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Riassunto del libro di storia

contemporanea (secondo
volume)
Storia Contemporanea
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
93 pag.

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IL MONDO ATTUALE E LA STORIA DEL ‘900
L’incremento demografico che aveva già avuto un’impennata a partire dalla metà del ‘700 registrò una fortissima
accelerazione nel XX secolo. Si tratta ovviamente di dinamiche, le quali non sono state uniformi nel tempo e nello
spazio: si parla appunto di transizione demografica, svoltasi lentamente in Occidente tra ‘700 e ‘800 e, nel resto del
mondo, dopo la seconda guerra mondiale. Un vero balzo dell’incremento demografico si verificò negli anni ‘50 - ‘60
del XX secolo, soprattutto nei paesi più poveri. Tra gli effetti di tale crescita, uno dei più significativi riguarda i
livelli di urbanizzazione: nel 2007 il numero degli abitanti dei centri urbani ha superato quello della popolazione
rurale. Si tratta di un mutamento di rilievo straordinario perché si tratta di un fatto nuovo nella storia dell’umanità,
provocato dalla crescita delle città dei paesi poveri.
Nella seconda metà del XX secolo, l’incremento demografico si concentrò nei paesi in via di sviluppo e, questo, ha
differenziato le popolazioni del pianeta per diversi aspetti; primo tra tutti la distribuzione per fasce d’età. Alcune
sono molto invecchiate, altre meno, altre ancora sono rimaste giovani. Si tratta di differenze derivate da dinamiche
molto diverse che riguardano la natalità e la mortalità, i flussi migratori, il tenore di vita e i libelli di sviluppo
economico delle varie parti del mondo. La qualità della vita molto spesso è anche determinata dal fattore
emigrazione, a cui ci si affida per sfuggire a condizioni di esistenza intollerabili o per cercarne di migliori. L’Europa,
dove negli anni ‘50 le partenze superavano ancora gli arrivi di oltre 4 milioni, nel 2000.10 ha oltrepassato il
Nordamerica come luogo di destinazione; solo nel 2010-15 i flussi sono diminuiti. In ogni caso, a determinare il
processo di emigrazione concorrono diversi fattori, tra cui la durata della vita. Quest’ultima, determinata dalla
povertà, dalla salute e coì via, ha però una componente fondamentale: il PIL pro capite, ovvero l’indicatore di base
del tenore di vita. Premesso che i livelli di reddito dell’Occidente sono stati sempre i più alti, possiamo però
affermare che il divario tra le due parti del globo, apertosi con la rivoluzione industriale, è ancora molto aperto ma
ha iniziato a richiudersi. Tra la fine della seconda guerra mondiale e i primi anni ‘70, in quella che è stata definita
golden age, uno sviluppo economico eccezionalmente forte interessò il mondo intero, ma con intensità ed effetti
diversi. Ad aumentare fu infatti il PIL del Giappone e dell’Europa occidentale, con il risultato che ne uscì accentuata
l’ineguaglianza tra le diverse parti del globo. Tutto questo era ancora una minima parte di ciò che sarebbe accaduto
in seguito ma, nell’economia sempre più internazionalizzata, le grandi imprese multinazionali cominciarono a
“delocalizzare” la produzione nei paesi in via di sviluppo, dove i suoi costi erano minori. Questi mutamenti sono
aspetti di una grande trasformazione che ha spostato il baricentro dello sviluppo fuori dall’Occidente, dove lo aveva
collocato la rivoluzione industriale: dal 1973 al 2012 il PIL dell’Asia è cresciuto del 6% all’anno e, ad aggravare il
divario è stata la crisi economico-finanziaria apertasi nel 2008, che ha colpito in primo luogo i paesi occidentali.
In un’ottica di più lungo periodo, i mutamenti degli ultimi decenni potrebbero risultare ancor più significativi. Uno
studio recente ha mostrato che nel XIX secolo al crescente divario fra il PIL pro capite dei cosiddetti Primo e Terzo
mondo corrispose una forte accelerazione dell’incremento demografico, il quale riprese a crescere dopo il 1945
contemporaneamente ad un aumento accelerato del divario tra il reddito del Primo e del Terzo mondo.
Successivamente molti paesi dell’ormai ex Terzo mondo hanno limitato la natalità e hanno accresciuto più
velocemente il loro PIL pro capite , riducendo il divario che li separava dal Primo. In linea generale tutto ciò è
coerente con quella che è stata definita la “grande divergenza” apertasi con la rivoluzione industriale e la prima
transizione demografica che, dagli anni ‘70 avrebbe lasciato il passo a una “grande convergenza”.

LA “GRANDE GUERRA”
Definita tale, non solo per il coinvolgimento di importanti stati extraeuropei (Stati Uniti e Giappone) ma anche per
gli eserciti: così grandi non si erano mai visti ed anche il loro potenziale distruttivo fu accresciuto in misura
esponenziale, grazie alle tecnologie sviluppatisi nei decenni precedenti. Su scala mondiale si notarono gli effetti
della guerra, tra cui la scomparsa dei quattro imperi e non solo:

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1. quello russo abbattuto nel 1917 da una rivoluzione;
2. quello plurietnico degli Asburgo, su cui nacquero stati nazionali;
3. quello tedesco, che lasciò il posto ad una repubblica democratica;
4. quello turco, la cui dissoluzione fu l’epilogo di una lunga crisi;
5. gli Stati Uniti soppiantarono la Gran Bretagna nel ruolo di superpotenza mondiale;
6. l’Europa fu attraversata dall’avvento della moderna società di massa;
7. la pace punitiva imposta alla Germania alimentò le forze nazionaliste permettendo l’affermazione del partito
di Hitler e ponendo le basi per la cosiddetta “guerra dei trent’anni“
Ovviamente i contemporanei non poteva essere consapevoli della portata di questi sconvolgimenti; anche a conflitto
iniziato, i suoi rapidi sviluppi colsero di sospesa gli stessi protagonisti. A maggior ragione nessuno avrebbe
immaginato quale reazione a catena avrebbe innescato l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al
trono d’Austria-Ungheria, che il 28 giugno 1914 rimase vittima di un attentato terroristico a Sarajevo. Il gesto fu
colpevolizzato dall’Austria e attribuito alla Serbia, considerata un pericolo abbastanza grande nei Balcani,
soprattutto dopo aver ottenuto significative conquiste territoriali al termine delle guerre del 1912-1913. Così
l’attentato fu preso a pretesto dall’Austria.
 Il 23 luglio, con l’appoggio della Germania, l’Austria consegnò a Belgrado un ultimatum con la richiesta di
una serie di misure per far cessare ogni attività antiaustriaca: il tutto entro 48 ore, con annessa la pretesa di
partecipazione dei rappresentati austriaci all’inchiesta sull’attentato.
 La replica della Serbia fu negativa, perché accettando avrebbe rinunciato alla sua sovranità.
 L’Austria il 28 luglio le dichiarò guerra ed entrarono in gioco linee di alleanze destinate a dividere l’intero
continente europeo.
 La Russia sosteneva la Serbia in funzione di una comune religione ortodossa e delle mire egemoniche sui
Balcani: così mobilitò l’esercito.
 La Germania reagì chiedendo alla Russia di smobilitare e alla Francia di restare neutrale; poiché non ottenne
ciò che voleva, dichiarò guerra ad entrambe. Il 4 agosto invase il neutrale Belgio.
 A fianco della Francia e del Belgio scese la Gran Bretagna.
 Il 23 agosto il Giappone mosse guerra alla Germania per indebolirne la posizione in Estremo Oriente e a
ottobre, attaccò la Turchia.
 Nei due anni seguenti intervennero la Bulgaria con la Triplice Alleanza, la Romania, l’Italia (nonostante si
fosse dichiarata inizialmente neutrale), gli Stati Uniti e la Grecia contro la Germania.
Nonostante fosse passato più di un mese dall’attentato di Sarajevo, i governi e i sovrani si intrecciarono con continui
scambi di informazioni, contatti e avvertimenti. Il trattato di pace del 1919 individuò nell’aggressione tedesca la
causa della guerra e anche le analisi successive attribuirono le maggiori responsabilità all’Austria e alla Germania,
che prese difatti l’iniziativa. D’altra parte sia la Russia sia la Francia stettero al gioco, accettando il rischio di un
conflitto. L’unica che cercò di negoziare fu la Gran Bretagna, il cui tentativo risultò però incerto e non convincente.
Molto importante fu la condotta concreta dei singoli stati; ogni ceto dirigente politico compie le sue scelte di politica
estera in un quadro teorico e pratico dominato dal dilemma della sicurezza: accrescerne la proprio significa
diminuire quella degli altri e indurli a fare altrettanto. Sulla base di questo: l’Austria temeva il rafforzamento della
Serbia e a suola volta, la Russia temeva quello dell’Austria. Al dilemma della sicurezza, andava sommata la
disposizione strategico-militare offensiva secondo cui, tutti gli stati agivano in base a dottrine militari e piani
strategici offensivi, fondati sul concetto di guerra di movimento. A complicare la situazione era l’incongruenza delle
posizioni dei vari paesi: la Germania ad esempio era contrastata al suo interno da un autoritarismo statale e da spinte
democratiche; la politica francese ruotava attorno al concetto di rivincita, in seguito alla sconfitta del 1870; l’Austria
aspirava a salvare l'integrità del suo impero e la Russia a espandersi verso Costantinopoli.

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È per questo che non risulta possibile individuare la causa in uno solo dei fattori che concorsero a scatenarla; né gli
eventi del luglio 1914 furono conseguenza di fenomeni precedenti. Questi condizionarono molto le decisioni di quei
giorni, ma i singoli stati fecero le loro scelte. Ciò che non si potè senz’altro stabilire e prevedere fu il tipo di guerra.
Il caso più noto di disposizione strategico-militare offensiva era il “piano Schlieffen”:
 esso prevedeva una veloce campagna risolutiva da parte della Germania contro la Francia, che richiedeva però
l’attraversamento del Belgio. Prima ancora che l’invasione di quest'ultimo provocasse l’intervento inglese, il
piano influì dando al potere politico tedesco la misure del rischio e accelerandone le decisioni.
 Nonostante alcuni successi iniziali, l’offensiva della Germania non conseguì gli effetti sperati e venne arrestata
dagli anglo-francesi sul fiume Marna.
 Stessa situazione era toccata agli attacchi russi sul fronte orientale quando costrinsero i civili tedeschi a
fuggire;
 e anche l’esito di una spedizione inglese nei Dardanelli risultò fallimentare.
Le battaglie seguenti proposero con poche varianti le stesse dinamiche:
 Nel 1915 le operazioni volsero a favore della Triplice nei Balcani e sul fronte orientale, dove le truppe russe
dovettero ritirarsi.
 Nel 1916 dopo cinque mesi i tedeschi non riuscirono a conquistare Verdun; mentre francesi e inglesi uscirono
vittoriosi dalla battaglia della Somme.
 nel 1915-17 l’Italia impegnava gli austriaci in ben 11 battaglie: il tutto si concluse con una “spedizione punitiva”
avversaria, che venne fermata a fatica. Un altro sfondamento delle linee italiane a Caporetto, nel 1917, fu
argentato sul fiume Piave.
 Nel 1918 l’ultima offensiva tedesca sul fronte occidentale venne fermatasulla Marna e si sviluppò in
contrattacco dell’Intesa, culminato in agosto ad Amiens.
Queste battaglie presentano tratti comuni dovuti all’equilibrio militare fra le parti; il terreno conquistato fu
generalmente poco e i fronti rimasero per lo più immobili per tutta la durata della guerra. Fu una guerra di
logoramento e il senso della battaglia risiede nella misura delle distruzioni materiali e delle perdite umane. Tra le
atrocità della guerra vi fu anche il genocidio, la cui vittima fu il popolo armeno accusato di disfattismo, venne usato
come capro espiatorio dal governo turco sfruttando il contrasto religioso che divideva i cristiani armeni e i turchi
musulmani: la popolazione venne sottoposta a massacri e deportazioni.
Un inedito strumento di morte che i tedeschi lanciarono sulle trincee nemiche fu il gas asfissiante, accompagnato da
aerei di caccia che però non svolsero un ruolo decisivo, a differenza di cannoni e mitragliatrici portatili.
Reso cruciale dalle dimensioni degli eserciti e dalla capacità delle loro armi, il problema degli approvvigionamenti
introduce un’altra peculiarità di questa guerra, le cui sorti si giocavano effettivamente sulla capacità dei contendenti
di reggere un immane sforzo umano, sociale ed economico. La vittoria il più delle volte sarebbe andata a chi fosse
riuscito a ridurre l’avversario allo stremo: guerra di logoramento. Fu proprio sulla base di questo ragionamento che
 l’Inghilterra cercò di strangolare la Germania impedendole con un blocco navale di rifornirsi di materie prime
e generi alimentari dall’estero. In realtà questa guerra del 1917 fallì e provocò d'altro canto l’intervento degli
Stati Uniti.
 Il crollo del fronte orientale dovuto al collasso della Russia aveva appena spostato i rapporti di forza a favore
degli imperi centrali: l’intervento americano annullò tale vantaggio e fece pendere la bilancia dalla parte
dell’Intesa.
 Nel 1918 le linee alleate furono sfondate più volte e la loro pressione si esaurì prima della resistenza
avversaria,rafforzata dai contingenti americani.
 Respinti oltre la Marna, i tedeschi dovettero subire una controffensiva finché il 4 ottobre chiesero un
armistizio.

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La vera svolta delle operazioni, viene individuata nella battaglia di Amiens, che non si concluse con una vittoria
piena, ma fu determinante. Si assisté all’azione coordinata di truppe di terra, artiglieria e di una nuova arma: il carro
armato. Perciò si può dire che ad Amiens, oltre alla Germania, fu la guerra di posizione a essere battuta.

STATO, INDUSTRIA E SOCIETÀ NELLA GUERRA


Essenziale fu il ruolo dell’industria le cui forme di organizzazione del lavoro avanzate ne accrescevano la
produttività. Nei paesi meno progrediti, quali Francia e Italia, fu la stessa guerra a portare a termine il processo di
industrializzazione. La “domanda” che sostenne questo sviluppo veniva da stati per i quali quanto occorreva per la
guerra andava assolutamente garantito e, poiché un drenaggio di risorse così importante non poteva essere assicurato
esclusivamente dal privato, vi fu l’intervento statele nell’economia.
Pur essendone motore, non fu però l’industria il luogo in cui il cambiamento risultò più accentuato. Trusts e cartelli
erano già molto sviluppati, anche se la guerra li rafforzò e e creò di nuovi a danno delle imprese minori, innescando
un impetuoso processo di concentrazione.
Maggiori alterazioni vi furono nel campo della finanza; per pagare i costi di guerra cerano tre modi:
1. imporre tasse;
2. contrarre debiti;
3. Stampare carta moneta.
Un consistente aumento delle imposte indirette non ottenne i risultati sperati, perché i consumi crollarono con
l’abbassarsi del tenore di vita e l’ascesa dei prezzi. Questi ultimi erano alzati dall’inflazione a sua volta,
incrementata dall’aumento del denaro circolante. Neppure il lancio di prestiti nazionali garantì una rendita adeguata,
l’Intesa finanziò la guerra con un sistema di prestiti internazionali, che vide i paesi più deboli indebitarsi con i più
forti (Stati Uniti).
In ogni caso, l’ingerenza statale nell’economia fece moltiplicare il numero degli uffici e degli enti pubblici, con il
risultato di un’enorme dilatazione della burocrazia e della creazione di centri decisionali esterni alle istituzioni
rappresentative. Il parlamento perse potere e furono istituti regimi di controllo e censura della stampa a favore dei
governi e dei vertici militari, i quali si dotarono di uffici di propaganda per rafforzare il morale patriottico. Infatti
l’intervento dello tanto nella società fu caratterizzato da un intreccio di repressione e ricerca del consenso, in forme
dirette o mediate.
La società si trasformò in una società di massa, in cui anche le donne, per ovviare alla carenza di manodopera
dovuta allo sviluppo industriale e all’arruolamento dei lavoratori, furono integrate permettendo loro di uscire dallo
stato di inferiorità. Ovviamente gli effetti di questa trasformazione non furono immediati e uniformi: in Inghilterra il
fenomeno fu molto accentuato, già nel 1918 una legge riconobbe il diritto di voto alle donne di più di 30 anni.

IL FRONTE INTERNO
I popoli europei accolsero il conflitto con un’ondata di entusiasmo. La tensione accumulata dai contrasti
internazionali aveva predisposto l’opinione pubblica ad avvertire la guerra come un fatto quasi liberatorio. L’idea di
guerra come eroica impresa rigeneratrice era stata coltivata da vasti settori della cultura europea influenzati dai
pensatori come Nietzsche e d’altra parte, la crescita di movimenti antidemocratici declinava l’amor di patria in un
aggressivo nazionalismo intriso di ostilità per l’ “altro”. Tutti i maggiori partiti si schierarono a favore del conflitto;
le uniche eccezioni di rilievo furono i partiti socialisti dell’autocratica Russia e di due paesi ancora neutrali come
l’Italia e gli Stati Uniti. Gli oppositori rimasero dapprima isolati, ma via via che la guerra scopriva il suo volto il
“fronte interno” di consensi si accese di contrasti:
 Dal 1916 il malessere dei lavoratori si esplose in imponenti manifestazioni in Germania, Francia e Italia;
 nel 1918 una nuova e più forte ondata di agitazioni investì Lione, Parigi e tutta l’Austria, per culminare in

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Germania in uno sciopero generale;
 si moltiplicarono anche le proteste spontanee che videro spesso le donne nel ruolo di protagoniste.
D’altra parte furono moltissimi i socialisti e i cristiani, gli uomini di cultura e le persone comuni che continuarono a
sostenere la guerra o almeno ad accettarla.

L’ITALIA IN GUERRA
La crisi del sistema giolittiano aperta dalla guerra in Libia e dal suffragio universale maschile aveva diviso la classe
dirigente liberale, mentre forti interessi economico-finanziari premevano per una politica espansionistica.
 In un periodo di incertezza, l’esito scontato fu la neutralità proclamata dall’Italia, benché appartenesse alla
Triplice Alleanza. Se i liberali erano divisi, il loro linguaggio rivelava peraltro un’identica concezione della
politica estera: come per Giolitti, si poteva ottenere molto restando neutrali; nonostante fossero poco capaci di
incidere sulle scelte governative, nel 1914 i socialisti espulsero il leader di spicco Mussolini e continuarono a
opporsi al conflitto.
 Idealità risorgimentali e volontà di sconfiggere l’autoritarismo e il militarismo degli imperi centrali
muovevano gli “interventisti democratici”. Punta di lancia del movimento per l’intervento fu l’Associazione
nazionalista italiana, fondata nel 1910 da Corradini.
Il 24 maggio 1915 l’entrata in guerra fu decisa dal Primo ministro Salandra e dal ministro degli Esteri Sonnino con
una sorta di “colpo di stato” contro la maggioranza del parlamento e del paese. Gli obiettivi dell’intervento sul piano
interno furono:
1. affermare un blocco di potere conservatore;
2. battere il movimento operaio.
In politica estera, la partecipazione al conflitto da parte dell’Italia rispose a una linea imperialista di prestigio:
1. il trattato segreto stipulato con Londra consisteva nell’impegno, da parte del paese, di entrare in guerra con
l’Intesa, mostrando quanto l’espansione nei Balcani fosse più importante della conquista di Trento e Trieste.
Sebbene nel paese venisse instaurato un duro regime di guerra, nel 1916 venne messa a nudo l’impreparazione
militare dell’Italia facendo cadere Salandra, a favore del Ministero di “Unità nazionale” guidato da Boselli, ma
senza cambiare la gestione dell’esercito affidata al generale Cadorna. Una svolta del conflitto vi fu solo nel 1917,
quando le linee italiane vennero sfondate a Caporetto e questo comportò la perdita del Friuli, costringendo il fronte
ad arretrare sino al Piave. Il trauma di Caporetto fece sì che si formasse un nuovo governo presieduto da Vittorio
Emanuele Orlando, con la sostituzione di Cadorna a favore di Armando Diaz. A questo punto si cercò di risollevare
il morale delle truppe e del paese intensificando la propaganda e promettendo loro il possesso della terra.
Nel 1918 ci furono diverse manifestazioni che addossavano ai neutralisti la colpa della stanchezza e dello scontento
del paese e questo, fu olio uno dei fattori che gettarono in una crisi lo Stato liberale; oltre all’inflazione, all’ascesa
dei costi e alle divisioni fra gruppi sociali, ad aggravare l’instabilità del paese si aggiunse lo sradicamento degli ex
combattenti. Ovviamente in Italia i cambiamenti portati dalla guerra risultarono più sconvolgenti che in altri paesi
europei, perla sua maggiore arretratezza istituzionale, sociale ed economica.

RIVOLUZIONE IN RUSSIA
Un fattore di squilibrio molto rilevante per l’arretrata società russa fu la rapidità di uno sviluppo industriale
circoscritto a poche aree e molto dipendente da capitali esteri. La guerra mise poi a nudo tutte le contraddizioni del
paese, quali il cattivo equipaggiamento dei soldati, l’arretratezza degli armamenti e l’impreparazione dei comandi
militari. In tutto ciò, lo zar Nicola II rimase sordo alle richieste di riforme dei partiti liberali e moderati e non attenuò
in alcun modo il suo dispotismo. Il punto di rottura fu raggiunto le marzo del 1917, quando una serie di agitazioni
spontanee sfociò a Pietrogrado in uno sciopero generale. Nella capitale intanto, si formò un soviet (consiglio) degli

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operai e dei soldati, lo zar dovette abdicare e l’unica assemblea rappresentativa legata al paese, la Duma, costituì un
governo provvisorio con a capo un liberale:
 da un lato il governo espresso dal partito costituzionale-democratico che voleva instaurare una democrazia
parlamentare e proseguire la guerra;
 dall’altro i soviet che si crearono in città ma ben presto anche nelle campagne; qui prevaleva il partito nato
dalla scissione della socialdemocrazia: quello menscevico e anche, i socialisti rivoluzionari eredi del vecchio
populismo.
Essendo il primo (governo provvisorio) debolissimo, l’asola autorità riconosciuta dalle masse popolari divennero i
soviet. Intanto nell’immensa periferia si dispiegavano 3 sconvolgenti fenomeni rivoluzionari:
1. il disfacimento dell’esercito, dovuto ai soldati che si rifiutavano di obbedire e combattere;
2. una violenta rivolta contadina che portò i singoli ad occupare e dividere le terre dei grandi proprietari;
3. un’ondata di lotte operaie, le cui rivendicazioni si estesero dai salari e dagli orari di lavoro al controllo delle
fabbriche.
In questa situazione il governo proseguì l’impegnò bellico e rinviò la riforma agraria all’Assemblea costituente che
avrebbe dovuto ridisegnare il volto della Russia ed ebbe l’appoggio dei soviet. Questi ultimi rinunciarono ad
assumere il potere, accodandosi ad un partito privo di seguito: così sia i menscevichi, sia i socialrivoluzionari si
divisero e persero influenza nel paese. Fu così che in pochi mesi crebbe il potere dei bolscevichi che subì una svolta
decisiva con il ritorno dall’esilio di Lenin.
Quest'ultimo giunto a Pietrogrado si presentò favorevole alla prosecuzione della guerra e si oppose al governo
provvisorio. Per lui la fase democratico-borghese della rivoluzione era conclusa con il crollo dello zarismo e
occorreva passare alla presa di potere da parte degli operai e dei contadini. Tali idee vennero appoggiate dalle masse
popolari, portando ai bolscevichi grandi consensi. Il fattore decisivo, che permise ai bolscevichi di ottenere la
maggioranza all’interno dei soviet e di uscirne dunque rafforzati, fu il colpo di stato controrivoluzionario del capo
dell’esercito sventato dai soviet con l’appoggio dei bolscevichi. Se a Mosca e Pietrogrado i bolscevichi assunsero la
presidenza dei soviet, nelle campagne si raggiunse l’apice della rivolta contadina:
 fu così che il congresso dei soviet proclamò la repubblica sovietica e approvò due decreti per la pace
immediata e per la confisca delle terre e la loro assegnazione ai contadini, andando incontro alle richieste delle
masse popolari e consolidando il potere bolscevico.
Nonostante le riforme di Lenin e il rafforzamento dei bolscevichi , questi ultimi nelle elezioni di novembre
ottennero la maggioranza in luoghi nevralgici come Pietrogrado e Mosca, ma nel complesso non raccolsero che il
25% dei consensi; il 62% andò ai socialrivoluzionari. Nel gennaio del 18918 l’Assemblea non riconobbe il potere
sovietico e venne sciolta.
Le sorti della “rivoluzione d’ottobre” si giocavano sulla guerra: incapace i reggere lo sforzo bellico, il governo
ottenne un armistizio le cui condizioni di pace poste dalla Germania erano durissime. Vincendo le forti resistenze,
Lenin firmò una pace nel marzo del 1918:
 oltre alla Finlandia e alla Polonia, lo Stato dei soviet cedeva le province baltiche, l’Ucraina, parte della
Bielorussia e della stessa Russia.
Questo comportò la perdita di risorse industriali e agricole, aggravando la situazione già di per sé disastrosa; inoltre
resistere alla Germania sarebbe stato impensabile e la pace dette semplicemente alla Russia rivoluzionaria un breve
momenti di respiro.

INTERVENTO AMERICANO
A imprimere al conflitto una scolta decisiva fu però l’intervento degli Stati Uniti. Ostile alla politica imperiale
franco-inglese, il presidente Wilson aveva basato la sua campagna elettorale del 1916 sulla conferma della neutralità

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americana. A mutare l’atteggiamento e a far entrare nella guerra gli Stati Uniti fu la guerra sottomarina tedesca, che
colpì anche i convogli e gli interessi americani violando il diritto internazionale. Dall’inizio della guerra, la crescita
dei commerci con i paesi dell’Intesa aveva arricchito gli Stati Uniti, ma li aveva anche esposti finanziariamente e la
loro sconfitta sarebbe stata disastrosa per gli interessi americani. Wilson nel gennaio del 1918 espresse il 1 punti il
suo programma per la pace e per un ordine mondiale e, per qualche tempo, la popolarità di Wilson si diffuse in
Europa con quella di Lenin. Ma le speranze in una pace negoziata svanirono e il conflitto divenne una guerra a
oltranza.
 Le prime a chiedere l’armistizio furono la Bulgaria e la Turchia, il cui limite della capacità di resistenza
ottomana fu raggiunto nel 1918, quando si avvertì il peso dell’apporto americano.
 Il 3 novembre fu la volta dell’Austria.
 La Germania aveva chiesto di trattare la pace in base ai 14 punti di Wilson e il Kaiser Guglielmo II dovette
abdicare prima che l’11 novembre venisse firmata la capitolazione (contratto unilaterale con cui lo Stato
sovrano cede competenze, entro i suoi confini, ai cittadini di uno stato straniero) del paese.
 A Parigi, Londra, Roma e New York la fine della guerra venne salutata da manifestazioni di gioia, anche se
contemporaneamente si diffuse un senso di catastrofe che diede la percezione di una rottura epocale segnata
dal conflitto.

ORIGINI E NOVITÀ DELLA PRIMA GUERRA MONDIALE.


Il dibattito sulle cause del conflitto iniziò sin da subito e le due interpretazioni destinate a maggior fortuna
furono:
1. Quella marxista di una guerra tra opposti imperialismi scaturì dalla convinzione che le guerre fossero
parte integrante della natura del capitalismo; l’esempio più noto fu dato dalla partecipazione di Lenin
al conflitto, che vide la conseguenza della competizione tra gli Stati Uniti capitalistici per spartirsi le
materie prime, i mercati e le aree d’investimento del mondo.
2. Anticipata dall’idea di una guerra democratica contro l’autoritarismo e il militarismo, fu accreditata
dalle potenze vincitrici le quali, nel trattato di pace, addossarono ogni responsabilità alla Germania e ai
suoi alleati; conflitto causato dalla politica di potenza tedesca per il predominio mondiale.
Successivamente con la grande influenza di Wilson venne accreditata la tesi secondo cui la guerra fosse
conseguenza della diplomazia segreta e del sistema di relazioni internazionali, che aveva diviso l’Europa in
due blocchi. Nonostante ciò, le accuse contro la Germania non vennero meno. Per confutarle e dimostrare
che i metodi della vecchia diplomazia erano stati uguali dappertutto, la Germania pubblicò i suoi documenti
diplomatici e fu seguita dagli altri stati. Fu così che si parlò di filone “revisionista” con Renouvin che parlò i
cause e non di colpe, documentando gli scopi perseguiti dall’Austria nei Balcani, sia la voglia della Francia di
cercare una rivincita e l’accerchiamento della Germania.
La seconda guerra mondiale riaprì le discussioni sulle origini e i caratteri della prima; ricordiamo Fischer, il
quale reimpostò la questione della responsabilità della Germania, entrata deliberatamente in guerra a fini
egemonici e la sua politica di potenza avrebbe avuto una prosecuzione ne nazismo e nello scatenarsi della
seconda da guerra mondiale. Questa tesi sollevò una controversia molto accesa, dominata dagli storici
tedeschi, i quali affermavano che la Germania giunse alla guerra perché si sentiva accerchiata da potenze
ostili. Con la guerra fredda ci fu un rilancio degli studi sulle origini della “grande guerra” :
 Wolfgang ricostruì gli errori e le incoerenze della politica estera tedesca durante l’impero di Guglielmo
II, riportando al centro dell’attenzione le dinamiche e i conflitti interni al mondo politico ed economico
della Germania.
 Un altro intervento provocatorio fu quello di Ferguson, per il quale la scelta dell’intervento fu per la

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Gran Bretagna un errore determinante nel suo declino sulla scena internazionale e sul suo impero
coloniale. Per lui l’appoggio alla Francia non era indispensabile e contribuì di fatto alla realizzazione di
una pace ingiusta nei confronti della Germania, senza la quale lo stesso nazismo avrebbe avuto
difficoltà molto maggiori ad affermarsi.
In Italia importante fu lo studio sulle fonti letterarie e memorialistiche che mostrano i diversi sentimenti che
popolavano l’animo dei combattenti: sullo shock traumatico determinato dalla morte di massa si innestò il
culto di una mascolinità anonima tutt’altro che eroica, legata anzi al tema del sacrificio. Rispetto a questa
interiorizzazione del carico di violenza e morta portato dalla guerra, le culture pacifiste e antimilitariste
rimasero profondamente minoritarie sia in Gran Bretagna che in Germania. Piuttosto, molto accentuata fu la
divisione tra chi visse l’esperienza in trincea e che la evitò: sulla base di ciò, la generazione dei giovani si
contrappose a quella degli anziani, recando con sé nel dopoguerra una violenza radicale e un disadattamento
sociale che si rivelò decisivo nel processo di incubazione dei regimi autoritari. L'intensità emotiva di
quell’esperienza lasciò un’impronta antropologica e mentale così profonda in chi vi partecipò, da rendere
irreversibile il cambiamento.

LA RIVOLUZIONE RUSSA
L’ottobre bolscevico contraddisse l’idea che solo un avanzato sviluppo capitalistico avrebbe reso possibile la
rivoluzione proletaria. I menscevichi, che non ritenevano matura per il socialismo l’arretrata società russa, si
mossero in vista di una rivoluzione democratico-borghese, escludendo la possibilità di una conquista del
potere.
Il dilemma della rivoluzione d’ottobre è caratterizzata da due contraddizioni che però convergono sul ruolo
cruciale di Lenin e del suo partito, favorito dal vuoto di potere apertosi in Russia. Per entrambi la società
russa mancava di presupposti per una democrazia parlamentare e la vera alternativa era tra:
1. Bolscevismo ;
2. Dittatura militare.
Andrea Graziosi descrive l’impero zarista come una realtà dinamica, percorsa da fermenti innovativi a tutti i
livelli. Dal 1905 vi si innesta una “guerra-rivoluzione” che dalla sconfitta russa contro il Giappone si allarga
prima ai Balcani e poi a tutta l’Europa: il nesso del tutto imprevisto tra la guerra, un leader determinato a
prendere il potere (Lenini) e un’ideologica assoluta (il comunismo) producono una rottura storica che
incanala nella forza centralizzata e autoritaria dello Stato la violenza di massaie del conflitto.

IL DOPOGUERRA IN EUROPA
Alla conferenza di pace di Versailles del 1919 si appuntarono speranze e attese proporzionali alle distruzioni portate
dalla guerra; vi parteciparono Wilson per gli Stati Uniti, Lloyd George per la Gran Bretagna, Clemenceau per la
Francia e Orlando per l’Italia. Furono esclusi i vinti a cui vennero direttamente imposti i trattati senza possibilità di
replica o discussione: frutto di un compromesso tra gli egoismi espansionistici dei vincitori, il risultato fu una pace
punitiva nei loro confronti. Il più importante dei diversi trattati di pace fu quello di Versailles:
 impose alla Germania di restituire l’Aslazia e la Lorena alla Francia e di cedere altri territori alla Danimarca e
alla Polonia.
 impose una cifra iperbolica alla Germania come “riparazione” dei danni di guerra patiti dalle potenze
vincitrici.
Il principio di autodeterminazione nazionale fu rispettato solo in piccola parte. Tracciare i confini soprattutto
nell’Europa centro-orientale e balcanica secondo tali criteri non era in effetti possibile perché quell’area era
caratterizzata da differenze religiose, economiche e sociali. A tal proposito fu assecondata la volontà dei vincitori di

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far valere i propri interessi e impedire la rinascita della Germania: molti territori tedeschi furono annessi alla
Cecoslovacchia e alla Polonia, mentre alla piccola Austria venne vietato di unirsi alla Germania. Il nuovo assetto
europeo rispondeva alle richiesta di Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti; inoltre Wilson fece introdurre nel trattato
l’atto costitutivo della Società delle Nazioni, che avrebbe voluto risolvere i conflitti internazionali ricorrendo se
necessario a sanzioni e all’uso della forza. La Società non svolse però tali funzioni e rimase di fatto asservita agli
interessi di Francia e Inghilterra. Ciò non dipese solo dall’intenzionale esclusione della Germania e della Russia: il
Senato americano non ratificò il trattato e così gli stessi Stati Uniti non aderirono alla Società, tornando all oro
isolazionismo. Vennero dunque creati soltanto nuovi motivi di antagonismo.
La pace imposta alla Germania era umiliante e alimentò un rancore e una volontà di rivincita (come la Francia dopo
il 1870) che furono sfruttati dalla destra militarista e antirepubblicana. Il trattato di Versailles contribuì a indebolire
la nuova repubblica democratica tedesca, la quale non trovò altro modo di pagare le riparazioni se non stampando
cartamoneta ed alimentando l’inflazione. In aggiunta, dato il ritardo nei pagamenti della Germania, portò la Francia
nel 1923 a occupare il bacino industriale tedesco della Ruhr.
Intanto la Russia sovietica divenne un importante punto di riferimento per i popolo coloniali che premevano per
uscire dal loro stato di soggezione in nome del principio di autodeterminazione.

GUERRA CIVILE RUSSA E IL “COMUNISMO DI GUERRA”


Dal 1918 al 1920 la Russia fu dilaniata da una terribile guerra civile ad opera delle opposizioni di destra e dei
socialrivoluzionari con l’appoggio delle potenze dell’Intesa, accompagnata da una carestia e da un forte malcontento
da parte dei contadini. In alcune zone del paese, alcuni generali zaristi instaurarono dittature militari e le truppe
dell’Intesa, se pur in modo limitato, sbarcarono in diverse località impegnandosi militarmente.
 Bianchi= gruppi controrivoluzionari appoggiati dall’Intesa
 Rossi= bolscevichi
L’estate 1918 fu il momento più critico per i “rossi” che riuscì ad essere superato, nonostante i socialrivoluzionari
scatenavano un’ondata di terrorismo, grazie ad un esercito efficiente e regolare: artefice dell’Armata Rossa fu
Trockij, ministro della Guerra che richiamò migliaia di ufficiali zaristi ristabilendo la disciplina. I soviet furono
privati della loro autorità e venne instaurata una dittatura di partito che nel 1918 prese il nome di Partito Comunista.
Venne reintrodotta la pena di morte e la polizia politica divenne il primo strumento di un regime di terrore, di cui
rimasero vittime anche lo zar Nicola II e la sua famiglia.
Il terrore bianco non fu d meno: nel 1919 Pietrogrado fu minacciata dai bianchi, ma dopo i successi dell’Armata
Rossa i territori vennero riconquistati. All’inizio del 1920 la guerra vivile era sostanzialmente conclusa, ma la
repubblica sovietica dovette sostenere ancora un conflitto con la Polonia, che invase l’Ucraina. Il tutto si concluse
alle porte di Varsavia, dove la sconfitta russa pose fine al ciclo di guerre e distruzioni apertosi nel 1914.
Il sistema economico che si instaurò venne definito con la dicitura “comunismo di guerra” si fa riferimento sia
all’esigenza di sopravvivere in una situazione così difficile, sia all’utopismo dei bolscevichi, i quali si illusero di
poterne approfittare per accelerare la trasformazione del paese in senso comunista:
1. abolizione libero commercio;
2. abolizione della moneta con reintroduzione dello scambio in natura;
3. concentrazione dell’economia nello Stato, il quale deteneva i mezzi di produzione e distribuzione.
Il comunismo di guerra fu un vero fallimento; vi contribuirono il blocco economico deciso da Francia e Inghilterra,
che azzerò il commercio con l’estero, e la guerra civile che provocò immani distruzioni, la burocrazia enorme, lenta
e inefficiente, con il risultato che la produttività del lavoro diminuì, la qualità delle merci peggiorò e i contadini
reagirono riducendo le semine al minimo indispensabile. Appena cessata la guerra il malcontento popolare esplose
nella rivolta armata di varie province rurali e in alcuni scioperi operai a Pietrogrado; ma il punto limite si raggiunse

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nel 1921 con la ribellione dei marinai di una piazzaforte, baluardo (fortificazione) del bolscevismo. Questi
chiedevano la fine della dittatura del partito e degli aspetti più opprimenti del comunismo di guerra, libere elezioni
dei soviet e una maggiore libertà economica per i contadini. Questo spinse i bolscevichi ad accelerare i tempi verso
una nuova politica economica: la nep.

LA RIVOLUZIONE IN EUROPA
La guerra lasciò l’Europa in preda ad un’acuta conflittualità sociale. Nel biennio 1919-20 il numero degli scioperanti
si impennò rispetto al periodo pre-bellico e la suggestione esercitata dall’esempio russo fece apparire questi anni
come un “biennio rosso”. Si trattò comunque di conflitti che ebbero forti contenuti politici, ma acquisirono portata
rivoluzionaria solo nei paesi la cui stabilità istituzionale era stata minata dalla guerra.
 In Germania, prima ancora dell’armistizio, si diffusero “consigli” costituiti da operai e soldati che
configuravano una forma di rappresentanza in alternativa a quella parlamentare. Essi tolsero l’iniziativa alle
forze moderate, consegnandola ai socialdemocratici “maggioritari” e a quelli del partito “indipendente” nato
nel 1917 da una scissione del Partito Socialdemocratico Tedesco (spd). Travoltò dalla sconfitta e dalla
mobilitazione popolare il Kaiser Guglielmo II abdicò e assunse la carica di cancelliere, il leader socialista,
Ebert. La Germania si trasformò in una repubblica, ma nel 1919 l’esempio bolscevico spinse alcuni settori
dell’estrema sinistra a proclamare l’insurrezione a Berlino. La rivolta fu repressa dal governo della spd e i
leader comunisti vennero assassinati da bande parlamentari che seguirono gli ordini del ministro
socialdemocratico. Intanto ci furono le elezioni per l’Assemblea costituente e la spd conquistò la maggioranza
relativa, scegliendo di allearsi con i partiti di centro ovvero quello cattolico e, il Partito Democratico. I consigli
degli operai e dei soldati vennero soppressi e la repubblica consiliare lasciò spazio ad una repubblica
parlamentare. Nonostante ciò, rimasero intatti il sistema economico-sociale, la burocrazia e l’esercito con cui
dovevano operare i socialdemocratici maggioritari: questo rese evidenti le basi fragili su cui poggiava la
nuova democrazia repubblicana.
 In Austria ci fu un accordo della socialdemocrazia con i partiti borghesi, affinché i consigli non esercitassero
alcun controllo sul potere politico. In realtà però si venne a creare una grande frattura nel Paese: l’influenza
dei socialdemocratici diminuì velocemente ad eccezione di Vienna, denominata “la rossa”, in quanto del
vecchio impero rimasero all’Austria solo arretrate aree agricole che alle elezioni dettero maggioranza al partito
cristiano-sociale.
 In Ungheria invece ci fu una rivoluzione: il governo di coalizione tra liberali e socialdemocratici fu travolto
dal malessere scatenato dalla fame, dalla disoccupazione e dalla perdita di vasti territori sancita dai trattati di
pace. Nel 1919 così, il partito comuni sta e quello socialdemocratico si unirono per dar vita a un governo
guidato da un comunista che proclamò la repubblica sovietica. Questo tentativo fallì a causa delle aggressioni
subite da rumeni e cechi (appoggiati dall’Intesa) e così venne instaurata una dittatura controrivoluzionaria.
La caduta della repubblica sovietica ungherese segnò la fine di ogni prospettiva di rivoluzione in Europa, ma non
delle speranze ripostevi dai bolscevichi, i quali fondarono nel 1919 una nuova organizzazione internazionale: il
Comintern che nel 1920 impose ai suoi aderenti di separarsi dai socialisti riformisti. Tale politica accolse alcuni
successi in Germania facendo del Partito comunista un partito di massa, e in Francia dove la maggioranza dei
socialisti costituì un partito comunista. Altrove, la socialdemocrazia mantenne un’influenza dominante sul
movimento operaio europeo, come in Italia e la scissione fu invece minoritaria. A questo punto il III Congresso dell
Comitern nel 1921 inaugurò la politica del “fronte unico” fra comunisti e socialisti, la cui unione rimase però
precaria.

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IL CASO ITALIANO
Un altro paese vicino alla rivoluzione fu l’Italia, che negli anni 1919-20 subì un aumento degli scioperi ottenendo
importanti conquiste fra cui la giornata lavorativa di otto ore. Ad essi si aggiunsero alcune agitazioni non
specificamente operaie e un’esplosine della conflittualità nelle campagne. Questo protagonismo delle massesi
riflesse in una grande crescita dei sindacati e di un Partito socialista italiano (psi) su posizioni massimaliste
(estremiste) che ottenne la maggioranza relativa nel 1919. Nel settembre del 1920, gli operai metallurgici occuparono
le fabbriche e proseguirono la produzione negli impianti affiancati da “guardie rosse” armate. Con l‘abile
mediazione di Giolitti, la situazione si concluse con un compromesso che riuscì a soddisfare le richieste salariali
degli operai e introdusse il controllo sindacale sulle aziende; dal punto di vista politico fu però un insuccesso
operaio. Il socialismo italiano soffriva di una divisione tra:
1. massimalisti che avevano maggioranza nel psi e si proclamavano rivoluzionari;
2. riformisti che auspicavano una collaborazione con le classi dirigenti e, pur essendo minoritari nel partito,
controllavano il gruppo parlamentare, la Confederazione generale del lavoro e le molte amministrazioni
comunali “rosse” del Centro-nord.
Questa divisone impedì al psi di operare con efficacia sia per la rivoluzione, sia per le riforme; soprattutto perché le
spinte più radicali della società italiana venivano da ambiti molto diversi: le fabbriche del Nord e le campagne del
Sud.
Alle elezioni del 1919 ottenne molti voti anche un nuovo partito fondato da don Luigi Sturzo: il Partito popolare, che
inaugurò la presenza dei cattolici nella vita politica italiana. Il ppi ed il psi avevano la maggioranza allaCamera ma
erano molto diversi l’uno dall’altro (confessionale-dipendente dalla chiesa e anticlericale).
I governi presieduti tra il 1919 e il 1921 furono caratterizzati da riforme, tra cui la più importante fu l’introduzione da
parte di Nitti del sistema elettorale proporzionale, che favorì l’affermazione di partiti organizzati su scala nazionale
come i socialisti e i popolari ai danni della vecchia classe dirigente. Questi governi non adeguarono le strutture
oligarchiche dello Stato a una società ormai massificata e non offrirono neppure prospettive di trasformazione
democratica o recuperarono pieno controllo del parlamento. Ad evidenziare la debolezza della classe dirigente
liberale fu anche l’occupazione nel 1919, di un corpo di volontari con a capo Gabriele D’Annunzio, della città di
Fiume per annetterla all’Italia.
Le elezioni del 1920 portarono ad una bona affermazione del psi, che però non riuscì a conquistare alcune città in cui
la spinta del movimento operaio si stava esaurendo (Milano e Bologna); dettero anche un primo segnale di ripresa i
liberali e i conservatori. Importante però in questo momento fu la fondazione nel 1919, da parte dell’ex socialista
Benito Mussolini, dei “Fasci di combattimento”. Essi riunivano piccoli gruppi di futuristi e membri delle truppe
d’assalto della “grande guerra”. Il loro primo programma riprendeva alcuni punti della tradizione democratica e
socialista:
 la richiesta di un’assemblea costituente
 partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese.
Il fascismo si dimostrò, sin da subito, in allineamento al nazionalismo e alle sue prime manifestazioni pubbliche
come l’incendio della tipografia dell’ “Avanti!”. Dopo l’estate del 1920 il fascismo si organizzò in squadre
paramilitari e scatenò una violenta guerra sociale: le organizzazioni socialiste e cattoliche vennero distrutte. Questa
situazione non incontrò grandi resistenze da parte del movimento operaio che era di per sé pacifista; godette invece
dell’appoggio delle autorità e degli apparati dello Stato. Alle nuove elezioni politiche del 1921 i fascisti furono
infatti inclusi nei “blocchi nazionali” promossi dalla vecchia classe dirigente e acquisì dimensioni di massa,
guadagnando consensi tra i ceti medi. Nel 1921-22 l’impotenza dei successori di Giolitti evidenziò la fine dello Stato
liberale e questo consolidò maggiormente il fascismo.
Dinanzi al dilagare della violenza esplosero forti divisioni di un movimento perciò ormai in ritirata: al XVII

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Congresso del psi, l’estrema sinistra uscì dal partito per costituire il Partito comunista d’Italia, le cui adesioni
rimasero minoritarie. A sancire la definitiva crisi del psi si aggiunsero ulteriori scissioni che favorirono nel 1921 la
costituzione del Partito nazionale fascista (pnf), con 300mila iscritti.
Mussolini decise così di far convergere su Roma, nell’ottobre del 1922, alcune “camicie nere” le quali sarebbero
potute essere disperse facilmente dalle truppe della capitale, ma il re Vittorio Emanuele III rifiutò di firmare lo stato
di assedio e incaricò lo stesso Mussolini di formare un nuovo governo. La Camera dei deputati concesse pieni poteri
al governo, di cui fecero parte anche ministri nazionalisti, liberali e “popolari”. Il fascismo dunque giunse al potere
senza avere una maggioranza parlamentare che gli fu però garantita da queste altre forze politiche; inoltre il vasto
consenso trai ceti medi gli assicurò una larga egemonia.

