e Olivetti, leader degli industriali, a Torino c la sede nazionale della FIOM, Torino ospita un numero rilevante di imprese metalmeccaniche ed teatro dei principali accordi sindacali del dopoguerra. Il movimento dei consigli nasce con il fine ultimo di realizzare il controllo operaio nelle fabbriche, mediante la liberazione dei comitati operai di stabilimento dal controllo sindacale. In molte imprese le commissioni interne vengono cos destituite di ogni potere, con i rappresentanti sindacali costretti alle dimissioni, e sostituite appunto dai consigli di fabbrica, eletti da tutte le maestranze. Il riconoscimento da parte delle aziende non viene richiesto, poich in una prima fase i consigli, nellidea di Gramsci, devono servire a formare gli operai affinch siano in grado poi di gestire gli stabilimenti. Di fatto i nuovi organismi svolgono da subito i compiti delle commissioni interne, aggiungendovi la componente rivendicativa: tra lottobre 1919 e il marzo 1920 sono pi di 800 le vertenze condotte nella sola Fiat Centro142. La FIOM nazionale, a fronte delle richieste da parte degli industriali di farsi carico del rispetto dei concordati, non in grado di garantire alcunch, considerato che la sezione torinese della stessa Federazione ormai controllata dal gruppo dellOrdine Nuovo. Progressivamente il prestigio della FIOM viene meno, accusata dagli imprenditori di scarsa rappresentativit e di incapacit di ottenere dagli operai comportamenti rispettosi degli accordi presi. Pur apprezzando il mancato supporto di CGL e FIOM allo sciopero delle lancette143, gli industriali iniziano a ritenere il sindacato un interlocutore
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S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 150. Si tratta di uno sciopero proclamato dai metallurgici torinesi nel marzo del 1920. A seguito dellentrata in vigore dellora legale, gli operai della Fiat chiedono di spostare lorario di inizio del lavoro. A fronte della risposta negativa di Agnelli, che vuole provocare un conflitto per limitare il crescente potere del sindacato ordinovista, gli operai decidono di spostare indietro le lancette dellorologio aziendale e di entrare quindi unora dopo. La direzione li licenzia e i lavoratori entrano in sciopero, la Fiat attua una

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sempre meno affidabile: anche questo spiega il comportamento inflessibile tenuto da Confindustria in occasione della vertenza nazionale dellestate 1920. Il deterioramento delle relazioni industriali ha unulteriore causa nelle posizioni talora assunte dalla CGL, che, mentre agisce sindacalmente con realismo e senso di responsabilit, si lascia andare a derive velleitarie: [ dovere della classe operaia] organizzarsi sindacalmente in una forta associazione rivoluzionaria, [che] a lato dellorganizzazione politica del proletariato comunista internazionale, e in stretto legame con essa possa spiegare tutta la sua forza per il trionfo della rivoluzione sociale della Repubblica Universale dei Soviets, ed opporre alla dittatura della borghesia la dittatura del proletariato, come mezzo transitorio per rompere le resistenze degli sfruttatori144. La situazione economica, poi, non fa che indebolire il sindacato: nei primi mesi del 1921 unintensa recessione comporta lesplosione della disoccupazione, con i conseguenti licenziamenti collettivi.
Tabella 3.4: Disoccupazione e sottoccupazione nellindustria italiana 1920-21145.

Disoccupati Dic. 1920 Mag. 1921 Ago. 1921 Set. 1921 Ott. 1921 Nov. 1921 Dic. 1921 102.156 250.145 435.194 470.542 473.216 492.368 512.260

Lavoratori a turno Lavoratori ad orario ridotto 186.456 186.286 120.216 85.541 41.049 34.447 34.134 45.626

serrata e lagitazione operaia si tramuta in uno sciopero generale cittadino. Il mancato appoggio dei livelli nazionali e lincapacit organizzativa degli ordinovisti portano alla vittoria degli industriali: si tratta della prima sconfitta del movimento operaio dopo la guerra mondiale. A questo riguardo, V. Castronovo, Agnelli, ed. UTET, Torino, 1971, pp. 223-226. 144 Mozione approvata dal Direttivo della CGL nellagosto 1920, come riportata in I. Barbadoro, op. cit., pp. 372-373. 145 M. Abrate, op. cit., p. 230.

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Un sindacato congiunturalmente debole lideale per la reazione padronale, che avviene anche nel settore primario, dove gli agrari che nel 1918-20 devono effettuare molte concessioni a favore del movimento bracciantile, anche in seguito alloccupazione delle terre forniscono il primo consistente appoggio dei ceti proprietari allo squadrismo fascista146. Lavvento del fascismo non solo un effetto della reazione borghese di fronte alle rivendicazioni del movimento operaio e alla debolezza dello Stato: anche la crisi del sindacato ha un ruolo fondamentale in tutto ci. Occorre per sottolineare come tale crisi non sia strutturale: se da un lato le correnti estremiste portano alla sconfitta sul tema del controllo operaio della produzione e ad una minore credibilit di FIOM e CGL, dallaltro, senza la recessione del 1921 il sindacato italiano sarebbe stato probabilmente in grado di riacquistare forza e autorevolezza, dimostrando di essere allaltezza del ruolo economico nazionale conquistato. La storia insegnano molti non si pu fare con i se e con i ma, tuttavia non si pu non osservare come il fascismo debba sopprimere, per affermarsi, un movimento sindacale ormai moderno e radicato.

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S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 142.

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4. Il ruolo economico del sindacato durante e dopo la seconda guerra mondiale.

4.1. Cenni sul sindacato fascista. Lascesa al potere del fascismo fornisce copertura politica e statale alle violenze che le camicie nere perpetrano nei confronti dei sindacalisti e delle sedi della CGL: incendi, occupazioni, aggressioni e minacce diventano la quotidianit del sindacato libero, che si trova cos nellimpossibilit di agire1. La strategia fascista punta non solo a intimidire i sindacalisti che si oppongono al regime, ma anche a rafforzare la Confederazione nazionale delle corporazioni sindacali: guidata da Rossoni e figlia della scissione dalla CGL degli interventisti nel 1915, essa rappresenta il sindacato fascista, il cui obiettivo principale la realizzazione di un sistema di relazioni industriali totalmente corporativo, in cui lavoratori e industriali siano iscritti alla medesima organizzazione. Il sindacato operaio libero cos bandito dal regime, che lo sostituisce con il sindacato unico fascista, il quale insieme alla Confederazione fascista dellindustria diviene uno dei perni del corporativismo. In due anni, tra il 1925 e il 1926, questo viene messo a punto, mentre nei diciassette anni successivi la storia del movimento sindacale non presenta novit di rilievo. Anche questo periodo, spesso considerato come una triste parentesi per quanto riguarda la storia delle organizzazioni operaie, ha un significato: in quasi ventanni le prassi negoziali e organizzative del corporativismo fascista possono divenire quasi consuetudine, perlomeno per quanto riguarda la contrattazione collettiva nazionale. Daltra parte, come rileva Musso, quando
A causa delle continue violenze, la reazione della CGL per forza di cose piuttosto blanda. Si pu rilevare addirittura dellingenuit da parte dei dirigenti sindacali, che nel 1923 scrivono a Mussolini per chiedergli di intervenire e di far cessare le violenze. Il Rapporto della Confederazione generale del lavoro italiana al Governo fascista integralmente riportato in R. Allio, LOrganizzazione Internazionale del Lavoro e il sindacalismo fascista, ed. Il Mulino, Bologna, 1973, pp. 111-142.
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il fascismo [prende] il potere, la collettivizzazione dei rapporti di lavoro [] ormai una realt imprescindibile2. Nel 1925 si assiste allultimo tentativo di avviare una vertenza da parte della FIOM, senza che vi sia per alcun esito positivo, dato che gli industriali bollano il memoriale del sindacato come politico e intendono mantenere la contrattazione in ambito aziendale. Questa scelta, che mette al centro le commissioni interne, fonte di problemi anche per le corporazioni fasciste, le quali riescono a firmare solo pochi concordati e sempre grazie allintervento del governo. Non a caso i sindacati fascisti lanciano una campagna per labolizione delle commissioni interne, accusando gli imprenditori di considerare allo stesso modo i sindacalisti fascisti e quelli cattolici o socialisti. Il regime naturalmente appoggia la battaglia delle corporazioni, che ottenuta la copertura politica e governativa di ogni loro atto effettuano continue azioni di rappresaglia nei confronti dei membri delle commissioni interne. In questo clima si arriva al 2 ottobre 1925, quando si sigla il Patto di Palazzo Vidoni: la Confindustria e la Confederazione delle corporazioni si accordano per riconoscersi lun laltra la rappresentanza esclusiva rispettivamente degli imprenditori e dei lavoratori (il che implica la soppressione di fatto dei sindacati liberi) e per abolire le commissioni interne. Le funzioni di queste vengono demandate ai sindacati provinciali, che trattano non con le singole aziende, bens con il medesimo livello territoriale della Confindustria. Le corporazioni intendono per nominare dei fiduciari allinterno degli stabilimenti, ma gli industriali sono nettamente contrari e sottolineano come i fiduciari fascisti rappresentano insieme troppo poco [...] se si tiene conto che essi hanno scarsissimo seguito tra le masse; troppo se dietro di loro sta il partito fascista il quale a sua volta [...] si identifica col Governo3. Interviene direttamente Mussolini a dirimere la questione a favore degli industriali, affermando che in fabbrica lunica gerarchia legittima quella
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S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 164. Ibidem, p. 163.

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tecnica e che dunque non si deve nemmeno parlare di istituire la figura dei fiduciari. A suggello del Patto di Palazzo Vidoni e a marcare la politica sindacale e del lavoro del regime interviene la legge Rocco, approvata nellaprile del 1926. Con essa scioperi e serrate diventano reati, mentre i contratti di lavoro acquisiscono valore di legge erga omnes, anche nei confronti di imprese e lavoratori non aderenti alla Confindustria (che prende lappellativo di fascista) e alla Confederazione delle corporazioni fasciste, cui riconosciuta per legge la rappresentanza esclusiva. Il sindacato fascista diviene obbligatorio e marca la sua posizione subordinata rispetto al regime definendo come prioritarie le esigenze della produzione dellinteresse nazionale. I sindacati liberi, pur non aboliti, si trovano nella condizione di non poter operare e, allinizio del 1927, la CGL e la CIL dichiarano il proprio scioglimento. La CGL, di cui nel 1926 diventato segretario generale Bruno Buozzi, decreta lo scioglimento mentre Buozzi in Francia, da cui non pu rientrare senza essere arrestato. Dallestero egli non accetta la decisione, continuando a esercitare il ruolo di segretario della CGL in esilio, rappresentandola attraverso in seno al sindacato internazionale e presentano lo di Amsterdam. scioglimento Contemporaneamente, in Italia, i comunisti decidono di tenere in vita la CGL lattivit clandestina dellorganizzazione, come daltra parte fa lo stesso Buozzi, come la diserzione di una parte del gruppo dirigente. Le due Confederazioni, quella in esilio e quella clandestina, non riconoscono luna la legittimit dellaltra e rivaleggiano a suon di articoli e scritti riguardo alluso del nome della CGL. Lorganizzazione comunista decide, a partire dal 1929, di lavorare allinterno della struttura sindacale fascista per minarne le fondamenta4, riuscendo peraltro a promuovere con successo alcune agitazioni contro la decurtazione dei salari5. Solo nel 1936, dopo che lInternazionale Comunista opta per la tattica del
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D. Horowitz, op. cit., pp. 292-293. A. Tat, op. cit., p. 1510.

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fronte popolare (lunione di comunisti, socialisti e socialdemocratici contro le dittature fasciste), si ricompone la frattura: lunit sindacale viene sancita con un accordo siglato a Parigi da Buozzi per la CGL socialista e Di Vittorio per quella comunista. Durante il fascismo la Confindustria riesce a mantenere un discreto livello di autonomia, grazie al fatto che sono gli industriali a detenere le leve del potere economico e quindi a influenzare, tramite esse, il regime stesso. Non un caso che lassociazione degli imprenditori non venga sciolta dal regime, n venga giuridicamente trasformata in un organismo parastatale: lunico obbligo che il fascismo pone alla Confindustria linserimento dellappellativo fascista. Il sindacato operaio fascista invece prima di tutto un organismo di inquadramento e controllo della manodopera6 e di costruzione del consenso per il governo: le concessioni che ottiene sono dovute essenzialmente alla volont del regime di ingraziarsi le masse. Prova della natura poco sindacale delle corporazioni il rifiuto da parte della Federazione Sindacale Internazionale di riconoscerle, tanto che essa contesta in ogni occasione il delegato fascista in seno allOrganizzazione Internazionale del Lavoro: per quanto il mandato del rappresentante delle corporazioni sia sempre convalidato dallassemblea (in cui governi e rappresentanti padronali detengono i tre quarti dei voti e difendono compattamente il regime italiano), la presa di posizione di un gruppo di delegati [] importante in quanto [denuncia] lopposizione della classe operaia alle dittature7 e alla soppressione dei pi elementari diritti sindacali.

4.2. La crisi del fascismo e il ritorno del sindacato libero. Negli ultimi mesi del 1942, in particolare a Torino e Milano, gli operai si riappropriano del diritto di sciopero: si verificano dieci agitazioni dovute al generale malcontento per la situazione politica ed economica, a cui fanno
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A. Bonzanini, op. cit., p.14. R. Allio, LOrganizzazione Internazionale del Lavoro e il sindacalismo fascista, cit., p. 107.

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seguito altre ventuno nei primi mesi del 1943. Le grandi fabbriche (Fiat in primis) sono il teatro dei maggiori scioperi del marzo in nome di pane e pace, anchessi legati a rivendicazioni salariali (contro il caro vita sempre pi insopportabile) e politiche (la fine della guerra e del fascismo). Essi assumono man mano carattere sempre pi politico, sospinti anche dalla crescita della presenza organizzativa clandestina del Partito Comunista8, ma non perdono mai quello economico-rivendicativo. anche da queste agitazioni che si sviluppa il movimento resistenziale, destinato a libeare il nord Italia il 25 aprile 19459: gli scioperi infatti hanno importanti ripercussioni sul fascismo (costretto a concessioni economiche verso i lavoratori) e sugli antifascisti, che vedono la possibilit di aumentare le proprie azioni e di maturare un pi vasto consenso popolare, nonostante gli organizzatori delle contestazioni vengano individuati ed arrestati10. I fatti del marzo del 1943 hanno poi un valore notevole per quanto concerne lo stato del sindacato fascista, in crisi di consenso come tutto il regime: essi indicano infatti in modo visibile la disgregazione dellapparato di tutela sindacale creato dal regime che nel ventennio aveva realizzato momenti di successo o per lo meno di adesione tra i lavoratori11. Addirittura, particolare che sconvolge le autorit, agli scioperi partecipano compatti anche quei nuclei di operai che [passano] per fascisti, e probabilmente [credono] di esserlo: si tratta di legioni della milizia fascista composte interamente da operai, che sono nate per controllare il comportamento politico della massa12 ma che al dunque prendono parte alle agitazioni come tutti gli altri lavoratori.

S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 175. A. Pepe, Lavoro, sindacato e istituzioni nella storia italiana ed europea, cit. 10 D. Horowitz, op. cit., pp. 296-297. I principali organizzatori degli scioperi sono i comunisti Umberto Massola e Leo Lanfranco. 11 S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948 in S. Zaninelli (a cura di), Il sindacato nuovo. Politica e organizzazione del movimento sindacale in Italia negli anni 1943-1955, ed. Franco Angeli, Milano, 1981, pp. 261-262. 12 S. Turone, op. cit., p. 23.
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4.2.1. Laccordo Buozzi Mazzini e il Patto di Roma. Dopo la caduta di Mussolini, nel luglio 1943, non si ha un discioglimento del sindacato corporativo fascista, anche perch la CGL di fatto non esiste pi e allo stesso tempo vi ununione di intenti tra le forze antifasciste clandestine che impone il coinvolgimento dellala cattolica, un tempo riunita nella CIL13. Inoltre i contratti di lavoro in essere non possono certo essere abrogati solo perch elaborati durante il regime: i lavoratori perderebbero quel poco di tutele e di sicurezza economica che rimangono loro14. Leopoldo Piccardi, ministro delle Corporazioni nel governo Badoglio e vicino ad ambienti progressisti, decide di nominare Giuseppe Mazzini commissario della Confindustria, mentre nel sindacato dei lavoratori i commissari sono otto, quasi tutti scelti tra i dirigenti sindacali del periodo prefascista: il socialista Lizzadri, i comunisti Di Vittorio e Roveda, i cattolici Grandi, Quarello e Vanoni, lazionista De Ruggiero15, cui si aggiunge, in qualit di commissario coordinatore (in quota socialista), Bruno Buozzi16. Loperazione suscita non poche perplessit, dato che si tratta pur sempre di un accordo con un governo monarchico, ambiguo nei confronti stessi del fascismo17: in particolare il Partito dAzione dichiara di aver aderito alle nomine, peraltro inattese, solo per non infrangere lunit antifascista18. Gli incarichi vengono comunque accettati ponendo delle condizioni: la democratizzazione dei sindacati, la loro libera riorganizzazione, e lindizione di

Cfr. 3.3. U. Romagnoli T. Treu, I sindacati in Italia: storia di una strategia (1945-1976), ed. Il Mulino, Bologna, 1977, p. 195. Come riportano Romagnoli e Treu, i contratti addirittura sopravvivono allordinamento corporativo fascista, che viene abrogato nel 1944. 15 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 183. 16 Buozzi effettivamente viene nominato come socialista, ma doveroso rilevare come tale nomina dipenda soprattutto dalla statura morale e sindacale dellex segretario della FIOM e della CGL. 17 S. Turone, op. cit., p. 29. 18 S. Bartolozzi Batignani, Le proposte di politica economica della CGIL unitaria, in G. Mori (a cura di), La cultura economica nel periodo della ricostruzione, ed. Il Mulino, Bologna, 1980, p. 268.
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libere elezioni19. Badoglio si trova a dover accettare la cosidetta Dichiarazione di non corresponsabilit politica: Considerando che la funzione a cui siamo chiamati ha uno stretto carattere sindacale che non implica nessuna corresponsabilit politica, dichiariamo di accettare le nomine nellinteresse del Paese e dei nostri organizzati, per procedere alla liquidazione del passato e alla sollecita ricostruzione dei sindacati italiani, che tenga conto delle tradizioni del vecchio movimento sindacale e tenda ad avviare al pi presto gli organizzati a nominare direttamente i propri dirigenti20. Nei 45 giorni in cui Badoglio governa su tutta lItalia, prima che i nazisti liberino Mussolini e occupino Roma e il centro-nord del Paese, non possibile fare molto per riorganizzare il sindacato fascista su basi democratiche, considerato che i commissari provengono da diverse culture politiche e che quindi vi sono dissensi da superare. Vi per il tempo per siglare unintesa di fondamentale importanza21, spesso citata come segno della rinascita del sindacalismo italiano dopo il fascismo: laccordo Buozzi Mazzini del 2 settembre 1943, che, con il patrocinio del governo, stabilisce la ricostituzione delle commissioni interne (soppresse nel 1925) per la trattazione di tutte le vertenze interne agli stabilimenti industriali. Il repentino mutamento dello scenario bellico e politico rende impossibile unapplicazione immediata dellaccordo, che nasce di fatto ad efficacia sospesa e differita22, ma che sana la situazione delle maggiori fabbriche del Nord, dove le commissioni interne si sono spontaneamente ricostituite senza avere per alcun riconoscimento ufficiale. Il contenuto dellaccordo non ha importanza solo come constatazione dellesistente, bens introduce alcune innovazioni tuttaltro che banali: stabilisce che tutti i lavoratori (e non solo quelli iscritti al sindacato) partecipino alle elezioni nelle
I. Bonomi, Diaro di un anno (2 giugno 1943 10 giugno 1944), come citato da D. Horowitz, op. cit., p. 302. 20 Dichiarazione di non corresponsabilit politica, firmata da tutti i sindacalisti commissari e consegnata al governo Badoglio il 15 agosto 1943, come riportata integralmente in S. Turone, op. cit., pp. 32-33. 21 Cfr. 5.3.2. 22 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 11.
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aziende e che si applichi il principio della rappresentanza proporzionale. Negli anni successivi, pur parzialmente modificato, sempre laccordo Buozzi Mazzini il testo fondamentale per la regolamentazione dei rapporti a livello di fabbrica23, tanto che le commissioni interne, nel momento in cui inziano a poter agire in una situazione meno convulsa, dimostrano una capacit di tenuta decisamente superiore rispetto a tutti gli altri organismi di rappresentanza operaia a livello di fabbrica (su tutti i c.l.n. anziendali ed i consigli di gestione)24. Inoltre da rilevare come laccordo sulle commissioni interne, unitamente alle nomine commissariali, dia un carattere di ufficialit allattivit sindacale, elemento ritenuto fondamentale dai partiti per poter governare un movimento considerato in via di espansione25. Le trattative per gettare le basi di un movimento sindacale libero e unitario si svolgono a Roma, sotto loccupazione nazista, nei primi mesi del 1944, con la partecipazione di Bruno Buozzi per i socialisti, Achille Grandi26 per i democristiani e Giuseppe Di Vittorio27 per i comunisti. Lepilogo si ha con la sottoscrizione del Patto di Roma, preparato il 3 giugno del 1944 e siglato da Di Vittorio, Grandi e Canevari il 6 dello stesso mese28. Il rinvio della firma il frutto di una tragedia, oltre che umana, per lintero movimento sindacale: il 3 giugno, infatti, assente Buozzi, arrestato dai nazisti il 13 aprile. Limminente liberazione della capitale fa sperare nella scarcerazione del leader sindacale, ma il 4 giugno si viene a sapere del suo assassinio da parte dei tedeschi in fuga. I
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D. Horowitz, op. cit., p. 303. Cfr. 4.2.2. e 4.3.1. 25 Cfr. 4.3.1. 26 Lultimo segretario della CIL prima dellinevitabile scioglimento del 1927. 27 Cerignolese, militante prima del fascismo nel movimento bracciantile pugliese legato al sindacalismo rivoluzionario, Di Vittorio aderisce al Partito Comunista negli anni 20, fino a diventarne il rappresentante sindacale durante lesilio francese. Per un sintetico profilo del personaggio, con alcune interessanti considerazioni sul suo ruolo nel secondo dopoguerra, G. Napolitano, Giuseppe Di Vittorio e la costruzione della democrazia italiana, in P. Neglie (a cura di), Giuseppe Di Vittorio. Le ragioni del sindacato nella costruzione della democrazia, ed. Ediesse, Roma, 1993, pp. 31-40. 28 Simonetta Bartolozzi Batignani riferisce del 9 giugno quale data della firma, mentre Daniel Horowitz cita solamente il 3 giugno. Il 6 giugno appare per la data corretta, in quanto riferita da uno dei presenti, Giuseppe Di Vittorio, in un articolo pubblicato su lUnit il 4 giugno 1954, in occasione del decimo anniversario della morte di Bruno Buozzi, riportato integralmente in G. Epifani, op. cit., pp. 347-351.

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socialisti perdono cos il loro principale candidato alla guida del movimento sindacale e lunico che abbia una reputazione, una statura ed unabilit maggiore di ogni altro dirigente comunista, compreso Di Vittorio29. Come illustra chiaramente Musso, sono tre i motivi principali che spingono alla costituzione di un sindacato unitario: la comune lotta antifascista, la consapevolezza della debolezza di un sindacato diviso, il fatto che una rappresentanza unitaria [] la strada pi semplice per il mantenimento di un aspetto dellordinamento sindacale fascista giudicato da tutti ampiamente positivo: la validit generale dei contratti di lavoro30. A ci vanno aggiunte le motivazioni di strategia politica, soprattutto da parte degli esponenti della Democrazia Cristiana e ancor di pi del Partito Comunista31. Se i contratti collettivi con valore erga omnes sono di comune gradimento, lo stesso non si pu dire della natura pubblicistica del sindacato. La corrente cattolica favorevole, muovendosi di fatto in unottica di riforma demoratica del corporativismo fascista, mentre quella comunista teme che il sindacato obbligatorio si trasformi in un organismo burocratico dello Stato mentre andrebbe inteso come una libera organizzazione di autotutela. I socialisti, dopo la morte di Buozzi, sono poco presenti nel dibattito interno alla neonata Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL) e con il passare del tempo tendono a concordare con i comunisti, di cui subiscono di fatto legemonia. da rilevare per come durante lelaborazione del Patto di Roma Buozzi, temendo proprio tale egemonia, sostenga fortemente che il sindacato debba esigere il riconoscimento giuridico e debba essere obbligatorio per tutti i lavoratori, per diversi motivi: a) il sistema [di sindacato obbligatorio] il solo che darebbe valore legale ai contratti di lavoro e ne imporrebbe il rispetto; [...] c) il [...] sistema darebbe maggiore forza ed autorit al sindacato; d) lobbligatoriet delle quote sarebbe legittimata dal fatto che non sarebbe giusto permettere agli operai pi arretrati ed egoisti di sottrarsi al
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D. Horowitz, op. cit., p. 304. S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 184. 31 Cfr. 2.5.

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pagamento del proprio contributo alle spese del lavoro sindacale, di cui essi godrebbero ugualmente i benefici32. Il tema non trova soluzione sino ai mesi dellAssemblea Costituente, in cui una definizione pubblicistica dellorganizzazione sindacale non pi allordine del giorno, date anche le tensioni crescenti tra le diverse correnti, che porteranno poi alla scissione e alla fine dellesperienza unitaria33. Per quanto concerne il Patto di Roma, esso stabilisce la nascita, ad opera delle organizzazioni politiche antifasciste, della CGIL come unica confederazione dotata di federazioni nazionali (una sola per ogni ramo dattivit produttiva), camere del lavoro (una sola in ogni provincia) e sindacati provinciali e locali (uno solo per ogni ramo e categoria di attivit produttiva34). Lassetto organizzativo a dire il vero appena abbozzato: sar oggetto di un lungo dibattito interno al sindacato e ai partiti35. Chiari sono invece i quattro principi fondamentali in base ai quali viene sancita lunit sindacale. Il primo la democrazia interna: La CGIL fondata sul principio della pi ampia democrazia interna. Tutte le cariche sociali, pertanto, in ogni grado dellorganizzazione, debbono essere elette dal basso, rispettivamente dallassemblea generale del sindacato locale o dalle assemblee di delegati regolarmente eletti. In ognuno degli organismi dirigenti dal vertice alla base deve essere assicurata la partecipazione proporzionale delle minoranze36. Come si vedr in seguito, il principio della democrazia interna rimane a lungo solamente un principio: gli equilibri politici non ne permettono uneffettiva attuazione, che consegnerebbe il sindacato unitario nelle mani dei comunisti. Il secondo principio la libert di espressione:

Documento di dubbia data (probabilmente il gennaio 1944) riportato da S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 271. 33 Cfr. 4.4. 34 Dal testo del Patto di Roma, intergalmente riportato in S. Turone, op. cit., pp. 49-51. 35 Cfr. 4.3.1. 36 Questa e le tre citazioni seguenti provengono dal Patto di Roma, come riportato integralmente in S. Turone, op. cit., pp. 49-51.

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In tutte le organizzazioni della CGIL dev esere assicurata la massima libert di espressione a tutti gli aderenti e praticato il rispetto reciproco di ogni opinione politica e fede religiosa. Il terzo principio, fondamentale nella forma quanto ingenuo (se non ipocrita) nella sostanza lindipendenza del sindacato dai partiti: La CGIL indipendente da tutti i partiti politici. Essa si associer ogni volta che lo ritenga opportuno, allazione dei partiti democratici che sono espressione di masse lavoratrici, sia per la salvaguardia e lo sviluppo delle libert popolari, sia per la difesa di determinati interessi dei lavoratori e del Paese. Il quarto ed ultimo principio dettato da necessit quello della pariteticit di rappresentanza delle forze politiche che danno vita alla CGIL, che diminuisce notevolmente il valore dei principi di democrazia interna e di indipendenza: Le correnti sindacali nominate costituiscono la direzione provvisoria dellorganizzazione che verr cos composta: un comitato direttivo di 15 membri, 5 per ciascuna delle tre correnti, una segreteria generale provvisoria con poteri esecutivi di tre membri; uno per ciascuna delle tre correnti. Questa norma, allapparenza provvisoria, rimane valida sino al 1947, facendo s che dirigenti e quadri sindacali vengano nominati dai partiti di riferimento delle diverse correnti. Curiosa a questo riguardo la testimonianza resa nel 1976 da Luciano Lama: A Forl, ad esempio, dove io ero capo di stato maggiore di una brigata GAP, fui incaricato dal CLN di dirigere la Camera del Lavoro di quella citt. Avevo allora ventitre anni: francamente, che cosa fosse un sindacato non lo sapevo proprio37. Tra gli obiettivi immediati che la CGIL si pone con il Patto di Roma, due hanno un valore non contingente, che ben evidenzia il ruolo nazionale che il sindacato libero vuole tornare ad avere: studiare tutte le iniziative atte a preparare ed effettuare la ricostruzione del Paese nel pieno riconoscimento dei diritti del lavoro e preparare un piano di trasformazione del sistema e degli
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L. Lama in M. Riva (a cura di), Intervista sul sindacato, ed. Laterza, Bari, 1976, p. 5.

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istituti di previdenza sociale, rivendicandone alla CGIL la direzione38. Il tema della previdenza emblematico: dimostra che il sindacato che rinasce negli anni 40, al pari di quello pre-fascista, da un lato non ritiene lo Stato un ente affidabile in merito a erogazioni e prestazioni in favore dei lavoratori, dallaltro necessita di controllare alcuni servizi fondamentali per potersi radicare tra gli operai e per poter quindi esercitare nazionalmente la funzione di loro rappresentante. Lo stesso discorso vale infatti per il collocamento: a partire dallo sbarco in Sicilia, gli alleati, man mano che strappano porzioni di Italia ai nazifascisti, si preoccupano di esercitare una nuova politica del lavoro. Mentre da un lato cercano, con lutilizzo di ordinanze, di ristabilire una libert di associazione sindacale, dallaltro si fanno carico del problema basilare del collocamento, attraverso la costituzione degli uffici del lavoro. Questa attivit, esercitata da un potere che non [conosce] le reali situazioni del mercato del lavoro [e le] esperienze locali di autotutela39, entra per in netto conflitto con lorganizzazione sindacale, che nel collocamento, soprattutto in un meridione povero di occasioni di lavoro, ha uno dei propri punti di forza. Sulla questione interviene duramente Giuseppe Di Vittorio: Gli uffici del lavoro possono svolgere una funzione utile, se questa concepita e ristretta nei termini seguenti: invece che essere uffici del lavoro, [...] siano tutti ispettorati del lavoro, con le funzioni: a) di controllare che in tutte le aziende venga osservata la legislazione sociale [...]; b) di raccogliere materiale di studio da fornire al governo ed alle organizzazioni sindacali [...]; c) di esercitare larbitrato quando questo sia richiesto dagli interessati. [...] Se, invece, si volesse continuare a fare degli uffici del lavoro degli organismi che assorbano una parte essenziale dellattivit dei sindacati, noi non posiamo essere daccordo. Il collocamento, ad esempio, unattivit fondamentale, una naturale funzione del sindacato; il controllo della previdenza sociale, degli istituti per lassistenza malattia, delle assicurazioni sociali deve essere esercitato e diretto dalle organizzazioni sindacali che, come espressione di tutti i lavoratori, sono gli organismi qualificanti, gli unici competenti ad esercitare questo controllo in favore dei lavoratori 40.

