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contemporanea (secondo
volume)
Storia Contemporanea
Università degli Studi di Bari Aldo Moro
93 pag.
LA “GRANDE GUERRA”
Definita tale, non solo per il coinvolgimento di importanti stati extraeuropei (Stati Uniti e Giappone) ma anche per
gli eserciti: così grandi non si erano mai visti ed anche il loro potenziale distruttivo fu accresciuto in misura
esponenziale, grazie alle tecnologie sviluppatisi nei decenni precedenti. Su scala mondiale si notarono gli effetti
della guerra, tra cui la scomparsa dei quattro imperi e non solo:
IL FRONTE INTERNO
I popoli europei accolsero il conflitto con un’ondata di entusiasmo. La tensione accumulata dai contrasti
internazionali aveva predisposto l’opinione pubblica ad avvertire la guerra come un fatto quasi liberatorio. L’idea di
guerra come eroica impresa rigeneratrice era stata coltivata da vasti settori della cultura europea influenzati dai
pensatori come Nietzsche e d’altra parte, la crescita di movimenti antidemocratici declinava l’amor di patria in un
aggressivo nazionalismo intriso di ostilità per l’ “altro”. Tutti i maggiori partiti si schierarono a favore del conflitto;
le uniche eccezioni di rilievo furono i partiti socialisti dell’autocratica Russia e di due paesi ancora neutrali come
l’Italia e gli Stati Uniti. Gli oppositori rimasero dapprima isolati, ma via via che la guerra scopriva il suo volto il
“fronte interno” di consensi si accese di contrasti:
Dal 1916 il malessere dei lavoratori si esplose in imponenti manifestazioni in Germania, Francia e Italia;
nel 1918 una nuova e più forte ondata di agitazioni investì Lione, Parigi e tutta l’Austria, per culminare in
L’ITALIA IN GUERRA
La crisi del sistema giolittiano aperta dalla guerra in Libia e dal suffragio universale maschile aveva diviso la classe
dirigente liberale, mentre forti interessi economico-finanziari premevano per una politica espansionistica.
In un periodo di incertezza, l’esito scontato fu la neutralità proclamata dall’Italia, benché appartenesse alla
Triplice Alleanza. Se i liberali erano divisi, il loro linguaggio rivelava peraltro un’identica concezione della
politica estera: come per Giolitti, si poteva ottenere molto restando neutrali; nonostante fossero poco capaci di
incidere sulle scelte governative, nel 1914 i socialisti espulsero il leader di spicco Mussolini e continuarono a
opporsi al conflitto.
Idealità risorgimentali e volontà di sconfiggere l’autoritarismo e il militarismo degli imperi centrali
muovevano gli “interventisti democratici”. Punta di lancia del movimento per l’intervento fu l’Associazione
nazionalista italiana, fondata nel 1910 da Corradini.
Il 24 maggio 1915 l’entrata in guerra fu decisa dal Primo ministro Salandra e dal ministro degli Esteri Sonnino con
una sorta di “colpo di stato” contro la maggioranza del parlamento e del paese. Gli obiettivi dell’intervento sul piano
interno furono:
1. affermare un blocco di potere conservatore;
2. battere il movimento operaio.
In politica estera, la partecipazione al conflitto da parte dell’Italia rispose a una linea imperialista di prestigio:
1. il trattato segreto stipulato con Londra consisteva nell’impegno, da parte del paese, di entrare in guerra con
l’Intesa, mostrando quanto l’espansione nei Balcani fosse più importante della conquista di Trento e Trieste.
Sebbene nel paese venisse instaurato un duro regime di guerra, nel 1916 venne messa a nudo l’impreparazione
militare dell’Italia facendo cadere Salandra, a favore del Ministero di “Unità nazionale” guidato da Boselli, ma
senza cambiare la gestione dell’esercito affidata al generale Cadorna. Una svolta del conflitto vi fu solo nel 1917,
quando le linee italiane vennero sfondate a Caporetto e questo comportò la perdita del Friuli, costringendo il fronte
ad arretrare sino al Piave. Il trauma di Caporetto fece sì che si formasse un nuovo governo presieduto da Vittorio
Emanuele Orlando, con la sostituzione di Cadorna a favore di Armando Diaz. A questo punto si cercò di risollevare
il morale delle truppe e del paese intensificando la propaganda e promettendo loro il possesso della terra.
Nel 1918 ci furono diverse manifestazioni che addossavano ai neutralisti la colpa della stanchezza e dello scontento
del paese e questo, fu olio uno dei fattori che gettarono in una crisi lo Stato liberale; oltre all’inflazione, all’ascesa
dei costi e alle divisioni fra gruppi sociali, ad aggravare l’instabilità del paese si aggiunse lo sradicamento degli ex
combattenti. Ovviamente in Italia i cambiamenti portati dalla guerra risultarono più sconvolgenti che in altri paesi
europei, perla sua maggiore arretratezza istituzionale, sociale ed economica.
RIVOLUZIONE IN RUSSIA
Un fattore di squilibrio molto rilevante per l’arretrata società russa fu la rapidità di uno sviluppo industriale
circoscritto a poche aree e molto dipendente da capitali esteri. La guerra mise poi a nudo tutte le contraddizioni del
paese, quali il cattivo equipaggiamento dei soldati, l’arretratezza degli armamenti e l’impreparazione dei comandi
militari. In tutto ciò, lo zar Nicola II rimase sordo alle richieste di riforme dei partiti liberali e moderati e non attenuò
in alcun modo il suo dispotismo. Il punto di rottura fu raggiunto le marzo del 1917, quando una serie di agitazioni
spontanee sfociò a Pietrogrado in uno sciopero generale. Nella capitale intanto, si formò un soviet (consiglio) degli
INTERVENTO AMERICANO
A imprimere al conflitto una scolta decisiva fu però l’intervento degli Stati Uniti. Ostile alla politica imperiale
franco-inglese, il presidente Wilson aveva basato la sua campagna elettorale del 1916 sulla conferma della neutralità
LA RIVOLUZIONE RUSSA
L’ottobre bolscevico contraddisse l’idea che solo un avanzato sviluppo capitalistico avrebbe reso possibile la
rivoluzione proletaria. I menscevichi, che non ritenevano matura per il socialismo l’arretrata società russa, si
mossero in vista di una rivoluzione democratico-borghese, escludendo la possibilità di una conquista del
potere.
Il dilemma della rivoluzione d’ottobre è caratterizzata da due contraddizioni che però convergono sul ruolo
cruciale di Lenin e del suo partito, favorito dal vuoto di potere apertosi in Russia. Per entrambi la società
russa mancava di presupposti per una democrazia parlamentare e la vera alternativa era tra:
1. Bolscevismo ;
2. Dittatura militare.
Andrea Graziosi descrive l’impero zarista come una realtà dinamica, percorsa da fermenti innovativi a tutti i
livelli. Dal 1905 vi si innesta una “guerra-rivoluzione” che dalla sconfitta russa contro il Giappone si allarga
prima ai Balcani e poi a tutta l’Europa: il nesso del tutto imprevisto tra la guerra, un leader determinato a
prendere il potere (Lenini) e un’ideologica assoluta (il comunismo) producono una rottura storica che
incanala nella forza centralizzata e autoritaria dello Stato la violenza di massaie del conflitto.
IL DOPOGUERRA IN EUROPA
Alla conferenza di pace di Versailles del 1919 si appuntarono speranze e attese proporzionali alle distruzioni portate
dalla guerra; vi parteciparono Wilson per gli Stati Uniti, Lloyd George per la Gran Bretagna, Clemenceau per la
Francia e Orlando per l’Italia. Furono esclusi i vinti a cui vennero direttamente imposti i trattati senza possibilità di
replica o discussione: frutto di un compromesso tra gli egoismi espansionistici dei vincitori, il risultato fu una pace
punitiva nei loro confronti. Il più importante dei diversi trattati di pace fu quello di Versailles:
impose alla Germania di restituire l’Aslazia e la Lorena alla Francia e di cedere altri territori alla Danimarca e
alla Polonia.
impose una cifra iperbolica alla Germania come “riparazione” dei danni di guerra patiti dalle potenze
vincitrici.
Il principio di autodeterminazione nazionale fu rispettato solo in piccola parte. Tracciare i confini soprattutto
nell’Europa centro-orientale e balcanica secondo tali criteri non era in effetti possibile perché quell’area era
caratterizzata da differenze religiose, economiche e sociali. A tal proposito fu assecondata la volontà dei vincitori di
LA RIVOLUZIONE IN EUROPA
La guerra lasciò l’Europa in preda ad un’acuta conflittualità sociale. Nel biennio 1919-20 il numero degli scioperanti
si impennò rispetto al periodo pre-bellico e la suggestione esercitata dall’esempio russo fece apparire questi anni
come un “biennio rosso”. Si trattò comunque di conflitti che ebbero forti contenuti politici, ma acquisirono portata
rivoluzionaria solo nei paesi la cui stabilità istituzionale era stata minata dalla guerra.
In Germania, prima ancora dell’armistizio, si diffusero “consigli” costituiti da operai e soldati che
configuravano una forma di rappresentanza in alternativa a quella parlamentare. Essi tolsero l’iniziativa alle
forze moderate, consegnandola ai socialdemocratici “maggioritari” e a quelli del partito “indipendente” nato
nel 1917 da una scissione del Partito Socialdemocratico Tedesco (spd). Travoltò dalla sconfitta e dalla
mobilitazione popolare il Kaiser Guglielmo II abdicò e assunse la carica di cancelliere, il leader socialista,
Ebert. La Germania si trasformò in una repubblica, ma nel 1919 l’esempio bolscevico spinse alcuni settori
dell’estrema sinistra a proclamare l’insurrezione a Berlino. La rivolta fu repressa dal governo della spd e i
leader comunisti vennero assassinati da bande parlamentari che seguirono gli ordini del ministro
socialdemocratico. Intanto ci furono le elezioni per l’Assemblea costituente e la spd conquistò la maggioranza
relativa, scegliendo di allearsi con i partiti di centro ovvero quello cattolico e, il Partito Democratico. I consigli
degli operai e dei soldati vennero soppressi e la repubblica consiliare lasciò spazio ad una repubblica
parlamentare. Nonostante ciò, rimasero intatti il sistema economico-sociale, la burocrazia e l’esercito con cui
dovevano operare i socialdemocratici maggioritari: questo rese evidenti le basi fragili su cui poggiava la
nuova democrazia repubblicana.
In Austria ci fu un accordo della socialdemocrazia con i partiti borghesi, affinché i consigli non esercitassero
alcun controllo sul potere politico. In realtà però si venne a creare una grande frattura nel Paese: l’influenza
dei socialdemocratici diminuì velocemente ad eccezione di Vienna, denominata “la rossa”, in quanto del
vecchio impero rimasero all’Austria solo arretrate aree agricole che alle elezioni dettero maggioranza al partito
cristiano-sociale.
In Ungheria invece ci fu una rivoluzione: il governo di coalizione tra liberali e socialdemocratici fu travolto
dal malessere scatenato dalla fame, dalla disoccupazione e dalla perdita di vasti territori sancita dai trattati di
pace. Nel 1919 così, il partito comuni sta e quello socialdemocratico si unirono per dar vita a un governo
guidato da un comunista che proclamò la repubblica sovietica. Questo tentativo fallì a causa delle aggressioni
subite da rumeni e cechi (appoggiati dall’Intesa) e così venne instaurata una dittatura controrivoluzionaria.
La caduta della repubblica sovietica ungherese segnò la fine di ogni prospettiva di rivoluzione in Europa, ma non
delle speranze ripostevi dai bolscevichi, i quali fondarono nel 1919 una nuova organizzazione internazionale: il
Comintern che nel 1920 impose ai suoi aderenti di separarsi dai socialisti riformisti. Tale politica accolse alcuni
successi in Germania facendo del Partito comunista un partito di massa, e in Francia dove la maggioranza dei
socialisti costituì un partito comunista. Altrove, la socialdemocrazia mantenne un’influenza dominante sul
movimento operaio europeo, come in Italia e la scissione fu invece minoritaria. A questo punto il III Congresso dell
Comitern nel 1921 inaugurò la politica del “fronte unico” fra comunisti e socialisti, la cui unione rimase però
precaria.
Con la morte di Harding nel 1923, il partito repubblicano conquistò tutti i mandati presidenziali del decennio
successivo: la prosperità americana si sposava con un’ideologia liberista in politica interna e isolazionista in
politica estera. Il partito rafforzò cos le sue basi di consenso e divenne strumento di rappresentanza politica dei
più forti gruppi di interesse dell’economia e della finanza.
Questo blocco di potere che si fondava su una crescita economica spontanea, senza interventi e controlli da
parte dello Stato, risultò impreparata ad affrontare il crollo della borsa nel 1929. Hoover minimizzò l’accaduto
ma la situazione peggiorò. Nel 1930 il presidente alzò ancora le barriere doganali contro l’importazione di
merci straniere, tentando di proteggere l’industria nazionale e arginare la disoccupazione. I provvedimenti
risultarono inefficienti e anzi, scaturirono la reazione degli altri paesi che decisero ugualmente di elevare i
costi dei dazi doganali, danneggiando le esportazioni americane con ulteriori effetti repressivi.
La situazione peggiorò, i disoccupati raggiunsero la quota record di 13 milioni ma Hoover si rifiutò di
concedere loro sussidio assistenziale. Nel 1932 ci fu una manifestazione dinanzi alla Casa Bianca,
violentemente repressa.
La svolta si ebbe alle elezioni del 1932, quando il democratico Roosevelt si aggiudicò una maggioranza più
ampia di quella ottenuta dai suoi predecessori repubblicani.
LA GRAN BRETAGNA
Nel periodo tra le due guerre la Gran Bretagna fu caratterizzata da un sistema politico democratico fondato
sull’alternanza di due partiti al governo. Nel 1918 una riforma elettorale accrebbe il numero degli elettori,
permettendo alle donne con più di 30anni di votare e anche a strati consistenti di classe operaia.
Il Partito laburista quintuplicò i propri voti;
il Partito comunista fondato nel 1920 rimase sempre una forza irrilevante.
Un limite del sistema politico fu invece la questione irlandese: dopo la concessione nel 1914 dell’autogoverno e la
repressione di una rivolta nel 1916, il partito nazionalista nel 1919 proclamò l’indipendenza dell’isola.
Successivamente però lo Stato libero d’Irlanda fu riconosciuto da Londra con un proprio parlamento e poteri
autonomi.
Intanto l’inflazione postbellica aveva provocato un crollo dei prezzi dei prodotti agricoli, un incremento del numero
di disoccupati e le conseguenze non tardarono anche sul piano politico:
Alle elezioni del 1922-23 i laburisti avanzarono, togliendo ai conservatori la maggioranza assoluta mentre i
liberali mantenevano le loro posizioni. Nel 1924 le rivalità tra liberali e conservatori aprirono la strada al primo
governo laburista della storia inglese. Quest’ultimo, guidato da MacDonald, era privo di maggioranza
parlamentare e cadde dopo pochi mesi.