STABILIZZAZIONE NEL CONTINENTE EUROPEO


In Europa dopo la guerra, si affermarono regimi autoritari e conservatori come in Ungheria e, d'altro canto, Le
istituzioni rappresentative erano estremamente instabili come in Jugoslavia, in Grecia ed anche in Bulgaria, paesi
dilaniati da aspri conflitti sociali. All’estremo opposto del continente, la partecipazione alla guerra aveva colpito gli
equilibri già precari della repubblica portoghese, nata nel 1910 e sostituita nel 1926 da una dittatura militare. Anche
in Spagna, nonostante la sua neutralità di guerra, il regime liberale non resse dinanzi agli scioperi agrari, alle
violente lotte e nel 1923 subì un colpo di stato.
Gli unici regimi europei a sopravvivere furono il Regno Unito e la repubblica francese; qui le rivolte operaie
riuscirono ad essere contenuto dalle classi dirigenti e, anche se in Francia ad esempio le correnti radicali
guadagnarono ampi consensi, le controparti sociali e lo Stato ne vanificarono lo slancio. Dai risultati elettorali fu
evidente che in entrambi i casi, la crescita dei sindacati non ebbe corrispettivi politici:
 nel Regno Unito i conservatori e i liberali si unirono attorno alla figura di George;
 in Francia il “blocco nazionale” sotto la protezione di Clemenceau.
Entrambi riportarono vittorie schiaccianti nel 1918-19.
A differenza dell’Inghilterra però, la Francia soffrì di una pesante inflazione che fu risanata grazie alle industrie e,
conobbe una ripresa economica abbastanza forte e rapida. Nel caso francese inoltre, a frenare la spinta di un
movimento operaio valse l’esaltazione del senso di identità e coesione nazionale prodotta dalla guerra e rafforzata
dalla volontà di garantirsi una rivincita sulla Germania.

PRIMI MOVIMENTI ANTICOLONIALI


Nonostante la stabilità vigente in Francia e in Inghilterra, ben presto un profondo cambiamento si stava preparando
nei loro possedimenti coloniali. La guerra aveva causato vittime non solo tra le popolazioni europee, ma anche nelle
colonie da cui le potenze europee avevano preteso un grande tributo. Questi soldati durante il massacro incontrarono
idee di indipendenza e libertà applicabili anche allo stato di soggezione e sfruttamento dei loro paesi.
Nei Quattordici punti di Wilson veniva stabilito il principio della salvaguardia degli interessi dei popoli coloniali e
si attribuiva alle potenze europee un semplice ruolo di sostegno per il raggiungimento della capacità di autogoverno.
Il blocco commerciale connesso alla guerra non consentì ai paesi coloniali di assorbire le merci europee in
eccedenza, data la loro arretratezza economica. Si poneva così il problema di un’organizzazione più razionale del
dominio coloniale. Dalla Società delle Nazioni furono previsti 3 tipi di mandato:
1. periodo transitorio di tutela finalizzata al raggiungimento dell’indipendenza;
2. un’amministrazione coloniale sotto la supervisione della Società delle Nazioni;
3. un’incorporazione nel dominio della madrepatria.
I giovani delle élite dei paesi coloniali venivano mandati a studiare nel vecchio continente, dove avevano modo di
conoscere le forme organizzative, gli strumenti rivendicativi e le istanze di emancipazione dei ceti popolari europei;

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tornati nel luogo d’origine, era naturale che essi diffondessero le idee apprese, combinando l’aspirazione a uno
sviluppo economico con l’obiettivo dell’indipendenza. Le risposte delle potenze europee a queste sfide furono
diverse, anche se l’impero britannico e quello francese condividevano il pregiudizio secondo cui le popolazioni
extraeuropee non erano pronte a un sistema democratico indipendente. Questo criterio poteva conoscere parziali
eccezioni solo in presenza di élite indigene educate in Occidente e rispettose della preminenza economica della
madrepatria.
 La Francia difatti dichiarò intangibile la propria sovranità “formale” sulle colonie;
 La Gran Bretagna offrì un quarto istituzionale più dinamico e articolato, puntando sull’indirect rule ovvero
sulla possibilità di lasciare le istituzioni formalmente autonome, ma subordinandole agli interessi inglesi. La
sovranità della madrepatria era comunque difficile da applicare lì dove la popolazione bianca era non molto
più arretrata di quella inglese. Per risolvere questo problema, nel 1931 una legge sancì il superamento del
principio che limitava l’autonomia delle colonie alla sola politica interna. Le leggi approvate dal parlamento
inglese quindi, potevano essere rifiutate da quelli dei paesi coloniali e, ognuno di essi, appartenente al
Commonwealth aveva la facoltà di darsi una costituzione. Si accrebbe così l’importanza delle ex colonie nella
bilancia commerciale britannica.

LE ORIGINI DEL FASCISMO IN ITALIA


Il problema delle origini del fascismo è stato oggetto di un lungo dibattito.
 Benedetto Croce vede il fascismo come una parentesi che ha interrotto la storia d’Italia e che ha
prodotto il collasso dello Stato liberale; i fascisti sono stati da lui paragonati ai barbari che posero fine
alla civiltà dei faraoni egiziani.
 Altri, tra cui Piero Gobetti, interpretano il fascismo come una “rivelazione”, un effetto dello Stato
oligarchico ed uno strumento.
 Angelo Tasca pone alle origini del fascismo la guerra: una crisi economica che procede di pari passo con
quella dello Stato, una crisi senza via d’uscita delle classi medie, la lotta tra le opposte forze politiche
sono solo alcuni degli effetti della guerra in cui egli individua i presupposti del fascismo. A favorire
l’avvento del fascismo contribuirono altrettanti fattori, tra cui la responsabilità dei socialisti,
l’organizzazione armata e le doti tattiche di Mussolini, la complicità dello Stato e la paralisi del regime
parlamentare.
Dopo gli anni ‘60, l’interesse degli storici si è spostato dalla fase delle origini a quella del fascismo al potere:
 L’opera di De Felice e la sua intervista sul fascismo hanno messo a fuoco il fenomeno del “consenso” al
regime soprattutto da parte dei ceti medi, dovuto alla politica di espansione della spesa pubblica
perseguita da Mussolini. Egli ritiene il fascismo italiano un caso di totalitarismo imperfetto
contraddistinto da una perdurante egemonia dello Stato sul partito.
 Il nesso guerra-fascismo continua ad essere il fulcro di questi dibattiti e Emilio Gentile, ha insistito sulla
“grande guerra” come luogo di incubazione di una nuova religione politica fondata sul mito della
violenza e della morte. Egli considera il partito-milizia di Mussolini un modello compiutamente
totalitario, destinato ad essere imitato in tutta Europa.
 Roberto Vivarelli ha approfondito il tema delle origini, riflettendo sull’intera storia dell’Italia liberale:
difatti assieme al suffragio universale, il principio della sovranità popolare aveva creato le condizioni
per l’avvento della democrazia e se, la crisi del dopoguerra si risolse con l’avvento del fascismo, lo si
deve alla classe dirigente liberale e all’opposizione socialista. La prima non si occupò della questione
contadina, la seconda rappresentava l’arretrata società rurale.

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LA SOCIETÀ DI MASSA
In seguito alla “grande guerra” l’economia, la società e lo Stato ne uscirono profondamente trasformati: si trattava di
fenomeni comparsi prima del 1914 nelle società occidentali che iniziarono ad acquisire una dimensione di massa già
negli ultimi decenni del XIX secolo. La società di massa che si affermò fu caratterizzata da:
 una nuova classe operaia;
 uno sviluppo industriale, unito all’espansione del terziario e all’ampliamento delle funzioni dello Stato che
produsse una crescita quantitativa dei ceti medi;
 il sistema scolastico che fu uno strumento di omogenizzazione culturale attorno ai valori dell'identità
nazionale e di formazione professionale per operai e impiegati;
 processi di omogeneizzazione del corpo sociale attivati dallo Stato che attenuarono le divisioni interne. Queste
divisioni interne nell’800 erano state particolarmente nette; alla collocazione di ogni gruppo nella produzione
corrispondevano differenti stili di vita, costumi, tradizioni culturali. Si trattava di una società dicotomica, cioè
fondata sulla centralità di due classi sociali che secondo molti erano destinate ad assorbire tutte le altre: il
proletariato e la borghesia. Nel ‘900 tutto questo cambiò perché furono i ceti medi ad assumere il ruolo
centrale, proiettando i loro valori e modelli di comportamento sull’intero corpo sociale.
La maggior complessità della società industriale diede grande sviluppo alle associazioni di categoria e ordini
professionali per controllare l’accesso alle professioni e il loro esercizio. Tra le diverse professioni c’erano
naturalmente enormi dislivelli di reddito e di status: un primo elemento di unificazione venne dalla loro tendenza a
distinguersi dai lavoratori manuali, ma soprattutto fu l’imporsi di un modello produttivo basato sul consumo di
massa di beni durevoli, sollecitato dagli stessi ceti medi che ne furono i principali destinatari. Lo sviluppo dei
consumi però fu così impetuoso da investire gradualmente anche li strati inferiori della società. Un’altra importante
conseguenza fu la diminuzione degli addetti all’agricoltura e un ridimensionamento del settore primario, che fu
condannato ad una posizione subordinata. In ogni caso, nei paesi occidentali e anche in Giappone, lo Stato cercò di
aiutare la piccola proprietà contadina e ne tutelò la sopravvivenza, anche se il suo intervento non bastò ad arrestare
la sua fine. La differenza sostanziale tra ‘800 e ‘900 fu l’attenzione del movimento operaio che si spostò
dall’organizzazione del lavoro alla conquista di redditi più alti, necessari per accedere al consumo delle merci.
L’unico periodo in cui ci fu una chiara tendenza alla diminuzione dell’ineguaglianza interna ai singoli paesi fu il
‘900 ed importante fu la nazionalizzazione delle masse, garantita dal salto di qualità compiuto dai mezzi di
comunicazione, dal cinema, dalla radio. Negli usa si parlò di “industria della comunicazione” di cui si servì il potere
politico per stabilire un rapporto diretto con il pubblico. In Europa invece, fu lo Stato in prima persona a promuovere
l’uso di tali strumenti che ebbero maggior rilevanza nei paesi totalitari.

NUOVA ORGANIZZAZIONE DEL LAVORO E SVILUPPO ECONOMICO


Fra guerra e dopoguerra negli Stati Uniti si attivò un circolo virtuoso tra produzione e consumo:
 la produzione di beni di consumo durevole teneva bassi i prezzi di queste merci, mentre gli alti livelli di
occupazione e i salari relativamente elevati ne consentivano l’acquisto anche alle classi lavoratrici.
 Condizione di consumo di massa era la produzione in serie di oggetti standardizzati, cioè realizzati in un
numero limitato di modelli; questo permise di abbattere i tempi di lavoro e moltiplicarne la produttività,
riducendone i prezzi.
Alla fine degli anni venti la produzione e il reddito dei paesi coinvolti nella guerra avevano superato i valori
prebellici. Quanto il conflitto fosse costato all’Europa si vide dallo spostarsi del baricentro dell’economia mondiale
negli Stati Uniti, in cui si concentrò il 45% della produzione industriale del pianeta. I processi di concentrazione
economica e finanziaria si intensificarono come on mai: accanto ai trust e ai carrelli comparvero le holding, che
concentrarono nelle proprie mani i pacchetti azionari delle maggiori imprese, accentuando l’intreccio tra banca e

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industria. Dal punto di vista sociale si produsse una divisione importante tra proprietari e manager. Tutti questi
processi furono più precoci e corposi negli Stati Uniti, dove prima della guerra le leggi antitrust difesero la
possibilità delle imprese più piccole di operare sul mercato. In Europa invece si fa riferimento a un “capitalismo
organizzato” o “corporatismo” caratterizzato da una sorta di patto sociale:
 gli operai ottennero aumenti salariali;
 le istituzioni sostennero il costo di pensioni e assicurazioni sul lavoro, da cui rimasero esclusi gli operai delle
piccole e medie aziende e i disoccupati.
Si trattò di un patto sociale che venne avviato anche in altri paesi europei, dopo la metà degli anni ‘20. Fino ad allora
la situazione fu condizionata dalla conflittualità sociale e dall’inflazione, come nel caso della Germania dove la
carta moneta venne stampata in eccesso anche per far fronte alle riparazioni: questo provocò alla società tedesca uno
shock duraturo che produsse un clima di paura e incertezza che sarebbe stato sfruttato da Hitler. Quello della
Germania fu un caso limite, dovuto anche alla perdita del bacino industriale della Ruhr, che comportò l’ideazione
del piano Dawes
 si attivò un flusso di capitali dagli Stati Uniti alla Germania, alle potenze sue creditrici e ancora agli usa.
Questo meccanismo sorresse la ripresa europea della seconda metà degli anni ‘20, ma la rese più fragile perché
l’intervento americano rispondeva solo agli interessi degli imprenditori. Inoltre gli altri paesi venivano considerati
mercati per i propri prodotti piuttosto che come partner di un comune processo di crescita; d’altra parte la
dipendenza dell’economia europea da quella statunitense era tale, che una crisi scoppiata oltre oceano avrebbe avuto
ripercussioni devastanti nel vecchio continente (1929).

LA CRISI DEL 1929


Il 24 ottobre 1929 l’indice della borsa di New York crollò, segnando un ribasso pari al 50% del valore dei più
significativi titoli azionari. Gli investitori acquistavano azioni con l’obiettivo di rivenderle a breve scadenza nella
certezza di lucrare facili guadagni e nella fiducia ce i prezzi continuassero a salire sempre. Nel 1929 però, l’indice di
produzione statunitense calò e gli sbocchi di mercato a disposizione delle merci americane cominciavano a ridursi.
La discesa dei titoli proseguì perché un’enorme quantità di azioni fu svenduta dai possessori nella speranza di
limitare le perdite; il crollo della borsa ebbe immediate conseguenze:
 i risparmiatori corsero a ritirare i propri depositi, provocando il fallimento di migliaia di istituti di credito e il
blocco degli investimenti;
 la chiusura delle piccole banche fu rovinosa in un aereino cui era assai diffusa la pratica dell’indebitamento
privato;
Le autorità monetarie, convinte si trattasse di una situazione limitata e temporanea non intervennero con l’incisività
necessaria er ridare credito agli investimenti. Secondo alcuni economisti, furono proprio questi errori a trasformare
una crisi di liquidità (poco denaro circolante) in una vera recessione.
 Dalle banche la crisi si propagò all’industria, la cui produzione si dimezzò;
 i prezzi dei prodotti agricoli e industriali diminuirono vistosamente ed anche i profitti e gli investimenti
crollarono;
 dal punto di vista sociale, vertiginoso fu il tasso di disoccupazione che venne assorbita solo ocn il secondo
conflitto mondiale.
La cosiddetta “grande depressione” (1929-1932-33) provocò effetti disastrosi anche nei paesi dipendenti dagli
investimenti americani e caratterizzati da una fragilità del sistema economico come la Germania; meno grave fu
l’impatto della crisi in Francia e Gran Bretagna, i cui imperi coloniali costituivano le aree di mercato privilegiate e
relativamente autonome.
La fisionomia della società capitalistica uscì profondamente mutata dalla svolta del 1929-32 e il capitalismo assunse

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connotati nuovi.
 Negli Stati Uniti fu elaborato il New Deal, un progetto di riforma del sistema capitalistico che assegnò allo
Stato compiti di regolazione dell’economia e di intervento a sostegno delle fasce più deboli della popolazione.
Esso ridimensionò il potere delle grandi corporazioni e introdusse le assicurazioni contro le malattie,
l’indennità di disoccupazione e altri ammortizzatori sociali. Lo Stato si trasformò in imprenditore finanziando
opere pubbliche che crearono nuovi posti di lavoro rialzando il livello dei salari e dei consumi. In questo
modo ci sarebbe stata una ripresa dell’economia che avrebbe consentito di pareggiare i conti pubblici.

LA RIFONDAZIONE DELL’EUROPA BORGHESE


Gli studi sull’Europa tra le due guerre si concentrano sui temi politici della rivoluzione, della crisi della
democrazia e dell’avvento del fascismo. Poche sono state le ricerche che hanno analizzato altri fenomeni e tra
queste, ricordiamo Maier che ha seguito in parallelo le vicende del primo dopoguerra in Francia, Germania e
Italia. La “grande guerra” aveva ristrutturato irreversibilmente la società moderna e posto fine allo Stato
liberale oligarchico delle èlite e delle classi, dando vita ad una rifondazione dell’Europa borghese. Al di là
delle differenze politico-istituzionali tra sistemi democratici e totalitari, tale “rifondazione” poggiò su un
fenomeno che Maier considera unificante: corporatismo. Con il termine “corporatismo” non si fa riferimento
a una società divisa in stati, ordini o ceti giuridicamente definiti, ma agli assetti istituzionali, la distribuzione
del potere e la nuova economia politica affermatasi negli anni ‘30. Il primo dopoguerra viene letto come un
momento storico cruciale di ristrutturazione dell’economia mondiale.

GLI STATI UNITI COME POTENZA MONDIALE


Impiegati nel conflitto per pochi mesi, gli Stati Uniti avevano subito all’incirca 100mila morti, ma il territorio
nazionale era rimasto immune da ogni devastazione e l’economia si era convertita solo in parte in funzione della
guerra. Questo comportò una svolta dei rapporti con gli stati europei i quali, per sostenere lo sforzo bellico, avevano
moltiplicato il debito pubblico: gran parte di questi debiti erano stati contratti con gli Stati Uniti, divenuti creditori.
Ovviamente l’ascesa dell’economia statunitense non era dovuta esclusivamente all’immunità di guerra, ma anche
alle trasformazioni strutturali che anticipavano le linee di tendenza delle economie europee e del commercio
internazionale.
Paradossalmente questo ruolo economico globale si accompagnò con una linea politica di rinnovato “isolazionismo”,
alla cui base c’erano la paura e la diffidenza per le condizioni politiche europee; paura che si rafforzò nel dopoguerra
con il radicalizzarsi dei conflitti sociali e con il timore che gli ideali rivoluzionari si propagassero dalla Russia anche
nel nuovo continente. La cosiddetta”paura dei rossi” che allora attraversò il paese, si combinò con un sentimento di
orgoglio nazionale detto “americanismo”, misto a un senso di rivincita nei confronti della civiltà europea. Tali
tendenza provocarono nell’opinione pubblica un forte risentimento verso la politica del democratico Wilson, volta
ad assegnare agli Stati Uniti il ruolo di custode e garante di un nuovo ordine internazionale:
 fu così che nel 1920 la maggioranza repubblicana del Senato respinse il trattato di pace e non rinnovò
l’adesione degli usa alla Società delle Nazioni;
 le elezioni presidenziali garantirono la vittoria a Harding con la partecipazione delle donne al voto (per la
prima volta). I suoi provvedimenti confermarono la spinta isolazionista che lo avevano portato al successo.
Nel 1921 furono approvate misure protezionistiche di aumento dei dazi doganali sulle importazioni e una serie
di leggi riguardo l’immigrazione, limitandone gli arrivi. Tutto questo esprimeva una preoccupazione di fondo
per l’integrità e la saldezza morale della società americana: nel Sud del paese il movimento del Ku Klux Klan
che coniugava la difesa dell’americanismo con il razzismo, praticava violenza nei confronti degli avversari,
considerati nemici della patria e ottenne 5 milioni di iscritti.

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IL BOOM DEGLI ANNI ‘20 E LA CRISI DEL ‘29
Quelli dopo la guerra, furono definiti i ruggenti anni venti; difatti tra il 1922 e il 1929 l’indice di produzione
industriale salì di quasi due terzi e, la disoccupazione oscillò attorno al 3-4% della popolazione attiva (dato ritenuto
fisiologico). La fabbrica somigliò sempre più ad una sequenza di mansioni svolte in tempi rigorosamente
cronometrati attorno alla catena di montaggio di un unico prodotto realizzato in serie. Aumentando la produttività,
ad essa furono agganciati i salari e questo migliorò il potere d’acquisto dei lavoratori. Si diffusero nuovi consumi di
massa e nuovi stili di vita, ricorrendo in misura crescente alla pubblicità che arrivò a coprire più di metà delle pagine
dei giornali. La prosperità americana si concentrava nei ceti urbani medio-alti perché difatti, d’altra partito mondo
agricolo risentì il calo dei prezzi e il dimezzarsi del proprio reddito. La filosofia del sogno americano credeva nel
mito del successo individuale e considerava le disuguaglianze frutto naturale delle diverse qualità personali.

 Con la morte di Harding nel 1923, il partito repubblicano conquistò tutti i mandati presidenziali del decennio
successivo: la prosperità americana si sposava con un’ideologia liberista in politica interna e isolazionista in
politica estera. Il partito rafforzò cos le sue basi di consenso e divenne strumento di rappresentanza politica dei
più forti gruppi di interesse dell’economia e della finanza.
 Questo blocco di potere che si fondava su una crescita economica spontanea, senza interventi e controlli da
parte dello Stato, risultò impreparata ad affrontare il crollo della borsa nel 1929. Hoover minimizzò l’accaduto
ma la situazione peggiorò. Nel 1930 il presidente alzò ancora le barriere doganali contro l’importazione di
merci straniere, tentando di proteggere l’industria nazionale e arginare la disoccupazione. I provvedimenti
risultarono inefficienti e anzi, scaturirono la reazione degli altri paesi che decisero ugualmente di elevare i
costi dei dazi doganali, danneggiando le esportazioni americane con ulteriori effetti repressivi.
 La situazione peggiorò, i disoccupati raggiunsero la quota record di 13 milioni ma Hoover si rifiutò di
concedere loro sussidio assistenziale. Nel 1932 ci fu una manifestazione dinanzi alla Casa Bianca,
violentemente repressa.
 La svolta si ebbe alle elezioni del 1932, quando il democratico Roosevelt si aggiudicò una maggioranza più
ampia di quella ottenuta dai suoi predecessori repubblicani.

ROOSEVELT E IL NEW DEAL


Secondo Roosevelt bisognava abbandonare il liberismo dei repubblicani e impegnare lo Stato in una lotta contro la
crisi e la disoccupazione. I provvedimenti più urgenti furono:
1. svalutazione del dollaro e la separazione tra banche di deposito e anche di investimento;
2. un’assicurazione che proteggeva i depositi e i conti correnti per evitare le corse al ritiro dei soldi e il fallimento
delle banche;
3. l’intervento dello Stato nell’agricoltura per regolare la produzione evitandone gli eccessi, per finanziare le
ipoteche su case e terreni tutelando i contadini dalla rovina;
4. fu costitutivo un ente pubblico incaricato di grandi opere idrauliche, di rimboschimento e irrigazione per
regolare le acque del fiume Tennessee e sfruttarle per la produzione di energia elettrica;
5. nel 1933 una legge creò un’agenzia governativa preposta alla politica industriale che doveva occuparsi dei
conflitti sindacali e delle relazioni industriali, mettendo a punto dei codici di comportamento; nel 1935 questa
legge fu dichiarata incostituzionale dalla Corte Suprema perché lesiva dell’autonomia dei singoli stati e della
libertà d’impresa.
L’obiettivo di Roosevelt era la realizzazione di un “capitalismo democratico”, come alternativa al fascismo e al
comunismo, regolato dall’intervento statale per attenuare le disuguaglianze sociali più gravi e mediando tra gli
interessi delle grandi corporazioni e quelli dei salariati dell’industria e dei piccoli proprietari terrieri.

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In vista della scadenza del suo mandato presidenziale, nel 1935 Roosevelt decise di accelerare la realizzazione del
suo programma con 3 importanti provvedimenti (detti “secondo New Deal”):
1. Costituzione del WPA (work progress administration) un ente governativo per il coordinamento di una rete di
opere pubbliche che estendesse ciò che era stato precedentemente effettuato con il fiume Tennessee.
2. Costituzione del Wagner Act che difendeva la libertà dei sindacati, stabilendone i criteri di rappresentanza e
legittimandone il ruolo istituzionale.
3. Costituzione del Social Security Act che stabiliva un regime di collaborazione tra autorità federale e singoli
stati per costituire fondi in favore di anziani bisognosi, disoccupati o invalidi e attuando così il principio
dell’assicurazione pensionistica, anche se limitata ai lavoratori dell’industria.
Queste misure, che rafforzarono il potere contrattuale dei lavoratori sia sul piano delle relazioni industriali che su
quello economico, furono dunque assecondate dal movimento sindacale. A sentirsi minacciati dall’azione di
Roosevelt furono invece i grandi imprenditori: le loro resistenze comunque sia non assunsero un carattere
antidemocratico, ma furono rappresentate dalla minoranza repubblicana in parlamento e dalla Corte Suprema.
Le elezioni del 1936 portarono una vittoria eclatante per Roosevelt (stravinse con più del 60% dei voti); il reddito pro
capite del paese salì ai livelli degli anni ‘20, ma sul fronte occupazionale i risultati non furono univoci. Alle radici
del successo elettorale di Roosevelt c’era il New Deal, che riuscì a coagulare i consensi delle classi lavoratrici, dei
ceti medi e anche della popolazione di colore del Sud.
Il secondo mandato però fu in discesa: nell’amministrazione prevalse una politica di contenimento della spesa per
ridurre il deficit del bilancio e, la base produttiva del paese risentì subito della stretta creditizia. Questo comportò,
alla fine del 1937, una congiuntura recessiva che riportò la disoccupazione oltre i 10 milioni. Insorsero grandi
cooperi nelle fabbriche e tutto questo dette nuova voce all’opposizione: nelle elezioni parziali del 1938 i
repubblicani dopo 10 anni videro aumentare i propri seggi. Nel 1939 Roosevelt chiese al Congresso, oltre al
riassorbimento della disoccupazione, un significativo aumento delle spese militari, il potenziamento dell’industria
bellica: la battaglia politica si stava spostando sul terreno della politica estera.

LA GRAN BRETAGNA
Nel periodo tra le due guerre la Gran Bretagna fu caratterizzata da un sistema politico democratico fondato
sull’alternanza di due partiti al governo. Nel 1918 una riforma elettorale accrebbe il numero degli elettori,
permettendo alle donne con più di 30anni di votare e anche a strati consistenti di classe operaia.
 Il Partito laburista quintuplicò i propri voti;
 il Partito comunista fondato nel 1920 rimase sempre una forza irrilevante.
Un limite del sistema politico fu invece la questione irlandese: dopo la concessione nel 1914 dell’autogoverno e la
repressione di una rivolta nel 1916, il partito nazionalista nel 1919 proclamò l’indipendenza dell’isola.
Successivamente però lo Stato libero d’Irlanda fu riconosciuto da Londra con un proprio parlamento e poteri
autonomi.
Intanto l’inflazione postbellica aveva provocato un crollo dei prezzi dei prodotti agricoli, un incremento del numero
di disoccupati e le conseguenze non tardarono anche sul piano politico:
 Alle elezioni del 1922-23 i laburisti avanzarono, togliendo ai conservatori la maggioranza assoluta mentre i
liberali mantenevano le loro posizioni. Nel 1924 le rivalità tra liberali e conservatori aprirono la strada al primo
governo laburista della storia inglese. Quest’ultimo, guidato da MacDonald, era privo di maggioranza
parlamentare e cadde dopo pochi mesi.
 Le nuove elezioni restituirono maggioranza assoluta dei seggi ai conservatori, dimezzando quelli dei liberali.
Il nuovo premier Baldwin fu affiancato dal ministro Churchill e, insieme, attuarono una politica economica di
rigore per restituire supremazia internazionale alla sterlina: fu così recuperato il livello di cambio con l’oro,

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ma l’obiettivo fu pagato a caro prezzo soprattutto dai settori industriali più arretrati (in particolare da quello
minerario). Fattori di crisi furono anche l’impiego crescente di fonti di energia diverse dal carbone, i riflessi
negativi sulle esportazioni di una sterlina ipervalutata e un grande sciopero ad opera del sindacato, in risposta
al tentativo dei proprietari delle miniere di allungare gli orari di lavoro e ridurre i salari (risolto con una
sconfitta). Il rigore finanziario dei conservatori non fu però abbastanza per risanare il paese.
 Alle elezioni del 1929 però i laburisti riportarono al governo MacDonald, ma la crisi trasformò il problema
dell’occupazione in una vera emergenza. Di fronte ad una situazione insostenibile MacDonald, andando
contro il suo partito che lo espulse, formò un governo di unità nazionale comprendente ex laburisti,
conservatori e liberali. Furono adottati pesanti tagli alla spesa pubblica e prelievi straordinari sugli stipendi del
pubblico impiego; fu abbandonata la parità aurea e la sterlina si svalutò di un terzo. Con la discesa dei tassi di
interesse bancari ci fu una ripresa degli investimenti e delle esportazioni: l’indice della produzione industriale
tornò a salire ma la disoccupazione non scese sotto il 7-8%.
 Nel 1935 MacDonald fu sostituito al governo da un conservatore che dopo due anni lasciò il potere a
Chamberlain. I consensi dei conservatori si consolidarono notevolmente e l’Unione Britannica dei Fascisti
(1932) non riuscì ad esercitare un peso significativo: difatti nonostante l’avvento di Hitler, la politica estera
britannica continuò ad orientarsi lungo una linea conciliante nei confronti della Germania nazista, definita di
“pacificazione”.

LA FRANCIA
La Francia aveva vinto la guerra ma per pagare la ricostruzione dipendeva dalle riparazioni tedesche e dai prestiti
degli alleati; dunque non ne era uscita in condizioni migliore della Germania.
 Nel 1919 il governo di centrodestra vincitore alle elezioni avviò una politica deflativa di riduzione delle spese
e di stabilità monetaria. Nonostante anche l’occupazione della Ruhr, il deficit del bilancio non si ridusse.
 Alle elezioni del 1924 fu la sinistra, composta da socialisti e radicali, a conquistare la maggioranza. La politica
del nuovo governo fu abbastanza incerta e alcune richieste in ambito finanziario vennero osteggiate dal Senato
 Nel 1925 il governo cadde e alla guida dell’esecutivo fu chiamato Poincaré, il quale formò un governo di unità
nazionale senza i socialisti. Il franco venne svalutato e, sia gli indici della produzione industriale che il reddito
nazionale ripresero a crescere: il bilancio dello Stato tornò in attivo.
 Anche in Francia la crisi del ‘29 ebbe l’effetto di una svolta: la svalutazione della sterlina e del dollaro
penalizzò le esportazioni, la produzione n distriate scese e i conti pubblici tornarono in rosso. Dal ‘29 al ‘32 si
succedettero otto governi di centrodestra che cercarono di superare la crisi con misure protezionistiche e
severe limitazioni delle uscite; redditi e salari ebbero una drastica caduta e lo scontento che ne derivò
coinvolse strati consistenti di ceto medio che, alle elezioni del 1932, premiarono le opposizioni di sinistra.
 In un periodo di estrema instabilità politica, trovarono spazio leghe paramilitari più o meno direttamente
ispirate al fascismo e al nazismo di Hitler, le quali si mobilitarono contro la repubblica. Questo spinse le
sinistre a una politica antifascista unitaria: il Partito comunista abbandonò la sua linea di isolamento e strinse
un patto d’alleanza, nel 1934, con i socialisti e i radicali. Essi si unirono in un Fronte popolare, il cui
programma prevedeva:
1. Rialzo del potere d’acquisto dei salari mediante riduzioni dell’orario di l’avrò;
2. Rilancio delle opere pubbliche;
3. Costituzione di un fondo contro la disoccupazione;
4. Scioglimento delle formazioni paramilitari di estrema destra.
 Alle elezioni del 1936 il Fronte ottenne una salda maggioranza e propose un accordo sindacati-imprenditori
che portò consistenti aumenti salariali, introdusse le40 ore lavorative settimanali e 2 settimane di ferie

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retribuite. L’industria bellica fu nazionalizzata e la Banca di Francia riformata, migliorando le ragioni di
scambio dei prodotti agricoli e garantendo al governo il consenso dei contadini. L’obbligo scolastico fu portato
a 14 anni e una legge soppressai gruppi fascisti.
 Questo periodo durò poco, difatti l’aumento del costo del lavoro riaccese un’inflazione superiore alle esigenze
dell’industria esportatrice, la svalutazione del franco fu vista come un grave insuccesso e la riduzione
dell’orario odi lavoro non portò ad un immediato aumento dell’occupazione. I piccoli industriali misero in
discussione gli accordi del 1936 e questo, assieme alla violenta campagna antisemita contro l’ebreo Blum che
si diffuse tra l’estrema destra, portarono alle dimissioni del governo.
 Una crescente debolezza caratterizzò anche i governi successivi e la Francia, con la sconfitta delle sinistre,
cadde in preda ad una grave crisi.

LA GERMANIA DI WEIMAR
Le elezioni dell'Assemblea costituente affidarono il governo tedesco a una coalizione tra socialdemocratici e partiti
di centro. La situazione che essi dovettero affrontare non fu semplice: il trattato di pace sottrasse alla Germania il
15% della terra coltivabile e l’80% della produzione di ferro. Le opposizioni di sinistra e di destra non riconoscevano
la repubblica e in soccorso al governo venne un accordo tra imprenditori e sindacati, che riconobbe i diritti di
proprietà e di associazione sindacale, istituendo la giornata lavorativa di 8 ore e un sussidio di disoccupazione.
La costituzione promulgata nel 1919 dette alla repubblica di Weimar la forma di un regime federale:
 il parlamento era bicamerale, con un Reichstag eletto a suffragio universale maschile e femminile e un
Reichstag composto dai delegati dei 17 stati regionali;
 il presidente della repubblica era eletto direttamente e dotato di ampi poteri che gli consentivano di emettere
ordinanze con valore di legge.
La repubblica dovette mediare tra i socialdemocratici e i partiti di centro, ma anche con i poteri forti del paese:
esercito, sindacato e industriali. La prima prova riguardò il ripristino e la tutela della legalità:
 nel 1920, guidati da un politico di estrema destra, i gruppi parlamentari che avevano represso l'insurrezione
dell’estrema sinistra tentarono senza successo un colpo di stato; lo sciopero generale che scoppiò nella Ruhr fu
domato a fatica dalle truppe fedeli al governo. Alle elezioni successive il partito socialdemocratico subì una
pesante sconfitta e crebbero le opposizioni di sinistra e di destra.
 Non si arrestò tuttavia la violenza e, nel 1921 fu la volta dei comunisti che tentarono senza successo
un’insurrezione.
Questa situazione fu aggravata anche dalle difficoltà di politica estera:
 Nel 1923 le truppe belghe e francesi occuparono la Ruhr per ritorsione contro il mancato pagamento delle
riparazioni ed umiliarono la repubblica di Weimar, sottolineandone l’isolamento internazionale;
 si abbatté inoltre un’inflazione mai vista in un paese occidentale: miseria e disoccupazione dilagarono.
 Il presidente del Partito del popolo Stresemann aveva avviato una politica di risanamento finanziario creando
una nuova valuta: l’inflazione tornò alla norma e l’economia conobbe un impetuoso rilancio.
 Decisivo fu anche l’allentarsi della tensione internazionale, difatti nel 1925 le truppe francesi si ritirarono dalla
Ruhr e, con il piano Dawes venne concesso alla Germania un prestito consistente. Importante, quello stesso
anno, fu il trattato di Locarno con cui vennero sanciti i rapporti franco-tedeschi.
 Nel 1926 la Germania entrò nella Società delle Nazioni.
Ma la repubblica di Weimar non riuscì a ridurre la polarizzazione estremistica della politica tedesca; nonostante ciò,
che la crisi sfociasse nel totalitarismo nazista non era un esito scontato. La revisione pacifica del trattato di
Versailles, attorno agli anni ‘20, mostrava che altre vie erano percorribili.

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L’EUROPA CENTRO-ORIENTALE
In Europa centro-orientale il periodo postbellico aveva portato alla costruzione di nuovi stati, in funzione
antitedesca; si trattava distati molto deboli e spesso anche caratterizzati da conflitti etnici interni, che in alcuni casi
prendevano di mira le consistenze minoranze ebraiche. La struttura sociale rispecchiava una prevalenza di
un’agricoltura arretrata, chiusa all’innovazione e questo, dovuto all’alleanza tra il ceto militare e l’aristocrazia
terriera che riuscì a limitare la riforma agraria.
Per questi paesi l’Italia fascista e la Germania nazista furono un modello e un rassicurante alleato, fatta eccezione
per l’Austria e la Cecoslovacchia (anche se questo non valse a evitare la fine della democrazia alla prima e la perdita
dell’indipendenza alla seconda).
 In Austria alle elezioni del 1919 il Partito socialista ottenne una leggera maggioranza relativa: questo risultato
fu il preludio di quella che nel 1921 fu la loro espulsione dal governo, comportando una situazione
economico-sociale anche peggiore di quella tedesca. Si avviarono una serie di attentati ad opera dei ceti agrari
contro “Vienna la rossa”, che culminarono nel 1927 con l’incendio del palazzo di giustizia. Anche la crisi del
‘29 ebbe ripercussioni forti con il crollo della Banca e accentuando le propensioni filotedesche e dei
nazionalisti. Il partito nazista austriaco ottenne un successo clamoroso alle elezioni del 1932 e, il governo
cristiano-sociale decise di varare una costituzione, attribuendo poteri dittatoriali al capo del governo e
sciogliendo i partiti nazista e socialista; questo comportò un nuovo tipo di regime “clericofascista”. Seguirono
insurrezioni delle forze di sinistra, represse duramente e l’asse Roma-Berlino stipulato nel 1937 privò il paese
del sostegno che l’Italia le aveva garantito in funzione antitedesca, aprendo la strada all’annessione alla
Germania.
 Un’economia e una società progredite permisero alla Cecoslovacchia di consolidare la democrazia grazie ai
suoi due leader, che lottavano per l’indipendenza. Le coalizioni di governo attuarono una politica di riforme e,
d’altra parte, le tensioni derivanti dalle differenze etniche, religiose e culturali furono contenute grazie a un
sistema amministrativo fondato sull’autonomia delle province. I conflitti etnici si aggravarono negli anni ‘30
anche per effetto della crisi economica e, dopo l’ascesa di Hitler, trovarono il loro epicentro nella regione di
frontiera dei Sudeti abitata da cittadini di lingua e cultura tedesca. Di fronte alle pretese tedesche
espansionistiche, la repubblica cecoslovacca non trovò alleati decisi a difenderla e subì lo stesso destino
dell’Austria.
 La nuova repubblica della Polonia, in seguito al trattato di Versailles, uscì con frontiere sicure a occidente che
non avevano però confini definiti. La cosiddetta linea Curzon assegnava la sovranità del paese a regioni
abitate in maggioranza da polacchi, ma il movimento nazionalista rivendicò i territori orientali e coinvolse la
Polonia in una guerra senza risultati con l’Unione Sovietica (1920). I conflitti interni suscitati dalle diverse
minoranze nazionali terminarono quando nel 1926 venne effettuato un colpo di stato e fu instaurata la dittatura.
 Nel regno d’Ungheria fu restaurato un regime autoritario, il primo a introdurre in Europa una legislazione
antisemita nel 1920. Il problema di fondo del paese però, era la questione agraria: molti contadini erano senza
terra e un quarto del territorio era in mano ai latifondisti. Negli anni ‘30 il movimento nazista delle Croci
Frecciate conquistò molti consensi e si affermò come maggiore forza d’opposizione.
 In Romania ci fu ugualmente il problema della terra; nel 1930 con il rientro in patria del re ci fu una svolta
destra che vide, nel giro di poco tempo, violazioni delle norme costituzionali e la legittimazione di movimenti
antisemiti e fascisti. Nel 1937 furono introdotte leggi antisemite e fu formato un governo di unità nazionale.
 In Jugoslavia l’intervento del re portò ad un’involuzione autoritaria: egli nel 1929 sciolse il parlamento e i
partiti, per dominare la rivolta di croati e sloveni, nella quale perse egli stesso la vita.
 In Bulgaria il leader contadino, impegnato in una politica di riforme, fu rovesciato e ucciso d nel 1923.
Ad eccezione della Cecoslovacchia, l’Europa centro-orientale visse l’epoca tra le due guerre con una mancata

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modernizzazione industriale e una reazione autoritaria.

NEW DEAL
Il New Deal non rappresenta un semplice evento della storia nazionale: nel valutarlo c’è chi lo ritiene una
deviazione “socialista” rovinosa e chi lo assume come modello di intervento sociale e ricompattamento
nazionale. Difatti le stesse strategie adottate in risposta alla crisi economica del 2007-08 vengono messe a
confronto con questo periodo storico.
La scuola progressista tracciò una distinzione tra un primo New Deal, compreso nell’ottica della
ricostruzione e della ripresa economica in termini tradizionali, e un secondo New Deal avviato a partire dal
1935, che invece mise in moto un profondo processo riformatore in senso antimonopolistico. In questa
periodizzazione veniva posto l’accento sugli interessi economici e sul conflitto tra popolo e monopoli.
A questa interpretazione si oppose quella liberale secondo cui, nella trasformazione dello Stato avvenuta con
il New Deal, si espresse una deviazione estranea alla tradizione liberista americana e più vicina alle
esperienze dittatoriali europee.
Una posizione più intermedia è invece stata presa dalla “scuola del consenso” che ha messo in evidenza
l’eccezionalismo della storia degli Stati Uniti rispetto ai modelli europei, enfatizzandone i dati peculiari:
l’assenza di ceti nobiliari, la minor predisposizione ai fenomeni dittatoriali e la capacità di comporre
profonde diversità etniche e culturali in un quadro comune di cittadinanza democratica. In accordo con
questi orientamenti è semplice affermare che Roosevelt avesse dato vita al New Deal come equilibrio tra gli
interessi contrapposti delle organizzazioni sindacali e delle grandi corporazioni. Sulla base di questo
ragionamento, il punto di novità del New Deal rispetto al passato risiede in grandi scelte radicali, ma
soprattutto nella nuova alleanza tra mondo intellettuale e mondo economico. Il punto di convergenza di
questa riforma fu quella di creare una società senza classi, nella quale ognuno potesse essere artefice del
proprio futuro.
Dagli anni ‘60 il New Deal è stato sottoposto a critiche crescenti da parte di coloro i quali hanno ricondotto
l’insufficienza riformatrice di Roosevelt a una carenza di fondo della cultura progressista americana:
dipendente dalla logica del profitto, essa finì per assumere come priorità il rilancio dell’impresa privata
piuttosto che obiettivi di trasformazione sociale. In questa visione il New Deal si presenta come un
approfondimento determinante in quella che è stata definita “la rifondazione dell’Europa borghese”, ovvero
sulla concentrazione negoziale tra centri di potere politico e centri di potere economico.
Dopodiché negli anni ‘80 -‘90 il New Deal è stato definito la “fine del liberalismo”, ovvero del crescente
smembramento dello Stato in un arcipelago di strutture separate dove pezzi della pubblica amministrazione
e gruppi di interessi privati perseguivano strategie comuni, rendendo di fatti impossibile un’azione politica in
nome di un interesse comune e generale.

IL FASCISMO
Il governo di coalizione formato da Mussolini dopo la marcia su Roma cantava su pochi deputati, ma sulla gran
maggioranza alla Camera, grazie all’appoggio dei liberali e di parte dei cattolici. Anche la Corona e buona parte dei
ceti medi concordavano con l’esigenza di riportare ordine nel paese, distruggendo ciò che restava delle opposizioni
di sinistra.
 Nel 1922 fu istituito il Gran consiglio del fascismo, un organo consultivo composto da dirigenti del pnf
incaricato di elaborare la linea del governo.
 Nel 1923 fu istituita la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale: corpo militare composto da “camicie nere”
rese dunque più controllabili. Ovviamente questo non arrestò le violenze contro gli oppositori.

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 Un altro passo importante riguardò la legge elettorale maggioritaria con cui i attribuiva il 65% dei seggi alla
coalizione affinché raggiungesse il 25% dei voti.
 Nelle elezioni del 1924 i fascisti prepararono il cosiddetto listo e comprendente liberali e cattolici, mentre le
opposizioni antifasciste si presentarono divise. Con l’uso della violenza, i primi conquistarono il 65% dei voti.
Nonostante il rafforzamento delle elezioni, il fascismo quello stesso anno visse il suo unico momento di crisi.
Il leader socialista riformista Matteotti denunciò alla Camera i brogli e le violenze commessi durante la
campagna elettorale dai fascisti. Egli venne sequestrato e ucciso comportando la diffusione nell’opinione
pubblica, che a decidere il suo assassinio furono i vertici del governo. I partiti di opposizione abbandonarono
il parlamento e protestarono pensando di provocare un intervento del re Vittorio Emanuele III, il quale però si
astenne da ogni iniziativa.
 A questo punto Mussolini nel 1925 decise di parlare alla Camera e rivendicò la responsabilità politica, morale
e storica dell’accaduto. Con la collaborazione del ministro della Giustizia, si accinse a varare una serie di leggi
che trasformarono lo stato italiano:
1. fu ripristinata la lettera dello Statuto Albertini, svincolando il governo dal voto di fiducia del parlamento e
abolendo la distinzione tra potere legislativo ed esecutivo affermatosi nello Stato liberale;
2. introdusse una legge “per la difesa dello Stato” che comportò importanti restrizioni alla libertà personale, alla
vita politica e alla libertà di associazione e di stampa;
3. furono eliminate le autonomie locali, sostituendo i sindaci e le giunte comunali eletti dai cittadini con podestà
e consulte nominati dall’alto;
4. riservò ai soli sindacati fascisti il diritto di stipulare contratti collettivi proibendo inoltre lo sciopero e
istituendo la Magistratura del lavoro per risolvere i contrasti tra lavoratori ed imprese.
5. nel 1927 venne redatta la Carta del Lavoro, dal Gran Consiglio e questo sistema, fu presentato come
l’alternativa fascista al capitalismo e al socialismo per ottenere il contributo dei produttori allo sviluppo
economico e al progresso sociale, in nome del superiore interesse dello Stato. I salari reali e i consumi privati
diminuirono e a crescere furono soltanto le retribuzioni del pubblico impiego, ritenuto dal regime una base
indispensabile di consenso.
6. Nel 1928 la costruzione fascista poteva dirsi completata. Per definire il regime Mussolini aveva fatto uso del
termine “totalitario”: in realtà le pretese totalitarie del fascismo furono ridimensionate dall’esistenza di altri
centri di potere (Chiesa, Corona, forze armate), che sostennero il fascismo ma la loro esistenza era pronta a
diventare un’alternativa in un’eventuale situazione di crisi.
 Nel 1929 Pio XI concluse con Mussolini latto di conciliazione che la chiesa sino a quel momento, si era
rifiutata di concedere allo Stato liberale: i Patti Lateranensi prevedevano il reciproco riconoscimento tra il
Regno d’Italia e lo Stato della Città del Vaticano, cui veniva assicurato un risarcimento per la rinuncia allo
Stato pontificio. La religione cattolica venne proclamata la sola religione dello Stato e venne anche dotata di
molteplici privilegi, riguardanti ad esempio l’obbligo di insegnamento della dottrina cattolica nella scuola
pubblica. Il fascismo godeva ormai di un consenso generalizzato: il plebiscito assegnò alla lista il 98% dei
voti.
 Nel 1931 le organizzazioni giovanili cattoliche furono sciolte e l’Azione cattolica dovette limitare la propria
opera al terreno religioso.