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Dal Patto di Roma, riportato in S. Turone, op. cit., p. 51. S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 265. 40 Intervento di Giuseppe Di Vittorio, come riportato in S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., pp. 264-265.

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La neonata CGIL si trova cos a dover affrontare da un lato la definizione e il consolidamento della propria struttura41, dallaltro la continuazione della guerra e subito dopo la ricostruzione di unItalia devastata42. Nel frattempo lItalia divisa in due, tra il nord, occupato dai nazisti e teatro della lotta di resistenza, e il sud, liberato dagli Alleati ma vittima di unendemica arretratezza economica ed industriale. 4.2.2. La centralit della fabbrica al nord. Durante la guerra, la fabbrica diviene un luogo centrale non solo della vita produttiva, ma anche di quella civile. Se da un lato, con la mobilitazione produttiva bellica, si ha quasi il raddoppio il numero di lavoratori industriali43, dallaltro, a fronte delle carenze degli approvvigionamenti alimentari, le grandi e medie aziende si attivano per rifonire i dipendenti dei generi di primi necessit. A ci si aggiunge lo sfollamento delle citt seguente allintensificazione dei bombardamenti (a partire dal 1942), con la diretta conseguenza che i centri storici perdono rilevanza a vantaggio delle periferie industriali44. La nuova centralit sociale della fabbrica assume un valore importante con la disgregazione economica degli ultimi mesi di guerra: mentre aumentano i bombardamenti, vengono a mancare i rifornimenti di materie prime dalla Germania. Cos le agitazioni percorrono due strade distinte: quella politica, guidata dai militanti antifascisti, e quella pi prettamente economica ed aziendale, con rivendicazioni legate alle condizioni salariali e sociali. La centralit della fabbrica fa s che assumano un particolare interesse le strutture di rappresentanza dei lavoratori allinterno degli stabilimenti, dove
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Cfr. 4.3.1. Cfr. 2.2 e 2.3. 43 Nonostante leconomia autarchica non abbia consentito di effettuare una mobilitazione bellica in grande stile, gli addetti agli stabilimenti ausiliari aumentano da 728.000 nel settembre del 1939 a 1.200.000 alla met del 1943. (S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 176). 44 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., pp. 177-181.

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vive ancora, seppur in ambienti ristretti, la memoria di una tradizione organizzativa45. La Repubblica di Sal nasce poco dopo laccordo Buozzi Mazzini che reintroduce le commissioni interne: la RSI le mantiene nel proprio ordinamento sindacale, orientata com a un populismo terzoforzista (il fascismo come soluzione alternativa tanto al comunismo quanto al capitalismo). Il tentativo di Mussolini (accreditare la versione di un nuovo fascismo, tornato alle sue origini popolari) si palesa con proclami ufficiali: sul Corriere della Sera del 9 ottobre 1943 si legge che le commissioni interne sono una necessit organizzativa, nonch una garanzia, e forse la maggiore, che i diritti riconosciuti ai lavoratori, riconosciuti nei patti liberamente stabiliti, non vengano manomessi nellapplicazione che se ne fa nelle aziende46. La politica operaistica sventolata dal governo repubblichino ha anche un secondo fine: spaventare gli industriali e spingerli a rialacciare quei rapporti di collaborazione che dal 25 luglio si sono decisamente raffreddati. La forza del regime per troppo poco credibile perch gli imprenditori cedano al ricatto. La svolta populista non fa presa neppure sulla maggioranza degli operai. Nel nord del Paese le elezioni per le commissioni interne di fine anno vengono boicottate dai lavoratori, sostenuti in questo dalle forze comuniste, socialiste, cattoliche e azioniste, che nel frattempo si trovano a gestire il sindacato commissariato nella sola Italia meridionale. Paradigmatico lesempio della Innocenti di Milano: su 5.000 operai solo 297 votano e, come se non bastasse, si contano 180 schede bianche e 103 nulle; solo 14 sono i votanti regolari, favorevoli alle commissioni fasciste47. Altrove, i pochi operai che si recano a votare scelgono di farsi rappresentare da lavoratori simpatizzanti delle forze antifasciste, persone che spesso esercitano gi con autorevolezza un ruolo di mediazione e contrattazione informale con la propriet48.

45 46

S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 265. Dal Corriere della Sera, citato in S. Turone, op. cit., p. 63. 47 Informazioni divulgate dalla stampa clandestina e citate da S. Turone, op. cit., p. 64. 48 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 179.

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Nel frattempo proseguono gli scioperi, soprattutto a Milano e Torino, cui si aggiune Genova nel dicembre del 1943. Le agitazioni liguri hanno per esito diverso: mentre nei capoluoghi piemontese e lombardo dove i fascisti ancora tentano di ingraziarsi le masse lavoratrici gli operai ottengono che tutte le richieste concernenti salari e razioni alimentari vengano accolte, a Genova la repressione nazista in seguito ad apposite direttive giunte direttamente dal ministro tedesco Von Ribbentrop durissima, con scontri di piazza ed esecuzioni di antifascisti usate per incutere timore alle folle. La domanda di rappresentanza interna agli stabilimenti e di centralit sociale viene recepita anche dalle forze politico-sindacali, che, pur boicottando le elezioni, si attivano per creare comitati di agitazione clandestina nelle fabbriche. Tali comitati, direttamente influenzati dai partiti di sinistra, si trovano a gestire una situazione complessa, in cui diviene necessaria unopera di difficile equilibrismo. Dal punto di vista politico la fabbrica luogo di reclutamento e appoggio alla Resistenza, in cui occorre boicottare la produzione destinata alle forze militare naziste, ma allo stesso tempo lunica possibilit per gli operai di percepire un salario. Da un punto di vista pi economico, la fabbrica torna a essere luogo di scontro di interessi e lotta di classe, ma anche di collaborazione tra propriet e lavoratori. Alla fine del 1944, infatti, molti imprenditori si schierano contro loccupante nazifascista49, il che fa s che si creino nelle aziende momenti di collaborazione e cogestione tra il padronato e le rappresentanze degli operai, con lintento principale di salvare gli uomini dalla deportazione e gli stabilimenti dallo smantellamento ad opera dei tedeschi in ritirata. Con linsurrezione degli ultimi giorni dellaprile 1945, il Clnai (Comitato di liberazione nazionale alta Italia) sconfigge i nazifascisti. Il 25 aprile un decreto dello stesso Clnai istituisce i consigli di gestione, con
Emblematico il caso delle Concerie Fiorio di Torino, il cui omonimo padrone mette la fabbrica a disposizione dei partigiani a partire dal settembre del 1943 (R. Allio, Torino 1945-1946. Uomini e fabbriche dopo i bombardamenti, Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino, Fascicolo I, Torino, 2003, p. 304).
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lobiettivo di spalancare la porta alla cogestione operaia delle imprese, ma essi avranno vita difficile e relativamente breve50. Il Clnai d vita anche ai Cln aziendali, rappresentanti il nuovo governo, con il compito di garantire nelle fabbriche la presenza del nuovo potere democratico e di avviare i procedimenti contro i collaborazionisti. Anche i Cln aziendali sono per unesperienza effimere. Con laffievolimento del processo di epurazione e con la fine della gestione commissariale delle imprese il loro ruolo viene meno, anche a causa degli eccessi cui alcuni Cln aziendali si lasciano andare: invece di individuare responsabilit personali legate alla collaborazione con il nazifascismo, iniziano a colpire gli individui sgraditi o troppo severi e a farsi portatori di istanze prettamente sindacali51. Le commissioni interne hanno vita pi lunga, anche perch godono di un riconoscimento formale di maggior valore (laccordo Buozzi Mazzini), ma andranno anchesse incontro a problemi e distorsioni del proprio ruolo52. In ogni caso, al nord il sindacato che sta rinascendo sotto le insegne di un forte accentramento (che emerge dal Patto di Roma e che trova poi successive convalide) ha a che fare con un tessuto sociale che si sta ricostituendo intorno alla media e grande fabbrica, con maestranze che chiedono rappresentanza allinterno dello stabilimento. 4.2.3. Il sud e i movimenti dei contadini. Anche nel meridione del Paese le lotte sociali riprendono a partire dal 1943, nel momento in cui la presenza alleata, che sostituisce il regime fascista, ripristina alcune delle libert sindacali represse dal regime. Si tratta perlopi di lotte contadine, anche a causa dellarretratezza industriale del mezzogiorno che fa s che gli operai siano una minoranza nel novero dei lavoratori. Inoltre c da considerare che al sud i molti disoccupati e la scarsit di generi alimentari
50 51

Cfr. 4.3.1. S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., pp. 201-202. 52 Cfr. 4.3.1.

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fanno s che le rivendicazioni vertano soprattutto intorno ai problemi della sopravvivenza materiale53, in cui laccesso alla terra ha un ruolo non secondario. Il movimento sindacale nel meridione, fino al 1945, quindi soprattutto di natura contadina: le uniche cronache concernenti il sindacalismo operaio raccontano unicamente di tattiche partitiche antecedenti la firma del Patto di Roma, con diversi tentativi (di democristiani, azionisti e dei comunisti scissionisti di Bordiga) di svolgere un ruolo di primo piano nel nascente sindacato confederale54. Alcuni brevi cenni alle lotte contadine che si sviluppano sono per necessari per comprendere appieno le profonde differenze sociali che intercorrono tra il nord e il sud del Paese. Nella fase iniziale le lotte contadine hanno facili successi, poich i proprietari terrieri, pesantemente compromessi con il fascismo, concedono aumenti salariali senza quasi bisogno di scioperi. Le principali mobilitazioni sono strettamente collegate alla lotta politica in atto tra la sinistra e le forze conservatrici, assieme al governo fino al 1947. Il ministro comunista dellagricoltura, Fausto Gullo, tra il 1944 e il 1945 emana diversi decreti che concedono le terre incolte o mal coltivate a cooperative di contadini e prorogano i contratti agrari, accogliendo dopo venticinque anni rivendicazioni presenti gi nelle lotte del 1919-1920. I decreti non hanno solo il valore di indirizzo politico, bens anche di copertura legislativa delloccupazione delle terre da parte dei contadini poveri, avvenuta dal 1943 in poi. Le lotte si rendono necessarie dal momento che le forze di centro boicottano i decreti Gullo, che subiranno modificazioni restrittive tra il 1946 e il 1947 da parte del ministro Antonio Segni55. In questa cornice, i partiti di sinistra non si impegnano a fondo per sostenere le occupazioni, per quanto le loro sezioni locali unitamente alle camere del lavoro siano tra le principali promotrici di tali azioni. Diviene cos pi facile (soprattutto in Sicilia) lattivit della mafia, che reagisce alle
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S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 265. S. Turone, op. cit., pp. 88-94. 55 S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., pp. 190-191.

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occupazioni uccidendo sindacalisti e braccianti: ne triste esempio la strage di Portella della Ginestra (primo maggio 1947). Il sindacato che rinasce anche nel movimento contadino ha per in partenza alcuni caratteri contraddittori, tra cui spicca la divisione, pur allinterno della CGIL unitaria, tra blocco di sinistra e Democrazia Cristiana. In questo senso la strutturazione del sindacato nelle campagne anticipa la frattura sindacale di fine anni 40. Mentre la sinistra molto forte tra i mezzadri, soprattutto del centro Italia, la DC attrae i piccoli proprietari e i coltivatori diretti, spaventati dalla linea comunista della proletarizzazione delle terre. Alla nascita della Confederterra, lorganizzazione interna alla CGIL che ricomprende tutti i lavoratori agricoli, vi sono allinterno diverse federazioni, ben distinte: i braccianti e i mezzadri schierati nettamente a sinistra, la Coldiretti legata alla DC e con modalit di azione decisamente autonome rispetto alla Confederterra e alla CGIL.

4.3. Il sindacato unitario nel dopoguerra. Prima del fascismo, erano stati necessari anni di lotte sindacali per giungere a una confederazione che potesse svolgere quel ruolo nazionale fondamentale per rappresentare le istanze del movimento operaio nel suo complesso. La rinascita della CGIL dopo il fascismo avviene con una struttura fortemente centralizzata, adatta a svolgere un ruolo analogo, imprescindibile di fronte alle esigenze della imminente ricostruzione. Tale scelta, come le successive evoluzioni, per il frutto di accordi e strategie politiche: al primato del sindacato sui partiti si va sostituendo il primato della politica sulla rappresentanza economica dei lavoratori. Gli elementi di continuit tra il sindacalismo pre e post-fascista, non tenendo conto del ruolo della politica, sono molti.56 Tuttavia, per cogliere appieno le cause e le dinamiche che portano a determinate scelte in materia di sviluppo organizzativo del sindacato non si
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Cfr. cap. 5.

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pu prescindere da una trattazione che le leghi alle posizioni politiche dei socialisti e, soprattutto, dei democristiani e dei comunisti. 4.3.1. La struttura organizzativa e linfluenza della politica. Immediatamente dopo alla nomina dei commissari responsabili dellormai ex-sindacato fascista, si sviluppa un confronto, anche teso, tra le diverse componenti politiche circa il ruolo del sindacato stesso, la sua struttura organizzativa, il suo rapporto con lo Stato e la relativa modalit di riconoscimento istituzionale. Mentre per un accenno di regolamentazione giuridica del sindacato occorrer attendere il dibattito costituzionale, gi negli anni 1943-1945 si determinano gli assetti organizzativi che guideranno levoluzione del modello sindacale italiano57. Occorre prima di tutto rilevare che la nomina dei commissari sindacali e laccordo del 2 settembre 1943 sul ripristino delle commissioni interne (suggellato dal governo) conferiscono unimpronta di ufficialit allattivit sindacale. Il riconoscimento statale di un sindacato appena abbozzato dipende da questioni eminentemente politiche: si tratta della volont di ricondurre in un quadro controllabile un fenomeno in via di espansione. Si deve considerare infatti che nel Nord stanno nascendo in molte fabbriche diverse forme clandestine di organizzazione operaia, tra il militare e il politico, legate al movimento di Resistenza. Tali iniziative sono tendenzialmente sganciate da ogni indirizzo di vertice, tanto che tutte le forze politiche, per ragioni diverse, sentono il bisogno urgente di ricondurle allinterno di unorganizzazione sindacale ufficiale e unitaria. Da un lato il PCI avverte la necessit di uno strumento principale di penetrazione nella crisi sociali in atto [e] di ricomposizione economica della classe operaia al fine di consentire al partito di svolgere quel ruolo di sintesi politica che gli permetta di divenire forza

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U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 121.

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egemone nel Paese58. Dallaltro lato la DC avverte la necessit di un canale diretto che la colleghi alla classe operaia e che integri cos il pi tradizionale legame con il mondo contadino, in modo da vedersi legittimata nel ruolo di guida e di equilibrio del Paese appartenuto in precedenza allormai esaurita classe politica liberaldemocratica; le pressioni dalla base impogono la scelta di un sindacato unitario anche ai democristiani pi dubbiosi, che temono di non avere la forza di indirizzare un soggetto cos grande verso gli obiettivi di pax sociale. Senza queste preoccupazioni ed esigenze, non si arriverebbe cos presto alla nascita del sindacato unitario con il Patto di Roma. Al momento della fondazione, la struttura organizzativa non ancora ben definita, sebbene come si visto venga prevista la nascita immediata di ununica confederazione nazionale, di ununica federazione nazionale e provinciale per ogni ramo di attivit produttiva, di ununica camera del lavoro per ogni provincia. Se la struttura ancora incerta, perch in atto c uno scontro tra comunisti da una parte e democristiani e socialisti59 dallaltra: i primi vogliono che venga attribuita centralit alle strutture orizzontali (confederazione e camere del lavoro) rispetto alle federazioni di categoria, con una superiorit del ruolo della confederazione nazionale, mentre i secondi ritengono, come scrive De Gasperi nel 1944, che la preminenza delle strutture verticali rappresenterebbe una vittoria del decentramento democratico e federalista contro laccentramento inorganico e dittatoriale60. I cattolici vorrebbero lasciare agli organi confederali una funzione di coordinamento dellazione dei sindacati: sperano che in questo modo si affermi un modello di sindacato poco
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A. Pepe, La Cgil dalla ricostruzione alla scissione (1944-1948), in Storia contemporanea: rivista bimestrale di studi storici, ed. Il Mulino, Bologna, 1974, n. 4, p. 598. 59 La dinamica delle posizioni dei socialisti in merito alla struttura organizzativa simile a quanto avviene riguardo al tema della definizione pubblicistica del sindacato: finch Buozzi vive, le posizioni sono molto simili a quelle di Grandi e ricalcano lesperienza delle CGL e FIOM prefasciste; dopo la morte di Buozzi, Lizzadri e gli altri socialisti tendono ad accettare passivamente la linea comunista di Di Vittorio. 60 Lettera scritta nel febbraio del 1944 da Alcide De Gasperi a Giulio Pastore, riportata in G. Pastore, I lavoratori nello Stato, ed. Vallecchi, Firenze, 1963, p. 35.

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politicizzato, in quanto centrato sulla categoria produttiva, e temono di converso che la preminenza dei livelli intersettoriali renda le lotte molto politiche e troppo poco legate a rivendicazioni prettamente economiche. Man mano si afferma la linea comunista, ma i motivi di tale scelta non vanno cercati principalmente n in una manovra politica, n in una predominanza comunista allinterno del sindacato unitario, elemento che sarebbe daltra parte insignificante, stante la composizione paritetica degli organi decisionali. Pi semplicemente, un sindacato accentrato si rivela necessario per affrontare un contesto nazionale diviso in due, con esperienze sindacali operaie nelle fabbriche del Nord (con fini in parte economici e in gran parte legati alla Resistenza) e movimenti di contadini e disoccupati al sud, dal carattere rivendicativo in senso pi universalistico. Daltra parte, soprattutto in un meridione agitato dalle lotte di senza terra e senza lavoro, lunica struttura sindacale possibile quella orizzontale e quindi territoriale. Se poi si considera che nei primissimi anni di vita della CGIL analogamente a quanto accade nelle prime fasi per la CGL pre-fascista le federazioni di categoria sono lente a ricostruirsi e a radicarsi, appare chiaro come unorganizzazione accentrata sia lunica scelta possibile per il sindacato. Occorre anche considerare che nel centronord occupato la guerra continua e che quindi, a prescindere dallattivit di Resistenza, lazione sindacale necessita di un difficile controllo e coordinamento, che pu essere assicurato solo attraverso una gestione centralizzata da parte degli unici soggetti veramente strutturati: i partiti antifascisti. Effettivamente la liberazione dellItalia settentrionale porta la CGIL a triplicare i propri iscritti nel giro di pochi mesi, grazie proprio ai forti legami instaurati durante la Resistenza tra il Clnai, i nuclei partigiani nelle fabbriche e il sindacato confederale nazionale61. In questo quadro una struttura di tipo verticale non pu funzionare. Da una parte significherebbe indirizzare il sindacato verso un modello organizzativo decentrato, con contrattazioni particolari di categoria, e quindi
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D. Horowitz, op. cit., pp. 325-326.

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decisamente slegato dalla politica: unipotesi irrealizzabile a met anni quaranta. Dallaltra i sindacati provinciali di categoria potrebbero, in determinate realt, portare avanti rivendicazioni decisamente estremiste e linee radicali, vanificando la difficile opera di mediazione tra le diverse correnti per elaborare una linea unitaria a livello nazionale. Infatti lo stretto legame del sindacato con la politica (ancora nel 1945-46 i dirigenti sindacali vengono nominati dai partiti in quota alle rispettive correnti) risulta essere un elemento che rafforza la struttura orizzontale: i compromessi ottenuti a livello centrale indici di sintesi tra le forze politiche non possono venire messi in crisi da equilibri diversi che potrebbero verificarsi allinterno di singole categorie produttive62. Daltra parte, le esigenze politiche nazionali del periodo 1945-47 sono la ricostruzione, la ripresa economica e laumento della produttivit: si tratta cio di un momento in cui al sindacato viene chiesto di assumersi responsabilt importanti e di contribuire alla rinascita civile e materiale del Paese. Si tratta di una tipica fase in cui vi il bisogno di una gestione centralizzata, per evitare che fughe in avanti rendano vano lo sforzo cui la CGIL chiama i lavoratori. Tra il 28 gennaio e il 1 febbraio del 1945 si tiene a Napoli il primo congresso nazionale della CGIL63, che approvando lo statuto certifica non solo la predominanza delle strutture orizzontali, ma anche la totale centralizzazione nazionale dellattivit sindacale. Le federazioni di categoria, cui pur viene riconosciuto un ruolo contrattuale fondamentale64, devono sottoporre alla confederazione ogni piattaforma rivendicativa prima di presentarla alla
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questo largomento che persuade i sindacalisti cattolici della temporanea impraticabilit della loro proposta. Qualche anno dopo, fallita lesperienza unitaria e con i sindacati concorrenti sul terreno della politica contrattuale, la struttura verticale sar ripresa dalla CISL e ne rappresenter un punto di forza per tutti gli anni 50. 63 Non c concordia nel ritenere o meno quello di Napoli un congresso della CGIL: molti lo definisco tale (Horowitz, Musso, Zaninelli), altri (come Turone) ritengono che lunico congresso del sindacato unitario sia quello di Firenze del 1947, considerando quello di Napoli un convegno, dato che i delegati non vengono eletti con regolari elezioni. Formalmente, come lo stesso sindacato ammetter, ha ragione Turone, ma quello di Napoli continua a essere generalmente considerato un vero e proprio congresso, data soprattutto la natura delle decisioni ivi prese: lo statuto infatti tradizionalmente materia puramente congressuale. 64 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 129.

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controparte65. In base alla medesima logica, le proposte di contrattazione locale devono essere approvate sia dalla federazione nazionale di riferimento, sia dalla camera del lavoro competente: il principio che viene affermato che la libert di iniziativa deve essere conciliata con lesigenza della disciplina sindacale per cui si deve evitare di porre gli organismi dirigenti superiori di fronte al fatto compiuto di decisioni impreviste che potrebbero avere conseguenze negative per tutto il movimento66. Non a caso, anche le camere del lavoro vengono intese non pi come organismi dotati di autonomia, bens come appendici locali della confederazione nazionale. Come nei primi due decenni del secolo, le federazioni nazionali rappresentano dapprima una sorta di anello debole del movimento sindacale. Sono infatti poco radicate e hanno forti carenze in termini di quadri e dirigenti, motivo per cui la centralizzazione procede forse oltre a quanto gli stessi leader sindacali si auspichino. A questo proposito, basti pensare che la confederazione si trova a dover seguire e sottoscrivere decine di contratti di categoria, da cui discendono alcune difficolt rivelate da Pastore nel 1947: Vi una [...] accusa che ci viene rivolta: quella di fare del sindacalismo centralizzato. Amici, se vi stata una preoccupazione nei dirigenti confederali stata quella di alleggerire il carico del lavoro se non altro perch quattordici e quindici ore di lavoro giornaliero da parte dei dirigenti, come finora purtroppo stato fatto, non possono continuare. Talora avvenuto che si dovevano discutere contemporaneamente i problemi di quattro o cinque categorie: una sera ci siamo trovati da De Gasperi con chimici, statali, professori della scuola media, ingolfati in un lavoro estenuante67. Daltra parte, anche qui come nel caso del sindacato pre-fascista, le federazioni di categoria crescono (soprattutto alcune, su tutte quelle dei tessili e dei metalmeccanici) e si affermano come elementi imprescindibili dellazione sindacale, dotate di capacit di pressione e di mobilitazione68. Non solo: con il passare del tempo la confederazione si rende conto che in alcuni casi
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S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 185. Dallo statuto della CGIL approvato nel 1945, come citato in U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 129. 67 Dalla relazione di Giulio Pastore al I congresso nazionale della CGIL, tenutosi a Firenze nel 1947, citata in S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 285. 68 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 130.

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lelaborazione di piattaforme rivendicative differenziate pu conseguire un risultato migliore, in particolare in momenti di iperinflazione, quando un aumento generalizzato dei salari rischia di essere deleterio. Nel direttivo della CGIL del 15-19 luglio 1946, Di Vittorio esplicita tutto ci: Il livello attuale dei salari troppo basso e [...] bisogna elevarlo attraverso la stipulazione di contratti nazionali di categoria che dovrebbero essere presentati subito da quelle Federazioni che ancora non lhanno fatto. Ladeguamento dei salari al costo della vita fatto per categorie, si pu ottenere in un modo differenziato e quindi pi aderente alla realt, e alle esigenze di ciascuna industria ed in secondo luogo non si avrebbe la conseguenza negativa che porterebbe la parola dordine degli adeguamenti percentuali per tutte le categorie69. Questo intervento indicativo di due aspetti: da un lato non del tutto vero ci che sostengono Romagnoli e Treu, ovvero che la centralizzazione impedisce ai sindacati di settore di elaborare politiche di categoria70; dallaltro occorre rilevare che, come per la centralizzazione totale operata a partire dal 1945, la scelta di accrescere il ruolo nazionale delle federazioni di categoria dovuta alla situazione contingente e non fa invece seguito a unanalisi approfondita dei pro e dei contro dei diversi modelli strutturali. Non un caso che un anno dopo lintervento di Pastore al congresso di Firenze prosegue cos: Ma i nostri amici sono consapevoli che non si pu seguitare cos anche se lo volessimo, perch la lotta con gli industriali non si sviluppa sul campo della dialettica ma su quello della cognizione e della tecnica. Gli industriali, quando vengono a trattare con noi sono sempre accompagnati da un esercito di legali, di ragionieri, di tecnici, e basta una nostra parola perch essi impugnino la matita e facciano subito dei calcoli71. Per riassumere il processo sicuramente non lineare ed i motivi che portano alla struttura centralistica del sindacato post-fascista sufficiente richiamare il sintetico giudizio di Zaninelli:
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Relazione di Di Vittorio al direttivo della CGIL del 15-19 luglio 1946, come citata da S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 297. 70 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 130. 71 Relazione di Giulio Pastore al I congresso nazionale della CGIL, in S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 285.

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La contrattazione sindacale di quel periodo presenta un accentuato carattere di centralizzazione. Tale sistema contrattuale si giustificava, allora, obiettivamente: i problemi che bisognava affrontare avevano un carattere generale e coinvolgevano tutti i lavoratori, la situazione esistente nei diversi settori industriali presentava caratteri di omogeneit si ponevano in tutte le aziende problemi di riconversione, di ricostruzione, di riorganizzazione degli impianti e, inoltre, la spinta egualitaria che i lavoratori imprimevano alle loro lotte era molto forte e non tollerava soluzioni contrattuali differenziate e obbligava il sindacato a farsi portatore di una politica sindacale sostanzialmente perequativa. Infine lo stesso modo in cui erano stati ricostruiti i sindacati, prima la Cgil e le camere del lavoro, mentre le federazioni nazionali dovevano in questa fase darsi ancora una struttura organizzativa di categoria, imponeva alla Confederazione la scelta degli accordi di carattere generale che, nella realt del momento, riflettevano condizioni oggettive e esigenze reali delle classi lavoratrici. Ed da rilevare come tale scelta consent alla Cgil, in una situazione politica particolarmente favorevole, il conseguimento di obiettivi rivendicativi di notevole rilievo72. [...] Laspetto caratteristico degli accordi interconfederali stipulati in Italia, che li distingue dalle esperienze sindacali degli altri paesi, deriva dal fatto che essi non sono degli accordi quadro, che fissano cio direttive di carattere generale, a cui altri soggetti debbono ispirarsi nella loro azione contrattuale, ma contengono complete e dettagliate regolamentazioni di specifici e importanti istituti73. La scelta dellaccentramento contiene in s anche indicazioni ancor pi genuinamente politiche, che risultano essere per determinanti per quanto concerne il rapporto tra la CGIL (e in particolare tra la confederazione nazionale) e le rappresentanze dei lavoratori nei luoghi di lavoro (in primis le commissioni interne). Il Partito Comunista Italiano, e con esso ovviamente i dirigenti sindacali comunisti, ha infatti una motivazione in pi per preferire una struttura orizzontale della CGIL: ritiene infatti che vi sia la necessit di controllare lattivit delle categorie perch resti nellalveo della difesa degli interessi delle masse. Nel momento in cui si riconosce autonomia rivendicativa a un sindacato di categoria o, ancor peggio, a un sindacato in fabbrica, si legittima unattivit di rivendicazione per s, che prescinde e pu persino danneggiare la lotta di
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Cfr. 4.3.2. F. Drago, E. Giambarba, E. Guidi, E. La Porta, G. Salvarani, G. Valcavi, Movimento sindacale e contrattazione collettiva 1945 1970, ed. Franco Angeli, Milano 1971, pp. 18-19.