Le nuove elezioni restituirono maggioranza assoluta dei seggi ai conservatori, dimezzando quelli dei liberali.
Il nuovo premier Baldwin fu affiancato dal ministro Churchill e, insieme, attuarono una politica economica di
rigore per restituire supremazia internazionale alla sterlina: fu così recuperato il livello di cambio con l’oro,
LA FRANCIA
La Francia aveva vinto la guerra ma per pagare la ricostruzione dipendeva dalle riparazioni tedesche e dai prestiti
degli alleati; dunque non ne era uscita in condizioni migliore della Germania.
Nel 1919 il governo di centrodestra vincitore alle elezioni avviò una politica deflativa di riduzione delle spese
e di stabilità monetaria. Nonostante anche l’occupazione della Ruhr, il deficit del bilancio non si ridusse.
Alle elezioni del 1924 fu la sinistra, composta da socialisti e radicali, a conquistare la maggioranza. La politica
del nuovo governo fu abbastanza incerta e alcune richieste in ambito finanziario vennero osteggiate dal Senato
Nel 1925 il governo cadde e alla guida dell’esecutivo fu chiamato Poincaré, il quale formò un governo di unità
nazionale senza i socialisti. Il franco venne svalutato e, sia gli indici della produzione industriale che il reddito
nazionale ripresero a crescere: il bilancio dello Stato tornò in attivo.
Anche in Francia la crisi del ‘29 ebbe l’effetto di una svolta: la svalutazione della sterlina e del dollaro
penalizzò le esportazioni, la produzione n distriate scese e i conti pubblici tornarono in rosso. Dal ‘29 al ‘32 si
succedettero otto governi di centrodestra che cercarono di superare la crisi con misure protezionistiche e
severe limitazioni delle uscite; redditi e salari ebbero una drastica caduta e lo scontento che ne derivò
coinvolse strati consistenti di ceto medio che, alle elezioni del 1932, premiarono le opposizioni di sinistra.
In un periodo di estrema instabilità politica, trovarono spazio leghe paramilitari più o meno direttamente
ispirate al fascismo e al nazismo di Hitler, le quali si mobilitarono contro la repubblica. Questo spinse le
sinistre a una politica antifascista unitaria: il Partito comunista abbandonò la sua linea di isolamento e strinse
un patto d’alleanza, nel 1934, con i socialisti e i radicali. Essi si unirono in un Fronte popolare, il cui
programma prevedeva:
1. Rialzo del potere d’acquisto dei salari mediante riduzioni dell’orario di l’avrò;
2. Rilancio delle opere pubbliche;
3. Costituzione di un fondo contro la disoccupazione;
4. Scioglimento delle formazioni paramilitari di estrema destra.
Alle elezioni del 1936 il Fronte ottenne una salda maggioranza e propose un accordo sindacati-imprenditori
che portò consistenti aumenti salariali, introdusse le40 ore lavorative settimanali e 2 settimane di ferie
LA GERMANIA DI WEIMAR
Le elezioni dell'Assemblea costituente affidarono il governo tedesco a una coalizione tra socialdemocratici e partiti
di centro. La situazione che essi dovettero affrontare non fu semplice: il trattato di pace sottrasse alla Germania il
15% della terra coltivabile e l’80% della produzione di ferro. Le opposizioni di sinistra e di destra non riconoscevano
la repubblica e in soccorso al governo venne un accordo tra imprenditori e sindacati, che riconobbe i diritti di
proprietà e di associazione sindacale, istituendo la giornata lavorativa di 8 ore e un sussidio di disoccupazione.
La costituzione promulgata nel 1919 dette alla repubblica di Weimar la forma di un regime federale:
il parlamento era bicamerale, con un Reichstag eletto a suffragio universale maschile e femminile e un
Reichstag composto dai delegati dei 17 stati regionali;
il presidente della repubblica era eletto direttamente e dotato di ampi poteri che gli consentivano di emettere
ordinanze con valore di legge.
La repubblica dovette mediare tra i socialdemocratici e i partiti di centro, ma anche con i poteri forti del paese:
esercito, sindacato e industriali. La prima prova riguardò il ripristino e la tutela della legalità:
nel 1920, guidati da un politico di estrema destra, i gruppi parlamentari che avevano represso l'insurrezione
dell’estrema sinistra tentarono senza successo un colpo di stato; lo sciopero generale che scoppiò nella Ruhr fu
domato a fatica dalle truppe fedeli al governo. Alle elezioni successive il partito socialdemocratico subì una
pesante sconfitta e crebbero le opposizioni di sinistra e di destra.
Non si arrestò tuttavia la violenza e, nel 1921 fu la volta dei comunisti che tentarono senza successo
un’insurrezione.
Questa situazione fu aggravata anche dalle difficoltà di politica estera:
Nel 1923 le truppe belghe e francesi occuparono la Ruhr per ritorsione contro il mancato pagamento delle
riparazioni ed umiliarono la repubblica di Weimar, sottolineandone l’isolamento internazionale;
si abbatté inoltre un’inflazione mai vista in un paese occidentale: miseria e disoccupazione dilagarono.
Il presidente del Partito del popolo Stresemann aveva avviato una politica di risanamento finanziario creando
una nuova valuta: l’inflazione tornò alla norma e l’economia conobbe un impetuoso rilancio.
Decisivo fu anche l’allentarsi della tensione internazionale, difatti nel 1925 le truppe francesi si ritirarono dalla
Ruhr e, con il piano Dawes venne concesso alla Germania un prestito consistente. Importante, quello stesso
anno, fu il trattato di Locarno con cui vennero sanciti i rapporti franco-tedeschi.
Nel 1926 la Germania entrò nella Società delle Nazioni.
Ma la repubblica di Weimar non riuscì a ridurre la polarizzazione estremistica della politica tedesca; nonostante ciò,
che la crisi sfociasse nel totalitarismo nazista non era un esito scontato. La revisione pacifica del trattato di
Versailles, attorno agli anni ‘20, mostrava che altre vie erano percorribili.
NEW DEAL
Il New Deal non rappresenta un semplice evento della storia nazionale: nel valutarlo c’è chi lo ritiene una
deviazione “socialista” rovinosa e chi lo assume come modello di intervento sociale e ricompattamento
nazionale. Difatti le stesse strategie adottate in risposta alla crisi economica del 2007-08 vengono messe a
confronto con questo periodo storico.
La scuola progressista tracciò una distinzione tra un primo New Deal, compreso nell’ottica della
ricostruzione e della ripresa economica in termini tradizionali, e un secondo New Deal avviato a partire dal
1935, che invece mise in moto un profondo processo riformatore in senso antimonopolistico. In questa
periodizzazione veniva posto l’accento sugli interessi economici e sul conflitto tra popolo e monopoli.
A questa interpretazione si oppose quella liberale secondo cui, nella trasformazione dello Stato avvenuta con
il New Deal, si espresse una deviazione estranea alla tradizione liberista americana e più vicina alle
esperienze dittatoriali europee.
Una posizione più intermedia è invece stata presa dalla “scuola del consenso” che ha messo in evidenza
l’eccezionalismo della storia degli Stati Uniti rispetto ai modelli europei, enfatizzandone i dati peculiari:
l’assenza di ceti nobiliari, la minor predisposizione ai fenomeni dittatoriali e la capacità di comporre
profonde diversità etniche e culturali in un quadro comune di cittadinanza democratica. In accordo con
questi orientamenti è semplice affermare che Roosevelt avesse dato vita al New Deal come equilibrio tra gli
interessi contrapposti delle organizzazioni sindacali e delle grandi corporazioni. Sulla base di questo
ragionamento, il punto di novità del New Deal rispetto al passato risiede in grandi scelte radicali, ma
soprattutto nella nuova alleanza tra mondo intellettuale e mondo economico. Il punto di convergenza di
questa riforma fu quella di creare una società senza classi, nella quale ognuno potesse essere artefice del
proprio futuro.
Dagli anni ‘60 il New Deal è stato sottoposto a critiche crescenti da parte di coloro i quali hanno ricondotto
l’insufficienza riformatrice di Roosevelt a una carenza di fondo della cultura progressista americana:
dipendente dalla logica del profitto, essa finì per assumere come priorità il rilancio dell’impresa privata
piuttosto che obiettivi di trasformazione sociale. In questa visione il New Deal si presenta come un
approfondimento determinante in quella che è stata definita “la rifondazione dell’Europa borghese”, ovvero
sulla concentrazione negoziale tra centri di potere politico e centri di potere economico.
Dopodiché negli anni ‘80 -‘90 il New Deal è stato definito la “fine del liberalismo”, ovvero del crescente
smembramento dello Stato in un arcipelago di strutture separate dove pezzi della pubblica amministrazione
e gruppi di interessi privati perseguivano strategie comuni, rendendo di fatti impossibile un’azione politica in
nome di un interesse comune e generale.
IL FASCISMO
Il governo di coalizione formato da Mussolini dopo la marcia su Roma cantava su pochi deputati, ma sulla gran
maggioranza alla Camera, grazie all’appoggio dei liberali e di parte dei cattolici. Anche la Corona e buona parte dei
ceti medi concordavano con l’esigenza di riportare ordine nel paese, distruggendo ciò che restava delle opposizioni
di sinistra.
Nel 1922 fu istituito il Gran consiglio del fascismo, un organo consultivo composto da dirigenti del pnf
incaricato di elaborare la linea del governo.
Nel 1923 fu istituita la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale: corpo militare composto da “camicie nere”
rese dunque più controllabili. Ovviamente questo non arrestò le violenze contro gli oppositori.
ECONOMIA E SOCIETÀ
Superata a livello internazionale la crisi economica postbellica, grandi aziende ed istituti bancari vennero salvati
dall’intervento statale ad opera del ministro delle Finanze De Stefani.
Le tariffe doganali vennero abbassate e, alcuni storici hanno definito “liberistica” questa prima fase della
politica economica fascista in cui lo Stato lasciava fare al mercato, concentrandosi sull’obiettivo del pareggio
del bilancio che fu raggiunto nel 1925.
Da questo momento in poi, la politica economica fascista cambiò ed ebbe una svolta autarchica e
protezionistica: reintroduzione del dazio sulle importazioni di grano e zucchero.
De Stefani lasciò spazio al nuovo finanziere Volpi e, Mussolini annunciò una rivalutazione della lira e, la
nuova parità fu fissata a “quota 90”. L’obiettivo era lanciare un segnale di forza e stabilità agli investitori
internazionale e ai risparmiatori italiani ma, nel 1927 si attuò una vera e propria recessione, causata dal crollo
delle esportazioni e dalla caduta della domanda interna per consumi privati. Tutto ciò fu accentuato poi dalla
crisi del’29.
L’intervento dello Stato fu un intervento di soccorso ai gruppi privati anziché alle industrie esportatrici; buona
parte di queste ultime, una volta in crisi, passarono sotto la diretta gestione dello Stato. Nel 1936 una riforma
trasformò la Banca d’Italia in un ente di diritto pubblico con il rafforzamento del potere di controllo sulle altre
banche.
Nel 1926 sembrò esserci un tentativo di estendere la superficie coltivata e proteggere la produzione nazionale
con tariffe doganali per conseguire l’obiettivo dell’autosufficienza alimentare: questo non avvenne, anzi,
LA POLITICA ESTERA
La politica estera del fascismo per alcuni seguiva la coerenza ideologica interna al regime, secondo altri gli interessi
strategici dell’Italia. Sulla base di questo, i primi sono convinti che la partecipazione dell’Italia alla seconda guerra
mondiale fu l’epilogo coerente di un’aggressiva politica di potenza, che ne fece però un fattore di destabilizzazione
degli equilibri europei; i secondi (De Felice) pensano che il crescente allineamento di Mussolini ad Hitler fu in larga
misura strumentale e la sua entrata in guerra al fianco della Germania su il risultato di scelte solo in parte coerenti.
In ogni caso, Mussolini si mosse alla ricerca di una legittimazione internazionale che, in qualche modo,
ottenne partecipando nel 1925 assieme all’Inghilterra alla conferenza di Locarno.
Al tempo stesso il regime recuperò il controllo della Libia, attuando una sanguinosa repressione e deportando
nel 1930 migliaia di abitanti del territorio e radunandoli in campi di concentramento lungo la costa.
Nel 1932 Mussolini divenne ministro degli Esteri, nonostante la sua politica estera fu ridotta dall’aggressività
della Germania nazista.
Nel 1933 l’Italia firmò con Francia, Gran Bretagna e Germania un patto esprimendo la volontà di inserire il
regime di Hitler nella situazione europea; con l’uscita della Germania dalla Società delle Nazioni, Mussolini
si spinse in direzione contraria. La minaccia tedesca all’indipendenza dell’Austria portò Mussolini a tutelare
quest’ultima, schierando le sue truppe ed avvicinandosi alla Francia.
Nel 1935 l’Italia partecipò assieme alla Francia e alla Gran Bretagna, ad una conferenza delle nazioni vincitrici
della “grande guerra” per ribadire l’intenzione di tutelare e proteggere l’Europa, rispettando i trattati del 1919.
ma nel 1935 l’Italia fascista attaccò l’Etiopia e le truppe italiane condussero una spietata guerra con
bombardamenti , deportazioni e un uso di gas asfissianti. Questo attacco provocò una dura reazione da parte
della Società delle Nazioni la quale adottò sanzioni economiche contro l’Italia, ma d’altra parte rovesciò anche
gli equilibri europei. L’Italia ottenne la solidarietà della Germania e ricambiò il gesto ponendosi a favore
dell’annessione dell’Austria.