IL REGIME: REPRESSIONE E CONSENSO


Il problema del consenso, riguardo al fascismo, è stato rimosso dopo la seconda guerra mondiale: la nuova
repubblica democratica si fondava sull’antifascismo e in quel contesto si sottolinearono anzitutto i tratti repressivi
del regime. A riproporre la questione fu De Felice che, a parer di altri studiosi, ha enfatizzato la convinta adesione

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degli italiani al fascismo. In realtà bisogna considerare che una dura repressione si batté sull’opposizione politica
antifascista, contro cui furono manate le “leggi eccezionali” del 1926 e contro cui, molte furono le condanne a morte
(Gramsci). La repressione nel dissenso non si limitò solo ai militanti politici, alla conflittualità operaia o sindacale,
ma anche le “manifestazioni sediziose” che fomentavano aperte rivolte contro il potere, non erano accettate. Contro
qualsiasi forma di anticonformismo i controlli, le intimidazioni e le violenze, intervennero spesso prima e con
maggiore efficacia della persecuzione giudiziaria o poliziesca.
Il principale elemento di novità del regime fu il tentativo di coinvolgere le masse nella vita pubblica per ottenerne il
consenso: la nazionalizzazione delle masse fu diretta e caratterizzata da un’ideologia totalitaria ispirata all’impero
romano (duce era l’appellativo di Mussolini). Il pnf raggiunse moltissimi iscritti, svolgendo una funzione che fu
indottrinamento ma anche assistenza clientelare: l’iscrizione al partito fu per molti uno strumento utile per ottenere
occupazioni e avanzamenti di carriera.
Il processo di nazionalizzazione delle masse aveva tra gli obiettivi anche i bambini, gli adolescenti e i giovani che
furono dunque raggruppati per età nei Figli della lupa, nei Balilla e negli Avanguardisti, dove venivano indottrinati
e apprendevano la cultura militare. Gli studenti universitari venivano raccolti nei Gruppi universitari fascisti dove
godevano di maggiore libertà e d’altro canto, le donne assunsero maggiore visibilità pubblica, limitandone l’accesso
agli impieghi e relegandole in una condizione di inferiorità giuridica.
Riguardo alla cultura, c’è chi ha sostenuto l’inesistenza di una cultura fascista, insistendo sulla negazione del
confronto delle idee e sulla chiusura provinciale del regime; altri invece sottolineano l’opera di organizzazione della
cultura realizzata dal fascismo con istituzioni come l’Enciclopedia Treccani.
Si è parlato di “religione civile” per gli italiani, al centro della quale c’era il mito della patria come entità monolitica
e strettamente riconducibile alla politica antiebraica, sviluppata a partire dal 1936 e culminata nelle leggi “per difesa
della razza” del ‘38 con cui vennero esclusi gli ebrei dalle scuole e dagli impieghi pubblici, vietando anche i
matrimoni “misti”. L’antisemitismo non era elemento originario del fascismo ma l’ideologia razzista nacque in
ambito coloniale contro le popolazioni della Libia e dell’Etiopia, allineandosi alla politica tedesca.

ECONOMIA E SOCIETÀ
Superata a livello internazionale la crisi economica postbellica, grandi aziende ed istituti bancari vennero salvati
dall’intervento statale ad opera del ministro delle Finanze De Stefani.
 Le tariffe doganali vennero abbassate e, alcuni storici hanno definito “liberistica” questa prima fase della
politica economica fascista in cui lo Stato lasciava fare al mercato, concentrandosi sull’obiettivo del pareggio
del bilancio che fu raggiunto nel 1925.
 Da questo momento in poi, la politica economica fascista cambiò ed ebbe una svolta autarchica e
protezionistica: reintroduzione del dazio sulle importazioni di grano e zucchero.
 De Stefani lasciò spazio al nuovo finanziere Volpi e, Mussolini annunciò una rivalutazione della lira e, la
nuova parità fu fissata a “quota 90”. L’obiettivo era lanciare un segnale di forza e stabilità agli investitori
internazionale e ai risparmiatori italiani ma, nel 1927 si attuò una vera e propria recessione, causata dal crollo
delle esportazioni e dalla caduta della domanda interna per consumi privati. Tutto ciò fu accentuato poi dalla
crisi del’29.
 L’intervento dello Stato fu un intervento di soccorso ai gruppi privati anziché alle industrie esportatrici; buona
parte di queste ultime, una volta in crisi, passarono sotto la diretta gestione dello Stato. Nel 1936 una riforma
trasformò la Banca d’Italia in un ente di diritto pubblico con il rafforzamento del potere di controllo sulle altre
banche.
 Nel 1926 sembrò esserci un tentativo di estendere la superficie coltivata e proteggere la produzione nazionale
con tariffe doganali per conseguire l’obiettivo dell’autosufficienza alimentare: questo non avvenne, anzi,

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l’aumento della terra coltivata a grano danneggiò le altre colture e l’allevamento, producendo un
impoverimento complessivo del settore.
 Ancora più ambizioso fu il pano della “bonifica integrale”: un progetto del 1927 che ebbe i suoi maggiori
successi con la bonifica delle paludi pontine e la nascita di nuove città. Il regime realizzò tuttavia solo un
decimo delle opere previste, per via della resistenza dei proprietari terrieri. Negli anni più difficili (‘29 -‘32)
essi manifestarono il proprio malcontento, ma la sola alternativa proposta loro dal regime fu l’avventura
coloniale in Africa.
De Felice ha colto nel sostegno offerto al ceto medio emergente una peculiare forma di modernizzazione; altri
invece hanno colto l’alleanza che era alla base del regime, tra fascismo e dunque tra potere politico ed economico.
Questa alleanza, che non era nient’altro che un compromesso, ebbe dei costi che furono scaricati sui ceti subalterni:
bassi salari, disoccupazione e sottoccupazione determinarono un profondo disagio sociale e una stagnazione della
richiesta di beni e di consumo, soprattutto nel Mezzogiorno le cui condizioni continuarono a peggiorare.
Il particolarismo dello Stato sociale fascista fu accentuato dalla scelta di ricorrere a versamenti delle singole
categorie anziché della fiscalità generale: ad esempio nel campo delle assicurazioni dei lavoratori si affermò un
sistema destinato alle pensioni e alle provvidenze contro infortuni, malattia e disoccupazione per l’industria e
penalizzando non solo l’agricoltura, ma anche il lavoro femminile. In tutto questo il ruolo della Chiesa e del mondo
cattolico fu quello di favorire il consenso ma soprattutto, di temperare i tratti più aggressivi del regime.

LA POLITICA ESTERA
La politica estera del fascismo per alcuni seguiva la coerenza ideologica interna al regime, secondo altri gli interessi
strategici dell’Italia. Sulla base di questo, i primi sono convinti che la partecipazione dell’Italia alla seconda guerra
mondiale fu l’epilogo coerente di un’aggressiva politica di potenza, che ne fece però un fattore di destabilizzazione
degli equilibri europei; i secondi (De Felice) pensano che il crescente allineamento di Mussolini ad Hitler fu in larga
misura strumentale e la sua entrata in guerra al fianco della Germania su il risultato di scelte solo in parte coerenti.
 In ogni caso, Mussolini si mosse alla ricerca di una legittimazione internazionale che, in qualche modo,
ottenne partecipando nel 1925 assieme all’Inghilterra alla conferenza di Locarno.
 Al tempo stesso il regime recuperò il controllo della Libia, attuando una sanguinosa repressione e deportando
nel 1930 migliaia di abitanti del territorio e radunandoli in campi di concentramento lungo la costa.
 Nel 1932 Mussolini divenne ministro degli Esteri, nonostante la sua politica estera fu ridotta dall’aggressività
della Germania nazista.
 Nel 1933 l’Italia firmò con Francia, Gran Bretagna e Germania un patto esprimendo la volontà di inserire il
regime di Hitler nella situazione europea; con l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni, Mussolini
si spinse in direzione contraria. La minaccia tedesca all’indipendenza dell’Austria portò Mussolini a tutelare
quest’ultima, schierando le sue truppe ed avvicinandosi alla Francia.
 Nel 1935 l’Italia partecipò assieme alla Francia e alla Gran Bretagna, ad una conferenza delle nazioni vincitrici
della “grande guerra” per ribadire l’intenzione di tutelare e proteggere l’Europa, rispettando i trattati del 1919.
 ma nel 1935 l’Italia fascista attaccò l’Etiopia e le truppe italiane condussero una spietata guerra con
bombardamenti , deportazioni e un uso di gas asfissianti. Questo attacco provocò una dura reazione da parte
della Società delle Nazioni la quale adottò sanzioni economiche contro l’Italia, ma d’altra parte rovesciò anche
gli equilibri europei. L’Italia ottenne la solidarietà della Germania e ricambiò il gesto ponendosi a favore
dell’annessione dell’Austria.
 Nel 1936 la nascita dell’asse Roma-Berlino consacrò l’intesa tra i due dittatori, assegnando a Germania e Italia
aree d’influenza diverse per impedire interferenze e conflitti. Il primo banco di prova di questa alleanza fu la
guerra civile spagnola: Germania e Italia appoggiarono la violenta ribellione di Francisco Franco contro la

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repubblica e Mussolini, in particolare, inviò un corpo di spedizione.
 Nel 1937 l’Italia firmò un patto antisovietico con Germania e Giappone, uscendo dalla Società delle Nazioni.
 Nel 1938 venne annessa l’Albania all’Italia e con il “Patto d’acciaio” l’Italia e la Germania si impegnarono ad
entrare in guerra l’una al fianco dell’altra, nel caso di un conflitto offensivo. Quando scoppiò la guerra
mondiale, l’Italia non dichiarò subito lo stato di guerra del paese per guadagnare tempo, data l’impreparazione
militare.

IL TOTALITARISMO
Hannah Arendt connetteva i regimi della prima metà del ‘900 con il processo di modernizzazione che aveva
trasformato le società europee in società di massa e, lo strumento per restituire loro unità e identità era il
mito imperialistico della nazione forte e potente; un mito che non si avvaleva della mediazione della
democrazia parlamentare, sostituita dalla compenetrazione tra partito unico e Stato. La categoria del
totalitarismo interpretava quindi le dittature del ‘900 come esperienze politiche monolitiche, legate al
tentativo di annullare ogni differenza individuale e ogni libertà personale. Gli aspetti comuni tra fascismo
italiano, nazismo tedesco e comunismo sovietico erano così identificati:
1. Leader carismatico
2. Partito unico di massa
3. Polizia politica
4. Ideologia assoluta
5. Concentrazione di poteri economici nelle mani dello Stato.
L’accento qui è posto sui metodi di governo, ma vengono tralasciati la politica razziale e il nazismo, assenti
nel caso sovietico. in ogni caso ci si è chiesti se fosse possibile considerare il fascismo come un fenomeno
storico a carattere internazionale,pur tenendo conto delle differenze tra i diversi casi nazionali. Secondo De
Felice ad esempio, tale generalizzazione rischierebbe di cancellare differenze essenziali; Collotti invece ha
sostenuto la tesi del carattere internazionale del fascismo, individuando nei diversi movimenti e regimi
fascisti altri tratti comuni quali, il rifiuto radicale e violento della democrazia, l’opposizione frontale al
movimento operaio e al bolscevismo, il nazionalismo aggressivo, il tentativo di organizzare le masse con
strumenti di partecipazione e mobilitazione.

IL NAZISMO
In una società moderna la conquista del potere non poteva avvenire con una sollevazione militare, ma andava
preparata ottenendo il consenso di ampie masse; solo dopo la conquista del potere per via elettorale, il nazismo
avrebbe imposto i suoi veri obiettivi. L’ascesa del Partito nazista a venne sfruttando questa tecnica attraverso tre
risorse decisive:
1. Organizzazione paramilitare della violenza sul modello del fascismo italiano;
2. Un’abile propaganda attutate attraverso nuovi mezzi di comunicazione;
3. Un leader carismatico che entra in un rapporto diretto di immedesimazione con la massa attraverso l’arma
della retorica e la scenografia della propaganda.
L’organizzazione della nasdap (partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori) era diffusa nei diversi territori
secondo un criterio gerarchico di obbedienza al fuhrer Adolf Hitler. Alle strutture di partito si affiancavano
organismi di massa e soprattutto formazioni paramilitari che furono le protagonisti della violenza verso i socialisti e
i comunisti. Nel 1926 comparvero anche le ss che fungevano da guardie del corpo di Hitler e diffusero il terrore nella
Germania. Hitler illustrò un’ideologia nazista caratterizzata da uno “spazio vitale” in cui abitare, preservato dalla
contaminazione di altre razze che l’avrebbero potuto indebolire o condannare all’estinzione. Sulla base del concetto

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di “spazio vitale” la figura dell’ebreo, “popolo senza spazio”, era indicato come il responsabile dello stato di
prostrazione della Germania. Questa visione influenzò la politica estera: Hitler voleva spingersi verso est, contro il
tradizionale amico russo, asiatico e comunista. La chiave propagandistica dell’affermazione della nsdap fu il
nazionalismo: il popolo tedesco doveva costituirsi in una comunità nazionale organizzata secondo rigidi modelli
militari di gerarchia e obbedienza, che escludesse gli ebrei e le sinistre; ottenne così ampi consensi tra contadini,
operai e anche tra i ceti medio-alti.
 Alla crisi della repubblica di Weimar e all’avvento del nazismo dette un contributo decisivo la crisi del ‘29, le
cui conseguenze furono particolarmente gravi: una produzione industriale dimezzata, un’enorme crescita della
disoccupazione, paure dei risparmiatori per la tenuta della moneta e dei ceti rurali per il crollo dei prezzi
agricoli. Tutto questo comportò una divisione del governo di coalizione nel 1930, tra spd, Centro cattolico e
Partito democratico;
 successe un governo diretto dal leader del Centro costretto a cercare sostegno a destra e a sinistra perché privo
di una maggioranza parlamentare. L’alternativa tra politiche sociale venne risolta a favore del secondo, ma le
forze di polizia mostravano una sostanziale condiscendenza verso le violenze della destra.
 Come Mussolini, anche Hitler si giovò della divisione delle altre forze politiche e, al fianco del Partito
nazionalpopolare di Hugenberg, il suo partito propendeva per una dittatura militare come soluzione definitiva
della crisi in corso. Nonostante alle elezioni presidenziali del ‘32 Hindenburg ottenne un numero maggiore di
suffragi, Hitler assieme al capo dell’esercito fece cadere Bruning, il cancelliere della repubblica di Weimar.
 Il programma politico che gli successe mirava a rafforzare l’estrema destra e a emarginare la spd, costretta a
passare all’opposizione. Questo comportò una vera e propria guerra civile violenta.
 Alle nuove elezioni i nazisti divennero il primo partito, ma il sistema politico restò in una situazione di stallo e
unaltra tornata elettorale sembrò segnare un’inversione dei risultati che però, non essendo stata presa al balzo
non comportò alcun cambiamento e il gioco restò nelle mani di Hitler.
 Nel 1933 Hitler venne incaricato di formare il governo e costituì un gabinetto di coalizione con 5 ministri del
precedente esecutivo; mentre il partito nazionalpopolare tedesco con Hugenberg ottenne i 2 ministeri
economici, ma ben presto la nsdap avrebbe ottenuto il primato indiscusso.

IL TERZO REICH
La rapidità con cui i nazisti crearono un regime fu sorprendente; la dittatura venne costruita in soli 6 mesi,
servendosi della decretazione d’urgenza già largamente utilizzata da Bruning.
 Il 1°febbraio 1933 fu sciolto il parlamento e dopo qualche giorno fu incendiata la sua sede; i principali
esponenti del Partito comunista vennero arrestati e Hindenburg firmò un nuovo decreto che soppresse a tempo
indeterminato i diritti costituzionali, consentendo la violazione del segreto epistolare e il controllo dei telefoni.
Nonostante ciò alle elezioni del marzo 1933 la nsdap ottenne un risultato analogo a quello dell’insieme delle
opposizioni (socialdemocratica, comunista, cattolica).
 Il nuovo parlamento fu costretto a votare una legge che conferiva al governo il potere legislativo in contrasto
con la Costituzione, riservandogli la gestione dei trattati internazionali e attribuendo al cancelliere la facoltà di
firmare decreti al posto del presidente. Lo stesso giorno dell’ insediamento del nuovo parlamento nel marzo
1933 il capo delle ss aprì in una cittadina un campo di concentramento per gli oppositori politici: nacque un
sistema carcerario parallelo e autonomo rispetto a quello statale.
 Il governo sottopose tutte le istituzioni pubbliche e private al controllo della nsdap e, distrutti i partiti operai,
vennero confiscate le sedi e il patrimonio di associazioni e sindacati. Anche l’agricoltura e l'allevamento
furono sottoposti al controllo del partito e, una volta espulsi gli ebrei dalle cariche direttive, le stesse
associazioni degli industriali rinunciarono alla propria autonomia, accettando di integrarsi in uno Stato che

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garantiva la fine di ogni opposizione sindacale.
 La radio divenne la voce del regime e la stampa fu asservita tramite la censura e l’assalto al mondo della
cultura fu molto forte: nel maggio del 1933 vennero bruciati i libri degli autori considerati antinazionali.
 Nel luglio di quello stesso anno venne annunciata la fine della rivoluzione e, una legge vietò la ricostituzione
dei partiti, riconoscendo esclusivamente la nsdap, identificata ormai con lo Stato stesso.
 Per rafforzare sempre più il suo potere, il Fuhrer dichiarò le forze armate nel 1934 l’unico organo militare della
nazione che, intanto, iniziarono ad applicare una politica di “arianizzazione”. La violenza raggiunse il culmine
nel 1934, quando durante la notte vennero assassinati gli esponenti politici dell’opposizione (la notte dei
lunghi coltelli). Questo evento paradossalmente venne apprezzato dalla popolazione, speranzosa che dopo
questo evento la violenza terminasse: da qui nacque la concezione del capo duro a giusto, capace di liberarsi di
un amico colpevole. Con un referendum, quello stesso anno, la fusione delle cariche di capo di Stato, del
governo, del partito e delle forze armate in Hitler fu ultimato anche l’edificio del Terzo Reich.
 Alla base del sistema nazista rimasero il dominio e la violenza, ma il segno distintivo fu la politica razziale.
Innanzitutto si cercò di favorire l’incremento demografico, per accrescere la forza militare della Germania,
con prestiti concessi alle coppie in cui la moglie, rinunciando al lavoro, si sarebbe dovuta dedicare
esclusivamente alla famiglia. Anche qui infatti, la politica demografica del regime come in Italia, passò
attraverso l’esclusione delle donne dai diritti politici e civili al voto, all’istruzione e alla carriera professionale.
 Se da una parte si accresceva il numero degli ariani, d’altra parte veniva eliminato chi ariano non era.
L’antisemitismo venne messo in pratica con una serie di misure repressive ai danni della comunità ebraica
tedesca eliminandoli dalle amministrazioni statali e comunali. Nel 1935 le leggi di Norimberga furono
approvate dal parlamento e vietarono i matrimoni misti, acclusero dalla cittadinanza coloro i quali non fossero
di sangue tedesco e privarono tutti gli ebrei dei diritti civili. Gli uomini delle ss che avevano operato in questo
programma furono mandati in Polonia per mettere in pratica gli stessi metodi contro gli ebrei. Nel 1938 ci fu
una forte repressione antiebraica nella cosiddetta “notte dei cristalli”, durante la quale le ss saccheggiarono
negozi rompendo vetrine, incendiarono sinagoghe e uccisero molta gente. Costringendo molti ebrei alla fuga.
 Soltanto con la guerra e le conquiste territoriali del Terzo Reich si passò ad una politica di sterminio di massa
con la conversione di alcuni Lager in campi di sterminio con strutture dedicate alla orte di massa.
 Importante fu la politica di intervento statale finanziata con il debito pubblico, per volere del governatore della
banca centrale tedesca, sotto affidamento di Hitler. Per fronteggiare la crisi economica e la disoccupazione
furono favorite l’edilizia pubblica e privata e le industrie; particolare rilievo ebbe la costruzione di una rete di
autostrade per incrementare la motorizzazione privata e tutto ciò favorì una crescita dei redditi e dei consumi
privati. Nel 1936 lo Stato controllava il mercato, manovrando i prezzi e privilegiando alcune industrie
nell’assegnazione di materie prime e mezzi di produzione: questo determinò nell’apparato industriale un
intreccio tra pubblico e privato.
 L’obiettivo dell’autarchia, cioè dell’autosufficienza economica della Germania, si dimostrò illusorio: alla fine
del 1938 il deficit dello Stato era aumentato e mancavano le risorse essenziali, materie prime e generi
alimentari.
 Il risultato più importante della politica di riarmo fu il quasi completo riassorbimento della disoccupazione.
Nel 1933 era stato costituito il Fronte tedesco del lavoro il cui compito non era sindacale ma educativo e
formativo: lo sciopero e gli strumenti tradizionali di difesa dei lavoratori erano banditi.
 Come in Italia, anche le chiese svolsero un ruolo importante: espressa contro il nazismo prima della presa di
potere, essa modificò il suo atteggiamento e, in effetti ricordiamo la firma del concordato da parte della Santa
Sede nel luglio del 1933. Negli anni successivi fu il regime però ad accentuare la sua pressione sulla Chiesa,
con violazioni del concordato e dell’autonomia di tutte le confessioni.

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L’IMPERIALISMO NAZISTA
Dal punto di vista della politica estera, nonostante la sconfitta del 1918 e la pace di Versailles, alla base del
programma nazista ci fu il rilancio di un bellicoso imperialismo: l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni
nel 1933 manifestò tale determinazione.
 Hitler intraprese una politica di accordi bilaterali con gli stati confinanti a est: Polonia e Unione Sovietica, che
insieme al Vaticano era stata tra i primi a riconoscere il suo regime.
 Nel 1934 un primo tentativo di annessione dell’Austria fallì, ma nel 1935 un plebiscito sancì il ritorno nel
Reich della regione carbonifera della Saar.
 Violando il trattato di Versailles, il regime iniziò la sua politica di riarmo, ripristinando la coscrizione
obbligatoria e dichiarando nel 1937 che entro l’anno successivo la guerra sarebbe iniziata contro l’Austria e la
Cecoslovacchia. Hitler ribadì la priorità strategica dell’espansione a est, per conquistare lo “spazio vitale”, ma
non escluse un conflitto con Francia e Gran Bretagna proponendo la “guerra lampo”, ovvero campagne
militari rapidissime evitando di sottoporre l’economia e la società tedesca a una pressione intollerabile. Questa
proposta suscitò perplessità e Hitler decise di liberarsi di coloro i quali avevano esposto queste critiche cui il
ministro degli Esteri.
 Imboccata la strada della guerra, la pressione totalitaria all’interno del paese nn ebbe allora più limiti e
l’espansione tedesca non si fermò: nel 1938 vennero annessi l’Austria e i Sudeti, nel 1939 la Boemia e la
Moravia e, con l’invasione della Polonia, la Germania nazista scatenò la seconda guerra mondiale.
Contemporaneamente ebbe inizio il programma di sterminio di massa.

STATO, PARTITO E FUHRER NEL NAZIONALSOCIALISMO


Il Terzo Reich era una società monolitica, nella quale i vertici politici del partito nazista, a cominciare dal
Fuhrer, erano riusciti a sottomettere completamente gli apparati dello Stato e a esercitare attraverso di essi
controllo totale sulla società, capace di realizzare senza tentennamenti obiettivi come lo sterminio degli ebrei.
Nonostante l’immagine monolitica che il regime dette di sé, il nazismo era una “policrazia” retta da una
pluralità di poteri spesso in conflitto reciproco:
1. partito;
2. esercito;
3. burocrazia;
4. industria.
 Successivamente si è fatto riferimento al nazismo sottolineando il ruolo di assoluta preminenza della
figura di Hitler, che quindi non può essere incluso nella famiglia dei fascismi. Secondo questa
interpretazione di Bracher, nella dittatura personale del Fuhrer si realizza e si esaurisce la coerenza del
regime, culminata nello sterminio degli ebrei come una realizzazione coerente delle intenzioni da lui
dichiarate (intenzionalisti).
 Alcuni storici invece, individuano nei rapporti tra i 4 apparati di governo la manifestazione di spinte e
tendenze diverse (funzionalisti). In questo caso il potere personale del Fuhrer sarebbe il prodotto di una
straordinaria popolarità e di un ruolo arbitrale tra le diverse parti del sistema.
I primi hanno rimproverato ai secondi di “banalizzare” il nazismo, rinunciando a un giudizio morale di
condanna nei confronti di esso, equiparando la dittatura hitleriana ad altri sistemi di potere complessi. Gli
intenzionalisti invece sono stati accusati dai secondi di aver ridotto la storia del regime all’ideologia
demoniaca del suo capo carismatico, sottovalutando la responsabilità delle vecchie classi dirigenti
nell’avvento del regime. Dopo la fine della guerra fredda e la riunificazione della Germania il paradigma
funzionalità sembra prevalere. I vari storici sottolineano il diffuso consenso al regime in diversi strati della

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società tedesca e la capacità di Hitler di fungere da punto di raccordo e di equilibrio tra le componenti del
nazismo.

LA RUSSIA SOVIETICA
Uscita distrutta inseguito alle vicende del 1914-20, la società sovietica entrò in una fase di ripresa grazie alla nep
(Nuova politica economica) varata nel 1921; quest’ultima fu definita da Lenin una forma di capitalismo di Stato e
una tappa intermedia verso l’industrializzazione e il socialismo.
 Revoca delle requisizioni dei generi alimentari e la loro sostituzione con un’imposta in natura (poi
monetizzata): in questo modo i contadini potevano disporre dei loro prodotti e, venendo le loro eccedenze,
Venne reintrodotto il mercato e il profitto individuale. Nel 1925 fu permesso ai contadini di affittare la terra e
assumere manodopera salariata.
 Nel settore industriale la nep abolì il lavoro obbligatorio e ammise l’esistenza di piccole imprese private.
 Corposi furono gli effetti della nep sulla società: la crescita della popolazione favorì l’incremento
dell’economia; emerse un ceto di piccoli commercianti e imprenditori (nepmen) e, anche nelle campagna e, si
sviluppo uno strato di piccoli imprenditori rurali (kulaki).
Come ha osservato Lewin, la nep permise alla Russia di riprendersi dal disastro in cui era piombata, ma non di
uscire dalla sua arretratezza:alla fine di questo periodo l’87% della popolazione era ancora dedita a un’agricoltura
arcaica. Difatti la società e l’economia russe erano fondamentalmente dominate dal settore rurale, dalla piccola
produzione autonoma e dalle piccole unità commerciali, a cui si accompagnava una piccola ma altamente
concentrata industria.
Il Partito comunista si identificò con questo Stato in espansione e ottenne nuovi iscritti che produssero una specie di
mutazione: accanto ai rivoluzionari della vecchia guardia, si affiancò un ampio strato di funzionari e burocrati
inefficienti e spesso corrotti. A tutto ciò si aggiunse l’arretratezza dei contadini, poveri e ignoranti, al centro di un
sistema sociale primitivo che si ristabilì con la nep, ma fu comunque un ostacolo alla modernizzazione e alla
politica economica. Concentrandosi su quest’ultima, il regime prese a trascurare l’analfabetismo e la crescita
culturale creando un divario tra gli obiettivi di produzione fissati dal centro e l’effettiva vita economica delle
campagne.
 Passi importanti per il consolidamento internazionale del nuovo regime furono compiuti a partire dal 1922,
quando lo stato dei soviet ruppe il suo isolamento diplomatico e partecipò ad una conferenza internazionale
che si svolse a Rapallo e, stipulò un accordo commerciale con la Germania (riconosciuto anche dalle altre
potenze europee).
 sempre nello stesso anno, Russia, Bielorussia, Ucraina e Transcaucasia costituirono l’URSS (Unione delle
repubbliche socialiste sovietiche), a cui aderirono anche le altre regioni del’ex impero zarista: nacque così uno
stato federale che però riservò più sempre al centro poteri ampi.
 Con la morte di Lenin nel 1924 ci fu una sopra lotta per la successione nel gruppo dirigente bolscevico: la
sinistra di Trockij proponeva una forte pressione sulle campagne per realizzare l’accumulazione necessaria a
industrializzare rapidamente il paese; la nep era convinta che bisognava contare esclusivamente sulle proprie
forze, puntando su una politica filocontadina il cui sviluppo doveva derivare dalla liberalizzazione dei mercati.
Tali posizioni furono sostenute da un ampio schieramento (con a capo Zinov e Kamenev). il cui partito vide a
capo un potente responsabile: Stalin., il quale voleva costruire il socialismo in Russia senza una rivoluzione.
 Nel 1925 la sinistra fu sconfitta, ma lo scontro si riaprì quando Zinov e Kamenev si avvicinarono a Trockij
preoccupati per la crescita del potere personale di Stalin. Quest'ultimo infatti ampliò la dimensione di massa
de partito, ma ne assunse il pieno controllo accentuando l’autoritarismo interno.
 Nel 1927 il XV Congresso del Paritito comunista espulse Trockij, Zinov, Kamenev e altri esponenti della

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sinistra. La vittoria di Stalin coincise con l’entrata in crisi della nep: la produzione agricola non era aumentata
e risultava sempre più inadeguata rispetto al gran numero degli abitanti e delle loro richieste.
 Tra il 1927-28 esplose un’acuta crisi degli approvvigionamenti di grano, dovuta ai bassi prezzi dei prodotti
agricoli, a cui il regime reagì con nuove requisizioni che tornarono a inasprire i rapporti sociali. Stalin attaccò
i kulaki con un’offensiva propagandistica, definendoli accaparratori illegali del grano che producevano. In
realtà, Stalin faceva uso della forza per bloccare l’avanzata del socialismo che secondo lui avrebbe
intensificato la lotta di classe.
 La destra di Bucharin, che si era schierato a difesa della nep, cercava di preservare quest’ultima con
provvedimenti a sostegno dei contadini e una politica fiscale ed economica che si limitasse a influenzare il
mercato; ma tra il 1928-30 essa venne del tutto emarginata, lasciando spazio al ferreo controllo che Stalin
esercitava sull’organizzazione di partito.

La nuova politica economico.sociale fu caratterizzata innanzitutto da sanzioni per chi non rispettava gli obiettivi:
 forzare i tempi dell’industrializzazione;
 collettivizzare l’agricoltura.
Il raggiungimento di tali obiettivi fu la risultante di 3 “piani quinquennali” che impressero ritmi frenetici alla vita
del paese, mantenendo alto il livello di tensione:
 Tra il 1928-32 la produzione industriale raddoppiò grazie al gigantismo delle fabbriche di stato: furono
costruiti nuovi stabilimenti ed anche nuove città a est degli Urali con ferrovie, strade e canali navigabili. Con
un balzo senza precedenti, allo scoppio della seconda guerra mondiale l’URSS era divenuta la terza potenza
industriale del mondo, dopo Stati Uniti e Germania.
 Tra il 1928-40 la società russa fu così sconvolta da una colossale migrazione interna che incrementò la
popolazione urbana, portando però problemi di alloggi, rifornimenti e organizzazione del lavoro. I livelli di
professione e d’istruzione erano inadeguati, sebbene il regime si impegnasse nella costruzione di scuole e
università con notevoli risultati. Le piccole imprese e gli esercizi commerciali chiusero, creando serie
difficoltà di approvvigionamenti e scambi interni, a favore dell’industria pesante. In aggiunta, ci fu una ripresa
dell’inflazione che comportò una drastica caduta del tenore di vita della popolazione.
 Nel 1929 Stalin lanciò un’offensiva per la collettivizzazione forzata dell’agricoltura, tentando di costringer ei
contadini ad entrare in aziende cooperative e soprattutto statali. Per ottenere tali risultati, si ricorse a durissimi
mezzi repressivi che andarono dall’esproprio dei fondi alla deportazione di massa, alla fucilazione. La
reazione da parte dei contadini non fu delle migliori: essi ridussero le semine ed il bestiame. Per sopperire alla
mancanza di rifornimenti delle città si ricorse alle “campagne per gli ammassi”: violente requisizioni annuali
di grano, i cui proventi furono utilizzati come approvvigionamento delle città e come esportazione in cambio
di macchine per l’industria. Per attuarle lo Stato condusse una vera guerra sociale contro i contadini che,
privati di ogni diritto, discriminati e oppressi, risposero lavorando il minimo possibile. Il risultato più
drammatico fu una grande carestie che si batté sull’Ucraina e non solo, dinanzi alla quale il potere sovietico
non fece nulla, negandone l’esistenza e continuando a sottrarre frani ai contadini con le requisizioni.

LO STALINISMO
La violenza anticontadina si accompagnò a un’involuzione autoritaria del partito-Stato. La piena assunzione del
potere da parte di Stalin venne sanzionata sin dal 1929 quando egli si presentava un genio dalle immense qualità. Lo
stato sovietico rimodellò dall’alto l’intera società con la repressione di massa e con un sistema di controlli sociali,
che accrebbero il ruolo di una onnipresente polizia politica: la gpu.
 Vennero combattuti l’assenteismo, alcolismo e la criminalità;

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 In fabbrica fu reintrodotto il cottimo (forma di retribuzione attraverso un calcolo della quantità di lavoro
effettiva) e si fece ricorso a differenziazioni salariali, premi e privilegi;
 L’obbedienza e il conformismo divennero virtù e strumenti di promozione sociale: il dissenso fu giudicato
come una deviazione dalla giusta linea o peggio, un complotto. Il termine “deviazionista” fu usato per
accusare gli oppositori, costretti ad umilianti autocritiche per evitare l’espulsione o l’esilio in Siberia;
 Il conformismo non risparmiò la vita culturale, con un cupo oscurantismo e la mortificazione della cultura a
mezzo di propaganda.
Tutto questo non risparmiò le opposizioni politiche soprattutto in campo economico:
 All’inizio degli anni ‘30 ebbero grande appoggio coloro i quali intendevano rallentare i ritmi di
industrializzazione, difatti durante il XVII Congresso nel 1932 il partito preferì una crescita più moderata per
allentare le tensioni generate dal primo piano quinquennale. Stalin reagì come di fronte a un complotto e sferrò
un attacco a fondo alla burocrazia: si aprì il cosiddetto “Grande Terrore”, una nuova fase autocratica in cui
Stalin esercitò un controllo praticamente illimitato sull’amministrazione statale e su un partito ormai senza
potere. Moltissimi furono gli arresti, le condanne a morte o le costrizioni al suicidio e le deportazioni nei
campi di lavoro forzato.
 Nel 1931, il sistema concentrazionario sovietico venne riorganizzato sotto il nome di Gulag (amministrazione
centrale dei campi): la forza lavoro era schiavizzata e impiegata in condizioni proibitive, causando un tasso di
mortalità per freddo, stenti ed epidemie pari al 30%. Tutto questo per evitare il sorger di nuovi nuclei di
opposizione.
 Nel 1938 con la destituzione (sanzione disciplinare) e l’esecuzione di colui che era stato a capo della fase più
esasperata della repressione, il “Grande Terrore” ebbe fine.

LA POLITICA ESTERA DELL’URSS E IL COMUNISMO INTERNAZIONALE


Con la conferenza di Rapallo del 1922 l’URSS adottò una politica estera volta a normalizzare le relazioni
internazionali con gli stati capitalistici, senza rinunciare al ruolo di centro della rivoluzione mondiale e di punto di
riferimento per tutti i partiti comunisti del mondo. Il principio dell’inasprimento della lotta di classe (applicato da
Stalin per il ripudio della nep e la lotta contro Bucharin) si tradusse negli altri paesi dell’assunzione della
socialdemocrazia come nemico principale della classe operaia. Questo comportò una divisione tra socialisti e
comunisti aggravando in Germania, la crisi della repubblica di Weimar e facilitò la vittoria di Hitler. I partiti
comunisti dei diversi paesi furono subordinati alla politica estera sovietica.
Assorbita dalle vicende interne, l’URSS si chiuse in un isolamento da cui uscì soltanto nel 1934. L’aggressività e
l’antisovietismo della Germania nazista e del Giappone spinsero Stalin a una politica estera difensiva di accordo fra
le potenze e di cauta apertura alle democrazie occidentali.
La nuova politica fu detta dei “fronti popolari” dal nome della coalizione tra comunisti, socialisti e radicali creatasi
in Francia nel 1934 con l’obiettivo di lottare per la pace contro il fascismo. Tale strategia fu fatta coincidere con la
difesa dell’URSS che condizionò le scelte pesantemente: durante la guerra civile spagnola, migliaia di comunisti e
antifascisti di tutti i paesi accorrevano a difesa della repubblica mentre l’URSS fornì aiuti limitati per non
danneggiare la propria politica estera.
Nel 1939, dopo l’invasione tedesca della Cecoslovacchia, Stalin operò un’inversione di rotta stipulando un trattato di
non aggressione con la Germania: il protocollo segreto allegato al patto (Ribbentrop-Molotov) fissava le sfere
d’influenza dei due paesi assegnando all’URSS non solo la Polonia orientale ma anche altri territori quali Estonia,
Lettonia e, dimostrava in questo modo che la mossa di Stalin non aveva esclusivamente un carattere difensivo ma
rispondeva a una chiara politica di potenza. questo patto ebbe conseguenze esiziali:
 Screditò la politica unitaria dei comunisti europei;

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 Disorientò i movimenti antifascisti per la pace e facilitò l’aggressione nazista alla Polonia;
 L’URSS non poté evitare l'attacco da parte di Hitler nel 1941: non avendolo previsto, Stalin si trovò anzi
impreparato a fronteggiare le armate tedesche; solo in seguito a questa aggressione l’URSS tornò a favore
della libertà contro il fascismo.
 Nel 1943 Stalin sciolse il Comitern per rassicurare gli alleati sul fatto che la rivoluzione mondiale non era più
tra gli obiettivi dell’Unione Sovietica.

LO STALINISMO
Una prima corrente di pensiero riguardo lo stalinismo ha avuto origine dagli scritti di Trockij e ha preso a
modello la rivoluzione francese, vedendo nello stalinismo una riedizione del Termidoro, cioè un tradimento
della rivoluzione e una forma di restaurazione capitalistica. Un altro filone che si è sviluppato nella cultura
occidentale, richiama l’opera di Hannah Arendt e la categoria dei “totalitarismi” di cui si è servito per
individuare la peculiarità dello stalinismo, distinguendolo dai sistemi democratici e dalle altre forme più
antiche di autoritarismo. Sulla base di questo secondo approccio, c’è chi nello stalinismo ha visto una
dittatura monolitica e unitaria, la cui esistenza è fondata sul terrore. Sia il nazismo che lo stalinismo
condividono il ricorso alla privazione dei diritti individuali e di ogni possibilità di scelta.
Negli anni ‘60 Lewin ha identificato come fenomeni costitutivi dello stalinismo l’industrializzazione e la
collettivizzazione delle campagne. La novità consiste nel ricostruire le dinamiche economiche e le strutture
politiche con un approccio di storia sociale attenta ai fenomeni che caratterizzano la società stessa.
Alla fine degli anni ‘70, i cosiddetti revisionisti, posero l’accento sull’articolazione di poteri interni al regime e
sull’esistenza di divergenze e conflitti tra centro e periferia e tra i diversi settori dello Stato. Assodata tra gli
storici è l’idea di una forte continuità tra Lenin e Stalin dal punto di vista dell’esercizio della violenza politica
e del terrore di massa.
Un capitolo a parte resta il dibattito storiografico riguardo il “Grande Terrore” raggiunto dal sistema di
potere staliniano con i Gulag: nonostante la denuncia nel ‘56 l’immagine tenebrosa e confusa dei Gulag ha
continuato a circolare, condizionata però dai vincoli di segretezza imposti dal regime sovietico. Tra le diverse
censure la prima a filtrare fu sicuramente la voce degli esuli e dei dissidenti, vittime della repressione. Sulla
base di queste poche informazioni, gli storici hanno iniziato a lavorare per ricostruire indirettamente una
visione d’assieme del terrore staliniano, che portò alla morte circa 20 milioni di persone. Solo a partire dalla
seconda metà degli anni ‘80 gli studiosi ebbero accesso agli archivi dell’apparato repressivo del regime e, i
successivi studi forniscono un quadro più concreto secondo cui i 53 Gulag operanti nel territorio sovietico
erano solo l’anello centrale di una catena reclusi a che comprendeva anche i penitenziari e le colonie di
confino.

IL GIAPPONE
 Mentre in Europa e in Russia si combatteva, in Giappone l’industria pesante si sviluppò soprattutto nei settori
metallurgico, meccanico, chimico ed elettrico; crebbero le esportazioni di prodotti finiti e le importazioni di
materie prime e macchinari. Il PIL del Giappone dall’inizio del secolo crebbe smisuratamente rispetto alle
altre potenze occidentali e nel 1920 la sua industria cotoniera era la seconda nel mondo.
 In tutto ciò i contadini iniziarono a ribellarsi dinanzi all’ascesa dei prezzi del riso, assalendo i magazzini e le
stazioni di polizia nelle grandi città, mentre il partito al potere varò una politica di forte sviluppo della flotta
militare: il Giappone divenne la terza potenza navale dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
 Dal punto di vista culturale si sviluppò il “panasiatismo” (volto a creare una vasta solidarietà politica,
economica, culturale) che puntava a eliminare ogni influenza straniera in un Estremo Oriente unificato sotto

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l’autorità giapponese. Sulla base di ciò, dopo la guerra mondiale i 70 mila soldati nipponici vennero inviati in
Siberia a combattere contro l’Armata Rossa e nonostante la sconfitta subita, la presenza giapponese si rafforzò
particolarmente perché era la chiara manifestazione di un disegno di lungo corso che poteva sfruttare la
fragilità internazionale della Russia sovietica e l’indebolimento navale della Gran Bretagna seguito alla
guerra.
 Il presidente degli Stati Uniti, preoccupati da questi sviluppi, convocò nel 1921 a Washington una conferenza
dei ministri degli Esteri di tutte le potenze marinare: ad ognuna di esse fu fissato un tetto massimo di
tonnellaggio. Era la prima volta che si realizzava una limitazione degli armamenti e la conferenza di
Washington diede inizio a una nuova era delle relazione internazionali. La flotta giapponese mantenne
comunque la sua superiorità concentrata nell’Oceano Pacifico, mentre la Gran Bretagna e gli Stati Uniti
dovevano dividere le proprie forze tra Pacifico e Atlantico.
 Il Giappone cercò tuttavia di imitare per molti aspetti l’Occidente: nel 1925 venne introdotto il suffragio
universale maschile e si dette un forte impulso alla secolarizzazione primaria.
 La cultura di base si fondava invece sui valori della morale confuciana: lealtà e obbedienza. Ad essa si
aggiungeva l’ideologia del tenno, ovvero il culto dell’imperatore, discendente degli dei fondatori del
Giappone e incarnazione egli stesso del principio divino di autorità. Il sistema nazionale era concepito come
un insieme organico retto da rapporti di lealtà e onore: come in una famiglia, chi veniva meno alle regole si
macchiava di tradimento e veniva disonorato.
 Nel 195 venne varata la legge sull’ordine pubblico che equiparava ogni minaccia nei confronti dei principi
della famiglia, a un crimine politico e con un decreto imperiale del 1928 fu introdotta la pena di morte per i
reati di pensiero.
 La crisi del 1929 provocò anche in Oriente un crollo dei prezzi, mettendo in crisi lo sviluppo economico
giapponese. Nel 11931 il ministro delle Finanze varò una politica di intervento statale, dando un importante
impulso alle spese militari e alle esportazioni, svalutando lo yen, moneta nazionale. Sempre più spesso i
militari intervenivano nelle scelte del governo, cercando di imporre una linea panasiatica.
 Nel 1932 alcuni cadetti di marina, appartenenti alla “fazione della via imperiale” che difendeva con le armi il
governo della nazione dai civili in modo tale da ottenere un collegamento imperatore-forze armate, uccisero il
Primo ministro. Questo fu solo il primo di una serie di terrorismi che culminarono con il tentativo di un colpo
di stato nel ‘36: oltre mille soldati attaccarono la residenza del capo del governo e il quartiere generale della
polizia di Tokyo. Nonostante l’azione fallì, il nuovo presidente fu pesantemente condizionato dal potere
militare.
 Nel 1936 firmò il patto Anticomintern con la Germania nazista e nel 1937 diede inizio alla conquista della Cina,
occupando i territori e torturando donne e bambini come avvenne a Nanchino: fu l’esempio di come
l’ideologia nazionalista potesse tramutarsi in razzismo verso la popolazione civile inerme.
 Nel 1938 una legge di mobilitazione nazionale attribuì pieni poteri allo Stato nella vita economica della
nazione e i sindacati vennero sciolti e sostituiti con un’Associazione patriottica industriale corporativa.

LA CINA E IL SUD-EST ASIATICO


La repubblica cinese istituita nel 1912 era rimasta uno Stato debole incapace di imporre il proprio potere ai
governatori militari delle province, i cosiddetti “signori della guerra”. Questi ultimi avevano il controllo delle
campagne e operavano in stretto rapporto con i latifondisti, i quali era in contatto con le élite straniere interessate
all’esportazione dei prodotti del paese. Oltre ai latifondisti però cerano i contadini che lavoravano la terra e
possedevano piccoli appezzamenti chiamati “minifondo”.
 In seguito alla guerra però, iniziò ad esserci una reazione nei confronti della presenza straniera e nel 1919

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studenti, impiegati e commercianti manifestarono a Pechino contro la subordinazione della Cina agli interessi
stranieri.
 Nel 1921 fu fondato il Partito comunista a Shangai e il Partito nazionale del popolo, che era al potere,
radicalizzò la propria battaglia per acquisire il controllo del paese e promosse una collaborazione con il Partito
comunista e con l’Unione Sovietica.
 Nel 1926 il nuovo leader intraprese una “spedizione vero Nord” intenta a conquistare i territori dei “signori
della guerra”. Queste conquiste posero fine all’alleanza con i comunisti, che vennero di conseguenza uccisi.
 Nel 1928 il leader Chiang entrò a Pechino ed istaurò un governo nazionalista, unificando la Cina. In realtà
diverse erano le zone che sfuggivano al controllo del leader e, intanto il Partito comunista trovò sostegno tra i
contadini poveri. Questi ultimi furono importantissimi per la sopravvivenza delle truppe dei comunisti che
iniziarono uno scontro per più di un anno con il leader Chiang affiancato dagli uomini dell’Armata Rossa.
 Dinanzi alla conquista giapponese della Manciuria Chiang temporeggiò, sperando in un intervento da parte
degli Stati Uniti. I comunisti intanto decisero di porre fine alla guerra civile per concentrarsi su un unico
obiettivo e nemico stranieri: il Giappone. Nacque una strategia comune contro l’invasore che diede inizio allo
scontro nel 1937, con grande crudeltà.
 Alla fine della seconda guerra mondiale, con la resa del Giappone, la Cina liberata sarebbe dovuta rimanere
sotto il governo di Chiang, e nell’orbita occidentale, secondo il concordato tra Stalin, Roosevelt e Churchill. Il
capo del Partito nazionale del popolo attaccò ripetutamente le basi del Partito comunista nelle campagne, che
rispose con un’intensificazione della politica di confische di terre, ai danni dei contadini ricchi, che rafforzò il
consenso del partito anche nelle zone della Cina in cui non si era radicata la resistenza antigiapponese.
 Nel 1948 i comunisti passarono alla guerra contro le truppe nazionaliste e le sconfissero, entrando a Pechino
l’anno seguente; Chiang e la parte a lui fedele del Partito nazionale del popolo si rifugiarono nell’isola di
Taiwan.
 Nel 1949 venne proclamata la repubblica popolare cinese.
L’esperienza cinese mostrava il nesso tra questione nazionale e sociale, tra lotta contro lo straniero e lotta per una
riforma agraria che distribuisse la terra, espropriata ai latifondi, ai contadini.
Anche in molti paesi del Sud-est asiatico si sviluppò la medesima dialettica tra partiti indipendentisti moderati
(borghesia nazionale propensa all’accordo con la potenza coloniale) e radicali (contadini poveri che volevano una
rivoluzione sociale e il raggiungimento dell’indipendenza), con le forze armate a fungere da ago della bilancia.
Rimasero aperti i problemi di un’effettiva riforma agraria e di una modernizzazione industriale che potesse
permettere di svincolare l’economia dallo sfruttamento occidentale dei giacimenti di materie prime.