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classe da intraprendere come proletariato, soggetto di massa e quindi inevitabilmente unico. Questa la linea che porta Luciano Lama, nel congresso CGIL del 1949, a dichiarare che il sindacato nellazienda porta con s fatalmente il contratto aziendale, e noi siamo contrari al sistema dei contratti aziendali74. Il PCI rifiuta di considerare la fabbrica come luogo autonomo di lotta e rivendicazione, e la corrente social-comunista della CGIL fa propria tale impostazione, cui si aggiunge la diffusa preoccupazione che le commissioni interne sostituiscano il sindacato negli stabilimenti. Occorre infatti ricordare che laccordo Buozzi Mazzini del 1943, nel reintrodurre le commissioni, stabilisce che esse siano elette e possano essere composte da tutti i lavoratori. Ci equivale semplicemente a legittimare lattivit sindacale nelle aziende fin quando il sindacato un ente di diritto pubblico; nel momento in cui ladesione torna a essere libera, le commissioni diventano in un certo senso pi rappresentative del sindacato stesso, riproponendo il dualismo conflittuale gi presente nella fase pre-fascista75. Inoltre laccordo Buozzi Mazzini riconosce ad esse il potere di condurre trattative con la direzione aziendale, seppur previa autorizzazione della locale associazione sindacale76, assegnando quindi alle commissioni un importante ruolo rivendicativo e contrattuale. Nel nord del Paese, fino allaprile del 1945 sotto il dominio nazifascista, le commissioni sono ufficialmente promosse dai repubblichini, ma di fatto prendono piede come organismi clandestini legati alla lotta di Resistenza; alla liberazione il sindacato torna a vivere nellarea operaia per definizione, quella delle imprese industriali del Settentrione attraverso lesperienza della commissione interna77. In generale, la Resistenza lascia in eredit, insieme alla centralit sociale delle fabbriche78, diverse tipologie di rappresentanza aziendale (dai cln di fabbrica alle commissioni
Relazione organizzativa di Luciano Lama al III congresso nazionale della CGIL, citata in U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 132. 75 S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 288. 76 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., pp. 132-133. 77 S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 288. 78 Cfr. 4.2.2.
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interne, dai consigli di gestione agli ex comitati di lotta clandestina). I poteri di questa rete di organismi (commissioni escluse) sono vaghi e informali, ma autonomi dal sindacato centrale: non un caso che fino al 1950 la maggior parte degli scioperi nel nord del Paese sono di matrice locale, promossi dalle grandi fabbriche79. Due sono i risultati paradigmatici della posizione comunista della CGIL, di cui il primo in ordine di tempo lo statuto varato a Napoli nel congresso del 1945. Con esso il sindacato sottrae il potere contrattuale alle commissioni interne a favore delle federazioni di categoria, con lesplicita relazione pronunciata da Di Vittorio: Vi un problema, poi, che abbiamo accennato in una circolare ed affrontato anche in questo congresso e sul quale credo sia necessario aggiungere qualche chiarimento: il problema sorto dallattivit delle commissioni interne rispetto allattivit del sindacato. Voglio ribadire ancora una volta il concetto che la segreteria confederale ha espresso gi. Salutiamo con viva soddisfazione il fatto che le commissioni interne siano state istituite in tutte le aziende e che, specialmente nelle aziende industriali, abbiano assunto una grande autorit. Questa una garanzia che gli interessi non soltanto collettivi, ma anche individuali dei singoli lavoratori saranno tutelati efficacemente da questi rappresentanti diretti dei lavoratori nelle aziende. Dobbiamo mantenere questa autorit che le commissioni interne sono riuscite a conquistare in seno alle fabbriche ed alle aziende in generale. Per, compagni, guardiamoci bene dal pericolo che le commissioni interne soffochino il sindacato. ora invalsa unopinione, secondo la quale la commissione interna basti a tutto, faccia tutto, si occupi di tutto e svuoti completamente il sindacato da ogni suo contenuto. Se le cose andassero avanti cos, avremmo realizzato la unit formale nella Confederazione e nelle camere del lavoro, ma avremmo spezzettato la classe operaia in tanti piccoli settori, quanto sono le fabbriche. Noi dobbiamo, invece concepire pi unit dazione, di movimento, che devessere realizzata di fatto con la solidariet fra i lavoratori di una stessa industria, branca di lavoro, della stessa localit, della stessa provincia e dellintero paese nella Federazione nazionale. Sia ben chiaro che le commissioni interne debbono interessarsi alla difesa degli interessi collettivi ed individuali dei lavoratori nellambito dellazienda. Esse debbono interessarsi del rispetto dei contratti di lavoro che dovranno essere fatti dai sindacati, dellosservanza della legislazione sociale, della legge sugli infortuni, sulla sicurezza del lavoro, delligiene del lavoro, del buon funzionamento degli ambulatori e di tutte le altre iniziative di carattere
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U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 131.

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sociale, delle mense, degli spacci aziendali, ecc. Ma ogni iniziativa tendente a modificare i contratti collettivi di lavoro, le condizioni di lavoro, ecc. deve essere presa dai sindacati80. Se chiaro lintento di sottrarre ogni potere che le commissioni possano esercitare in concorrenza con il sindacato, relegandole a svolgere una funzione di mero controllo degli accordi sottoscritti dalla CGIL, altrettanto chiara lopposizione ideologica che Di Vittorio tiene nei confronti di tali organismi. Il vero oggetto del contendere non infatti il timore del soffocamento del sindacato, come il segretario della CGIL afferma, perch in tal caso non sarebbe difficile procedere alla sindacalizzazione delle commissioni, considerato che esse agiscono (e continueranno ad agire) non certo allinsaputa, anzi spesso col contributo della Camera del lavoro81; il problema determinato dallassoluta contrariet della CGIL alla presenza del sindacato allinterno della fabbrica. Il secondo risultato della linea comunista laccordo nazionale tra il sindacato e la Confindustria del 7 agosto 1947, con cui si limitano pesantemente le competenze delle commissioni interne nella contrattazione sindacale, dando cos attuazione allo statuto confederale. Le commissioni devono cos trasferire allorganizzazione sindacale la trattazione di tutto quanto attenga alla disciplina collettiva dei rapporti di lavoro, cosicch il loro ruolo diventa quello di concorrere a mantenere normali le relazioni in fabbrica in uno spirito di collaborazione per il regolare svolgimento dellattivit produttiva82. Di grande interesse a questo riguardo la circolare esplicativa diramata dalla sezione Contratti e vertenze della CGIL pochi giorni dopo la firma dellaccordo. Lincipit piuttosto ipocrita: Attraverso laccordo test raggiunto, le Commissioni interne vedono consolidate le loro funzioni nellambito dellazienda, aumentato il loro prestigio
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Relazione di Giuseppe Di Vittorio al congresso di Napoli, citata in S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 287. 81 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 133. 82 Ibidem.

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e riconosciuto un ampio campo di attivit. [...] Alluopo necessario che esse sappiano provvedere allefficiente tutela degli interessi dei lavoratori, coordinandoli con le esigenze tecniche e produttive delle aziende83. Sin da subito si coglie il cambiamento che investe le commissioni, derubricate da soggetti rivendicativi a organismi di collaborazione al buon funzionamento dellimpresa, come viene poi ribadito: La Commissione interna riconosciuta quale organo di rappresentanza dei lavoratori dellazienda, ed essa nello svolgimento della sua attivit dovr proporsi di mantenere normali i rapporti tra i lavoratori e la direzione aziendale nellinteresse della produzione. [...] [Esse], specie nelle aziende nelle quali non siano costituiti i Consigli di gestione, dovranno proporsi di dare il massimo apporto al perfezionamento dei metodi di lavoro onde conseguire un maggior rendimento ed una maggiore produttivit. A ci si aggiunge il ruolo di controllo nei confronti della direzione aziendale, compito per subordinato al raggiungimento di un accordo, in assenza del quale il sindacato locale di categoria a dover intervenire: [Laccordo] riconosce alle Commissioni interne il diritto e aggiungiamo noi, il dovere di intervenire per la esatta applicazione dei contratti di lavoro, della legislazione sociale, delle norme di igiene e di sicurezza sul lavoro. [...] Qualora tale intervento non conseguisse un utile risultato, la Commissione interna tenuta a segnalare linosservanza agli organi sindacali responsabili per gli opportuni provvedimenti. Le commissioni interne, nel quadro loro assegnato di mantenere normali i rapporti tra lavoratori e Direzione, dovranno subito intervenire per tentare di risolvere, con la Direzione, le vertenze individuali o collettive che sorgessero nellambito dellazienda. Esaurito tale tentativo, per quanto riguarda le controversie collettive [...] la Commissione interna rimetter tali vertenze al sindacato locale di categoria. [...] Pu avvenire e dovr essere leccezione che, nonostante ogni sforzo, non sia possibile raggiungere unintesa [...] In tal caso la Commissione interna dovr, innanzitutto, investire della questione il sindacato di categoria e la Camera del lavoro. Lo stesso principio viene applicato anche alle controversie in materia di licenziamenti collettivi e individuali. Infine laccordo contiene una serie di

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Questa e le successive citazioni provengono da Compiti e funzionamento delle Commissioni interne, pubblicato nella rubrica Attivit contrattuale del Notiziario della Cgil n. 5 del 20 agosto 1947, riportato integralmente in Quaderni di rassegna sindacale n. 70 (Notiziario della Cgil 1947-1955), Editrice Sindacale Italiana, Roma, 1978, pp. 41-47.

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norme volte, teoricamente, a tutelare i componenti delle commissioni e a fornire loro strumenti per esercitare il proprio ruolo (diritto a usufruire di un locale aziendale, a convocare assemblee, ad assentarsi dal lavoro per le necessit del loro mandato). Tali prerogative e diritti sono per decisamente pi limitati delle concessioni di fatto che [i commissari interni sono riusciti] a strappare nelle grandi aziende in termini di permessi e di libert di movimento allinterno degli stabilimenti84. Laccordo del 1947 rappresenta la reazione del sindacato unitario e centralizzato a un decentramento de facto che in atto, soprattutto nelle grandi fabbriche del nord Italia. Le commissioni interne diventano cos oggetti ambigui, soprattutto nei ruoli e nelle modalit dazione. Da un lato sono le commissioni interne che per quattro anni, in assenza del sindacato in fabbrica, hanno gestito le vertenze aziendali, e sono quindi riconosciute dal padronato con tale ruolo. Daltra parte, proprio dagli imprenditori viene la spinta al contenimento delle prerogative dei commissari, dietro lauspicio che le commissioni diventino uno strumento di controllo e autoregolamentazione dei lavoratori. Nella stessa condizione, definibile con Romagnoli e Treu come zona limbica85, si trovano i consigli di gestione. Nati nel nord Italia su iniziative del Clnai per avviare la cogestione delle imprese, i consigli si trovano presto senza alcuna copertura giuridica, dato che la ratifica viene rifiutata dal comando militare alleato sotto cui passa momentaneamente lamministrazione del settentrione liberato. La CGIL che verso tali organismi nutre meno timori rispetto alle commissioni interne ne rivendica il riconoscimento giuridico, ritenendoli fondamentali per avviare una collaborazione tra lavoro e capitale per la ricostruzione del Paese. Mentre, nel 1946, Di Vittorio nega ogni paragone con i consigli di fabbrica di gramsciana memoria e sottolinea come la

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S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 207. U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 133.

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questione dei consigli non [debba] assumere nessun carattere rivoluzionario86, gli imprenditori manifestano la loro ostilit a degli organismi che costituiscono un elemento deleterio per la pace sociale87. La posizione padronale si inserisce in un dibattito aperto: da una parte i democristiani propongono lattribuzione ai consigli di capacit deliberativa e lazionariato operaio come forma di partecipazione agli utili, dallaltra i comunisti escludono ogni collaborazione di classe e intendono dare ai consigli un carattere consultivo attraverso una composizione paritetica. questa seconda linea a prevalere, con soddisfazione degli industriali, i quali sanno bene che organismi paritetici di consultazione o meno troppi dei punti coinvolti possono essere conosciuti nella loro realt solo da chi direttamente li tratta e che in definitiva conta solo il potere che si sa esercitare88. Nellaprile del 1947 sono ancora circa 500 i consigli attivi, che si estinguono per nellarco di quattro anni. Daltra parte la loro utilit appare nulla a molti, come Riccardo Lombardi (allora segretario del Partito dAzione) che li ritiene insufficienti a dirimere il problema del controllo operaio della produzione, dato che sono organi di collaborazione di classe agli effetti ristretti dellazienda singola e perfino troppo facilmente degeneranti in compromessi corporativi tra padroni e operai89. Compiti e sviluppi degli organismi operai nelle fabbriche sono di grande importanza per comprendere appieno il ruolo esercitato dal sindacato nazionale. Anche dopo laccordo del 7 agosto 1947, ancora fino al 1950, le commissioni interne si trovano ad esercitare, o meglio a dover esercitare, un ruolo ben pi ampio di quello ufficialmente riconosciuto loro; ma non si tratta di certo di una novit, poich il ruolo svolto dalle commissioni in tutto il dopoguerra non corrisponde quasi mai a quello assegnato loro dai diversi accordi interconfederali. Come rileva Momigliano:

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S. Turone, op. cit., p. 143. Ibidem, p. 128. 88 A. Accornero, Il consiglio di gestione alla Riv, ed. LAvanti, Milano, 1962, p. 284. 89 Lettera di Riccardo Lombardi alla CGIL, citata da S. Turone, op. cit., pp. 151-152.

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Sin dai primi mesi dopo la liberazione alle Commissioni interne furono praticamente affidate in forma urgente compiti gravissimi: innanzitutto quello di creare, senza averne precisi poter, una pratica istituzionalizzazione delle nuove regole del gioco sindacale allinterno delle aziende; di creare cio, senza poteri istituzional, una costituzione non scritta della contrattazione aziendale, delle procedure di formazione delle deliberazioni e verifiche delle opinioni dei lavoratori, delle regole dei rapporti con la direzione, delle norme pratiche dellesercizio dello sciopero e delle altre forme di lotta sindacale. [...] A differenza dei Consigli di gestione, che si trovarono nella situazione di non riuscire ad esercitare in forma concreta un potere in qualche guisa riconosciuto, troppo ampio e troppo ambiguo e generico in relazione alla situazione obiettiva e alla loro stessa struttura, le Commissioni interne si trovarono nella situazione esattamente opposta, di dovere, per la situazione obiettiva, esercitare un potere ben superiore alle loro competenze formali. Le commissioni interne dovettero, bene o male, assolvere questo compito di creazione delle regole del gioco sindacale nelle aziende [...] riuscendo contemporaneamente a riassorbire nel gioco sindacale una notevole carica politico-rivoluzionaria, che la rivoluzione mancata aveva lasciata insoddisfatta90. Questultima osservazione di Momigliano fondamentale:

effettivamente nel dopoguerra le commissioni interne esercitano, tramite unattivit di fitte rivendicazioni a livello di fabbrica, un ruolo complementare a quello del sindacato confederale centralizzato. In questo modo la CGIL pu fare una politica di moderazione a livello nazionale [...] e nel contempo consentire che in modo informale la spinta rivendicativa dal basso [trovi] aggiustamenti naturali nei rapporti con le imprese91. Da un lato questo atteggiamento frutto del riconoscimento di dualismi nella struttura economica e industriale italiana, dallaltro le rivendicazioni dei lavoratori trovano nelle commissioni interne un soggetto in grado di farsi interprete e dunque di governare pur in assenza di un collegamento stabile con il sindacato le masse operaie nel difficile periodo della ricostruzione. Sar a partire dal 1950, quando il padronato sferrer un attacco alle commissioni interne cercando di togliere loro ogni potere non riconosciuto
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F. Momigliano, Sindacati, progresso tecnico, programmazione economica, ed. Einaudi, Torino, 1966, p. 110. 91 S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 288.

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dagli accordi nazionali, che le commissioni entreranno in un periodo di crisi92. La crisi non uguale in ogni fabbrica, assume anzi connotati molto diversi da stabilimento a stabilimento. Si fa per diffusa una tendenza: trovandosi con il solo ruolo di collaborare al regolare svolgimento del lavoro, le commissioni iniziano talvolta a essere persino gli organismi che decidono chi va premiato tra i lavoratori, fungendo cos da antipatici decisori (per conto aziendale) riguardo a chi merita promozioni o premi di risultato. Esse rimangono comunque, dopo il disordine organizzativo della met degli anni 40, lunico organismo sindacale effettivamente operante nei luoghi di lavoro. 4.3.2. Il ruolo economico nazionale tra conquiste e sacrifici. Come si visto, il movimento sindacale italiano si trova a dover esercitare un importante ruolo nazionale a partire gi dal 1943. Tale ruolo non pu essere per circoscritto allambito politico, per quanto la CGIL vi sia fortemente legata. La storia del sindacato intorno alla met degli anni 40 s una storia che si intreccia con quella dei partiti, ma ha anche una sua autonomia fatta di vertenze, contratti, conquiste e sacrifici. Questi ultimi due elementi, le conquiste e i sacrifici, risultano fondamentali per comprendere appieno il ruolo economico nazionale svolto dal sindacato: le conquiste sono indicatori della forza, del grado di riconoscimento conquistato e del radicamento della CGIL93; i sacrifici dimostrano quanto il movimento sindacale tenga a dimostrare di avere senso di responsabilit al fine di acquisire (in un primo momento) e mantenere un ruolo di primo piano nel Paese. Nessuno meglio di Di Vittorio riesce a spiegare questo concetto: Noi, popolo lavoratore italiano, non possiamo sottrarci al dovere di sobbarcarci [i sacrifici] perch serve per dimostrare che le altre classi, in quanto
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U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 138. Naturalmente le vittorie del sindacato sono frutto di un insieme di elementi, tra cui hanno un peso notevole la forza/debolezza degli industriali e la volont del governo di soddisfare le richieste della classe operaia. In ogni caso, evidente che a prescindere dalle altre variabili solo un movimento sindacale forte e radicato in grado di sostenere molte lotte e di vincerle.

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incapaci di sopportarne la loro parte, hanno perso cos ogni dirito di essere alla direzione della societ nazionale94. Dopo il Patto di Roma, la ripresa dellattivit contrattuale esige la definizione di linee di politica sindacale: esse risultano molto elementari95, data la situazione socioeconomica e la struttura organizzativa di cui la CGIL si dota. Il centralismo organizzativo porta inevitabilmente al centralismo contrattuale. Proprio questo centralismo lo strumento principale per mettere in atto una politica sindacale perequativa e, pi in generale, per riuscire a governare la massa di rivendicazioni particolari e locali, che si innestano sul numero abnorme di contratti ereditati dal fascismo.96 Nel 1944-45 lItalia ancora dilaniata dalla guerra e la situazione economica gravissima: il sindacato non pu che attuare la politica del giorno per giorno97, costretto com a richiedere interventi limitati alle necessit pi urgenti98. Il 4 agosto 1944 viene siglato un primo accordo interconfederale che prevede la concessione a tutti i lavoratori del centro-sud di un premio di liberazione, variabile da 1.000 a 3.000 lire99: il caro-vita il problema maggiore che il sindacato deve affrontare, tant vero che nelle piattaforme rivendicative i temi ricorrenti sono il controllo dei prezzi e gli aumenti salariali. Tale linea pu apparire incoerente, se si considera che la spirale prezzi-salari una delle tipiche cause di iperinflazione100. Effettivamente la corrente cattolica, sensibile alle esigenze politiche della DC, nel 1946 si dichiarer contraria alle richieste di aumenti dei salari, ritenute dannose nei confronti di unefficace lotta allinflazione. Occorre per considerare che laumento vertiginoso dei prezzi

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Relazione di Di Vittorio al II congresso nazionale della CGIL (1949), come citata in U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 15. 95 S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 284. 96 A questo proposito basti pensare che alla fine degli anni 30, la copertura contrattuale della categoria tessile-abbigliamento risulta composta [...] da una quindicina di accordi nazionali di settore e sub-settore e da oltre trecento contratti provinciali. (U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 195). 97 S. Turone, op. cit., p. 111. 98 S. Bartolozzi Batignani, op. cit., p. 279. 99 S. Turone, op. cit., p. 111. 100 Occorre ricordare che linflazione italiana del primo dopoguerra deriva dallemissione incontrollata di moneta da parte degli Alleati durante il 1944 e il 1945.

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degli ultimi anni di guerra e di quelli successivi rischia di essere una miccia in grado di far deflagrare tensioni e cariche rivoluzionarie tra gli operai: la CGIL non pu quindi che chiedere un controllo politico sui prezzi e al contempo listituzione di meccanismi che non facciano pagare ai soli lavoratori il prezzo dellinflazione. Per quanto concerne le retribuzioni, nella seconda met del 1944 la CGIL riesce a ottenere laumento medio del 65% dei salari e degli stipendi rispetto al settembre 1942; unindennit di caro-vita fino a 35 lire giornaliere; laumento del 50% degli assegni familiari; listituzione della tredicesima mensilit per gli impiegati privati; la gratifica natalizia per gli operai dellindustria e per i salariati agricoli; laumento del 70% delle pensioni agli statali101. La gratifica natalizia raggiunge presto il valore di unintera mensilit102, cosicch listituto della tredicesima esteso di fatto anche a operai e braccianti. Il 12 dicembre 1944 la CGIL invia a governo e Confindustria un memoriale denso di richieste urgenti: aumento della razione del pane [...]; lotta contro il mercato nero mediante il rifornimento diretto a mezzo spacci aziendali e cooperativi; estensione e potenziamento delle mense aziendali; pagamento immediato della tredicesima mensilit comprensiva della indennit di caro-vita a tutti i lavoratori; [...] indennit caro-vita ai pensionati, agli ammalati od infortunati; [...] adozione della scala mobile dei salari e degli stipendi; lavori urgenti per tutti i disoccupati103. Il congresso di Napoli dellinizio del 1945 loccasione per verificare le conquiste ottenute (tra cui lestensione dellindennit di caro-vita a tutti i lavoratori e aumenti delle pensioni)104 e per lanciare una nuova piattaforma rivendicativa. Lobiettivo prioritario, oltre a diversi aumenti delle retribuzioni, listituzione di un regolamento automatico dei salari rispetto al crescente costo
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S. Turone, op. cit., p. 112. Ne parla Di Vittorio al congresso di Napoli del gennaio-febbraio 1945, come si legge in D. Horowitz, op. cit., p. 321. 103 Notiziario della Confederazione Generale dellIndustria Italiana, a. II, n.1, come riportato in S. Bartolozzi Batignani, op. cit., p. 280. 104 D. Horowitz, op. cit., p. 321.

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della vita, ossia lintroduzione della scala mobile: ogni resistenza opposta alla sua applicazione viene bollata (probabilmente a ragione) come un tentativo di far pagare esclusivamente alle classi lavoratrici le spese della guerra e del catastrofico regime fascista. I primi risultati che si ottengono nel 1945 derivano dallaccettazione governativa di alcune richieste sindacali seguenti allabolizione del prezzo politico del pane: si ottiene cos laumento della razione giornaliera di pane e degli stipendi dei dipendenti statali, parastatali e degli enti locali. Al momento di affrontare la vertenza concernente ladeguamento salariale per i dipendenti del settore privato, la CGIL si trova nella condizione di dover chiamare i lavoratori italiani al sacrificio in nome della ripresa della produzione e del contenimento dellinflazione. Laccordo del 24 febbraio 1945, siglato con la Confindustria, prevede infatti aumenti delle retribuzioni, a fronte dei quali, per, la CGIL invita la classe operaia ad evitare richieste indiscriminate di adeguamenti salariali105 e rinvia listanza di adozione della scala mobile fino a quando i provvedimenti governativi per il freno alla crescita dei prezzi non producano i loro effetti. Nonostante laccordo, il sindacato continua comunque a considerare la scala mobile lunica via perch non vi siano croniche agitazioni salariali e propone allo stesso tempo una netta semplificazione nella struttura delle retribuzioni. Infatti, dopo che la Sottocommissione alleata ottiene il blocco dei salari, il loro adeguamento avviene tramite lintroduzione di varie indennit supplementari, che la CGIL vorrebbe ricondurre a due (oltre allo stipendio effettivo): gli assegni familiari e lindennit caro-vita106. Gli incrementi salariali non bastano a fronteggiare quelli dei prezzi, tanto che gi ad aprile il sindacato ripropone con insistenza, tanto al governo quanto a Confindustria, lapplicazone della scala mobile: Il Comitato direttivo della Confederazione generale italiana del lavoro riunito nei giorni 11 e 12 aprile 1945 [...]:

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S. Bartolozzi Batignani, op. cit., p. 285. Lintroduzione di tale indennit risale al decreto luogotenenziale del 3 novembre 1944.

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PREMESSO che diritto inalienabile di ogni lavoratore ricevere una retribuzione che gli assicuri un livello di vita umano e la possibilit di riprodurre la sua forza lavorativa nellinteresse della persona, della famiglia, del Paese; RICHIAMANDOSI alla richiesta fatta al Governo dalla Confederazione nel dicembre scorso per ladozione della scala mobile dei salari, richiesta mai ritirata ma solo momentaneamente accantonata [...]; CONSAPEVOLE della propria responsabilit di fronte [...] alla massa di tutti i lavoratori [e] di fronte al Paese e volendo evitare il ripetersi [...] di troppo frequenti agitazioni salariali destinate a turbare il processo produttivo e lo sforzo della nazione in guerra [...]; DELIBERA di procedere alla immediata elaborazione mediante una speciale commissioni di concrete propote per una sollecita adozione della scala mobile dei salari, degli stipendi e delle pensioni e qualsiasi altra forma di prestazione assicurativa107. Gli avvenimenti immediatamente successivi, in particolare la liberazione del settentrione e lo scoppio di tumulti per il caro-vita in Puglia, spingono la CGIL a orientare la propria azione verso la lotta per il ribasso del costo della vita, considerato inoltre che in assenza della scala mobile la linea degli adeguamenti salariali risulta inefficace: da un lato essi sono subito neutralizzati dal rialzo dei prezzi, dallaltro tale linea mal si presta alla centralizzazione contrattuale, perch gli aumenti generalizzati delle retribuzioni rischiano di mettere in crisi numerose aziende in via di ripresa produttiva. Localmente per non si rinuncia a chiedere con insistenza che i salari si adeguino proporzionalmente allaumento del costo della vita, soprattutto nellarea del triangolo industriale, dove si trovano le pi importanti fabbriche del Nord e dove salari e stipendi sono rimasti bloccati dalla RSI per contenere linflazione. Cos l8 luglio 1945 si arriva a siglare a Milano un accordo interprovinciale tra CGIL, camere del lavoro e unioni industriali di Torino, Milano e Genova: con esso si istituisce lindennit di contingenza giornaliera e mensile dallimporto

Mozione finale de Il Comitato direttivo della CGIL, in Il Lavoro n. 69 del 1945, integralmente riportata in S. Bartolozzi Batignani, op. cit., pp. 288-290.

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variabile da 56 a 120 lire giornaliere per gli operai e da 1.400 a 3.000 lire mensili per gli impiegati108. Si tratta di una novit rilevante, che apre la strada a simili accordi a livello nazionale. Nel novembre del 1945, poco prima della crisi del governo Parri, che porta al primo dei numerosi esecutivi guidati da De Gasperi, iniziano le trattative tra CGIL e Confindustria per elaborare un accordo sulla perequazione salariale nel Nord. Lintesa si trova dopo che Di Vittorio, con il consueto senso di responsabilit, sostiene lallargamento del premio di produzione, rinuncia alla richiesta di una perequazione totale delle retribuzioni tra tutte le localit e cosa pi rilevante accetta lestensione del cottimo quale meccanismo incentivante della ripresa produttiva109. Il 6 dicembre avviene quindi la sigla del concordato interconfederale per la perequazione delle retribuzioni dellindustria, nellItalia del nord, che reintroduce il cottimo e istituisce finalmente la contingenza. La portata dellaccordo notevole: gli standard fissati vengono poi applicati nei contratti nazionali di categoria e in quelli provinciali e aziendali, senza che (teoricamente) sia possibile con questi apportare alcuna modifica. Viene definito uno schema generale, nel quale si [fissano] le quote salariali in quattro fondamentali classificazioni; si stabilisce lestensione del principio della scala mobile allintero [settentrione] con differenze zonali110. Nei mesi successivi, durante la campagna elettorale per lAssemblea Costituente e per il referendum istituzionale, nel corso della quale la CGIL tiene un profilo volutamente basso, hanno luogo le trattative in merito a un analogo concordato per il centro-sud. Il contenuto dellaccordo, siglato il 23 maggio 1946, simile a quello del nord Italia, a parte lintroduzione del principio secondo il quale i lavoratori che si [trovano] ad avere un trattamento migliore di

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S. Bartolozzi Batignani, op. cit., p. 297. I dirigenti sindacali sono consci che in merito a tale provvedimento c un diffuso dissenso nella base operaia, ma procedono comunque in nome dellobiettivo prioritario di conseguire un aumento della produzione. 110 D. Horowitz, op. cit., p. 337.

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quello risultante dallaccordo, [conserveranno] il beneficio salvo un graduale riassorbimento in conseguenza delle variazioni della scala mobile111. Il significato dei due accordi di grande importanza, dato che con essi il centralismo contrattuale tocca uno dei suoi momenti di maggiore applicazione: le retribuzioni di ogni zona e di ogni categoria vengono contrattate unicamente dalla confederazione nazionale. Laumento dei prezzi intanto continua, mentre la ripresa produttiva stenta e il numero dei disoccupati cresce in modo preoccupante112. La preoccupazione, presente anche tra i dirigenti della CGIL, per una politica salariale non sufficientemente correlata ai problemi della ripresa produttiva e per lesplosione delle rivendicazioni sul piano locale portano Di Vittorio a compiere un altro passo sulla strada dei sacrifici. Egli decide quindi di aderire alla proposta di governo e Confindustria di addivenire ad una tregua salariale113 per favorire la stabilizzazione economica e il salvataggio della lira in fase di forte svalutazione. Con tregua salariale non si deve intendere il blocco delle retribuzioni: con laccordo del 27 ottobre 1946, infatti, la CGIL ottiene un aumento del 35% dei minimi di paga base, oltre allallungamento del periodo di ferie e lintroduzione definitiva per tutta lindustria della tredicesima mensilit114. A fronte di ci, essa si impegna per i successivi sei mesi a non avanzare ulteriori rivendicazioni salariali, n a livello nazionale n decentrato, tornando definitivamente a concentrare la propria azione sul lato dei prezzi e non pi delle retribuzioni. Non a caso laccordo viene rinnovato il 30 maggio

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S. Bartolozzi Batignani, op. cit., p. 301. I dati ufficiali, riportati dal Ministero per la Costituente, parlano di 2,1 milioni di disoccupati, ma pare che essi siano sovrastimati, in quanto conteggiano tutti gli iscritti agli uffici di collocamento senza distinguere tra disoccupati e coloro che vogliono cambiare occupazione. Una valutazione pi corretta porta a ritenere che il totale dei disoccupati si attesti a 1,6 milioni. (A. Cova, Movimento economico, occpazione, retribuzioni in Italia dal 1943 al 1955, in S. Zaninelli (a cura di), Il sindacato nuovo, cit., p. 39). 113 Intervento di Di Vittorio al Comitato direttivo del settembre 1946, citato in S. Bartolozzi Batignani, op. cit., p. 305. 114 Come si visto, nel 1944 la tredicesima viene istituita per i soli impiegati. Sebbene la gratifica natalizia, di cui godono invece gli operai, raggiunga presto il valore di unintera mensilit, solo con laccordo del 1946 che essa viene ufficialmente trasformata nella tredicesima.