Nel 1936 la nascita dell’asse Roma-Berlino consacrò l’intesa tra i due dittatori, assegnando a Germania e Italia
aree d’influenza diverse per impedire interferenze e conflitti. Il primo banco di prova di questa alleanza fu la
guerra civile spagnola: Germania e Italia appoggiarono la violenta ribellione di Francisco Franco contro la
IL TOTALITARISMO
Hannah Arendt connetteva i regimi della prima metà del ‘900 con il processo di modernizzazione che aveva
trasformato le società europee in società di massa e, lo strumento per restituire loro unità e identità era il
mito imperialistico della nazione forte e potente; un mito che non si avvaleva della mediazione della
democrazia parlamentare, sostituita dalla compenetrazione tra partito unico e Stato. La categoria del
totalitarismo interpretava quindi le dittature del ‘900 come esperienze politiche monolitiche, legate al
tentativo di annullare ogni differenza individuale e ogni libertà personale. Gli aspetti comuni tra fascismo
italiano, nazismo tedesco e comunismo sovietico erano così identificati:
1. Leader carismatico
2. Partito unico di massa
3. Polizia politica
4. Ideologia assoluta
5. Concentrazione di poteri economici nelle mani dello Stato.
L’accento qui è posto sui metodi di governo, ma vengono tralasciati la politica razziale e il nazismo, assenti
nel caso sovietico. in ogni caso ci si è chiesti se fosse possibile considerare il fascismo come un fenomeno
storico a carattere internazionale,pur tenendo conto delle differenze tra i diversi casi nazionali. Secondo De
Felice ad esempio, tale generalizzazione rischierebbe di cancellare differenze essenziali; Collotti invece ha
sostenuto la tesi del carattere internazionale del fascismo, individuando nei diversi movimenti e regimi
fascisti altri tratti comuni quali, il rifiuto radicale e violento della democrazia, l’opposizione frontale al
movimento operaio e al bolscevismo, il nazionalismo aggressivo, il tentativo di organizzare le masse con
strumenti di partecipazione e mobilitazione.
IL NAZISMO
In una società moderna la conquista del potere non poteva avvenire con una sollevazione militare, ma andava
preparata ottenendo il consenso di ampie masse; solo dopo la conquista del potere per via elettorale, il nazismo
avrebbe imposto i suoi veri obiettivi. L’ascesa del Partito nazista a venne sfruttando questa tecnica attraverso tre
risorse decisive:
1. Organizzazione paramilitare della violenza sul modello del fascismo italiano;
2. Un’abile propaganda attutate attraverso nuovi mezzi di comunicazione;
3. Un leader carismatico che entra in un rapporto diretto di immedesimazione con la massa attraverso l’arma
della retorica e la scenografia della propaganda.
L’organizzazione della nasdap (partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori) era diffusa nei diversi territori
secondo un criterio gerarchico di obbedienza al fuhrer Adolf Hitler. Alle strutture di partito si affiancavano
organismi di massa e soprattutto formazioni paramilitari che furono le protagonisti della violenza verso i socialisti e
i comunisti. Nel 1926 comparvero anche le ss che fungevano da guardie del corpo di Hitler e diffusero il terrore nella
Germania. Hitler illustrò un’ideologia nazista caratterizzata da uno “spazio vitale” in cui abitare, preservato dalla
contaminazione di altre razze che l’avrebbero potuto indebolire o condannare all’estinzione. Sulla base del concetto
IL TERZO REICH
La rapidità con cui i nazisti crearono un regime fu sorprendente; la dittatura venne costruita in soli 6 mesi,
servendosi della decretazione d’urgenza già largamente utilizzata da Bruning.
Il 1°febbraio 1933 fu sciolto il parlamento e dopo qualche giorno fu incendiata la sua sede; i principali
esponenti del Partito comunista vennero arrestati e Hindenburg firmò un nuovo decreto che soppresse a tempo
indeterminato i diritti costituzionali, consentendo la violazione del segreto epistolare e il controllo dei telefoni.
Nonostante ciò alle elezioni del marzo 1933 la nsdap ottenne un risultato analogo a quello dell’insieme delle
opposizioni (socialdemocratica, comunista, cattolica).
Il nuovo parlamento fu costretto a votare una legge che conferiva al governo il potere legislativo in contrasto
con la Costituzione, riservandogli la gestione dei trattati internazionali e attribuendo al cancelliere la facoltà di
firmare decreti al posto del presidente. Lo stesso giorno dell’ insediamento del nuovo parlamento nel marzo
1933 il capo delle ss aprì in una cittadina un campo di concentramento per gli oppositori politici: nacque un
sistema carcerario parallelo e autonomo rispetto a quello statale.
Il governo sottopose tutte le istituzioni pubbliche e private al controllo della nsdap e, distrutti i partiti operai,
vennero confiscate le sedi e il patrimonio di associazioni e sindacati. Anche l’agricoltura e l'allevamento
furono sottoposti al controllo del partito e, una volta espulsi gli ebrei dalle cariche direttive, le stesse
associazioni degli industriali rinunciarono alla propria autonomia, accettando di integrarsi in uno Stato che
LA RUSSIA SOVIETICA
Uscita distrutta inseguito alle vicende del 1914-20, la società sovietica entrò in una fase di ripresa grazie alla nep
(Nuova politica economica) varata nel 1921; quest’ultima fu definita da Lenin una forma di capitalismo di Stato e
una tappa intermedia verso l’industrializzazione e il socialismo.
Revoca delle requisizioni dei generi alimentari e la loro sostituzione con un’imposta in natura (poi
monetizzata): in questo modo i contadini potevano disporre dei loro prodotti e, venendo le loro eccedenze,
Venne reintrodotto il mercato e il profitto individuale. Nel 1925 fu permesso ai contadini di affittare la terra e
assumere manodopera salariata.
Nel settore industriale la nep abolì il lavoro obbligatorio e ammise l’esistenza di piccole imprese private.
Corposi furono gli effetti della nep sulla società: la crescita della popolazione favorì l’incremento
dell’economia; emerse un ceto di piccoli commercianti e imprenditori (nepmen) e, anche nelle campagna e, si
sviluppo uno strato di piccoli imprenditori rurali (kulaki).
Come ha osservato Lewin, la nep permise alla Russia di riprendersi dal disastro in cui era piombata, ma non di
uscire dalla sua arretratezza:alla fine di questo periodo l’87% della popolazione era ancora dedita a un’agricoltura
arcaica. Difatti la società e l’economia russe erano fondamentalmente dominate dal settore rurale, dalla piccola
produzione autonoma e dalle piccole unità commerciali, a cui si accompagnava una piccola ma altamente
concentrata industria.
Il Partito comunista si identificò con questo Stato in espansione e ottenne nuovi iscritti che produssero una specie di
mutazione: accanto ai rivoluzionari della vecchia guardia, si affiancò un ampio strato di funzionari e burocrati
inefficienti e spesso corrotti. A tutto ciò si aggiunse l’arretratezza dei contadini, poveri e ignoranti, al centro di un
sistema sociale primitivo che si ristabilì con la nep, ma fu comunque un ostacolo alla modernizzazione e alla
politica economica. Concentrandosi su quest’ultima, il regime prese a trascurare l’analfabetismo e la crescita
culturale creando un divario tra gli obiettivi di produzione fissati dal centro e l’effettiva vita economica delle
campagne.
Passi importanti per il consolidamento internazionale del nuovo regime furono compiuti a partire dal 1922,
quando lo stato dei soviet ruppe il suo isolamento diplomatico e partecipò ad una conferenza internazionale
che si svolse a Rapallo e, stipulò un accordo commerciale con la Germania (riconosciuto anche dalle altre
potenze europee).
sempre nello stesso anno, Russia, Bielorussia, Ucraina e Transcaucasia costituirono l’URSS (Unione delle
repubbliche socialiste sovietiche), a cui aderirono anche le altre regioni del’ex impero zarista: nacque così uno
stato federale che però riservò più sempre al centro poteri ampi.
Con la morte di Lenin nel 1924 ci fu una sopra lotta per la successione nel gruppo dirigente bolscevico: la
sinistra di Trockij proponeva una forte pressione sulle campagne per realizzare l’accumulazione necessaria a
industrializzare rapidamente il paese; la nep era convinta che bisognava contare esclusivamente sulle proprie
forze, puntando su una politica filocontadina il cui sviluppo doveva derivare dalla liberalizzazione dei mercati.
Tali posizioni furono sostenute da un ampio schieramento (con a capo Zinov e Kamenev). il cui partito vide a
capo un potente responsabile: Stalin., il quale voleva costruire il socialismo in Russia senza una rivoluzione.
Nel 1925 la sinistra fu sconfitta, ma lo scontro si riaprì quando Zinov e Kamenev si avvicinarono a Trockij
preoccupati per la crescita del potere personale di Stalin. Quest'ultimo infatti ampliò la dimensione di massa
de partito, ma ne assunse il pieno controllo accentuando l’autoritarismo interno.
Nel 1927 il XV Congresso del Paritito comunista espulse Trockij, Zinov, Kamenev e altri esponenti della
La nuova politica economico.sociale fu caratterizzata innanzitutto da sanzioni per chi non rispettava gli obiettivi:
forzare i tempi dell’industrializzazione;
collettivizzare l’agricoltura.
Il raggiungimento di tali obiettivi fu la risultante di 3 “piani quinquennali” che impressero ritmi frenetici alla vita
del paese, mantenendo alto il livello di tensione:
Tra il 1928-32 la produzione industriale raddoppiò grazie al gigantismo delle fabbriche di stato: furono
costruiti nuovi stabilimenti ed anche nuove città a est degli Urali con ferrovie, strade e canali navigabili. Con
un balzo senza precedenti, allo scoppio della seconda guerra mondiale l’URSS era divenuta la terza potenza
industriale del mondo, dopo Stati Uniti e Germania.
Tra il 1928-40 la società russa fu così sconvolta da una colossale migrazione interna che incrementò la
popolazione urbana, portando però problemi di alloggi, rifornimenti e organizzazione del lavoro. I livelli di
professione e d’istruzione erano inadeguati, sebbene il regime si impegnasse nella costruzione di scuole e
università con notevoli risultati. Le piccole imprese e gli esercizi commerciali chiusero, creando serie
difficoltà di approvvigionamenti e scambi interni, a favore dell’industria pesante. In aggiunta, ci fu una ripresa
dell’inflazione che comportò una drastica caduta del tenore di vita della popolazione.
Nel 1929 Stalin lanciò un’offensiva per la collettivizzazione forzata dell’agricoltura, tentando di costringer ei
contadini ad entrare in aziende cooperative e soprattutto statali. Per ottenere tali risultati, si ricorse a durissimi
mezzi repressivi che andarono dall’esproprio dei fondi alla deportazione di massa, alla fucilazione. La
reazione da parte dei contadini non fu delle migliori: essi ridussero le semine ed il bestiame. Per sopperire alla
mancanza di rifornimenti delle città si ricorse alle “campagne per gli ammassi”: violente requisizioni annuali
di grano, i cui proventi furono utilizzati come approvvigionamento delle città e come esportazione in cambio
di macchine per l’industria. Per attuarle lo Stato condusse una vera guerra sociale contro i contadini che,
privati di ogni diritto, discriminati e oppressi, risposero lavorando il minimo possibile. Il risultato più
drammatico fu una grande carestie che si batté sull’Ucraina e non solo, dinanzi alla quale il potere sovietico
non fece nulla, negandone l’esistenza e continuando a sottrarre frani ai contadini con le requisizioni.
LO STALINISMO
La violenza anticontadina si accompagnò a un’involuzione autoritaria del partito-Stato. La piena assunzione del
potere da parte di Stalin venne sanzionata sin dal 1929 quando egli si presentava un genio dalle immense qualità. Lo
stato sovietico rimodellò dall’alto l’intera società con la repressione di massa e con un sistema di controlli sociali,
che accrebbero il ruolo di una onnipresente polizia politica: la gpu.
Vennero combattuti l’assenteismo, alcolismo e la criminalità;
LO STALINISMO
Una prima corrente di pensiero riguardo lo stalinismo ha avuto origine dagli scritti di Trockij e ha preso a
modello la rivoluzione francese, vedendo nello stalinismo una riedizione del Termidoro, cioè un tradimento
della rivoluzione e una forma di restaurazione capitalistica. Un altro filone che si è sviluppato nella cultura
occidentale, richiama l’opera di Hannah Arendt e la categoria dei “totalitarismi” di cui si è servito per
individuare la peculiarità dello stalinismo, distinguendolo dai sistemi democratici e dalle altre forme più
antiche di autoritarismo. Sulla base di questo secondo approccio, c’è chi nello stalinismo ha visto una
dittatura monolitica e unitaria, la cui esistenza è fondata sul terrore. Sia il nazismo che lo stalinismo
condividono il ricorso alla privazione dei diritti individuali e di ogni possibilità di scelta.
Negli anni ‘60 Lewin ha identificato come fenomeni costitutivi dello stalinismo l’industrializzazione e la
collettivizzazione delle campagne. La novità consiste nel ricostruire le dinamiche economiche e le strutture
politiche con un approccio di storia sociale attenta ai fenomeni che caratterizzano la società stessa.
Alla fine degli anni ‘70, i cosiddetti revisionisti, posero l’accento sull’articolazione di poteri interni al regime e
sull’esistenza di divergenze e conflitti tra centro e periferia e tra i diversi settori dello Stato. Assodata tra gli
storici è l’idea di una forte continuità tra Lenin e Stalin dal punto di vista dell’esercizio della violenza politica
e del terrore di massa.
Un capitolo a parte resta il dibattito storiografico riguardo il “Grande Terrore” raggiunto dal sistema di
potere staliniano con i Gulag: nonostante la denuncia nel ‘56 l’immagine tenebrosa e confusa dei Gulag ha
continuato a circolare, condizionata però dai vincoli di segretezza imposti dal regime sovietico. Tra le diverse
censure la prima a filtrare fu sicuramente la voce degli esuli e dei dissidenti, vittime della repressione. Sulla
base di queste poche informazioni, gli storici hanno iniziato a lavorare per ricostruire indirettamente una
visione d’assieme del terrore staliniano, che portò alla morte circa 20 milioni di persone. Solo a partire dalla
seconda metà degli anni ‘80 gli studiosi ebbero accesso agli archivi dell’apparato repressivo del regime e, i
successivi studi forniscono un quadro più concreto secondo cui i 53 Gulag operanti nel territorio sovietico
erano solo l’anello centrale di una catena reclusi a che comprendeva anche i penitenziari e le colonie di
confino.
IL GIAPPONE
Mentre in Europa e in Russia si combatteva, in Giappone l’industria pesante si sviluppò soprattutto nei settori
metallurgico, meccanico, chimico ed elettrico; crebbero le esportazioni di prodotti finiti e le importazioni di
materie prime e macchinari. Il PIL del Giappone dall’inizio del secolo crebbe smisuratamente rispetto alle
altre potenze occidentali e nel 1920 la sua industria cotoniera era la seconda nel mondo.
In tutto ciò i contadini iniziarono a ribellarsi dinanzi all’ascesa dei prezzi del riso, assalendo i magazzini e le
stazioni di polizia nelle grandi città, mentre il partito al potere varò una politica di forte sviluppo della flotta
militare: il Giappone divenne la terza potenza navale dopo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
Dal punto di vista culturale si sviluppò il “panasiatismo” (volto a creare una vasta solidarietà politica,
economica, culturale) che puntava a eliminare ogni influenza straniera in un Estremo Oriente unificato sotto
L’INDIA
In India con le ferrovie e l’irrigazione l’impero britannico aveva promosso la commercializzazione dell’agricoltura,
mentre l’abbondanza del cotone aveva favorito lo sviluppo dell’industria tessile, i cui profitti economici erano
monopolizzati da un’élite interessata alla gestione del potere coloniale di Londra. Nonostante la grande miseria del
paese, il regime coloniale britannico prosperava e sfruttava la divisione religiosa esistente tra hindi e musulmani,
appoggiandosi spesso ai secondi che erano in minoranza e più moderati sul problema dell’indipendenza nazionale.
