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Nel 1945 la Germania venne lentamente stretta in una morsa e i tedeschi furono costretti ad arretrare

su ogni fronte. Ad Ovest l’esercito anglo-americano, grazie allo sbarco in Normandia, era riuscito già
nel 1944 ad occupare la Francia, muovendosi così verso la Germania occidentale. Sul fronte orientale
invece, erano impegnate le Armate rosse che, dopo aver conquistato Varsavia, attraversarono tutto il
restante territorio polacco e in febbraio si trovarono alle porte di Berlino. A questo punto gli Stati
alleati, nel febbraio 1945, si riunirono nella cittadina di Yalta, in Crimea, per riorganizzare lo
scacchiere geopolitico. In questa occasione fu stabilito, da anglo-americani e sovietici, che la
Germania e la città di Berlino sarebbero state provvisoriamente divise in quattro zone di influenza
(francese, inglese, americana e sovietica) e che i popoli dei paesi liberati avrebbero potuto esprimersi
tramite elezioni. Contemporaneamente alla conferenza scattò l’attacco finale, gli americani ripresero
la contro-offensiva sul fronte occidentale mentre i sovietici espugnarono i tedeschi dall’Ungheria per
poi marciare verso Vienna, raggiunta il 23 aprile, e su Praga, liberata il 4 maggio. Gli anglo-americani,
superato il Reno, penetrarono in territorio tedesco. Il 25 aprile le avanguardie alleate si incontrarono
all’Elba con i sovietici che avevano già accerchiato Berlino. Nel maggio del 1945 venne stipulato un
armistizio tra le potenze vincitrici e la Germania, ma mancava ancora il Giappone che fu l’ultima ad
arrendersi continuando la resistenza. Il nuovo presidente americano, Harry Truman, decise così di
ricorrere all’utilizzo della bomba atomica, ponendo fine ad una guerra che altrimenti sarebbe stata
molto più duratura e sanguinosa, la prima fu lanciata ad agosto su Hiroshima, la seconda, tre giorni
dopo, su Nagasaki. In questo modo gli Stati Uniti dimostrarono al mondo intero, ma soprattutto agli
alleati-rivali sovietici, la loro grande potenza militare. La guerra, dunque, si era conclusa in maniera
disastrosa, milioni furono i morti tra ebrei perseguitati e vittime dei bombardamenti. A ciò si
aggiunsero le rivelazioni dei crimini di guerra nazisti, che sconvolsero moralmente l’intera
collettività, ma anche la paura che l’America potesse nuovamente ricorrere alla bomba atomica. Si
diffuse pertanto tra gli Stati un profondo desiderio di rifondare su basi più solide le relazioni
internazionali, così da evitare ogni tipo di conflitto armato. Per questo motivo nel 1945 a S. Francisco
nacque L’Organizzazione delle Nazioni Unite, presente ancora oggi, che ha tra i suoi obiettivi
principali il mantenimento della pace e della sicurezza mondiale e lo sviluppo di relazioni amichevoli
tra le nazioni. Mentre per ricostruire l’economia europea furono siglati, nel 1944, gli accordi di Breton
Woods, con l’intento di creare le condizioni per una stabilizzazione dei tassi di cambio rispetto al
dollaro, eletto a valuta principale, ed eliminare gli squilibri determinati dai pagamenti internazionali.
Per il raggiungimento di questo compito furono istituiti il Fondo Monetario Internazionale e la Banca
internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo, la Banca mondiale, che diventarono operative nel
1946. E’ chiaro che dopo la Seconda guerra mondiale l’Europa perse definitivamente la sua centralità,
le uniche potenze in grado di assumere un ruolo egemonico erano quindi gli Stati Uniti, che oltre a

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vantare una grande superiorità economica avevano una netta supremazia militare, e l’Unione
Sovietica che disponeva di un grande apparato militare ed industriale. Le due superpotenze avevano
combattuto insieme in funzione antitedesca, ma già durante gli ultimi anni della guerra erano emerse
abissali discordanze sul futuro del mondo. Gli Stati Uniti credevano che le potenze europee, prima
tra tutte la Germania, dovessero uniformarsi al modello americano, basato su una certa libertà
economica. Dall’altra parte l’Unione Sovietica, gravemente colpita durante la Seconda guerra
mondiale, pretendeva adeguate riparazioni economiche da parte degli Stati aggressori e garanzie
territoriali contro ogni possibile attacco da Occidente, cosicché Stalin fosse libero di estendere il
proprio dominio senza incontrare regimi ostili. I governi occidentali, gli Stati Uniti con il presidente
Roosevelt e l’Inghilterra con Churchill, si mostrarono in parte favorevoli ad appagare le mire
espansionistiche di Stalin in quanto credevano che solo così si potesse giungere ad uno stato di
equilibrio in tutta Europa, ma la situazione si ribaltò quando Roosevelt morì e salì alla presidenza
Truman che da subito si mostrò meno aperto alle richieste provenienti da Oriente. I contrasti fra Stati
Uniti ed Unione Sovietica erano relativi al futuro della Germania e al controllo che Stalin, dopo la
guerra, esercitava sui territori dell’Europa centro-orientale, occupati dalle Armate rosse.