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1947 (dopo luscita di socialisti e comunisti dal governo), pur con alcune modifiche, illustrate da una circolare interna della CGIL: La Cgil, pur conscia della grave situazione di disagio e di sacrificio nella quale si trovano i lavoratori, in considerazione degli interessi generali del popolo italiano, minacciato dallo spettro dellinflazione, non ha voluto richiedere un aumento generale delle retribuzioni. Gli obiettivi limitati che abbiamo voluto raggiungere sono tre: 1) riequilibrare il salario e lo stipendio con lindennit di contingenza. Attraverso il gioco della scala mobile pu dirsi che, nel complesso, lindennit di contingenza abbia adempiuto alla sua funzione di mantenere il rapporto fissato con il concordato del 27 ottobre 1946 tra le retribuzioni ed il costo della vita [...]; 2) riequilibrare i rapporti fra le retribuzioni delle varie categorie di operai ed impiegati. Lindennit di contingenza, corrisposta in cifra eguale per tutti i lavoratori di tutte le categorie, nellambito di ciascuna provincia, aveva notevolmente appiattito tali rapporti, con evidenti inconvenienti anche ai fini della produttivit, che legata allincentivo per il lavoratore di migliorare la propria preparazione professionale, di progredire nella carriera, di specializzare la propria attivit lavorativa. Con il ripristino dei rapporti fissati dal concordato del 27 ottobre 1946, dopo il trasferimento della quota eguale di contingenza, si parzialmente realizzato questo obiettivo; 3) migliorare le retribuzioni delle donne e dei giovani ancora troppo differenziate di fronte a quelle dei lavoratori uomini adulti. Con qualcuna delle disposizioni dellaccordo si viene incontro a tale esigenza115. Le modifiche apportate al precedente concordato dimostrano per lennesima volta lattitudine del sindacato ad accettare sacrifici in nome dellinteresse nazionale e a rifuggire, in materia contrattuale, ogni impostazione ideologica. A questo proposito emblematico il secondo obiettivo conseguito dalla CGIL, quello di evitare la perequazione dei salari tra le diverse categorie, difendendo cos gli incentivi allincremento della produttivit e privilegiando la meritocrazia rispetto a un generalizzato egualitarismo. Uno sguardo dinsieme alle scelte degli anni 1943-47 rivela che il sindacato conquista in fretta un ruolo economico nazionale: grazie alla centralizzazione organizzativa voluta in primis dai partiti politici si attua il centralismo contrattuale, con cui la CGIL nazionale pressoch il solo
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Chiarimenti allaccordo interconfederale 30 maggio 1947, pubblicato nel primo numero del Notiziario della Cgil (10 luglio 1947), riportato integralmente in Quaderni di rassegna sindacale n.70, cit., pp. 39-41.

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interlocutore per gli industriali e lo Stato. Il tema del riconoscimento, come si visto, quasi non si pone, dato che il sindacato libero rinasce in continuit con quello fascista: la nomina dei commissari sindacali da parte di Badoglio implica il riconoscimento ufficiale dello Stato allazione sindacale; il fatto che con lo stesso atto venga nominato anche il commissario della Confindustria rende impossibile agli industriali rifiutare il dialogo e venire a patti con il sindacato unitario. Daltra parte ventanni di relazioni tra unorganizzazione sindacale operaia intesa come emanazione dello Stato e una padronale comunque aderente al fascismo lasciano delle prassi consolidate difficili da scalfire, perlomeno nel breve periodo. Non un caso, quindi, che gli unici organismi costretti a lottare per ottenere i dovuti riconoscimenti sono le commissioni interne, le sole che devono cercare una forma di istituzionalizzazione [...] fondata [...] quasi solamente sui rapporti di forza116. La disponibilit dei dirigenti sindacali ad accettare sacrifici anche pesanti, in nome della guerra prima e della ricostruzione poi, permette al movimento sindacale di acquisire credibilit e fiducia dalla controparte padronale, conquistando cos un ruolo nazionale di primo piano in un quadro di relazioni industriali non certo amichevoli, ma nemmeno del tutto conflittuali. Limportanza della politica in tutto questo non trascurabile: la presenza di esponenti democristiani nel sindacato unitario, cos come lunit delle forze antifasciste al governo, un fattore di peso nel garantire al sindacato italiano un ruolo nazionale, che economico (gli accordi di tregua salariale sono un tassello fondamentale della politica deflazionistica del 1947) e anche politico: senza la compostezza delle masse operaie, spesso citata da Di Vittorio, non sarebbe probabilmente stato possibile mantenere quella pace sociale imprescindibile perch lunione delle forze politiche potesse governare la ricostruzione e scrivere la Costituzione della neonata Repubblica. Tutto ci non significa che il sindacato sia una voce sempre ascoltata, ma piuttosto che esso riconosciuto come interlocutore stabile e, in un certo senso,
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F. Momigliano, op. cit., p. 110.

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istituzionale. Anche per questo si pu dire che dopo dieci anni dalla caduta del fascismo, il modello corporativo non sconvolto, ma ricondotto in un sistema di decisioni e relazioni indipendenti e democratiche. 4.3.3. Il sindacato nella Costituzione. A dimostrazione della rilevanza nazionale del sindacato sono gli articoli della Costituzione repubblicana che lo riguardano, contenuti nel titolo III, che regola i rapporti economici. Non solo viene tutelato il lavoro, che addirittura posto a fondamento della Repubblica nellart. 1 e richiamato come dirittodovere nellart. 4, ma viene riconosciuto alle organizzazioni sindacali il ruolo di attori economici, la cui esistenza degna della massima tutela legale. Ciononostante i rapporti socioeconomici in generale (e lattivit sindacale in particolare) rappresentano i temi sui quali pi difficile il compromesso tra democristiani e comunisti in sede di Assemblea Costituente. Togliatti, che pure assegna valore positivo al concetto di compromesso, il primo ad affermare che la costituzione economica rappresenta un compromesso deteriore117, poich alla mediazione sui principi si sostituisce quella sulle parole, mediante la quale si finisce con il limare ogni norma per renderla ambigua o per rinviarne lapplicazione a decisioni legislative. Daltra parte la sinistra non pu ottenere di pi, considerato che la situazione economica e politica data e i rapporti di forza sono noti a tutti: come rilevano Treu e Romagnoli, I deputati dellAssemblea Costituente possono anche trascorrere intere giornate a dire e a dirsi che lo Stato liberista morto e sepolto; ma Banca dItalia e ministero del tesoro sono in mano ad economisti liberali alla Einaudi, gelosi custodi di quello che essi chiamano il vantaggio comparato della nostra economia, e cio lesercito di riserva composto da due milioni di disoccupati che assicura una compressione dei livelli salariali tale da fare sperare di avere unindustria competitiva sul mercato internazionale118.
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Intervento di Palmiro Togliatti alla seduta dell11 marzo 1947, citato in U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 31. Romagnoli e Treu svolgono una lunga e approfondita analisi della genesi degli articoli riguardanti il sindacato, delle motivazioni che vi sono alla base e delle conseguenze che essi avranno. 118 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., pp. 32-33.

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Paradigmatici sono gli articoli 39, 40 e 46 della Costituzione. Larticolo 39119, oltre a riconosce la libert di organizzazione sindacale, introduce due principi chiave. Il primo lobbligo per il sindacato di ottenere il riconoscimento giuridico per poter siglare contratti nazionali con valore erga omnes; il secondo lattribuzione di tale valore direttamente agli accordi sottoscritti dalle rappresentanze unitarie120, escludendo quindi la possibilit che essi vengano estesi con atti dellautorit pubblica. Il riconoscimento sar sempre rifiutato dal sindacato italiano, poich implica un potere di controllo dello Stato sulle organizzazioni dei lavoratori. Tale potere, forse non di controllo ma sicuramente di indirizzo, si esplicita per gi nello stesso art. 39, laddove si fa riferimento al contratto nazionale di categoria, tacendo invece sulla presenza sindacale nei luoghi di lavoro. Tale presenza quindi garantita solo dalla contrattazione, che per, nello stesso periodo, limita i poteri delle commissioni interne121. In ogni caso, la faticosa formulazione dellarticolo risulter presto vana, dato che esso ancora oggi disatteso, eccezion fatta per il primo comma. Larticolo 40122 ha una genesi tanto lunga quanto breve il contenuto della norma. Innanzitutto occorre rilevare come esso, sancendo il diritto di sciopero, rappresenta la garanzia fondamentale ottenuta dal movimento operaio per far valere il suo potere sul piano dellordinamento giuridico123. La formulazione sintetica e vaga, che rimanda a successive e non indirizzate norme di legge, il frutto dello scontro politico che avviene sul tema della liceit dello
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Lorganizzazione sindacale libera. Ai sindacati non pu essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalit giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce (Costituzione della Repubblica Italiana). 120 Questa la formula voluta dalla DC, che minoritaria allinterno del movimento sindacale rifiuta la proposta comunista di affidare tale potere al sindacato maggioritario o pi rappresentativo. 121 Cfr. 4.3.1. 122 Il diritto di sciopero si esercita nellambito delle leggi che lo regolano (Costituzione della Repubblica Italiana). 123 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 37.

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sciopero politico. Su tale scoglio si infrange anche il tentativo di mediazione portato avanti da Togliatti e Dossetti, che prevede una regolamentazione legislativa solo in merito alla proclamazione dello sciopero, alle procedure di conciliazione per evitarlo e alle garanzie riguardo i servizi essenziali. Il problema rappresentato dallo scarso peso della corrente cristiana nella CGIL unitaria: al congresso di Firenze nel 1947 i cattolici ottengono il 13% dei voti, a fronte dei quali i social-comunisti, con l81%, possono superare agevolmente il limite statutario che richiede la maggioranza dei tre quarti per proclamare lo sciopero politico. La DC ha il timore, neppure troppo infondato, che il PCI si serva del sindacato per le proprie operazioni politiche e dunque preferisce rinviare la decisione al legislatore, conscia della propria forza elettorale. Alla sinistra non resta che accettare il compromesso, che equivale in questo caso a una sconfitta. Analoghe considerazioni si possono svolgere in merito allarticolo 46124, che introduce il tema spinoso del controllo operaio sulla produzione. Anche in questo caso il contenuto della norma vago, in quanto rimanda a successive leggi. Per, a differenza del caso dello sciopero, lart. 46 contiene un indirizzo cui tali leggi devono attenersi: la dicitura in armonia con le esigenze della produzione, di per s innocua, implica il mantenimento dello status quo nei rapporti di produzione, dato che le esigenze della produzione secondo unopinione diffusa si accoppiano con quelle dirette a conservare lunit di comando dellazienda125. A ci si aggiunga lutilizzo nellarticolo del termine collaborare (il concetto di collaborazione cosa ben diversa da quelli di controllo o di cogestione) e la gi citata assenza nel testo costituzionale di riferimenti al sindacato in fabbrica, che tende a lasciare il tema della collaborazione privo di garanzie per i lavoratori contro una sua degenerazione filo-padronale. La mancata citazione dellesperienza ancora in vita dei consigli
124 Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende (Costituzione della Repubblica Italiana). 125 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 41.

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di gestione rende lart. 46 una mera affermazione di principio, come effettivamente rimarr.

4.4. La fine dellesperienza unitaria. A partire dal 1946 le divisioni interne alla CGIL unitaria si fanno sempre maggiori. Gi prima lo scontro tra cattolici da una parte e comunisti e socialisti dallaltra stato spesso aspro, a partire dalla scelta della struttura organizzativa e della natura del sindacato (statale e obbligatorio per la DC, autonomo e non obbligatorio per i comunisti), per arrivare alle modalit di funzionamento interno e allannosa questione dello sciopero politico. Faticosamente, in seguito alla decisione di istituzionalizzare le tre correnti (socialista, comunista e democristiana), si giunge alla soluzione di farle pesare in modo proporzionale ai voti degli iscritti (allinizio il peso paritetico, per cui i comunisti sono sottorappresentati e viceversa i cattolici). Questo spaventa non poco la componente democristiana, che al congresso di Firenze del 1947 conta appena sul 13,4% dei delegati, contro il 22,7% dei socialisti e il 58% dei comunisti. Lo scontro al congresso riguarda varie questioni interne, quale la liceit o meno dello sciopero politico, ma anchesse dipendono fondamentalmente dal dibattito principale: quello sul ruolo del sindacato. Per la sinistra il sindacato uno strumento di intervento anche politico nei problemi del Paese: da un lato deve rappresentare una cinghia di trasmissione per la politica del partito verso le masse lavoratrici, dallaltro i lavoratori vengono visti quali protagonisti della vita politica proprio in quanto lavoratori, quindi rappresentati anche politicamente dal sindacato. Per la corrente cristiana, il sindacato deve essere uno strumento di rivendicazione economica e nulla pi. Cos, mentre i democristiani attaccano lart.9 dello statuto (che prevede lo sciopero politico), Di Vittorio attacca i democristiani in merito allazione delle Acli (Associazioni cristiane lavoratori italiani), nate nel 1944 e accusate di essere un organismo sindacale parallelo e concorrente.

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Non si pu non rilevare come lo scontro si acuisca proprio nel momento in cui la sinistra viene espulsa dal governo De Gasperi, che avendo garantito agli Stati Uniti che le forze che guardano allUnione Sovietica staranno allopposizione ottiene un ingente prestito dagli Stati Uniti e accede cos al piano Marshall. La corrente democristiana, che fa capo a Giulio Pastore dopo la morte di Achille Grandi, inizia a polemizzare aspramente anche su quelle tematiche economico-rivendicative sino ad allora oggetto delle maggiori convergenze tra i diversi raggruppamenti: mentre Di Vittorio, pur preoccupato dallinflazione, persegue una politica di caute ma decise rivendicazioni salariali di categoria, i democristiani legati strettamente al governo il cui ministro del tesoro Einaudi pretendono che la CGIL si schieri contro ogni aumento salariale in nome della suprema lotta alla crescita dei prezzi. Linizio della guerra fredda polarizza anche il confronto tra le forze politiche italiane e, a cascata, le lotte interne tra le correnti della CGIL. La campagna per le elezioni politiche del 1948 unulteriore elemento di forte divisione, che fa presagire spaccature: a luglio, dopo lattentato al segretario del PCI Togliatti, la CGIL proclama lo sciopero politico. il casus belli, loccasione per la rottura da parte della componente cristiana peraltro pressata dalle ACLI e direttamente da ambienti vaticani e di quella socialdemocratica e repubblicana. Nei due anni seguenti nascono prima la LCGIL (Libera CGIL), composta da cattolici, repubblicani e socialdemocratici, poi da essa la CISL (cattolica) e la UIL (repubblicana)126. Mentre la CGIL continua a percorrere la strada del centralismo contrattuale e organizzativo, riaffermando la totale contrariet alla presenza del sindacato nella fabbrica, la CISL accantona le proposte degli anni quaranta (sindacato statale e obbligatorio) per approdare ad unimpostazione pi anglossassone, con una preferenza per la disciplina privatistica del contratto di lavoro e del sindacato stesso. Alla CISL rimane per una sorta di dovere
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I socialdemocratici, pur essendo un partito dal peso relativamente scarso, riescono a dividersi tra i due sindacati.

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morale: provare che il modello organizzativo verticale, preferito dai democristiani sin dal 1944, pu funzionare e pu farlo anche meglio di quello orizzontale. Nel 1952 nascono le SAS (sezioni aziendali sindacali), con cui la CISL cerca un radicamento nelle grandi fabbriche. Per laccentrata CGIL il campanello dallarme suoner a met anni cinquanta, quando alle elezioni delle commissioni interne nelle fabbriche del Nord (Fiat compresa) la CISL ottiene una storica vittoria.

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5. Elementi di continuit e cesure: limportanza del periodo 1915-1920. Le cesure sono momenti che costituiscono una qualche rottura nel normale fluire degli eventi e che segnano quindi nuovi inizi. Naturalmente, parlando di storia, il termine va inteso in senso relativo 1, dato che spesso non ci si trova davanti a fenomeni del tutto nuovi, bens a rapide trasformazioni. Questo vero a maggior ragione per la storia del movimento sindacale, che si intreccia con lo sviluppo dellindustria, il progresso delle tecniche di produzione, levoluzione della composizione della forza lavoro, che sono per definizione tutti processi lenti e graduali. Ciononostante gli eventi esterni (guerre, avvento e fine del fascismo, congiunture economiche) possono giocare un ruolo nellaccelerare certi processi o nel frenarne altri: da questo si determinano le cesure, i punti nodali intorno a cui si pu tentare di stabilire quando il sindacato inizi ad avere a tutti gli effetti un ruolo economico nazionale. Le cesure difficilmente possono essere percepite mentre si compiono, poich il loro riconoscimento implica unattivit di interpretazione che renda visibili certi confini che, anche se resi a prima vista mal definibili dal proseguire della vita di protagonisti e organismi, sono in realt segnati in modo perspicuo dal mutare [...] di quegli elementi qualitativi che contribuisono pi di ogni altra cosa a formare lo spirito di unepoca2. Come si visto, la storiografia sindacale pi diffusa attribuisce una grande importanza al ritorno del sindacato libero dopo il regime fascista, identificando gli anni dal 1943 al 1947 come una vera e propria cesura3, dopo la quale si pu parlare della presenza in Italia di un sindacato moderno4; analogamente, viene prestata scarsa attenzione alla prima guerra mondiale,
1

P. Pombeni, M. Maccaferri (a cura di), Cesure e tornanti della storia contemporanea, ed. Il Mulino, Bologna, 2005, p. 12. 2 M. Abrate, op. cit., p. 455. 3 Adolfo Pepe parla della CGIL che rinasce con il Patto di Roma come di un elemento di assoluta novit (A. Pepe, Lavoro, sindacato e istituzioni nella storia italiana ed europea, cit.). 4 Cfr. cap. 1.

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finendo con il considerare il biennio rosso come un periodo eccezionale, determinato quasi unicamente dalla forza dei socialisti e terminato con il venir meno di tale forza. Per sostenere che effettivamente vi una cesura nella storia del sindacato italiano (in merito allacquisizione di un ruolo economico nazionale), ma che essa coincide con gli anni 1915-1920, non dunque sufficiente mostrare gli elementi che la caratterizzano: occorre altres esaminare gli elementi di continuit tra il sindacato post-fascista e quello precedente (sia fascista che pre-fascista), al fine di verificare che il periodo 1943-1947 rappresenta una rinascita, un ritorno, ma non la fine di qualcosa e linizio di qualcosaltro.

5.1. Le pre-condizioni per la cesura: let giolittiana. Si visto, nel terzo capitolo, lo sviluppo del sindacato operaio durante la prima guerra mondiale e nel successivo biennio rosso. Prima di procedere ad una sistematizzazione dei diversi e gi citati elementi di innovazione, al fine di accertare il verificarsi di una cesura per quanto riguarda il ruolo economico nazionale del sindacato, occorre mettere in rilievo alcuni aspetti del decennio precedente. I primi quindici anni del Novecento vedono infatti maturare le condizioni perch, con lo scoppio delle ostilit e con la seguente mobilitazione industriale, il sindacato italiano possa compiere un balzo in avanti di notevoli proporzioni. La nascita delle federazioni nazionali di categoria, la fondazione della CGL e la generale espansione del movimento sindacale tra il 1900 e il 1915 sono favorite, tra le altre cose, dalla cosiddetta svolta giolittiana. Con tale termine si fa riferimento alla crisi di governo del 1901, avvenuta in seguito a un massiccio sciopero a Genova e risolta con un nuovo assetto di potere: inzialmente Zanardelli presidente e Giolitti ministro degli interni, poi Giolitti a capo dellesecutivo fino al 1913. Proprio durante la crisi, Giolitti tiene un importante discorso in parlamento:

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Il moto ascendente delle classi popolari si accelera ogni giorno di pi, ed moto invincibile perch comune a tutti i paesi civili, e perch poggiato sul principio delleguaglianza tra gli uomini. Nessuno si pu illudere di potere impedire che le classi popolari conquistino la loro parte di influenza economica e di influenza politica5. La svolta riguarda quindi il passaggio da una politica repressiva a una legittimazione delle lotte sindacali, cambiamento auspicato da gran parte dellambiente accademico ed intellettuale6. Si tratta di un primo tentativo, giacch le repressioni continuano, seppur in quantit minore rispetto a prima e con una importante distinzione: mentre le agitazioni anarchiche vengono violentemente soffocate, quelle di natura economica organizzate dai sindacati operai non sono ostacolate e, anzi, Giolitti invita spesso i prefetti a esperire azioni di mediazione tra operai e imprenditori. Occorre rilevare, come fa Pepe, che Giolitti di fatto tenta di controllare politicamente le classi lavoratrici adottando una politica [...] tendente a riconoscere le conquiste economiche e normative, [ma] senza avviare alcun processo di costituzionalizzazione delle masse7. Nonostante questi limiti, durante let giolittiana il sindacato pu svilupparsi fisiologicamente e consolidare la propria organizzazione, grazie anche al lavoro dei dirigenti riformisti che lo guidano ininterrottamente dal 19068. La politica di Giolitti indubbiamente motivata dallesigenza di assecondare, se non controllare, le pulsioni delle masse lavoratrici, anche perch lItalia del Nord-Ovest sta avviandosi sulla strada dellindustrializzazione9. Come si detto, per, i segnali positivi raramente si traducono in fatti concreti: basti citare il Consiglio del Lavoro, creato nel 1902 con la partecipazione di governo e rappresentanti di industriali e operai, il quale elabora proposte che non vengono mai tradotte in legge. Una di esse, datata
5

Interevento di Giovanni Giolitti alla Camera del 4 febbraio 1901, come citato in A. Pepe, Lavoro, sindacato e istituzioni nella storia italiana ed europea, cit. 6 Uno dei maggiori sostenitori di tale svolta, proprio durante la crisi del 1901, Luigi Einaudi. 7 A. Pepe, Lavoro, sindacato e istituzioni nella storia italiana ed europea, cit. 8 D. Horowitz, op. cit., pp. 124, 525. 9 Il 1902 lanno da cui la quota di PIL imputabile allagricoltura scende stabilmente sotto il 50% (Istat, Sommario di statistiche storiche italiane 1861-1955, Roma, 1958, p. 213).

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1907, si propone addirittura di conferire un riconoscimento statale ai contratti collettivi di lavoro, ma si tratta chiaramente di un frutto fuori stagione, unintuizione (frutto del socialista riformista Gino Murialdi)10 non ancora supportata da moderne relazioni industriali. Daltra parte lindustria italiana ancora arretrata se paragonata alle maggiori potenze europee e di conseguenza ancora abbozzato il sindacato operaio. Non un caso, quindi, che nei primi quindici anni del secolo prevalgano le strutture orizzontali e locali (le camere del lavoro) rispetto a quelle verticali (le federazioni nazionali di categoria). A questo riguardo bene sottolineare come le organizzazioni padronali vivano una dinamica per certi aspetti simile: nate da poco e ancora prive di una forte associazione interregionale e intersettoriale, si sviluppano prevalentemente su base locale. Non c da stupirsi di questa evoluzione parallela tra i due sindacati: non c motivo perch uno di essi abbia dimensione nazionale se tale dimensione manca allaltro; questo naturalmente vale in assenza di stimoli esterni, ossia fino a quando lo Stato non diventa un attore economico. In effetti lepoca giolittiana rappresenta una fase in cui il governo cerca di instaurare un rapporto di tipo politico con le organizzazioni sindacali: nonostante il capo del governo tenda a valorizzare laspetto economico-rivendicativo delle lotte sindacali, le relazioni non sono istituzionalizzate, ma dipendono dalla volont politica dellesecutivo. In questo modo non vi nulla di consolidato, perch i rapporti che si creano non sono tra organizzazioni di rappresentanza e Stato, bens tra esse e Giovanni Giolitti in quanto capo del governo. Cos le lotte sindacali fino al 1915 sono frammentate, di carattere locale e spesso relative a singoli mestieri; lo stesso pu dirsi, di conseguenza, della contrattazione11, a causa di condizioni lavorative e retributive estremamente diversificate anche allinterno di una stessa area geografica. In tale contesto, in cui ogni situazione locale (se non ogni stabilimento) fa storia a s, le relazioni
10 11

S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., pp. 133-134. Ibidem, pp. 130-131.

127

industriali non sono univocamente definibili. Da un lato troviamo il celebre accordo del 1906 siglato tra la Fiom e lItala (il primo caso di closed shop, in cui lazienda si impegna ad assumere solo tramite il sindacato firmatario)12, dallaltro i numerosi scioperi miranti a ottenere un riconoscimento ufficiale da parte degli imprenditori. La disoccupazione, che fornisce agli industriali lesercito di riserva di marxiana memoria, complica il lavoro sindacale, rendendo precaria ogni conquista. In questa assenza di regole che rischia di creare situazioni caotiche13, tuttavia possibile cogliere un elemento che caratterizzer in seguito il sindacato operaio italiano: il senso di responsabilit, ovvero quel misto di attitudine al sacrificio, attenzione allinteresse nazionale e volont di accreditamento. Si tratta infatti di tre aspetti dello stesso concetto: il movimento sindacale cercher spesso (specie nei momenti di crisi) di costruirsi una credibilit nel Paese dimostrando di avere a cuore landamento generale delleconomia e della produzione e di essere pronto a pesanti rinunce in nome di esso. Tale atteggiamento rilevabile gi nel 1906, quando con la CGL appena fondata i dirigenti sindacali accettano il cottimo, in nome del sostegno alla concorrenzialit delle imprese. Non ci sono ancora gli elementi perch il sindacato possa assumere una dimensione e un ruolo nazionali, ma le dinamiche in atto portano verso tale esito: unindustrializzazione avviata ma non ancora davvero compiuta, unorganizzazione operaia in crescita e strutturata ma non ancora ben radicata, le prime relazioni sporadiche tra i sindacati operaio e padronale e lo Stato. Ci che manca un evento esterno che modifichi il contesto e che costringa i soggetti in campo a trasformare le loro relazioni, nonch i propri mezzi e obiettivi14.

Il testo del contratto interamente riportato in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 725-729. S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 136. 14 In riferimento a questo evento, che sar la prima guerra mondiale, si pu dire che manca affinch si verifichi una cesura, non certo per affermare una visione deterministica della storia.
13

12

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5.2. La cesura: lorigine del ruolo economico nazionale del sindacato. Levento di cui sopra la grande guerra, che oltre a sconvolgere i popoli europei trasforma leconomia e la societ italiane. Per quanto riguarda in particolare il settore secondario, la mobilitazione industriale ha un effetto dirompente. Prima di tutto essa significa lingresso dello Stato nellambito economico con un ruolo di primo piano, data la quantit di stabilimenti dichiarati ausiliari. Non si tratta di una sorpresa per alcuna delle parti in causa: in tutta Europa lo sforzo bellico accompagnato dal dirigismo industriale dello Stato e vi sono Paesi (Germania in testa) che avviano leconomia di guerra ben prima dello scoppio del conflitto. Come dir Buozzi, quando lItalia decise dintervenire nel conflitto, prevedemmo gi che la Mobilitazione industriale ci avrebbe raggiunto poco dopo15. Per quanto concerne gli industriali, la mobilitazione non soltanto attesa, ma auspicata: siamo in momenti afferma la presidenza della Confederazione dellindustria nel 1915 in cui solo lazione dello Stato pu essere efficace16. Lefficacia desiderata dagli imprenditori riguarda prima di tutto la disciplina della manodopera, grazie alla quale le aziende possano produrre incessantemente e realizzare consistenti profitti senza doversi occupare delle lotte operaie. Sarebbe per una semplificazione sostenere che la mobilitazione in tutto e per tutto un fattore positivo per gli industriali, che vedono limitate le proprie prerogative dallingerenza statale e si trovano a operare allinterno di quelle pastoie e inciampi17 di cui chiederanno limmediata fine al momento dellarmistizio. Come si vedr pi avanti, infatti, i padroni degli stabilimenti mobilitati, pur godendo della militarizzazione delle maestranze, si ritrovano a dover discutere persino i regolamenti aziendali nei Comitati regionali di mobilitazione.
15 16

B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 446. Relazione della presidenza allassemblea dei delegati della Confederazione dellIndustria, 2 marzo 1915, citata in M. Abrate, op. cit., pp. 149-150. 17 Dante Ferraris, citato da M. Abrate, op. cit. p. 201.

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Oltre allacquisizione da parte dello Stato di un rilevante potere decisionale in economia, la mobilitazione favorisce indubbiamente lo sviluppo dellindustria moderna (sopra tutte quella metalmeccanica, siderurgica, chimica, aeronautica)18, la cui crescita provoca diversi cambiamenti nel tessuto socioeconomico. Laumento della domanda pubblica, unito allinvio al fronte di operai (che si uniscono ai ben pi numerosi contadini), comporta il passaggio nel giro di un anno dalla disoccupazione alla scarsit di manodopera, perlomeno nei settori mobilitati. Nel momento in cui lofferta diventa il lato corto del mercato del lavoro si modificano non solo i rapporti di forza tra sindacati operai e padronali, bens anche la rilevanza delloperaio nella societ: un conto essere interscambiabile, uno tra i tanti disoccupati, altro conto essere un tassello fondamentale della struttura produttiva. Per gli operai valgono le stesse leggi che si applicano ai beni materiali: scarsit comporta aumento del valore19. Con lincremento della produzione si affermano inoltre alcune tendenze tipiche dellindustrializzazione: la crescita dimensionale degli stabilimenti, la loro integrazione verticale, la standardizzazione dei processi produttivi. La diffusione del taylorismo, con le mansioni distribuite in base alle esigenze di massima efficienza, le grandi fabbriche e lo sviluppo generale dellindustria contribuiscono allemersione delloperaio comune, figura che soppianta loperaio di mestiere. Se a ci si aggiunge il fatto che il numero di operai aumenta inevitabilmente e che molti di essi devono sottostare alle stesse norme (frutto della mobilitazione), si pu comprendere come in tale frangente la comparsa delloperaio comune sia strettamente legata alla nascita di una vera e propria classe operaia, che acquisisce importanza anche perch quella contadina in gran parte impegnata nelle trincee. In pochi anni si passa cos da un proletariato operaio disomogeneo a una massa operaia decisamente pi uniforme e conscia della propria rilevanza economica e sociale.
18 19

Cfr. 2.4. In questo caso aumento del valore non implica aumento del prezzo, dato che i salari sono fissati dallo Stato.