In questo clima comparve la figura di Gandhi, un avvocato formatosi in Inghilterra, che aveva guidato negli ultimi
anni dell’800 le proteste degli immigrati indiani in Sudafrica affermando il concetto di amore e non violenza. Alla
fine del 1919 la Gran Bretagna concesse all’India una nuova Costituzione che fissava una “diarchia” tra il
parlamento indigeno e il governo, che rispondeva del suo operato solo a Londra. Nella visione di Gandhi
l’indipendenza dell’India corrispondeva alla ricerca di una via di sviluppo alternativa a quella occidentale, fondata
sul rifiuto della civiltà industriale e della corruzione commerciale introdotta dall’Occidente, a favore di un’economia
IL MEDIO ORIENTE
Durante la prima guerra mondiale gli inglesi avevano fomentato la rivolta dei popoli arabi contro l’impero ottomano
promettendo loro l’indipendenza; ma i trattati di pace non soddisfarono queste aspettative: l’intera regione
mediorientale venne spartita tra Francia e Gran Bretagna.
Ridotto a Istambul e all’Anatolia, l’impero ottomano fu sostituito nel 1923 dalla repubblica turca con un regime
autoritario che però spinse il paese sulla strada della modernizzazione. Dopo qualche anno l’Islam divenne religione
di stato e ci fu una trasformazione della vita in senso laico, con l’abolizione del califfato, la massima autorità
temporale musulmana. Questo comportò una radicalizzazione in senso politico della comunità musulmana, la cui
identità era fondata sulla fede con la partecipazione alle lotte per l’indipendenza dei diversi paesi.
La Francia con i suoi mandati praticò una politica di autonomia e frammentazione delle diverse comunità, senza
però riuscire ad evitare in Siria una grande rivolta; la Gran Bretagna accordò l’indipendenza di alcuni territori,
mantenendo il controllo dei pozzi petroliferi.
Problema che riguardò l’intero Medio oriente furono gli ebrei che crebbero notevolmente e, i nuovi insediamenti
suscitarono ripetuti e sanguinosi tumulti, nonostante vennero loro riconosciuti i diritti in Palestina dal ministro degli
Esteri inglese nel 1917. Per rimediare a questi disordini, il governo inglese decise di creare uno Stato ebraico, uno
Stato arabo e una zona sotto mandato britannico comprendente Gerusalemme: piano respinto dai maggiori stati arabi
che voleva creare un unico stato palestinese alleato con la Gran Bretagna, che tutelasse la minoranza ebraica ma
ponesse fine ad ulteriore immigrazione ebraica nella regione. Durante la seconda guerra mondiale, gli inglesi per
ottene l’appoggio degli arabi diedero inizio ad una politica restrittiva verso l’immigrazione ebraica in Palestina,
fomentata dalle notizie provenienti dall’Europa sullo sterminio nazista degli ebrei.
L’AFRICA SUBSAHARIANA
In Africa gli stati coloniali ebbero effetti devastanti a causa delle presenze occidentali e delle molteplici differenze
tribali ed etniche alterate e inventate, in funzione degli interessi coloniali. L’Africa, per l’ideologia antischiavista e
per un modello di vita comunitaria premoderna e preindustriale, rivendicava l’indipendenza dagli imperi coloniali.
Nonostante ciò, la fine della prima guerra mondiale vide una crescita della presenza anglo-francese nel continente e
delle concezioni razziali nei confronti della popolazione africana; solo dopo la seconda guerra mondiale, con
l’affermarsi di una nuova sensibilità antirazzista prodotta dallo scontro con il nazismo, l’attenzione internazionale si
concentrò sulla politica della apartheid del Sudafrica, che affermava la superiorità della razza bianca e la divisione
della vita civile in tutti i suoi aspetti. Nel 1946 l’Organizzazione delle Nazioni Unite avrebbe approvato la prima di
una lunga serie di mozioni contro questa guerra.
L’AMERICA LATINA
La debolezza dei regimi politici latinoamericani poneva a rischio, oltre alla sicurezza militare, anche gli
investimenti finanziari degli Stati Uniti. Il capitalismo statunitense però, non fu l’unico a muoversi in America
Latina: anche Francia, Germania e Inghilterra si erano ritagliate una sfera di intervento. Quando nel 1919 il
Congresso degli usa approvò la legge che autorizzava le banche ad aprire filiali estere, gli Stati Uniti coprivano il
IL SOTTOSVILUPPO
L’espressione “Terzo mondo” al tempo della rivoluzione francese indicava l’area maggioritaria del pianeta,
non strettamente subordinata all’influenza delle superpotenze statunitense e sovietica e, in larga misura
coincidente con la sua parte più povera. Dopo il 1945 e l’avvento dell’età dell’oro capitalistica si diffuse la
speranza di riassorbire il distacco del Terzo mondo, grazie alla diffusione dello sviluppo industriale. Apparve
così il termine sottosviluppo che indicava l’arretratezza in via di superamento, grazie all’esportazione dei
modello di crescita e di modernizzazione sperimentato in Occidente.
Negli anni ‘60 anziché diminuire, il divario tra i paesi sviluppati e quelli sottosviluppati accrebbe e si formò
così una scuola di pensiero detta: “scuola della dipendenza” che individuava il rapporto di subordinazione e
sfruttamento economico che legava i paesi poveri ai ricchi.
Sono molti oggi gli studiosi che contestano la tesi di una “sfortuna” naturale delle economie del Terzo mondo,
determinata da condizioni climatiche, scarsità di precipitazioni, flora e fauna; difatti l’economia di sviluppo
si divide in due grandi filoni di pensiero:
1. il primo sostiene la necessità di un aiuto finanziario più consistente da parte dei paesi ricchi per
rompere il circolo vizioso della povertà;
2. mentre il secondo mette al primo posto il rovesciamento dei governi corrotti nei paesi poveri e la loro
apertura al commercio internazionale.
Intanto anche l’Italia era entrata nel conflitto: Mussolini voleva marcare la propria autonomia dall’alleato
tedesco e così oltre a invadere la Somalia britannica e ad attaccare l’Egitto (per acquisire le aree petrolifere del
Medio Oriente e il canale di Suez), all’insaputa di Hitler invase la Grecia. In tutte e tre le occasioni l’esercito
italiano non riuscì a imporsi e a prevalere. Questo portò Mussolini a chiedere aiuto alla Germania: l’intervento
tedesco fu risolutivo nei Balcani e migliorò anche la situazione nell’Africa del nord.
Quando un colpo di stato militare abbatté il governo jugoslavo che aveva aderito all’Asse, le Armate tedesche
costrinsero alla resa l’esercito jugoslavo: l’intera area passò sotto il controllo tedesco come anche la Grecia.
Alla metà del 1941, ad eccezione di alcuni paesi neutrali (Irlanda, Svezia, Svizzera, Turchia) e della penisola
iberica (alleata dell’Asse), il continente europeo era sotto il controllo diretto o indiretto tedesco.
Le cose cambiarono con il coinvolgimento dell’Unione Sovietica e degli Stati Uniti. Hitler volle attaccare
l’URSS per riuscire a ottenere quello “spazio vitale” che gli avrebbe permesso di imporsi ad est, su tutti i
popoli governati da un regime comunista e avrebbe forse indotto la Gran Bretagna alla pace. Il 22 giungo 1941
l’operazione Barbarossa ebbe inizio: vi parteciparono oltre 150 divisioni tedesche ai quali si aggiunsero
volontari spagnoli e italiani. Si trattò di una guerra di sterminio con fucilazioni e rappresaglia sui civili per
instaurarvi un dominio coloniale.
L’Armata Rossa non resse l’attaccò e in breve i tedeschi giunsero a poca distanza da Mosca: qui l’offensiva si
arrestò a fine luglio e Hitler decise di dar maggiore priorità al fronte sud per aprirsi la strada verso l’Ucraina e,
solo dopo aver conquistato Kiev e l’intera Crimea, Hitler ordinò di riprendere l’avanzata verso Leningrado e
Mosca che fu però arrestata l’8 dicembre a causa del freddo e dell’arretratezza del paese, che spinse i tedeschi
a costruire ex novo vie di comunicazione per gli approvvigionamenti.
Bloccata dunque, in attesa della primavera, la guerra si estese al Pacifico con l’attacco dei giapponesi il 7
dicembre del 1941 alla base di Pearl Harbor nelle Hawaii. Distrutta la marina militare americana, i giapponesi
ebbero mano libera nel Pacifico conquistando moltissimi territori tra cui Indonesia, Filippine e Cina, la vittima
maggiore di quest’espansione.
Il Giappone intanto aveva firmato nel 1940 un patto tripartito con Germania e Italia, che ristabiliva le
condizioni di aiuto reciproco fra le tre dittature; ma i suoi obiettivi rimasero all’oscuro. Il Giappone voleva
difatti risolvere il problema della scarsità di materie prime, che si tradusse in un’occupazione militare a scopo
economico sostituendo l’impero nipponico a quelli europei. Esso optò per una diretta amministrazione
militare dei territori, la cui conquista colmò il deficit giapponese di energia e di materie prime necessarie per
La conquista di enormi territori da parte della Germania e dei suoi alleati ebbe conseguenze pesantissime sulla vita
delle popolazioni: maltrattamenti, eccidi, sfruttamento economico, lavoro forzato e deportazioni di massa. Dopo la
conquista della Francia, il regime nazista lanciò il nuovo ordine europeo, ovvero un progetto che disegnava il futuro
del continente dopo la fine della guerra, garantendo e assicurando la supremazia della razza tedesca. Con l’attacco
all’Unione Sovietica il nuovo ordine europeo si allargò a un piano generale per l’est, che programmò la
deportazione in Siberia di persone non desiderate, perché non di razza tedesca, per fare spazio a queste ultime. Fino
alla conquista della Polonia la politica nazista aveva puntato sull’emigrazione ebraica, cercando però di non
concentrare gli ebrei in un unico luogo (evitando la formazione di una nazione ebraica inevitabilmente antitedesca).
Si trattava di un numero quantitativo davvero enorme di ebrei; si optò per il trasferimento coatto in ghetti, cioè
recinti edificati nelle maggiori città, dove essi sarebbero stati sfruttati per la loro manodopera. La cosiddetta
“soluzione finale” fu pianificata il 20 gennaio del 1942: gli ebrei sarebbero stati trasferiti prima in Polonia, nei ghetti
di transito e ai lavori forzati. La selezione naturale per stenti e malattie li avrebbe dimezzati. I rimanenti, pericolosi
perché possibili “seme di una nuova rinascita ebraica” sarebbero stati eliminati.
Lo sterminio degli ebrei è stato definito “olocausto” ma si tratta di un termine fuorviante perché rinvia alla pratica di
antichi popoli di offrire vittime sacrificali alla divinità e implica dunque che esse stesse in qualche modo
l’accettassero. La lingua e la tradizione ebraica usano il termine Shoah che significa distruzione. Nella sua
controffensiva anche l’Armata Rossa si macchiò di violenze a danno della popolazione tedesca.
COLLABORAZIONISMO E RESISTENZA
In Norvegia e in Olanda ci furono piccoli movimenti fascisti che praticarono una politica collaborazionista basata su
una convinta adesione al nazismo e su comuni pregiudizi razziali e antibolscevichi; stessa cosa avvenne in Ungheria
che, arresa all’occupazione tedesca, collaborò attivamente alle deportazioni di ebrei da zone non occupate dalle
truppe tedesche. Quest’ultima operazione riguardò anche la Francia, il cui collaborazionismo divenne totale dopo il
1942. Oltre al collaborazionismo però bisogna far riferimento alla resistenza che fu un movimento di minoranza,
diffuso in Europa, il cui contributo risultò determinante: la guerra fu vinta dagli alleati e, questa vittoria, senza la
resistenza, sarebbe stata semplicemente il frutto di una concessione e non di una conquista. La resistenza si sivluppò
con modalità e caratteristiche diverse:
Nei Balcani ad esempio un movimento jugoslavo riuscì a creare un vero esercito capace di liberare il paese,
La fine del secondo conflitto mondiale e della “guerra dei 30anni del ‘900” segnò un punto di svolta a cui
contribuirono diversi fattori:
1. drastico ridimensionamento del peso dell’Europa sulla scena mondiale e l’avvento di un sistema bipolare
centrato sulle due grandi potenze uscite vittoriose dalla guerra: URSS e USA, tra le quali si sviluppò un alto
livello di tensione, tanto da far parare di “guerra fredda”;
2. ridimensionamento dell’Europa accompagnato da un processo di decolonizzazione che portò alla conquisa
dell’indipendenza da parte dei popoli coloniali dell’Asia e dell’Africa;
3. eccezionale sviluppo economico e apertura di una fase di intensa globalizzazione.
LA GUERRA DI COREA
Stalin fu indebolito a causa dello scisma jugoslavo: grazie alla distanza geografica, la Lega dei comunisti
jugoslavi guidata da Tito proseguì una politica di indipendenza che causò una frattura.
Nel 1948 il Cominform espulse il partito jugoslavo, accusandolo di tradimento del blocco comunista e
denunciandolo come agente fascista e imperialista, aprì una violenta repressione nei paesi dell’Europa
orientale.
Nel 1949 la fondazione della Repubblica popolare cinese segnò un punto importante a favore dell’URSS, che
si aggiunse alla conquista dell’arma atomica.
La guerra fredda si allargò all’Asia e in particolare, la Corea era rimasta divisa in due parti:
1. a nord il regime comunista della Repubblica democratica popolare di Corea;
2. a sud quello filoamericano della Repubblica di Corea.
Su ordine del presidente Kim Il Sung, l’esercito nordcoreano convinto di poter contare sull’appoggio cinese e
sovietico, superò la linea di confine del suo territorio e conquistò il sud del paese.
Il Consiglio di sicurezza dell’Onu autorizzò allora un’azione militare contro gli aggressori, che gli Stati Uniti
organizzarono e gestirono quasi per intero da soli. Gli eserciti statunitense e sudcoreano si spinsero quasi fino
alla frontiera tra Corea e Cina. Quest’ultima inviò i propri volontari a sostegno della Corea del Nord e,
assieme respinsero americani e sudisti sotto la vecchia linea cdi confine.
Il Giappone minacciò l’uso della bomba atomica per conseguire una vittoria militare: sia gli USA che l’URSS
erano preoccupati per un eventuale allargamento del conflitto e lo richiamarono in patria, iniziando le
trattative per l’armistizio nel 1951.