Emblematico, in questo periodo, fu il discorso di Churchill, pronunciato a Fulton nel 1947 in cui
denunciò il comportamento dei sovietici, parlando della cosiddetta “cortina di ferro” che divideva il
mondo in due blocchi. Stalin rispose paragonando Churchill ad Hitler. Arrivati a questo punto fu
evidente che la “grande alleanza” era ormai decaduta e con essa tutti i processi di pace, la stessa
Conferenza a Parigi, aperta nel 1946, venne interrotta sei mesi dopo senza conclusioni. Nonostante
tutto però vennero fissati i confini fra Urss, Polonia e Germania: l’Unione Sovietica inglobava le ex
Repubbliche baltiche (Estonia, Lituania, Lettonia), parte della Polonia dell’Est e della Prussia
orientale. La Polonia invece traslò verso Ovest, a spese della Germania, fissando il suo confine sui
fiumi Order e Neisse. Il tutto comportò una serie di migrazioni in quanto i paesi vincitori intimarono
alle popolazioni tedesche di lasciare quei luoghi dell’Europa orientale per andare in Germania, si
parla circa di 12 milioni di tedeschi che abbandonarono le loro terre, di questi due milioni non
arrivarono mai in Germania, si trattò di una vera e propria “pulizia etnica”. Per fermare l’espansione
sovietica, Truman, nel 1947, adottò una politica di contenimento che mirava ad impedire che l’Urss
modificasse i suoi confini a proprio vantaggio. In questi anni i contrasti tra le due superpotenze si
intensificarono dando origine a quel sistema di bipolarismo basato sulla contrapposizione di due
blocchi, quello “occidentale” sotto l’influenza degli Stati Uniti, fondato sugli ideali di una democrazia
rappresentativa, l’altro “orientale” guidato dall’Unione Sovietica, organizzato secondo i principi del
comunismo e dell’economia pianificata. Cominciava così quella che in seguito venne definita “Guerra
fredda”. Durante questo periodo le due superpotenze non si combatterono mai direttamente ma

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sempre per interposta persona soprattutto perché nel 1949 anche l’Unione Sovietica si dotò della
bomba atomica ed un conflitto diretto tra le due rivali sarebbe potuto sfociare in una catastrofe
nucleare. A differenza dell’Unione Sovietica che esercitava il proprio controllo con la forza,
l’influenza degli Stati Uniti era incentivata da grandi risorse, impiegate per rilanciare le economie dei
paesi europei colpiti dalla guerra. Nel 1947 infatti venne emanato, dagli Usa, un programma di aiuti
economici, chiamato “piano Marshall” che riversò sulle economie dell’Europa occidentale ben 13
miliardi di dollari fra prestiti e aiuti materiali, il tutto sollecitò nei vari Stati l’avvio di un processo di
riforme sociali. Significativo fu il caso della Gran Bretagna dove, grazie ai laburisti, nacque il Welfare
State, una serie di interventi pubblici mirati a garantire l’assistenza e il benessere dei cittadini. Il Piano
Marshall, che era stato emanato per la ricostruzione economica di tutti i paesi dell’Europa, compresi
anche quelli dell’Est, irrigidì, però, i contrasti tra i due blocchi. I sovietici, infatti, rifiutarono l’aiuto
poiché credevano fosse un espediente per affermare l’egemonia americana all’interno della loro area
di influenza e obbligò di fare altrettanto a tutti gli Stati dell’Europa orientale ai quali fu anche imposto
il modello politico ed economico sovietico, favorendo la nascita delle cosiddette “democrazie
popolari” a partito unico, quello comunista. Per coordinare i partiti comunisti nei diversi Stati, Stalin
istituì il Cominform, Ufficio d’informazione dei partiti comunisti, al quale presero parte anche la
Francia e l’Italia. L’impostazione del modello sovietico ebbe notevoli conseguenze sull’assetto