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Le grandi fabbriche, daltra parte, favoriscono lo sviluppo di una solidariet tra operai di diverse estrazioni e qualifiche, contribuendo cos a forgiare una coscienza di classe che si innesta proprio sulla perdita di importanza delle distinzioni tra mestieri. Si fa largo cos, tra le molte rivendicazioni particolari che rappresentano il cuore delle lotte sindacali di inizio secolo, quella domanda di egualitarismo che far la fortuna, oltre che del movimento sindacale, anche del Partito Socialista nellimmediato dopoguerra. Nelle trincee si assiste a un fenomeno in parte simile: i contadini mobilitati, condividendo le condizioni di estrema durezza della guerra, maturano la consapevolezza di essere portatori di diritti anche economici. Come se trincee e grandi stabilimenti industriali non bastassero (pur in misura e con modi differenti) a formare unomogenea coscienza di classe, anche lo Stato contribuisce a tale risultato. Dopo la sconfitta di Caporetto, al fine di incitare le truppe, il governo promette una volta terminata la guerra la terra a tutti i contadini e il lavoro a tutti gli operai. Nel dopoguerra le legittime richieste di vedere riconosciuto quanto spetta, portate avanti dalle masse lavoratrici, sia dellindustria che nelle campagne, accresceranno vieppi la dimensione nazionale del proletariato italiano. Infine occorre prendere in considerazione, per quanto concerne limmediato dopoguerra, il fenomeno del caro-vita, che allorigine dei tumulti del giugno-luglio 1919: linflazione pesa maggiormente sui cittadini meno abbienti, che si trovano ancora una volta uniti in una protesta dal carattere generale. 5. 2.1. Il rapporto tra sindacato operaio e Stato. Lo sviluppo di un ruolo rilevante dello Stato nellambito della produzione industriale e delleconomia in generale non pu che comportare il mutamento delle relazioni che intercorrono tra esso e il sindacato operaio. Lo Stato non pu infatti evitare di interfacciarsi con i detentori dei mezzi di produzione nel momento in cui, con la mobilitazione, decide di divenire il

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primo committente del Paese. Se il capitale di propriet degli industriali, il lavoro rappresentato dal sindacato, che talvolta lo amministra direttamente, tramite i propri uffici di collocamento. Uninterlocuzione dunque necessaria, per quanto in un periodo di guerra essa non possa che essere impostata dallo Stato in maniera autoritaria e con il fine ultimo, nemmeno troppo celato, di procedere al controllo militare della manodopera. In ogni caso, con la mobilitazione industriale, il rapporto tra sindacato operaio e Stato cessa di essere di tipo politico, legato cio ai tentativi di dialogo effettuati da Giolitti, per legarsi ai temi socioeconomici, in cui entrambi i soggetti hanno interessi da sostenere: in questo modo tali relazioni possono consolidarsi nel tempo, pur con modalit variabili. Da parte sindacale, non si pu che prendere atto di come lo Stato sia ormai la seconda controparte, oltre agli industriali, cui indirizzare memoriali e rivendicazioni; una controparte nazionale, cui ci si rivolge per rappresentare istanze comuni allemergente classe operaia. Il rapporto tra Stato e sindacato operaio si compie, durante la guerra, in massima parte allinterno del Comitato di Mobilitazione Industriale e degli undici comitati regionali, la cui composizione tripartita: un terzo di membri civili (gli unici con diritto di voto), un terzo di rappresentanti padronali e un terzo di rappresentanti operai, tutti nominati dal governo. Lasciando per il momento da parte gli ambiti delle relazioni tra sindacato e industriali e delle vertenze attivate in seno ai comitati, il tema del rapporto tra Stato e sindacato allinterno dei comitati pu essere declinato seguendo due direttrici principali. Prima di tutto occorre rilevare latteggiamento della CGL e prima ancora della FIOM, che accettano di fare parte dei comitati in nome del senso di responsabilit. Questo inteso sia nei confronti degli operai (non potevamo abbandonarli, senza difesa [...], mancanti di una loro legittima rappresentanza)20, ai cui occhi il sindacato riformista tenta di accreditarsi come lunico in grado di dialogare con il governo senza esserne subalterno, sia nei confronti dello Stato: il sindacato intende mostrarsi come intelocutore credibile
20

B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 447.

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e affidabile, disposto a sfidare limpopolarit21 in nome del supremo interesse nazionale. Daltra parte accreditarsi presso lo Stato, pur senza che ci implichi una convergenza in termini di obiettivi o di opinioni, fondamentale per un sindacato che si trova a dover assumere un ruolo nazionale in un contesto del tutto nuovo. Va infatti sottolineato che la conquista di un ruolo economico nazionale dipende prima di tutto dalla forza e dalla capacit contrattuale del sindacato, ma che tutto ci non sufficiente: in tema di relazioni tra soggetti collettivi il ruolo non ce lo si attribuisce da soli, dato che esso dipende crucialmente dal riconoscimento della controparte. In secondo luogo si deve fare riferimento alla dinamica e alle determinanti del coinvolgimento sindacale da parte dello Stato. In un primo momento i rappresentanti operai sono cooptati dal governo nei comitati: non sempre si tratta di esponenti della CGL, talvolta sono sindacalisti interventisti senza alcun seguito reale tra i lavoratori. A ci va aggiunto il carattere di estrema durezza dei rapporti che il ministro DallOlio a capo della mobilitazione instaura inizialmente con la FIOM. Dopo i primi nove mesi di guerra, per, tali rapporti cambiano radicalmente: in seguito allandamento negativo del conflitto e ai disordini creati a Genova dai sindacalisti rivoluzionari nellinverno 1915-16, lo Stato capisce di aver bisogno di uninterlocuzione stabile con un sindacato affidabile e credibile quali appaiono la CGL e la FIOM22. Le relazioni tendono quindi ad infittirsi e a consolidarsi, come dimostra il fatto che in Piemonte Lega Industriale e FIOM riescano, allallargamento dei comitati nel 1917, a nominare direttamente i propri rappresentanti. La conclusione ideale di questo climax ascendente rappresentata dal varo della Commissione per gli studi e i provvedimenti occorrenti al passaggio dalleconomia di guerra alleconomia di pace, in cui i membri sindacali sono eletti dal direttivo della CGL. A margine della mobilitazione, ma ad essa connesso, linvito rivolto da DallOlio a Buozzi e
21

Si consideri che la decisione della FIOM di entrare nei comitati accompagnata da una campagna dei sindacalisti rivoluzionari, che accusano i metallurgici della CGL di collaborazionismo. 22 Cfr. 3.2.1.

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altri dirigenti della FIOM per un incontro al ministero nellestate del 1916. la prima volta che la Federazione dei metalmeccanici sale le scale di un ministero23: si tratta di un evento eccezionale, che rappresenta, a poco pi di un anno dallinizio della guerra, il riconoscimento da parte dello Stato che il sindacato italiano ha un ruolo economico nazionale. Nelloccasione il sindacato presenta al governo un memoriale di carattere nazionale, rispetto al quale la risposta statale non si fa attendere: viene varata una commissione tripartita sul tema del cottimo, che porta nel 1917 a decidere, in sede di CMI, che le tariffe non possano variare se non vi sono sostanziali modifiche nei metodi di lavorazione. La presenza e il lavoro dei rappresentanti sindacali nei comitati, cos come lincontro presso il ministero e le norme varate dal CMI con il pieno accordo della FIOM, si prestano a diverse interpretazioni per quanto attiene alle loro determinanti. Nella relazione tra le due parti molto difficile stabilire quanto vi sia di forza sindacale e quanto invece di debolezza statale, quante siano le conquiste del sindacato e quante invece le concessioni operate strumentalmente dallo Stato in nome del controllo delle masse operaie in un momento difficile della guerra. I fatti dicono solamente che nessuna di tali componenti pu essere ignorata: evidente che il cambio di atteggiamento verso la FIOM determinato dal timore che scoppino tumulti in seguito a quelli liguri del 1915-16, di fronte ai quali lo Stato decide di tener buoni gli operai concedendo alcuni spazi e alcune norme ad essi favorevoli; altrettando chiaro che la FIOM viene considerata unorganizzazione forte e radicata, poich altrimenti il governo non riterrebbe di poter evitare altri moti con il solo coinvolgimento del sindacato riformista. I motivi alla base degli atteggiamenti dei due soggetti non sono definibili con maggiore precisione, ma daltra parte essi attengono al campo delle interpretazioni della storia. Ci che invece di fondamentale importanza la dinamica delle relazioni, ossia il susseguirsi di precisi fatti di cronaca. Essi mostrano come, a prescindere dalle determinanti, il
23

Citazione di Bruno Buozzi in L. Tomassini, , Mobilitazione industriale e classe operaia, cit., p. 91.

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sindacato acquisisca un ruolo economico nazionale nei confronti dello Stato. Non infatti dirimente decidere se il ministro DallOlio dia ascolto e seguito alle richieste della FIOM per timore, convinzione o pura tattica: il dato innegabile e rilevante lascolto stesso, con la conseguente norma del 1917 che regola il cottimo secondo le richieste sindacali. Sicuramente la legislazione autoritaria non rafforza direttamente il sindacato, che subisce la mobilitazione, si trova a operare senza poter ricorrere allo sciopero ed costretto in comitati dove non ha diritto di voto. Per, con i comitati di mobilitazione, la rappresentanza operaia legittimata in quanto tale, di nuovo a prescindere che si tratti di un riconoscimento voluto, di un tentativo di imbrigliare il sindacato in organismi dove esso non ha potere o di un contentino in cambio della pace sociale. Tale legittimazione innegabile anche se nel periodo bellico laccesso ai comitati avviene tramite cooptazione, anzi: lo Stato che coopta Bruno Buozzi nel Comitato lombardo (o Emilio Colombino e Mario Guarnieri in quello piemontese)24 non sta facendo altro che riconoscere che essi, e dunque la CGL, sono ritenuti ufficialmente rappresentativi del movimento operaio. Latteggiamento dello Stato daltra parte non esente dallinfluenza della strategia che la FIOM decide di adottare per adeguarsi al nuovo protagonismo statale in ambito socioeconomico. Uno dei principali obiettivi assumere una marcata identit istituzionale che [sia] garantita dallo Stato25, come sottolinea Epifani: Su un piano pi generale, la partecipazione operaia alla gestione delleconomia di guerra significava per Buozzi il rivendicare con fermezza al sindacato il riconoscimento della sua forza e della sua importanza soprattutto ai fini della ricostruzione nazionale e dello scioglimento positivo dei problemi che il dopoguerra avrebbe imposto al paese: un riconoscimento tanto pi importante in quanto nellopinione di Buozzi esso era accompagnato dalla progressiva abdicazione di ruolo, sul piano morale e storico, da parte delle tradizionali classi politiche dirigenti e da parte degli ambienti industriali e finanziari26.

24 25

M. Abrate, op. cit., p. 191. B. Bezza in M. Antonioli B. Bezza, op cit., p. 81. 26 G. Epifani, op. cit., p. 22.

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La strategia di Buozzi si concretizza in una nuova linea per la FIOM, che relega la contrattazione di fabbrica alliniziativa pi o meno spontanea delle sezioni locali, per concentrare lazione federale su alcuni grossi temi (minimi di salario, Cassa nazionale malattia e disoccupazione, otto ore) che [implichino] limpegno del Governo nel riconoscere nella FIOM una forza istituzionale e quindi interna alla dinamica del progresso sociale27. Come si nota, il sindacato ritiene imprescindibile una qualche forma di riconoscimento, sostanziale ancora prima che formale, da parte dello Stato, ma tale necessit non deriva da un presunto prestigio attribuito al riconoscimento statale, bens dallesigenza di svolgere appieno un ruolo nazionale di rappresentanza delle masse operaie. Il sindacato non pu fidarsi di uno Stato che militarizza le maestranze; daltra parte, come rilevano Treu e Romagnoli, [il sindacato] non pu [mai] fidarsi pi che tanto dei suoi interlocutori, storici od occasionali, ma non pu farne a meno28. Per comprendere appieno limportanza che il riconoscimento dello Stato riveste, tanto per il sindacato del periodo, quanto per determinare lorigine del ruolo economico nazionale del sindacato stesso, opportuno effettuare una riflessione ulteriore. Due sono le fonti di vita, peraltro connesse lun laltra, per un soggetto la cui missione la rappresentanza di interessi collettivi: il potere e il riconoscimento degli interlocutori. Lo Stato riconosciuto (e desiderato) come interlocutore dalle organizzazioni operaie e padronali perch detiene il potere esecutivo, legislativo e militare. Al contrario, il potere non certo attribuibile al sindacato degli anni 1915-1920, se non in riferimento ad alcuni istituti, quale il collocamento, di cui si dir tra breve; esso necessita allora di interlocutori, senza i quali non vi alcuna azione di rappresentanza esperibile. Gli operai si affidano al sindacato quando e perch esso maggiormente in grado di farsi ascoltare: senza una controparte che ne riconosca il ruolo e che sia diposta ad ascoltare, il sindacato non ha futuro. Nel caso dello Stato, al
27 28

B. Bezza in M. Antonioli B. Bezza, op cit., p. 83. U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 8.

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movimento sindacale occorre quindi conquistare il riconoscimento del proprio ruolo nazionale. Si diceva del collocamento. Si tratta di una delle attivit principali del sindacato, che attraverso di esso cerca di amministrare il fattore lavoro, acquisire potere contrattuale verso le imprese e accrescere la propria base associativa. Come si vedr, il collocamento sindacale si diffonde nellindustria grazie alla carenza di manodopera qualificata, ma da questo punto di vista non vi alcun intervento da parte dello Stato. Merita per di essere menzionato, per quanto attinente allambito agricolo, il decreto luogotenenziale del 17 novembre 1918, che crea un Ufficio centrale di collocamento presso il Ministero dellagricoltura, con il compito di coordinare e controllare gli uffici locali esistenti29: per la prima volta il collocamento sindacale (tale era la maggior parte degli uffici locali in questione) ottiene un riconoscimento ufficiale, passando cos da attivit parasindacale a opera prestata in un certo senso per conto dello Stato. A completamento del quadro di profonde innovazioni che intercorrono nei rapporti tra sindacato operaio e Stato tra il 1915 e il 1920, occorre ancora sottolineare alcuni aspetti della crisi dellagosto-settembre 1920, culminata con loccupazione delle fabbriche30. Prima di tutto bene ricordare che Giolitti, pur sollecitato in tal senso dagli imprenditori, si rifiuta di intervenire con la forza e riesce a portare infine gli industriali al tavolo delle trattative, patrocinando un accordo in merito ad aumenti salariali generalizzati e al tema del controllo operaio della produzione. Due elementi di grande importanza possono essere rilevati da un passaggio del relativo intervento di Giolitti al Senato: La Confederazione generale del lavoro aveva solennemente dichiarato che escludeva al movimento qualunque carattere politico, che il movimento doveva essere mantenuto nei limiti di una contestazione economica. La Confederazione generale del lavoro, nella quale io allora ebbi fiducia, ha

29 30

S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 142. Cfr. 3.4

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dimostrato di meritarla, perch la gran massa degli operai ha approvato le proposte sue allo scopo di por termine al conflitto31. Un primo elemento la valutazione che Giolitti compie del movimento: egli ritiene si tratti di una lotta prettamente sindacale, di una rivendicazione economica. Il suo intervento pacificatore non dunque motivato dalla volont di risolvere un conflitto politico, n unicamente da esigenze di ordine pubblico. invece il segno di uno Stato che si frappone nelle vertenze economiche tra industriali e operai, attivando le prime incerte procedure di concertazione. Daltra parte, seppure la mobilitazione industriale sia finita da due anni, lo Stato non pu certo ignorare limportanza nazionale che rivestono lotte sindacali diffuse in tutto il Paese e che impegnano moltissimi lavoratori. Il secondo elemento quasi non merita commento: che il Presidente del Consiglio affermi in Parlamento di aver condotto una difficile trattativa basandosi sulla fiducia da lui riposta nella CGL di per s un segno inoppugnabile del riconoscimento ormai avvento del ruolo economico nazionale del sindacato. Che poi Giolitti aggiunga che la CGL merita tale fiducia non altro che unulteriore conferma. 5. 2.2. Le relazioni industriali. La mobilitazione industriale comporta una sostanziale modifica anche dei rapporti tra il sindacato operaio e le organizzazioni padronali. Gli imprenditori sono chiaramente i maggiori beneficiari dellintervento statale nelleconomia: anche se devono rinunciare ad alcune loro prerogative, godono di una situazione in cui le commesse pubbliche sono ingenti, gli scioperi sono banditi e le retribuzioni sono determinate, insieme alle condizioni di lavoro, nei comitati di mobilitazione. Poich lo Stato ha a cuore prima di tutto lefficienza produttiva, gli industriali non temono certo che in tali sedi decisionali lago

31

Intervento di Giolitti al Senato del 26 settembre 1920, riportato in A. Piccioni, op. cit., p. 30.

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della bilancia penda dalla parte del sindacato operaio, che in molti casi non ancora da loro riconosciuto n legittimato. Ciononostante le organizzazioni dei lavoratori riescono a non subire del tutto gli effetti della mobilitazione e, anzi, a sfruttarne gli spazi per ottenere il riconoscimento del proprio ruolo anche da parte degli imprenditori. Sul valore e sulla necessit di tale riconoscimento si gi detto in relazione allo Stato: per quanto riguarda le associazioni padronali il discorso non muta, ma utile una precisazione. La Confindustria nasce nel 1910 e allo scoppio della guerra non ancora del tutto affermata in una dimensione nazionale: anchessa, nel momento in cui lo Stato interviene pesantemente nel campo economico, ha bisogno di conquistare un ruolo nazionale. Per riuscirvi, i dirigenti dellorganizzazione (imprenditori illuminati come Dante Ferraris e Gino Olivetti) sanno che la collaborazione con lo Stato, in nome dei comuni interessi (relativi alla produzione bellica e al controllo della manodopera), pu non bastare, soprattutto quando il governo inizia a riconoscere il valore della rappresentanza operaia. La Confindustria deve anche acquisire la credibilit come un soggetto che ha a cuore il bene dellItalia e vuole contenere le tensioni sociali: i dirigenti non possono dunque dare ascolto ai loro colleghi pi reazionari, che non vorrebbero legittimare in alcun modo i sindacati dei lavoratori. Se si considera che nel 1919 Ferraris entra in politica e diventa ministro, si pu comprendere come il disegno dei leader confindustriali sia finalizzato a ottenere una legittimazione come classe dirigente del Paese. Si accennato agli spazi che la mobilitazione lascia ai sindacati operai, ma sarebbe forse pi appropriato parlare di spazi che il sindacato conquista mano a mano. I margini di manovra per la FIOM, allinizio dellesperienza dei comitati, sono infatti scarsi, a prescindere dallostilit con cui il governo accoglie i rappresentanti operai. Infatti nei comitati il sindacato ha un potere puramente consultivo e non dispone di strumenti di lotta per fare valere le proprie ragioni. Ciononostante, come dir Buozzi, nelle loro prime sedute i comitati di mobilitazione si [trovano] subito costretti a discutere memoriali

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[della FIOM]32: il sindacato non si rassegna ad assistere alle discussioni tra Stato e imprenditori e tenta di dettare lagenda delle priorit. Inoltre vi uno spiraglio formale: il regolamento della mobilitazione prevede che le richieste operaie di tipo economico allinterno degli stabilimenti debbano essere necessariamente prese in considerazione dagli industriali33 e che in caso di mancato accordo il comitato regionale proceda a una conciliazione. Da questa norma deriva lo sviluppo delle commissioni interne e di conseguenza la trasformazione dei comitati in sedi di vere e proprie vertenze. Tali processi non possono essere illustrati senza prima ricordare levoluzione del ruolo sindacale nei comitati dovuta al netto miglioramento delle relazioni tra FIOM e Stato: a partire dal 1916 il nuovo clima di rapporto tra i due soggetti influenza il tenore delle discussioni nelle sedi della mobilitazione e favorisce il dialogo tra i sindacati operaio e padronale. Il regolamento della mobilitazione carente per quanto concerne la rappresentanza operaia nelle fabbriche. Infatti, mentre si istituisce il diritto delle maestranze a portare innanzi ai comitati regionali le istanze economiche rigettate dallimprenditore, si lasciano appena intravedere le caratteristiche che deve avere la rappresentanza nelle aziende: carattere esclusivamente operaio, ambito ristretto al singolo stabilimento, durata limitata alla preparazione e discussione del memoriale, competenza nelle sole questioni economiche. La scarsa chiarezza delle regole sfruttato dal sindacato: La tendenza delle commissioni che cos si formavano [esorbitava] dai confini del regolamento nei punti essenziali: nella composizione della rappresentanza (le commissioni operaie erano sempre pi spesso legate allorganizzazione sindacale esterna e da questa assistite nella trattativa), nella natura delle rivendicazioni (accanto a contenuti economici vennero portate avanti richieste di carattere normativo come il riconoscimento della commissione interna), nella durata e nelle competenze (le commissioni tendevano a prolungare la loro esistenza al di l della stipulazione del concordato, per la applicazione di punti particolari dellaccordo)34.
32 33

B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 447. L. Tomassini, Mobilitazione industriale e classe operaia, cit., p. 93. 34 S. Ortaggi, op. cit., p. 213.

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Questa tendenza non viene combattuta, anzi: procede spesso con limplicito consenso dei comitati di mobilitazione, se non come nel caso lombardo con lesplicita raccomandazione agli imprenditori di riconoscere la commissione interna. Allinizio del 1918, con la parziale riforma del regolamento della mobilitazione, tramite decreto ministeriale, si afferma ufficialmente la procedura secondo cui le richieste delle maestranze [...] devono essere innanzi tutto presentate per iscritto allindustriale per mezzo della commissione interna35. Il padronato non oppone resistenza a tutto questo, probabilmente perch ritiene che la presenza del sindacato in fabbrica, disciplinata dalle norme di mobilitazione e in assenza di scioperi, sia in fin dei conti un elemento utile a contenere forme meno controllabili di conflitto. In questo modo per si riconosce una legittimit (fino ad allora strenuamente negata) alle rappresentanze operaie sul luogo di lavoro: con la fine della guerra verr meno la militarizzazione delle maestranze, ma rimarranno le commissioni interne, ulteriormente riconosciute con un concordato nazionale36. Le istanze delle commissioni che non sono accolte dallimprenditore giungono sul tavolo del comitato regionale di mobilitazione: poich tali istanze con il passare del tempo non si limitano pi agli aspetti meramente retributivi, in seno ai comitati si attivano discussioni sullorario e sulle condizioni di lavoro. Latteggiamento aperto del sindacato, che pur non rinuncia alla fermezza delle posizioni, permette di trasformare la conciliazione in vere e proprie vertenze, in cui i membri civili che hanno lonere di prendere le decisioni non possono che svolgere il ruolo di arbitri tra le proposte operaie e quelle padronali. In questo senso si pu affemare che gli spazi [disponibili sono] sfruttati dal sindacato riformista, che si [trova] cos a giovarsi dellincremento altissimo della vertenzialit economica, in parte da esso stesso inventivata o quanto meno agevolata37. Senza volere esaminare ora limportanza di tale tendenza per quanto concerne levoluzione della
35 36

Art. 1 del Decreto Ministeriale del 23 gennaio 1918, citato in B. Bezza, op. cit., p. 117. Cfr. 5.2.4. 37 L. Tomassini, Mobilitazione industriale e classe operaia, cit., p. 93.

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contrattazione collettiva, che sar analizzata in seguito, importante rilevare che in questa fase gli industriali si trovano a dover rinunciare a un altro caposaldo del proprio potere in fabbrica: il regolamento aziendale. Questo tradizionalmente stabilito unilateralmente dal padrone e viene accettato da ogni singolo operaio al momento dellassunzione. Il fondamento stesso di tale prassi gi minato in partenza dallidea stessa di mobilitazione industriale: i comitati, presentandosi come organismi ufficialmente super partes dotati di forti poteri normativi, impediscono agli imprenditori di disciplinare a loro piacimento i rapporti sociali negli stabilimenti. Cos decreti e circolari regolano le sanzioni disciplinari, le modalit di erogazione del salario, le norme sul libretto di lavoro e sui lavori pericolosi o insalubri, lorario di lavoro, eccetera38. A ci si aggiunga che queste materie vengono affrontate e normate dai comitati in seguito a discussioni con il sindacato operaio, cos come ogni altra richiesta avanzata dai lavoratori. Se ne pu dedurre che il sindacato acquisisce un ruolo notevole in merito a regole fino ad allora di competenza esclusivamente datoriale. Se si considera poi che alcune di queste disposizioni provengono dal comitato nazionale e riguardano quindi tutti gli stabilimenti ausiliari, si comprende come gli imprenditori debbano riconoscere al sindacato un ruolo di interlocutore a livello nazionale. Laffermarsi di una nuova fase di relazioni industriali si evince ancor di pi considerando alcuni aspetti dei rapporti tra le sindacati operaio e padronale che esulano dalla mobilitazione industriale e dai relativi comitati. Un elemento emblematico riguarda il tema dellimpostazione e della gestione delle casse di previdenza. Temendo unondata di disoccupazione dopo la guerra e volendo al contempo radicarsi in un momento di lotte forzosamente attenuate, il sindacato si prodiga per diffondere listituzione di casse contro la disoccupazione e la malattia, cercando di operare in collaborazione con gli industriali. Infatti il funzionamento di questi istituti si basa sulla trattenuta di parte del salario da parte dellimprenditore, che poi vi aggiunge una quota e versa il tutto a un
38

B. Bezza, op. cit., p. 115.

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organismo di gestione (spesso sindacale, talvolta bilaterale). Dato che nel 1917 il governo vara un primo e incompleto provvedimento di istituzione di una cassa nazionale obbligatoria per la vecchiaia e la malattia39, il sindacato vuole dimostrare allo Stato di saper organizzare le casse insieme agli industriali, al fine di esigere lincarico di distribuire i fondi accumulati. La Confindustria, contraria a uno sviluppo della legislazione sociale fino al 1915, teme i disordini derivanti dalla paventata disoccupazione post-bellica e muta radicalmente orientamento, fino ad affermare che non vi deve essere un soldo di salario che non debba essere assicurato contro gli infortuni, contro le malattie e per la vecchiaia40. Gli atteggiamenti delle parti sono dunque dettati da timori e incertezze rispetto allavvenire, per quanto non sia di poco conto, considerata la situazione prima della guerra, la diffusa collaborazione tra sindacato e industriali nella gestione delle casse. Ci che permette per di evidenziare come la rappresentanza padronale riconosca un ruolo nazionale al sindacato operaio il gi citato ordine del giorno approvato dallassemblea di Confindustria il 6 luglio 1917: Lassemblea dei delegati della Confederazione italiana dellindustria [...] d mandato alla presidenza di sottoporre al governo, possibilmente dintesa colle organizzazioni operaie, un progetto completo di provvidenze sociali per gli infortuni, le malattie, linvalidit, e la vecchiaia, sulla base del triplice contributo degli industriali, degli operai e dello Stato41. Vale anche in questo caso quanto si gi detto a riguardo delle determinanti dei rapporti tra Stato e sindacato: non dato sapere quanto latteggiamento di Confindustria sia dettato dalla forza delle organizzazioni operaie, quanto dal timore di futuri disordini, quanto dalle mire politiche di alcuni suoi membri o da altre considerazioni ancora. per sufficiente rilevare che rispetto a tre anni prima le posizioni padronali sono radicalmente mutate riguardo al riconoscimento del ruolo del sindacato.
39 40

Essa, come si visto, viene istituita solamente per i lavoratori degli stabilimenti ausiliari. Relazione della presidenza della Lega Industriale del 1 luglio 1918, riportata per la prima volta in M. Abrate, op. cit., p. 175. 41 Bollettino della Lega Industriale, Anno XI (1917), numero unico, citato in M. Abrate, op. cit., pp. 173-174.

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Un simile cambiamento avviene anche in merito al tema del collocamento, sebbene in questo caso la determinante sia chiara: il sopravanzare della domanda di lavoro nei maggiori settori industriali rispetto allofferta. Si ha cos, al termine della guerra, una situazione in cui gli industriali non solo riconoscono gli uffici di collocamento sindacali, prima raramente presi in considerazione, ma collaborano alla creazione di uffici misti e si lamentano dellistituzione di uffici statali che, secondo Ferraris, si sovrappongono inutilmente ad essi42. In generale si pu dire che con la guerra e con la mobilitazione indutriale si afferma un clima di novit nei rapporti [...] tra le organizzioni operaie e industriali43, si delinea quel corporatismo di cui parla Maier44, inteso come acquisizione di funzioni pubbliche da parte di organizzazioni portatrici di interessi privati e al contempo mediazione dei conflitti, con la partecipazione dello Stato, allinterno di organismi paritetici. Einaudi rileva la novit con efficace sintesi: Prima avversarie, poi riconosciute, prima deboli e locali, poi regionali, nazionali, provvedute di fondi e potenti. Lultima parola nei rapporti fra capitale e lavoro sembrava questa: che le leghe operaie discutessero liberamente, da pari a pari, con le leghe imprenditrici; e che dal libero urto sorgesse laccordo sui punti controversi45. Einaudi, che pure rigetta lemersione di un nuovo Commonwealth che [dissolva] la vecchia distinzione tra Stato ed economia a lui cara, auspica lavvento di quel corporatismo che Maier attribuisce ai conservatori, inteso cio ad assicuare unarmonia sociale che [trascenda] la pura contrattazione tra gruppi di interesse 46. Nel farlo parte da una denuncia dellinsufficienza, a suo modo di vedere, delle nuove relazioni industriali nazionali:

42 43

M. Abrate, op. cit., p. 201. S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., pp. 145-146. 44 C. S. Maier, La rifondazione dellEuropa borghese, ed. De Donato, Bari, 1979. In particolare, per il concetto di corporatismo, pp. 28-35. 45 Articolo di Einaudi sul Corriere della Sera n. 209 del 30 luglio 1919, riportato in L. Einaudi, op. cit., pp. 314-317. 46 C. S. Maier, op. cit., p. 32.