La situazione si protrasse per due anni: la Corea restò divisa in due, ma molti furono i morti tra civili e
militari.
La guerra fredda significò un enorme corsa agli armamenti: dopo il 1945 USA e URSS salirono a oltre il 70% della
produzione mondiale di armi. La crescente complessità della tecnologia incrementò le spese militari: era una corsa
ch’egli Stati Uniti potevano reggere, l’Unione Sovietica dovette penalizzare l’industria leggera produttrice di beni di
consumo e una conseguenze compressione della qualità di vita dei suoi cittadini. In ogni caso, entrambe le
superpotenze disponevano di una capacità di risposta nucleare che consentiva loro di ribattere a un “primo colpo”
dell’avversario. Non altrettanto poteva dirsi per gli alleati europei degli Stati Uniti, che dipendevano da questi ultimi;
fu così che, dopo la Comunità del carbone e dell’acciaio formata nel 1951, la Francia assieme a Germania, Italia e
Benelux, la Comunità europea di difesa rappresentò l’ambizioso tentativo di dotare il vecchio continente di un
apparato difensivo autonomo, anche se integrato pur sempre nella NATO. Il successivo ritiro francese mostrò quanto
l’integrazione europea dal punto di vista militare non fosse ancora matura.
Nel 1945 fu creata l’Unione europea occidentale che controllava gli armamenti nazionali, comprendeva
Germania e Italia ed era finalizzata al mantenimento degli equilibri militari in Europa.
Nel 1955 la Germania occidentale entrò nella NATO e gli 8 paesi orientali del blocco sovietico stipularono il
Patto di Varsavia, un trattato di cooperazione che stabilì un comando militare unificato sotto la guida di
Mosca.
Dopo aver rinsaldato le proprie aree di influenza, l’USA e l’URSS concordarono nella convocazione di una
conferenza a Ginevra con cui venne decisa una soluzione provvisoria riguardo la Cina: analoga a quella
adottata in Corea, il paese venne diviso tra nord (fedele al blocco sovietico) e il sud (retto da un cattolico e in
Dal 1948 la regione del Medio Oriente era stata riorganizzata sulla base di una votazione presa dalle Nazioni
Unite per far posto a un nuovo stato: Israele. Questa nuova nazione fu costituita sulla consapevolezza
condivisa che la tragedia della shoah era stata resa possibile dall’assenza di uno Stato ebraico. D’altra parte
però, gli arabi confinanti non approvarono la nascita di Israele. Quest'ultimo, quando l’Egitto, la Siria e altri
stati l’attaccarono, riscì ad aver e la meglio sul campo di battaglia.
Diversa fu la situazione degli stati arabi in particolare dell’Egitto, che aspirava alla piena indipendenza
economica. Come altre nazioni ex coloniali, l’Egitto si rivolse in cerca di forniture militari agli USA, i quali
però rimandarono la proposta a favore dell’Israele. Il colonnello a capo del regime militare nazionalista
dell’Egitto decise di allacciare relazioni con il blocco orientale, offrendo all’URSS di intervenire lì dove
l’influenza sovietica non esisteva. Nel 1956 il colonnello annunciò la nazionalizzazione del canale di Suez,
ancora controllato dalle truppe britanniche.
La situazione precipitò ma a ristabilire l’ordine fu questa volta l’ONU che restrinse il cerchio, eliminando
l’intervento della Francia e della Gran Bretagna; in questo modo si riaffermò l’equilibrio bipolare della guerra
fredda con gli USA attraverso l’asse privilegiato con Israele e l’URSS con la penetrazione nei paesi arabi e la
tutela economica del loro processo di indipendenza. A rafforzarlo furono 3 fattori:
1. il primo fu la crisi dell’ONU, all’interno del quale si affermò un’Assemblea comprendente tutti quei paesi ex
coloniali che restarono lontani dagli USA e dai loro alleati: maturò un dualismo tra il Consiglio di sicurezza e
l’Assemblea che produsse una perdita dell’efficacia delle Nazioni Unite, favorendo i molteplici tentativi di
USA e URSS di egemonizzare i paesi post-coloniali;
2. il secondo fattore di rafforzamento del bipolarismo fu l’inerzia del movimento dei paesi non allineati, che
incontrò diverse difficoltà: alla fine del 1957 una conferenza al Cairo vide l’ascesa dei paesi africani alla testa
di uno schieramento per lo più antiamericano; una seconda conferenza a Belgrado fu caratterizzata da paesi
che non appartenevano ad alcuna alleanza militare e non riuscirono a rompere efficacemente gli equilibri
bipolari;
3. il terzo fattore fu l’iniziativa europeista di dar vita nel 1957, attraverso due trattati firmati a Roma, l’Eurotam
fondato sulla previsione che la principale fonte di energia del futuro sarebbe stata quella nucleare e, la CEE
che puntava ad armonizzare le politiche economiche delle Nazioni aderenti. Anche in questo caso però, la
realtà era che si trattava di un soggetto politico non ancora ben unitario in grado di rompere l’equilibrio
bipolare.
Gli Stati Uniti dovettero inoltre occuparsi del crescente impegno militare in Vietnam:
il presidente degli Stati Uniti aveva motivato il proprio sostegno al regime sudvietnamita;
nel 1960 si era costituito nel Vietnam del Sud un Fronte nazionale di liberazione che, con l’appoggio del nord
avviò un’attività di guerriglia e, il regime sudvietnamita si indebolì ulteriormente.
Nel 1961 il nuovo presidente Kennedy aumentò il numero dei consiglieri militari americani nel paese, ma il
Vietnam del sud si dimostrò essere in condizioni precarie, tanto da mettere Kennedy alle strette: egli avrebbe
dovuto abbandonare o impegnarsi militarmente in maniera diretta.
Questa seconda strada fu scelta dal successore Johnson, il quale fu trionfalmente rieletto, ma il consenso
diminuì drasticamente quando il Vietnam del nord con un’offensiva violenta, causò la morte di numerosi
statunitensi.
Il presidente Nixon decise di ridurre il corpo di spedizione americano nel ‘72 e di attuare una nuova politica di
apertura verso la Cina popolare.
Nel ‘73 fu raggiunto un accordo che pose fine all’impegno militare statunitense e la guerra si concluse due
anni dopo con la vittoria del Nord e l’unificazione del paese.
Un’altra crisi internazionale riguardò il Medio Oriente, la cui importanza strategica era accresciuta per lo
sfruttamento del petrolio, di cui quest’area era assai ricca, tanto da divenire la principale risorsa dell’Occidente.
Dopo la crisi del ‘56 l’Egitto si era fatto sostenitore di una nuova unità della nazione araba; d’altra parte le
popolazioni arabe evacuate nel ‘48 dai territori occupati da Israele mantennero la loro identità palestinese e,
negli anni ‘60 si costituì l’organizzazione per la liberazione della Palestina (olp).
Alla base di questi sviluppi cera pur sempre l’ostilità verso Israele che, quando l’Egitto decise di chiudere il
golfo di Aqaba alle sue navi, attaccò di sorpresa Egitto, Giordania e Siria. La guerra, detta “dei 6 giorni” si
concluse con l’occupazione da parte di Israele del Sinai e di altri territori.
In seguito alla guerra dei sei giorni del 1967, un’ondata di profughi si riversò in Giordania, Libano e Siria. La
nuova umiliante sconfitta alimentò la volontà di rivincita degli stati arabi e la lotta del popolo palestinese si
radicalizzò, prendendo nel 1968 la via del terrorismo.
Successivamente intervenne l’ONU chiedendo ad Israele di ritirarsi dai territori occupati e ad aprire trattative
con gli stati arabi, riconoscendosi a vicenda.
Per l’Unione Sovietica, che li aveva sostenuti politicamente e militarmente, la sconfitta dei paesi arabi fu un
duro colpo che si aggiunse alle difficoltà derivanti dalle aspre tensioni con la Cina.
Intanto altri scontri caratterizzarono l’Europa orientale, dove la Cecoslovacchia nel ‘68 fu incaca dalle truppe
LA GUERRA FREDDA
Termine utilizzato per la prima volta nel 1947 da giornalisti statunitensi che concordavano nel definirlo un
conflitto inevitabile, dovuto allo scontro tra i valori dell’Occidente e quelli del regime totalitario sovietico.
Quest’ultimo soprattutto, puntava a difendere con la forza l’area di influenza conquistata in Europa grazie
all’avanzata dell’Armata Rossa negli ultimi anni del conflitto mondiale; a questo obiettivo s aggiungeva la
spinta espansionistica verso la regione balcanica, che aveva da sempre contraddistinto la politica estera della
Russia zarista. L’URSS era dunque un nemico totale per gli USA e per le civiltà occidentali, da tenere sotto
controllo. La particolarità di questo periodo consisteva nel grande sviluppo tecnologico per la realizzazione
di armamenti che configurò una sorta di “equilibrio del terrore” in cui la sicurezza nazionale si identificava
sempre più con la capacità di nuocere al nemico.
Secondo i “revisionisti” gli USA avevano maggior responsabilità nello scatenamento della guerra fredda, in
quanto alla fine della guerra, essi instaurarono un nuovo ordine mondiale grazie alla loro indiscussa
supremazia economica che però, escluse l’URSS; il piano Marshall aveva assunto il significato di una sfida
lanciata all’URSS in un campo sul quale i sovietici non erano in grado di competere (quello degli aiuti
economici).
Inoltre ricordiamo che l’equilibrio bipolare ha congelato nel tempo una serie di conflitti locali, che dopo la
fine dell’URSS sono riemersi in tutta la loro valenza destabilizzante per gli equilibri complessivi del mondo.
LA DECOLONIZZAZIONE...
La Carta delle Nazioni Unite approvata nel 1945 riconobbe l’esistenza di territori non autonomi e riprese l’idea del
mandato, attribuendo ai governi coloniali il carattere di amministrazioni fiduciarie temporanee: la novità fu
l’introduzione di controlli periodici da parte di commissioni d’inchiesta dell’ONU per accertare i progressi compiuti
verso l’indipendenza. Inoltre, la Gran Bretagna e la Francia dovettero allentare il proprio controllo politico e militare
sulle colonie (in seguito al conflitto mondiale), ma le politiche da loro seguite furono diverse:
1. La Gran Bretagna dichiarò l’intenzione di estendere lo status di dominion del Commonwealth a tutti i suoi
possedimenti coloniali e su questa base non osteggiò la decolonizzazione in cambio di rapporti economici,
commerciali e politici privilegiati;
2. la Francia d'altro canto osteggiò questo processo, rendendolo più aspro attraverso le guerre.
Gli Stati Uniti attuarono una strategia di imperialismo informale, concedendo al Giappone e all’Europa occidentale
aiuti in denaro per favorire la ripresa economica e controllare in modo indiretto la vita politica e la gestione delle
risorse: ovviamente le due potenze precedenti non avevano i mezzi per sostenere una tale strategia.
...IN ASIA
Il Giappone aveva cercato di suscitare movimenti indipendentistici per accrescere e diffondere la mobilitazione
attorno agli obiettivi della libertà nazionale e dell’autogoverno; era riuscito inoltre a sconfiggere e umiliare le
potenze coloniali europee, ottenendo sia l’appoggio e la collaborazione da parte dei leader dei movimenti
anticoloniali, sia l’opposizione come avvenne in Malesia, dove i leader organizzarono una guerriglia antigiapponese
con il sostegno degli alleati; in altri ancora combatterono sino al raggiungimento dell’indipendenza. Nel 1947 la
conquista dell’indipendenza da parte dell’India mostrò a tutta l’Asia che l’obiettivo era raggiungibile:
l’indipendenza proclamata per l’India, comportò però un problema molto grave tra la maggioranza hindi e la
minoranza musulmana. Gandhi a tal proposito aveva sostenuto la possibilità di integrare la popolazione di
fede islamica in uno Stato unitario, ma la lega musulmana rivendicava la creazione di una nazione separata; il
Le Filippine nel 1946 furono il primo paese asiatico a raggiungere l’indipendenza ma, furono caratterizzate da
un movimento di guerriglia comunista che non riuscì a mutare gli equilibri politici, dando vita ad un governo
debole, retto dal Partito laburista che, rimase fedele agli USA ma non riuscì ad attuare uno sviluppo
economico autonomo.
Nel 1945 la Gran Bretagna concesse alla Birmania lo status di dominion e iniziarono una serie di colloqui con i
movimenti nazionali del paese in particolare con la Lega popolare antifascista per la libertà; anche qui la
conquista della sovranità, da parte della Lega popolare antifascista, coincise con l’accendersi nel sud del paese
di un focolaio di guerriglia comunista.
Le attività di guerriglia proseguite dopo il conseguimento dell’indipendenza in diversi paesi asiatici rispondevano a
una doppia logica:
1. protesta contro le ineguaglianze della società rurale, che il colonialismo aveva aggravato, a causa dell’incontro
con l’economia monetaria dei pesi sviluppati che sconvolse li equilibri sociali delle campagne; la proprietà
della terra si concentrò in poche mani e l’economia di autoconsumo delle famiglie contadine fu distrutta.
Furono proprio queste masse di contadini poveri il luogo ideale per la guerriglia.
2. La seconda logica era legata invece alla guerra fredda e all’appoggio dell’URSS, che puntava a mutare i
rapporti di forza globali sostenendo dal punto di vista politico e finanziario i movimenti di guerriglia.
Bisogna poi aggiunger ei casi in cui la guerriglia fu alimentata da minoranze etniche.
L’AFRICA SUBSAHARIANA
Nell’Africa Subsahariana tra il 1956 e 1968 tutti i paesi dell’area uscirono dal colonialismo, tranne le colonie
portoghesi dove si svolsero lunghe guerre di liberazione e a cui solo la caduta del regime salazarista aprì le porte
dell’indipendenza.
L’indipendenza in africa fu guidata da leader formatisi spesso nelle università europee e sostenuta da élite
urbane collaboratrici delle amministrazioni coloniali; si ispirò a modelli occidentali di sviluppo industriale e
urbano, che furono finanziati e gestiti dallo stato. Le comunità di villaggio vennero eliminate a tutto vantaggio
di nuove istituzioni modellate su esempi occidentali.
L’unico punto di debolezza erano le differenze e i difficili rapporti tra le nazioni africane (che ad esempio
mantennero come lingue ufficiali il francese e l’inglese per comunicare tra loro con più facilità), il cui risultato
fu un’involuzione autoritaria: le società rurali ritirarono il proprio appoggio ai ceti politici nati con
l’indipendenza, che a loro volta si videro costretti a far uso della forza per conservare il potere.