L’INDIA
In India con le ferrovie e l’irrigazione l’impero britannico aveva promosso la commercializzazione dell’agricoltura,
mentre l’abbondanza del cotone aveva favorito lo sviluppo dell’industria tessile, i cui profitti economici erano
monopolizzati da un’élite interessata alla gestione del potere coloniale di Londra. Nonostante la grande miseria del
paese, il regime coloniale britannico prosperava e sfruttava la divisione religiosa esistente tra hindi e musulmani,
appoggiandosi spesso ai secondi che erano in minoranza e più moderati sul problema dell’indipendenza nazionale.
In questo clima comparve la figura di Gandhi, un avvocato formatosi in Inghilterra, che aveva guidato negli ultimi
anni dell’800 le proteste degli immigrati indiani in Sudafrica affermando il concetto di amore e non violenza. Alla
fine del 1919 la Gran Bretagna concesse all’India una nuova Costituzione che fissava una “diarchia” tra il
parlamento indigeno e il governo, che rispondeva del suo operato solo a Londra. Nella visione di Gandhi
l’indipendenza dell’India corrispondeva alla ricerca di una via di sviluppo alternativa a quella occidentale, fondata
sul rifiuto della civiltà industriale e della corruzione commerciale introdotta dall’Occidente, a favore di un’economia

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di autoconsumo. Dopo molteplici arresti e rilasci, Gandhi decise di intraprendere in carcere lo sciopero della fame
che ebbe una risonanza mondiale e contribuì all’elaborazione nel 1935 di una nuova Costituzione. Quest’ultima
ampliò l’autonomia e i poteri legislativi dei governi provinciali eletti dagli indiani, mentre rimaneva intatta la
“diarchia” tra governo inglese e autogoverno indiano. La svolta si ebbe nel 1945 con l’ascesa al governo londinese
del laburista Attlee, favorevole all’indipendenza. Così nel 1947 si costituirono due stati facenti parte del
Commonwealth: l’Unione indiana (prevalenza hindi) e il Pakistan (prevalenza musulmana).

IL MEDIO ORIENTE
Durante la prima guerra mondiale gli inglesi avevano fomentato la rivolta dei popoli arabi contro l’impero ottomano
promettendo loro l’indipendenza; ma i trattati di pace non soddisfarono queste aspettative: l’intera regione
mediorientale venne spartita tra Francia e Gran Bretagna.
Ridotto a Istambul e all’Anatolia, l’impero ottomano fu sostituito nel 1923 dalla repubblica turca con un regime
autoritario che però spinse il paese sulla strada della modernizzazione. Dopo qualche anno l’Islam divenne religione
di stato e ci fu una trasformazione della vita in senso laico, con l’abolizione del califfato, la massima autorità
temporale musulmana. Questo comportò una radicalizzazione in senso politico della comunità musulmana, la cui
identità era fondata sulla fede con la partecipazione alle lotte per l’indipendenza dei diversi paesi.
La Francia con i suoi mandati praticò una politica di autonomia e frammentazione delle diverse comunità, senza
però riuscire ad evitare in Siria una grande rivolta; la Gran Bretagna accordò l’indipendenza di alcuni territori,
mantenendo il controllo dei pozzi petroliferi.
Problema che riguardò l’intero Medio oriente furono gli ebrei che crebbero notevolmente e, i nuovi insediamenti
suscitarono ripetuti e sanguinosi tumulti, nonostante vennero loro riconosciuti i diritti in Palestina dal ministro degli
Esteri inglese nel 1917. Per rimediare a questi disordini, il governo inglese decise di creare uno Stato ebraico, uno
Stato arabo e una zona sotto mandato britannico comprendente Gerusalemme: piano respinto dai maggiori stati arabi
che voleva creare un unico stato palestinese alleato con la Gran Bretagna, che tutelasse la minoranza ebraica ma
ponesse fine ad ulteriore immigrazione ebraica nella regione. Durante la seconda guerra mondiale, gli inglesi per
ottene l’appoggio degli arabi diedero inizio ad una politica restrittiva verso l’immigrazione ebraica in Palestina,
fomentata dalle notizie provenienti dall’Europa sullo sterminio nazista degli ebrei.

L’AFRICA SUBSAHARIANA
In Africa gli stati coloniali ebbero effetti devastanti a causa delle presenze occidentali e delle molteplici differenze
tribali ed etniche alterate e inventate, in funzione degli interessi coloniali. L’Africa, per l’ideologia antischiavista e
per un modello di vita comunitaria premoderna e preindustriale, rivendicava l’indipendenza dagli imperi coloniali.
Nonostante ciò, la fine della prima guerra mondiale vide una crescita della presenza anglo-francese nel continente e
delle concezioni razziali nei confronti della popolazione africana; solo dopo la seconda guerra mondiale, con
l’affermarsi di una nuova sensibilità antirazzista prodotta dallo scontro con il nazismo, l’attenzione internazionale si
concentrò sulla politica della apartheid del Sudafrica, che affermava la superiorità della razza bianca e la divisione
della vita civile in tutti i suoi aspetti. Nel 1946 l’Organizzazione delle Nazioni Unite avrebbe approvato la prima di
una lunga serie di mozioni contro questa guerra.

L’AMERICA LATINA
La debolezza dei regimi politici latinoamericani poneva a rischio, oltre alla sicurezza militare, anche gli
investimenti finanziari degli Stati Uniti. Il capitalismo statunitense però, non fu l’unico a muoversi in America
Latina: anche Francia, Germania e Inghilterra si erano ritagliate una sfera di intervento. Quando nel 1919 il
Congresso degli usa approvò la legge che autorizzava le banche ad aprire filiali estere, gli Stati Uniti coprivano il

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40% delle importazioni di tutti gli stati latinoamericani. Ovviamente non si trattava di un flusso commerciale
paritario: gli Stati Uniti scambiavano prodotti finiti con materie prime, impedendo agli Stati latinoamericani uno
sviluppo industriale autonomo. Con la crisi del ‘29 e il crollo di prezzi, esportazioni e profitti, molti contadini
oramai disoccupati emigrarono in massa verso le città alla ricerca di nuove opportunità, dando vita a un processo di
urbanizzazione passiva, da differenziare da quella attiva che caratterizzò il secolo prima l’Europa durante la
rivoluzione industriale (conseguenza della forza d’attrazione esercitata dalle nuove fabbriche). Il risultato fu la
crescita delle cosiddette favelas, interi sobborghi con abitazioni e ripari sprovvisti delle più elementari condizioni
igieniche. La crisi del ‘29 compromise anche gli equilibri politici del continente: delle 20 nazioni ben 11 subirono un
golpe, ovvero un colpo di stato violento organizzato dalle forze armate. La sospensione della democrazia era il
mezzo più semplice per far fronte alla perdita di consenso da parte dei governi, senza alterare gli equilibri
socioeconomici interni e internazionali.

IL SOTTOSVILUPPO
L’espressione “Terzo mondo” al tempo della rivoluzione francese indicava l’area maggioritaria del pianeta,
non strettamente subordinata all’influenza delle superpotenze statunitense e sovietica e, in larga misura
coincidente con la sua parte più povera. Dopo il 1945 e l’avvento dell’età dell’oro capitalistica si diffuse la
speranza di riassorbire il distacco del Terzo mondo, grazie alla diffusione dello sviluppo industriale. Apparve
così il termine sottosviluppo che indicava l’arretratezza in via di superamento, grazie all’esportazione dei
modello di crescita e di modernizzazione sperimentato in Occidente.
Negli anni ‘60 anziché diminuire, il divario tra i paesi sviluppati e quelli sottosviluppati accrebbe e si formò
così una scuola di pensiero detta: “scuola della dipendenza” che individuava il rapporto di subordinazione e
sfruttamento economico che legava i paesi poveri ai ricchi.
Sono molti oggi gli studiosi che contestano la tesi di una “sfortuna” naturale delle economie del Terzo mondo,
determinata da condizioni climatiche, scarsità di precipitazioni, flora e fauna; difatti l’economia di sviluppo
si divide in due grandi filoni di pensiero:
1. il primo sostiene la necessità di un aiuto finanziario più consistente da parte dei paesi ricchi per
rompere il circolo vizioso della povertà;
2. mentre il secondo mette al primo posto il rovesciamento dei governi corrotti nei paesi poveri e la loro
apertura al commercio internazionale.

LE ORIGINI DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE


Nella seconda metà degli anni ‘20 era sembrato che i problemi lasciati irrisolti dai trattati di pace del 1919-20
potessero trovare una soluzione pacifica, ma la crisi del ‘29 aveva distrutto le collaborazioni diplomatiche. Inoltre
l’ondata di un nazionalismo autoritario si era propagato dall’Europa fino al Giappone.
 L’impero britannico soffriva la spinta indipendentista dell’India di Gandhi e la sterlina aveva cessato di essere
la moneta di riferimento;
 gli Stati Uniti scelsero di restringere la loro sfera di influenza al continente americano e al Pacifico;
 l’Unione Sovietica si era isolata: la scelta della nep e la conferenza di Rapallo, potevano favorire la
normalizzazione dei rapporti tra l’URSS e i paesi europei, ma l’involuzione autoritaria di Stalin precluse tale
possibilità.
Nel ‘29 dunque, oltre agli Stati Uniti, anche i maggiori paesi accentuarono la spinta protezionista che impedì la
libera circolazione delle merci e una ripresa.
 Nel 1932 la conferenza svoltasi a Ginevra sul disarmo aprì un conflitto tra le potenze vincitrici della prima
guerra mondiale, riguardo ad un’eventuale revisione del trattato di Versailles. La Germania richiese la parità

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degli armamenti, ma la Francia si oppose e la Gran Bretagna e gli Stati Uniti si mostrarono più disponibili. In
conclusione venne concessa la parità degli armamenti alla Germania, che con l’avvento del nazismo decise di
ritirarsi successivamente dalla conferenza e abbandonare la Società delle Nazioni.
 L’ascesa di Hitler al potere spinse Stalin a uscire dall’isolamento con l’appoggio della Francia, che si sarebbe
presentata come un’alleanza in grado di contenere l’aggressività nazista.
 Con la morte del ministro degli Esteri francese e del re di Jugoslavia, la Francia rinnovò il patto difensivo tra i
paesi della Piccola Intesa (Cecoslovacchia, Romania e Jugoslavia) a favore della cosiddetta Intesa Baltica;
anche l’Unione Sovietica aveva firmato accordi con i suoi vicini e con l’Italia, dichiarandosi disposta a entrare
nella Società delle Nazioni e a concludere patti difensivi con i paesi europei. In realtà però le potenze europee
erano diffidenti verso il regime di Stalin e il nuovo ministro degli Esteri francese preferì far cadere le proposte
sovietiche.
 La seconda guerra mondiale non cominciò in Europa, bensì in Manciuria con l’aggressione giapponese alla
Cina: questo episodio fornì una prova dell’impotenza della Società delle Nazioni, assieme al conflitto
scatenato dall’Italia in Etiopia. Entrambi i conflitti favorirono una modifica del sistema delle alleanze:
1. in Europa l’avvicinamento tra Italia e Germania fu sancito nel 1936 dalla nascita dell’Asse Roma-Berlino che
assegnava ai due paesi aree di influenza complementari: Europa orientale alla Germania, mediterraneo
all’Italia. Consapevole della scarsa preparazione delle forze armate italiane, il duce era incerto se stipulare
accordi con le democrazie o con la volontà di seguire la Germania.
2. D’altra parte, anche il Giappone era indeciso nel proseguire l’espansione verso il centro dell’Asia dopo
Manciuria o, indirizzarsi verso sud-est per instaurare il proprio controllo sul Pacifico. Nel primo caso sarebbe
entrato in lotta con l’URSS, nel secondo ocn gli Stati Uniti.
 Determinante fu la figura di Hitler in tutto ciò: uscita dalla Società delle Nazioni, la Germania continuò a
violare le clausole dei trattati di pace, rendendo ad esempio la coscrizione obbligatoria nel 1935.
 L’Inghilterra, la Francia e l’Italia reagirono creando un fronte diplomatico privo di effetti, trattandosi difatti di
un’iniziativa formale. La Francia e la Gran Bretagna seguirono così una politica di pacificazione e accettava la
Germania nazista come interlocutore più affidabile dell’Unione Sovietica.
 L’iniziativa era passata ormai nelle mani di Hitler che intrecciò la guerra civile spagnolo e la vicenda
dell’annessione dell’Austria alla Germania.

LA PENISOLA IBERICA E LA GUERRA CIVILE


La Spagna era un paese diviso: in Catalogna era concentrata la ristretta base industriale del paese, mentre il resto del
territorio era dominato da un’agricoltura arretrata in mano ad una aristocrazia tradizionalista, la cui ricchezza
metteva ancora più in evidenza la povertà della popolazione rurale.
Molto importanti per l’aspetto politico erano la Chiesa e le forze armate, il cui potere fu incrinato dalla sconfitta
subita nel 1898 dagli Stati Uniti. La situazione sembrò migliorare successivamente, quando la disoccupazione si
ridusse e ci fu un incremento della produzione industriale, ma il malcontento continuò a diffondersi per la miseria
delle masse rurali e per le aspirazioni democratiche che costrinsero il generale delle forze armate Primo de Rivera
(che con un colpo di stato salì al potere istaurando una dittatura) a rassegnare le dimissioni e il re Alfonso XIII
abbandonò il paese.
 Le elezioni per l’assemblea costituente dettero una salda maggioranza all’alleanza formatasi tra socialisti e
repubblicani di sinistra: venne così proclamata una Costituzione repubblicana, che istituì il suffragio
universale, sancì la libertà religiosa e introdusse la separazione tra Stato e Chiesa.
 Il vero problema riguardava la struttura sociale delle campagne, caratterizzata da un arretrato latifondo
estensivo e un “minfondo”. Concordi sull’espropriazione delle terre non coltivate, socialisti e repubblicani

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volevano però destinarle rispettivamente ad un uso collettivo e ai piccoli proprietari indipendenti. Una legge
di compromesso venne approvata ma comportò l’espropriazione dello 0,5% del suolo.
 La caduta di popolarità del governo fu evidenziata da una sommossa del 1933 a Barcellona ad opera del
movimento anarchico, che si estese poi ad altre zone del paese con scioperi promossi dal sindacato. Questo
comportò un cambiamento alle elezioni di quell’anno che si conclusero con la maggioranza relativa per le
destre, allineate su un fronte unico. Le sinistre risposero con scioperi generali nelle maggiori città, dando vita
al cosiddetto biennio nero: sotto la spinta dei gruppi anarchici e del partito comunista si accesero numerose
rivolte, prive di successi.
 Fu così che anche le sinistre si riunirono in un unico fronte che conquistò, nelle elezioni del 1936, una ridotta
maggioranza che portò alla spaccatura del paese in due parti: l’una della reazione, l’altra della rivoluzione. Le
forze armate, guidate dal generale Francisco Franco, si rivoltarono contro il governo e la repubblica, dando
inizio nel luglio del 1936 ad una lunga guerra civile.
 Il conflitto, nonostante ebbe origine e motivazioni interne, divenne anche uno scontro tra fascismo e
antifascismo. Tutti i governi europei sottoscrissero un patto di non intervento, mentre l’Italia sostenne la
ribellione franchista rifornendola con la propria flotta. La Germania utilizzò a sua volta il conflitto come
terreno di prova per sperimentare il bombardamento a tappeto di insediamenti civili. Sull’altro fronte
consistenti aiuti militari provennero dall’Unione Sovietica e molti volontari antifascisti accorsero da differenti
paesi a sostegno della repubblica dando vita a “Brigate internazionali”.
 Sostenuti dalla Chiesa e dall’esercito, i ribelli conquistarono vaste zone del paese, unificando il loro comando
militare e politico nel generale Franco. Le città più industrializzate ovvero Madrid e Barcellona rimasero in
mano ai repubblicani. Tra questi ultimi ci furono tensioni interne: gli anarchici e altre forze di estrema sinistra
privilegiavano misure rivoluzionarie di socializzazione della terra. Queste divisioni e il progressivo venir
meno degli aiuti internazionali, nel gennaio 1939 i franchisti conquistarono Barcellona e dopo qualche mese
cadde Madrid. Il governo di Franco annunciò la sua adesione all’Asse tra Italia, Germania e Giappone
mantenendo però nel conflitto mondiale una posizione neutrale che fu interrotta solo dalla partecipazione di
alcuni volontari all’offensiva nazista, contro l’Unione Sovietica nel 1941.

LA VIGILIA DELLA GUERRA


 Dopo la reintroduzione in Germania della coscrizione obbligatoria, il governo inglese aveva sottoscritto un
accordo navale con Hitler e aveva contrastato l’ingresso delle truppe tedesche in Renania.
 Nel 1937 Londra siglò con Mussolini un accordo che intendeva garantire lo status quo nel Mediterraneo.
l’Inghilterra insomma, voleva perseguire una politica di apertura nei confronti di Italia e Germania per dirottarne
l’aggressività con i governi di sinistra di Francia, Spagna e Unione Sovietica (difatti anche durante la guerra civile
spagnola non intervenne per garantire un vantaggio all’Italia e alla Germania).
 Una svolta ulteriore fu segnata dalla fine dell’indipendenza austriaca: il cancelliere dovette accettare
l’ingresso nel suo governo di un nazista, imposto da Hitler, come ministro degli Interni. Il cancelliere provò a
reagire attraverso un referendum popolare ma Hitler gli lanciò un ultimatum e schierò le proprie truppe alla
frontiera. Dopo essere stato sottomesso il cancelliere cedette il suo posto al nazista e Hitler entrò così a Vienna
il 13 marzo del 1938.
 Hitler si impegnò nella questione dei Sudeti, una regione cecoslovacca abitata maggiormente da tedeschi;
ottenuto il consenso di Mussolini in cambio della conferma del possesso italiano dell’Alto Adige, Hitler
concesse alla Cecoslovacchia un ultimatum affinché quest’ultima cedesse non solo i Sudeti, ma anche i
territori rivendicati da Polonia e Ungheria.
 Nel settembre del 1938 Chamberlain a capo del governo inglese, assieme a Hitler, Mussolini e il Primo

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ministro francese si accordarono per concedere i Sudeti alla Germania, subordinando la decisione a un
plebiscito dall’esito scontato. I quattro leader furono acclamati come salvatori della pace, nella speranza che
questo mettesse fine ai desideri espansionistici di Hitler.
 In realtà così non fu, perché Hitler di lì a poco riuscì ad occupare anche territori non abitati da tedeschi, come
la Slovacchia formalmente indipendente che venne posta sotto protezione della Germania. Nel 1939, il Fuhrer
pretese dalla Polonia la città Danzica, proposta respinta con l’appoggio di Francia e Gran Bretagna che in caso
di invasione da parte della Germania le avrebbero garantito un aiuto militare. Hitler replicò dichiarando
decaduto il patto di non aggressione del 1934 stipulato con la Polonia e, Francia e Gran Bretagna
ammorbidirono la loro posizione e reagirono quando era oramai troppo tardi.
 Intanto nell’aprile del 1939, per bilanciare l’iniziativa di Hitler, Mussolini invase l’Albania e il rapporto tra le
due nazioni venne ufficializzato dal “Patto d’Acciaio” con il quale le due potenze si impegnavano
rispettivamente a scendere in battaglia al fianco dell’altra, se coinvolta in un’operazione bellica.
 Una strategia antihitleriana per essere davvero efficace, avrebbe dovuto coinvolgere l’Unione Sovietica e
porre il Fuhrer dinanzi a due fronti:
1. a oriente con l’URSS
2. a occidente con Francia e Gran Bretagna
 La Germania tentò contemporaneamente di rilanciare gli accordi con la Gran Bretagna e si creò una situazione
intrecciata.
 In tutto ciò gli Stati Uniti e Roosevelt lanciarono segnali di preoccupazione per i pericoli di guerra in Europa
ed si espressero a favore dei paesi aggrediti dalla Germania, diffidando Hitler e Mussolini dal compiere altri
atti di aggressione per almeno 10anni. Gli orientamento dell’opinione pubblica americana restarono
isolazionisti e gli Stati Uniti decisero di tenersi al di fuori dalle problematiche europee.
 Per Hitler era dunque importante agire in fretta: sapeva di non poter contare su un aiuto immediato di Italia o
Giappone e di dover sfruttare l’indecisione di Francia e Gran Bretagna, a patto di non dover essere poi
costretto a combattere su due fronti.
 Ne derivò un’offerta spregiudicata di un patto di non aggressione al proprio nemico: l’Unione Sovietica che
accolse, se pur con qualche perplessità, l’accordo (23 agosto 1939 patto Ribbentrop-Molotov). Questa scelta da
parte di Stalin fu giustificata dall’esito deludente dei colloqui con le potenze occidentali, dalla guerra già in
atto con il Giappone e dai territori d’occupazione che i due provvisori alleati definirono segretamente:
1. Polonia occidentale alla Germania
2. Polonia orienta e parte degli stati baltici all’Unione Sovietica.
 Il 1°settembre 1939 le armate tedesche varcarono il confine con la Polonia;
 Gran Bretagna e Francia dichiararono guerra alla Germania;
 due settimane dopo anche l’Armata Rossa entrò in Polonia da est.

ORIGINI E CARATTERISTICHE DELLA SECONDA GUERRA MONDIALE


Nel novembre 1945 un tribunale internazionale costituito dalle potenze alleate processò a Norimberga alcuni
responsabili politici e militari del Terzo Reich. Il processo fissò anche un paradigma interpretativo della
guerra, interpretata come un atto di immotivata crudeltà, compiuto da un gruppo di congiurati protesi alla
conquista del mondo. Questo quadro interpretativo aveva un duplice scopo immediato:
1. circoscrivere le colpe di quanto successo, scagionare la popolazione dall’accusa di aver preso parte delle
persecuzioni attuate dal nazismo nei confronti delle popolazioni civili e degli ebrei e favorire la ripresa
democratica della nuova Germania;
2. porre in stato d’accusa anche le potenze europee che avevano affiancato e assecondato Hitler, nei

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rapporti diplomatici.
Uno studioso, negli anni ‘60, sottopose a una critica serrata questa interpretazione e rimise in discussione
tutti quei luoghi comuni incontrovertibili. La novità di fondo riguardò l’eliminazione di ogni pregiudizio
etico-politico, esaminando la politica estera hitleriana come la strategia di una grande potenza volta alla
riconquista del proprio ruolo internazionale. Sembrerebbe dunque che, per Hitler, la guerra fosse una
variante prevedibile del suo piano espansionistico, ma non preferibile. Pur consapevoli di questi obiettivi le
potenze occidentali scelsero dapprima la strada della difesa intransigente dello status quo, poi della resa e
infine della guerra totale. D’altra parte anche l’Unione Sovietica non fu costretta in nessun modo a siglare il
patto di non aggressione con la Germania nazista.
C’è chi ha affrontato invece il tema della seconda guerra mondiale come esperienza culturale e mentale
attraverso la lettura di diari, lettere e articoli di stampa dell’epoca, che hanno permesso di ricostruire
l’immaginario collettivo di soldati impegnati nel conflitto. Ne emerge un quarto condizionato dalle esigenze
della propaganda e dalla condivisione dello schema buoni-cattivi applicato agli schieramenti, fino ad
occultare i crimini commessi dalla propria parte.
Le sintesi più recenti sottolineano il carattere globale della guerra e in particolare il ruolo chiave esercitato
dal Giappone con l'attacco all’Unione Sovietica e con la successiva scelta strategica “navale” di egemonia nel
Pacifico e di scontro con gli Stati Uniti.

GUERRA SUDUE FRONTI


La seconda guerra mondiale fu una guerra di movimento, i cui fronti attraversarono continenti e oceani, ma anche
un conflitto ideologico basato sulla contrapposizione radicale di sistemi politici che coinvolse anche le popolazioni
civili. Questo conflitto cambiò radialmente gli equilibri del mondo intero, segnando il definitivo tramonto della
centralità dell’Europa e l’inizio del predominio di Stati Uniti e Unione Sovietica.
Solo dopo l’aggressione della Germania all’urss e quella del Giappone agli Stati Uniti, la guerra divenne uno
scontro mondiale tra fascismo e antifascismo.
 L’offensiva tedesca partì dalla Polonia nel settembre del 1939 convolse anche Norvegia e Danimarca e nel
maggio 1940 si concentrò sul Belgio, Olanda e Francia. La strategia militare attuata riguardò la cosiddetta
“guerra lampo” con campagne veloci condotte con i bombardamenti aerei e carri armati. Dai territori
conquistato si sarebbero poi forniti di materie prime, fabbriche, derrate agricole e manodopera per
incrementare la produzione e continuare la guerra;
 La Polonia non potè contare sull’aiuto della Francia e della Gran Bretagna, nonostante nel settembre del 1939
avevano ugualmente dichiarato guerra alla Germania: il momento significativo riguardò la caduta di Varsavia.
 Anche l’Armata Rossa entrò in Polonia da oriente e proseguirono con la conquista di Ucraina, Bielorussia e
Finlandia dove venne mostrata l’impreparazione e l’inefficienza dell’esercito. (quest’ultima importante per la
difesa diLeningrado, ovvero San Pietroburgo).
 Il secondo passo di Hitler fu in Danimarca e in Norvegia, in cui solo la seconda oppose inizialmente resistenza
e finì col dar vita al cosiddetto “collaborazionismo” offerto da uomini politi locali di destra alle truppe di
occupazione tedesche.
 Il 10 maggio 1940 l’attacco tedesco implicò la caduta dell’Olanda e del Belgio e, costringendo alla ritirata le
truppe alleate sulla Manica.
 Il 14 giugno le truppe naziste occuparono Parigi e con un armistizio la Francia fu divisa in due:
1. il nord sotto diretto controllo tedesco
2. il sud sotto l’amministrazione collaborazionista del maresciallo che sottoscrisse l’armistizio (Pétain).
 L’ultimo ostacolo per Hitler era rappresentato dalla Gran Bretagna di Churchill (al governo di coalizione tra

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conservatori e laburisti). Londra accolse i rappresentanti dei paesi sconfitti e divenne simbolo della resistenza
europea al nazismo: per far fronte alle perdite di materiale bellico però, chiese aiuto agli Stati Uniti che
iniziarono ad inviare armi e munizioni.
 Intanto, la Gran Bretagna denunciò la Francia collaborazionista e attaccò la flotta in Algeria e instaurò un
blocco navale nell’Atlantico e nel Mediterraneo.
 Hitler decise di bombardare l’isola e alcuni storici sostengono che questa azione aveva il solo scopo di
costringere i britannici ad accettare la supremazia tedesca sul continente europeo, lasciando però intatto
l’impero coloniale inglese. L’aviazione tedesca colpì in effetti l’area abitata di Londra per indebolire il morale
della popolazione e costringere il governo a trattare la pace.
 Le cose non andarono però così come Hitler aveva programmato: le postazioni antiaeree inglesi
sperimentarono il radar per prime, capace di individuare la direzione e l’entità degli attacchi. Decisiva fu
anche la resistenza della popolazione, nonostante le migliaia di vittime.
 La Germania non riuscendo ad ottenere la resa da parte della Gran Bretagna, decise di porre un blocco navale
sull’Atlantico per impedire l’arrivo di aiuti statunitensi.

 Intanto anche l’Italia era entrata nel conflitto: Mussolini voleva marcare la propria autonomia dall’alleato
tedesco e così oltre a invadere la Somalia britannica e ad attaccare l’Egitto (per acquisire le aree petrolifere del
Medio Oriente e il canale di Suez), all’insaputa di Hitler invase la Grecia. In tutte e tre le occasioni l’esercito
italiano non riuscì a imporsi e a prevalere. Questo portò Mussolini a chiedere aiuto alla Germania: l’intervento
tedesco fu risolutivo nei Balcani e migliorò anche la situazione nell’Africa del nord.
 Quando un colpo di stato militare abbatté il governo jugoslavo che aveva aderito all’Asse, le Armate tedesche
costrinsero alla resa l’esercito jugoslavo: l’intera area passò sotto il controllo tedesco come anche la Grecia.
 Alla metà del 1941, ad eccezione di alcuni paesi neutrali (Irlanda, Svezia, Svizzera, Turchia) e della penisola
iberica (alleata dell’Asse), il continente europeo era sotto il controllo diretto o indiretto tedesco.
 Le cose cambiarono con il coinvolgimento dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti. Hitler volle attaccare
l’URSS per riuscire a ottenere quello “spazio vitale” che gli avrebbe permesso di imporsi ad est, su tutti i
popoli governati da un regime comunista e avrebbe forse indotto la Gran Bretagna alla pace. Il 22 giungo 1941
l’operazione Barbarossa ebbe inizio: vi parteciparono oltre 150 divisioni tedesche ai quali si aggiunsero
volontari spagnoli e italiani. Si trattò di una guerra di sterminio con fucilazioni e rappresaglia sui civili per
instaurarvi un dominio coloniale.
 L’Armata Rossa non resse l’attaccò e in breve i tedeschi giunsero a poca distanza da Mosca: qui l’offensiva si
arrestò a fine luglio e Hitler decise di dar maggiore priorità al fronte sud per aprirsi la strada verso l’Ucraina e,
solo dopo aver conquistato Kiev e l’intera Crimea, Hitler ordinò di riprendere l’avanzata verso Leningrado e
Mosca che fu però arrestata l’8 dicembre a causa del freddo e dell’arretratezza del paese, che spinse i tedeschi
a costruire ex novo vie di comunicazione per gli approvvigionamenti.
 Bloccata dunque, in attesa della primavera, la guerra si estese al Pacifico con l’attacco dei giapponesi il 7
dicembre del 1941 alla base di Pearl Harbor nelle Hawaii. Distrutta la marina militare americana, i giapponesi
ebbero mano libera nel Pacifico conquistando moltissimi territori tra cui Indonesia, Filippine e Cina, la vittima
maggiore di quest’espansione.
 Il Giappone intanto aveva firmato nel 1940 un patto tripartito con Germania e Italia, che ristabiliva le
condizioni di aiuto reciproco fra le tre dittature; ma i suoi obiettivi rimasero all’oscuro. Il Giappone voleva
difatti risolvere il problema della scarsità di materie prime, che si tradusse in un’occupazione militare a scopo
economico sostituendo l’impero nipponico a quelli europei. Esso optò per una diretta amministrazione
militare dei territori, la cui conquista colmò il deficit giapponese di energia e di materie prime necessarie per

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proseguire la guerra.
 In lotta con il partito tripartito, Roosevelt e Churchill avevano firmato la Carta Atlantica assieme a tutti i paesi
in lotta con Italia Germania e Giappone: vennero definiti i principi e i progetti per un nuovo ordine
internazionale fondato sul rifiutò di guerre di aggressione e di conquista e sul rispetto della libera circolazione
delle merci, dei capitali e del libero accesso alle materie prime. Sulla base di ciò Roosevelt fronteggiò
l’iniziatica giapponese, sequestrando i beni esistenti nel paese e congelando i loro crediti.
 Quando nel dicembre del 1941 gli Stati Uniti dichiararono guerra al Giappone, il conflitto si definì come una
lotta politica tra fascismo e antifascismo e nel 1942 una conferenza, presieduta a Washington, definì come
Nazioni Unite tutti gli stati che sottoscrivevano la Carta Atlantica e che erano decisi a combattere contro le
potenze fasciste.
 La guerra spostò ulteriormente il baricentro dell’economia mondiale dall’Europa agli Stati Uniti, il cui
vantaggio iniziale in termini di disponibilità di materie prime e di forza lavoro venne accentuato dal fatto che
dopo Pearl Harbor il loro territorio non subì più alcuna distruzione: il 40% delle armi utilizzate sul fronte
occidentale furono prodotte dagli usa e, il reddito nazionale e la produzione crebbero notevolmente,
permettendo alla disoccupazione prodotta dalla crisi del ‘29 di riassorbirsi per intero.

La conquista di enormi territori da parte della Germania e dei suoi alleati ebbe conseguenze pesantissime sulla vita
delle popolazioni: maltrattamenti, eccidi, sfruttamento economico, lavoro forzato e deportazioni di massa. Dopo la
conquista della Francia, il regime nazista lanciò il nuovo ordine europeo, ovvero un progetto che disegnava il futuro
del continente dopo la fine della guerra, garantendo e assicurando la supremazia della razza tedesca. Con l’attacco
all’Unione Sovietica il nuovo ordine europeo si allargò a un piano generale per l’est, che programmò la
deportazione in Siberia di persone non desiderate, perché non di razza tedesca, per fare spazio a queste ultime. Fino
alla conquista della Polonia la politica nazista aveva puntato sull’emigrazione ebraica, cercando però di non
concentrare gli ebrei in un unico luogo (evitando la formazione di una nazione ebraica inevitabilmente antitedesca).
Si trattava di un numero quantitativo davvero enorme di ebrei; si optò per il trasferimento coatto in ghetti, cioè
recinti edificati nelle maggiori città, dove essi sarebbero stati sfruttati per la loro manodopera. La cosiddetta
“soluzione finale” fu pianificata il 20 gennaio del 1942: gli ebrei sarebbero stati trasferiti prima in Polonia, nei ghetti
di transito e ai lavori forzati. La selezione naturale per stenti e malattie li avrebbe dimezzati. I rimanenti, pericolosi
perché possibili “seme di una nuova rinascita ebraica” sarebbero stati eliminati.
Lo sterminio degli ebrei è stato definito “olocausto” ma si tratta di un termine fuorviante perché rinvia alla pratica di
antichi popoli di offrire vittime sacrificali alla divinità e implica dunque che esse stesse in qualche modo
l’accettassero. La lingua e la tradizione ebraica usano il termine Shoah che significa distruzione. Nella sua
controffensiva anche l’Armata Rossa si macchiò di violenze a danno della popolazione tedesca.

COLLABORAZIONISMO E RESISTENZA
In Norvegia e in Olanda ci furono piccoli movimenti fascisti che praticarono una politica collaborazionista basata su
una convinta adesione al nazismo e su comuni pregiudizi razziali e antibolscevichi; stessa cosa avvenne in Ungheria
che, arresa all’occupazione tedesca, collaborò attivamente alle deportazioni di ebrei da zone non occupate dalle
truppe tedesche. Quest’ultima operazione riguardò anche la Francia, il cui collaborazionismo divenne totale dopo il
1942. Oltre al collaborazionismo però bisogna far riferimento alla resistenza che fu un movimento di minoranza,
diffuso in Europa, il cui contributo risultò determinante: la guerra fu vinta dagli alleati e, questa vittoria, senza la
resistenza, sarebbe stata semplicemente il frutto di una concessione e non di una conquista. La resistenza si sivluppò
con modalità e caratteristiche diverse:
 Nei Balcani ad esempio un movimento jugoslavo riuscì a creare un vero esercito capace di liberare il paese,

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infliggendo durissime perdite a italiani e tedeschi.
 In Italia i comunisti costituirono la maggioranza dei combattenti ed ebbero un ruolo di primo piano nella
direzione della guerra partigiana.
 In altri paesi come il Belgio, la Norvegia o la Danimarca la resistenza ebbe una coloritura politica meno
esplicita, impegnandosi soprattutto nel sabotaggio, nei servizi di informazione a favore degli alleati e nel
sostegno vero i perseguitati e i prigionieri.
 In Germania la resistenza ebbe difficoltà a crescere e a rendersi forte e ben visibile: con obiettivi diversi,
gruppi della vecchia opposizione nazionalconservatrice, esponenti socialdemocratici e comunisti, tentarono
un attentato a Hitler, che però rimase illeso.

GLI ULTIMI ANNI DI GUERRA


Con la primavera del 1942 le operazioni belliche ripresero in grande stile.
 Hitler in oriente tentò di mirare simultaneamente tre obiettivi dividendo le proprie forze:
1. raggiungere Stalingrado;
2. indirizzare l’offensiva principale a sud;
3. conquistare Leningrado all’estremo nord.
 Questo programma comportò la dispersione delle armate naziste in territorio russo, favorendo l’infiltrazione
dei reparti regolari e dei partiti ai sovietici, i quali accerchiarono il nemico a Stalingrado.
 Intanto anche l’iniziativa nipponica nel Pacifico venne conclusa dal bombardamento che colpì Tokyo e dalle
perdite della flotta giapponese da parte degli Stati Uniti, i quali rimontarono e vinsero nel 1943 nelle Isole
Salomone.
 Nel 1942 partì anche la controffensiva sovietica verso Stalingrado che si concluse con la resa e la ritirata di
Hitler e dei suoi alleati.
 In Africa, quello stesso anno, le armate italo-tedesche ribaltarono la situazione riuscendo a battere le truppe
britanniche, le quali diedero inizio ad una controffensiva: sbarcarono in Algeria e Marocco costringendo le
forze dell’Asse ad abbandonare la Libia e attestarsi in Tunisia dove resistettero fino al 1943.
 Il 10 luglio gli alleati sbarcarono in Sicilia e il 25 luglio l’arresto di Mussolini su ordine del re d’Italia segnò la
caduta del fascismo e, a settembre, il suo successo Badoglio siglò un armistizio con gli alleati.
 Le strategie della coalizione antifascista riguardarono l’apertura di un “secondo fronte” in Europa, per evitare
di attaccare la Germania dall’Italia o dai Balcani; a questa però si aggiunsero i molteplici interessi delle
singole potenze che favorirono la nascita di farti dissensi e il ritardo dell’apertura del secondo fronte.
 Il 6 giugno del 1944 fu aperto il secondo fronte con un colossale sbarco in Normandia da parte dell’Armata
Rossa: le difese tedesche cedettero e ad agosto gli alleati entrarono a Parigi, mentre i tedeschi tentarono un
ultimo disperato attacco sul fronte occidentale ma vennero respinti.
 Nel marzo 1945 gli angloamericani varcarono il Reno, i sovietici avanzavano lentamente e la Germania si
trasformò in un cumulo di rovine, causa bombardamenti.
 Tra la fine di aprile e i primi di maggio del 1945 giunse a compimento il crollo del Terzo Reich. Cadute l’Italia
e Vienna, assediata Berlino dall’Armata Rossa, Hitler si tolse la vita il 30 aprile. Dopo qualche giorno fu
firmata la resa senza condizioni della Germania.
 In Asia la guerra avanzava lentamente sino a quando un bombardiere statunitense nel 1945 sganciò la prima
bomba atomica sulla città di Hiroshima; una seconda bomba venne lanciata su Nagasaki (6 e 9 agosto). Il
Giappone accettò la resa incondizionata, con l’unica richiesta che l’imperatore restasse al suo posto. Questa
bomba atomica fu il risultato del cosiddetto progetto Manhattan, un piano di ricerca avviato dagli usa nel 1941
segretamente. Nell’immediato il possesso della bomba consegnava una posizione di leadership agli usa.

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 Tra aprile e giugno del 1945 a San Francisco i delegati di 50 paesi dettero vita all’Organizzazione delle Nazioni
Unite.

L’ITALIA IN GUERRA E LA SCONFITTA DEL FASCISMO


La vita quotidiana fu profondamente alterata dalla guerra: le città persero parte dei loro abitanti e, la sola che
continuò a crescere fu Roma, ritenuta immune dagli attacchi aerei per il suo status di “città sacra”ad eccezione
dell’anno 1943 in cui perse un migliaio di abitanti. Le distruzioni, i disagi economici, i lutti e le sofferenze prova ti
dal conflitto determinarono un progressivo indebolimento del “fronte interno”; le fonti di polizia segnalarono una
crescente ostilità per il fascismo, che aveva voluto la guerra senza avere i mezzi necessari per combatterla.
 Nel marzo 1943 scoppiarono nelle città del nord i primi scioperi alla cui base c’era la richiesta di pace, dinanzi
a quelle azioni che attestavano l’incapacità del regime di garantire l’ordine. Il fascismo cadde a seguito di una
congiura di palazzo, attuata da una parte dei gerarchi fascisti dissidenti e dai vertici dell’esercito sotto la
direzione della monarchia.
 Il 25 luglio del 1943 Mussolini fu fatto arrestare dal re, che affidò il governo a Badoglio. La caduta del regime
fu salutata nel paese da un’esplosione di entusiasmo, che espresse la speranza di una rapida uscita dell’Italia
dalla guerra.
 Badoglio in realtà non pose fine alla guerra anzi, chiese aiuti e truppe alla Germania per contrastare gli alleati,
ma nel contempo segretamente stipulò un armistizio con gli angloamericani che fu reso pubblico l’8 settembre
1943. Badoglio, una parte del governo, i vertici delle forze armate, il re e la famiglia reale fuggirono da Roma
senza emanare alcun ordine. Le armate tedesche riuscirono a conquistare la capitale e ad internare nei campi
dì concentramento i militari italiani che rifiutavano la resa.
 Il 9 settembre gli alleati sbarcarono a Salerno ma furono contrastati dai tedeschi lasciando nelle loro mani
l’Italia centrosettentrionale.
 Il comitato di liberazione nazionale costituito a Roma clandestinamente dai partiti antifascisti, di orientamenti
politici diversi, chiese invano l’allontanamento del re (a cui attribuiva la responsabilità dell’avvento del
fascismo).
 Nel 1944 con il riconoscimento del governo Badoglio da parte dell’Unione Sovietica, si aprì la strada alla
cosiddetta “svolta di Salerno”: il leader comunista Togliatti accantonò i pregiudizi riguardo la monarchia,
riservandoli al dopoguerra come problema istituzionale e, i partiti del cln entrarono nel governo di Badoglio
per estendere l’unità del fronte antifascista senza contrastare la volontà degli alleati.
 Il 4 giugno 1944 ci fu la liberazione di Roma e, al re subentrò come luogotenente suo figlio Umberto e il
presidente del cln assunse la guida del governo, sottoposto alla tutela alleata.
 Intanto nel centro-nord i tedeschi avevano liberato Mussolini ponendolo a capo della Repubblica sociale
italiana in contrapposizione al regno del sud controllato dagli alleati. Mussolini costituì un esercito con
l’appoggio delle truppe tedesche.
 Dall’altra parte il cln organizzò formazioni partigiane costituite da militanti antifascisti, la cui componente
politica risultò essere molto importante: alle brigate di Garibaldi (più numerose, guidate dai comunisti), si
affiancarono le brigate Matteotti (socialiste), Giustizia e libertà (azioniste) e quelle “verdi”, che raggruppavano
cattolici, monarchici, senza partito. Nonostante questa pluralità, il cln riuscì a seguire una logica antifascista
unitaria. Una peculiarità della resistenza italiana fu la società che diede inizio a scioperi e conflitti per
rivendicazioni di classe.
 Alla fine del 1944 il governo Bonomi delegò il Comitato di liberazione nazionale dell’Alta Italia (clonai) a
rappresentarlo nei territori occupati; il movimento partigiano attraversò le difficoltà più gravi nell’autunno del
1944, riuscendo a superarle in concomitanza con l’offensiva angloamericana del 1°aprile 1945. La liberazione

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di alcune città del Nord prima dell’arrivo degli alleati dimostra il grande contributo della resistenza alla
vittoria.

LO STERMINIO DEGLI EBREI


Generalmente si tende ad imputare la persecuzione degli ebrei alla follia solitaria di Hitler; esistono però
studi psicologici dedicati alla personalità di quest ultimo che attribuiscono le ossessioni antisemite al ricordo
di una madre morta mentre era in cura da un medico ebreo. Resta pur sempre un evento isolato che non
riesce a spiegare la forza del plurisecolare antisemitismo, sviluppatosi in Europa ben oltre i confini della
Germania. Nel testamento che lasciò Hitler prima di togliersi la vita scrisse, incoraggiando i futuri dirigenti
della nazione, di mantenere rigorosamente le leggi razziali e di opporre resistenza al giudaismo.
Il progetto nazista di uno tanto fondato sulla pulizia etnica non era semplice propaganda; i criteri del
miglioramento della razza furono applicati senza scrupoli in qualsiasi campo. Vi sono quindi studi di storici
cosiddetti intenzionalisti, che attribuiscono ad Hitler l’eliminazione delle minoranze da perseguire con ogni
mezzo. A questa interpretazione si è contrapposta una schiera di cosiddetti funzionalisti, che hanno
sottolineato l’esistenza di pi centri di potere all’interno ella dittatura hitleriana. Essi concordato con i primi,
riguardo l’esistenza di un disegno centralizzato di eliminazione degli ebrei dalla comunità razziale, ma
individuano modi e tappe differenti nel processo di formazione di una scelta definita a favore dello sterminio
di massa. Una visione più estrema dell’ipotesi funzionalista è stata proposta da storici, i quali svalutano
l’importanza di un eventuale ordine centrale di sterminio impartito da Berlino e interpretano le origini del
genocidio come un processo di “radicalizzazione” che ebbe origine nelle periferie, nel contesto del fallimento
dell’offensiva nazista e di un imbarbarimento globale della guerra a est: nelle retrovie come anche nei ghetti
urbani la scelta dello sterminio divenne gradualmente la scelta più facile ed efficace in una situazione con
scarsità di risorse e molteplici sconfitte militari.

La fine del secondo conflitto mondiale e della “guerra dei 30anni del ‘900” segnò un punto di svolta a cui
contribuirono diversi fattori:
1. drastico ridimensionamento del peso dell’Europa sulla scena mondiale e l’avvento di un sistema bipolare
centrato sulle due grandi potenze uscite vittoriose dalla guerra: URSS e USA, tra le quali si sviluppò un alto
livello di tensione, tanto da far parare di “guerra fredda”;
2. ridimensionamento dell’Europa accompagnato da un processo di decolonizzazione che portò alla conquisa
dell’indipendenza da parte dei popoli coloniali dell’Asia e dell’Africa;
3. eccezionale sviluppo economico e apertura di una fase di intensa globalizzazione.