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Le due parti stavano pur sempre armate luna contro laltra; non si conoscevano, diffidavano reciprocamente. Laccordo era una tregua provvisoria, una preparazione per la lotta successiva. Perch le due parti contendono? Soprattutto perch non si conoscono; perch luna parte non ha voluto o potuto penetrare nella posizione mentale dellaltra. [...] Quando si sia giunti a capirsi a vicenda ed a capire il meccanismo dellindustria, il suo funzionamento la sua vita di sviluppo e di concorrenza con le altre imprese, il dissidio non esiste pi, perch non esistono le classi in lotta. Gli operai avranno acquistato le qualit e le conoscenze necessarie per discutere, in materia di organizzazione del lavoro, le idee dei dirigenti e dare o negare il loro consenso. Gli imprenditori si saranno abituati a vedere s stessi come capitani della collettivit47. Non si pu non rilevare che lanalisi di Einaudi sia in questo caso a cavallo tra lutopia e lingenuit. Pensare che la lotta di classe sia il frutto di un fraintendimento e dellincapacit di operai e padroni di capirsi a vicenda appare perlomeno curioso, cos come lidea che essa sfoci nella totale armonia sociale non appena le parti tenteranno di immedesimarsi luna nella condizione altrui. Il pensiero di Einaudi, che sembra ignorare lesistenza di interessi collettivi contrapposti, per significativo dellimpostazione che parte della classe dirigente del Paese vorrebbe dare alle relazioni industriali, ora che esse sono un elemento imprescindibile dei rapporti socioeconomici nazionali. A fronte della posizione di Einaudi, bene citare quella della FIOM, espressa da Guarnieri parlando di mobilitazione industriale al congresso del 1918. Dallintervento si desume che la totale incomprensione tra operai e industriali non corrisponde al vero, ma che larchiviazione della contrapposizione tra le parti in causa non certo allordine del giorno. La testimonianza di Guarnieri poi particolarmente importante poich ribadisce il ruolo fondamentale della mobilitazione nello sviluppo delle relazioni industriali: I Comitati di mobilitazione hanno fatto fare agli industriali ed agli operai un buon passo. Nei paesi industrialmente e sindacalmente pi progrediti hanno trascinato anche quei pochi industriali che ancora si rifiutavano di trattare coi propri operai, e considerare le loro richieste e a spiegare le ragioni
47

Articolo di Einaudi sul Corriere della Sera n. 209, cit., pp. 314-315.

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degli eventuali rifiuti ad accoglierle. Lo stesso contatto tra rappresentanti operai e industriali ha servito a dare a noi una pi profonda conoscenza delle ragioni che gli industriali adducono a sostegno dei loro privilegi e dei loro interessi, ci ha abituati a considerare pi seriamente il problema della gestione dei mezzi di produzione e ha infine obbligato gli industriali a non valutare pi il lavoro come un elemento secondario e trascurabile della produzione48. Tale analisi confermata, sessantanni dopo, da Maier, quando afferma che il corporatismo si sviluppa grazie allintegrazione della classe operaia organizzata in un sistema di contrattazione sotto la supervisione dello Stato e che dunque questo riconoscimento del movimento operaio, [...] gi da tempo in corso accelerato dallurgenza della produzione bellica49. Come si detto, parlare di corporatismo non significa sostenere che le relazioni industriali sono idilliache: i primi anni 20 del Novecento confermano che gli imprenditori, quando viene meno il timore di moti rivoluzionari e si avverte invece una fase recessiva, hanno la forza e la volont di respingere le rivendicazioni sindacali, fino ad arrivare al movimento delle serrate e delle occupazioni delle fabbriche. Tale scontro, certamente aspro, avviene per in tutto il Nord (dunque non limitatamente a singole realt territoriali) e in un quadro di pieno riconoscimento tra i sindacati padronale e operaio. Infine, un aspetto poco indagato delle relazioni industriali, sebene dotato di una sua importanza, quello relativo alla natura dei rapporti tra i leader delle due parti. Non si tratta certo di un argomento valido, di per s, per verificare il riconoscimento del ruolo sindacale da parte padronale; tuttavia rappresenta un tassello, un particolare che permette di comprendere una fase di forti cambiamenti nei rapporti socioeconomici. Significativa a questo riguardo una lettera di Giuseppe Mazzini, presidente della Lega Industriale dal 1919 e commissario della Confindustria alla caduta del fascismo. La missiva della fine del 1945, quando Mazzini viene a sapere della morte di Bruno Buozzi, avvenuta un anno e mezzo prima:
48

M. Guarnieri, Relazione sulla mobilitazione industriale, FIOM, VII Congresso Nazionale, Roma, 1-4 novembre 1918, in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 550. 49 C. S. Maier, op. cit., p. 31.

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Nessuno pi di me lo ha strenuamente combattuto, nessuno pi di lui ha strenuamente combattuto me, nei difficili momenti del 19, 20, 21, 22. [...]La prima persona che [Buozzi] volle vedere dopo anni e anni di esilio, anni di prigionia in Germania e poi di confino in Italia fui proprio io e nella mia veste di rappresentante degli industriali e proprio nel mio vecchio ufficio della exLega Industriale. E la prima cosa che mi chiese (e di questo pure lei testimonio) fu di poter vedere altri industriali, primissimo fra tutti Agnelli, che effettivamente vide. [...] Per noi sindacalisti padronali, che Bruno ha fieramente combattuto [...], per me soprattutto la memoria di Lui sacra50.

5. 2.3. Struttura e organizzazione del sindacato. La capacit del sindacato operaio di adattare le modalit operative e la propria struttura a un contesto in fase di evoluzione sono determinanti perch emerga il suo ruolo economico nazionale. Lorganizzazione del sindacato infatti strettamente legata alla struttura produttiva del Paese, alle relazioni con gli industriali e con lo Stato, alle cosiddette regole del gioco. Per quanto concerne il primo elemento, chiaro che linfluenza univoca e procede dallo sviluppo dellapparato economico e produttivo alladattamento strutturale delle organizzazioni operaie. Riguardo ai rapporti con lo Stato e con le associazioni padronali si ha invece un reciproco influsso: il sindacato deve adeguare la propria organizzazione interna quando mutano i livelli geografici o le prassi delle relazioni industriali, ma tale mutamento deriva in parte anche dalle caratteristiche dellassetto sindacale. Come si vedr, la prima direzione spiega lo sviluppo dei livelli nazionali del sindacato, la seconda la maggiore importanza della FIOM rispetto alla CGL per quanto riguarda sia i rapporti con lo Stato, sia la contrattazione con gli imprenditori. Con leconomia di guerra si afferma un modello di espansione industriale basato su taylorismo e stabilimenti di grandi dimensioni, la diffusione dei quali una delle cause principali della nascita delloperaio comune. Nel momento in cui perde importanza la figura delloperaio di
50

Lettera di Mazzini del 24 novembre 1945, riportata in M. Abrate, op. cit., pp. 462-463.

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mestiere, la stessa sorte tocca al sindacalismo di mestiere: con i lavoratori suddivisi in base al settore cui appartiene limpresa e non pi alla specifica mansione che svolgono, il sindacato deve privilegiare le strutture gi organizzate secondo lo stesso principio. Si ha cos la netta acquisizione di rilevanza da parte delle federazioni di categoria, prima tra tutte la FIOM, che grazie alla crescita del comparto metalmeccanico pi delle altre trae beneficio dai cambiamenti in atto. Come nota Antonioli, la FIOM si trova ad essere qualcosa di diverso dal sindacato dei primi quindici anni del secolo51, ma unanaloga considerazione vale anche per i tessili, o per il sindacato degli edili. Daltra parte si visto come le commissioni interne chiedano sempre pi spesso il supporto allorganizzazione operaia esterna: solamente la federazione di categoria pu coadiuvare lopera di una rappresentanza multiforme di lavoratori, uniti esclusivamente dallappartenenza a una determinata fabbrica. Con ci non si vuole sostenere che perdano importanza le camere del lavoro, ma indubbio che lo sviluppo del sindacato durante la prima guerra mondiale verta sulle strutture verticali: non un caso che mentre i sindacati di settore vedono aumentare le iscrizioni (che esploderanno nel biennio rosso), il numero di tesserati alla confederazione abbia fino al 1918 un andamento altalenante. Listituto della mobilitazione industriale favorisce invece la formazione di una gerarchia tra i diversi livelli (nazionale, regionale, locale) delle federazioni. La legislazione di guerra, impedendo gli scioperi e le grandi agitazioni cittadine (elementi fondamentali dellattivit sindacale nellepoca giolittiana), ridimensiona infatti il ruolo delle camere del lavoro e in generale dei livelli sindacali operanti su un territorio ristretto. Al crescente riconoscimento del sindacato in fabbrica legato alle procedure di conciliazione previste dalla mobilitazione fa da contrappunto laccentramento delle decisioni nelle sedi dei comitati, che sono unicamente regionali e nazionale. Lorganizzazione pi dinamica, ossia la FIOM, la prima ad

51

M. Antonioli in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 80.

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adeguare la propria struttura a quella delle sedi negoziali52, istituendo i livelli regionali della federazione, che rappresentano una novit assoluta; daltra parte prima della mobilitazione le vertenze hanno carattere cittadino o al massimo provinciale, per cui ai sindacati di categoria sufficiente avere un livello nazionale la cui funzione principale sia il coordinamento. Con il varo dei comitati, la FIOM non solo modifica il proprio assetto, ma valorizza il livello nazionale, che assume definitivamente il ruolo di guida politica e organizzativa della federazione. Il cambiamento in questo senso repentino e non pu essere altrimenti, dato che nel giro di pochi mesi lorario di lavoro, come molti altri temi, da oggetto di vertenze a livello di stabilimento diventa argomento allordine del giorno del Comitato nazionale di mobilitazione. La dimensione nazionale del sindacato acquisisce in questa fase la sua rilevanza strategica, poich senza la sua predominanza sarebbe impossibile per la rappresentanza operaia conquistare quel ruolo economico nazionale necessario per interloquire da pari a pari con Stato e Confindustria. Laccentramento si afferma quindi come esigenza dettata dal contesto bellico, ma si trasforma presto in un punto di forza del sindacato operaio. La prevalenza del livello nazionale non riguarda alla stessa maniera le federazioni di categoria e la confederazione: come si visto lo sviluppo industriale comporta la predominanza delle strutture verticali, per cui a fronte dellaccentramento e della forza dei sindacati settoriali troviamo una CGL nazionale che si limita a operare un blando coordinamento tra esse. Come ammette Rigola al congresso del 1921: Il difetto principale della Confederazione sta in ci: che il suo comitato non mai stato e non ancora neanche oggi un comitato unitario. La Confederazione linsieme di parecchi organi di azioni i quali hanno dei bisogni diversi. Quindi la Confederazione, in poche parole, stata fin qui, stata in passato ed anche oggi pi che altro un Segretariato intersindacale53.

52 53

B. Bezza, op. cit., p. 104. Relazione di Rinaldo Rigola al V congresso della CGL (Livorno, 26-27-28 febbraio e 1-2-3 marzo 1921), citata in D. Horowitz, op. cit., p. 128.

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Tale considerazione non riguarda direttamente il tema dellaffermazione di un ruolo nazionale del sindacato, bens il campo delle relazioni tra confederazione generale e federazioni di categoria. La prevalenza delle strutture verticali o orizzontali certamente un elemento utile a comprendere la dinamica dellazione sindacale e delle relazioni industriali, ma non dice molto di per s sul ruolo economico esercitato dal sindacato stesso. Le parole di Rigola sono per un indicatore della forza dei sindacati settoriali nazionali (questa s rilevante in merito allorigine del ruolo nazionale del sindacato), che tale da impedire alla CGL di esercitare nei loro confronti un potere di indirizzo e controllo. La fine della mobilitazione, la successiva ripresa delle tipiche lotte sindacali, lormai formata coscienza di classe tra gli operai, il conseguente successo del Partito Socialista (sia in termini di adesioni che di voti), laffermarsi di rivendicazioni di carattere universalistico, la credibilit conseguita dal sindacato attraverso lottenimento di conquiste in un momento ad esse non propizio54: tutto ci favorisce laumento esponenziale degli iscritti al sindacato nellimmediato dopoguerra55. Giunge cos a compimento la trasformazione del sindacato elitario dellet giolittiana, diviso in mille rivoli locali, in sindacato di massa, caratterizzato da forti federazioni nazionali. Il successo delle organizzazioni operaie in termini di adesioni e limportanza dei livelli nazionali sono due facce della stessa medaglia. Se da un lato un numero cos elevato di iscritti comporta la necessit crescente di una energica azione di coordinamento, indirizzo e disciplina da parte di una struttura centrale, dallaltro la capacit di tale struttura di condurre vittoriosamente importanti vertenze e lotte a livello nazionale contribuisce non poco al radicamento del sindacato tra gli operai italiani. Per lo Stato e per gli industriali ormai impossibile ignorare i rappresentanti nazionali di milioni di lavoratori: se vero
Cfr. 5.2.5. Basti ricordare che gli iscritti alla FIOM, gi aumentati del 311% tra il 1914 e il 1918, nei successivi due anni crescono ancora del 222%. Le adesioni alla CGL, che hanno durante la guerra un andamento altalenante (nel 1918 sono comunque meno del 1914), aumentano tra il 1918 e il 1920 del 783%, passando da 249.039 a 2.200.100.
55 54

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che lunione (dei lavoratori) fa la forza (del sindacato), altrettanto vero che la forza fa il riconoscimento di un ruolo economico nazionale. 5.2.4. La contrattazione collettiva. Prima della guerra la contrattazione una prassi non consolidata n tantomeno regolata da norme omogenee: essa determinata inevitabilmente dallassetto sindacale, che presente sul territorio a macchia di leopardo e che ragiona ancora sulla base dei singoli mestieri, tanto che la forma pi diffusa di accordo il semplice patto verbale56. Con linizio del conflitto, la contrattazione intesa come libero confronto tra le parti con lobiettivo (non coatto) di raggiungere un compromesso semplicemente non avviene: i comitati di mobilitazione hanno il potere decisionale sulle materie tipiche della contrattazione, il dialogo tra le parti avviene nei comitati con le procedure stabilite dal governo, la conciliazione tra le diverse posizioni obbligatoria e rappresenta uno dei principali fini dei comitati stessi. Ciononostante la mobilitazione ha un ruolo fondamentale per quanto concerne la diffusione della contrattazione collettiva nellimmediato dopoguerra. Infatti occorre considerare che essa ha il compito di centralizzare anche le controversie collettive, oltre a quelle individuali, e di emanare quindi ordinanze di regolamentazione di carattere generale. Il sindacato, come si detto, sfrutta tali spazi per aumentare la vertenzialit economica e normativa e si ha cos, in un periodo di forti limitazioni allazione sindacale, unistituzionalizzazione dei rapporti di lavoro: Sotto la forma di vertenze passarono, pur attraverso le griglie di una disciplina giuridica eccezionale che sembrava destinata a comprimere lautonomia contrattuale, embrioni di contrattazione collettiva in relazione ai problemi di variazione nel regime dei salari; fu avvertita la necessit di provvedimenti altrettanto generali che attuassero e regolassero in modo uniforme queste variazioni per industrie affini e per regioni, oppure per gruppi

56

S. Musso, Storia del lavoro in Italia dallUnit a oggi, cit., p. 138.

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di industrie o di regioni, eliminando gran parte della precedente prassi negoziale57. Con la mobilitazione si ha dunque un forte impulso non solo alla contrattazione collettiva, ma allacquisizione da parte di essa di un carattere nazionale, anche quando riguarda un numero limitato di regioni. Per comprendere levoluzione della negoziazione sindacale nel dopoguerra occorre altres ricordare che durante il conflitto il sindacalismo di mestiere lascia il posto a quello di comparto industriale, con il connesso cambiamento delle categorie in cui gli operai sono inquadrati. Le prassi della contrattazione si adeguano al nuovo contesto e alla mutata qualit delle relazioni industriali: a partire dal 1916 i memoriali presentati dalla FIOM (e dalle altre categorie) sono nazionali, anche perch spesso si rivolgono tanto alla Confindustria quanto allo Stato. Alla fine delle ostilit la contrattazione collettiva prende piede stabilmente nellindustria58: se da un lato ci una diretta conseguenza della mobilitazione (le cui prassi in parte proseguono nella commissione statale per la riconversione produttiva), dallaltro va riconosciuto un ruolo importante al sindacato, che ormai radicato nei territori e ha al contempo una funzionale struttura accentrata. Inoltre va menzionato il nuovo corso delle relazioni industriali, che fatto anche dalle aperture (strumentali o meno) degli industriali, i quali non si oppongono pi alla negoziazione collettiva con i rappresentanti degli operai. La contrattazione collettiva nazionale, che rappresenta forse la maggiore dimostrazione del ruolo economico nazionale ormai conquistato dal sindacato operaio, pu essere esaminata nei suoi diversi aspetti attraverso i principali accordi siglati tra il 1919 e il 1920. Per quanto riguarda quelli di categoria, il riferimento obbligato il settore metalmeccanico: data la maggiore forza e

57 58

M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 721. D. Horowitz, op. cit., p. 233.

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dinamicit della FIOM, gli accordi raggiunti in tale comparto assumono spesso una valenza di apripista nei confonti degli altri. Il primo contratto collettivo nazionale viene siglato a Milano il 20 febbraio 1919 dalla FIOM e dalle Associazioni Industriali del ramo metalmeccanico e siderurgico59. Si tratta di un accordo che regolamenta le condizioni di lavoro di un intero settore industriale, come dimostra lincorporato Regolamento unico per tutte le Officine Meccaniche, Navali ed Affini. Senza soffermarsi ora sulle conquiste operaie ottenute con tale concordato60, occorre comunque sottolineare la quantit e la rilevanza delle materie che esso norma: dallorario di lavoro ai salari, dal cottimo agli straordinari, dal riconoscimento delle commissioni interne alla previdenza sociale. Nessuno dei temi oggetto delle lotte particolaristiche del periodo anteguerra ormai lasciato alla negoziazione locale o ancora peggio individuale: ci significa da un lato che la contrattazione collettiva nazionale si afferma come prassi negoziale completamente sostitutiva del modello precedente, dallaltro che la massa degli operai vieppi legittimata a muoversi unitariamente, dato che laumento delle retribuzioni e le condizioni di lavoro sono le medesime in tutti gli stabilimenti metalmeccanici italiani. Nel contratto presente anche un primo tentativo di procedere a una classificazione degli operai, non pi divisibili in base ai mestieri: in riferimento alla paga oraria si parla di manovalanze in genere e di tutte le altre categorie di operai; per gli stabilimenti siderurgici vi una pi precisa distinzione tra operai che normalmente lavorano [...] in qualit di manovali e operai che normalmente lavorano [...] con lavoro qualificato. Le categorie di inquadramento dei lavoratori si riducono quindi alla divisione tra professionalizzati (o qualificati) e non. In seguito a detto accordo, viene siglato il 27 settembre 1919 un concordato per meglio definire il calcolo delle paghe base e dellindennit caroIl testo completo del Verbale di accordo per gli stabilimenti meccanici, navali e siderurgici, Milano, 20 febbraio 1919, contenuto in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 740-743. 60 Cfr. 5.2.5.
59

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vita61. Un elemento interessante, che ricalca le pratiche dei comitati di mobilitazione, il fatto che il contratto venga siglato a Roma sotto gli auspici di S.E. il ministro dellIndustria, Commercio e Lavoro, on. sen. Dante Ferraris, nonostante esso operi nei confronti dei soli stabilimenti lombardi ed emiliani. Ci emblematico della tendenza a fare della contrattazione collettiva nazionale il momento di mediazione anche per le questioni particolari: nel concordato vi sono infatti provvedimenti specifici riferiti agli operai di Milano citt, agli stabilimenti Bianchi e Isotta Fraschini di Milano e a quelli Franchi Gregorini e Metallurgica Bresciana gi Tempini di Brescia, ai fabbricanti di mobili e ai carpentieri in ferro. Per quanto concerne la classificazione operaia, accanto alla gi citata suddivisione tra qualificati e non, appaiono le categorie delle donne e dei ragazzi: per loro sono previste paghe calcolate con criteri analoghi a quelli adottati per gli uomini, salvo eventuali coefficienti di riduzione. Il 1 ottobre 1920 la data della sottoscrizione del concordato nel comparto metalmeccanico che archivia definitivamente il movimento delle occupazioni delle fabbriche. Prima di esaminarne i tratti salienti, occorre rilevare come quella lotta coinvolga man mano altri settori produttivi, tanto che le trattative per giungere alla stesura dellaccordo vengono gestite anche dalla CGL e vedono altres un protagonismo del governo Giolitti. necessario ricordare che prima del concordato vi lemanazione del decreto che istituisce la commissione per il controllo operaio sulla produzione e che la vertenza economica si risolve con la concessione da parte padronale di aumenti per tutta lindustria. Si tratta quindi del primo caso di contrattazione collettiva nazionale generale62, non limitata cio a una singola categoria produttiva, per quanto

61

Anche il testo completo del Verbale di accordo per la sistemazione delle paghe e del caroviveri degli operai meccanici a definizione della questione dei minimi di paga e delle categorie, Roma, 27 settembre 1919, contenuto in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 744-749. 62 Quando nel 1919 la CGL lancia la battaglia per le 8 ore, la Confindustria si dichiara pronta a sancirne laccettazione in un contratto collettivo nazionale con valore per tutto il settore industriale. Il timore per di non poter garantire limpegno di tutti gli industriali (in particolare dei tessili) spinge i dirigenti confindustriali a operare una negoziazione comparto per comparto, iniziando ovviamente da quello

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lagitazione sia originariamente promossa dalla FIOM: il concordato del 1 ottobre dunque uno dei risultati delle trattative63. Esso contiene per la prima volta una chiara divisione del personale64, che sancisce ufficialmente il definitivo tramonto delloperaio di mestiere; oltre a questo, occorre rilevare che firmato oltre che da Buozzi e dal confindustriale Jarach anche dal prefetto Lusignoli e che esplicitamente in vigore per tutte le Ditte. Queste ultime caratteristiche, che conferiscono alla contrattazione collettiva nazionale il crisma dellufficialit statale e una valenza che riguarda ogni impresa, a prescindere che sia affiliata a Confindustria o meno, saranno due punti cardine del corporativismo fascista. 5.2.5. Le conquiste del sindacato. Degli importanti traguardi raggiunti dal sindacato operario in termini di diritti e condizioni di lavoro nel periodo 1915-1920 si gi detto nel terzo capitolo. In qualche modo le conquiste sindacali possono essere intese come la punta di un iceberg: la parte pi visibile, che nasconde per una massa ben pi corposa di elementi di cesura rispetto al passato, determinanti affinch certe vittorie possano essere ottenute. La natura complessiva di tale massa si presta a diverse interpretazioni e riflessioni, ma prima di procedere oltre bene richiamare brevemente gli obiettivi conquistati dal sindacato operaio nellarco di cinque anni. Riguardo al periodo della mobilitazione industriale, non nemmeno sufficiente richiamare lelenco di vittorie che Buozzi illustra nel congresso del novembre del 1918 (orario giornaliero di 10 ore, alta retribuzione per straordinari e turni notturni, blocco dei prezzi dei cottimi salvo modifiche nei
metalmeccanico. Dunque gi un anno e mezzo prima dellaccordo del 1 ottobre 1920 si vicini alla sottoscrizione del primo contratto nazionale a valenza generale. 63 Il testo completo del Concordato fatto a Milano il 1 ottobre 1920 in esecuzione al concordato di Roma 19 settembre 1920, Milano, 1 ottobre 1920, anchesso contenuto in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., pp. 752-754. 64 Cfr. 3.3.2.

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sistemi di lavorazione, parificazione dei prezzi del cottimo tra uomini e donne)65, poich a tutto ci vanno aggiunti i primi riconoscimenti delle commissioni interne, ladeguamento automatico con la scala mobile dellindennit del caroviveri e il riconoscimento degli uffici di collocamento e delle casse di previdenza sindacali. Nel biennio rosso le conquiste sono ancor pi rilevanti: per quanto riguarda lindustria lorario di lavoro ridotto a 8 ore, listituzione delle ferie pagate, il riconoscimento ufficiale delle commissioni interne; per quanto attiene allo Stato, provvedimenti contro il caro-vita, le 8 ore anche nel settore pubblico, una prima normativa sul collocamento. A ci andrebbe aggiunta listituzione dellassicurazione sociale obbligatoria per la vecchiaia, la disoccupazione e la malattia, poich lintroduzione del sussidio di disoccupazione fortemente richiesto dal sindacato. Va per rilevato che le organizzazioni operaie avrebbero preferito gestire la previdenza per conto dello Stato e insieme agli industriali, per cui questa novit, che ex post pu essere intesa come un importante passo avanti della legislazione sociale, vede invece il sindacato operaio dubbioso se non proprio contrariato. Sebbene non sia propriamente vissuto come una conquista, il grande sviluppo della previdenza pubblica si presta alle medesime interpretazioni dellinsieme delle conquiste sindacali. Il tema quello gi affrontato delle determinanti di tali vittorie. Si pu infatti valutare il periodo 1915-1920 come un momento in cui lo Stato e le classi dominanti si trovano con la necessit di controllare le masse operaie, dapprima a causa della guerra, poi per via della forza crescente del socialismo e del timore che si voglia emulare la rivoluzione russa. Per questo si procede ad ampie concessioni, rese possibili da uneconomia di guerra alimentata dalle commesse statali e generatrice quindi di ingenti profitti per gli imprenditori. Alcune concessioni, come il riconoscimento delle commissioni interne e delle prassi di contrattazione collettiva, possono quindi essere valutate come un tentativo di imbrigliare il sindacato (tanto in fabbrica quanto a livello
65

B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 448.

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nazionale) in un sistema istituzionale e corporatista, volto alla rifondazione dellEuropa borghese66. La previdenza pubblica dunque un ulteriore tassello di un pi generale tentativo di risolvere la questione operaia in modo non traumatico. In questa visione, lazione sindacale fortemente limitata dalla mobilitazione industriale e si espande dopo la guerra grazie al traino esercitato dal movimento socialista. Uninterpretazione di segno opposto pu invece considerare le conquiste sindacali come il frutto della forza del sindacato, in grado di imporsi a livello nazionale come movimento di massa e capace di costringere sulla difensiva gli industriali e lo Stato liberale. Il dato economico rilevante diventa in questottica la scarsa offerta di lavoro nel settore secondario durante la guerra, con il conseguente accrescimento del potere contrattuale del sindacato. In questa visione, assume importanza la capacit sindacale di incunearsi nei meandri del regolamento della mobilitazione industriale al fine di incrementare il livello di vertenzialit, per poter quindi ottenere nellimmediato dopoguerra la fissazione di prassi di contrattazione collettiva nazionale. Come avviene spesso, c del vero in entrambi i punti di vista. Daltra parte forza sindacale e timori industriali sono due facce della stessa medaglia, cos come conquiste operaie e concessioni padronali (o statali). Allo stesso modo, si pu affermare che la mobilitazione industriale penalizzi lazione sindacale, ma anche che le organizzazioni operaie dimostrino una notevole capacit di resistere e di ribaltare in alcuni casi la mobilitazione a loro favore. Quanto al rapporto tra sviluppo dei movimenti sindacale e socialista nel dopoguerra, i due ambiti sono strettamente correlati; per forse utile ricordare che gli iscritti alla CGL durante il biennio rosso non solo superano le adesioni al PSI, ma sono addirittura maggiori dei voti che il partito raccoglie alle elezioni. Infine occorre tornare a quanto si diceva in merito al rapporto tra Stato e sindacato67: a prescindere dalle interpretazioni sulle cause, quello che conta
66 67

C. S. Maier, op. cit. Cfr. 5.2.1.

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sono gli effetti. Il dato da tenere in conto che il sindacato esercita un ruolo economico nazionale, conquistato per merito proprio o per demerito altrui, dopo il periodo 1915-1920. Certo, arriver il fascismo a limitarne le conquiste e a negarne il libero esercizio, ma anchesso in una prima fase dovr fare i conti con tale ruolo e risolvere con la violenza e poi autoritariamente la questione; daltra parte lo stesso regime tenter di usare il ruolo nazionale del sindacato a proprio vantaggio, facendone un perno del sistema corporativo, ma non cercher mai di negare formalmente una rappresentanza nazionale ai lavoratori. Insomma, con la grande guerra e il biennio rosso il sindacato si afferma come attore economico di rilevanza nazionale, a differenza del periodo precedente e senza che successivamente tale ruolo venga mai meno. Una cesura, appunto.

5.3. La non-cesura: il sindacato dopo il fascismo. Sono diversi gli ambiti in cui si possono riscontrare significative continuit tra lesperienza sindacale del primo dopoguerra e quella del secondo. In alcuni casi si tratta di processi quasi lineari, che transitano attraverso lesperienza del corporativismo fascista, in altri si tratta invece di sorprendenti elementi che si ritrovano nel periodo 1943-1947 come gi in quello 1915-1920, come se il sindacato pre-fascista abbia lasciato molti aspetti di s in eredit a quello che riemerge dopo la caduta del regime. Vi sono poi alcuni tratti delle organizzazioni operaie post-fasciste la cui origine riferibile al ventennio: daltra parte, poich i lavoratori e il Paese sono i medesimi, sarebbe strano pensare che il 25 luglio si compia unassoluta rottura con lassetto socioeconomico fascista. Gli elementi di continuit possono essere suddivisi sia per derivazione storica (dal primo al secondo dopoguerra; dal fascismo al secondo dopoguerra; dal primo dopoguerra al secondo passando per il fascismo), sia per ambito (rapporto Stato-sindacato; relazioni industriali; struttura organizzativa del sindacato; contrattazione collettiva). Poich unesposizione lineare non permette di utilizzare due classificazioni allo stesso

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tempo, si privileger quella per ambito, per poter meglio cogliere come in ogni aspetto dellazione sindacale gli elementi di continuit si fondano, a prescindere dalla loro origine, a formare un affresco meno innovativo di quanto molti ritengano. 5.3.1. Il rapporto tra sindacato operaio e Stato. Il rapporto tra lo Stato e il sindacato operaio post-fascista in un certo senso gi definito in partenza. Alla caduta del regime nel luglio del 1943 seguono infatti le nomine commissariali operate dal governo Badoglio, che non disciologono il sindacato fascista ma che ne mettono a capo dirigenti di diverse estrazioni (tra cui Buozzi, Grandi, Di Vittorio). La cooptazione di uomini nuovi (nel senso di antifascisti o comunque non compromessi con il fascismo) nelle vecchie istituzioni, come rilevano Treu e Romagnoli, lascia immutata la struttura e quindi il senso della partecipazione gestionaria dei sindacati e sar una tecnica largamente usata dai primi governi democristiani per gli enti pubblici (per lo pi, quelli preposti alla previdenza e assistenza, nei quali la partecipazione sindacale rappresenta una tradizione consolidata dalle leggi)68. Si pu notare, tralasciando la strategia prima badogliana e poi democristiana, che la nomina statale di dirigenti sindacali non certo una novit. Per quanto riguarda enti consultivi, essa risale al 1902 (nel Consiglio del Lavoro), diviene sistematica con la mobilitazione industriale a partire dal 1915 e si afferma internazionalmente con la nascita dellILO nel 1919, in cui ogni Stato nomina quattro rappresentanti, di cui uno dintesa con le organizzazioni operaie maggiormente rappresentative69 . La nomina dei commissari nel 1943 concerne invece il sindacato stesso, non certo un ente consultivo, ma in merito a questo bene ricordare che i comitati di mobilitazione durante la prima guerra mondiale
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U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 19. Tale prassi prosegue anche durante il regime, che nomina un rappresentante del sindacato fascista, la cui legittimit in seno allILO sempre contestata dai rappresentanti operai degli altri Paesi, come documentato in R. Allio, LOrganizzazione Internazionale del Lavoro e il sindacalismo fascista, cit.