Un altro effetto della fragilità dei novi stati africani fu la persistenza di forme neocoloniali di subordinazione e
sfruttamento economico: governi e compagnie private occidentali, interessati alle risorse del continente,
lasciavano l’esercizio del governo alle élite africane ma le ricattavano o corrompevano con la forza del denaro.
La dipendenza dai mercati e dai capitali internazionali impedì così lo sviluppo economico dei paesi africani,
che rimasero fondamentalmente esportatori di materie prime e i portatori di prodotti finiti.
In ogni caso l’indipendenza del Sudafrica e della Rodesia del Sud dalla Gran Bretagna non fu propriamente un
processo di decolonizzazione, perché venne proclamata dalle minoranze bianche dei due paesi allo scopo di
preservare il proprio potere. Questo comportò molteplici movimenti d’opposizione della maggioranza nera
che diede inizio a rivolte e proteste, a cui il regime rispose con una dura repressione. Il più forte di tali
movimenti su l’African National Congress, il cui maggior esponente fu Nelson Mandela che venne arrestato.
L’AMERICA LATINA
Anche per l’America Latina il problema dominante era lo scambio ineguale con le economie occidentali a cui, i
regimi populisti risposero con barriere doganali protezionistiche e uno sviluppo industriale fortemente sostenuto
dallo Stato.
Il populismo trovò il suo punto di riferimento in Argentina con la fondazione di una dittatura personale sul
Partido laborista, espressione dei sindacati. Indebolito da una crisi economica e dalla ripresa della
conflittualità sociale, il dittatore venne esiliato, senza esser riuscito a risolvere la situazione (anzi aveva dovuto
ricorrere all’indebitamento estero, data la scarsità di capitali).
Un punto di svolta per l’intero continente si ebbe con la rivoluzione cubana: attraverso un golpe si era posto
fine all’esperimento populista e, d’altra parte, il nuovo regime strinse un patto di assistenza militare con gli
Stati Uniti (tornò un modello di sviluppo subordinato agli americani) sviluppando un movimento di guerriglia
guidato da un giovane avvocato, Fidel Castro.
Egli con le sue riforme fece perdere alle compagnie zuccheriere americane 600mila ettari di terra e, gli Stati
Uniti gli negarono ogni sostengo economico: questo lo spinse ad accordarsi con l’Unione Sovietica per la
vendita di zucchero in cambio di crediti finanziari.
Questo spiega l’azione da parte di Kruscev, il quale affermò l’intenzione di voler proteggere Cuba con i propri
missili nel caso in cui gli Stati Uniti fossero intervenuti (nel 1960 il presidente degli USA aveva proclamato il
blocco commerciale dell’isola)..
IL MONDO POSTCOLONIALE
Gli anni ‘60 del ‘900 chiusero un ciclo che si era aperto mezzo millennio prima: una vera e propria “età
europea” contrassegnata dalle scoperte geografiche, dall’egemonia tecnologica, commerciale e militare del
vecchio continente. Nuovi soggetti irruppero sulla scena della storia, mettendo in crisi questo plurisecolare
predominio.
Nei paesi decolonizzati si sono sviluppati anche filoni di studi, spesso definiti post-coloniali che, hanno messo
in luce gli intrecci di identità e culture tra colonizzatori e colonizzati: il che significa che bisognerebbe ad oggi
considerare non più solo ed esclusivamente il modello di modernizzazione occidentale. Una testimonianza è
stata data dai cosiddetti NICS, ovvero da quei paesi del Sud.est asiatico come Singapore, Taiwan, Corea del
Sud e Hong Kong che sono stati definiti “paesi di nuova industrializzazione” e pare, abbiano posto fine al
Terzo Mondo.
LA GERMANIA
Quasi completamente distrutta la Germania uscì dalla guerra divisa in 4 zone d’occupazione assegnate agli eserciti
vincitori: inglese, francese, statunitense e sovietico. Stessa ripartizione riproduceva Berlino. La guerra fredda
trasformò la questione tedesca in uno scontro USA-URSS.
Dal 1948 le zone sottoposte al controllo angloamericano furono unificate nelle mani degli Stati Uniti, che
destinarono ad esse una quota crescente di aiuti finanziari.
Le elezioni politiche della Repubblica federale tedesca (ovest) del ‘49 dettero la maggioranza all’Unione
cristiano-democratica e all’Unione cristiano-sociale contro il Partito socialdemocratico. Il nuovo cancelliere
optò per una politica di integrazione occidentale fondata su rapporti privilegiati con USA e Francia.
La produzione industriale raggiunse livelli altissimi e tra i più rapidi in Europa; la cdu accrebbe i propri
consensi fino a conseguire la maggioranza assoluta, mentre il Partito comunista venne messo fuorilegge.
Nel ‘59 la spd formulò un nuovo programma fondato sul pluralismo, alliberà concorrenza, il patto sociale tra
operai e imprenditori al posto della lotta di classe, la fedeltà all’Alleanza atlantica al posto del neutralismo.
Contemporaneamente la cdu si indebolì e fu costretta ad una coalizione con la spd. Il leader socialdemocratico
divenne anche Ministro degli Esteri e, nel ‘69 si formò una nuova maggioranza tra spd e liberali costringendo
all’opposizione il Partito cristiano-democratico.
La Germania Ovest riconobbe quella dell’Est, pur continuando a negare la natura democratica del suo regime.
Questa discordia terminò nel ‘73 quando le Nazioni Unite le ammise entrambe.
LA FRANCIA
Anche la Francia uscì dalla guerra profondamente divisa tra le forze che avevano collaborato con gli occupanti
tedeschi e quelle della resistenza antinazionale; tra queste ultime una figura di spicco fu rivestita dal generale De
Gaulle, esponente di una destra moderata indipendente dai partiti tradizionali.
LA SVEZIA
Le elezioni del 1948 confermarono ai socialdemocratici la maggioranza relativa.
Una delle ragioni che permise alla Svezia di godere di una grande stabilità politica risiedeva nell’equilibrio di
una società che era riuscita a modernizzare la propria agricoltura, grazie a solidi rapporti tra piccoli e medi
proprietari terrieri.
L’avvio dell’industrializzazione e la crescita del movimento sindacale avvennero all’interno di questo quadro
istituzionale, predisposto all’integrazione di misure assicurative sanitarie e pensionistiche rivolte a tutti i
cittadini anziati senza distinzioni, finanziate dalla fiscalità generale.
Il welfare state mantenute inalterate queste caratteristiche anche nella fase del dopoguerra: durante gli anni ‘50
il paese fu retto da una coalizione formata da socialdemocratici e dal Partito dei contadini che riuscì a coprire i
costi sociali e a garantire la qualità dei servizi pubblici, optando per una rigida politica fiscale di tasse sui
redditi.
Anche in politica estera la Svezia mantenne inalterata la sua posizione: restò neutrale e si adoperò per la
costituzione di un Consiglio del Nord tra i paesi dell’area scandinava, per suggerire misure di cooperazione
politica, economica e culturale.
La fine degli anni ‘60 segnò l’esaurimento del modello svedese: l’invecchiamento della popolazione e la
diminuzione degli operai occupati affiancata alla crescita del pubblico impiego, resero più problematico il
finanziamento dei servizi assistenziali erogati dallo Stato, ma e tuti solo grazie ad una politica fiscale sempre
più pesante.
L’EUROPA MEDITERRANEA
L’Europa meridionale faceva eccezione nel quadro politico dell’Europa occidentale, con due regimi dittatoriali
sopravvissuti in Spagna e Portogallo.
In Spagna nel 1947 Franco restaurò la monarchia e si pose come punto di equilibrio tra i diversi centri di potere,
compresa la Chiesa cattolica, la l’alleanza fu rafforzata da un concordato con la Santa Sede. Dal punto di vista
della modernizzazione, la Spagna visse nell’ombra e in una condizione appartata rispetto al resto del mondo;
quando Franco morì nel ‘75 il potere passò nelle mani di uso nipote Alfonso XIII, il quale aprì la strada alla
democrazia, legalizzando i partiti e indicendo libere elezioni.
In Portogallo la fine della guerra vide un prolungamento del potere personale di Salazar che visse un processo
di involuzione autoritaria, legato alla battaglia combattuta contro la guerriglia dei movimento indipendi sti i
nelle colonie africane. Dopo la morte di Salazar, il suo successore concesse modesti margini di autonomia alle
colonie che però non risolsero il problema e, nel ‘74 un movimento di ufficiali democratici effettuò un colpo di
Stato. Il nuovo regime conoscesse subito l’indipendenza alle colonie, le nuove elezioni libere dettero la
vittoria al Partito socialista e venne approvata una nuova Costituzione repubblicana.
A metà degli anni ‘70 i paesi della penisola iberica innescarono quella che è stata definita la “terza ondata” della
democrazia, dopo quella ottocentesca e quella dell’immediato dopoguerra legata alle decolonizzazione.
AMERICANIZZAZIONE E MODERNIZZAZIONE
Nel secondo dopoguerra i paesi dell’Europa occidentale che facevano parte del blocco atlantico furono
caratterizzati dall’intreccio di modernizzazione e americanizzazione. La trasformazione da paesi
prevalentemente rurali e agricoli a paesi prevalentemente urbani e industriali avvenne all’insegna di un
modello economico e culturale che si richiamava apertamente agli Stati Uniti.
Secondo l’interpretazione di Maier, la visione “americana” del secondo dopoguerra si fondava sull’aggancio
dei salari alla produttività: più merci produciamo, più soldi abbiamo, più cose possiamo comprare. Il
conseguente coinvolgimento dei lavoratori nel sostengo della domanda interna generò un circolo virtuoso i
incremento costante del prodotto nazionale lordo e del reddito pro capite. C’è chi però ha ridimensionato la
portata economica e finanziaria degli aiuti statunitensi connessi al piano Marshall, sostenendo che in un
L’ITALIA REPUBBLICANA
In Italia la ripresa postbellica fu caratterizzata da un’integrazione delle masse popolari nelle istituzioni politiche, che
si tradusse in un’ascesa di grandi partiti di massa e nell’elaborazione, da parte dell’Assemblea costituente, di una
nuova Costituzione eletta dal popolo: si realizzavano le aspirazioni dell’ala radicale del Risorgimento.
Ma l’Italia del 1945 era anche profondamente divisa:
1. nel Meridione il conflitto era terminato da più di un anno, i prezzi continuavano a salire, l’autorità della
monarchia non era mai venuta meno e la presenza di partiti antifascisti era più dispersa e frammentata.
2. Nel Nord la lotta partigiana aveva rafforzato il cln (Comitato di Liberazione Nazionale), incutendo la
realizzazione di un governo di sinistra.
Ovviamente anche i partiti, dopo una lunga clandestinità, si erano riaffacciati alla vita pubblica:
nel 1943 il Partito comunista d’Italia, ribattezzato Partito comunista italiano fu guidato da Togliatti (pci) e il
Partito socialista italiano di unità proletaria (psiup) da Nenni. Negli anni ‘30 la necessità di combattere un
nemico comune, il fascismo, li aveva posti sullo stesso fronte; cera poi anche la Democrazia cristiana (dc)
costituita nel ‘42, che si riproponeva di organizzare politicamente i cattolici e il Partito d’azione (pda) nato
dalla convergenza tra il Partito liberalsocialista e quello di Giustizia e libertà guidato da Parri.
Lo schieramento di destra era occupato invece dal Partito liberale e dalla Democrazia del lavoro; inoltre nel
1944 fu ricostituito a Roma il sindacato, la Confederazione generale italiana del lavoro (cgil).
I partiti avevano acquisito un peso di massa, riempiendo quel vuoto politico aperto dalla crisi del fascismo e
offrendo rappresentanza a masse disabituate da 20anni di dittatura.
Il psiup e il pda sostenevano il cln, vedendo nella Resistenza lo strumento adatto per un radicale rinnovamento
dello Stato e, nonostante gli angloamericani temevano un avvicinamento dell’italia nell’orbita sovietica,
questa prospettiva si concretizzò con la Costituzione del governo Parri nel 1945.
Durante i suoi 6 mesi di governo Parri si occupò delle emergenze più gravi ma senza grandi risultati, per via
delle divisioni tra i partiti e la disorganizzazione della macchina statale. Intanto nel Mezzogiorno crebbe un
movimento “qualunquismo” sulla base del rifiuto della politica, dello Stato e delle tasse; in Sicilia invece
mafia e grande proprietà terriera avevano rinsaldato la loro antica alleanza e minacciavano la scissione
dell’isola dal resto della nazione.
Dissidi sulla data per le prime elezioni portarono alla caduta di Parri e alla sua sostituzione con De Gaspari,
optando per l’idea rivoluzionaria di un passaggio dei poteri ai cln, mantenendo l’Italia nella sfera d’influenza
anglo-americana.
Nonostante l'occupazione militare alleata, i contadini meridionali avevano rivendicato una redistribuzione
della terra con una grande ondata di manifestazioni, scioperi e occupazioni di terre; anche nell’Italia
centro-nord le campagne furono percorse da scioperi e moti di protesta per la conquista di condizioni di lavoro
più eque. Tornarono a fiorire così in tutto il paese le leghe, le cooperative e le organizzazioni contadine
distrutte dal fascismo: nel Nord furono istituiti dei Consigli di gestione comprendenti i rappresentanti degli
operai accanto a quelli dei datori di lavoro; si trattò pur sempre di organismi mai riconosciuti sul piano
legislativo e operarono solo in casi sporadici, tanto da rimanere privi di potere in breve tempo.
Il governatore della Banca d’Italia Einaudi, divenuto poi anche ministro del Bilancio e presidente della
IL MIRACOLO ECONOMICO
Nella seconda metà degli anni ‘50 la struttura produttiva del paese conobbe una profonda trasformazione: per la
prima volta il settore industriale conquistò la maggioranza relativa della popolazione attiva; nonostante ciò, questo
non fu sufficiente a compensare la perdita di posti di lavoro nell’agricoltura. Il processo di industrializzazione
rimase inoltre concentrato, inizialmente, nel “triangolo industriale” Torino-Milano-Genova e poi pian piano si
estese al Veneto, all’Emilia senza però toccare in profondità il Mezzogiorno e diminuire il tasso di disoccupazione,
che fu il più alto d’Europa.
Con la guerra di Corea si era avviato un ciclo economico di rialzo dei prezzi, che aveva investito l’intero mondo
occidentale a partire dagli USA; anche l’Italia partecipò al generale sviluppo economico e la sua industria si affermò
L’ITALIA REPUBBLICANA
In Italia la svolta del 1989-91 (crollo dei regimi comunisti e fine guerra fredda) venne avvertita come una
cesura anche sul piano della politica interna e, di quella che è stata definita “Prima repubblica”. È stato
allora che per molti storici l’Italia repubblicana è finalmente divenuta oggetto di studio; questo non significa
che prima di allora non esistessero ricerche sul quel periodo, ma l’attenzione era soprattutto incentrata sulla
continuità tra fascismo, guerra e dopoguerra. L’attenzione storiografica si era poi concentrata sulla natura e
sul ruolo della Democrazia Cristiana, come interprete decisivo del rapporto tra Italia repubblicana e la
precedente storia del paese. Molti studiosi insistevano sulla collocazione della dc all’interno dell’Alleanza
atlantica, indicando nella scelta di campo occidentale l’elemento determinante negli equilibri della politica
nazionale e soprattutto decisiva per le sorti della nuova repubblica.