ORGINI DELLA GUERRA FREDDA


 Durante il conflitto, iniziarono ad esserci incontri tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica; durante
uno di questi Roosevelt, sulla base dei principi espressi nella Carta Atlantica, espose la teoria dei “quattro
poliziotti” (il quarto era la Cina con Chiang) che avrebbero dovuto reprimere ogni tentativo di alterare con la
guerra gli equilibri internazionali, rifiutando ogni protezionismo doganale.
 Per quanto riguarda l’assetto dell’Europa postbellica, il controllo dei paesi sconfitti venne affidato agli eserciti
che li conquistarono: l’URSS si vide dunque riconoscere una cuscinetto di sicurezza in quei territori soggetti
alla sua influenza determinante. Anche se la guerra non era ancora vinta l’Armata Rossa aveva liberato quei
paesi e, gli accordi tra Stalin, Roosevelt e Churchill prevedevano l’annessione degli stati baltici all’URSS.
 Per quanto riguarda la Germania, nel primo incontro del 1943 tra Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione
Sovietica, l’idea era quella di smembrarla; nel l’incontrò successivo si decise di mantenerla unita, dividendola

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provvisoriamente in 4 zone di occupazione, una delle quali affidata alla Francia.
 Nella conferenza di San Francisco del 1945 gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica collaborarono per la
costituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, concepita inizialmente per la salvaguardia della pace,
estese progressivamente la propria area di intervento attraverso agenzie specializzate. Queste ultime operavano
per attuare la Dichiarazione universale dei diritti umani formalizzata nel 1948.
 Nel 1946 iniziarono ad apparire i primi segnali di una crisi dei rapporti tra USA e URSS e della cosiddetta
“guerra fredda”: un conflitto mai combattuto con le armi. Un esperto del dipartimento di stato americano,
Kennan, formulò la teoria del “contenimento”: la politica sovietica era espansionistica e compito degli USA
era contenerla; inoltre Churchill mise in guardia gli occidentali riguardo i territori che avevano cinto l’Europa
centro-orientale in mano ai sovietici.
 All’inizio del 1947, la Gran Bretagna annunciò di non poter più fornire aiuti finanziari e militari alla Turchia e
alla Grecia (in atto guerra civile tra comunisti e governo monarchico con appoggio inglese). Chiedendo al
Congresso degli USA di autorizzare un intervento finanziario in quei paesi, il presidente americano enunciò
quella che divenne nota come”dottrina Truman”, considerata la dichiarazione formale della guerra fredda: gli
Stati Uniti si impegnavano a difendere e aiutare in qualunque modo i popoli liberi dalle pressioni esterne.
Questa dottrina non fu nient’altro che l’applicazione della teoria del contenimento, che però secondo alcuni storici
“revisionisti” pare non aver tenuto conto dell’oggettiva situazione di inferiorità dell’URSS e della sua incapacità di
disegnare un ordine del mondo più inclusivo e paritetico.
La guerra fredda divenne una questione ideologica e culturale in cui si scontrarono l’anticapitalismo sovietico e
l’anticomunismo americano, strumenti di una competizione mondiale per conquistare l’alleanza degli altri paesi.
 Temendo l’indebolimento dell’Europa occidentale, il segretario di stato americano generale Marshall illustrò
le linee generali del piano di aiuti economici dell’Europa, che avrebbe preso il suo nome: 13 miliardi di dollari
furono destinati a fornire crediti e merci, ricostruire le infrastrutture civili e a sviluppare la produzione
industriale. Tutto questo per rimettere in moto la produzione europea e dare stabilità ai governi più deboli e ai
paesi più esposti alla minaccia comunista.
 Il piano si rivolgeva anche ai paesi dell’Est europeo e alla stessa Unione Sovietica; nel 1947 a Parigi ci fu una
conferenza in cui il ministro degli Esteri sovietico Molotov si dichiarò favorevole ad aiuti bilaterali, ma rigettò
le proposte americane temendo di non riuscire a tenere assieme la cintura di stati amici nell’Est europeo, di
fronte alle offerte economiche degli USA. Questo rischiava di creare un divario tra un occidente
industrializzato e un oriente agricolo fornitore di grano e carbone.
 La rigidità di Molotov anticipò il ritiro dalla conferenza dei paesi centro-orientali che già avevano aderito e,
d’altra parte, la nascita del “blocco occidentale” nacque definitivamente nell’aprile del 1949 con la NATO, un
organismo militare.
 La divisione dell’Europa fu sempre più calcata quando i nove partiti comunisti (URSS, Ungheria,
Cecoslovacchia, Polonia, Romania, Bulgaria, Jugoslavia, Italia e Francia) si riunirono e dettero vita al
Comiform, ufficio di informazione comunista in risposta al piano Marshall: ai paesi occidentali che si fossero
avvalsi degli aiuti americani ricordava l’opposizione dei partiti comunisti a cui sarebbero andati incontro, ai
paesi orientali ricordava la loro fedeltà all’URSS.
 Epicentro del confronto USA-URSS fu la Germania: nel 1948 inglesi e americani crearono un governo
provvisorio nelle zone controllata ed a loro e dai francesi; d’altra parte a Berlino, il comandante sovietico rese
noto che le persone in entrata e in uscita dalla parte orientale della città dovevano ottenere la sua
autorizzazione. Nella notte tra il 23 e il 24 giugno Berlino venne isolata dal resto della Germania orientale,
posta sotto il controllo sovietico. La divisone del paese divenne ormai inevitabile: a ovest fu costituita la
Repubblica federale tedesca, a est la Repubblica democratica tedesca.

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La crisi di Berlino mostrò come la guerra fredda divenne una sorta di gioco in cui ogni propria perdita, si traduceva
in un vantaggio per gli avversari.

LA GUERRA DI COREA
 Stalin fu indebolito a causa dello scisma jugoslavo: grazie alla distanza geografica, la Lega dei comunisti
jugoslavi guidata da Tito proseguì una politica di indipendenza che causò una frattura.
 Nel 1948 il Cominform espulse il partito jugoslavo, accusandolo di tradimento del blocco comunista e
denunciandolo come agente fascista e imperialista, aprì una violenta repressione nei paesi dell’Europa
orientale.
 Nel 1949 la fondazione della Repubblica popolare cinese segnò un punto importante a favore dell’URSS, che
si aggiunse alla conquista dell’arma atomica.
 La guerra fredda si allargò all’Asia e in particolare, la Corea era rimasta divisa in due parti:
1. a nord il regime comunista della Repubblica democratica popolare di Corea;
2. a sud quello filoamericano della Repubblica di Corea.
 Su ordine del presidente Kim Il Sung, l’esercito nordcoreano convinto di poter contare sull’appoggio cinese e
sovietico, superò la linea di confine del suo territorio e conquistò il sud del paese.
 Il Consiglio di sicurezza dell’Onu autorizzò allora un’azione militare contro gli aggressori, che gli Stati Uniti
organizzarono e gestirono quasi per intero da soli. Gli eserciti statunitense e sudcoreano si spinsero quasi fino
alla frontiera tra Corea e Cina. Quest’ultima inviò i propri volontari a sostegno della Corea del Nord e,
assieme respinsero americani e sudisti sotto la vecchia linea cdi confine.
 Il Giappone minacciò l’uso della bomba atomica per conseguire una vittoria militare: sia gli USA che l’URSS
erano preoccupati per un eventuale allargamento del conflitto e lo richiamarono in patria, iniziando le
trattative per l’armistizio nel 1951.
 La situazione si protrasse per due anni: la Corea restò divisa in due, ma molti furono i morti tra civili e
militari.

La guerra fredda significò un enorme corsa agli armamenti: dopo il 1945 USA e URSS salirono a oltre il 70% della
produzione mondiale di armi. La crescente complessità della tecnologia incrementò le spese militari: era una corsa
ch’egli Stati Uniti potevano reggere, l’Unione Sovietica dovette penalizzare l’industria leggera produttrice di beni di
consumo e una conseguenze compressione della qualità di vita dei suoi cittadini. In ogni caso, entrambe le
superpotenze disponevano di una capacità di risposta nucleare che consentiva loro di ribattere a un “primo colpo”
dell’avversario. Non altrettanto poteva dirsi per gli alleati europei degli Stati Uniti, che dipendevano da questi ultimi;
fu così che, dopo la Comunità del carbone e dell’acciaio formata nel 1951, la Francia assieme a Germania, Italia e
Benelux, la Comunità europea di difesa rappresentò l’ambizioso tentativo di dotare il vecchio continente di un
apparato difensivo autonomo, anche se integrato pur sempre nella NATO. Il successivo ritiro francese mostrò quanto
l’integrazione europea dal punto di vista militare non fosse ancora matura.
 Nel 1945 fu creata l’Unione europea occidentale che controllava gli armamenti nazionali, comprendeva
Germania e Italia ed era finalizzata al mantenimento degli equilibri militari in Europa.
 Nel 1955 la Germania occidentale entrò nella NATO e gli 8 paesi orientali del blocco sovietico stipularono il
Patto di Varsavia, un trattato di cooperazione che stabilì un comando militare unificato sotto la guida di
Mosca.
 Dopo aver rinsaldato le proprie aree di influenza, l’USA e l’URSS concordarono nella convocazione di una
conferenza a Ginevra con cui venne decisa una soluzione provvisoria riguardo la Cina: analoga a quella
adottata in Corea, il paese venne diviso tra nord (fedele al blocco sovietico) e il sud (retto da un cattolico e in

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appoggio alla presenza francese e alla crescente influenza americana).
 In questi anni i paesi che da poco si erano liberati dalla dominazione coloniale decisero di ribadire i principi
della Carta delle Nazioni Unite sulla limitazione degli armamenti e l’autodeterminazione dei popoli: formula
che ebbe però più un valore simbolico che effettive conseguenze.

EQUILIBRIO BIPOLARE ED EUROPA UNITA


 Per il blocco sovietico il 1956 fu un anno drammatico, caratterizzato da sommosse operaie e rivolte
antisovietiche nei diversi territori: la repressione sovietica raggiunse così lo scopo immediato di ricompattare
il fronte interno senza andare a modificare le politiche sociali ed economiche. Come ha notato Kennedy, USA
e URSS andavano via via incrementando l’estensione dei loro territori in concomitanza con la difficoltà di
esercitare su di essi il proprio potere in modo efficace. Anche il processo di decolonizzazione moltiplicò i
problemi di controllo, in quanto gli stati sovrani da assoggettare aumentarono nel numero. La prova fu la
questione riguardante il canale di Suez:

 Dal 1948 la regione del Medio Oriente era stata riorganizzata sulla base di una votazione presa dalle Nazioni
Unite per far posto a un nuovo stato: Israele. Questa nuova nazione fu costituita sulla consapevolezza
condivisa che la tragedia della shoah era stata resa possibile dall’assenza di uno Stato ebraico. D’altra parte
però, gli arabi confinanti non approvarono la nascita di Israele. Quest'ultimo, quando l’Egitto, la Siria e altri
stati l’attaccarono, riscì ad aver e la meglio sul campo di battaglia.
 Diversa fu la situazione degli stati arabi in particolare dell’Egitto, che aspirava alla piena indipendenza
economica. Come altre nazioni ex coloniali, l’Egitto si rivolse in cerca di forniture militari agli USA, i quali
però rimandarono la proposta a favore dell’Israele. Il colonnello a capo del regime militare nazionalista
dell’Egitto decise di allacciare relazioni con il blocco orientale, offrendo all’URSS di intervenire lì dove
l’influenza sovietica non esisteva. Nel 1956 il colonnello annunciò la nazionalizzazione del canale di Suez,
ancora controllato dalle truppe britanniche.
 La situazione precipitò ma a ristabilire l’ordine fu questa volta l’ONU che restrinse il cerchio, eliminando
l’intervento della Francia e della Gran Bretagna; in questo modo si riaffermò l’equilibrio bipolare della guerra
fredda con gli USA attraverso l’asse privilegiato con Israele e l’URSS con la penetrazione nei paesi arabi e la
tutela economica del loro processo di indipendenza. A rafforzarlo furono 3 fattori:
1. il primo fu la crisi dell’ONU, all’interno del quale si affermò un’Assemblea comprendente tutti quei paesi ex
coloniali che restarono lontani dagli USA e dai loro alleati: maturò un dualismo tra il Consiglio di sicurezza e
l’Assemblea che produsse una perdita dell’efficacia delle Nazioni Unite, favorendo i molteplici tentativi di
USA e URSS di egemonizzare i paesi post-coloniali;
2. il secondo fattore di rafforzamento del bipolarismo fu l’inerzia del movimento dei paesi non allineati, che
incontrò diverse difficoltà: alla fine del 1957 una conferenza al Cairo vide l’ascesa dei paesi africani alla testa
di uno schieramento per lo più antiamericano; una seconda conferenza a Belgrado fu caratterizzata da paesi
che non appartenevano ad alcuna alleanza militare e non riuscirono a rompere efficacemente gli equilibri
bipolari;
3. il terzo fattore fu l’iniziativa europeista di dar vita nel 1957, attraverso due trattati firmati a Roma, l’Eurotam
fondato sulla previsione che la principale fonte di energia del futuro sarebbe stata quella nucleare e, la CEE
che puntava ad armonizzare le politiche economiche delle Nazioni aderenti. Anche in questo caso però, la
realtà era che si trattava di un soggetto politico non ancora ben unitario in grado di rompere l’equilibrio
bipolare.

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LE CRISI DI BERLINO E DI CUBA
 L’equilibrio bipolare trovò un nuovo sfidante nella Cina popolare, con cui aprì un conflitto ideologico: il
presidente della repubblica popolare cinese era contrario alla riabilitazione di Tito e alla politica di coesistenza
pacifica delineata da Kruscev (segretario generale del Partito comunista dell’URSS) che sembrava escludere
la Cina. Nel 1959 l’Unione Sovietica decise così di interrompere la collaborazione nucleare con Pechino e nel
1960 ritirò i propri tecnici dalla Cina, sospendendo tutti gli accordi di cooperazione tra i due paesi. Questa
situazione preoccupò l’URSS per un potenziale antagonista all’interno della propria sfera, ma anche l’Europa
dell’est e dell’ovest temeva di diventare campo di battaglia di uno scontro tra titani, senza avere possibilità di
scelta.
 Un elemento destabilizzante emerse anche negli Stati Uniti: l’Organizzazione degli stati americani (OSA, 1948)
regolava gli equilibri del continente sotto la protezione degli Stati Uniti. Con l’assistenza economica o con la
forza, Washington era riuscita a mantenere i regimi populisti dell’America Latina nell’ambito di un rigido
anticomunismo. Nel 1959 la rivoluzione a Cuba mise gli Stati Uniti dinanzi ad un’alternativa: sostenere gli
esuli anticastristi o il nuovo regime. Il presidente degli USA aveva timore nel seguire la seconda strada, per un
eventuale reazione da parte del resto del continente, così spinse Castro a cercare la protezione dell’URSS, che
giunse nel 1960 sotto forma di un prestito finanziario consistente. Per la prima volta il comunismo penetrò
nell’emisfero occidentale vicino al territorio degli Stati Uniti. Nel 1961 Washington reagì sequestrando le navi
delle importazioni di zucchero cubano e tentò anche, invano, di far sbarcare sull’isola volontari anticastristi
addestrati dai servizi segreti.
 Le difficoltà furono sfruttate da Kruscev, che riaprì la questione di Berlino per affidarne il ocntrollo alla
Repubblica democratica tedesca: Kennedy, presidente degli Stati Uniti si recò personalmente a Berlino per
difendere il libero accesso alla città e pronunciò la frase: “io sono berlinese” in tedesco che fece il giro del
mondo. In risposta l’URSS decise di costruire un muro che tagliava Berlino a metà e diede inizio a numerose
fughe da parte di coloro i quali cercavano rifugio nella parte ovest.
 Intanto Kennedy decise di attuare un programma di aiuti economici a tutti i paesi del continente, escludendo
Cuba (sulla base del piano Marshall); d’altra parte Kruscev e Castro strinsero un patto di alleanza che fu esteso
al piano militare con l’installazione di basi missilistiche nell’isola. In tutta risposta Kennedy ordinò alla
marina americana di bloccare le navi dirette a Cuba con forniture militari a bordo. Il tutto si concluse però con
lo smantellamento delle basi missilistiche e il riconoscimento dell’indipendenza di Cuba dopo aver ritirato i
propri missili da Turchia e Italia.

GLI ANNI ‘60


La guerra fredda generalmente si fa concludere nel 1991 con la dissoluzione dell’Unione Sovietica; c’è chi però, dati
alcuni avvenimenti importanti dei primi anni ‘60 ha preferito circoscriverla tra gli anni 1947-63.
In effetti il conflitto fu reso meno aspro con la firma di un trattato nel 1963 che sospendeva gli esperimenti nucleari
da parte di Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna; ma non solo perché anche il Papa Giovanni XXIII, salito
al pontificio nel 1958, aveva sollecitato più volte un processo di legittimazione reciproca tra le due potenze e, il suo
pontificato se pur breve è divenuto il simbolo di questo dialogo internazionale, che vide la convocazione del
Concilio Vaticano II, portato poi a termine dal successore Paolo VI.
Il trattato del 1963 non fermò la corsa agli armamenti che riprese con rinnovato vigore, affiancato da Francia e Cina
le quali si dotarono dell’arma nucleare: per la Cina fu uno strumento di competizione con l’URSS, mentre la Francia
con De Gaulle fece una doppia mossa:
1. si oppose all’ingresso della Gran Bretagna nella CEE, perché voleva in realtà opporsi ai rapporti militari
preferenziali intrattenuti tra Londra e Washington (che rischiavano di indebolire l’autonomia europea);

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2. promosse un rapido riavvicinamento alla Germania occidentale, per dimostrare la profonda insoddisfazione
per lo stato di minorità sofferto dall’Europa occidentale nei confronti del suo protettore americano.
Il parlamento tedesco ratificò (approvò) il trattato stipulato tra De Gaulle e il cancelliere federale tedesco, ma inserì
un preambolo con cui veniva riaffermata l’importanza insostituibile degli USA e dell’Alleanza atlantica (del 1949 da
cui ha avuto origine la NATO).
Gli altri paesi europei seguivano con diffidenza l’attivismo diplomatico di De Gaulle fino a quando Parigi non
radicalizzò le proprie posizioni: decise di ritirarsi dal comando militare della NATO, ma il consiglio dei ministri
comunitario avrebbe potuto prendere ugualmente decisioni a maggioranza semplice, cui Parigi messa in minoranza,
non avrebbe potuto opporsi. Decise dunque di adottare nel 1965 la cosiddetta politica della “sedia vuota”, non
partecipando alle riunioni comunitarie. La posizione francese era isolata, ma un’Europa senza Francia non aveva
senso e dunque, la sedia vuota fu rioccupata dai delegati frane si e, la CEE procedette sulla strada dell’unificazione
doganale, implicando la rinuncia a ogni proposito di diventare un soggetto unitario sulla scena mondiale.

Gli Stati Uniti dovettero inoltre occuparsi del crescente impegno militare in Vietnam:
 il presidente degli Stati Uniti aveva motivato il proprio sostegno al regime sudvietnamita;
 nel 1960 si era costituito nel Vietnam del Sud un Fronte nazionale di liberazione che, con l’appoggio del nord
avviò un’attività di guerriglia e, il regime sudvietnamita si indebolì ulteriormente.
 Nel 1961 il nuovo presidente Kennedy aumentò il numero dei consiglieri militari americani nel paese, ma il
Vietnam del sud si dimostrò essere in condizioni precarie, tanto da mettere Kennedy alle strette: egli avrebbe
dovuto abbandonare o impegnarsi militarmente in maniera diretta.
 Questa seconda strada fu scelta dal successore Johnson, il quale fu trionfalmente rieletto, ma il consenso
diminuì drasticamente quando il Vietnam del nord con un’offensiva violenta, causò la morte di numerosi
statunitensi.
 Il presidente Nixon decise di ridurre il corpo di spedizione americano nel ‘72 e di attuare una nuova politica di
apertura verso la Cina popolare.
 Nel ‘73 fu raggiunto un accordo che pose fine all’impegno militare statunitense e la guerra si concluse due
anni dopo con la vittoria del Nord e l’unificazione del paese.

Un’altra crisi internazionale riguardò il Medio Oriente, la cui importanza strategica era accresciuta per lo
sfruttamento del petrolio, di cui quest’area era assai ricca, tanto da divenire la principale risorsa dell’Occidente.
 Dopo la crisi del ‘56 l’Egitto si era fatto sostenitore di una nuova unità della nazione araba; d’altra parte le
popolazioni arabe evacuate nel ‘48 dai territori occupati da Israele mantennero la loro identità palestinese e,
negli anni ‘60 si costituì l’organizzazione per la liberazione della Palestina (olp).
 Alla base di questi sviluppi cera pur sempre l’ostilità verso Israele che, quando l’Egitto decise di chiudere il
golfo di Aqaba alle sue navi, attaccò di sorpresa Egitto, Giordania e Siria. La guerra, detta “dei 6 giorni” si
concluse con l’occupazione da parte di Israele del Sinai e di altri territori.
 In seguito alla guerra dei sei giorni del 1967, un’ondata di profughi si riversò in Giordania, Libano e Siria. La
nuova umiliante sconfitta alimentò la volontà di rivincita degli stati arabi e la lotta del popolo palestinese si
radicalizzò, prendendo nel 1968 la via del terrorismo.
 Successivamente intervenne l’ONU chiedendo ad Israele di ritirarsi dai territori occupati e ad aprire trattative
con gli stati arabi, riconoscendosi a vicenda.
 Per l’Unione Sovietica, che li aveva sostenuti politicamente e militarmente, la sconfitta dei paesi arabi fu un
duro colpo che si aggiunse alle difficoltà derivanti dalle aspre tensioni con la Cina.
 Intanto altri scontri caratterizzarono l’Europa orientale, dove la Cecoslovacchia nel ‘68 fu incaca dalle truppe

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del Patto di Varsavia, che repressero la cosiddetta “primavera di Praga”.

LA GUERRA FREDDA
Termine utilizzato per la prima volta nel 1947 da giornalisti statunitensi che concordavano nel definirlo un
conflitto inevitabile, dovuto allo scontro tra i valori dell’Occidente e quelli del regime totalitario sovietico.
Quest’ultimo soprattutto, puntava a difendere con la forza l’area di influenza conquistata in Europa grazie
all’avanzata dell’Armata Rossa negli ultimi anni del conflitto mondiale; a questo obiettivo s aggiungeva la
spinta espansionistica verso la regione balcanica, che aveva da sempre contraddistinto la politica estera della
Russia zarista. L’URSS era dunque un nemico totale per gli USA e per le civiltà occidentali, da tenere sotto
controllo. La particolarità di questo periodo consisteva nel grande sviluppo tecnologico per la realizzazione
di armamenti che configurò una sorta di “equilibrio del terrore” in cui la sicurezza nazionale si identificava
sempre più con la capacità di nuocere al nemico.
Secondo i “revisionisti” gli USA avevano maggior responsabilità nello scatenamento della guerra fredda, in
quanto alla fine della guerra, essi instaurarono un nuovo ordine mondiale grazie alla loro indiscussa
supremazia economica che però, escluse l’URSS; il piano Marshall aveva assunto il significato di una sfida
lanciata all’URSS in un campo sul quale i sovietici non erano in grado di competere (quello degli aiuti
economici).
Inoltre ricordiamo che l’equilibrio bipolare ha congelato nel tempo una serie di conflitti locali, che dopo la
fine dell’URSS sono riemersi in tutta la loro valenza destabilizzante per gli equilibri complessivi del mondo.

LA DECOLONIZZAZIONE...
La Carta delle Nazioni Unite approvata nel 1945 riconobbe l’esistenza di territori non autonomi e riprese l’idea del
mandato, attribuendo ai governi coloniali il carattere di amministrazioni fiduciarie temporanee: la novità fu
l’introduzione di controlli periodici da parte di commissioni d’inchiesta dell’ONU per accertare i progressi compiuti
verso l’indipendenza. Inoltre, la Gran Bretagna e la Francia dovettero allentare il proprio controllo politico e militare
sulle colonie (in seguito al conflitto mondiale), ma le politiche da loro seguite furono diverse:
1. La Gran Bretagna dichiarò l’intenzione di estendere lo status di dominion del Commonwealth a tutti i suoi
possedimenti coloniali e su questa base non osteggiò la decolonizzazione in cambio di rapporti economici,
commerciali e politici privilegiati;
2. la Francia d'altro canto osteggiò questo processo, rendendolo più aspro attraverso le guerre.
Gli Stati Uniti attuarono una strategia di imperialismo informale, concedendo al Giappone e all’Europa occidentale
aiuti in denaro per favorire la ripresa economica e controllare in modo indiretto la vita politica e la gestione delle
risorse: ovviamente le due potenze precedenti non avevano i mezzi per sostenere una tale strategia.

...IN ASIA
Il Giappone aveva cercato di suscitare movimenti indipendentistici per accrescere e diffondere la mobilitazione
attorno agli obiettivi della libertà nazionale e dell’autogoverno; era riuscito inoltre a sconfiggere e umiliare le
potenze coloniali europee, ottenendo sia l’appoggio e la collaborazione da parte dei leader dei movimenti
anticoloniali, sia l’opposizione come avvenne in Malesia, dove i leader organizzarono una guerriglia antigiapponese
con il sostegno degli alleati; in altri ancora combatterono sino al raggiungimento dell’indipendenza. Nel 1947 la
conquista dell’indipendenza da parte dell’India mostrò a tutta l’Asia che l’obiettivo era raggiungibile:
 l’indipendenza proclamata per l’India, comportò però un problema molto grave tra la maggioranza hindi e la
minoranza musulmana. Gandhi a tal proposito aveva sostenuto la possibilità di integrare la popolazione di
fede islamica in uno Stato unitario, ma la lega musulmana rivendicava la creazione di una nazione separata; il

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regime britannico inoltre aveva alimentato le divisioni religiose per indebolire l’opposizione indipendentista.
 La soluzione che fu adottata, di costruire due diversi stati, spinse a migrare 12 milioni di persone e dette inizio
a violenze tra hindi e musulmani.
 La fase più critica dei rapporti fr ai due paesi ebbe fine nel 1971, quando il Bengala orientale si staccò dal
Pakistan costituendo un nuovo Stato, il Bangladesh.
 Per 40 anni l’India indipendente fu governata dal Partito del congresso che, a differenza di Gandhi,
immaginava il futuro del paese modellato sui processi di modernizzazione dei paesi avanzati: furono stabilite
l’uguaglianza giuridica dei cittadini e la parità dei sessi, m anche una riforma agraria che limitò il latifondo e
un programma economico che prevedeva il ruolo attivo dello stato.

 Le Filippine nel 1946 furono il primo paese asiatico a raggiungere l’indipendenza ma, furono caratterizzate da
un movimento di guerriglia comunista che non riuscì a mutare gli equilibri politici, dando vita ad un governo
debole, retto dal Partito laburista che, rimase fedele agli USA ma non riuscì ad attuare uno sviluppo
economico autonomo.

 Nel 1945 la Gran Bretagna concesse alla Birmania lo status di dominion e iniziarono una serie di colloqui con i
movimenti nazionali del paese in particolare con la Lega popolare antifascista per la libertà; anche qui la
conquista della sovranità, da parte della Lega popolare antifascista, coincise con l’accendersi nel sud del paese
di un focolaio di guerriglia comunista.

Le attività di guerriglia proseguite dopo il conseguimento dell’indipendenza in diversi paesi asiatici rispondevano a
una doppia logica:
1. protesta contro le ineguaglianze della società rurale, che il colonialismo aveva aggravato, a causa dell’incontro
con l’economia monetaria dei pesi sviluppati che sconvolse li equilibri sociali delle campagne; la proprietà
della terra si concentrò in poche mani e l’economia di autoconsumo delle famiglie contadine fu distrutta.
Furono proprio queste masse di contadini poveri il luogo ideale per la guerriglia.
2. La seconda logica era legata invece alla guerra fredda e all’appoggio dell’URSS, che puntava a mutare i
rapporti di forza globali sostenendo dal punto di vista politico e finanziario i movimenti di guerriglia.
Bisogna poi aggiunger ei casi in cui la guerriglia fu alimentata da minoranze etniche.

LA LUNGA GUERRA DEL VIETNAM


Come è stato già detto la Francia cercò invece di conservare fino all’ultimo il proprio impero coloniale:la nuova
Costituzione concesse la cittadinanza anche ai sudditi delle colonie, sottolineandone la loro dipendenza. Particolare
fu la situazione in Indocina, dove la Francia intendeva conservare il potere du una federazione dei propri
possedimenti continuandone a gestire difesa militare, emissione di moneta, politica estera e economica:
 Durante la conferenza di Potsdam (1945, Stati Uniti, Unione Sovietica e Gran Bretagna) vennero incaricate le
truppe del Partito popolare nazionale cinese di disarmare i nuclei di resistenza giapponese nel Vietnam del
nord, che fungevano da garanti per i francesi contro il Fronte per l’indipendenza del Vietnam creato dai
comunisti nel 1941.
 I francesi, con l’aiuto delle truppe britanniche, avevano conquistato il sud del paese ma nel nord, il leader
comunista proclamò l’indipendenza del Vietnam annunciando l’elezione di un’Assemblea costituente e
confiscando i beni dei grandi proprietari.
 Nel 1946 ebbe però inizio una vera e propria guerra ad opera dei francesi che passarono direttamente all’azione,
bombardando il porto del Vietnam del Nord.

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 Intanto nel 1949 venne costituito dai francesi uno stato vietnamita a sud, sotto la guida del vecchio imperatore,
riconosciuto anche da Gran Bretagna e Stati Uniti; questi ultimi finanziarono le spese di guerra ma, nonostante
ciò, le truppe nordvietnamite circondarono i soldati francesi i quali si rassegnarono agli inizi degli anni ‘50.
 La conferenza di Ginevra cercò di trovare una soluzione: Cina e Unione Sovietica riuscirono a imporre la
presenza della repubblica del Vietnam del Nord, ma costrinsero il primo ministro del Vietnam ad accettare la
suddivisione del paese in due stati indipendenti e separati dal 17°parallelo.
 Nel sud si aprì successivamente una fase di instabilità politica che portò alla proclamazione di una repubblica
ma rimase travagliata da lotte tra fazioni politiche e religiose, nelle quali vennero spesso coinvolti i vietnamiti
del nord.
 Nel 1960 nel Vietnam del sud si riunirono fazioni con il nome di Vietcong (comunisti vietnamiti) nel Fronte di
liberazione nazionale, che iniziarono ad ipotizzare una riunificazione del Vietnam per via militare. Gli Stati
Uniti furono costretti ad intervenire segnando l’inizio della guerra del Vietnam.
 Il nord del paese venne sottoposto a pesanti bombardamenti aerei da parte degli americani, i quali però si
resero conto che sarebbe stato meglio concludere il tutto con negoziati di pace. Le trattative ebbero una
gestazione lunga e complicata, ma il nuovo presidente degli USA Nixon portò avanti il ritiro delle truppe e, la
guerra civile vietnamita proseguì sino al 1975 quando le forze del Nord riuscirono ad unificare il paese.

I PAESI ARABI E ISRAELE


La guerra in Asia aveva accresciuto la forza del movimento panarabo, cui Francia e Gran Bretagna avevano
rinnovato rompesse di indipendenza in cambio dell’appoggio bellico contro la Germania.
 In una conferenza svoltasi nel 1944 Egitto, Transgiordania, Iraq, Libano, Arabia Saudita e Yemen avevano
promosso la formazione di una Lega araba e l’approvazione di una Carta che tra i propri obiettivi poneva
l’indipendenza dei popoli arabi e una soluzione equa dei rapporti tra palestinesi e coloni ebrei;
 nel 1946 le truppe anglo-francesi, dopo una breve resistenza armata, dovettero evacuare la Siria e il Libano.
 Intanto gli insediamenti ebraici in Palestina avevano seguito la strada della colonizzazione pacifica, ma
sorsero azioni di protesta contro il mandato inglese che governava l’intera area. In aggiunta, gruppi terroristici
si resero responsabili di attentati a edifici e persone arabe e inglesi;
 così nel 1947 la Gran Bretagna rinunciò al proprio mandato e l’ONU si espresse a favore della divisone della
Palestina i due stati (uno ebraico e uno palestinese), ma gli scontri armati non si arrestarono.
 Nel 1948 l’esercito militare nazionale, continuando con le aggressioni, attaccò il villaggio arabo e subito dopo
fu proclamato lo Stato di Israele, che con l’appoggio occidentale sconfisse le truppe inviate contro di lui dai
paesi arabi.
 In Egitto il re venne deposto da un colpo di stato ad opera di un gruppo di “liberi ufficiali”, che instaurò la
repubblica; il nuovo regime nazionalizzò il canale di Suez per finanziare con i suoi proventi lo sviluppo del
paese e in particolare la costruzione di una grande diga sul Nilo. La crisi internazionale che ne seguì
determinò la fine della preminenza anglo-francese nell’area.
 A questa situazione seguirono molteplici accordi tra i paesi arabi indipendenti ma, nessuno di essi riuscì a
reggere ad eccezione dell’OPEC, il cartello formato nel 1960 dai paesi produttori di petrolio: nato per
realizzare un controllo congiunto di produzione e prezzi.
 L’ultimo paese arabo a uscire dal dominio coloniale fu l’Algeria, contraddistinta come il Vietnam da una forte
presenza di coloni francesi che agirono duramente, deportando in “centri di raggruppamento” 2mln di algerini.
Particolare sviluppo ebbe lo spionaggio dei servizi segreti e la fondazione del Fronte di liberazione nazionale
a cui, De Gaulle, propose l’apertura di un negoziato: la scoperta del petrolio nel Sahara cambiò i piani della
politica francese, interessata non più alla difesa degli interessi dei coloni ma alla progettazione di un piano di

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investimenti per industrializzare l’Algeria. I colloqui non portarono risultati e, nel 1962, un referendum sancì
l’indipendenza dell’Algeria.

L’AFRICA SUBSAHARIANA
Nell’Africa Subsahariana tra il 1956 e 1968 tutti i paesi dell’area uscirono dal colonialismo, tranne le colonie
portoghesi dove si svolsero lunghe guerre di liberazione e a cui solo la caduta del regime salazarista aprì le porte
dell’indipendenza.
 L’indipendenza in africa fu guidata da leader formatisi spesso nelle università europee e sostenuta da élite
urbane collaboratrici delle amministrazioni coloniali; si ispirò a modelli occidentali di sviluppo industriale e
urbano, che furono finanziati e gestiti dallo stato. Le comunità di villaggio vennero eliminate a tutto vantaggio
di nuove istituzioni modellate su esempi occidentali.
 L’unico punto di debolezza erano le differenze e i difficili rapporti tra le nazioni africane (che ad esempio
mantennero come lingue ufficiali il francese e l’inglese per comunicare tra loro con più facilità), il cui risultato
fu un’involuzione autoritaria: le società rurali ritirarono il proprio appoggio ai ceti politici nati con
l’indipendenza, che a loro volta si videro costretti a far uso della forza per conservare il potere.
 Un altro effetto della fragilità dei novi stati africani fu la persistenza di forme neocoloniali di subordinazione e
sfruttamento economico: governi e compagnie private occidentali, interessati alle risorse del continente,
lasciavano l’esercizio del governo alle élite africane ma le ricattavano o corrompevano con la forza del denaro.
La dipendenza dai mercati e dai capitali internazionali impedì così lo sviluppo economico dei paesi africani,
che rimasero fondamentalmente esportatori di materie prime e i portatori di prodotti finiti.
 In ogni caso l’indipendenza del Sudafrica e della Rodesia del Sud dalla Gran Bretagna non fu propriamente un
processo di decolonizzazione, perché venne proclamata dalle minoranze bianche dei due paesi allo scopo di
preservare il proprio potere. Questo comportò molteplici movimenti d’opposizione della maggioranza nera
che diede inizio a rivolte e proteste, a cui il regime rispose con una dura repressione. Il più forte di tali
movimenti su l’African National Congress, il cui maggior esponente fu Nelson Mandela che venne arrestato.

L’AMERICA LATINA
Anche per l’America Latina il problema dominante era lo scambio ineguale con le economie occidentali a cui, i
regimi populisti risposero con barriere doganali protezionistiche e uno sviluppo industriale fortemente sostenuto
dallo Stato.
 Il populismo trovò il suo punto di riferimento in Argentina con la fondazione di una dittatura personale sul
Partido laborista, espressione dei sindacati. Indebolito da una crisi economica e dalla ripresa della
conflittualità sociale, il dittatore venne esiliato, senza esser riuscito a risolvere la situazione (anzi aveva dovuto
ricorrere all’indebitamento estero, data la scarsità di capitali).
 Un punto di svolta per l’intero continente si ebbe con la rivoluzione cubana: attraverso un golpe si era posto
fine all’esperimento populista e, d’altra parte, il nuovo regime strinse un patto di assistenza militare con gli
Stati Uniti (tornò un modello di sviluppo subordinato agli americani) sviluppando un movimento di guerriglia
guidato da un giovane avvocato, Fidel Castro.
 Egli con le sue riforme fece perdere alle compagnie zuccheriere americane 600mila ettari di terra e, gli Stati
Uniti gli negarono ogni sostengo economico: questo lo spinse ad accordarsi con l’Unione Sovietica per la
vendita di zucchero in cambio di crediti finanziari.
 Questo spiega l’azione da parte di Kruscev, il quale affermò l’intenzione di voler proteggere Cuba con i propri
missili nel caso in cui gli Stati Uniti fossero intervenuti (nel 1960 il presidente degli USA aveva proclamato il
blocco commerciale dell’isola)..

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 Il fallito tentativo di sbarco nell’isola rafforzò la posizione di Castro il quale si oppose alla carta dell’Alleanza
per il progresso, istituita dagli Stati Uniti e firmata da tutti gli altri paesi latinoamericani (programma di
investimenti pubblici e privati voluto da Kennedy per ufficializzare la collaborazione tra USA e America
Latina).
 Intanto Castro instaurò un controllo poliziesco su ogni forma di dissenso riservando all’esercito un ruolo
molto rilevante; la nuova Costituzione del 1975 conferì più ampi margini di autonomia alle amministrazioni
locali, favorendo una significativa crescita economica (che non garantì comunque il raggiungimento del
reddito degli altri paesi, avvantaggiati dagli scambi con merci ali con gli USA).
 La vittoria della guerriglia castrista affascinò i movimenti rivoluzionari latinoamericani che trassero
inspirazione diretta: la figura di Ernesto “che” Guevara, medico argentino e compagno d’armi di Castro, fu
importante perché lanciò l’obiettivo di riunificazione, simile a quello portato a compimento dal Vietnam.
 La reazione da parte del resto dell’America Latina vide l’intervento delle forze armate, che assunsero il potere
in molti stati con l’appoggio anche degli Stati Uniti; tutti gli oppositori furono catturati, uccisi e fatti sparire
dalle forze di polizia o da squadre di estrema destra.
Alla metà degli anni ‘70 le istituzioni rappresentative e la democrazia erano quasi del tutto scomparse nel continente
latinoamericano; soltanto il Messico mantenne un’eccezionale stabilità, anche governativa: il Partito rivoluzionare
istituzionale, che era al potere, esercitò un monopolio politico e guidò un sostenuto sviluppò economico che sfruttò i
buoni rapporti con gli USA e i loro investimenti. Questo moderato riformismo però, non risolse il problema della
miseria delle masse rurali, né i problemi legati all’urbanizzazione che alimentarono acute tensioni (pochi giorni
prima delle Olimpiadi 1968 a Città del Messico centinaia di studenti furono uccisi dalla polizia durante una
protesta).

IL MONDO POSTCOLONIALE
Gli anni ‘60 del ‘900 chiusero un ciclo che si era aperto mezzo millennio prima: una vera e propria “età
europea” contrassegnata dalle scoperte geografiche, dall’egemonia tecnologica, commerciale e militare del
vecchio continente. Nuovi soggetti irruppero sulla scena della storia, mettendo in crisi questo plurisecolare
predominio.
Nei paesi decolonizzati si sono sviluppati anche filoni di studi, spesso definiti post-coloniali che, hanno messo
in luce gli intrecci di identità e culture tra colonizzatori e colonizzati: il che significa che bisognerebbe ad oggi
considerare non più solo ed esclusivamente il modello di modernizzazione occidentale. Una testimonianza è
stata data dai cosiddetti NICS, ovvero da quei paesi del Sud.est asiatico come Singapore, Taiwan, Corea del
Sud e Hong Kong che sono stati definiti “paesi di nuova industrializzazione” e pare, abbiano posto fine al
Terzo Mondo.

L’OCCIDENTE: LA GOLDEN AGE


All’indomani della seconda guerra mondiale, fino agli inizi del XXI secolo va collocato un momento di svolta:
 durante la cosiddetta golden age (anni ‘60 -‘73) si verificò un sviluppo economico impetuoso che non fu
interrotto e riguardò il mondo intero, ma soprattutto i paesi a capitalismo sviluppato; questo comportò uno
sviluppo diseguale e aggravò le distanze fra Nord e Sud del globo. Il Giappone registrò uno sviluppo
straordinario, seguito dall’Europa occidentale, mentre negli Stati Uniti le economie crebbero più lentamente e
in particolare perché il paese aveva sofferto meno durante la guerra e, aveva già avviato uno sviluppo
considerevole. Nel resto dell’Asia e dell’America Latina ci fu un incremento dello sviluppo economico ma i
loro redditi di partenza erano assai inferiori a quelli occidentali e non coprivano che il 27% del reddito
mondiale, a fronte del 67% della popolazione. Un forte sviluppo invece caratterizzò l’URSS e i paesi dell’Est

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europeo a favore dell’industria pesante, ma a scapito dell’espansione dei consumi (il reddito pro capite crebbe
ma il tenore di vita dei cittadini ne risentì solo in parte, restando pur sempre inferiore a quello occidentale).
 In Occidente l’idea di un’età dell’oro fu giustificata da tassi di inflazione non elevati, da un contenuto debito
pubblico e soprattutto da una disoccupazione media inferiore al 2%. Specie in Europa, la crescita impetuosa
dell’economia si accompagnò ad una riduzione delle disuguaglianze nella distribuzione dei redditi, resa
possibile da una notevole stabilità monetaria.
 Questi aspetti ebbero alla base decisioni prese dagli alleati quando la seconda guerra mondiale era in corso:
1. nel 1944 una conferenza angloamericana svoltasi negli USA definì il sistema economico e monetario
internazionale del dopoguerra;
2. la stabilità degli scambi internazionali era stata garantita dall’adozione di un sistema monetario basato sulla
convertibilità del dollaro in oro, che permise agli USA di assumere un ruolo di superpotenza economica,
sostituendosi alla Gran Bretagna e alla sterlina.
 Erano stati creati un Fondo monetario internazionale per regolare le crisi delle valute nazionali e una Banca
mondiale per promuovere lo sviluppo dei paesi più arretrati. L’espansione economica si accompagnò a un
processo di internazionalizzazione, che rese sempre più interconnesse le diverse economie nazionali.
 Alla golden age contribuirono anche altri fattori:
1. la grande disponibilità di manodopera industriale a basso costo: la meccanizzazione dell’agricoltura lasciò
infatti senza lavoro milioni di persone e, l’aprirsi di nuove opportunità nell’industria, determinò un processo
migratorio dalle campagne alle città che garantì un miglioramento delle condizioni di vita;
2. il secondo fattore fu il divario tecnologico che divideva Stati Uniti dal Giappone e dall’Europa: la loro crescita
ne fu sollecitata perché la semplice importazione del modello americano permise a questi paesi di conseguire
forti aumenti di produttività;
3. un terzo fattore fu costituito dai benefici del coinvolgimento dello Stato nell’economia e dall’affermarsi di
politiche keynesiane. Secondo Keynes lo Stato non doveva sostituire l’economia di mercato con un’economia
pianificata, ma doveva regolamentarla e farla funzionare al meglio, riducendo le disuguaglianze dei redditi.
L’intervento dello Stato si esercitò inoltre attraverso lo sviluppo di industrie statali, configurando un sistema
misto con imprese private e pubbliche;
4. un ulteriore strumento di intervento fu la messa in atto di politiche di redistribuzione del reddito e di difesa dei
ceti più deboli attraverso il fisco: lo sviluppo dello Stato sociale. In questo periodo un forte consenso sociale
accompagnò l’aumento delle imposte necessario a finanziare i servizi sociali, coprire la crescente spesa
sociale e mantenere in equilibrio le entrate e le uscite (welfare state).

La fine di questa fase eccezionale viene di solito collocata nel 1973:


 l’OPEC quadruplicò il prezzo del greggio (prodotto non rifinito): si trattò di una decisione politica, presa per
danneggiare i paesi favorevoli a Israele in seguito alla “guerra del Kippur”, che aprì una fase di crisi
economica mondiale dovuta a tutti i paesi industrializzati che importavano questa fonte di energia.
 Un altro segno di questa crisi fu la fine del sistema monetario del dollaro-oro: nel 1971 infatti, gli USA posero
fine alla convertibilità dollaro-oro e anche al modello di cooperazione internazionale. A questo si aggiunse la
politica protezionistica e di blocco dei prezzi e salari, a cui dovettero ricorrere, in seguito alla guerra del
Vietnam.
 Vennero inoltre meno due fattori trainanti dello sviluppo industriale postbellico, ovvero la riserva di forza
lavoro a basso costo proveniente dall’agricoltura e lo stimolo costituito dal gap tecnologico fra Europa e USA.
 Involuzione del keynesiano: si diffuse una modalità di gestione della cosa pubblica che inquinò la politica e
non consentì più allo Stato di correggere le disfunzioni dell’economia di mercato.

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Non dobbiamo dimenticare che questa impetuosa crescita ebbe effetti molto pesanti sull’ambiente, aggravando
l’inquinamento del paese ed intensificando infatti la contaminazione dei suoli e delle acque, causate dall’uso di
fertilizzanti chimici, antiparassitari dell’agricoltura, smog urbano... le emissioni di biossido di carbonio triplicarono
e riscaldarono l’atmosfera terrestre, assottigliando lo strato di ozono.

ANTICOMUNISMO E SVILUPPO: AMERICAN WAY OF LIFE


La guerra aveva lanciato l’economia degli USA che però successivamente, dovette rallentare per evitare crisi
deflative; di fatti l’inflazione non si riuscì ad evitare, i prezzi aumentarono quasi del 50% e un’ondata di scioperi
rivendicò aumenti salariali.
 Il presidente degli USA, sulla base del New Deal, lanciò il Fair Deal nel 1945 che prevedeva l’aumento dei
minimi salariali, lo sviluppo dell’edilizia popolare e ospedaliera, l’estensione delle leggi di assicurazione. La
minoranza repubblicana si oppose e conquistò la maggioranza in parlamento l’anno successivo. Indebolito da
questo risultato, Truman si adeguò allo spostamento a destra dell’opinione pubblica, riuscì a battere i
repubblicani nelle elezioni presidenziali del 1948, ma nonostante il recupero di una maggioranza democratica
in parlamento, il Fear Deal non venne approvato.
 Nel contesto della guerra freddo, si diffuse un acceso anticomunismo espressione delle profonde insicurezze
degli USA: la mobilitazione contro un nemico interno debole o inesistenze, ma individuato come capro
espiatorio, era una valvola di sfogo e un mezzo di riconoscimento. La bomba atomica sovietica e la guerra di
Corea alimentarono ancora di più le ansie del paese, che trovarono il portavoce nel senatore McCharthy, il
quale si disse in possesso di una lista di agenti comunisti infiltrati nel Dipartimento di stato scatenando una
campagna inquisitoria. Nel 1954 naturalmente il Partito comunista fu messo fuorilegge e questo, limitò la
libertà di opinione e permise ai repubblicani di tornare al potere dopo 20anni.
 La guerra di Corea stimolò un nuovo ciclo di sostenuta crescita economica: nel 1954 l’indice della borsa di
Wall Street tornò ai livelli precedenti della crisi del ‘29. L’espansione dei consumi diede vita a una rivoluzione
“antimarxista” che annullava le contrapposizioni di classe; ma se da un lato, questa società di massa aperta e
consumista fu concepita come un modello da esportare in tutto il mondo, d'altro lato si trattava pur sempre di
una società cresciuta attorno ai consumi di massa individuali, molto squilibrata da ritardi nel campo dei servizi
sociali e dalla persistenza di povertà. Quest’ultimo fenomeno riguardava in particolare modo la gente di colore
e, per di più, la prima emergenza che il nuovo presidente dovette affrontare fu la segregazione razziale ancora
vigente negli stati del Sud, nonostante la Corte suprema avesse in precedenza già dichiarato incostituzionali le
leggi che istituivano scuole separate per i neri.