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assumono man mano unimportanza tale da fare s che i dirigenti sindacali ivi nominati partecipino di fatto alle scelte di politica industriale e del lavoro. C poi da rilevare che il metodo della cooptazione di esponenti sindacali da parte del governo non solo affonda le proprie radici nei trentanni precedenti di storia sindacale, ma rappresenta addirittura un arretramento rispetto alla situazione del biennio rosso. Negli anni 1919-1920, infatti, al sindacato riconosciuta la potest di nominare i propri rappresentanti allinterno di alcuni enti, tra cui la Commissione per la riconversione alleconomia di pace dalla quale nasce laccordo sulle 8 ore. La nomina dei commissari da parte di Badoglio non solo lascia immutata la struttura del sindacato fascista, ma rappresenta di per s il riconoscimento statale della rappresentanza operaia organizzata. Come si gi detto, tale riconoscimento non una conquista dei nuovi dirigenti sindacali, ma semplicemente leffetto di una scelta di continuit rispetto allesperienza precedente. Non si pu ignorare infatti che il sindacato fascista, proprio perch un mero strumento di controllo delle masse da parte del regime, gode della massima legittimazione statale possibile, derivante dalla Legge Rocco del 1926. A dire il vero anche tale legge non dirimente in merito al tema del riconoscimento statale del ruolo nazionale del sindacato: essa, cos come il Patto di Palazzo Vidoni del 1925, non nascono da unintuizione di Mussolini, bens dallesigenza del regime di dare forza al proprio sindacato al fine di annullare quella della CGL e del sindacalismo libero, che rappresentano un problema non da poco per la dittatura. Le organizzazioni operaie infatti hanno un radicamento maggiore rispetto ai partiti e la loro soppressione non gioverebbe a quel fascismo che vuole mostrarsi come espressione delle masse. Si pu comprendere cos come le nomine di Badoglio dellagosto 1943 non fanno che confermare quel riconoscimento del ruolo economico nazionale del sindacato, conquistato gi prima dellavvento del regime e da esso poi confermato ed adattato alle proprie esigenze di controllo sociale.

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Risente dellinfluenza del ventennio anche la concezione che il sindacato libero ha dei rapporti con lo Stato, desumibile dal dibattito animato dai dirigenti del movimento operaio. Le questioni pi discusse sono la natura giuridica del sindacato (pubblico e obbigatorio o privato e libero) e la valenza erga omnes dei contratti collettivi. Sullobbligatoriet delliscrizione al sindacato, il dibattito vede Di Vittorio e i comunisti sostenere la tesi secondo cui il sindacato deve essere unassociazione di autotutela ad adesione volontaria, mentre i democristiani (e in un primo momento anche Buozzi e i socialisti) ritengono che mantenere la definizione pubblicistica del sindacato ne agevoli lazione e il radicamento. Occorre notare che il confronto, che prosegue sino allAssemblea Costituente, non riguarda proposte innovative avanzate dalluna o dallaltra parte, bens di fatto la valutazione che si fa del sindacato fascista e dellopportunit o meno di democratizzarne lordinamento senza apportare significative modifiche. Inoltre va sottolineato latteggiamento di Di Vittorio che, al pari dei sindacalisti prefascisti, non si fida dello Stato, pur rivendicando di esserne riconosciuto come interlocutore, e teme quindi la burocratizzazione statale del movimento operaio. Quanto al mantenere lattribuzione di un valore di legge ai contratti collettivi (introdotta con la Legge Rocco), non si pu trascurare il processo storico alla base di questa discussione. Oltre al retaggio dellepoca fascista, bisogna infatti ricordare alcuni elementi precedenti: una prima proposta in tal senso datata 1907 (avanzata dal socialista riformista Murialdi in seno al Consiglio del Lavoro); una sorta di commistione tra contratti collettivi e decreti legge si ha durante la mobilitazione industriale (il governo emana norme derivanti dalle discussioni svolte nei comitati); il concordato del 1 ottobre 1920, siglato dalle parti sociali e da un rappresentante del governo, valido per tutte le ditte a prescindere dalla loro affiliazione a Confindustria ed ha dunque valenza erga omnes. Per tornare al dibattito interno al sindacato post-fascista, c altres da sottolineare come esso non porti di fatto a nulla: sebbene la Costituizione

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preveda che i contratti collettivi abbiano efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce70, la stessa legge fondamentale vincola tale disposizione a una registrazione che i sindacati rifiuteranno sempre. A causa di ci, i tentativi esperiti negli anni 50 di tradurre i contratti collettivi in decreti legge saranno bloccati dalla Corte Costituzionale: il valore di legge dei contratti rimane cos confinato al periodo fascista. Lo Stato nel dopoguerra si occupa della ricostruzione e della ripresa produttiva ponendo molta attenzione a non alimentare ulteriori tensioni sociali, per cui non sono infrequenti i casi in cui il governo si prodiga in attivit di mediazione tra le parti sociali, o perlomeno di facilitazione degli accordi. Anche da questo punta di vista, per, non vi nulla di nuovo: basti ricordare il ruolo assunto dal governo Giolitti tra lagosto e lottobre del 1920 in merito alla vertenza sfociata nelle serrate e nelle occupazioni operaie degli stabilimenti. Daltra parte il tema della composizione dei contrapposti interessi, che si sviluppa nello Stato liberale, diviene poi un tassello fondamentale del fascismo, che utilizza limmagine di s stesso e della patria quale elemento non solo di composizione, ma di totale armonizzazione degli interessi. Lazione governativa del periodo post-fascista pu essere quindi letta come un retaggio del corporatismo, di cui massima interprete la Democrazia Cristiana intesa come partito interclassista. Vi poi da prendere in considerazione lambito del collocamento, in cui non solo il secondo dopoguerra presenta forti analogie con il primo, ma si pu riscontrare addirittura un arretramento del ruolo del sindacato, se si osservano i fatti con gli occhi dei leader sindacali dei due periodi. Tanto prima quanto dopo il fascismo, gli uffici sindacali di collocamento rappresentano per le organizzazioni operaie un fattore di radicamento tra i lavoratori e di potere contrattuale nei confronti degli industriali. Mentre per nel 1918 tali uffici ottengono un primo riconoscimento statale tramite un decreto

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Art. 39 della Costituzione della Repubblica Italiana.

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luogotenenziale71, alla caduta del fascismo gli Alleati procedono alla creazione di Uffici del lavoro pubblici, in concorrenza con quelli sindacali. Per quanto lassunzione di competenze da parte dello Stato in tale ambito possa essere considerata ex post un elemento di progresso sociale, importante ricordare la vibrante protesta di Di Vittorio contro un provvedimento che di fatto indebolisce il ruolo economico del sindacato, impedendogli di gestire il collocamento72. Il sindacato di Di Vittorio da questo punta di vista molto simile a quello degli anni 10-20 di Buozzi, Rigola e DAragona, mentre ancora distante dallatteggiamento del sindacato moderno, inteso come erogatore di servizi ai propri iscritti (ad esempio il patronato fiscale) e sostenitore dellesigenza che sia lo Stato a fornire le prestazioni che oggi si configurano come diritti universali dei lavoratori o dei cittadini (collocamento, previdenza, indennit di disoccupazione, eccetera). Non varia di molto il discorso riguardante la previdenza se si considerano le posizioni tenute dal sindacato nei due dopoguerra. Prima di procedere a tale interessante comparazione per utile ripercorrere brevemente lo sviluppo della previdenza, che nellimmaginario collettivo viene abbozzata dal fascismo e istituzionalizzata dalla Costituzione. Sebbene larticolo 38 della Carta ufficializzi definitivamente la previdenza pubblica e sebbene alcuni elementi di welfare state vengano consolidati dal regime, occorre ricordare che nel 1918 il Comitato di mobilitazione industriale introduce lassicurazione obbligatoria per la vecchiaia e la malattia per tutti gli operai degli stabilimenti ausiliari e che nel biennio rosso tale assicurazione viene estesa a tutti i lavoratori e arriva a coprire anche la disoccupazione. Dunque questo elemento di confronto tra Stato e sindacato e di intervento diretto dello Stato nei confronti dei lavoratori presente sin dal periodo antecedente al regime. Latteggiamento del sindacato identico nei due dopoguerra, come mostra il confronto tra lintervento di Buozzi al congresso della Fiom nel 1918 e il
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Il gi citato decreto istituisce un coordinamento di tutti gli uffici presso il Ministero dellAgricoltura, del Commercio e dellIndustria, dando quindi una sorta di ufficialit a quelli nati per iniziativa sindacale. 72 Cfr. 4.2.1.

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contenuto del Patto di Roma del 1944. Il primo sostiene che i contributi devono essere distribuiti a mezzo delle organizzazioni operaie, le quali avranno tanto maggior diritto a pretenderli quanto pi avranno dimostrato di avere saputo organizzare perfettamente per loro conto numeroso casse di disoccupazione73; con il Patto di Roma il sindacato libero si pone come obiettivo immediato la preparazione di un piano di trasformazione del sistema e degli istituti di previdenza sociale, rivendicandone alla CGIL la direzione74. Le differenze, come si nota, sono di carattere puramente lessicale. In generale si pu affermare che i rapporti tra Stato e sindacato nel secondo dopoguerra risentono di due fattori principali: il fatto che lo Stato mantenga anche un ruolo economico (sorto con la mobilitazione industriale nel 1915, consolidato e trasformato in ruolo produttivo dal regime), per cui linterlocuzione con il sindacato riguarda in molti casi la mediazione tra i rispettivi interessi; linquadramento del sindacato nellapparato statale lasciato in eredit dal fascismo. Nessuno dei due elementi pu essere considerato una novit in base a cui dimostrare il verificarsi di una cesura con la fine della dittatura. Vi infine un ulteriore elemento di continuit tra lazione sindacale dei due dopoguerra, le cui determinanti sono per diverse: la politica della responsabilit e dei sacrifici. Essa in qualche modo connaturata alla storia del sindacato libero italiano, tanto che un primo esempio si ha proprio nel 1906 alla nascita della CGL, quando il cottimo viene accettato quale incentivo alla produttivit. Con la prima guerra mondiale la responsabilit si esplica nella partecipazione del sindacato ai comitati di mobilitazione, scelta che vale alla CGL e alla FIOM le accuse di collaborazionismo da parte dei sindacalisti rivoluzionari. Tale politica, in un periodo in cui il sindacato sta cercando di imporsi a livello nazionale, finalizzata proprio allottenimento del riconoscimento statale della propria credibilit e quindi del proprio ruolo
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B. Buozzi in M. Antonioli B. Bezza, op. cit., p. 445. Dal Patto di Roma riportato in S. Turone, op. cit., p. 51.

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economico nazionale. Nel secondo dopoguerra la CGIL segue la medesima linea: il tema dei sacrifici della classe operaia viene pi volte enfatizzato da Di Vittorio e anche da molti esponenti del Partito Comunista (Togliatti in testa). Non per pensabile che queste rivendicazioni del senso di responsabilit del sindacato operaio siano volte allacquisizione di credibilit per il sindacato stesso e al riconoscimento di un ruolo nazionale da parte dello Stato. Come si visto, infatti, il tema del riconoscimento non si pone per un sindacato che inizia a operare in continuit e nelle strutture del sindacato corporativo fascista. La credibilit invece lobiettivo politico dei comunisti (non bisogna scordare che Di Vittorio nominato dal PCI al vertice della CGIL), che intendono dimostrare di essere classe dirigente del Paese e non dei sovvertitori dellordine sociale. 5.3.2. Le relazioni industriali. I rapporti tra sindacato operaio e associazioni padronali rappresentano forse lambito che pi di tutti risente dellinfluenza dellordinamento fascista e delle prassi pre-fasciste filtrate dal ventennio, motivo per cui gli elementi innovativi sono praticamente nulli. Accanto ai tratti salienti della continuit delle relazioni industriali tra fascismo e post-fascismo, si possono anche riscontrare alcune analogie (talvolta sorprendenti) tra i periodi 1915-1920 e 1943-1947, in merito alle quali il fascismo sembra operare come una parentesi, chiusa la quale possono riemergere alcune prassi come se fra i due dopoguerra non vi fossero ventanni di regime. Come si visto, il riconoscimento reciproco di un ruolo nazionale tra Confindustria e sindacato operaio un processo che si avvia durante la mobilitazione industriale e che giunge a compimento con il biennio rosso. Il Patto di Palazzo Vidoni nel 1925 e la Legge Rocco nel 1926 a prima vista possono sembrarne la definitiva consacrazione, dato che sindacato operaio fascista e Confindustria si riconoscono lun laltra la rappresentanza esclusiva

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rispettivamente di lavoratori e imprenditori. A uno sguardo pi attento non pu sfuggire che Palazzo Vidoni non rappresenta lufficializzazione di un riconoscimento padronale del sindacato operaio, dato che le relazioni industriali non necessitano di un accordo preliminare che attesti la volont delle parti a siglare successive intese: il riconoscimento reciproco un fatto che si verifica attraverso i rapporti, le vertenze, gli atteggiamenti, i contratti. Piuttosto il Patto del 1925 rappresenta la volont del regime di indirizzare il riconoscimento gi esistente del ruolo economico nazionale del sindacato verso la pseudorappresentanza operaia fascista. Nel 1943 troviamo cos un sindacato statale riconosciuto dalla Confindustria: a tale sindacato vengono nominati come commissari i dirigenti sindacali antifascisti, tra laltro con il medesimo atto che nomina Giuseppe Mazzini commissario dellassociazione padronale. Il decreto di Badoglio fa dunque s che le relazioni industriali vengano mantenute in una linea di continuit. Si pu affermare che il riconoscimento padronale del ruolo economico nazionale del sindacato nel secondo dopoguerra non rappresenti una conquista della CGIL, bens il frutto di ventanni di corporativismo fascista, che a sua volta si innesta sugli elementi di corporatismo presenti nelle relazioni industriali degli anni 1915-1920. Come si diceva, vi sono poi alcune analogie tra le relazioni industriali del primo e del secondo dopoguerra, in merito alle quali il ruolo del fascismo nullo. Una di esse la prassi delle vertenze, che prevede, prima dellinizio delle trattative vere e proprie, la presentazione di un memoriale da parte del livello nazionale del sindacato operaio. A questo proposito occorre rilevare come nella seconda met del Novecento si affermi il termine di piattaforma (spesso utilizzato con lattributo rivendicativa), mentre tanto nellepoca pre-fascista quanto nel secondo dopoguerra a essere usata la parola memoriale. Infine doveroso citare un fatto che ha del sorprendente e che riguarda laccordo Buozzi Mazzini del 2 settembre 1943, il primo accordo del sindacato post-fascista. Con esso si reintroducono le commissioni interne abolite dal Patto di Palazzo Vidoni: gi questo un elemento simbolico di

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continuit con il biennio rosso, dato che il primo atto del sindacato operaio libero il ripristino di organismi eliminati dal fascismo. Il fatto sorprendente per un altro: come riveler Giuseppe Mazzini (in una lettera del 14 dicembre 1955 citata da Abrate), egli copi [laccordo] parola per parola da quello, non reso pubblico, predisposto nel 1920 da Agnelli, Buozzi e lo stesso Mazzini, che serv di base al patto poi firmato per porre fine alloccupazione delle fabbriche75. Diventa assai arduo sostenere che la caduta del fascismo rappresenti una cesura nella storia sindacale nel momento in cui il primo accordo (che anche uno dei principali) siglato dal sindacato libero viene concepito e scritto gi nel 1920. 5.3.3. Struttura e organizzazione del sindacato. Come si visto, lorganizzazione interna del sindacato post-fascista molto importante per comprendere il ruolo della politica nellazione sindacale e levoluzione stessa delle organizzazioni operaie nel dopoguerra76. Senza quindi riportare nuovamente elementi gi analizzati, bene effettuare alcune annotazioni e riflessioni al fine di cogliere come anche la struttura della CGIL discenda direttamente dalle esperienze fascista e pre-fascista. Una caratteristica che contraddistingue il sindacato del secondo dopoguerra il deciso accentramento di potere a livello nazionale. Non si pu dire per che si tratti di uninnovazione: la FIOM e le altre principali federazioni di categoria hanno una struttura molto accentrata gi nel biennio rosso, in seguito allesperienza del comitato nazionale di mobilitazione e in virt dellaffermarsi della contrattazione collettiva nazionale; il sindacato fascista non fa che accentuare e consolidare in seguito una tendenza gi esistente nel sindacalismo libero. Nel 1943 e nel 1944, con la gestione
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M. Abrate, op. cit., pp. 461-462. Abrate cita la lettera di Mazzini come da lui reperita nel Carteggio Buozzi-Mazzini contenuto nellArchivio Storico dellUnione Industriale di Torino. Purtroppo oggi, a quarantanni dalla redazione del libro di Abrate, il carteggio sembra essere andato perduto da tale archivio. 76 Cfr. 4.3.1.

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commissariale prima e con il Patto di Roma poi, i sindacalisti si trovano nella condizione di chi riprende in mano una struttura gi centralizzata. Naturalmente non si pu pensare che essi accettino il centralismo passivamente, tant vero che questo viene esasperato fino al limite per cui ogni livello locale dellorganizzazione riceve direttive da quello nazionale, in una sorta di democrazia rovesciata. La CGIL post-fascista trova nella struttura accentrata gi esistente lassetto ideale per la gestione della difficile fase della ricostruzione. Infatti con il centralismo organizzativo e contrattuale il sindacato ha la possibilit di esercitare appieno il proprio ruolo economico nazionale, fornendo a Stato e Confindustria unassoluta affidabilit in merito al rispetto degli accordi in ogni territorio e settore produttivo. Inoltre il sistema accentrato viene mantenuto poich lunico che non consente alcuna fuga in avanti da parte dei sindacati locali, permettendo quindi che le componenti interne siano garantite riguardo alla linea elaborata a Roma. Occorre per rilevare che i leader della CGIL unitaria possono adattare alle proprie esigenze laccentramento ereditato dal fascismo anche perch conoscono lesperienza del periodo pre-fascista, in cui proprio la centralizzazione contrattuale la chiave per dare rappresentanza alle istanze di uguaglianza presenti tra le masse operaie. Il centralismo strettamente connesso alla prevalenza, nella CGIL postfascista, delle strutture orizzontali: il combinato disposto delle due tendenze il predominio della confederazione nazionale da un lato sui sindacati locali, dallaltro sulle federazioni di categoria. A prima vista questo pu apparire un elemento di discontinuit rispetto allepoca pre-fascista, in cui a prevalere sono i sindacati di settore (tanto che la CGL stessa ammette di avere un ruolo di segretariato intersindacale). Alcune precisazioni permettono per di comprendere come la discontinuit sia perlomeno parziale. Prima di tutto la scelta del modello orizzontale avviene in seguito a un dibattito anche aspro allinterno della CGIL tra federalisti e confederalisti (la corrente cattolica arriva

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a parlare di accentramento inorganico e dittatoriale)77, dato che come rilevano Treu e Romagnoli il modello verticale radicato nella storia del movimento sindacale italiano non meno del modello orizzontale78. Se lassetto confederale prevale per motivi legati soprattutto a esigenze politiche e in particolare al timore delle varie componenti che alcune federazioni possano adottare politiche di categoria senza rispettare accordi ed equilibri difficilmente raggiunti a livello centrale. A ci si aggiunge la carenza di quadri allinterno del movimento sindacale, con la conseguente impossibilit a dare vita subito a federazioni strutturate. Entrambe queste cause hanno un carattere contingente, tant vero che gi nel 1946, a fronte dellimpraticabilit di impostare una vertenza economica richiedendo aumenti salariali identici per tutta lindustria, Di Vittorio a restituire forza alle federazioni, ritenendo che la contrattazione di categoria fosse pi efficace in quanto pi aderente alla realt. Il parziale cambiamento di linea, oltre che indotto da un contesto economico di stasi produttiva, possibile perch tra il 1944 e il 1946 le federazioni riescono gradualmente a ricostituirsi. Il fatto che esse giungano per ultime a strutturarsi allinterno della CGIL ricorda lo sviluppo delle stesse prima del fascismo: meno rilevanti delle camere del lavoro nel primo decennio del Novecento, crescono lentamente fino al 1914 e si sviluppano poi velocemente durante la (e grazie alla) mobilitazione industriale. Si potrebbe sostenere che tra la CGL pre-fascista, dotata pi che altro di funzioni di coordinamento, e la forte CGIL post-fascista vi sia una differenza in grado di dimostrare che solo la seconda svolge un ruolo economico nazionale. Tale opinione per priva di fondamento, poich la struttura interna delle organizzazioni sindacali utile per comprenderne obiettivi e modalit di azione, ma non il ruolo esercitato dal movimento sindacale nel suo complesso. Il paragone va dunque effettuato tra i livelli nazionali (comprensivi di federazioni e confederazione) nei due periodi, o se si vogliono prendere a esempio le
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Lettera di De Gasperi a Pastore, riportata in G. Pastore, op. cit., p. 35. U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 127.

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organizzazioni pi forti tra la FIOM di Buozzi e la CGIL di Di Vittorio. Si pu verificare allora che in entrambe le epoche il sindacato operaio italiano ha un ruolo economico nazionale: nel primo dopoguerra esso viene conquistato, nel secondo dopoguerra semplicemente seppur con una parzialmente diversa organizzazione interna confermato. Laccordo del 1947, che limita le competenze delle commissioni interne, pu apparire come lindicatore di un elemento nuovo allinterno del sindacato: il dualismo tra la struttura nazionale e la presenza sindacale nelle fabbriche. Nel ricordare che le commissioni interne si affermano e vengono riconosciute tra il 1917 e il 1919, tanto che laccordo Buozzi Mazzini del 1943 non fa che reintrodurle, occorre altres rimarcare che la concorrenza tra sindacato esterno e interno agli stabilimenti una delle principali caratteristiche del biennio rosso. Anzi, in alcune localit (prima tra tutte Torino) si sviluppa un dualismo esasperato tra la FIOM nazionale e il movimento dellOrdine Nuovo, tanto che esso rappresenta con il suo portato di conflittualit non controllata uno dei fattori scatenanti della reazione borghese culminata con lavvento del fascismo. La principale differenza tra i due dopoguerra a questo riguardo sta nellorigine del dualismo: durante il biennio rosso sono i consigli di fabbrica a contestare il sindacato nazionale, mentre nel secondo dopoguerra la CGIL a tentare di depotenziare le commissioni interne. Ancora una volta, per, la diversit ha una motivazione politica, considerato che lavversione al sindacato nelle fabbriche un punto irrinunciabile dellideologia comunista applicata alle organizzazioni operaie, poich come molti esponenti del PCI affermano il sindacato nel luogo di lavoro porta a rivendicazioni particolari mentre la CGIL deve promuovere la solidariet allinterno del proletariato. Come si pu notare, i limitati elementi di novit fin qui riscontrati nel sindacato post-fascista, che pure non permettono di parlare di una cesura rispetto al passato, afferiscono alla categoria della politica. Dellinfluenza della

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politica sullevoluzione del sindacato si dir in seguito79, ma necessario rilevare sin dora come fa Zaninelli che loperazione unitaria [d] una adeguata copertura ideologica e partitica ad una struttura di sindacalismo unico che [viene] ereditata senza soluzione di continuit dal passato80. Secondo Rapelli ci permette alla CGIL di godere della mentalit del sindacato unico lasciato dai fascisti81. Che si erediti parte della psicologia sindacale dal periodo fascista inevitabile, dato che la concezione che i lavoratori hanno di un soggetto collettivo come il sindacato varia pi lentamente delle strutture e dellazione del sindacato stesso. Vi sono per alcuni aspetti legati alla mentalit del sindacato unico che non si possono ignorare. Il primo quello che Horowitz definisce come la psicologia della tessera discrizione: Per alcuni anni [...] continu a permanere la psicologia della tessera discrizione. La necessit in periodo fascista alliscrizione ai sindacati legali [...] per ottenere un impiego aveva sufficientemente attecchito, tanto che, pur nella nuova atmosfera di libert, i lavoratori giudicarono pi sicuro continuare nellabitudine della tessera discrizione, questa volta alla CGIL82. Linterpretazione di Horowitz non per sufficiente a spiegare il maggior numero di iscritti alla CGIL nel 1947 (ufficialmente 5.735.000) rispetto alle 2.200.100 adesioni alla CGL nel 1920. Il dato motivato anche dalla natura unitaria del sindacato della CGIL post-fascista, che cos ricomprende anche i molti contadini tradizionalmente vicini al movimento sindacale cattolico: si ricordi infatti che la CGL del biennio rosso una confederazione composta per la stragrande maggioranza da operai. Inoltre occorre considerare che molti militanti di sinistra coltivano la speranza di condurre la ricostruzione del Paese su basi solidaristiche, con un ruolo importante per il sindacato. Va infine rilevato che il confronto non del tutto

Cfr. 5.4. S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 281. 81 G. Rapelli in G. Di Vittorio, G. Pastore, I. Viglianesi, G. Rapelli, F. Santi, E. Parri, G. Canini, I sindacati in Italia, in sette saggi, ed. Laterza, Bari, 1955, p 247. 82 D. Horowitz, op. cit., p. 546.
80

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attendibile, poich come si gi spiegato le cifre fornite dalla CGL prefascista sono sottostimate. Horowitz attribuisce una valenza di eredit psicologica del fascismo anche alla negligenza verso i problemi locali dellorganizzazione83, ma tale spiegazione meno convincente dellinsieme di motivi gi illustrati in merito alla scelta centralistica della CGIL. In generale anche dal punto di vista strutturale, non sembrano affiorare elementi di cos netta discontinuit tra il ruolo nazionale del sindacato postfascista e le esperienze precedenti, come alcuni commentatori pur talvolta tra le righe ammettono. Lo stesso Di Vittorio parla di sindacati liberi di oggi [...] ammaestrati dallantica esperienza84, cos come Horowitz rileva che lintervallo di una generazione [lascia] sorprendetemente ancora viva limpronta del passato85 e che, in riferimento alla CGL pre-fascista, essa seppe affondare sufficientemente e profondamente le sue radici nelle tradizioni dei lavoratori italiani da lasciare un forte patrimonio ai sindacati dellItalia post-fascista, malgardo fossero trascorsi ventanni di inattivit sindacale86. Tale patrimonio influisce anche sul dibattito che si sviluppa nel sindacato postfascista, tanto che in merito alla scelta della natura giuridica si pu rilevare come una soluzione privatistica in senso stretto risulti poco credibile perch estranea a tutta la tradizione sindacale italiana87. Daltra parte anche lo sviluppo delle lotte di Resistenza nelle fabbriche del nord nel 1943, connesso alla ricostituzione autonoma delle commissioni interne, possibile perch vi la memoria di una tradizione organizzativa che si era mantenuta viva88. Un ruolo in tutto questo occorre attribuirlo anche ai massimi dirigenti sindacali: se si esclude Di Vittorio, che durante il biennio rosso un sindacalista rivoluzionario del movimento bracciantile pugliese, chi ricostituisce il
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Ibidem, p. 527. G. Di Vittorio, Funzioni e prospettive dellunit sindacale, in Rinascita (1945), come riportato in S. Bartolozzi Batignani, op. cit., p. 278. Di Vittorio fa naturalmente riferimento allesperienza pre-fascista. 85 D. Horowitz, op. cit., p. 546. 86 Ibidem, pp. 116-117. 87 U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 22. 88 S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 265.

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sindacato libero sono Buozzi e Grandi, gli ultimi segretari della CGL e della CIL prima dello scioglimento, che si trovano a relazionarsi con Mazzini, presidente della Lega Industriale dal 1919. Pur con ventanni di regime a dividere i due periodi, sarebbe difficile pensare che le stesse persone che guidano il sindacato pre-fascista strutturino poi quello post-fascista con modalit e principi del tutto diversi. Come sostiene Pepe, la CGIL unitaria d la misura esatta del non completo rinnovamento della struttura e della linea sindacale nei confronti di una tradizione e di una prassi culminata nellordinamento sindacale fascista89. 5.3.4. Prassi e temi della contrattazione collettiva. Data la struttura sindacale fortemente centralizzata, e considerate le relazioni industriali che risentono delleredit corporativa, la contrattazione nel secondo dopoguerra non pu che essere, come gi nel biennio rosso, collettiva e nazionale. Linquadramento dei lavoratori ai fini del calcolo della retribuzione dunque semplificata: se nel 1919 i concordati dividono gli operai in qualificati e non, laccordo interprovinciale dell8 luglio 1945 differenzia lindennit di contingenza solo tra operai e impiegati90. Con il passare del tempo, il ritorno in auge della contrattazione collettiva nazionale di categoria porter con s nuovamente la suddivisione in base al grado di professionalizzazione della manodopera. I concordati interconfederali di perequazione salariale (quello del 6 dicembre 1945 per il nord e quello del 23 maggio 1946 per il centro-sud) contengono due elementi di continuit con gli accordi pi importanti del biennio rosso. Prima di tutto con essi vengono fissati a livello nazionale aumenti retributivi per tutta lindustria, evidenziando alcune differenze settoriali cui devono attenersi i successivi contratti di categoria: la prassi la
89 90

A. Pepe, La Cgil dalla ricostruzione alla scissione (1944-1948), cit., p. 595. Per questo e per i successivi accordi citati, cfr. 4.3.2.