Con la morte di Stalin si aprì un periodo di lotte per il potere nel gruppo dirigente, che coinvolse anche l’apparato
militare del paese. Di questo conflitto tra militari e governo approfittò il leader del Partito Kruscev. Il suo atto più
clamoroso fu il rapporto segreto che denunciò il “culto della personalità”, le violazioni della legalità e i crimini del
periodo staliniano. Questo rapporto che doveva essere segreto e riservato ai soli delegati del congresso, fu
pubblicato sul New York Times e costituì un trauma per i comunisti di tutto il mondo.
L’intento di Kruscev era quello di addossare tutte le colpe a Stalin senza mettere in discussione le strutture del potere
sovietico. Egli cercò di limitare gli scontro con i imitarmi, riducendo gli effettivi delle forze armate ma dando
grande impulso alla ricerca scientifica e tecnologica nel campo degli armamenti nucleari e missilistici: nel 1957
l’URSS lanciò in orbita Sputnik, il primo satellite artificiale della Terra.
Un’accorta politica di bilanciamento tra i centri di potere gli permise inoltre di riunificare nella sua persona i ruoli di
capo del governo e segretario del Partito.
Dal punto di vista riformistico, il sesto piano quinquennale fu sostituito con un piano settennale di prospettiva che
fissava meno rigidamente gli obiettivi di produzione: un nuovo piano di edilizia popolare fu avviato, assieme alla
vendita di macchine agricole che incentivarono la produzione agricola. Rimase tuttavia irrisolto il problema relativo
ai consumi, reso più urgente dalla crescita demografica e dai processi di urbanizzazione.
Kruscev fu dimesso nel 1964 e furono eletti un nuovo segretario del Partito, un nuovo capo di governo e un nuovo
capo di stato, tre figure distinte.
LA RESTAURAZIONE BREZNEVIANA
La nuova dirigenza era espressione di un compromesso tra i poteri forti che si erano ribellati a Kruscev: le cariche di
governo e di partito furono nuovamente separate e si tornò al principio della collegialità delle decisioni, ma
gradualmente emerse la supremazia di Breznev.
La vita culturale fu costretta alla clandestinità e si sviluppò il fenomeno di dissenso tra i ristretti gruppi di
intellettuali e scienziati che si battevano per il riconoscimento dei diritti civili e delle libertà individuali.
Alla chiusura politica fece però riscontro un’apertura sul terreno economico:
1. un piccolo benessere fu raggiunto accrescendo gli investimenti nella produzione di beni di consumo e
BLOCCO ORIENTALE
Nel blocco sovietico dei paesi dell’Europa orientale il Comecon, creato nel 1949, sovrintendeva alle relazioni
economiche. La politica di trasferimento degli impianti industriali nell’URSS, rivelatasi costosa e poco produttiva,
lasciò il posto a una politica di integrazione commerciale. L’espansione degli scambi con quest’area corrispose a un
rapporto di fittamente coloniale fondato sullo scambio ineguale di manufatti sovietici con le materie prime e i
prodotti agricoli dell’Est europeo. All’interno di questo rapporto di dipendenza, il Comecon incoraggiò il volume
degli scambi tra i paesi membri e Mosca promosse nel 1955 quello che fu definito il Patto di Varsavia, da
interpretare come il sintomo di una crisi latente, manifestatasi già con la morte di Stalin.
Questi sintomi si verificarono anche in due nazione, quali la Cecoslovacchia e la Germania dell’Est, che erano
industrialmente progredite ma che soffrivano la subordinazione agli interessi sovietici. Nella prima, in seguito ad
una svalutazione monetaria scoppiarono disordini tra i lavoratori di una città industriale; nelle stesse settimane la
rivolta contro le condizioni di vita e di lavoro si estese agli operai edili di Berlino Est e di altri centri della Germania
orientale: l’Armata Rossa intervenne, ma il governo fu costretto ad annunciare un piano di aumenti salariali e
riduzione dei carichi di lavoro. Le due nazioni si concentrarono nel campo dell’alta tecnologica, aprendo
progressivamente piccoli spazi alla crescita dei consumi interni, anche se il reddito medio pro capite continuò ad
accumulare dei ritardi in confronto all’Europa occidentale.
Nel 1956 uno sciopero di operai in Polonia si trasformò in una vera e propria rivolta, domata dalla polizia; il
movimento si trasmise alle università e trovò un obiettivo comune nella richiesta di integrare nel partito Gomulka,
rimasto vittima delle purghe staliniane. Egli fu reinsediato alla segreteria del partito e illustrò alla nazione il
compromesso raggiunto, che prevedeva il rafforzamento dell’alleanza con l’URSS ma anche sulla possibilità di un
possibile ritorno alla proprietà privata in agricoltura, sulla libertà religiosa e sulla democratizzazione del partito. Il
compromesso funzionò e gli spazi a disposizione dell’iniziativa privata nel commercio e nell’artigianato si era
I MASS MEDIA
Mass media è un termine entrato nell’uso comune per indicare i mezzi di comunicazione di massa. Lo
straordinario sviluppo da essi conosciuto nel corso del XX secolo ha sollecitato il mondo della ricerca
scientifica. La comunicazione è stata vista come la chiave di lettura privilegiata dell’intera storia dell’umanità,
destinata a prendere il sopravvento sugli stessi contenuti e a rappresentare il vero motore della storia umana.
L’invenzione della stampa ad esempio, rese possibile la standardizzazione delle lingue nazionali e facilitò
l’opera di centralizzazione degli stati, ma al tempo stesso la natura portatile del libro garantì una fruizione
individuale e libera della cultura. Anche la trasmissione delle informazioni assunse la funzione di leva
decisiva per una rivoluzione del controllo, che restituisse all’uomo padronanza dei processi messi in
movimento dall’industrializzazione.
Allo stesso tempo la storia dei media è stata messa in relazione con i progressi della scienza e della tecnologia.
Per ben tre secoli la tecnica di stampa rimase inalterata perché le mancava lo stimolo determinante di una
domanda in crescita; solo con le rivoluzioni borghesi di fine ‘700 nacque un’opinione pubblica nel senso
moderno del termine, sempre più affamata di notizie e di stampa. In ogni caso, la storia dei mass media
insegna che un nuovo medium non cancella i precedenti, non causa la scomparsi di essi, ma certa ed evidente
sarà una radicale trasformazione.
LA SVOLTA
La golden age incrementò l’interdipendenza e la globalizzazione del mondo;
la guerra fredda tra USA e URSS inserì anche i paesi più periferici nella logica bipolare e incrementò gli
scambi internazionali;
la decolonizzazione introdusse le forme istituzionali dello Stato-nazione in zone dell’Asia e dell’Africa che
non le avevano mai conosciute;
lo sfruttamento delle risorse divenne lo strumento migliore per raggiungere la modernità.
Sul finire degli anni ‘60 questi processi giunsero a un punto di esaurimento:
La svolta si ebbe nel periodo 1968-73 che mise in moto nuovi grandiosi processi di trasformazione: alla
contestazione giovanile esplosa nel ‘68 il blocco occidentale e quello sovietico reagirono in due modi differenti:
1. il baricentro delle economie si spostò dall’industria al terziario, si svilupparono nuove tecnologie e diversi
paesi periferici abbandonarono i loro regimi autoritari facendo ritorno alla democrazia (America Latina);
2. l’invasione della Cecoslovacchia segnò un’involuzione interna segnata da un autoritarismo delle libertà civili
e dei consumi privati; con la sconfitta statunitense nel Vietnam, ci fu un rinnovato espansionismo militare
sovietico nel Corno d’Africa e in Afghanistan. D’altra parte però, l’URSS e i paesi del blocco entrarono in un
periodo di grande crisi, dovuto al crescente ritardo della produzione agricola e dell’alta tecnologia, che si
concluse solo nel 1989-91 con la disgregazione dell’URSS e dei regimi dell’Est europeo.
Intanto, se l’Occidente intraprese un percorso di deindustrializzazione, in asia le cosiddette “quattro tigri” divennero
paesi esportatori in occidente di prodotti industriale, di abiti e auto (Corea del Sud, Hong Kong, Taiwan e
Singapore).
IL NEOLIBERISMO
Nel dicembre 1978, il successore di Mao, Xiaoping avviò una politica detta delle “4 modernizzazioni”: agricoltura,
industria, scienza e difesa.
Furono create zone economiche speciali adibite alla sperimentazione di forme di cooperazione con i mercati
internazionali e gli investimenti esteri;
la politica del figlio unico fissò quote locali obbligatorie di contenimento delle nascite;
nell’industria di stato si introdussero criteri di autonomia e responsabilità nel reinvestimento dei profitti.
Era una svolta radicale presa tenendo conto dei fallimenti delle politiche economiche e stataliste dei decenni
precedenti. Pur conservando il regime politico monopartitico, la Cina si aprì a un’economia di mercato, in cui il
profitto individuale tornava a orientare le scelte dei contadini e in meno di un decennio, più di un quarto della
popolazione uscì da una condizione di povertà.
Intanto in Gran Bretagna ascesa al ruolo di Primo ministro una donna: Margaret Thatcher, leader dei osservatori
inglesi che mantenne la carica dal ‘79 al ‘90. Ella riuscì a mutare la base sociale del Partito conservatore, che si
estese notevolmente e, migliorò il suo status attraverso la libera iniziativa imprenditoriale.
Il primo avversario da battere furono le potenti centrali sindacali: impose una politica di cancellazione dei
vincoli sindacali, amministrativi, contabili e fiscali gravanti sulle aziende, che ritrò dallo Stato e restituì ai
privati;
furono privatizzate molte industrie di Stato e si approfondirono le disparità retributive tra i lavoratori più
qualificati e il resto della classe operaia;
fece inoltre appello al sentimento nazionale con la guerra delle Isole Falkland, colonia britannica al largo delle
coste argentine, occupata dalla dittatura militare argentina e sottratta nel 1982: la lady di ferro costituì un corpo
IL RIARMO
Nel 1981 iniziarono a Ginevra negoziati USA-URSS per decidere riguardo gli euromissili: le trattative vennero però
rallentate dalla lunga fase di transizione che si aprì al vertice del Cremlino con la malattia e la morte di Breznev e
dei due suoi successori. Inoltre il gruppo dirigente sovietico si dimostrò molto debole sul piano internazionale e
all’interno con un declino della crescita economica, infatti le spese militari pesavano molto più sul reddito dei
cittadini. Questo però non era un problema della sola URSS, in quanto il calo della produzione e l’aumento dei
prezzi interessavano quasi tutti i paesi dell’Est europeo.
Nel 1986 la rottura del reattore nucleare di Chernobyl, in ucraina, provocò l’evacuazione di tantissima gente e la
contaminazione di una vastissima area che rivelò l’arretratezza tecnologico dell’URSS difficilmente sopportabile:
un terzo dei macchinari industriali sovietici era importato dalla Germania Ovest. Quando l’ala militare del Cremlino
si trovò di fronte a chiari insuccessi in Afganistan e in Europa, dovette rassegnarsi all’elezione al vertice del Partito
di un riformista: Gorbachev (1985).
In tutto ciò, le spese militari americane quasi raddoppiarono e permisero di installare un sistema integrale di armi
satellitari a tecnologia laser che avrebbe garantito la sicurezza assoluta del territorio degli USA. Allo stesso tempo, il
presidente degli Stati Uniti propose, ai negoziati di Ginevra, l’sdi: la cosiddetta opzione zero cioè l’annullamento dei
sistemi missilistici puntati in Europa da USA e URSS. Questa scelta però creò un atmosfera di diffidenza da parte
dell’Europa: rinunciare a difendere direttamente con gli euromissili il suolo europeo venne interpretato come una
mossa neoisolazionista, dettata da un nuovo “egoismo” americano.
L’AMERICA LATINA
Nell’America Latina la sconfitta dei militari argentini nella guerra delle Falkland riaprì le strade della democrazia
all’intero continente. Nel giro di sette anni tornarono al potere governi civili e vennero ripristinate le libertà
fondamentali ad esempio in Argentina e Brasile. A sostenere questa evoluzione furono sia gli USA, poco disposti a
sostenere regimi che creavano problemi e, la mobilitazione delle società civili nazionali che diedero vita ad
associazioni, partiti e movimenti.
IL SUDAFRICA
Una svolta si ebbe nel 1989 con la fine della guerra fredda, quando il primo ministro avviò trattative con i
rappresentanti della popolazione nera e, quando l’anno successivo Nelson Mandela venne scarcerato. Durante le
elezioni del 1994 (le prime paritarie per bianchi e neri) assegnarono la maggioranza al partito di Mandela,
portandolo alla presidenza della repubblica.
IL “MIRACOLO ASIATICO”
Nuovi poli di sviluppo nell’economia mondiale crebbero negli anni ‘80: il primo di essi fu costituito dal Giappone
che tenne testa alle nazioni occidentali. I fattori chiave di questa crescita erano essenzialmente due:
1. la piena occupazione;
2. le esportazioni.
La disoccupazione rimase praticamente è nulla, oscillando attorno al 2% della popolazione attiva. Si cominciò a
parlare di un “modello giapponese” di capitalismo fondato su particolari valori comunitari di attaccamento alla
nazione e alla propria azienda. Né derivarono nuove concezioni di organizzazione del lavoro, diffuse poi largamente
anche in Occidente; tra queste ricordiamo il “toyotismo”, un modello organizzativo che consentì all’industria
giapponese di sviluppare una presenza competitiva nei mercati esteri, pur continuando a proteggere dalla
IL CASO ITALIANO
Le difficoltà sociali ed economiche dell’Italia negli anni ‘70 erano abbastanza evidenti:
per far fronte al crescente deficit del bilancio si ricorse a un’espansione del debito pubblico emettendo Buoni
ordinari del tesoro a rendimenti molto convenienti. La spesa per il pagamento degli interessi sui titoli di stato
passò dal 5% al 14% delle uscite dello Stato;
il tasso di occupazione salì specialmente tra i giovani e, le università furono percorse da nuove ondate di
agitazioni che mostravano una vicinanza ai gruppi terroristici;
Anche nei settori della dc che facevano capo al presidente del partito, Aldo Moro, si fece strada l’idea della
necessità di un cambiamento. Nel 1978 il nuovo governo guidato da Andreotti nacque con l’astensione dei comunisti:
nelle stesse ore Moro fu rapito e poi ucciso dalle Brigate rosse,mentre il terrorismo aveva raggiunto il culmine e
segnato la nascita del governo di “solidarietà nazionale”, che assunse l’obiettivo di stroncarlo anche con una
legislazione repressiva.