GLI STATI UNITI DA KENNEDY A NIXON


La campagna elettorale del 1960 (la prima con un dibattito televisivo) fu vinta dal democratico Kennedy contro il
repubblicano Nixon. La politica di Kennedy per quanto breve, causa di un attentato nel ‘63, sostenne il movimento
dei diritti civili organizzando una grande marcia a Washington. Le riforme di Kennedy passarono in eredità al
vicepresidente Johnson che si impegnò in una massiccia opera riformatrice e nel 1964 stravinse le elezioni
presidenziali con un programma che puntava all’abbattimento della povertà e alla realizzazione di un’uguaglianza di
diritti e opportunità.
 Con due leggi furono abolite la segregazione razziale e le restrizioni al diritto di voto;
 con due programmi furono estese le assicurazioni sanitarie anche agli anziani, ai poveri e alle madri sole.
Per quanto i risultati di questi interventi furono di notevole rilievo (riduzione differenze tra bianchi e neri, riduzione
della povertà), l’aumento delle spese sociali si aggiunse a quello delle spese militari (guerra del Vietnam),

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aggravando il deficit dei conti pubblici e alzando l’inflazione: per la prima volta l’economia diede segni di
rallentamento e, il paese fu diviso da tensioni politiche, sociale e culturali molto acute:
 Tra il ‘65 -‘67 il malessere dei ghetti neri delle metropoli del Nord esplose in numerose rivolte e la dirigenza
non violenta del movimento fu contrastata dall’ascesa di leader radicali contrari all’integrazione, che diffusero
l’idea di un contropotere nero;
 ribellioni giovanili contro l’autoritarismo e il conformismo si diffusero, seguite da movimenti femministi che
contestavano il ruolo domestico assegnato alle donne, rivendicando parità di diritti e opportunità contro le
disuguaglianze retributive e gerarchiche.
 La situazione divenne sempre più acuta durante la campagna presidenziale del ‘68, con manifestazioni e
attentati che portarono alla morte del democratico Kennedy e di Martin Luther King. Questo compromise la
stabilità del Partito democratico profondamente diviso e, le elezioni si conclusero con la salita al potere di
Nixon.
 La nuova amministrazione repubblicana fu caratterizzata da un disimpegno nel Vietnam e da un’aspra
battaglia ideologica e giudiziaria contro i movimenti radicali e pacifisti, optando per una svolta moderata del
paese. Chiari segni involutivi giunsero anche dall’economia, con un aumentò delle importazioni rispetto alle
esportazioni, con un’inflazione pari al 6% dovuta all’aumento delle spese sociali e militari: Nixon decise di
introdurre tariffe protezionistiche e nel 1971 pose fine alla convertibilità del dollaro. A questo si aggiunse la
crisi petrolifera del ‘73, l’ascesa dell’inflazione che superò il 10% e un’inchiesta giornalistica che rivelò le
attività di spionaggio commesse dallo staff di Nixon durante la campagna elettorale del ‘72, che lo videro
costretto a dimettersi nel ‘74.

LA GERMANIA
Quasi completamente distrutta la Germania uscì dalla guerra divisa in 4 zone d’occupazione assegnate agli eserciti
vincitori: inglese, francese, statunitense e sovietico. Stessa ripartizione riproduceva Berlino. La guerra fredda
trasformò la questione tedesca in uno scontro USA-URSS.
 Dal 1948 le zone sottoposte al controllo angloamericano furono unificate nelle mani degli Stati Uniti, che
destinarono ad esse una quota crescente di aiuti finanziari.
 Le elezioni politiche della Repubblica federale tedesca (ovest) del ‘49 dettero la maggioranza all’Unione
cristiano-democratica e all’Unione cristiano-sociale contro il Partito socialdemocratico. Il nuovo cancelliere
optò per una politica di integrazione occidentale fondata su rapporti privilegiati con USA e Francia.
 La produzione industriale raggiunse livelli altissimi e tra i più rapidi in Europa; la cdu accrebbe i propri
consensi fino a conseguire la maggioranza assoluta, mentre il Partito comunista venne messo fuorilegge.
 Nel ‘59 la spd formulò un nuovo programma fondato sul pluralismo, alliberà concorrenza, il patto sociale tra
operai e imprenditori al posto della lotta di classe, la fedeltà all’Alleanza atlantica al posto del neutralismo.
Contemporaneamente la cdu si indebolì e fu costretta ad una coalizione con la spd. Il leader socialdemocratico
divenne anche Ministro degli Esteri e, nel ‘69 si formò una nuova maggioranza tra spd e liberali costringendo
all’opposizione il Partito cristiano-democratico.
 La Germania Ovest riconobbe quella dell’Est, pur continuando a negare la natura democratica del suo regime.
Questa discordia terminò nel ‘73 quando le Nazioni Unite le ammise entrambe.

LA FRANCIA
Anche la Francia uscì dalla guerra profondamente divisa tra le forze che avevano collaborato con gli occupanti
tedeschi e quelle della resistenza antinazionale; tra queste ultime una figura di spicco fu rivestita dal generale De
Gaulle, esponente di una destra moderata indipendente dai partiti tradizionali.

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 Nel 1945 venne eletto, dall’Assemblea costituente, alla guida del governo di coalizione: la cosiddetta Quarta
repubblica, inaugurata nel ‘46 con una nuova Costituzione.
 De Gaulle però si dimise perché il suo programma presidenziale non fu condiviso dal suo stesso partito, che
andò all’opposizione.
 I comunisti furono estromessi dal governo e negli anni successivi il paese fu guidato dai governi di “terza
forza” compiti da radicali, socialisti e cattolici. Questi governi dettero un contributo importante al processo di
integrazione europea e, mantennero l’alleanza con gli Stati Uniti.
 Nonostante e un forte sviluppo economico e un rafforzamento dello Stato sociale, la Quarta repubblica entrò in
crisi soprattutto per i risultati riguardo la politica coloniale francese. Dopo la disfatta indocinese, la crisi di
Suez, la guerra d’Algeria divise il paese.
 Questa situazione permise il ritorno al potere di De Gaulle, che costituì un governo di emergenza e chiese
pieni poteri per stilare una nuova Costituzione: essa fu approvata da un referendum popolare e prevedeva un
presidenze eletto a suffragio ristretto e investito di ampi poteri. La Quinta repubblica fu caratterizzata da una
maggioranza di partiti di destra e De Gaulle, eletto presidente con quasi l’80% dei voti pose fine alla questione
algerina, con la concessione dell’indipendenza nel 1962.
 Secondo il presidente francese, l’integrazione economica non era sufficiente per l’Europa, la quale doveva
disporre di una propria difesa militare indipendente da quella statunitense. Inoltre la sua idea di Europa
prevedeva una fondazione sull’asse franco-tedesco piuttosto che su quello con gli USA: si oppose difatti
all’ingresso nella CEE della Gran Bretagna, considerata un alleato degli USA.
 La politica di De Gaulle rimase però isolata e dopo l’ultimo successo elettorale nel ‘68, il potere del presidente
si indebolì e giunsero le dimissioni.

LA GRAN BRETAGNA E LA “RIVOLUZIONE LABURISTA”


La Gran Bretagna aveva perduto il suo ruolo di potenza mondiale.
 In modo inaspettato le elezioni del ‘45 posero fine al governo di unione nazionale diretto da Churchill,
premiando il Partito laburista di Attlee, che cambiò irreversibilmente il volto del paese.
 Tra il ‘46 -‘48 fu creato il Servizio sanitario nazionale, con prestazioni mediche e ospedaliere gratuite per tutti
e le assicurazione contro malattie, infortuni, vecchiaia e disoccupazione furono estese e coperte dal contributo
dello Stato, dei lavoratori e degli imprenditori;
 per finanziare questa “rivoluzione laburista”, il governo ricorse a una politica di imposizione, con forti tasse
sui consumi e con il blocco dei prezzi e salari.
 Gli effetti positivi della ripresa economica si fecero sentire solo dopo il 1950, quando il consenso laburista era
già in calo e l’anno successivo Churchill tornò al potere.
 Il governo conservatore riprivatizzò l’industria siderurgica e trasferì ai cittadini alcune spese sanitarie,
lasciando però intatta la struttura del welfare state laburista. Nel ‘55 però Churchill a causa di problemi di
salute fu costretto a dimettersi.
 Con l’abbandono delle posizioni coloniali, l’economia inglese continuò a segnare un deficit dovuto anche ai
pagamenti e alle spese della precedente guerra di Corea e della crisi di Suez. L’inflazione e la disoccupazione
erano in aumento e il governo conservatore faticava a mantenere il favore dell’opinione pubblica.
 Intanto il Partito laburista intraprese una revisione programmatica simile a quella dei socialdemocratici
tedeschi: economia mista in cui il settore pubblico incentivasse l’innovazione tecnologica e indirizzasse le
risorse verso scopi di giustizia sociale.
 Nelle elezioni del ‘64 Wilson costituì un governo laburista e dovette fronteggiare una preoccupante recessione
economica: decise di optare per una politica di sacrifici, proteggendo l’industria con nuove imposte doganali,

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comprimendo la domanda interna per favorire le esportazioni. In ogni caso il paese non riuscì a riprendersi e
rimase emarginato dalla crescita dell’Europa comunitaria.
 Sul piano de diritti civili però, Wilson ottenne grandi risultati: abolì la pena di morte, la censura teatrale e
liberalizzò il divorzio e l’aborto. Contemporaneamente maturò nel Partito laburista un orientamento
favorevole all’ingresso nella CEE, che si concretizzò nel ‘73 con la caduta del veto francese.
 Wilson fu costretto ad affrontare anche una ripresa dei conflitti tra cattolici e protestanti nell’Irlanda del Nord
e nel 1970 il Partito conservatore conquistò la maggioranza.

LA SVEZIA
 Le elezioni del 1948 confermarono ai socialdemocratici la maggioranza relativa.
 Una delle ragioni che permise alla Svezia di godere di una grande stabilità politica risiedeva nell’equilibrio di
una società che era riuscita a modernizzare la propria agricoltura, grazie a solidi rapporti tra piccoli e medi
proprietari terrieri.
 L’avvio dell’industrializzazione e la crescita del movimento sindacale avvennero all’interno di questo quadro
istituzionale, predisposto all’integrazione di misure assicurative sanitarie e pensionistiche rivolte a tutti i
cittadini anziati senza distinzioni, finanziate dalla fiscalità generale.
 Il welfare state mantenute inalterate queste caratteristiche anche nella fase del dopoguerra: durante gli anni ‘50
il paese fu retto da una coalizione formata da socialdemocratici e dal Partito dei contadini che riuscì a coprire i
costi sociali e a garantire la qualità dei servizi pubblici, optando per una rigida politica fiscale di tasse sui
redditi.
 Anche in politica estera la Svezia mantenne inalterata la sua posizione: restò neutrale e si adoperò per la
costituzione di un Consiglio del Nord tra i paesi dell’area scandinava, per suggerire misure di cooperazione
politica, economica e culturale.
 La fine degli anni ‘60 segnò l’esaurimento del modello svedese: l’invecchiamento della popolazione e la
diminuzione degli operai occupati affiancata alla crescita del pubblico impiego, resero più problematico il
finanziamento dei servizi assistenziali erogati dallo Stato, ma e tuti solo grazie ad una politica fiscale sempre
più pesante.

L’EUROPA MEDITERRANEA
L’Europa meridionale faceva eccezione nel quadro politico dell’Europa occidentale, con due regimi dittatoriali
sopravvissuti in Spagna e Portogallo.
 In Spagna nel 1947 Franco restaurò la monarchia e si pose come punto di equilibrio tra i diversi centri di potere,
compresa la Chiesa cattolica, la l’alleanza fu rafforzata da un concordato con la Santa Sede. Dal punto di vista
della modernizzazione, la Spagna visse nell’ombra e in una condizione appartata rispetto al resto del mondo;
quando Franco morì nel ‘75 il potere passò nelle mani di uso nipote Alfonso XIII, il quale aprì la strada alla
democrazia, legalizzando i partiti e indicendo libere elezioni.
 In Portogallo la fine della guerra vide un prolungamento del potere personale di Salazar che visse un processo
di involuzione autoritaria, legato alla battaglia combattuta contro la guerriglia dei movimento indipendi sti i
nelle colonie africane. Dopo la morte di Salazar, il suo successore concesse modesti margini di autonomia alle
colonie che però non risolsero il problema e, nel ‘74 un movimento di ufficiali democratici effettuò un colpo di
Stato. Il nuovo regime conoscesse subito l’indipendenza alle colonie, le nuove elezioni libere dettero la
vittoria al Partito socialista e venne approvata una nuova Costituzione repubblicana.
A metà degli anni ‘70 i paesi della penisola iberica innescarono quella che è stata definita la “terza ondata” della
democrazia, dopo quella ottocentesca e quella dell’immediato dopoguerra legata alle decolonizzazione.

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IL GIAPPONE
Il 2 settembre del 1945 i rappresentanti del Giappone firmarono le condizioni della resa alle truppe alleate: il paese
venne posto sotto il governo dello scap, guidato dal generale americano MacArthur, affiancato da una commissione
per l’Estremo Oriente formata da 11 rappresentanti di 11 nazioni.
 Le prime scelte dello scap garantirono una continuità del governo; furono liberati i prigionieri politici,
restaurati i diritti civili e sindacali, restituito alla legalità il Partito comunista, sciolta la polizia segreta e, nel
1946 entrò in vigore una Costituzione ispirata al modello americano, che trasferiva la sovranità dall’imperatore
al popolo garantendo i diritti individuali e favorendo le autonomie locali.
 La situazione sociale del paese fu però sul punto di sfuggire di mano alle forze di occupazione americane per
la crescita della conflittualità sindacale: lo scap decise dunque di imporre misure limitative dei diritti sindacali
e un provvedimento che proibiva lo sciopero generale.
 Anche al Giappone la guerra fredda impose un ruolo strategico di baluardo filoamericano contro Cina e
Unione Sovietica. Washington sviluppò una politica di aiuti economici per portare il Giappone nella sfera
d’influenza occidentale e farne un nuovo mercato per i prodotti e le eccedenze agricole degli USA. Si rendeva
necessaria una politica di sostengo attivo alla domanda interna giapponese che si materializzò in una riforma
agraria e un miglioramento della produttività e del livello di vita. Un grande impulso caratterizzò
l’urbanizzazione che permise ai centri urbani di superare quantitativamente nel numero di gente le campagne.
 A beneficiare dei progressi conseguiti grazie agli aiuti americani, furono i partiti moderati: il Partito liberale e
quello democratico ottennero la maggioranza assoluta nel 1949, inaugurando un’era di stabilità politica.
 Nel 1955 liberali e democratici si fusero nel Partito liberal-democratico, che riuscì a detenere sempre una
solida maggioranza governativa. Ad esso però si oppose un forte movimento degli studenti universitari, legato
al Partito comunista che si era isolato in una posizione minoritaria; i due organizzarono molte manifestazione
contro i trattati del Partito liberal-democratico, che facevano del Giappone il perno del sistema di sicurezza
degli Stati Uniti nel Pacifico. Questa vocazione antiamericana si espresse in altri movimenti, che videro la
nascita di un’altra organizzazione studentesca, non comunista ma con una forte spinta verso una maggiore
indipendenza nazionale, senza però riuscire a modificare gli equilibri politici del paese.
 Dal punto di vista economico, il Giappone ebbe uno sviluppo impetuoso che, molti osservatori hanno
attribuito a quel retroterra culturale sconosciuto in occidente: spirito di sacrifico e obbedienza di ciascun
individuo in vista del bene comune. All’interno delle aziende invalse un principio comunitario che insisteva
su valori etici, come anche nei rapporti tra le stesse aziende, regolate da obblighi morali.
 Altri aspetti furono invece più simili a quelli occidentali: espansione dell’industria, del commercio e dei
servizi rispetto all’agricoltura; quest’ultima era protetta da divieti legislativi all’importazione e non era
competitiva con l’estero.

AMERICANIZZAZIONE E MODERNIZZAZIONE
Nel secondo dopoguerra i paesi dell’Europa occidentale che facevano parte del blocco atlantico furono
caratterizzati dall’intreccio di modernizzazione e americanizzazione. La trasformazione da paesi
prevalentemente rurali e agricoli a paesi prevalentemente urbani e industriali avvenne all’insegna di un
modello economico e culturale che si richiamava apertamente agli Stati Uniti.
Secondo l’interpretazione di Maier, la visione “americana” del secondo dopoguerra si fondava sull’aggancio
dei salari alla produttività: più merci produciamo, più soldi abbiamo, più cose possiamo comprare. Il
conseguente coinvolgimento dei lavoratori nel sostengo della domanda interna generò un circolo virtuoso i
incremento costante del prodotto nazionale lordo e del reddito pro capite. C’è chi però ha ridimensionato la
portata economica e finanziaria degli aiuti statunitensi connessi al piano Marshall, sostenendo che in un

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modo o nell’altro tutti gli stati europei avrebbero condotto a termine la loro opera di ricostruzione e rilancio
produttivo. La ripresa economica era già abbondantemente in atto al momento dell’erogazione degli aiuti,
che assolsero un ruolo del tutto marginale. Dunque sulla base di questa interpretazione, l’americanizzazione
fu un potente punto di riferimento sul piano ideologico e culturale, piuttosto che su quello delle concrete ed
effettive politiche economiche nazionali.

L’ITALIA REPUBBLICANA
In Italia la ripresa postbellica fu caratterizzata da un’integrazione delle masse popolari nelle istituzioni politiche, che
si tradusse in un’ascesa di grandi partiti di massa e nell’elaborazione, da parte dell’Assemblea costituente, di una
nuova Costituzione eletta dal popolo: si realizzavano le aspirazioni dell’ala radicale del Risorgimento.
Ma l’Italia del 1945 era anche profondamente divisa:
1. nel Meridione il conflitto era terminato da più di un anno, i prezzi continuavano a salire, l’autorità della
monarchia non era mai venuta meno e la presenza di partiti antifascisti era più dispersa e frammentata.
2. Nel Nord la lotta partigiana aveva rafforzato il cln (Comitato di Liberazione Nazionale), incutendo la
realizzazione di un governo di sinistra.
Ovviamente anche i partiti, dopo una lunga clandestinità, si erano riaffacciati alla vita pubblica:
 nel 1943 il Partito comunista d’Italia, ribattezzato Partito comunista italiano fu guidato da Togliatti (pci) e il
Partito socialista italiano di unità proletaria (psiup) da Nenni. Negli anni ‘30 la necessità di combattere un
nemico comune, il fascismo, li aveva posti sullo stesso fronte; cera poi anche la Democrazia cristiana (dc)
costituita nel ‘42, che si riproponeva di organizzare politicamente i cattolici e il Partito d’azione (pda) nato
dalla convergenza tra il Partito liberalsocialista e quello di Giustizia e libertà guidato da Parri.
 Lo schieramento di destra era occupato invece dal Partito liberale e dalla Democrazia del lavoro; inoltre nel
1944 fu ricostituito a Roma il sindacato, la Confederazione generale italiana del lavoro (cgil).
I partiti avevano acquisito un peso di massa, riempiendo quel vuoto politico aperto dalla crisi del fascismo e
offrendo rappresentanza a masse disabituate da 20anni di dittatura.
 Il psiup e il pda sostenevano il cln, vedendo nella Resistenza lo strumento adatto per un radicale rinnovamento
dello Stato e, nonostante gli angloamericani temevano un avvicinamento dell’italia nell’orbita sovietica,
questa prospettiva si concretizzò con la Costituzione del governo Parri nel 1945.
 Durante i suoi 6 mesi di governo Parri si occupò delle emergenze più gravi ma senza grandi risultati, per via
delle divisioni tra i partiti e la disorganizzazione della macchina statale. Intanto nel Mezzogiorno crebbe un
movimento “qualunquismo” sulla base del rifiuto della politica, dello Stato e delle tasse; in Sicilia invece
mafia e grande proprietà terriera avevano rinsaldato la loro antica alleanza e minacciavano la scissione
dell’isola dal resto della nazione.
 Dissidi sulla data per le prime elezioni portarono alla caduta di Parri e alla sua sostituzione con De Gaspari,
optando per l’idea rivoluzionaria di un passaggio dei poteri ai cln, mantenendo l’Italia nella sfera d’influenza
anglo-americana.
 Nonostante l'occupazione militare alleata, i contadini meridionali avevano rivendicato una redistribuzione
della terra con una grande ondata di manifestazioni, scioperi e occupazioni di terre; anche nell’Italia
centro-nord le campagne furono percorse da scioperi e moti di protesta per la conquista di condizioni di lavoro
più eque. Tornarono a fiorire così in tutto il paese le leghe, le cooperative e le organizzazioni contadine
distrutte dal fascismo: nel Nord furono istituiti dei Consigli di gestione comprendenti i rappresentanti degli
operai accanto a quelli dei datori di lavoro; si trattò pur sempre di organismi mai riconosciuti sul piano
legislativo e operarono solo in casi sporadici, tanto da rimanere privi di potere in breve tempo.
 Il governatore della Banca d’Italia Einaudi, divenuto poi anche ministro del Bilancio e presidente della

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repubblica, per contrastare l’inflazione cercà di attuare una politica deflativa che mirava a stabilizzare la lira
che ebbe però come conseguenza un forte aumento della disoccupazione, con scioperi e tensioni sociali
ancora frequenti.
 Il 2 giugno 1946 con il referendum istituzionale venne scelta la nuova forma di governo: la Repubblica, anche
se larghe zone del Mezzogiorno espressero maggioranze monarchiche (il nord aveva vissuto l’esperienza
politica della resistenza, il sud vi aveva partecipato in minor misura); venne eletta l’Assemblea costituente,
incaricata di redigere la nuova Costituzione. Il Partito d’azione subì una sconfitta che ne provocò lo
scioglimento e, la dc risultò di gran lunga il partito più forte con il 35% dei voti.

L’ASSEMBLEA COSTITUENTE E LE ELEZIONI DEL ‘48


La Costituzione rappresentò una svolta storica per il popolo italiano e, l’Assemblea fu il luogo d’incontro tra culture
politiche e civili assai diverse: quella cattolica, liberale e marxista, le quali riuscirono a trovare un compromesso:
 Dal punto di vista dei principi fondamentali e del riconoscimento dei diritti umani e del rifiuto della guerra,
essi trovarono un punto di incontro; la Costituzione delineò un percorso di trasformazione dello Stato con la
creazione di alcuni nuovi strumenti per il controllo della legittimità delle leggi (Corte costituzionale) e per il
decentramento amministrativo (le Regioni). Alcune di queste vennero definite sin da subito “a statuto speciale”
per ragioni geografiche o etniche e, molte altre scelte furono il frutto di un’ideologia democratica antifascista:
parlamento bicamerale perfetto, indipendenza ae autonomia della magistratura, legge elettorale proporzionale.
 A mettere in crisi questa unità dei partiti antifascisti fu la guerra fredda: De Gasperi agì con decisione per
assumere il ruolo di cerniera nella nuova collocazione internazionale del paese e nel 1947, con un viaggio
negli USA, definì i dettagli di questo asse privilegiato che prevedeva l’esclusione delle sinistre filosovietiche
dal governo.
 Tornato in Italia si allontanò di partiti di sinistra e strinse alleanze con i partiti amici minori: i repubblicani, i
liberali e i socialdemocratici nati dalla scissione del psiup, la cui maggioranza con Nenni fu rinominata Partito
socialista italiano (psi).
 La situazione politica era coì organizzata: governo “centrista” a guida democristiana e, all’opposizione di
destra i monarchici e i neofascisti, a sinistra il psi e il pci.
 Le elezioni del 1948 furono dominate da una scelta di campo tra USA e URSS: il piano Marshall incarnava
una visione di futuro molto attraente fondata sull’espansione dei consumi privati; d’altra parte il colpo di stato
di Pragarese evidente la drastica involuzione autoritaria imposta da Stalin all’Europa orientale. A tutto ciò si
aggiunse il papà Pio XII che schierò in campo anche il Vaticano, mobilitando i comitati cattolici a sostegno
della dc. A questo punto il pci e psi si unirono in una lista comune (il Fronte democratico popolare) con
l’obiettivo di sostituire De Gaspari alla guida del paese.
 I risultati delle elezioni videro il conseguimento del suo massimo storico per la dc, a differenza del Fronte
popolare che non ottenne un grande risultato; fu così che De Gasperi tornò alla guida del governo, ribadendo
la formula centrista.

GLI ANNI DEL CENTRISMO


 La sconfitta della sinistra non attenuò le contrapposizioni e il paese sembrò di nuovo sull’orlo di una guerra
civile, in cui i dirigenti comunisti e socialisti non riuscirono a ricondurre i manifestanti alla calma. L’unica
conseguenza immediata fu la scissione della cgil, da cui si staccò la corrente cattolica con l’appoggio degli
USA, favorevoli alla creazione di un sindacato anticomunista e più collaborativo con governo e imprenditori:
si fondò la Libera cgil che due anni dopo si trasformò in Confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori
(cisl) e a sua volta, si divise nell’Unione italiana del lavoro (uil), espressione delle correnti socialdemocratica

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e repubblicana.
 Sul pano economico la politica liberista di Einaudi venne proseguita dai governi centristi che apportarono
interventi pubblici a sostengo dell’industria. Si delineò una una politica economica destinata a durare nel
tempo, fondata su finanziamenti pubblici alle imprese private. Nonostante ciò, se la struttura produttiva veniva
rafforzata, d’altra parte essa ebbe scarsi riflessi sull’occupazione.
 La cgil lanciò un “Piano del lavoro”, mobilitando rappresentanze popolari, economisti e intellettuali affinché il
governo e la classe dirigente approvasse una serie di opere pubbliche per garantire la crescita dell’occupazione.
La risposta del governo e della Confindustria fu negativa, ma dietro di essa andavano maturando cambiamenti
considerevoli:
1. riforma agraria che prevedeva la distribuzione di terre e la creazione di una vasta area di piccola proprietà
contadina a cui venne dato un importante sostengo creditizio. Lo scopo era quello di porre fine alle lotte nel
Mezzogiorno e di dare un grande contributo ai proprietari terrieri meridionali;
2. nel 1950 venne istituita la Cassa per il Mezzogiorno a cui fu affidato il compito di finanziare gli interventi
necessari per dotare il Sud di infrastrutture. La gestione di queste risorse, utili allo sviluppo, fu sottratta al
controllo del parlamento e contribuì a creare una base di consenso attorno al ceto di governo che finì per
creare sempre più forme di clientelismo e corruzione.
 Questa riforma agraria aprì una grande crisi fra la dc e i grandi proprietari terrieri, lasciando grande spazio ai
partiti di destra che difatti riscossero un significante successo alle elezioni amministrative del 1951-52. Anche
in Vaticano, la figura di De Gasperi fu contrastata e questo costrinse il presidente del consiglio a predisporre
una riforma elettorale che bloccasse la maggioranza centrista con una solida base parlamentare, assegnando
un consistente premio di seggi allo schieramento che avesse superato il 50% dei voti. La riforma venne
approvata ma le elezioni del ‘53 segnarono la sconfitta del progetto di De Gasperi.
 La seconda legislatura si aprì con un rafforzamento dei partiti di sinistra e, la morte di De Gasperi coincise con
l’ascesa alla guida della dc.
 Nel 1952 la costituzione dell’Ente nazionale idrocarburi (Eni), azienda statale per lo sfruttamento del petrolio e
del gas naturale, esemplificò il processo di crescita di un nuovo capitalismo; ne derivò un’espansione del
settore delle industrie di stato, affiancato da altre imprese siderurgiche che con investimenti crebbero più del
doppio di quelle private. Nel settore privato oltre alla Fiat, l’Olivetti e la Zanussi fecero dell'Italia il terzo
produttore mondiale dei frigoriferi, lavastoviglie e lavatrici. A favorire l’export italiano intervenne il Mercato
Comune Europeo che facilitò il libero commercio nel continente.
 Importante fu la riforma tributaria promossa nel 1951 dal ministro democristiano Vanoni, il quale propose un
piano di sviluppo economico decennale, assegnando un ruolo centrale agli investimenti produttivi statali
nell’industria pesante. La sua mancata conversione in legge confermò la vocazione liberista del capitalismo
italiano.

IL MIRACOLO ECONOMICO
Nella seconda metà degli anni ‘50 la struttura produttiva del paese conobbe una profonda trasformazione: per la
prima volta il settore industriale conquistò la maggioranza relativa della popolazione attiva; nonostante ciò, questo
non fu sufficiente a compensare la perdita di posti di lavoro nell’agricoltura. Il processo di industrializzazione
rimase inoltre concentrato, inizialmente, nel “triangolo industriale” Torino-Milano-Genova e poi pian piano si
estese al Veneto, all’Emilia senza però toccare in profondità il Mezzogiorno e diminuire il tasso di disoccupazione,
che fu il più alto d’Europa.
Con la guerra di Corea si era avviato un ciclo economico di rialzo dei prezzi, che aveva investito l’intero mondo
occidentale a partire dagli USA; anche l’Italia partecipò al generale sviluppo economico e la sua industria si affermò

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nel mercato mondiale con un grande impulso per le esportazioni. Questo grande sviluppo fu peraltro testimoniato
dai flussi migratori interni, specialmente meridionali che si spostarono dalle campagne alle città; questo comportò la
sviluppo di quartieri-dormitori popolati da immigrati meridionali che suscitarono problemi di integrazione sociale
con la popolazione residente.
Nel complesso si verificò una grande mutazione dei valori e dei miti dell’Italia intera, infatti le tradizioni, le
credenze e i costumi del mondo contadini si avviarono verso una sostanziale scomparsa, sostituiti da comportamenti
e abitudini del mondo cittadino, industriale e “americano”. Medium determinante di questa mutazione fu la
televisione attraverso la quale i ceti sociali furono influenzati da un processo di secolarizzazione: si ridimensionò il
peso della religione nei comportamenti quotidiani influenzati dai miti del cinema e dalla pubblicità commerciale. La
donna divenne un bersaglio specifico della pubblicità radiofonica e televisiva, che ne favorì una crescente
autonomia sul piano dei consumi e delle esigenze.
Indipendentemente dalle differenze fra Nord e Sud, il paese visse una grande svolta che in realtà si esaurì
rapidamente: la crescita proseguì, ma molto più lentamente.

GLI ANNI ‘60 E IL CENTROSINISTRA


La debolezza del governo centrista, minacciato da destra e sinistra, visse una fase di blocco che fu superata dal
connubio tra politica interna e politica esterna, ovvero dai rapporti tra USA e URSS.
 La denuncia dei crimini di Stalin da parte di Kruscev e l’invasione sovietica dell’Ungheria determinarono una
rottura nei rapporti tra il psi, che denunciò l’intervento militare dell’URSS, e il pci che ribadì lo stretto legame
con Mosca. Con la presidenza di Kennedy gli USA si dimostrarono intransigenti riguardo ad un ipotetico
spostamento dell'Italia a sinistra. Dopo il 1956 al governo centrista si sostituì di fatti una nuova alleanza
politica tra dc, partiti minori di centro e psi, che fu detta di centrosinistra; questo suscitò la reazione da parte
delle forze conservatrici convinti che attraverso questa coalizione, sarebbe stato più semplice reintrodurre i
comunisti all’interno del governo e dello Stato.
 Nel 1960 il Partito liberale uscì dalla maggioranza per costringere la d a una resa dei conti interna che
bloccasse il centrosinistra: ne seguì un governo democristiano con voti della destra neofascista del Movimento
sociale italiano. Questo suscitò una dura reazione da parte del popolo che insorse con violente manifestazioni.
 Le destre vennero così sconfitte e Fanfani (dc) costituì un nuovo governo di centrosinistra che non ebbe
l’appoggio sperato, a favore delle opposizioni di destra (liberali) e sinistra (comunisti) che furono premiate
dall’elettorato durante le lezioni del ‘63 per il rinnovo del Parlamento.
 Importante fu la nazionalizzazione del settore dell’energia elettrica, perché l’interesse privato non poteva
garantire di fatto uno sviluppo coerente con le esigenze della comunità nazionale. La nazionalizzazione
avvenne attraverso la costituzione di un ente statale, l’enel ma, parte di questi capitali venne utilizzata in
operazioni finanziarie e borsistiche con scarse ricadute in termini di investimenti produttivi.
 La seconda riforma riguardò la scuola: l’obbligo scolastico fu portato a 14 anni e vennero abolite le scuole
medie professionali che avviavano i ragazzi più poveri al lavoro, privandoli di ogni opportunità di ascesa
sociale.
 Con il governo centrosinistra ci furono delle limitazioni che emersero quando l’economia entrò nella fase di
rallentamento, con la riduzione delle risorse necessarie alla politica riformatrice. Gli impegni di grande rilievo
presieduti da Moro come la regolamentazione dell’uso dei suoli ai fini dello sviluppo urbanistico e
dell’edilizia privata, non ebbero mai concreta attuazione; prive di piani regolatori, molte città specie
meridionali crebbero in modo incontrollato, dando ampio spazio e alla speculazione mafiosa e intanto, le forze
conservatrici si rafforzavano.
 Nel 1964 il ciclo positivo del miracolo economico si esaurì e spinse gli imprenditori italiani verso la strada

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dell’assistenza statale anziché della competizione internazionale.

CONTESTAZIONE GIOVANILE, RIFORME E CONFLITTI SOCIALI


Come in gran parte del mondo, anche in Italia le ostilità furono aperte dalle lotte studentesche: a partire dalle
università, gli studenti nella primavera del ‘68 avviarono una contestazione dei metodi autoritari e selettivi
dell’insegnamento, affiancate dalla protesta contro la guerra del Vietnam e da una fase di lotte operaie. Nell’autunno
del 1969 il cosiddetto “autunno caldo” ebbe come protagonisti giovani operai, emigrati dal Sud e dalle campagne,
poco adattabili alla disciplina delle grandi fabbriche; essi non si posero solo obiettivi salariali, ma avanzarono anche
richieste riguardo una possibile riforma del sindacato, attraverso nuove strutture elettive, un monte-ore retribuito da
destinare allo studio e alla formazione.
Tra il ‘68 -‘69 la società italiana fu radicalmente modificata:
1. il sistema delle pensioni fu allargato e incrementato;
2. le leggi a tutela della maternità furono migliorate e venne introdotto il divorzio con una legge di stato;
3. si costituirono le Regioni con proprie giunte e assemblee elettive;
4. con l’approvazione dello Statuto dei lavoratori ci fu maggior democrazia all’interno delle fabbriche
impedendo i licenziamenti arbitrari;
5. furono poste le basi del Servizio sanitario nazionale secondo criteri di universalità e gratuità.
Il cambiamento portò con sé una nuova fase di conflitti sociali che si prolungò per tutti gli anni ‘70; una pesante
atmosfera di scontro tra i movimenti di massa e le forze dell’ordine avvelenò il clima di molte città e inaugurò una
stagione di stragi promossa da organizzazioni neofasciste in collaborazione con i servizi segreti di stato, creando
dunque un clima di tensione per imporre uno spostamento a destra degli equilibri politici.
La recessione economica indotta dalla crisi petrolifera del 1973 rialzò i livelli di disoccupazione, mentre il
terrorismo cercava di sfruttare a proprio vantaggio la crescente debolezza delle forze di centrosinistra. Nella
drammatica fase attraversata dall’Italia le sinistre non potevano governare con una limitata maggioranza del 51%,
ottenuta nelle elezioni amministrative del 1975; secondo il segretario del pci, occorreva un patto di solidarietà e
collaborazione tra le forze democratiche popolari: comunisti, socialisti e cattolici. Questa iniziativa sembrava poter
avere seguito internazionale: i comunisti italiani, spagnoli e francesi elaborarono una visione socialista, distante da
quella sovietica, fondata sul pluralismo e la democrazia detta “eurocomunismo” (in realtà solo il pci si distaccò da
Mosca condannando l’invasione della Cecoslovacchia). Nelle elezioni politiche interne del ‘76, il progetto del
segretario sembrò avere buon seguito: dc e pci fecero il pieno dei voti. I comunisti proseguirono un accordo con la
dc, che però rifiutò nella maggioranza (ad eccezioni di Moro).

L’ITALIA REPUBBLICANA
In Italia la svolta del 1989-91 (crollo dei regimi comunisti e fine guerra fredda) venne avvertita come una
cesura anche sul piano della politica interna e, di quella che è stata definita “Prima repubblica”. È stato
allora che per molti storici l’Italia repubblicana è finalmente divenuta oggetto di studio; questo non significa
che prima di allora non esistessero ricerche sul quel periodo, ma l’attenzione era soprattutto incentrata sulla
continuità tra fascismo, guerra e dopoguerra. L’attenzione storiografica si era poi concentrata sulla natura e
sul ruolo della Democrazia Cristiana, come interprete decisivo del rapporto tra Italia repubblicana e la
precedente storia del paese. Molti studiosi insistevano sulla collocazione della dc all’interno dell’Alleanza
atlantica, indicando nella scelta di campo occidentale l’elemento determinante negli equilibri della politica
nazionale e soprattutto decisiva per le sorti della nuova repubblica.

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L’UNIONE SOVIETICA DA STALIN A KRUSCEV
L’Unione Sovietica devastata dalla guerra aveva due punti di forza per ripartire:
1. l’apparato industriale cresciuto con lo sforzo bellico
2. i territori occupati a occidente dall’Armata Rossa.
I paesi dell’Europa orientale furono sovietizzati con i regimi monopartitici subordinati all’URSS sul piano
economico, polito e militare. Nel 1946 fu varato il quarto piano quinquennale e venne privilegiata l’industria pesante,
produttrice di acciaio, carbone, petrolio ed armamenti. Tutto questo andò a discapito dell’agricoltura, ma anche del
tenore di vita dei cittadini: solo il 12% degli investimenti fu destinato all’industria dei beni di consumo, il rilancio
dell’edilizia popolare ritardò notevolmente e il problema della casa divenne cruciale per le famiglie. Per i contadini
la situazione si aggravò: se da una parte ci fu l’estensione delle terre coltivate e l’avvio di grandi opere pubbliche di
rimboscamento e irrigazione, d’altra parte la pressione fiscale sui contadini accrebbe, i prezzi dei prodotti agricoli
furono fissati a livelli più bassi del dovuto, penalizzando la produzione.
Intanto la produzione industriale era aumentata del 73%, la rete dei trasporti rinnovata e il problema
dell’approvvigionamento energetico risolto. Tutto questo autorizzò Stalin ad attuare un quinto piano quinquennale,
che esasperò i caratteri del quarto fissando l’obiettivo di un ulteriore aumento del 70% della produzione industriale.
Stalin inoltre per giustificarsi, diede inizio ad una propaganda centrata sulla lotta per la sopravvivenza del
socialismo contro il capitalismo e sulla battaglia contro i nemici interni e esterni.

Con la morte di Stalin si aprì un periodo di lotte per il potere nel gruppo dirigente, che coinvolse anche l’apparato
militare del paese. Di questo conflitto tra militari e governo approfittò il leader del Partito Kruscev. Il suo atto più
clamoroso fu il rapporto segreto che denunciò il “culto della personalità”, le violazioni della legalità e i crimini del
periodo staliniano. Questo rapporto che doveva essere segreto e riservato ai soli delegati del congresso, fu
pubblicato sul New York Times e costituì un trauma per i comunisti di tutto il mondo.
L’intento di Kruscev era quello di addossare tutte le colpe a Stalin senza mettere in discussione le strutture del potere
sovietico. Egli cercò di limitare gli scontro con i imitarmi, riducendo gli effettivi delle forze armate ma dando
grande impulso alla ricerca scientifica e tecnologica nel campo degli armamenti nucleari e missilistici: nel 1957
l’URSS lanciò in orbita Sputnik, il primo satellite artificiale della Terra.
Un’accorta politica di bilanciamento tra i centri di potere gli permise inoltre di riunificare nella sua persona i ruoli di
capo del governo e segretario del Partito.
Dal punto di vista riformistico, il sesto piano quinquennale fu sostituito con un piano settennale di prospettiva che
fissava meno rigidamente gli obiettivi di produzione: un nuovo piano di edilizia popolare fu avviato, assieme alla
vendita di macchine agricole che incentivarono la produzione agricola. Rimase tuttavia irrisolto il problema relativo
ai consumi, reso più urgente dalla crescita demografica e dai processi di urbanizzazione.
Kruscev fu dimesso nel 1964 e furono eletti un nuovo segretario del Partito, un nuovo capo di governo e un nuovo
capo di stato, tre figure distinte.

LA RESTAURAZIONE BREZNEVIANA
La nuova dirigenza era espressione di un compromesso tra i poteri forti che si erano ribellati a Kruscev: le cariche di
governo e di partito furono nuovamente separate e si tornò al principio della collegialità delle decisioni, ma
gradualmente emerse la supremazia di Breznev.
 La vita culturale fu costretta alla clandestinità e si sviluppò il fenomeno di dissenso tra i ristretti gruppi di
intellettuali e scienziati che si battevano per il riconoscimento dei diritti civili e delle libertà individuali.
 Alla chiusura politica fece però riscontro un’apertura sul terreno economico:
1. un piccolo benessere fu raggiunto accrescendo gli investimenti nella produzione di beni di consumo e

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consentendo relativa autonomia alle direzioni aziendali;
2. rinnovato impulso venne dato alla costruzione di alloggi;
3. si aprirono spazi maggiori alla collaborazione commerciale con i paesi occidentali e particolarmente con gli
USA, che erano divenuti fornitori di grano per il mercato sovietico;
4. una visita nel 1966 in Italia del ministro degli Esteri portò alla stipula di un contratto con la Fiat che
permetteva la costruzione di uno stabilimento automobilistico in URSS.
Il risultato fu un aumento considerevole della stabilità e della pace sociale, accompagnato da un progressivo calo
della produttività e da un sostanziale blocco dell’innovazione tecnologica.
 Tutore di questo patto sociale fu la nomenclatura, una “nuova classe” priva di controlli ed esposta al
nepotismo e alla corruzione. La crescita del malcostume che minò il prestigio d l’autorità della nomenclatura
procedette di pari passo con lo sviluppo di una “seconda economia”, legata al fenomeno del mercato nero e
illegale, che costituì un terreno adatto allo sviluppo di veri e propri nuclei di criminalità organizzata.
 Il modello di sviluppo sovietico era efficiente sul piano degli armamenti ma non della qualità di vita dei
cittadini; perciò l’esperimento di liberalizzazione avviato in Cecoslovacchia nel ‘68 venne duramente represso
con un intervento militare che pose bruscamente fine al “piccolo benessere”.
 Nell’agricoltura il susseguirsi di cattivi raccolti si accompagnò all’esaurimento delle risorse estensive,
assicurate dalla crescita demografica e dalla colonizzazione di nuove terre. Le città affrontavano ricorrenti
crisi di approvvigionamento anche dei generi di prima necessità, che alimentavano l’inflazione e la piaga del
mercato nero.
 Breznev fece fronte alla crisi con il rilancio di una politica estera di potenza, sfruttando la debolezza degli
USA in seguito alla sconfitta nel Vietnam.

BLOCCO ORIENTALE
Nel blocco sovietico dei paesi dell’Europa orientale il Comecon, creato nel 1949, sovrintendeva alle relazioni
economiche. La politica di trasferimento degli impianti industriali nell’URSS, rivelatasi costosa e poco produttiva,
lasciò il posto a una politica di integrazione commerciale. L’espansione degli scambi con quest’area corrispose a un
rapporto di fittamente coloniale fondato sullo scambio ineguale di manufatti sovietici con le materie prime e i
prodotti agricoli dell’Est europeo. All’interno di questo rapporto di dipendenza, il Comecon incoraggiò il volume
degli scambi tra i paesi membri e Mosca promosse nel 1955 quello che fu definito il Patto di Varsavia, da
interpretare come il sintomo di una crisi latente, manifestatasi già con la morte di Stalin.
Questi sintomi si verificarono anche in due nazione, quali la Cecoslovacchia e la Germania dell’Est, che erano
industrialmente progredite ma che soffrivano la subordinazione agli interessi sovietici. Nella prima, in seguito ad
una svalutazione monetaria scoppiarono disordini tra i lavoratori di una città industriale; nelle stesse settimane la
rivolta contro le condizioni di vita e di lavoro si estese agli operai edili di Berlino Est e di altri centri della Germania
orientale: l’Armata Rossa intervenne, ma il governo fu costretto ad annunciare un piano di aumenti salariali e
riduzione dei carichi di lavoro. Le due nazioni si concentrarono nel campo dell’alta tecnologica, aprendo
progressivamente piccoli spazi alla crescita dei consumi interni, anche se il reddito medio pro capite continuò ad
accumulare dei ritardi in confronto all’Europa occidentale.
Nel 1956 uno sciopero di operai in Polonia si trasformò in una vera e propria rivolta, domata dalla polizia; il
movimento si trasmise alle università e trovò un obiettivo comune nella richiesta di integrare nel partito Gomulka,
rimasto vittima delle purghe staliniane. Egli fu reinsediato alla segreteria del partito e illustrò alla nazione il
compromesso raggiunto, che prevedeva il rafforzamento dell’alleanza con l’URSS ma anche sulla possibilità di un
possibile ritorno alla proprietà privata in agricoltura, sulla libertà religiosa e sulla democratizzazione del partito. Il
compromesso funzionò e gli spazi a disposizione dell’iniziativa privata nel commercio e nell’artigianato si era

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allargati. Le elezioni del ‘57 si trasformarono così in un plebiscito per il Fronte nazionale guidato da Gomulka.
Lo sviluppo economico e il relativo miglioramento del tenore di vita non sopì comunque il fuoco della rivolta.