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medesima del

concordato che pone

fine,

nel settembre del

1920,

alloccupazione delle fabbriche, cui fa seguito (per il settore metalmeccanico) il contratto nazionale siglato il 1 ottobre. Inoltre i concordati interconfederali nazionali normano differentemente gli aumenti salariali per le diverse regioni (in tutto si creano quattro macroregioni): identica impostazione si ravvisa nellaccordo nazionale metalmeccanico del 27 settembre 1919, siglato a Roma alla presenza del ministro del lavoro e valido per la Lombardia e lEmilia. La tendenza della contrattazione nazionale a regolamentare anche questioni particolari di un settore o di un territorio dunque ricontrabile gi nelle prassi negoziali tipiche del biennio rosso (e figlie di quelle della mobilitazione industriale). Occorre poi rilevare che a partire dal 1947 si ricomincia a diffondere la contrattazione nazionale di categoria, come gi avviene prima del fascismo, a partire dalla fine del 1918. Per quanto concerne gli ambiti di negoziazione, il secondo dopoguerra per forza di cose meno ricco di spunti rispetto al biennio rosso: da un lato alcune conquiste del periodo pre-fascista, come le ferie pagate, sono rimaste, dallaltro la situazione economica tale da far concentrare il sindacato sugli aspetti pecuniari (lotta al caro-vita e aumenti salariali), rimandando a momenti migliori le battaglie sulle condizioni di lavoro e sulle tutele sindacali. Un tema in particolare attraversa le vertenze sindacali dal 1944 al 1946: la scala mobile, conquistata faticosamente con i concordati interconfederali gi citati. Anchessa in verit non rappresenta una novit per gli operai italiani: gi con la mobilitazione industriale del 1915-1918 si stabilisce ladeguamento automatico dellindennit del caroviveri. In definitiva si pu affermare che la CGIL rileva dal fascismo la struttura centralizzata del contratto collettivo91, che si impone gi negli anni 1915-1920. Daltra parte sarebbe strano non fosse cos, dato che la contrattazione un insieme di prassi ed legata indissolubimente alle modalit
91

D. Horowitz, op. cit., p. 546.

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con cui si tengono le relazioni industriali. A rafforzare tutto ci giunge un decreto del 1944, il cui portato sintetizzato da Treu e Romagnoli: Di solito, si sottovaluta che la vischiosit e quindi la resistenza al cambiamento della struttura del sistema contrattuale creato dal sindacalismo fascista si sono accresciute per effetto di un provvedimento legislativo del novembre 44 che, pur abrogando lordinamento corporativo, mantiene indefinitamente in vigore i contratti collettivi stipulati dalle disciolte organizzazioni sindacali. Il provvedimento, infatti, se da un lato era necessario per non privare i lavoratori di un trattamento economico-normativo minimo garantito, dallaltro ha disegnato in anticipo la strada su cui si sarebbero obbligatoriamente incamminati i negoziatori sindacali: la strada delle modifiche parziali allinterno del sistema contrattuale dato92.

5.3.5. Una rilettura del Patto di Roma. Cos come in precedenza si mostrata la cesura operata dal periodo 1915-1920, in seguito al quale il sindacato operaio conquista un ruolo economico nazionale, si ora verificata lassenza di una simile cesura per quanto concerne gli anni 1943-1947. Poich al Patto di Roma del giugno 1944 viene attribuita la valenza di novit e di apripista al moderno sindacalismo industriale, necessario riconsiderarlo brevemente in merito al tema preciso del ruolo economico nazionale del sindacato. Spesso, in maniera pi o meno esplicita, il Patto di Roma viene presentato come la felice intuizione dei dirigenti sindacali comunisti, socialisti e democristiani, i quali si rendono conto che necessario dare vita a un forte sindacato libero e unitario, che abbia una funzione nazionale e che concorra cos alla ricostruzione del Paese e allo sviluppo del sindacalismo moderno. Indubbiamente nella situazione italiana del 1944 un sindacato unico, dunque pi forte e radicato, pu essere determinante per la ripresa dellattivit produttiva e per la tenuta del tessuto sociale, cos come non si pu negare la capacit strategica di leader del calibro di Buozzi, Grandi, Di Vittorio.
92

U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 195.

175

Per si ha limpressione che lenfasi posta intorno al Patto di Roma sfoci talvolta in una concezione deterministica della storia, in base alla quale nel 1944 si realizza un accordo tra le maggiori forze politico-sindacali affinch il sindacato possa avere poi un ruolo fondamentale nella ricostruzione del Paese. Naturalmente il nesso tra i due aspetti esiste, ma un nesso causa-effetto, non certo scopo-risultato. Uninterpretazione analoga dovrebbe allora portare ad affermare che nel 1915 la FIOM entra nei comitati di mobilitazione industriale al fine di conquistare un ruolo economico nazionale: certamente quella scelta ha unimportanza notevole per quanto concerne la funzione nazionale che il sindacato si trova ad assumere, ma questo Buozzi nel 1915 non pu ancora saperlo. Le scelte si effettuano in base agli obiettivi che la situazione contingente permette di elaborare: nel 1944 sono dunque altre le esigenze che portano alla stipula del Patto di Roma. Il Patto nasce quindi da necessit contingenti gi citate. Alcune sono di natura prettamente sindacale: democratizzare un sindacato ancora espressione diretta dello Stato (a maggior ragione dal momento che lo Stato ancora non ha un ordinamento vero e proprio)93; mantenere la validit generale dei contratti collettivi (per cui fondamentale un sindacato unico); dare una sorta di copertura idelogica e partitica allo stesso sindacato unico ereditato dal fascismo. A ci si aggiunge lesigenza di mantenere saldamente unito il fronte antifascista, poich la guerra continua e il nord Italia ancora sotto occupazione nazista, e da parte di PCI e DC la volont di conquistare legemonia dellintero movimento sindacale. Eppure non bastano nemmeno queste determinanti del Patto di Roma per comprenderne del tutto le origini: non un caso infatti che proprio quella sia la risposta data alle esigenze pocanzi illustrate. La nascita della CGIL unitaria risente fortemente dellevoluzione sindacale passata, ad essa si arriva perch il sindacato capace di esercitare un ruolo economico nazionale una realt gi
93

Fino allelezione dellAssemblea Costituente del 1946, il governo risponde sostanzialmente a un comitato che riunisce i partiti antifascisti e alcuni esponenti sindacali.

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esistita nel Paese prima del fascismo e che il regime non ha potuto eliminare. Il ventennio pu essere dunque visto come una parentesi lunga, ma non abbastanza da cancellare tradizioni, persone, prassi. A queste esperienze, che sono poi quelle di Buozzi, Grandi e altri dirigenti, si fa riferimento nel 1944 per concordare le modalit di lavoro del rinato sindacato libero.

5.4. Il ruolo della politica. Nella prefazione alledizione del 1972 della Storia del movimento sindacale in Italia di Daniel Horowitz, Umberto Romagnoli elogia lautore per aver esattamente compreso che la pi costante caratteristica dellevoluzione del movimento sindacale italiano risiede nellintimo rapporto tra questultimo e i partiti politici94. Laffermazione in parte oggettivamente corretta, dato che la visione di Horowitz fa dipendere ogni aspetto dellazione sindacale dalla linea del PSI prima del fascismo e di DC, PCI e in misura minore PSI dopo. Ciononostane bene considerare che il periodo in cui Romagnoli scrive percorso da grandi lotte sindacali, nelle quali i partiti politici hano un peso rilevante, al fine di relativizzare la sua affermazione. La relativizzazione delle parole di Romagnoli imporante, poich sostenere che la storia del sindacato operaio italiano sia legata a filo doppio a quella dei partiti perlomeno azzardato. Naturalmente la politica ha un ruolo nellevoluzione del movimento sindacale, ma non necessario analizzare la storia di quella per comprendere questa, soprattutto se loggetto di studio sono le determinanti e lo sviluppo del ruolo economico nazionale del sindacato operaio in Italia. Per riflettere sul rapporto tra sindacato e politica in merito a ci occorre prima procedere a considerazioni di carattere pi generale. La politica non coincide con i partiti politici, per quanto spesso i due termini vengano utilizzati quasi come sinonimi. Politica ha a che fare con la polis, con la citt, e quindi con la cittadinanza, intesa come cittadinanza attiva
94

U. Romagnli in D. Horowitz, op. cit., p. VII.

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che mira a orientare il funzionamento e gli obiettivi dello Stato. Rientrano nella categoria della politica i movimenti sociali e di classe: in questo senso le aspirazioni collettive di una massa coinvolgono i singoli individui nei diversi status che essi hanno, dunque ad esempio sia come operai, sia come elettori, sia come giovani. Tali movimenti politici esigono una rappresentanza plurale come plurali sono le categorie della cittadinanza: i partiti operano cos una rappresentanza generale attraverso le forme della democrazia e i sindacati una rappresentanza professionale (o di classe) attraverso le vertenze. Da questo punto di vista la politica ha un ruolo fondamentale nellevoluzione del movimento sindacale, che non si svilupperebbe e non si imporrebbe se non dovesse dare voce ai grandi movimenti popolari che a partire dal diciannovesimo secolo chiedono giustizia sociale e uguaglianza. Questa la politica che non si pu ignorare se si vuole affrontare la storia del sindacato italiano: sarebbe difficile altrimenti comprendere qual la determinante ultima della richiesta sindacale di istituire strumenti di controllo operaio sulla produzione. Viceversa, sarebbe riduttivo interpretare la battaglia sulla riduzione dellorario di lavoro a parit di salario come la rappresentanza sindacale di unistanza pecuniaria, senza considerare che essa strettamente connessa a una lotta politico-culturale sul diritto al tempo libero e pi in generale sulla liberazione delluomo dallalienazione derivante dal passare dodici ore in fabbrica. Ci sono poi i partiti, o meglio dato che i partiti sono composti spesso dagli stessi operai iscritti al sindacato i dirigenti dei partiti, che sicuramente influenzano il sindacato per le esigenze del partito e attraverso strategie a lungo termine o pi frequentemente tattiche contingenti. Latteggiamento del Partito Comunista nel secondo dopoguerra paradigmatico in questo senso, sebbene anche in tale ambito occorre considerare che la tensione ideologica del PCI non limitata a Togliatti e agli altri leader, ma diffusa nella base del partito e anche del sindacato.

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Il ruolo dei partiti nellorientare lazione sindacale paragonabile a un rumore di fondo, tale per cui se ci si concentra su di esso non si sente nullaltro. Cos, se si prendono in considerazione le dichiarazioni dei dirigenti sindacali, i proclami ufficiali, le parole dordine pronunciate ai comizi, allora si nota subito la predominanza degli obiettivi politico-partitici su quelli economico-sindacali. Per quando ci si concentra sul suono che interessa, il rumore di fondo pu essere isolato: se si guarda alla sostanza delle vertenze, dei contratti, della struttura interna e delle relazioni industriali, il ruolo dei partiti nettamente ridimensionato. Certo, talvolta la loro influenza riguarda anche questi elementi, come dimostra la scelta di una struttura accentrata nazionalmente e orizzontalmente operata dalla CGIL nel periodo immediatamente successivo alla caduta del fascismo; bene per ricordare che la rigidit di tale struttura si allenta in tempi relativamente brevi, poich una scarsa autonomia delle federazioni di categoria non funzionale allazione del sindacato operaio. Non va dimenticato poi che lappartenenza e la militanza dei massimi dirigenti sindacali tanto prima quanto dopo il fascismo in partiti politici unarma a doppio taglio. Per un Giulio Pastore, che guida la scissione cattolica nel 1948 spinto da De Gasperi e dal Vaticano, ci sono Bruno Buozzi e Ludovico DAragona, che grazie alla loro autorevolezza sindacale riescono a impedire al Partito Socialista nel 1920 di indire la rivoluzione a partire dalloccupazione delle fabbriche. Daltra parte il sindacato operaio italiano ha sempre un numero di adesioni maggiore rispetto al partito (o ai partiti) di riferimento, per cui accade spesso che sia il partito a doversi adeguare alla linea sindacale per non inimicarsi le masse lavoratrici. In molti, non certo i soli Romagnoli e Horowitz, citano la politica dei partiti come un elemento fondante della storia sindacale italiana; eppure possibile, e forse auspicabile, spiegare lo sviluppo della CGL prima e della CGIL poi senza considerare pi di tanto le tattiche partitiche. Talvolta ci inevitabile: senza conoscere le posizioni, i timori e gli obiettivi di PCI e DC impossibile comprendere il dibattito sulla regolamentazione dello sciopero in

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senso alla CGIL tra il 1947 e il 1948. Pi spesso, per, ignorare i partiti permette di andare a fondo per quanto concerne lindividuazione dei fondamenti ultimi delle diverse scelte operate dal sindacato, ossia: tendenze e congiuntura economiche, tessuto sociale e aspirazioni delle classi, ruolo e comportamento delle controparti (essenzialmente Stato e industriali). Se si utilizzano queste categorie per interpretare lo sviluppo sindacale non si rischia di sottostimare il ruolo della politica, anzi: si valorizza la politica intesa come idee che si diffondono e che i lavoratori per primi fanno proprie (basti pensare allaffresco di Einaudi del movimento socialista nel biellese a fine Ottocento), ma si escludono le mere tattiche contingenti che impedirebbero di cogliere i cambiamenti di portata storica. Per tornare alloggetto di ricerca, il fatto che molti osservatori vedano nella caduta del fascismo una cesura anche per la storia sindacale dipende da un elemento che contraddistingue il sindacato dal 1943 al 1947: il carattere politico unitario. Esso, come si detto, deriva in parte dallesigenza di legittimare politicamente il sindacato unico che i commissari antifascisti ereditano dal regime, ma questa interpretazione, per quanto condivisibile, rischia di essere riduttiva se considerata da sola: la maggiore motivazione alla base della scelta unitaria infatti lesigenza di mantenere lunit degli antifascisti, per vincere la guerra prima e per affrontare insieme i problemi della ricostruzione poi. Che comunisti, socialisti e democristiani diano vita a unesperienza sindacale unitaria, seppur breve, un fattore di novit per il movimento dei lavoratori italiani. Se per si guarda in particolare al sindacalismo operaio, tale novit assume un diverso significato, visto che la rappresentanza degli operai prima del fascismo non vede divisioni politiche di grande rilievo. Infatti gli iscritti al sindacato cattolico CIL, legato al Partito Popolare di Don Sturzo, non solo sono in numero decisamente inferiore rispetto alla CGL, ma per l80% si tratta di agricoltori (di cui, tra laltro, solo il 10% braccianti). Nei comparti pi dinamici (meccanico, siderurgico, metallurgico, chimico) la rilevanza della CIL pressoch nulla. Per quanto

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riguarda invece la divisione tra sindacalisti riformisti e rivoluzionari occorre prima di tutto considerare che il PCI nasce solo nel 1921 (prima di allora c una forte presenza di massimalisti nel PSI); a ci si aggiunga questo intervento di Di Vittorio del 1944 (che pure nel biennio rosso era un sindacalista rivoluzionario): Riferendoci alla divisione del periodo prefascista, non teniamo conto delle scissioni secondarie che si verificarono nellambito del movimento sindacale che possiamo genericamente definire rosso, come la scissione anarchico-sindacalista, lautonomismo del Sindacato ferrovieri e di altre federazioni e camere del lavoro. Queste scissioni, secondarie nello stesso campo classista, avevano il carattere dopposizione allindirizzo riformista e accentratore della vecchia Confederazione generale del lavoro; opposizione che avrebbe potuto (e dovuto) esercitarsi allinterno della stessa Confederazione, attorno alla quale tutti i sindacati classisti, secessionisti od autonomi, non cessavano di gravitare. Del resto, queste scissioni erano, sotto certi aspetti, una espressione della crisi di sviluppo del movimento operaio moderno ed erano in corso di superamento, giacch la vecchia Confederazione generale del lavoro, tra il 1921 e il 1923, andava gradualmente riassorbendo tutti i sindacati e parti di essi che se nerano staccati in precedenza95. Le parole di Di Vittorio vanno soppesate, dato che larticolo volto a illustrare e difendere il Patto di Roma, ma certamente da esse si comprende che le divisioni del sindacalismo di sinistra prima del fascismo non sono poi cos rilevanti. Dunque per il sindacato operaio lunit politica non una vera novit; semmai lelemento inedito la concorrenza tra i diversi partiti per conquistare il consenso ed esercitare unegemonia nei confronti dei lavoratori dellindustria, prima del regime schierati in gran parte con i socialisti. Adolfo Pepe attribuisce il valore di assoluta novit allunit sindacale sostenendo che precedentemente non era mai esistita unorganizzazione che raggruppasse forze di ispirazione cattolica, socialista e comunista, formalmente autonoma dai partiti politici, dallo Stato, dal governo e indipendente dal sistema

95

G. Di Vittorio, Premesse dellunit del movimento sindacale, in Rinascita (luglio 1944), riportato in S. Zaninelli, Politica e organizzazione sindacale: dal 1943 al 1948, cit., p. 269.

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economico96. Sullunit politica del movimento operaio pre-fascista si gi detto. Occorre quindi analizzare brevemente laffermazione di Pepe in merito alla supposta innovazione rappresentata dallautonomia e indipendenza della CGIL unitaria. Lautonomia dai partiti , come Pepe ammette, formale: di fatto sono i partiti a nominare i dirigenti sindacali fino al 1947 tanto che vi la rappresentanza paritetica delle tre correnti in tutti gli organismi. La CGL prefascista da questo punto di vista molto pi autonoma: nel 1918 sigla unintesa con il PSI in cui vengono chiaramente divisi i rispettivi ambiti dazione e si trova poi ad assumere spesso posizioni distanti da quelle del partito. Quanto allautonomia dallo Stato e dal governo, si pu dire che il Patto di Roma riporta il sindacalismo italiano nellalveo delle libere organizzazioni dopo lesperienza del sindacato fascista statale, ma non si pu certo affermare che la CGL prefascista fosse subordinata al governo. Per quanto concerne lindipendenza dal sistema economico, le parole di Pepe risultano incomprensibili: lazione sindacale verte principalmente su materie economiche, per cui lorganizzazione operaia non pu che dipendere anche dalla struttura e dallandamento congiunturale delleconomia. Se Pepe, come si pu ipotizzare, si riferisce alle relazioni industriali, si deve allora rilevare come il sindacato italiano non sia mai stato subalterno alle organizzazioni padronali, trovandosi anzi spesso, durante il biennio rosso, a occupare una posizione di forza nei negoziati con la Confindustria. Se si osserva laltra faccia della medaglia del rapporto tra organizzazioni operaie e politica nel secondo dopoguerra, ovvero il modo con cui i partiti si occupano del sindacato, assume una grande importanza il dibattito sulla natura giuridica di questultimo in sede di Assemblea Costituente. A titolo di esempio vale larticolo 39, che nasce con un forte limite, poich prevede una registrazione che i sindacati si rifiuteranno sempre di chiedere. Il motivo di tale fallimento spiegato, come sostengono Treu e Romagnoli, dal fatto che i costituenti [...] abbiano guardato meno al futuro che al passato come si desume
96

A. Pepe, Lavoro, sindacato e istituzioni nella storia italiana ed europea, cit.

182

dal dibattito [che] mostra una palese dipendenza dalla tradizione giuridicopolitica corporativa e precorporativa97. Anche gli esponenti politici, quindi, immaginano il sindacato facendo riferimento allesperienza della CGL prefascista. Non rimane infine che rispondere a un interrogativo, che riguarda il motivo per cui la storiografia sindacale italiana attribuisca unimportanza decisamente maggiore allesperienza di unit politico-sindacale degli anni 1943-1947 rispetto alla conquista di un ruolo nazionale da parte del sindacato degli anni 1915-1920. Si pu azzardare uninterpretazione del tutto soggettiva, che abbia alla base la considerazione secondo cui ogni storico, nellindagare il passato, condizionato dalle domande del presente. Lelemento da osservare quindi il periodo storico in cui vengono elaborati la maggior parte degli studi e delle riflessioni sulla storia sindacale: gli anni della cosiddetta Prima Repubblica (1946-1994). A partire dal 1948 si hanno tre sindacati (CGIL, CISL, UIL), in concorrenza tra loro ma pronti a collaborare quando necessario, e la permanenza ininterrotta al potere della Democrazia Cristiana (cui si aggiungono i socialisti a partire dagli anni 60), alla quale corrisponde una continua opposizione da parte dei comunisti. Il cambio di posizione dei socialisti ha una rilevanza relativa, dato che il PSI perde con il tempo molta della forza che aveva prima del fascismo. Non si tratta comunque di un periodo omogeneo da un punto di vista politico e sindacale: in particolare con lautunno caldo del 1969 inizia un decennio difficile, contraddistinto dal terrorismo rosso e nero (di cui il primo presente e in alcuni casi radicato allinterno delle fabbriche) e da un forte movimento sindacale, che porta avanti anche istanze generali. Rispetto a tutto ci, andando a ritroso nel tempo, il fascismo rappresenta una tragica cesura, prima della quale vi una sorta di generico postrisorgimento, nel quale si identificano i periodi delle et giolittiana, crispina e della destra storica. Dunque chi studia la storia sindacale immerso nella Prima
97

U. Romagnoli T. Treu, op. cit., p. 36.

183

Repubblica potrebbe essere naturalmente portato ad attribuire una maggiore rilevanza alle fasi di sviluppo di tale periodo rispetto alle fasi storiche ad esso antecedenti. Questo per pare essere un argomento utile a spiegare la maggiore produzione storiografica sul sindacato dal 1943 in poi, non lo scarso valore attribuito al sindacato pre-fascista da quegli storici che considerano un orizzonte temporale pi ampio. Occorre allora osservare pi approfonditamente alcuni caratteri degli anni della Prima Repubblica. In tale periodo, come si detto, le forze politiche predominanti sono i democristiani e comunisti. La loro egemonia non riguarda solo i risultati elettorali: essa allo stesso tempo politica e culturale, e ad essa fa fronte la sconfitta culturale del socialismo. Cos la cultura socialista e socialdemocratica, attenta ai diritti sociali cos come a quelli individuali e quindi fortemente legata al concetto di libert e di autonomia dai condizionamenti esterni, lascia il posto a quelle democristiana e comunista, accomunate da alcuni tratti salienti: limportanza del collettivo (la famiglia per i primi, il partito per i secondi), delle ideologie intese come dogmi, dei riferimenti esterni da cui attingere legittimit e a cui rendere conto (il Vaticano, lUnione Sovietica). Legemonia di queste due culture riguarda anche, e non pu essere altrimenti, gli intellettuali e quindi gli storici. Daltra parte la storia la scrivono i vincitori. Si pu ipotizzare che sia per questo motivo che la storia scritta durante la Prima Repubblica troppo spesso attribuisca grande importanza al periodo in cui il sindacato inizia ad essere egemonizzato dalle culture comunista e cattolica, mentre tende a sminuire il valore del grande sviluppo pre-fascista del sindacato socialista, forse pi libero e autonomo rispetto alla politica98.

Riguardo alla differente concezione dellautonomia sindacale tra socialisti e comunisti, desempio la considerazione effettuata da Buozzi al congresso della CGL del 1921, che segue di un mese la scissione comunista dal PSI: I comunisti odierni sopravalutano il movimento politico al punto da considerare i sindacati come degli strumenti ciechi dellazione del partito (B. Buozzi, intervento al V congresso della CGL, Livorno, 26 febbraio-3 marzo 1921, riportato in A. Forbice, Sindacato e riformismo. Bruno Buozzi, scritti e discorsi (1910-1943), ed. Franco Angeli, Milano, 1994).

98

184

A ci pu essere affiancata linterpretazione di Stefano Musso, che rileva come il dato da tenere in conto sia la scarsa produzione storiografica italiana in merito al sindacato. Gli studi effettuati dal secondo dopoguerra sino allinizio degli anni Settanta sono in numero limitato e tendono a investigare levoluzione del movimento operaio dopo il fascismo, al fine di comprendere le dinamiche che caratterizzano levoluzione del sindacato negli anni in cui si scrive. A partire dallautunno caldo, in cui emerge un protagonismo degli operai allinterno delle fabbriche, spesso in opposizione alle strutture sindacali, si iniziano a indagare maggiormente i temi della conflittualit operaia e della rappresentanza spontanea dei lavoratori nelle aziende, cominciando cos a considerare alcuni aspetti del movimento sindacale pre-fascista. Solo negli anni 80 la storiografia inizia a considerare il sistema di relazioni sociali instaurato dal fascismo e con esso il sindacato di regime, allargando lorizzonte storico fino a studiare lo sviluppo sindacale pre-fascista e le relazioni industriali durante la prima guerra mondiale99.

99

Conversazione con Stefano Musso.

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6. Conclusioni. La verifica dellesistenza di una cesura, quale che sia lambito e il periodo presi in considerazione, paragonabile allosservazione di due fotografie dello stesso soggetto scattate a pochi anni di distanza: maggiori sono le differenze (sia in termini quantitativi che qualitativi), maggiore la probabilit che si sia in presenza di un punto nodale, di un nuovo inizio. Listantanea che ritrae il sindacato operaio italiano prima della Grande guerra ha alcune caratteristiche peculiari: un movimento frammentato e dominato dal sindacalismo di mestiere; lassenza di significative occasioni di rapporti con lo Stato e di riconoscimenti sostanziali da parte delle organizzazioni padronali; una struttura interna che privilegia le camere del lavoro territoriali rispetto alle federazioni nazionali di categoria; la pressoch totale inesistenza di prassi di contrattazione collettiva. A occhio nudo si sta osservando la fotografia di un sindacato privo di un ruolo economico nazionale. Se si fotografa lo stesso sindacato operaio nel 1920, limmagine quasi irriconoscibile: un movimento nazionale composto da operai consci di essere ormai una classe sociale; relazioni consolidate con lo Stato e con la Confindustria a livello nazionale; una struttura forte di milioni di iscritti dominata dalle federazioni di categoria; la prassi ormai affermata della contrattazione collettiva nazionale, tramite cui ottenere conquiste storiche (le 8 ore, le ferie pagate, il riconoscimento delle commissioni interne). Una cesura avvenuta, tanto che la seconda istantanea connota chiaramente il sindacato operaio italiano come dotato di un ruolo economico nazionale e della capacit di svolgerlo in rappresentanza dei lavoratori. Tutto ci non rappresenta un fuoco di paglia, tant vero che il fascismo, che prende il potere nel 1922, non disconosce la funzione nazionale del sindacato: la strategia del regime volta a utilizzare tale ruolo per i propri fini di controllo e di indottrinamento delle masse, attraverso il riconoscimento giuridico del sindacato unico fascista.

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Anche a causa di tale politica attuata nel ventennio, la fotografia del sindacato operaio italiano nel secondo dopoguerra presenta sorprendenti similituini con quella scattata nel 1920: stabili relazioni con Stato e imprenditori, organizzazione accentrata a livello nazionale, milioni di iscritti, contrattazione collettiva nazionale. Inoltre nella foto si intravedono alcuni volti gi presenti pi di ventanni prima, come quelli di Buozzi e Grandi. Se alcune differenze vi sono, quelle di natura strutturale dipendono in gran parte dalleredit fascista, quelle contingenti e di breve durata dallinfluenza della politica. La terza istantanea mostra dunque un sindacato con un ruolo economico nazionale, quello stesso ruolo riconoscibile nella foto del 1920: non si verificata una cesura. Con questo riassunto fotografico della ricerca effettuata e dei risultati conseguiti si vuole sottolineare che, a discapito della grande attenzione riposta dalla storiografia sindacale verso le novit del sindacato post-fascista, lunica vera cesura della storia del sindacato operaio italiano, in termini di acquisizione di un ruolo economico nazionale, avviene negli anni tra il 1915 e il 1920. Da quel periodo in poi il movimento sindacale in Italia svolge una funzione imprescindibile per comprendere lo sviluppo economico e sociale del Paese. In conclusione appare doveroso un tributo alla figura forse pi importante del sindacalismo italiano. Si tratta di Bruno Buozzi: nato nel 1881 in Emilia, dove inizia a lavorare allet di dieci anni; giunto quindicenne a Milano, citt in cui si avvicina al sindacato metallurgico e alle idee del socialismo riformista; segretario generale della FIOM nel 1910 e della CGL nel 1924; infine leader del rinato sindacato libero nel 1943 fino allassassinio da parte dei nazisti, avvenuto negli stessi giorni della firma del Patto di Roma, di cui uno dei padri indiscussi. A Buozzi, alle sue battaglie e alla sua capacit, deve molto il sindacato operaio italiano, anche per quanto concerne la conquista di un ruolo nazionale negli anni tra il 1915 e il 1920.

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Nellintervento che apre, il 24 aprile 1924, lultimo congresso nazionale della FIOM prima dellinevitabile decisione di scioglimento, Buozzi effettua un passaggio che pu essere considerato una sorta di testamento sindacale. In esso sono contenute le tante conquiste che danno il segno del ruolo nazionale del sindacato di quellepoca, con un corollario che racchiude in s il significato di questa ricerca: Di ci che stato conquistato dalle organizzazioni, qualche cosa resta. Per, le otto ore sono insidiate soprattutto dal decreto emanato dallattuale Governo, sia per le numerose deroghe in esso contemplate, sia per la limitata percentuale fissata per le ore straordinarie, dimodoch, esso risulta notevolmente peggiore di tutti i concordati stipulati dalle organizzazioni. Il Regolamento unico da noi stipulato nel 1919, ed esteso poi a quasi tutte le industrie del Regno, resiste agli attacchi del tempo, ma applicato con equit solo laddove le nostre organizzazioni possono funzionare. I minimi di salario e le norme per la regolamentazione del lavoro a cottimo sono le pi tempestose, col solo risultato di metterne maggiormente in rilievo la loro portata. Sulle ferie e sulle modeste indennit di licenziamento stabilite dai nostri concordati, si esercita la pi miserevole delle speculazioni specialmente nella media nella piccola industria. Lassicurazione contro la disoccupazione, gi peggiorata dallattuale Governo, corre pericolo di riuscire ancora peggiorata dalla annunciata nuova sistemazione che dovr avere applicazione prossimamente. Le Commissioni interne sono continuamente insidiate, forse perch ad ogni regolare elezione gli operai si manifestano sempre pi affezionati alla nostra organizzazione. Tutto ci potr anche essere ridotto a minuti tronconi, ma nellanimo dei lavoratori rimarr. Certi semi non muoiono e non possono morire. Quandanche tutte le nostre conquiste venissero materialmente distrutte, baster un attimo di libert per farle rifiorire meglio di una volta1.

B. Buozzi, in G. Epifani, op. cit., pp. 186-187.

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