Gli anni cosiddetti di piombo furono superati a partire dal 1980, con l’adozione di decreti che premiavano con
riduzioni di pensa i collaboratori di giustizia, i pentiti che uscivano dalle organizzazioni terroristiche dopo aver
constatato il fallimento dei loro progetti rivoluzionari. Da allora lo stato riguadagnò una propria efficacia (con il
generale Dalla Chiesa)fino ad estirpare il fenomeno alla metà degli anni ‘80.
L’inclusione del pci nella maggioranza di governo fu tuttavia di breve durata: tranne Moro, nessuno nella dc
pensava davvero ad un progetto riformatore. D’altra parte la mancanza di alternanza al governo bloccava il sistema
dei partiti e impediva il ricambio del personale politico, assegnando la gestione del potere a gruppi incontrollabili:
questo favorì o sviluppo di fenomeni di la corruzione a cui si aggiunse un’inchiesta giudiziaria riguardante una
loggia massonica segreta denominata “P2”, volta a spostare a destra la situazione politica attraverso una serie di
intrecci tra affari e politica.
Il pci tornò al consueto ruolo di oppositore e la dc continuò a governare, anche se indebolita dagli scandali rispetto
al Partito socialista, suo alleato più importante e meno malleabile. Approfittando della debolezza della dc, il
segretario del psi Craxi salì al governo con l’obiettivo di modernizzare il paese. Il primo obiettivo negativo di questo
progetto fu il movimento sindacale:
Craxi optò per un taglio di 3 punti della “scala mobile”, il meccanismo di adeguamento automatico dei salari al
costo della vita, contro cui il pci promosse manifestazioni e un referendum abrogativo che riscosse solo il 45%
dei voti.
Nonostante questo intervento, la spesa pubblica continuò a salire come anche il debito pubblico che raggiunse il
92% del PIL nel 1987. Di fatto il disegno di modernizzazione del psi sembrò essere un’imitazione dei metodi di
governo della dc.
Gli investimenti pubblici nelle aree depresse seguivano strade poco trasparenti che, nel mezzogiorno, videro la
ripresa della mafia che nel 1982 giunse a uccidere il generale Dalla Chiesa, inviato in Sicilia a coordinare l’azione
repressiva dello Stato. : si stima che alla fine degli anni ‘80 più del 10% del PIL italiano fosse frutto di attività legate
a organizzazioni criminali, le quali detenevano ormai un peso così rilevante da permetterle di condizionare il potere
Al di fuori dell’Asia, un regime comunista sopravvisse soltanto nell’isola di Cuba che dovette affrontare la perdita
delle fornitura sovietiche con evidenti disagi per la popolazione, compensati però dall’efficienza del sistema
sanitario.
LE NUOVE GUERRE
La guerra del golfo sancì la fine dell’URSS come superpotenza, ma restituì la dignità internazionale al ruolo
dell’ONU pur sempre però sotto l’egemonia militare degli USA.
Nonostante il successo ottenuto ocn la guerra del golfo, alle elezioni del 1992 Bush venne sconfitto dal democratico
Clinton e, decisive furono le apprensioni legate alla situazione economica e soprattutto al crescere della
disoccupazione che aveva cominciato a risalire. Clinton venne rieletto nel 1996, grazie ad una congiuntura
economica favorevole che riportò la disoccupazione sotto il 5% (contro una media europea più che doppia).
Sempre presente fu il problema inerente alle ineguaglianze sociali ed economiche che si sovrapponevano alla
I FONDAMENTALISMI RELIGIOSI
Gli accordi di Oslo e il timido sostegno da parte della comunità internazionale, contribuì a garantire uno stato di
minorità dell’Autorità nazionale palestinese, insediatasi nei territori occupati da Israele. L’esclusione dall’accesso
alle risorse naturali, la dipendenza dall’economia israeliana e soprattutto la prosecuzione degli insediamenti di
coloni israeliani in Territori palestinesi, indebolì le componenti laiche e moderate guidate da Arafat (principali
responsabili del recesso di pace). Tra i palestinesi crebbe l’influenza del movimento islamista Hamas (movimento
islamico di resistenza) che attuò una serie di attentati terroristici. Il primo ministro Barak rispose positivamente alle
forti sollecitazioni americane per una conclusione della pace e, gli incontri svoltisi a Camp Davide nel 2000
portarono Barak e Arafat a un passo dall’accordo. Il problema riguardava la loro autorità, non sufficiente a imporre
all’opinione pubblica una via di pace. Alla fine dell’anno l’offensiva terroristica di Hamas riprese e il governo di
Israele tornava in mano alla destra con il generale Sharon.
Gli accordi di Oslo sembravano ormai aver perso potere e, a questa drammatica situazione si aggiunse l’emergere
nella regione di due nuovi soggetti religiosi e politici: i coloni israeliani nei territori occupati e il fondamentalismo
islamico. Nel 2006 le elezioni tenute nella striscia di Gaza portarono alla vittoria di Hamas che espulse i
L’UNDICI SETTEMBRE
L’11 settembre 2001 un attacco terroristico dirottò alcuni aerei di linea statunitensi e li fece schiantare contro due
luoghi-simbolo del potere americano: le torri gemelle del World Trade Center a New York e il Pentagono (sede del
Ministero della Difesa) a Washington. Più di 3000 furono le vittime e la Casa Bianca considerò quell’attacco come
una sorta di tradizionale dichiarazione di guerra. I servizi segreti statunitensi e britannici attribuirono la
responsabilità ad Al Qaeda (la base in arabo), organizzazione clandestina diretta da bin Laden che difatti ne
rivendicò la paternità negli anni successivi.
Il nuovo presidente George Bush eletto nel 2000 proclamò la “guerra del terrore” e, diede vita a una delle coalizione
diplomatiche più ampie della storia: l’offensiva militare che gli USA scatenarono contro l’Afghanistan venne però
condotta con la sola partecipazione di truppe britanniche. Dopo due mesi di interrotti bombardamenti, gli Stati Uniti
non riuscirono a catturare bon Laden e a smantellarne la rete terroristica. Il tentativo dell’Occidente di combattere il
terrorismo costruendo dall’esterno istituzioni rappresentative inclusive dovette prendere atto del perdurante
predominio dei clan familiari che erano alla base della società civile afghana (più forte e radicata di qualsiasi altro
partito e meccanismo elettorale). Nel 2003 questa consapevolezza sfuggiva alla presidenza degli USA e Bush decise
L’EUROPA DELL’EURO
Nel 1992 i paesi membri della Comunità europea, riuniti a Maastricht, sottoscrissero un accordo che prevedeva entro
il 1999 la creazione di una moneta unica: venne così affermata una rigida teoria monetaria che fissava stretti vincoli
ai paesi della Comunità ma lasciava in ombra il problema della disoccupazione. All’inizio del 2002 l’euro venne
adottato da tutti i paesi dell’Europa occidentale con l’eccezione della Gran Bretagna. L’integrazione monetaria era
un passo importante sulla via di un’effettiva Unione Europea, tuttavia, il traguardo di una piena autonomia e unità
nel campo della difesa militare e della politica estera era ancora lontano. Nel processo di unificazione europea
convivevano due impostazione e due dinamiche assai diverse:
1. quella di una formazione intergovernativa (con la conseguenza di alleanze variabili tra nazioni) che tendeva ad
assegnare un ruolo privilegiato alle periodiche riunioni dei capi di stato e governo e a quelle dei ministri dei
paesi;
2. quella di un’architettura istituzionale sovraordinata ai governi nazionali, con un’indipendente capacità di
scelta e di condizionamento che si esprimeva nel parlamento, eletto a suffragio universale dal 1979, e nella
Commissione europea, una sorta di esecutivo con leader politici dei diversi paesi.
Nel 2005 il progetto di Costituzione europea vene bocciato da referendum tenutisi in Francia e Olanda, ma il
cammino dell’integrazione non si interruppe. Il trattato di Lisbona, firmato nel 2007 e approvato di parlamenti
nazionali, assegnò maggior peso al presidente della Commissione europea, eletto dal parlamento.
Uno dei paesi europei più importanti, fuori dalla moneta era la Gran Bretagna: rivalità interne al partito
conservatore avevano posto fine nel 1991 al governo Thatcher, sostituito da quello di un altro leader
conservatore. Le crescenti difficoltà economiche portarono a una rapida svalutazione della sterlina e, si
IL FONDAMENTALISMO ISLAMICO
Nel mondo di lingua araba e di religione musulmana la decolonizzazione aprì una stagione politica che vide
l’affermarsi di borghesie nazionali laiche, orientate in senso modernizzatore e spesso legate alle forze armate,
come il libico Gheddafi. La loro fede religiosa rimaneva un fatto privato e, il loro atteggiamento nei confronti
dell’Occidente era diffidente a causa del passato coloniale ma non avverso all’apertura di relazioni
commerciali ed economiche. Alla fine degli anni ‘70, molti eventi misero in luce una ripresa dell’influenza di
movimenti a sfondo religioso integralista e panislamico.
L’immagine dell’Islam che spesso viene diffusa in occidente è un’immagine di arretratezza e di intolleranza,
che però molto spesso dimentica la grandezza dell’Islam durante la prima metà dell’età moderna, di gran
lunga superiore a quella dell’Europa cristiana. Uno dei più grandi studiosi della cultura araba Lewis, aiutano
a ritrovare le radici degli odierni fenomeni di integralismo religioso. Il punto di partenza è senz’altro
l’inesistenza di una Chiesa o di un clero: così come in Occidente non sussiste la divisione tra Stato e Chiesa, in
l’Islam è una religione non separabile dalla vita quotidiana. Lo stato islamico è lo strumento di Dio per
aiutare ogni fedele a condurre la vita del buon musulmano secondo l e regole rivelate nel Corano. In linea e di
principio l’Islam non conosce caste né classi: tutti devono sottostare a questo principio. Secondo Lewis è la
mancata separazione tra Stato e religione ad essere all’origine di un deficit democratico del mondo islamico e
di una connaturata debolezza delle istituzioni soggette ai poteri dei clan familiari che si sono formati nel corso
della storia. Molto spesso le élite dirigenti si sono rivelate incapaci di garantire benessere e libertà ai propri
cittadini e, in questo senso, il fondamentalismo ha funzionato da sbocco di un malcontento popolare dovuto al
persistente autoritarismo politico e all’arretratezza socioeconomica di molti paesi. Spesso i leader dei
movimenti fondamentalisti sono autodidatti, estranei al mondo delle università e dei centri di ricerca islamica:
la loro forza non risiede in particolari programmi, ma nella contrapposizione tra fedele e infedele. Peraltro, il
fondamentalismo islamico secondo Kepler sarebbe entrato in una fase di declino, non essendo riuscito a
estendere le sue basi di consenso nel mondo musulmano, al cui interno è rimasto minoritario e spesso
radicalizzato sino a sfociare nel terrorismo.
INEGUAGLIANZA GLOBALE
Per combattere la povertà intrisa in alcune aree del pianeta, centrate soprattutto in Africa, la Banca mondiale e il
Fondo monetario internazionale adottarono una serie di strategie che subordinarono aiuti e investimenti al
contenimento della spesa pubblica, al controllo dell’inflazione, alla revoca delle protezioni doganali. Tali strategie
intendevano estendere agli altri paesi poveri la formula già sperimentata nel Sud-est asiatico: produzione di
manufatti. abbasso costo per i mercati eteri, liberalizzazione degli scambi commerciali, compressione dei salari e
della domanda interna. Le classi dirigenti dei paesi poveri si trovarono dinanzi a una scelta: accettare i prestiti esteri
e curvare la produzione agricola a favore delle esportazioni oppure rinunciare ai prestiti esteri e sviluppare
l’agricoltura secondo la domanda interna. Tutti ricorsero all’indebitamento estero, contribuendo a gonfiare la bolla
finanziaria mondiale.
D’altra parte la povertà persisteva n modo abbastanza stabile anche all’interno dei paesi sviluppati: affiancata a una
crescita costante seppur contenuta del prodotto nazionale, il perdurare di queste sacche di miseria si configurava
come un fenomeno di esclusione e di emarginazione sociale.
LE SFIDE AMBIENTALI
Nell’800 l’uso di energia su scala mondiale era aumentato di 5 volte rispetto al ‘700; nel ‘900 la produzione di
energia crebbe di ben 16 volte. Tra i maggiori effetti di questa crescita esponenziale del consumo dell’energia vi
furono sia l’approfondirsi del dislivello di ricchezza e sviluppo tra le diverse arti del mono, sia l’inquinamento
dell’atmosfera terrestre. Solo nella seconda metà del ‘900 si cominciò a prendere atto che le riserve di gas, petrolio e
anche carbone accumulatesi in milioni di anni si stavano avvicinando all’esaurimento. Questa consapevolezza
sollecitò la ricerca di risorse alternative e minore dispendio energetico, sviluppando l’industria chimica. Un effetto
LA TERZA GLOBALIZZAZIONE
A partire dall’ultimo decennio del XX secolo, questa seconda globalizzazione (avvenuta a partire dalla fine d
del secondo conflitto mondiale) ha conosciuto una forte accelerazione, da giustificare la delimitazione di una
terza ed ulteriore fase autonoma.
L’espansione del mercato capitalistico avviene sempre in connessione con l’ascesa economico-militare di uno
Stato-leader che costituisce il centro del sistema, subordinando a sé le altre nazioni della periferia e della
semiperiferia. Una differenza evidente di questa terza globalizzazione riguarda gli scambi internazionali
concentrati sui manufatti e sui servizi, anziché sulle materie prime.
Secondo antropologi e sociologi, il processo di globalizzazione si riferisce essenzialmente alla dimensione
degli scambi culturali tra le civiltà: le identità personali e collettive, insieme agli stili di vita, si trasformano in
senso globale attraverso il contagio orizzontale che tende a omogeneizzare la cultura di massa senza tener
conto delle frontiere nazionali. Altri studiosi hanno invece teso a cogliere nella globalizzazione a costruzione
di una società mondiale, a tutto vantaggio delle compagnie private multinazionali e delle società finanziarie.
Anche dal punto di vista economico il dibattito si è diviso:i pessimisti sottolineano la crescente distanza che
separata tuttora il continente africano dal resto del mondo, anche per effetto della spoliazione delle sue
risorse naturali da parte delle aziende occidentali; gli ottimisti insistono sula riduzione della povertà in Cina
e sulla crescita di molte economie asiatiche.