LA REPUBBLICA POPOLARE CINESE


La Repubblica popolare cinese era retta da un consiglio centrale presieduto da Mao Zedong, il cui regime si
presentava come “un sistema di nuova democrazia” autonomo e diverso dal modello sovietico perché fondato
sull’alleanza tra forze comuniste e non comuniste.
1. Prosecuzione della riforma agraria: nel 1950 una legge presentata dal vicepresidente estese a tutto il paese le
misure adottate nelle zone liberate dall’esercito popolare; ovvero esproprio forzato delle terre non coltivate
direttamente dai proprietari, esclusione dei latifondisti dai diritti civili e politici, libertà per i possessori di
piccoli e medi apprezzamenti che coltivavano la propria terra.
2. L’emancipazione nelle campagne passò attraverso canali istituzionali che, proseguendo la formula
sperimentata durante la guerra, combinava esercito e partito comunista come strumenti di reclutamento. Si
trattava di forme di coazione collettiva, controllo e repressione sociale fondate su un sistematico uso
dell’ideologia e sull’intimidazione del dissenso: era un’alternativa sostanzialmente incruenta rispetto alle
deportazioni e alle carestie coatte esercitate da Stalin contro i contadini sovietici.
3. Un’assemblea nazionale fu eletta a suffragio universale per redigere una Costituzione che, diede forma al
nuovo stato: una repubblica presidenziale con un parlamento monocamerale (rifletteva l’architettura dello
stato sovietico a partito unico).
Nel 1950 la partecipazione alla guerra di Corea e l’invasione cinese del Tibet valsero al nuovo Stato l’ostilità degli
USA e dell’ONU, che anno seguente lo accusarono di aggressione e riconobbero al suo posto la Cina nazionalista di
Taiwan. A sancire il riallineamento del paese al modello sovietico fu soprattutto l’avvio del piano quinquennale nel
‘53 che prevedeva uno sviluppo programmato e fondato sull’industria pesante e sul sacrificio della produzione di
beni di consumo.
Nelle campagne invece, Mao Zedong adottò una politica di modernizzazione graduale: i ceti più poveri furono
impiegati nella realizzazione di opere pubbliche, la secolarizzazione di base ricevette un forte impulso e a tutti i
generi di prima necessità fu imposto un prezzo politico. Tra il 1952-56 la produzione industriale e quella agricola
crebbero come anche l’incremento demografico.
4. Nel 1957 si tentò di liberalizzare la vita culturale con la cosiddetta politica dei “cento fiori” che denunciava
errori e ingiustizie. La situazione sfuggì di mano e si trasformò in una campagna di attacco contro gli
opportunisti di destra, accusati di voler stravolgere le basi della repubblica mettendo in discussione il primato
del Partito comunista.
5. Nel 1958 si parlò del fatidico “balzo in avanti” che fissava l’ambizioso obiettivo di un raddoppio annuale della
produzione sia industriale che agricola: alle cooperative rurali si sostituirono le comuni del popolo, ovvero
aziende agricole dirette d a un organo di governo elettivo e autonomo, che controllava le brigate di produzione
e le squadre dei lavoratori. I risultati furono però disastrosi, perché non si riuscirono a raggiungere neppure
lontanamente gli obiettivi di produzione prefissati: la produzione agricola calò, anche a causa dei cattivi
raccolti, delle siccità e delle inondazioni. Anche l’industria leggera rurale non riuscì a garantire una
sussistenza maggiore a quella di base, necessaria alla sussistenza delle città.
Questa politica economica fallimentare si accompagnò alla fine della collaborazione con l’URSS: Mao nella prima
metà degli anni ‘60, si adoperò per tradurre in positivo questo distacco dall’URSS, cercando di elaborare una via
alternativa al socialismo.
6. Sul piano interno rilanciò il ruolo attivo delle masse e la lotta di classe anche all’interno delle società
socialiste; sul piano internazionale riprese la lotta all’imperialismo delle due superpotenze. Tutto questo per

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rispondere all’offensiva dei suoi oppositori che puntavano a rallentare i tempi della collettivizzazione tornando
a permettere forme individuali di proprietà e tratte commerciali di libero mercato al di fuori di quelle statali.
Da questo scontro politico al vertice scaturì la cosiddetta “rivoluzione culturale”, ad opera degli organismi
studenteschi che avevano attaccato i metodi burocratici e autoritari delle strutture universitarie e adesso, estesero la
loro lotta a tutti i settori della società, per volere di Mao: si trattava di un estremo tentativo di sfuggire all’isolamento
o alla condizione di minoranza nel gruppo dirigente, rilanciando la propria leadership. Nacque così il movimento
delle “guardie rosse” che, armato del libretto rosso si dedicò alla critica e alla persecuzione dei vecchi quadri della
rivoluzione. I sostenitori della svolta moderata vennero emarginati o imprigionati e il paese precipitò nel caos e
nell’incertezza. Crebbe d’altra parte il peso dell’esercito, riorganizzarlo e politicizzato dal ministro della Difesa e ad
esso, si appoggiò nel 1969 il IX Congresso del Partito comunista cinese che proclamò la necessità del ritorno
all’ordine e di una lotta contro gli eccessi della rivoluzione culturale. Due anni dopo il ministro della Difesa Lin
Biao morì improvvisamente: si parlò di un incidente aereo avvenuto mentre tentava di fuggire dopo aver tentato di
uccidere Mao, ma molte erano le contraddizioni. Egli fu di volta in volta accusato di fascismo e di estremismo
rivoluzionario: la sua morte segnò la chiusura della fase destabilizzante aperta dalla rivoluzione culturale. Mao,
rimasto alla guida del partito, non modificò gli indirizzi della politica estera, sempre più protesa a trovare una
collocazione internazionale autonoma da Mosca. Nel 1970 la Cina popolare fu ammessa all’ONU e, la rottura con
l’URSS fu ricalcata da ripetuti incidenti militari sulla frontiera russo-cinese, ma soprattutto dalla visita in Cina del
presidente americano Nixon e dall’apertura quindi di nuovi rapporti con gli USA.

I MASS MEDIA
Mass media è un termine entrato nell’uso comune per indicare i mezzi di comunicazione di massa. Lo
straordinario sviluppo da essi conosciuto nel corso del XX secolo ha sollecitato il mondo della ricerca
scientifica. La comunicazione è stata vista come la chiave di lettura privilegiata dell’intera storia dell’umanità,
destinata a prendere il sopravvento sugli stessi contenuti e a rappresentare il vero motore della storia umana.
L’invenzione della stampa ad esempio, rese possibile la standardizzazione delle lingue nazionali e facilitò
l’opera di centralizzazione degli stati, ma al tempo stesso la natura portatile del libro garantì una fruizione
individuale e libera della cultura. Anche la trasmissione delle informazioni assunse la funzione di leva
decisiva per una rivoluzione del controllo, che restituisse all’uomo padronanza dei processi messi in
movimento dall’industrializzazione.
Allo stesso tempo la storia dei media è stata messa in relazione con i progressi della scienza e della tecnologia.
Per ben tre secoli la tecnica di stampa rimase inalterata perché le mancava lo stimolo determinante di una
domanda in crescita; solo con le rivoluzioni borghesi di fine ‘700 nacque un’opinione pubblica nel senso
moderno del termine, sempre più affamata di notizie e di stampa. In ogni caso, la storia dei mass media
insegna che un nuovo medium non cancella i precedenti, non causa la scomparsi di essi, ma certa ed evidente
sarà una radicale trasformazione.

LA SVOLTA
 La golden age incrementò l’interdipendenza e la globalizzazione del mondo;
 la guerra fredda tra USA e URSS inserì anche i paesi più periferici nella logica bipolare e incrementò gli
scambi internazionali;
 la decolonizzazione introdusse le forme istituzionali dello Stato-nazione in zone dell’Asia e dell’Africa che
non le avevano mai conosciute;
 lo sfruttamento delle risorse divenne lo strumento migliore per raggiungere la modernità.
Sul finire degli anni ‘60 questi processi giunsero a un punto di esaurimento:

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 nel blocco occidentale la centralità degli USA entrò in crisi sul piano del sistema monetario internazionale: la
fine della conversione del dollaro in oro aprì una fase di instabilità in cui tornarono ad affermarsi i
protezionismi nazionali;
 la moltiplicazione degli stati-nazione mise a dura prova il rigido equilibrio bipolare della guerra fredda;
 alcuni intellettuali del cosiddetto Terzo mondo, elaborarono alcune teorie della “dipendenza”, secondo le quali
i paesi poveri non avrebbero potuto avvicinarsi a quelli ricchi seguendo il loro medesimo percorso perché il
sottosviluppo non era nient’altro che un prodotto del capitalismo e, lo si sarebbe superato ponendo fine al
rapporto di subordinazione delle risorse naturali, che legava le aree periferiche al centro dello sviluppo.

La svolta si ebbe nel periodo 1968-73 che mise in moto nuovi grandiosi processi di trasformazione: alla
contestazione giovanile esplosa nel ‘68 il blocco occidentale e quello sovietico reagirono in due modi differenti:
1. il baricentro delle economie si spostò dall’industria al terziario, si svilupparono nuove tecnologie e diversi
paesi periferici abbandonarono i loro regimi autoritari facendo ritorno alla democrazia (America Latina);
2. l’invasione della Cecoslovacchia segnò un’involuzione interna segnata da un autoritarismo delle libertà civili
e dei consumi privati; con la sconfitta statunitense nel Vietnam, ci fu un rinnovato espansionismo militare
sovietico nel Corno d’Africa e in Afghanistan. D’altra parte però, l’URSS e i paesi del blocco entrarono in un
periodo di grande crisi, dovuto al crescente ritardo della produzione agricola e dell’alta tecnologia, che si
concluse solo nel 1989-91 con la disgregazione dell’URSS e dei regimi dell’Est europeo.
Intanto, se l’Occidente intraprese un percorso di deindustrializzazione, in asia le cosiddette “quattro tigri” divennero
paesi esportatori in occidente di prodotti industriale, di abiti e auto (Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e
Singapore).

LA BABY BOOM GENERATION E IL ‘68


Se le guerre provocano una diminuzione delle nascite, la loro fine invece viene salutata da un’esplosione di nascite,
detta per l’appunto baby boom, che copre i vuoti della fase precedente e determina un accrescimento delle fasce
d’età più giovanili. Questo fenomeno fu provato dall’importanza che ebbero le università e le scuole in questo
periodo: principale strumento di mobilità sociale e professionale per pensare ad un futuro migliore rispetto a quello
dei genitori. Con l’avvento di numeri studenti, le università non furono più riservate a una ristretta élite e questo,
provocò agitazioni senza precedenti. I motivi di questa esagitazioni erano i più diversi:
 il riscaldamento mancante nei dormitori;
 l’imposizione di una lingua percepita come straniera;
 il divieto di non portare il velo a lezione per le studentesse di Ankara;
 l’allontanamento di un professore di colore a Città del Capo in Sudafrica.
Molto spesso questi scontri videro l’intervento delle forze di polizia che cercavano di riportare l’ordine, indirizzando
però in senso politico le rivolte.
1. In occidente le rivendicazioni studentesche ebbero un carattere libertario; rifiutavano l’autoritarismo, le
gerarchie e richiedevano un luogo in cui discutere assieme dei propri ideali. Negli USA il movimento si
intrecciò con le lotte contro la segregazione razziale e la guerra del Vietnam; esplosero difatti rivolte urbane
violente e le città divennero teatro di ribellioni della popolazione di colore povera, meno alfabetizzata e
maggiormente colpita dai richiami alle armi per la guerra del Vietnam.
2. In Cina gli studenti vennero mobilitati direttamente da Mao Zedong nella “rivoluzione culturale”; si trattò di
una manovra politica estrema da parte del presidente, in seguito al fallimento del “grande balzo in avanti”. Il
suo impatto sulla vita economica e sociale della Cina fu distruttivo: si realizzò un gigantesco rovesciamento
delle gerarchie di potere che paradossalmente confermò il ruolo di Mao e lo assimilò a quello di Stalin.

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Ricapitolando:
1. in Occidente ci si opponeva alla guerra del Vietnam;
2. in Oriente, nel blocco sovietico, ci si opponeva all’autoritarismo dei regimi comunisti.
Questi movimenti si diffusero su scala globale e andarono incontro a un graduale riflusso, subendo sconfitte e
provocando spesso uno spostamento verso destra dell’elettorato e del sistema politico. A Città del Messico, per tutta
l’estate, scontri tra dimostranti e polizia culminarono a ottobre con il massacro e l’uccisione di 400 studenti: da allora
il movimento rifluì e nelle università tornò a poco a poco la calma. Ovvie furono le trasformazione che ne seguirono
e che modificarono la mentalità e i costumi:
 l’opposizione all’autoritarismo ad esempio, diede una grande spinta alla liberalizzazione dei rapporto di potere
all’interno delle istituzioni e delle famiglie, all’affermazione dei diritti civili e umani.
 Ne derivò anche una tendenza alla democratizzazione della società.

I MOVIMENTO FEMMINISTI E I DIRITTI DELLE DONNE


Un punto di svolta fu segnato in questo periodo anche per le donne, per la loro condizione e collocazione all’interno
della società. la tematica dell’uguaglianza venne infatti rifondata a partire non pi dalla semplice esistenza di due
soggetti diversi (uomo e donna), ma dal riconoscimento e dalla valorizzazione delle differenze di cui ognuno di essi
era portatore. L’obiettivo divenne molto ambizioso: dar vita ad una società radicalmente dei era che tenesse conto
dei tempi di vita e delle sensibilità delle donne. Questa “rivoluzione femminile” giunse all’acme assieme a quelli
giovanili ed entrò poco dopo in una fase declinante. In Italia molti furono i provvedimenti presi: matrimonio civile e
divorzio, uguaglianza tra coniugi, legalizzazione dell’aborto.
A partire degli stessi anni un contributo decisivo fu dato dalle Nazioni Unite: fu votata un’importante dichiarazione
contro la discriminazione delle donne e lanciato un “decennio della donna” denso di iniziative importanti. Gli abusi
e le violenze dentro e furi la famiglia vennero ricondotti all’ineguaglianza dei rapporti di potere fra i sessi e
riconosciuti come violazioni dei diritti umani. Ovviamente ne seguì una mobilitazione molto ampia da parte delle
donne. L’acquisizione di una parità dei diritti era tutt’altro che compiuta: sono ancora molti i campi nei quali
l’ineguaglianza di genere è diminuita solo in parte o gli stessi diritti fondamentali non vengono rispettati.

INSTABILITÀ INTERNAZIONALE, STAGFLAZIONE E INNOVAZIONE TECNOLOGICA


La fine degli anni ‘60 segnò un’inversione di tendenza: il tasso di disoccupazione riprese a salire, i redditi medi fino
ad allora in ascesa si congelarono e i progressi nella lotta alla povertà si arrestarono, mentre rallentava il ritmo di
incrementò della produzione industriale. Contemporaneamente le imprese multinazionali con sede negli USA
estesero i propri affari stabilendo in altri continenti delle filiali e cominciando a scambiare dollari fuori dal territorio
americano (soprattutto appoggiandosi a Londra). Questo portò alla creazione degli “eurodollari”, ma la banca di
stato statunitense ignorava la collocazione dei dollari circolanti, perché il sistema di Bretton Woods (accordi
finanziari tra i principali paesi industrializzati del mondo occidentale) la impegnava ad assicurarne la conversione in
oro. Il risultato fu che le riserve auree degli USA calarono e si dimezzarono; al deficit della bilancia dei pagamenti
si aggiunse anche un deficit commerciale perché gli USA importavano più merci di quante ne esportassero e, in
alcuni settori la prevalenza dei prodotti stranieri era divenuta vistosa.
 Sospensione della convertibilità del dollaro;
 svalutazione e adozione di politiche protezioniste;
 la fine degli accordi di Bretton Woods privò l’occidente di un sistema regolatore degli scambi internazionali,
data dall’incapacità di trovare una soluzione comune. Infatti si optò per un “serpente monetario”: a ogni
moneta europea vennero fissati dei limiti di oscillazione nel cambio con le altre valute. Se le momento
nazionali li avessero superati, le banche centrali sarebbero intervenute con acquisti o vendite delle proprie

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riserve monetarie per ristabilire la situazione. Questo processo confermò la volontà delle nazioni europee di
proseguire un’integrazione in forme autonome rispetto all’alleanza militare con gli USA.
Mentre il declino della potenza americana veniva sempre più accentuato, emersero tendenze a una politica estera
autonoma da parte di paesi europei come la Germania:
 la cosiddetta Ostpolitik del cancelliere tedesco, durante la conferenza di Helsinki, fu sottoscritta da 33 paesi
dell’Est e dell’Ovest e prevedeva l’inviolabilità dei confini, della non ingerenza negli affari interni, della
rinuncia all’uso della forza nelle controversie internazionali.
 Gli USA cercarono di rilanciare la loro iniziativa diplomatica e firmarono un trattato con Mosca, attraverso cui
venivano congelati per 5 anni gli arsenali nucleari delle due superpotenze e, il presidente Nixon si recò in Cina
per dar vita a nuove relazioni diplomatiche nel 1972.
A contraddire questi sviluppi intervenne l’anno seguente la guerra del Kippur (espiazione) che si scatenò in Egitto
per vendicare la sconfitta patita nel ‘67. Il conflitto portò all’insurrezione di molti paesi e, in poche settimane, il
contrattacco israeliano portò a un accordo: vennero ripristinati i confini antecedenti al ‘67, restituendo all’Egitto il
Sinai ma non la striscia di Gaza. Nel ‘78 però fu stipulata la pace di Camp David, intavolata sotto la supervisione
degli USA, con cui uno Stato arabo riconosceva il diritto di Israele a esistere, lasciando però irrisolto il problema di
uno Stato palestinese. L’Egitto fu espulso dalla Lega dei paesi arabi e questi ultimi rimasero isolati e sconfitti.
Una grande conseguenza della guerra del Kippur riguardò l’OPEC: nel 1973, per danneggiare l’economia dei paesi
filoisraeliani, il prezzo del petrolio fu quadruplicato. L’economia mondiale entrò in una lunga fase di recessione e il
petrolio divenne un bene prezioso, soggetto addirittura a razionamento (distribuzione controllata). Lo shock
petrolifero innescò un ciclo inflativo che dagli USA si estese al resto dell’Occidente. Questa impennata dei prezzi
ebbe un effetto depressivo sulla domanda interna e sula produzione industriale: l’inflazione si accompagnò a una
prolungata stagnazione delle economie occidentali (stagflazione).
La stagflazione determinò o accelerò altri due fenomeni destinati a segnare i decenni successivi:
1. il decollo del prezzo del petrolio riversò sui paesi esportatori di greggio un fiume di denaro; l’impiego di
questi capitali divenne importante sia per i paesi che li ricevevano (possessori di petrolio) sia per gli equilibri
globali della finanza internazionale. Se quei paesi avessero utilizzato i capitali sul mercato nazionale interno
degli investimenti e dei consumi, la distribuzione della ricchezza sarebbe stata più egualitaria e facile da
ottenere, come anche se essi avessero risparmiato o immobilizzato in depositi bancari stranieri queste somme
di denaro. Ciò non avvenne: si preferì la strada facile e rapida (ma instabile) della speculazione (acquisto di un
bene di qualche tipo con la speranza che il suo valore aumenti) anziché quella complicata e lenta degli
investimenti produttivi nell’industria e nel commercio. Fu così che l’ineguaglianza dei redditi riprese a
crescere in diversi paesi.
2. Il secondo processo si concretizzò nelle economie più avanzate con una contrazione dei posti di lavoro
industriali e la “delocalizzazione”, cioè lo spostamento degli stabilimenti e dei posti di lavoro in aree del
mondo dove minori erano i salari e le resistenze sindacali, le imposte da pagare e le norme di tutela ambientale
da rispettare.
Dagli anni ‘70 il baricentro produttivo del mondo si spostò verso Oriente: la quota del PIL mondiale dell’Occidente
e del Giappone aumentò fino alla golden age e diminuì dagli anni ‘70 del ‘900, quando quella dell’Asia crebbe
impetuosamente (dal 15,1% al 45,6%). Intanto, nelle economie dei paesi ricchi la deindustrializzazione fu
compensata dallo sviluppo del terziario: gli addetti a questo settore arrivarono a sfiorare i due terzi e, il computer si
collocò all’interno di una sequenza di innovazioni che evocava quella delle rivoluzioni industriali ottocentesche e
che, difatti preparò il terreno alla rivoluzione informatica e poi ancora alla tecnologia laser. Quest’ultima sfruttava la
l’emissione di luce ottenuta attraverso un’attivazione di elettroni, dando vita a macchine capaci di comporre più di
300 mila caratteri l’ora.

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Nel 1975 venne convocato un incontro senza precedenti tra i capi i governo dei sei maggiori paesi occidentali, nei
pressi di Parigi (Rambouillet): nacque il group of six (G6: Stati Uniti, Germania, Francia, Gran Bretagna, Italia e
Giappone). Al vertice del G6 si scontrarono orientamento radicalmente divergenti:
1. i paesi europei, e in particolare la Germania, puntavano a una politica deflativa che riportasse sotto controllo
un’inflazione ormai crescente;
2. contrari a una politica deflattiva erano gli USA, che volevano evitare un eventuale aumento delle imposte o un
taglio della spesa pubblica: essi dunque insistevano su una politica volta a riconquistare i mercati esteri
attraverso una ripresa delle esportazioni, traducibile con una liberalizzazione dei mercati internazionali;
3. d’altro canto il Giappone cercava di contrastare con ogni mezzo un’eccessiva svalutazione del dollaro e di
difendere il proprio mercato interno dalle importazioni straniere.
Questi obiettivi divergenti non risolse nulla di fatto ma inaugurò una prassi, destinata a consolidarsi fino ai giorni
nostri, di incontri al vertice dei capi di stato dei maggiori paesi occidentali.

LA CULTURA DELL’ERA ATOMICA


La cultura occidentale continuò ad essere dominata dall’incubo atomico: l’uomo aveva mostrato le sue capacità
distruttive e disponeva adesso di uno strumento di morte senza precedenti. La guerra aveva segnato il culmine del
connubio tra scienza applicata e necessità militari, con a capo gli USA che investirono due milioni di dollari per
ottenere la boma atomica e diedero inizio ad un’espansione delle spese statali per la ricerca scientifica e l’aumento
del numero di scienziati e ricercatori, che contagiò tutti i paesi sviluppati e crebbe soprattutto dopo il 1970.
Sul piano mondiale il monopolio della ricerca scientifica approfondì ulteriormente il divario tra Nord e Sud del
pianeta. Inoltre, i costi crescenti resero necessario l’intervento attivo dei governi nazionali che sollevarono il
problema della neutralità della scienza rispetto alle scelte compiute in campo politico e militare.
Questa problematica influenzò anche la letteratura che recepiva l’eredità del secondo conflitto mondiale nei termini
non più soltanto di uno smarrimento di senso ma, più concretamente, di minaccia nucleare.
In tutto ciò il processo di secolarizzazione della società fu approfondito dalla diffusione della televisione, dalla
conquista di posizioni pubbliche, dall’emancipazione femminile e dal progressivo ridimensionamento dei ceti
contadini e del mondo rurale a favore dell’espansione dei poli urbani e industriali. Alla visione ottimistica di queste
innovazioni, si contrapposero le preoccupazioni per la diffusione crescente di un mezzo più invasivo della radio e
soprattutto per la tendenza all’omogeneizzazione e all’appiattimento, che cercavano di riprodurre nel modo più
fedele e anonimo possibile gli oggetti tipici del consumismo di massa (Andy Warhol).

STORIA DELLE DONNE E IDENTITÀ DI GENERE


Una fioritura della storia delle donne ebbe in effetti inizio negli anni ‘70: mentre le lotte dei movimenti delle
donne conseguivano importanti risultati, negli USA molti college universitari avviarono programmi di
women’s studies, ricercando informazioni riguardo la loro condizione, la loro cultura e storia. Le studiose
femministe costituirono comitati nell’ambito di diverse discipline, organizzando convegni e dando vita a
riviste proprie discutendo le loro ricerche. Fino ad allora l’attenzione delle storiche femministe si era
concentrata in gran parte sui motivi di esclusone delle donne dalla storiografia tradizionale; superata la fase
della scoperta della discriminazione, la produzione di storia delle donne crebbe e si diversificò: tra i temi che
per primi furono approfonditi vi fu quello del lavoro femminile e della divisione sessuale del lavoro.
Negli Stati Uniti a partire dalla seconda metà degli anni ‘80 ci fu un grande sviluppo del filone di studi
riguardo le politiche sociali, che mise in luce il ruolo propulsore svolto dai movimenti delle donne nella
costruzione del welfare state, privilegiando una dimensione comparativa. Ne emerse un’immagine inedita del
protagonismo femminile sia in ambiti ristretti, sia nel rapporto con le istituzioni, che influenzò i successivi

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studi. Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sui nessi fra locale e globale, cioè sul riconoscimento non
solo delle differenze tra donne, ma dell’importanza dell’intersezionalità di genere, razza, etnia, classe,
orientamento sessuale e identità nazionale. Questa prospettiva transnazionale ha inoltre posto le basi per
avviare un ripensamento sul significato di una storia senza confini nazionali.

DAGLI ANNI ‘70 AGLI NNI ‘90: UN’ETÀ DI TRANSIZIONE


Gli anni ‘70 si chiudevano in un nuovo clima di guerra e precarietà; la crisi petrolifera aveva messo in luce i limiti e
le debolezze dello sviluppo economico occidentale. Le due superpotenze avevano scelto strade opposte per la
gestione del proprio ruolo imperiale:
1. gli USA erano messi in difficoltà dalla sconfitta in Vietnam e, assieme alla gran Bretagna, misero in atto una
drastica svolta delle politiche economiche in senso neoliberista, lottando contro l’inflazione attraverso il
contenimento della spesa pubblica e la contrazione di prezzi e salari;
2. l’URSS, dopo l’invasione della Cecoslovacchia, sembrava incerta tra la distensione o la tentazione di
approfittare della debolezza momentanea dell’avversario: con l'invasione dell’Afghanistan, fu scelta la
seconda nel ‘79, anche se non ebbe esito positivo e mandò in fumo il decennio di buoni rapporto con gli USA.
In tutto ciò, nuovi soggetti politici salivano alla ribalta della scena internazionale, come il nuovo presidente degli
USA Jimmy Carter, il quale diede impulso all’idea di una riforma dei rapporti internazionali fondata sui principi di
libertà e rispetto dei diritti umani; sottopose i servizi segreti americani a un’opera di pulizia e revisione; l’appoggio a
molti regimi militari sudamericani venne ridimensionato. In Europa la fuoriuscita dei regimi dittatoriale di Grecia,
Spagna e Portogallo avvenne a metà degli anni ‘70 senza particolari traumi e quesi paesi rimasero saldamente
nell’orbita occidentale e filoamericana.

IL NEOLIBERISMO
Nel dicembre 1978, il successore di Mao, Xiaoping avviò una politica detta delle “4 modernizzazioni”: agricoltura,
industria, scienza e difesa.
 Furono create zone economiche speciali adibite alla sperimentazione di forme di cooperazione con i mercati
internazionali e gli investimenti esteri;
 la politica del figlio unico fissò quote locali obbligatorie di contenimento delle nascite;
 nell’industria di stato si introdussero criteri di autonomia e responsabilità nel reinvestimento dei profitti.
Era una svolta radicale presa tenendo conto dei fallimenti delle politiche economiche e stataliste dei decenni
precedenti. Pur conservando il regime politico monopartitico, la Cina si aprì a un’economia di mercato, in cui il
profitto individuale tornava a orientare le scelte dei contadini e in meno di un decennio, più di un quarto della
popolazione uscì da una condizione di povertà.

Intanto in Gran Bretagna ascesa al ruolo di Primo ministro una donna: Margaret Thatcher, leader dei osservatori
inglesi che mantenne la carica dal ‘79 al ‘90. Ella riuscì a mutare la base sociale del Partito conservatore, che si
estese notevolmente e, migliorò il suo status attraverso la libera iniziativa imprenditoriale.
 Il primo avversario da battere furono le potenti centrali sindacali: impose una politica di cancellazione dei
vincoli sindacali, amministrativi, contabili e fiscali gravanti sulle aziende, che ritrò dallo Stato e restituì ai
privati;
 furono privatizzate molte industrie di Stato e si approfondirono le disparità retributive tra i lavoratori più
qualificati e il resto della classe operaia;
 fece inoltre appello al sentimento nazionale con la guerra delle Isole Falkland, colonia britannica al largo delle
coste argentine, occupata dalla dittatura militare argentina e sottratta nel 1982: la lady di ferro costituì un corpo

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di spedizione navale che riuscì a ripristinare la sovranità inglese sull’arcipelago.

Sull’altra sponda dell’Atlantico il presidente statunitense Carter:


 nel ‘79 firmò un nuovo accordo per la limitazione degli armamenti;
 dopo l’invasione dell’Afghanistan la Casa Bianca intraprese un’offensiva diplomatica, che culminò nel ‘80 con
il boicottaggio delle olimpiadi tenute a Mosca.
La sua fu una politica ispirata a criteri ideali di democrazia e diritti umani, anziché alla strategia che aveva
provocato fino a quel momento, la sconfitta in Vietnam e la fine della convertibilità del dollaro.
 Il suo miglior risultato furono gli accordi di pace tra Egitto e Israele del ‘79.
Le nuove elezioni portarono però alla vittoria del candidato repubblicano, il quale prometteva di risolvere tutti i
sintomi di crisi degli anni precedenti e di far ritornare grande l’America.
 Una svolta si ebbe nel campo economico con il rialzo senza precedenti dei tassi di interesse, che resero più
costoso e difficile il prestito di denaro: inversione di tendenza duratura, destinata a prolungarsi in forme
diverse fino agli inizi del nuovo millennio.
 Il nuovo presidente impose licenziamenti in massa per i controllori in volo degli aeroporti, responsabili di uno
sciopero non autorizzato e si fece alfiere di una politica somigliante ai programmi neoliberisti e nazionalisti
della lady di ferro. Questa nuova libertà economica avrebbe ampliato i profitti, che a loro volta dovevano
tradursi in investimenti capaci di estendere la base produttiva del paese e creare occupazione. Al tempo stesso
lo Stato avrebbe ridotto il suo bilancio e avrebbe concentrato i propri forzi nel settore della difesa.
Si trattò di programmi perlopiù rimasti scritti: la spesa pubblica sia negli USA che in Gran Bretagna crebbe, mentre
l’inflazione calò vistosamente; la disoccupazione conobbe un lieve calo negli USA, ma in Gran Bretagna crebbe
notevolmente. In ogni caso, una nuova generazione di giovani professionisti urbani, consacrati al lavoro e alla
carriera, si affermò nei campi dell’informatica, delle comunicazioni e delle speculazioni idi borsa.

L’EUROPA DEGLI ANNI ‘80


 In Francia il leader gollista salito al governo nel ‘74 tentò di reagire alla crisi petrolifera dando impulso alla
produzione di energia nucleare e riducendo il ruolo dello Stato nei settori siderurgico e minerario; questa
politica accrebbe però le tensioni sociali e riavvicinò i partiti socialista e comunista, difatti nel 1981 l’unione
delle sinistre portarono al potere un socialista che abolì la pena di morte, conferì un sussidio economico ai
giovani in cerca di lavoro e nazionalizzò le banche e le industrie, senza però riuscire ad avviare una
consistente ripresa economica tale da riassorbire l’aumento della disoccupazione.
 In Germania i governi socialdemocratici riuscirono a proteggere il paese dalle conseguenze più gravi della
crisi petrolifera, ma la crescente scarsità di risorse mise a dura prova il consenso dei ceti medi e imprenditori
alla politica governativa: infatti il piccolo Partito liberale ruppe la coalizione con la socialdemocrazia,
favorendo l’ascesa al governo di un democristiano. La Germania applicò una politica di rigore monetario
tagliando onderei e prestazioni sociali per risanare il bilancio: la produzione di macchine industriali ebbe
vigoroso rilancio, sfruttando la diminuita conflittualità sindacale. In politica estera optò per un coerente
impegno europeista, tanto che la seconda metà degli anni ‘70
1. ci una forte ripresa della Comunità europea, alla quale aderirono anche Gran Bretagna, Irlanda, Norvegia e
Danimarca;
2. a partire dal ‘72 fu progettato un sistema monetario europeo capace di controllare le oscillazioni dei cambi tra
le valute europee, in vista di una moneta unica europea, che entrò in vigore nel ‘79. In questo stesso anno
ebbero luogo le prime elezioni a suffragio universale del parlamento europeo e, fecero ingresso nella CEE
anche Spagna, Portogallo e Grecia;

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3. per la prima volta prese posizione sul continente la capacità di risposta atomica nei confronti di un eventuale
attacco sovietico: nuovi missili nucleari furono posizionati dall’URSS, il cui obiettivo esplicito era l’Europa,
che rispose con l’istallazione di circa 500 nuovi missili americani, i cosiddetti euromissili. A questa scelta si
opposero parti consistenti dell’opinione pubblica europea: in molti paesi si svilupparono movimenti contrari
alle nuove armi nucleari.

IL RIARMO
Nel 1981 iniziarono a Ginevra negoziati USA-URSS per decidere riguardo gli euromissili: le trattative vennero però
rallentate dalla lunga fase di transizione che si aprì al vertice del Cremlino con la malattia e la morte di Breznev e
dei due suoi successori. Inoltre il gruppo dirigente sovietico si dimostrò molto debole sul piano internazionale e
all’interno con un declino della crescita economica, infatti le spese militari pesavano molto più sul reddito dei
cittadini. Questo però non era un problema della sola URSS, in quanto il calo della produzione e l’aumento dei
prezzi interessavano quasi tutti i paesi dell’Est europeo.
Nel 1986 la rottura del reattore nucleare di Chernobyl, in ucraina, provocò l’evacuazione di tantissima gente e la
contaminazione di una vastissima area che rivelò l’arretratezza tecnologico dell’URSS difficilmente sopportabile:
un terzo dei macchinari industriali sovietici era importato dalla Germania Ovest. Quando l’ala militare del Cremlino
si trovò di fronte a chiari insuccessi in Afganistan e in Europa, dovette rassegnarsi all’elezione al vertice del Partito
di un riformista: Gorbachev (1985).
In tutto ciò, le spese militari americane quasi raddoppiarono e permisero di installare un sistema integrale di armi
satellitari a tecnologia laser che avrebbe garantito la sicurezza assoluta del territorio degli USA. Allo stesso tempo, il
presidente degli Stati Uniti propose, ai negoziati di Ginevra, l’sdi: la cosiddetta opzione zero cioè l’annullamento dei
sistemi missilistici puntati in Europa da USA e URSS. Questa scelta però creò un atmosfera di diffidenza da parte
dell’Europa: rinunciare a difendere direttamente con gli euromissili il suolo europeo venne interpretato come una
mossa neoisolazionista, dettata da un nuovo “egoismo” americano.

VITTORIE E INCERTEZZE DELL’OCCIDENTE


L’ascesa di Gorbachev al vertice dell’URSS portò a un rilancio delle trattative con USA.
 Condizione irrinunciabile era l’uscita dalla spirale del riarmo e per prima cosa Gorbachev chiese a Reagan di
rinunciare al progetto sdi, confessando implicitamente la sua inferiorità. Consapevole della debolezza
dell’URSS, Reagan raccolse la disponibilità dell’interlocutore e si aprì una fase di fiducia tra i due leader.
 Due anni dopo ci fu la firma di un trattato che prevedeva la distruzione del 3-4% dell’arsenale missilistico
delle due superpotenze che riguardava l’Europa e, da parte dell’URSS, un allentamento del clima repressivo
interno e il ritiro dall’Afganistan, completato nel ‘89.
La nuova distensione scelta con coraggio da Gorbachev, prevedeva il disimpegno dell’URSS dal ruolo imperiale di
superpotenza in cambio di un aiuto, anche economico, alle riforme interne. L’annuncio di un ritiro unilaterale delle
forze armate sovietiche dai paesi del Patto di Varsavia, aprì un ciclo di rivoluzioni pacifiche in tutti i paesi dell’Est
europeo, che culminò nel novembre del 1989 con la distruzione del muro di Berlino e l’avvio del processo di
riunificazione della Germania. Dinanzi a questa scelta, Reagan si limitò a forzare i tempi della crisi dell’avversario,
riconfermando la volontà di esercitare in modo unilaterale un potere di controllo globale oltre i propri confini: tutto
questo venne poi trasmesso ed ereditato da George Bush, eletto nel 1988. Gli USA d'altro canto, vissero una crisi
finanziaria, causata da un mercato che si rivelò incapace di redistribuire efficacemente la ricchezza e di produrre una
crescita armonica della società.

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IL MEDIO ORIENTE
Nel Medio Oriente la guerra del Kippur aveva mostrato perla prima volta la vulnerabilità di Israele: fu per questo
che le elezioni del ‘77 registrarono una sconfitta del Partito laburista e il successo della coalizione di destra guidata
da Begin. La pace di Camp David:
1. garantiva l’integrità delle frontiere di Israele ed Egitto (a quest’ultimo fu restituita la penisola del Sinai);
2. la parte araba di Gerusalemme e le alture al confine con la Siria furono invece annesse a Israele;
3. d’altra parte il nuovo governo di Tel Aviv favorì una politica di insediamenti di coloni israeliani, rafforzando
l’atteggiamento di chiusura nei confronti delle popolazioni arabe della Palestina: infatti il problema dello stato
palestinese non fu risolto.
Contro la pace di Camp David Siria, Libia e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina costituirono un
“fronte della fermezza” contro Israele. Ad accelerare queste tensioni fu il piccolo stato del Libano, diviso tra
musulmani e cristiani maroniti, i cui delicati equilibri interni furono alterati dall’afflusso di profughi palestinesi
nelle zone meridionali del paese. A metà degli anni ‘70 il Libano era sprofondato in una guerra civile che vide
l’intervento della Siria e dell’Israele, ma soprattutto dell’esercito di Tel Aviv che assediò Beirut. L’unica che riuscì
ad essere padrona di questa situazione fu la Siria, le altre potenze si ritirarono.
Negli anni ‘80 nuove proteste di massa delle popolazioni palestinesi ebbero luogo nei territori occupati da Israele,
fino a che nel 1988 l’OLP annunciò la nascita di uno nuovo stato palestinese e riconobbe contemporaneamente lo
stato di Israele. Israele e OLP firmarono a Oslo degli accordi che formalizzarono il riconoscimento reciproco,
ponendo le basi dell’Autorità nazionale palestinese. La nascita dell’ANP segnò la vittoria della componente
palestinese e segnarono il punto più importante mai raggiunto dal processo di pace in Medio Oriente.

L’AMERICA LATINA
Nell’America Latina la sconfitta dei militari argentini nella guerra delle Falkland riaprì le strade della democrazia
all’intero continente. Nel giro di sette anni tornarono al potere governi civili e vennero ripristinate le libertà
fondamentali ad esempio in Argentina e Brasile. A sostenere questa evoluzione furono sia gli USA, poco disposti a
sostenere regimi che creavano problemi e, la mobilitazione delle società civili nazionali che diedero vita ad
associazioni, partiti e movimenti.

IL SUDAFRICA
Una svolta si ebbe nel 1989 con la fine della guerra fredda, quando il primo ministro avviò trattative con i
rappresentanti della popolazione nera e, quando l’anno successivo Nelson Mandela venne scarcerato. Durante le
elezioni del 1994 (le prime paritarie per bianchi e neri) assegnarono la maggioranza al partito di Mandela,
portandolo alla presidenza della repubblica.

IL “MIRACOLO ASIATICO”
Nuovi poli di sviluppo nell’economia mondiale crebbero negli anni ‘80: il primo di essi fu costituito dal Giappone
che tenne testa alle nazioni occidentali. I fattori chiave di questa crescita erano essenzialmente due:
1. la piena occupazione;
2. le esportazioni.
La disoccupazione rimase praticamente è nulla, oscillando attorno al 2% della popolazione attiva. Si cominciò a
parlare di un “modello giapponese” di capitalismo fondato su particolari valori comunitari di attaccamento alla
nazione e alla propria azienda. Né derivarono nuove concezioni di organizzazione del lavoro, diffuse poi largamente
anche in Occidente; tra queste ricordiamo il “toyotismo”, un modello organizzativo che consentì all’industria
giapponese di sviluppare una presenza competitiva nei mercati esteri, pur continuando a proteggere dalla

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importazioni il mercato interno. Nel ventennio 1973-92 la percentuale delle esportazioni sul prodotto nazionale lordo
salì notevolmente e i prodotti giapponesi si affermarono nel mondo come standard di riferimento. Assieme al
Giappone ci furono tante altre città che incrementarono il loro sviluppo economico come Taiwan e la Corea del Sud:
la chiave del loro successo fu la produzione industriale di manufatti destinata all’esportazione su scala globale, cui si
aggiunse il basso costo della forza lavoro altamente qualificata.
Si trattava però di un capitalismo senza democrazia, diverso quindi da quello occidentale:la politica autoritaria
cinese, se pur favorevole alla liberalizzazione del mercato, non cedette mai ad inclinazioni democratiche.

IL CASO ITALIANO
Le difficoltà sociali ed economiche dell’Italia negli anni ‘70 erano abbastanza evidenti:
 per far fronte al crescente deficit del bilancio si ricorse a un’espansione del debito pubblico emettendo Buoni
ordinari del tesoro a rendimenti molto convenienti. La spesa per il pagamento degli interessi sui titoli di stato
passò dal 5% al 14% delle uscite dello Stato;
 il tasso di occupazione salì specialmente tra i giovani e, le università furono percorse da nuove ondate di
agitazioni che mostravano una vicinanza ai gruppi terroristici;
Anche nei settori della dc che facevano capo al presidente del partito, Aldo Moro, si fece strada l’idea della
necessità di un cambiamento. Nel 1978 il nuovo governo guidato da Andreotti nacque con l’astensione dei comunisti:
nelle stesse ore Moro fu rapito e poi ucciso dalle Brigate rosse,mentre il terrorismo aveva raggiunto il culmine e
segnato la nascita del governo di “solidarietà nazionale”, che assunse l’obiettivo di stroncarlo anche con una
legislazione repressiva.
Gli anni cosiddetti di piombo furono superati a partire dal 1980, con l’adozione di decreti che premiavano con
riduzioni di pensa i collaboratori di giustizia, i pentiti che uscivano dalle organizzazioni terroristiche dopo aver
constatato il fallimento dei loro progetti rivoluzionari. Da allora lo stato riguadagnò una propria efficacia (con il
generale Dalla Chiesa)fino ad estirpare il fenomeno alla metà degli anni ‘80.
L’inclusione del pci nella maggioranza di governo fu tuttavia di breve durata: tranne Moro, nessuno nella dc
pensava davvero ad un progetto riformatore. D’altra parte la mancanza di alternanza al governo bloccava il sistema
dei partiti e impediva il ricambio del personale politico, assegnando la gestione del potere a gruppi incontrollabili:
questo favorì o sviluppo di fenomeni di la corruzione a cui si aggiunse un’inchiesta giudiziaria riguardante una
loggia massonica segreta denominata “P2”, volta a spostare a destra la situazione politica attraverso una serie di
intrecci tra affari e politica.
Il pci tornò al consueto ruolo di oppositore e la dc continuò a governare, anche se indebolita dagli scandali rispetto
al Partito socialista, suo alleato più importante e meno malleabile. Approfittando della debolezza della dc, il
segretario del psi Craxi salì al governo con l’obiettivo di modernizzare il paese. Il primo obiettivo negativo di questo
progetto fu il movimento sindacale:
 Craxi optò per un taglio di 3 punti della “scala mobile”, il meccanismo di adeguamento automatico dei salari al
costo della vita, contro cui il pci promosse manifestazioni e un referendum abrogativo che riscosse solo il 45%
dei voti.
Nonostante questo intervento, la spesa pubblica continuò a salire come anche il debito pubblico che raggiunse il
92% del PIL nel 1987. Di fatto il disegno di modernizzazione del psi sembrò essere un’imitazione dei metodi di
governo della dc.
Gli investimenti pubblici nelle aree depresse seguivano strade poco trasparenti che, nel mezzogiorno, videro la
ripresa della mafia che nel 1982 giunse a uccidere il generale Dalla Chiesa, inviato in Sicilia a coordinare l’azione
repressiva dello Stato. : si stima che alla fine degli anni ‘80 più del 10% del PIL italiano fosse frutto di attività legate
a organizzazioni criminali, le quali detenevano ormai un peso così rilevante da permetterle di condizionare il potere

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politico centrale.
Si accentuò intanto il processo di ristrutturazione della base industriale del paese che vide il declino del comparto
siderurgico e la perdita di competitività di altri settori dell’industria pesante. Il lavoro operaio, insieme alla
produttività e all’innovazione, si trasferì nei distretti di piccole e medie imprese specializzate nel settore
dell’industria leggera e dotate di maggiore flessibilità. La diffusione di questi poli fu limitata ad alcune aree della
penisola contraddistinte da alti livelli di integrazione sociale, che diedero vita a quella che è stata definita la “terza
Italia”. Quest’ultima diede un forte impulso alla crescita del PIL e si trattava peraltro di una realtà poco rappresentata
nel mondo della politica e nei partiti di governo.
Per tutti gli anni ‘80 la situazione del paese apparve comunque stabile e la maggioranza degli italiani non ebbe
percezione di un drastico peggioramento; si trattò di un’illusoria stabilità che portò alla premiazione del psi durante
le elezioni. Il mutamento però giunse dall’esterno, dai regimi comunisti e dalla fine della guerra fredda: l’intera
impalcatura del sistema politico e degli equilibri fra i poteri dello Stato entrò così in una fase di crisi e
trasformazione.
 Un nuovo partito a carattere regionale, la Lega Nord conquistò rapidamente consensi con un programma
autonomista rispetto allo Stato centrale.
 Il Partito comunista intraprese una svolta che lo condusse nel 1991 a cambiare nome in Paritto democratico
della sinistra.
 La magistratura ebbe la forza di indagare sui meccanismi occulti che regolavano il finanziamento dei partiti,
rivelando una vasta trama di corruzione.
 Craxi dovette rifugiarsi in Tunisia per sfuggire a una serie di mandati di arresto per reati di concussione e
Andreotti fu sottoposto a procedimento giudiziario con l’accusa di collusione con mafia, dalla quale fu assolto
nel 1999.
 Importante fu il referendum popolare altamente richiesto da gran parte dei politici, per modificare in senso
maggioritario la leggere elettorale proporzionale, riducendo il numero dei partiti e dando spazio a una
democrazia bipolare fondata sull’alternanza: gli italiani risposero con un’alta percentuale: sì.

STORIE D’EUROPA E IDENTITÀ EUROPEA


L’Europa è oggetto di indagini storiche, ma il modo di affrontare l’argomento è più volte mutato nel corso del
tempo. Le due guerre mondiali revocarono in dubbio la possibilità di rendere compatibili le storie delle
nazioni europee con una visione relativamente unitaria di quella del continente: videro la luce alcune opere
che sottolineavano al tempo stesso l’unità e i valori di civiltà della storia europea.
Definire storicamente l’Europa è tuttavia molto difficile: la civiltà che raggiunse la prima giovinezza tra XI e
il XII secolo era “multicolore”. Tra la fine del XV secolo e la guerra dei trent’anni gli stati europei formarono
un sistema, ma ebbero sempre rapporti conflittuali e un elemento costitutivo di tale sistema fu la guerra.
Anche il cristianesimo, generalmente posto alle origini dell'identità europea, appariva un fattore di divisione:
tra cattolici e ortodossi prima, tra cattolici e protestanti in seguito; la religione tra il XVI e il XVII secolo
aveva causato i conflitti più sanguinosi. Anche lo sviluppo del capitalismo e l’affermazione della borghesia
non interessarono allo stesso modo le aree del continente: disegnarono una divisione tra l’Europa
nordoccidentale e quella sudorientale.
Tutte queste differenze però non smentiscono il processo di integrazione europea avviatosi negli anni ‘50:
dopo le due guerre mondiali e i totalitarismi, un tratto caratterizzante delle politiche di integrazione
comunitaria fu costituito dal fondamento antifascista dei valori della democrazia rappresentativa.
Nonostante la crescita di un filone di studi dedicato all’unità europea, la storia del continente stentava ad
affermarsi nello storiografia; ad oggi l’Europa incarna un modello di Stato sociale aperto al mercato e ai

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nuovi consumi. Questo fa dell’Europa un progetto ancora incompiuto: troppo tecnocratico (con elevata
istruzione tecnico-scientifica)per fondare nuove identità transnazionali, troppo debole dal punto di vista
istituzionale per trovare una piena legittimazione democratica.

LA FINE DEL COMUNISMO


Quando nel 1985 morì il segretario del pcus, nessuno immaginava che nel giro di poco tempo l’URSS si sarebbe
dissolta trascinando con sé anche i regimi comunisti dell’Europa centro-orientale. Mosca nascondeva sostanziali
difficoltà: produttività agricola e industriale in costante calo e importazione tecnologica dall’Occidente in aumento.
Dopo la morte di Breznev (1982) la distanza tra la società civile e il Partito unico si accentuò assieme alle
disuguaglianze sociali ed economiche. I successori di Breznev morirono rapidamente a causa di malattie e intanto,
la crisi dell’ala conservatrice e militarista era ormai evidente: da questa crisi interna al Cremlino fu nominato
Gorbachev segretario del pcus (partito comunista dell’URSS).
Che il comunismo fosse in crisi era evidente anche in Cecoslovacchia dove le speranze suscitate dalle risoluzioni di
Helsinki e la percezione delle difficoltà al vertice dello stato sovietico, portarono nel 1977 alla nascita di un
movimento denominato: Charta 77 che difendeva i cittadini i quali avevano il coraggio di esprimere le proprie idee.
molti furono gli arresti, le persecuzioni e le proteste operaie contro le condizioni di vita sempre peggiori.
La crisi economica e la coscienza civile incarnavano una contraddizione condivisa da tutti i paesi del blocco
sovietico, che difficilmente poteva esser contenuta con la sola forza della repressione.

GORBACHEV, LA RIFORMA IMPOSSIBILE E LA FINE DELL’URSS


Gorbachev e la parte della dirigenza sovietica che era con lui condividevano invece l’idea che tornando alle origini
della rivoluzione fosse possibile dare avvio a profonde riforme per far uscire l’URSS da una crisi tale da non
reggere la crisi con l’Occidente. La riforma dell’agricoltura, studiata in prima persona da Gorbachev, faceva appello
a gran parte della società sovietica, interessata a rialzare i livelli di produttività ma anche di qualità e consumi.
Dinanzi a questa e molte altre riforme, la nomenclatura si opponeva con resistenza a qualsiasi trasformazione che
potesse diminuirne ruolo, la ricchezza o i privilegi. Due parole-chiave della politica riformatrice di Gorbachev:
1. Ristrutturazione: si intendeva rivitalizzare l’economia concedendo responsabilità e autonomia maggiori ai
singoli dirigenti e ai diversi settori, lasciando più libertà ai produttore e favorendo la nascita di un mercato.
2. Trasparenza: si voleva interrompere la sfiducia esistente tra potere e società, riducendo il peso dell’ideologia
comunista, democratizzando l’informazione e concedendo margini alla libertà di espressione (anche i
giornalisti, gli scrittori e gli scienziati contribuirono all’abolizione della censura). Non si trattò di un processo
lineare: ben presto riemerse un nazionalismo antirusso, perché più aumentavano gli pazi di libertà, più le
resistenze da parte dei settori che avevano beneficiato della stagnazione brezneviana si fecero consistenti. Lo
stesso Gorbachev non riusciva a ottenere grande appoggio da parte dei suoi cittadini che faticavano a
distinguere l’ala riformista e l’ala riformatrice.
Indipendentemente dalle riforme, il problema sostanziale che differenziava poi l’URSS dalla Cina, in questa politica
economica, consisteva nell’esistenza di una corruzione che ebbe luogo dato il cinismo, il distacco che si respiravano
ai vertici e alla base della società civile. In tutto ciò, le spese militari nel ‘90 non riuscirono ad essere ridotte e
l’economia appariva strutturalmente impreparata ad affrontare la sfida di terziarizzazione post-industriale che si
avviava in Occidente.
Dopo che le riforme non si mostrarono capaci di offrire una maggiore quantità di beni a prezzi accessibili,
Gorbachev decise i attuare una profonda riforma nel Partito e nello Stato:
 nel 1989 si tennero le prime elezioni a candidatura multipla del Congresso dei deputati del popolo e, per la
prima volta, nelle istituzioni entrarono rappresentanti indipendenti della società civile. Con ampia

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maggioranza nel ‘90 il Congresso dei deputati elesse Gorbachev presidente dell’URSS.
Il problema riguardo però la penetrazione di un nazionalismo secessionista: i conflitti nazionali furono un pericolosi
e inattesi. Mentre Breznev aveva sempre cercato di integrare le élite locali cooptandole nei vertici del Partito, gli
spazi di libertà e informazione introdotti da Gorbachev favorirono l’esplodere di tensioni a lungo accumulate.
Al momento del crollo del muro di Berlino, l’attenzione di Mosca era ormai totalmente concentrata sugli
avvenimenti interni:
 Gorbachev sostenne il programma dei Cinquecento Giorni senza nominare mai la parola “socialismo” e apriva
alla liberalizzazione dei prezzi;
 successivamente spaventato dalle inevitabili ripercussioni sociali dovute all’inflazione e al malcontento, ritirò
il piano suscitando questa volta l’opposizione di alcuni suoi collaboratori.
 El’cin, uscito da tempo dal pcus, fu eletto presidente della repubblica russa con una votazione a suffragio
universale battendo il candidato di Gorbachev.
 Gorbachev tentò di reagire con un nuovo trattato dell’Unione, che ridimensionava sensibilmente i poteri del
centro, che però fu visto dai conservatori come una liquidazione dell’URSS e del Partito comunista.
 Nel 1991 un Comitato per lo stato di emergenza, composto da 8 potenti uomini nominati dallo stesso
Gorbachev, tentò un colpo di stato che però fallì.
 A dicembre ei presidenti di Russia, ucraina e Bielorussia decretarono la fine dell’URSS, dando vita ad una
comunità di stati indipendenti, nella quale confluirono altre 8 repubbliche.
L’ideologia nazionalista si dimostrò più forte di quella comunista, ormai identificata con un potere autoritario,
corrotto e inefficiente.

IL CROLLO DEI REGIMI COMUNISTI DELL’EUROPA ORIENTALE


Con l’indebolimento di Mosca, anche i paesi dell’Est europeo appartenenti al blocco di indebolirono:
1. in Polonia lo stato di guerra era stato abolito alla fine del 1982; con un referendum aprì la strada alla
democratizzazione della vita pubblica e a una riforma economica fondata sul mercato. Dopo un viaggio di
Gorbachev a Varsavia, un accordo con il ministro dell’Interno diede vita a riforme economiche, parlamentari e
riguardanti il potere del capo di Stato. Per la prima volta nell’89 si tennero libere elezioni: il Partito comunista
si sciolse trasformandosi in un partito socialdemocratico con l’obiettivo di affrettare la liberalizzazione
dell’economia, risolvendo la crisi economica.
2. In Ungheria fu resa più libera l’informazione, vennero abolite le restrizioni sui viaggi e fu permessa la nascita
di associazioni politiche indipendenti: nacque il Forum democratico, che raccoglie a tute le voci critiche. Nel
1989 il governo optò per un accordo economico con la CEE, permettendo di dare vita a un sistema
multipartitico. Le elezioni parziali dettero la vittoria al Forum democratico, fu attuata una revisione
costituzionale e un referendum indisse nuove elezioni che nel ‘90 confermarono la vittoria del Forum.
3. In Cecoslovacchia una visita di Gorbachev ottenne un grande successo popolare e dette impulso a
manifestazioni dei gruppi di opposizione, i quali di rafforzarono con gli avvenimenti polacchi e ungheresi e
sfidarono il regime, con uno sciopero generale nel 1989. Si costituì un governo di unità nazionale a
maggioranza non comunista, che sciolse la polizia politica.
4. La fuoriuscita del comunismo avvenne anche in modo pacifico in Bulgaria, ma in Romania dette luogo a uno
spargimento di sangue che vide l’opposizione al regime. Il nuovo governo però, ottenne nel ‘90 l’investitura
popolare con libere elezioni.
5. Nel novembre 1989 una dichiarazione in diretta televisiva, da parte del governo di Berlino Est, convocò i
berlinesi dell’Est e dell’Ovest alla porta di Brandeburgo: la frontiera fu aperta e il muro di Berlino fu abbattuto
tra il 7 e il 9 novembre. Nella Germania orientale il crollo del regime comunista era nato dalle molteplici

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manifestazioni giovanili, da associazioni indipendenti, libere discussioni che misero in luce l'incapacità del
regime di seguire il leader sovietico e di controllare la situazione. A dicembre fu introdotto il multipartitismo e
le elezioni del ‘90 dettero la vittoria ai Cristiano-democratici, aprendo la strada alla riunificazione della
Germania.
6. In Jugoslavia, Tito era riuscito a tenere assieme 24 gruppi etnici diversi e 6 repubbliche federate, ma il divario
tra nord e sud era inevitabile; la sua morte nell’80 coincise con una crisi economica che favorì le spinte
autonomistiche delle 6 repubbliche. Le tensioni interne si tradussero in contrasti nazionalistici e, nel 1991 i
rappresentanti dei territori abbandonarono la Lega dei comunisti dando vita a partiti nazionalisti. Slovenia e
Croazia si proclamarono indipendenti; la federazione jugoslava fu abbandonata anche dalla
Bosnia-Erzegovina e dalla Macedonia; i Balcani sprofondarono in una feroce guerra etnica.

LA FINE DEL COMUNISMO IN ASIA


Dopo la morte di Mao ci furono molti contrasti conclusi con la nomina di Primo ministro per Deng nel ‘78. Egli
puntò a restaurare l’autorità centrale sulla base dei “4 principi” del passato:
1. Dittatura del proletariato
2. Via socialista
3. Ruolo guida del Partito
4. Marxismo-leninismo-maoismo
Ma al tempo stesso riprese il programma moderato delle “4 modernizzazioni”:
1. Industriale
2. Agricola
3. Scientifica
4. Militare
Tutto questo, nel giro di un decennio, trasformò la Cina e mentre la popolazione superava il miliardo, il PIL
raddoppiò. Quasi dappertutto le campagne uscirono dall’economia dell’autoconsumo, redditi e produttività
aumentarono e cominciarono ad apparire differenze di ceto sociale. Con l’apertura ai capitali stranieri, l’autonomia
gestionale e gli incentivi garantiti alle imprese private, emersero soprattuto nelle città inedite contraddizioni. Questa
politica difatti impresse una forte spinta alla differenziazione sociale, mettendo in crisi i valori di riferimento legati
all’ideologia e al Partito (i 4 principi divennero un involucro debole per le 4 modernizzazioni).
Per alcuni anni Deng riuscì a manovrare una serie di compromessi tra le fazioni conservatrici del partito e dello stato,
le pressioni autonomistiche delle istituzioni locali e l’effervescenza culturale degli intellettuali e delle università; ma
fu proprio da queste ultime, che un gran numero di studenti uscì per protestare in piazza contro l’assenza di libertà,
chiedendo una pacifica democratizzazione della Cina e una politica fondata sulla tolleranza reciproca e sul rispetto
reciproco. Il regime giudicò pericolosa qualsiasi tipo di concessione e la repressione si abbatté sulle università e
professori e studenti vennero incarcerati.
Il segno distintivo del comunismo in Cina fu dunque il mantenimento di un potere politico totalitario convinto a una
crescente liberalizzazione della sfera economica. Le differenze sociali aumentarono sempre più, raggiungendo
livelli paradossali per un paese comunista e, il riflesso più drammatico di questa ineguaglianza era l’alta percentuale
di popolazione priva di assistenza sanitaria.

Al di fuori dell’Asia, un regime comunista sopravvisse soltanto nell’isola di Cuba che dovette affrontare la perdita
delle fornitura sovietiche con evidenti disagi per la popolazione, compensati però dall’efficienza del sistema
sanitario.

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IL COMUNISMO
Con l’eccezione della Romania, le rivoluzioni che posero fine ai regimi comunisti in Europa orientale e nell’ex
Unione Sovietica hanno colpito il loro carattere non violento ed è come se lo scopo condiviso fosse la voglia di
ricongiungersi con il mondo occidentale (ricongiunzione impedita dai regimi oligarchici e autoritari). Molti
sono gli studiosi che assegnano un ruolo determinante a Gorbachev, che assume un significato cruciale
nell’aver dato inizio a un moto rivoluzionario che coinvolgerò man mano i paesi dell’Europa orientale: il suo
ruolo è stato quello di rendere manifesta una crisi irreversibile.

IL MONDO POSTBIPOLARE: I NUOVI NAZIONALISMI


Con la fine dei regimi comunisti e dell’equilibrio bipolare, i punti di tensione nel mondo si moltiplicarono anziché
diminuire: né gli USA né i soggetti protagonisti di processi di integrazione sovranazionale apparvero in grado di
governare questo nuovo mondo multipolare.
Sebbene la crisi dell’URSS avesse origini lontane nella mancata liberalizzazione economica e politica del regime, a
farla precipitare fu infatti un impetuoso processo di frammentazione nazionalistica; a partire dal 1992 la Federazione
Russa venne dilaniata da conflitti armati interni ed emersero nuovi soggetti politico-militari che si rifecero a vecchie
identità etniche o religiose. Quasi un quarto della popolazione viveva sotto la soglia di povertà e dopo l’89 le
ineguaglianze sociali si erano allargate notevolmente.
Con le elezioni del 2000 all’ormai malato El’cin subentrò Putin, un ex dirigente dei servizi segreti. Il nuovo
presidente dominò la scena politica con un orientamento nazionalista volto a restaurare la potenza sovietica. Il
modello di crescita interna funzionava molto bene:
 il reddito medio pro capite nel 2014 era salito oltre il 40%;
 le ineguaglianze si erano ridotte assieme alla povertà.

Il contagio nazionalista travalicò rapidamente i confini del blocco continentale:


 nel 1990 il dittatore iracheno volse le sue truppe alla conquista del Kuwait, sceicco tuo indipendente e ricco di
giacimenti petroliferi. Il dittatore con questa conquista tentò di presentarsi come leader arabo dell’intera
regione mediorientale: per il resto del mondo si trattò invece di un’aggressione ingiustificata.
 L’ONU chiese il ritiro delle truppe irachene e il ripristino della sovranità del Kuwait; approvò anche un blocco
commerciale e poi fissò un ultimatum da cui scaturì un’azione armata, detta “guerra del golfo” che fu
autorizzata dalle Nazioni Unite e si fondò essenzialmente sullo sforzo militare degli USA, affiancato da reparti
inglesi, francesi, italiani e sauditi. Questa fu l’occasione per gli USA di dimostrare la propria capacità di
gestione di una crisi internazionale senza il confronto con l’URSS. Dopo quasi due mesi di bombardamenti il
conflitto si chiuse con il ripristino dello status quo pretendente l'invasione.
 Il blocco commerciale ottenne l’unico risultato di un gran numero di morti per malattie e denutrizione nella
popolazione civile irachena e soprattutto tra i bambini.

LE NUOVE GUERRE
La guerra del golfo sancì la fine dell’URSS come superpotenza, ma restituì la dignità internazionale al ruolo
dell’ONU pur sempre però sotto l’egemonia militare degli USA.
Nonostante il successo ottenuto ocn la guerra del golfo, alle elezioni del 1992 Bush venne sconfitto dal democratico
Clinton e, decisive furono le apprensioni legate alla situazione economica e soprattutto al crescere della
disoccupazione che aveva cominciato a risalire. Clinton venne rieletto nel 1996, grazie ad una congiuntura
economica favorevole che riportò la disoccupazione sotto il 5% (contro una media europea più che doppia).
Sempre presente fu il problema inerente alle ineguaglianze sociali ed economiche che si sovrapponevano alla

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differenza razziale che metteva a rischio la convivenza civile: il tasso pro capite di omicidi era più che quadruplo di
quello europeo. Anche per questi motivi la preminenza militare degli USA rischiava di non essere sufficiente a
sostenere il ruolo egemonico, il cui esercizio era reso più difficile dall’instabilità del sistema delle relazioni
internazionali.
 Se in occasione della crisi del Kuwait la presenza del petrolio attirò l’attenzione delle grandi potenze, molto
meno considerata fu quella in Jugoslavia: dopo il 1945 per la prima volta si materializzò nuovamente la pulizia
etnica con deportazioni, massacri e stupri di massa che si conclusero con gli accordi nel ‘95 di Dayton:
vennero divise la Bosnia-Erzegovina e la Repubblica serba di Bosnia.
 Il Kosovo, da sempre teatro di rivendicazioni indipendentiste, vide l’intervento della NATO attraverso una
serie di bombardamenti sulla Serbia e sulla stessa Belgrado: la guerra si concluse con il passaggio del Kosovo
sotto l’amministrazione dell’ONU, che però non impedì future e nuove violenze nel 2004 (contro i serbi
residenti nell’area).
Si trattava di nuove guerre, diverse da quelle del passato per vari motivi: i loro obiettivi consistono
nell’affermazione di identità etniche o religiose in nome delle quali rivendicare il controllo di un territorio, le cui
popolazioni civili vengono prese in ostaggio per ottenere risorse per sopravvivere e, per deportarle con la forza
ristabilendo un nuovo potere. In tutti i casi i conflitti armati sono diminuiti di numero, concentrandosi in Africa,
Asia e nel Medio Oriente, trattandosi di guerre civili di disgregazione territoriale.
 Ancora più drammatici furono i conflitti scoppiati negli anni ‘90 dei paesi centroafricani del Rwanda e del
Burundi: in quest’aereo i colonizzatori tedeschi e belgi avevano prima attivato e poi sfruttato una rivalità tra i
pastori tutsi e i coltivatori hutu, che prima del loro arrivo erano vissuti in pace per secoli. Nel ‘59 una prima
rivolta degli hutu (oltre l’80% della popolazione) in Rwanda, aveva portato alla sanguinosa espulsione dei
tutsi in Uganda e Burundi. La situazione precipitò con l'invasione del Rwanda da parte del Fronte patriottico
che fu fermato da truppe belghe e francesi fino al ‘94 quando Rwanda e Burundi intrapresero un processo di
pacificazione e i loro presidenti persero la vita in un attentato. Le forze armate ruandesi organizzarono il
genocidio dei tutsi ma furono poi sconfitti e, il massacro si concluse. La missione di peace enforcing
dell’ONU avrebbe potuto evitare il genocidio, ma gli USA lo impedirono.
Questo è un esempio di come la contraddizione della politica estera statunitense fosse molto evidente; essi
bloccavano di fatto il processo giuridico e istituzionale di codificazione delle operazioni di pace dell’ONU
contribuendo a diminuirne legittimità ed efficacia.

I FONDAMENTALISMI RELIGIOSI
Gli accordi di Oslo e il timido sostegno da parte della comunità internazionale, contribuì a garantire uno stato di
minorità dell’Autorità nazionale palestinese, insediatasi nei territori occupati da Israele. L’esclusione dall’accesso
alle risorse naturali, la dipendenza dall’economia israeliana e soprattutto la prosecuzione degli insediamenti di
coloni israeliani in Territori palestinesi, indebolì le componenti laiche e moderate guidate da Arafat (principali
responsabili del recesso di pace). Tra i palestinesi crebbe l’influenza del movimento islamista Hamas (movimento
islamico di resistenza) che attuò una serie di attentati terroristici. Il primo ministro Barak rispose positivamente alle
forti sollecitazioni americane per una conclusione della pace e, gli incontri svoltisi a Camp Davide nel 2000
portarono Barak e Arafat a un passo dall’accordo. Il problema riguardava la loro autorità, non sufficiente a imporre
all’opinione pubblica una via di pace. Alla fine dell’anno l’offensiva terroristica di Hamas riprese e il governo di
Israele tornava in mano alla destra con il generale Sharon.
Gli accordi di Oslo sembravano ormai aver perso potere e, a questa drammatica situazione si aggiunse l’emergere
nella regione di due nuovi soggetti religiosi e politici: i coloni israeliani nei territori occupati e il fondamentalismo
islamico. Nel 2006 le elezioni tenute nella striscia di Gaza portarono alla vittoria di Hamas che espulse i

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rappresentanti dell’Autorità nazionale palestinese e con la forza. Tra il 2008 e il 2014 le truppe israeliane
sconfinarono dopo il lancio di missili e si ritirarono dopo aver lasciato vittime tra civili e militari. Nonostante i
molteplici tentativi di riconciliazione, la dirigenza palestinese si divise tra olp e Hamas.
Negli anni ‘90 anche una terra di frontiera tra Oriente e Occidente come la Turchia vide la crescita elettorale di
partiti islamici, che raccolsero il malcontento popolare e, in questi casi, il rilancio di una nazionalismo a sfondo
religioso poté sfruttare una favorevole congiuntura economica capace di aumentare notevolmente il benessere del
ceto medio.
Quello che venne generalmente definito “fondamentalismo” dai media occidentali era quindi una realtà composita
ed eterogenea. In origine si trattava di tendenze locali, legate a situazioni di diffuso scontento nei confronti di regimi
che non garantivano progresso economico o libertà democratiche. In parte era anche un fenomeno globale che
scaturiva dalla voglia di far prevalere le antiche radici di identità profonde, dinanzi alla diffusione di merci, stili di
vita e costumi occidentali. Successivamente però iniziò a diventare un vero e proprio scontro tra civiltà divise a
seconda della loro appartenenza confessionale.
Ulteriori epicentri dell’islamismo politico furono l’Algeria e l’Afghanistan. La prima aveva incontrato gravi
difficoltà a realizzare uno sviluppo economico equilibrato, rimanendo dipendente dalle esportazioni delle proprie
risorse naturali. La caduta del prezzo del petrolio nel 1985 aveva messo a nudo i punti deboli del paese e, il
malcontento alimentato dall’arretratezza del paese sfociò in violenti disordini, obbligando le forze dell’ordine a
sparare sulla folla. Nel 1989 il governo tentò di varare una nuova Costituzione che introdusse il pluralismo politico,
modernizzando il paese; ma ci furono reazioni mal controllabili. La mobilitazione popolare favorì la rinascita di
movimenti a sfondo religioso come il Fronte islamico di salvezza, che vinse le elezioni del ‘92. Per evitare che
arrivassero al potere i fondamentalisti musulmani, i quali volevano abolire la costituzione e il multipartitismo,
vennero invalidati i risultati delle elezioni e, negli 8 anni seguenti, organizzazioni islamiche si diedero allo scontro
aperto con le forze governative. In tutto ciò la comunità internazionale si disinteressò completamente.
Stessé contraddizioni si espressero in Afghanistan , dove le milizie integraliste del mondo islamico (chiamate per la
guerriglia antisovietica degli anni ‘80) continuarono a battersi contro il governo. Si instaurò un inflessibile regime
integralista basato su una rigida applicazione della legge coranica (proibita musica, tu, cinema, obbligo barba e
burqha). Il nuovo regime subì un isolamento della comunità internazionale, anche e soprattutto dopo aver accolto
Osama bin Laden, ritenuto responsabile degli attentati terroristici compiuti nel 1998 ai danni delle ambasciate
statunitensi.

L’UNDICI SETTEMBRE
L’11 settembre 2001 un attacco terroristico dirottò alcuni aerei di linea statunitensi e li fece schiantare contro due
luoghi-simbolo del potere americano: le torri gemelle del World Trade Center a New York e il Pentagono (sede del
Ministero della Difesa) a Washington. Più di 3000 furono le vittime e la Casa Bianca considerò quell’attacco come
una sorta di tradizionale dichiarazione di guerra. I servizi segreti statunitensi e britannici attribuirono la
responsabilità ad Al Qaeda (la base in arabo), organizzazione clandestina diretta da bin Laden che difatti ne
rivendicò la paternità negli anni successivi.
Il nuovo presidente George Bush eletto nel 2000 proclamò la “guerra del terrore” e, diede vita a una delle coalizione
diplomatiche più ampie della storia: l’offensiva militare che gli USA scatenarono contro l’Afghanistan venne però
condotta con la sola partecipazione di truppe britanniche. Dopo due mesi di interrotti bombardamenti, gli Stati Uniti
non riuscirono a catturare bon Laden e a smantellarne la rete terroristica. Il tentativo dell’Occidente di combattere il
terrorismo costruendo dall’esterno istituzioni rappresentative inclusive dovette prendere atto del perdurante
predominio dei clan familiari che erano alla base della società civile afghana (più forte e radicata di qualsiasi altro
partito e meccanismo elettorale). Nel 2003 questa consapevolezza sfuggiva alla presidenza degli USA e Bush decise

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di attaccare l’Iraq, in quanto durante l’assemblea delle Nazioni Unite il segretario di stato sostenne che Hussein era
alleato di bin Laden e deteneva pericolose armi chimiche, capaci di distruzione di massa. Si trattò comunque sia di
una guerra priva dell’appoggio dell’ONU e degli alleati della NATO. In poche settimane gli USA e la Gran Bretagna
conquistarono Bagdad e catturarono Hussein, insediando un governo di minoranza sciita; gli attacchi terroristici
però continuarono.
I media occidentali denunciarono le torture sui prigionieri condotte dall’esercito statunitense nel carcere iracheno e
questo, contribuì nel 2008 all’elezione del primo presidente di colore della storia degli USA: in senatore di Chicago
Barack Obama. Egli iniziò il graduale ritiro delle truppe occidentali dal territorio iracheno. Dietro i terroristi si
cominciò a intravedere il sostegno finanziario e militare delle due potenze della regione mediorientale: l’Iran e
l’Arabia Saudita.
L’11 settembre aprì una fase di prolungati conflitti nel mondo arabo e un ciclo di violenze terroristiche destinato a
prolungarsi oltre la morte di bin Laden, individuato e ucciso in Pakistan del 2011 dalle forze speciali statunitensi.
Dopo il settembre 2001 gruppi variamente legati all’islamismo politico piuttosto che alla sigla Al Qaeda colpirono
molte città (2004 Madrid e Filippine - 2005 Londra...) alle quali bisognerebbe aggiungere anche episodi analoghi
verificatisi nell’epicentro dell’azione del Califfato (Iraq e Siria), nel Libano e in Libia.
1. Il primo fattore era la base militante fornita dai combattenti islamici che nei decenni precedenti si erano
mobilitati in Afghanistan, nei Balcani e Iraq. A questa leva appartenevano lo stesso bin Laden che voleva
ripetere con gli USA quanto sperimentato con successo nei confronti dell’URSS.
2. Il secondo fattore era costituito da organizzazioni locali preesistenti e già da tempo impegnate in conflitti con
motivazioni limitate alla conquista armata del potere e in contesti geografici particolari.
3. Un terzo fattore, reso evidente dai terroristi reclutati in Europa, era il conflitto generazionale apertosi nelle
comunità di immigrati musulmani, dove i figli rimproveravano ai padri il tradimento delle radici religiose ai
fini di un’integrazione nelle società occidentali (che poi li lasciava poveri ed emarginati).

L’EUROPA DELL’EURO
Nel 1992 i paesi membri della Comunità europea, riuniti a Maastricht, sottoscrissero un accordo che prevedeva entro
il 1999 la creazione di una moneta unica: venne così affermata una rigida teoria monetaria che fissava stretti vincoli
ai paesi della Comunità ma lasciava in ombra il problema della disoccupazione. All’inizio del 2002 l’euro venne
adottato da tutti i paesi dell’Europa occidentale con l’eccezione della Gran Bretagna. L’integrazione monetaria era
un passo importante sulla via di un’effettiva Unione Europea, tuttavia, il traguardo di una piena autonomia e unità
nel campo della difesa militare e della politica estera era ancora lontano. Nel processo di unificazione europea
convivevano due impostazione e due dinamiche assai diverse:
1. quella di una formazione intergovernativa (con la conseguenza di alleanze variabili tra nazioni) che tendeva ad
assegnare un ruolo privilegiato alle periodiche riunioni dei capi di stato e governo e a quelle dei ministri dei
paesi;
2. quella di un’architettura istituzionale sovraordinata ai governi nazionali, con un’indipendente capacità di
scelta e di condizionamento che si esprimeva nel parlamento, eletto a suffragio universale dal 1979, e nella
Commissione europea, una sorta di esecutivo con leader politici dei diversi paesi.
Nel 2005 il progetto di Costituzione europea vene bocciato da referendum tenutisi in Francia e Olanda, ma il
cammino dell’integrazione non si interruppe. Il trattato di Lisbona, firmato nel 2007 e approvato di parlamenti
nazionali, assegnò maggior peso al presidente della Commissione europea, eletto dal parlamento.
 Uno dei paesi europei più importanti, fuori dalla moneta era la Gran Bretagna: rivalità interne al partito
conservatore avevano posto fine nel 1991 al governo Thatcher, sostituito da quello di un altro leader
conservatore. Le crescenti difficoltà economiche portarono a una rapida svalutazione della sterlina e, si

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rafforzarono le correnti d’opposizione all’integrazione comunitaria, cresceva la disoccupazione e il terrorismo
indipendentista irlandese tornava a colpire il paese con attacchi sanguinosi. L’insieme di questi fattori
determinò il ritorno del Partito laburista al potere che prese le distanze dai sindacati e si concentrò sul suo
programma di lotta contro la criminalità, con a capo Blair. Quest'ultimo cercò di risolvere la questione
dell’autonomia di Scozia e Irlanda. Al parlamento della prima vennero concessi maggiori poteri e un
referendum si oppose alla secessione dal Regno Unito. In Irlanda del Nord invece si raggiunse un accordo per
la consegna delle armi e l’abbandono della lotta violenta.
 In Francia nel 1986 il centrodestra neogollista tornò al governo e aprì una fase di collaborazione con il
socialista Mitterrand, rieletto presidente della repubblica nel 1988. Il programma del gollismo si svolse
all’insegna di una moderazione con un programma di difesa del franco e riduzione del deficit che però non
impedì la ripresa dei conflitti sociali generati dalla prospettiva di tagli alle spese pensionistiche e sanitarie.
Quando salì al potere il socialista Jospin nel 1997, rilanciò il ruolo di una sinistra “sociale” meno liberista
all’interno dell’Europa comunitaria.
 Negli anni ‘80 la Germania di Kohl fece registrare i migliori risultati economici ma nel complesso, il suo
modello di crescita mantenne significativi elementi di continuità con la fase precedente. La disoccupazione si
attesto attorno al 9% (in media con il resto del continente) ma una ripresa economica orientata alle
esportazioni valse al governo la fiducia dello stato maggiore economico-finanziario. Quando la situazione
nell’Est europeo precipitò, il cancelliere decise di unificare immediatamente la Germania, spiazzando
l’opposizione socialdemocratica. Al crollo del muro di Berlino Kohl pose alla base del proprio programma un
cambio paritario tra le due valute nazionali , agevolando la depressa economia della zona orientale. La florida
economia del paese assorbì senza troppe scosse il “peso” delle regioni orientali. Fino al 2005 il tasso di
disoccupazione rimase attorno al 10% per poi scendere rapidamente durante la crisi finanziaria del 2007-8. A
quell’epoca però il governo era già passato nelle mani di Angela Merkel, primo leader democristiano che
proveniva dalle regioni dell’Est.
 In Italia il collasso dei partiti di governo produsse una crescita anziché una diminuzione del numero dei partiti,
complicando ulteriormente questa fase. Nel 1994, alle prime elezioni tenute con il sistema maggioritario, si
presentò una nuova formazione politica denominata Forza Italia e guidata dall’imprenditore televisivo Silvio
Berlusconi che, nel suo partito, ereditò buona parte dell’elettorato di psi e dc conquistando la maggioranza
relativa dei voti e dette vita a una eterogenea coalizione di governo con la Lega Nord, una parte di ex
democristiani e gli eredi del Movimento sociale italiano (costituitisi in un nuovo partito: Alleanza nazionale).
Il loro accordo si rivelò fragile, infatti il governo Berlusconi ebbe vita difficile e non riuscì a porre mano alla
riforma del sistema pensionistico e alla privatizzazione delle industrie di stato, che facevano parte del suo
programma. Nuove elezione anticipate nel 1996 dettero la maggioranza a uno schieramento di centrosinistra
guidato da Prodi, ex manager dell’iri. Il suo governo riuscì a rispettare i parametri macroeconomici necessari
per entrare nella moneta unica europea, ma la sua alleanza si rivelò ugualmente effimera. Vittima delle
divisioni interne, il governo di centrosinistra venne sconfitto dalle elezioni del 2001 che riportarono al potere
Berlusconi. Il sistema politico italiano si era aperto all’alternanza, ma le coalizioni politiche erano prive di una
solida unità programmatica. Nel primo decennio centrodestra e centrosinistra si alternarono al governo ma non
riuscirono ad approvare le riforme di cui il paese, con un debito pubblico superiore al 100%, avvertiva il
bisogno. La spinta arrivò dall’esterno, dalla Banca centrale europea che nel 2011 inviò una lettera al premier
Berlusconi vincolando l’acquisto dei titoli di stato del debito pubblico italiano al varo urgente di alcune
riforme: liberalizzazione delle professioni, privatizzazione di enti e servizi pubblici, flessibilità per assunzioni
e pensionamenti. Inseguito da inchieste giudiziarie per frode fiscale, Berlusconi si dimise e l’economista
Mario Monti ne prese il posto alla guida di un governo tecnico. Fu innalzata l’età pensionabile proseguito il

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piano di privatizzazioni, per avere un a riforma del mercato del lavoro bisognava tornare a governi politici.
Nel 2014 il nuovo leader del Partito democratico (nuovo nome assunto dal pds), Matteo Renzi, riuscì
nell’intento, ma la coazione che lo sosteneva era ancora fragile. In tutto ciò un nuovo soggetto politico, il M5S
risucì a conquistare quasi un quarto dell’elettorato sulla basi di un programma ecologista, di lotta alla
corruzione e di rimessa in discussione dei vincoli europei.
In molti paesi del continente si affermarono partiti e movimenti che facevano della lotta all’Europa unita e del
ritorno a una piena sovranità degli stati nazionali, uno dei cardini del loro programma, in stretta connessione con il
programma di chiusura nei confronti dei flussi immigratori. Il primo importante successo di queste reazioni
nazionaliste è stato il referendum con il quale nel 2016 la Gran Bretagna è uscita dall’Unione europea.

IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO
Nel mondo di lingua araba e di religione musulmana la decolonizzazione aprì una stagione politica che vide
l’affermarsi di borghesie nazionali laiche, orientate in senso modernizzatore e spesso legate alle forze armate,
come il libico Gheddafi. La loro fede religiosa rimaneva un fatto privato e, il loro atteggiamento nei confronti
dell’Occidente era diffidente a causa del passato coloniale ma non avverso all’apertura di relazioni
commerciali ed economiche. Alla fine degli anni ‘70, molti eventi misero in luce una ripresa dell’influenza di
movimenti a sfondo religioso integralista e panislamico.
L’immagine dell’Islam che spesso viene diffusa in occidente è un’immagine di arretratezza e di intolleranza,
che però molto spesso dimentica la grandezza dell’Islam durante la prima metà dell’età moderna, di gran
lunga superiore a quella dell’Europa cristiana. Uno dei più grandi studiosi della cultura araba Lewis, aiutano
a ritrovare le radici degli odierni fenomeni di integralismo religioso. Il punto di partenza è senz’altro
l’inesistenza di una Chiesa o di un clero: così come in Occidente non sussiste la divisione tra Stato e Chiesa, in
l’Islam è una religione non separabile dalla vita quotidiana. Lo stato islamico è lo strumento di Dio per
aiutare ogni fedele a condurre la vita del buon musulmano secondo l e regole rivelate nel Corano. In linea e di
principio l’Islam non conosce caste né classi: tutti devono sottostare a questo principio. Secondo Lewis è la
mancata separazione tra Stato e religione ad essere all’origine di un deficit democratico del mondo islamico e
di una connaturata debolezza delle istituzioni soggette ai poteri dei clan familiari che si sono formati nel corso
della storia. Molto spesso le élite dirigenti si sono rivelate incapaci di garantire benessere e libertà ai propri
cittadini e, in questo senso, il fondamentalismo ha funzionato da sbocco di un malcontento popolare dovuto al
persistente autoritarismo politico e all’arretratezza socioeconomica di molti paesi. Spesso i leader dei
movimenti fondamentalisti sono autodidatti, estranei al mondo delle università e dei centri di ricerca islamica:
la loro forza non risiede in particolari programmi, ma nella contrapposizione tra fedele e infedele. Peraltro, il
fondamentalismo islamico secondo Kepler sarebbe entrato in una fase di declino, non essendo riuscito a
estendere le sue basi di consenso nel mondo musulmano, al cui interno è rimasto minoritario e spesso
radicalizzato sino a sfociare nel terrorismo.

LA GLOBALIZZAZIONE CONTEMPORANEA E INTERNET


Dopo il 1945, la golden age aprì una nuova fase di globalizzazione, ma a cavallo tra XX e XXI secolo le
esportazione egli investimenti esteri realizzarono un ulteriore balzo. Cambiò inoltre anche la distribuzione
planetaria che vide la Cina competere con la Gran Bretagna nel rango di seconda meta degli investimenti esteri dopo
gli USA. Una quota crescente di questi investimenti veniva mossa al proprio interno da società multinazionali ormai
trasformatesi in società globali.
Nel 2012 quasi due terzi del commercio mondiale erano costituiti da prodotti intermedi, cioè componenti di una
stessa merce finale prodotti in diverse parti del globo: i 140 componenti di cui è fatto l’iPhone sono assemblati in

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Cina, ma provengono da 13 diversi paesi, grazie al controllo della qualità di produzione esercitato a distanza dai
computer. I processi di internazionalizzazione delle grandi aziende si accompagnavano così alla delocalizzazione
dei posti di lavoro industriali dal Nord al Sud del mondo. All’inizio degli anni ‘90 sembrò essere il Giappone a
dover guidare la finanziarizzazione, ma nel decennio fu colpito da una recessione provocata dal crollo dei prezzi e
degli investimenti: disoccupazione, ristagno della produzione attanagliarono l’economia come anche la corruzione
sempre più evidente. Questa crisi si diffuse ad altre economie dell’area asiatica, ma non solo, anche ai mercati
borsistici internazionali provocando il crollo delle monete del Brasile, Corea del Sud, Indonesia e Russia. Il Fondo
monetario internazionale intervenne con prestiti d’emergenza, lasciando però intatte le cause della crisi.
La crisi finanziaria asiatica non fu l’ultima: alla fine del secolo anche Wall Street fu colpito e, in particolare la
cosiddetta new economy statunitense, connessa alle tecnologie dell’informazione e comunicazione. Molte industrie
e società commerciali usavano internet per vendere direttamente i propri prodotti: nel 2008 il settore delle tecnologie
copriva l’8% dell’economia USA e aveva contribuito alla sua crescita negli ultimi anni. Tra il ‘95 e il ‘00 l’indice
borsistico delle maggiori società legate a internet (Nasdaq) si moltiplicò e poi di colpo ricadde ai livelli di partenza:
questo fece intendere le premature scommesse legate allo sviluppo del commercio elettronico.
Indipendentemente da questo caso eccezionale, internet è divenuto il paradigma della globalizzazione
contemporanea, conferendole tratti individualistici che la differenziano dalle sue fasi precedenti e dando luogo alla
cosiddetta “iperglobalizzazione dell’individuo”. Strumento individuale con cui possono comunicare non solo
istituzioni e imprese, ma anche singoli e gruppi di cittadini, internet ha inciso sulle forme più consolidate della
politica, portando un significativo contributo ai processi di democratizzazione in atto nel mondo attuale.

LA CRISI DEL 2008


Nel 2008 una nuova crisi finanziaria tornò a colpire prima gli Stati Uniti e poi l’Europa. Nel giro di un anno i
mercati azionari mondiali persero quasi metà del loro valore, negli USA la disoccupazione risalì e, una delle
maggiori compagnie finanziarie (Lehmann Brothers) fallì.
 Nel 1999 il presidenteClinton non aveva posto il veto all’abrogazione della legge che nel 1933 separava le
banche di deposito da quelle di investimento, facilitando l’impiego speculativo del denaro dei risparmiatori
privati;
 Tra il 2001-2003 Bush aveva tagliato le tasse sui dividendi delle azioni: i grandi manager giunsero a
guadagnare 300 volte il salario medio dei loro operai. Questo avrebbe dovuto garantire investimenti produttivi
e posti di lavoro, ma in realtà così non fu.
La classe media vide, per la prima volta dopo il ‘29, contrarsi i propri redditi ma non rinunciò al suo stile di vita: il
loro indebitamento crebbe smisuratamente come anche il debito pubblico dello Stato. Inoltre nel 2006 le banche e le
società finanziarie si resero conto le il loro valore non copriva più quello del prestito erogato e cominciarono a far
valere i propri crediti sul mercato de derivati. A loro volta, anche i debitori erano ricorsi allo stesso mercato,
contraendo ulteriori debiti. Quando nel settembre del 2006 Lehmann Brothers chiese aiuto al governo, denunciando
un debito di 600 miliardi di dollari, fu costretta a dichiarare bancarotta. Vennero bloccati prestiti e finanziamenti alle
imprese con una crisi finanziaria enorme: Obama agì tempestivamente, approvando un piano di salvataggio delle
banche, vennero così evitati molteplici fallimenti bancari.
La crisi venne tuttavia trasmessa rapidamente all’Europa, la cui gestione risultò più complicata e mise in luce le
divisioni tra i paesi: tra quelli con basso indebitamento pubblico e saldo positivo della bilancia commerciale e quelli
con alto debito pubblico e deficit commerciale.
Intanto però la Cina crebbe come nuova potenza manifatturiera e impegnava i propri capitali per finanziare il deficit
del vecchio paese leader, gli USA. Al tempo stesso, gli investimenti cinesi nei titoli di stato statunitense mettevano
in luce scarse opportunità di impiego dei capitali in patria. La Cina e gli USA intrecciavano così i loro destini in

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modo più stretto.

MOBILITÀ DELLE PERSONE


La popolazione mondiale cambia nel tempo ma anche nello spazio; si globalizza muovendosi dentro e oltre le
frontiere nazionali. Cento anni fa l’Europa era terra di emigrazione verso le Americhe, mentre oggi è la destinazione
di migranti provenienti da ogni continente. L’incremento si è concentrato dopo l’avvio della transazione
demografica che dalla metà del secolo interessò i paesi poveri: essi si sono mossi dall’Asia, dall’Africa e
dall’America Latina dirigendosi non solo in Europa e in Nordamerica ma anche verso l’Asia stessa che, grazie alla
crescita industriale è divenuta la seconda meta di destinazione.
Accanto alla somiglianza quantitativa con le migrazione di un secolo fa, esistevano però grandi differenze:
1. la prima costituita dalla componente illegale di gente che generalmente restavano oltre i limiti dei permessi di
ingresso e, gente che si affidava a organizzazioni criminali per aggirare le legislazioni restrittive
dell’immigrazione adottate dai paesi ricchi;
2. la seconda concerneva i profughi: l’alto commissario delle nazioni unite per i rifugiati (UNHCR) si occupava
dei profughi di guerra;
3. la terza differenza riguardava la composizione di genere dei flussi migratori: gli uomini in età lavorativa
prevalevano sulle donne; dal 1960 la massa degli immigrati e dei rifugiati vide un incremento delle donne (per
alcuni paesi questa novità dipendeva da un processo di emancipazione e di libera scelta della componente
femminile delle famiglie).
Nel 2014 USA e Germania erano i paesi con più immigrati e con i minori tassi di disoccupazione: segno del fatto
che gli immigrati non competevano direttamente con i nativi sul mercato del lavoro, ma né occupavano una fascia
secondaria di occupazioni non radiate perché precarie e non tutelate da contratti e assicurazioni.

INEGUAGLIANZA GLOBALE
Per combattere la povertà intrisa in alcune aree del pianeta, centrate soprattutto in Africa, la Banca mondiale e il
Fondo monetario internazionale adottarono una serie di strategie che subordinarono aiuti e investimenti al
contenimento della spesa pubblica, al controllo dell’inflazione, alla revoca delle protezioni doganali. Tali strategie
intendevano estendere agli altri paesi poveri la formula già sperimentata nel Sud-est asiatico: produzione di
manufatti. abbasso costo per i mercati eteri, liberalizzazione degli scambi commerciali, compressione dei salari e
della domanda interna. Le classi dirigenti dei paesi poveri si trovarono dinanzi a una scelta: accettare i prestiti esteri
e curvare la produzione agricola a favore delle esportazioni oppure rinunciare ai prestiti esteri e sviluppare
l’agricoltura secondo la domanda interna. Tutti ricorsero all’indebitamento estero, contribuendo a gonfiare la bolla
finanziaria mondiale.
D’altra parte la povertà persisteva n modo abbastanza stabile anche all’interno dei paesi sviluppati: affiancata a una
crescita costante seppur contenuta del prodotto nazionale, il perdurare di queste sacche di miseria si configurava
come un fenomeno di esclusione e di emarginazione sociale.

LE SFIDE AMBIENTALI
Nell’800 l’uso di energia su scala mondiale era aumentato di 5 volte rispetto al ‘700; nel ‘900 la produzione di
energia crebbe di ben 16 volte. Tra i maggiori effetti di questa crescita esponenziale del consumo dell’energia vi
furono sia l’approfondirsi del dislivello di ricchezza e sviluppo tra le diverse arti del mono, sia l’inquinamento
dell’atmosfera terrestre. Solo nella seconda metà del ‘900 si cominciò a prendere atto che le riserve di gas, petrolio e
anche carbone accumulatesi in milioni di anni si stavano avvicinando all’esaurimento. Questa consapevolezza
sollecitò la ricerca di risorse alternative e minore dispendio energetico, sviluppando l’industria chimica. Un effetto

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tangibile di tale tendenza fu la larga diffusione di oggetti di plastica, che ebbe però effetti deleteri sull’inquinamento.
Al disastro di Chernobyl del 1986, fece seguito quello di Fukushima in Giappone nel 2011, quando un maremoto
distrusse gli impianti di sicurezza del reattore nucleare, rendendo radioattiva l’intera area per un anno. In molti paesi
furono così sospesi i programmi di costruzione di altre centrali nucleari.
A partire dal 1990, secondo le stime delle Nazioni Unite, le emissioni di gas nocivi non erano più un’esclusiva dei
paesi sviluppati: quelli in via di sviluppo vi contribuirono per un terzo abbondante. Contemporaneamente crebbero i
movimenti ecologisti, che posero con forze questi temi all’attenzione dell’agenda politica.
Venne raggiunto nel 2015 un accordo a Parigi tra i rappresentanti di 196 stati: contenimento a meno di 2 gradi
Celsius del riscaldamento globale rispetto ai livelli preindustriale, nella prospettiva di raggiungere il livello zero di
emissioni nella seconda parte del XXI secolo.

LA TERZA GLOBALIZZAZIONE
A partire dall’ultimo decennio del XX secolo, questa seconda globalizzazione (avvenuta a partire dalla fine d
del secondo conflitto mondiale) ha conosciuto una forte accelerazione, da giustificare la delimitazione di una
terza ed ulteriore fase autonoma.
L’espansione del mercato capitalistico avviene sempre in connessione con l’ascesa economico-militare di uno
Stato-leader che costituisce il centro del sistema, subordinando a sé le altre nazioni della periferia e della
semiperiferia. Una differenza evidente di questa terza globalizzazione riguarda gli scambi internazionali
concentrati sui manufatti e sui servizi, anziché sulle materie prime.
Secondo antropologi e sociologi, il processo di globalizzazione si riferisce essenzialmente alla dimensione
degli scambi culturali tra le civiltà: le identità personali e collettive, insieme agli stili di vita, si trasformano in
senso globale attraverso il contagio orizzontale che tende a omogeneizzare la cultura di massa senza tener
conto delle frontiere nazionali. Altri studiosi hanno invece teso a cogliere nella globalizzazione a costruzione
di una società mondiale, a tutto vantaggio delle compagnie private multinazionali e delle società finanziarie.
Anche dal punto di vista economico il dibattito si è diviso:i pessimisti sottolineano la crescente distanza che
separata tuttora il continente africano dal resto del mondo, anche per effetto della spoliazione delle sue
risorse naturali da parte delle aziende occidentali; gli ottimisti insistono sula riduzione della povertà in Cina
e sulla crescita di molte economie asiatiche.

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