socioeconomico dell’Europa orientale, la classe operaia infatti aumentò notevolmente mentre si
ridusse il ceto medio e i latifondisti sparirono. Fra il ’46 e il ’48 le miniere, le industrie siderurgiche
e meccaniche, le banche e l’intero settore commerciale fu nazionalizzato, molta importanza venne
data poi all’industria pesante. I piani di sviluppo e gli obiettivi di produzione venivano scelti dai paesi
“satelliti” in modo da risultare complementari a quelli dello Stato-guida, l’Urss. I tassi di cambio, la
quantità e i prezzi dei beni scambiati furono rigorosamente regolati attraverso il Consiglio di mutua
assistenza economica (Comecom) fondato a Varsavia nel 1949. Il modello sovietico inoltre richiedeva
una forte riduzione dei consumi e del tenore di vita della popolazione che avrebbe potuto portare ad
un generale malcontento sociale e a moti rivoluzionari antisovietici. In Jugoslavia i comunisti, guidati
da Tito, adottarono una politica autonoma che li portò nel ’48 a una rottura definitiva con l’Unione
Sovietica. Accusati da Stalin di “deviazionismo” vennero espulsi dal Cominform. In realtà il “modello
jugoslavo” non si differenziava molto dalle altre “democrazie popolari” in quanto anche esso era
basato su una robusta dittatura comunista. Nel 1947 le potenze occidentali che occupavano la
Germania avviarono l’integrazione delle loro zone, introducendo una nuova moneta, liberalizzando
l’economia e avviando la formazione di uno Stato tedesco occidentale. Stalin sentendosi minacciato,
nel 1948 reagì con “il blocco di Berlino”, chiudendo tutti gli accessi alla città, in maniera tale da
indurre gli occidentali ad abbandonare la zona Ovest dell’ex capitale. Gli Usa risolsero il tutto creando

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un gigantesco ponte aereo in grado di portare rifornimenti di ogni genere a Berlino Ovest, vista
l’inutilità di quel blocco, nel maggio del 1949, i sovietici si apprestarono a toglierlo. Nello stesso
mese vennero unificate tutte e tre le zone occidentali e fu proclamata la Repubblica federale tedesca
con capitale Bonn, ad Est invece Stalin creò la Repubblica democratica tedesca, che aveva la sua
capitale a Pankow. Per rafforzare l’alleanza occidentale, nell’ aprile del 1949 venne stipulato il Patto
atlantico, un trattato difensivo firmato dai paesi dell’Europa occidentale che prevedeva un dispositivo
militare composto da contingenti di ogni paese membro: la Nato. Di contro l’Unione Sovietica con
gli Stati “satelliti”, nel ’55, siglarono il Patto di Varsavia basato anche esso su un’organizzazione
militare integrata. Mentre per evitare ogni tipo di rivolta antisovietica, Stalin, attuò tra gli anni ’40 e
’50 una serie di purghe eliminando fisicamente tutti quei dirigenti comunisti che mostravano desiderio
di autonomia. Se in Europa il confine tra i due blocchi si era stabilizzato, in Asia i conflitti si fecero
sempre più duri, gli Usa, per fermare l’avanzata sovietica, decisero di sostenere tutti quegli Stati che
mostravano il desiderio di ribellarsi al regime. La Cina lacerata da anni dalla guerra civile, nel 1949,
vide la vittoria dei comunisti di Mao Zedong sui nazionalisti di Chiang Kai-shek. Il primo ottobre del
1949 venne proclamata la Repubblica popolare cinese, subito riconosciuta dall’Urss e dalla Gran
Bretagna, ma non dagli Stati Uniti che continuarono a considerare come legittimo il governo cinese
di Taiwan. Un altro scenario in cui si verifica la contrapposizione tra Unione Sovietica e Stati Uniti
è la Corea, divisa in due zone, delineate dal 38° parallelo. La Corea del Sud aveva un governo
nazionalista, appoggiato dagli Stati Uniti, la Corea del Nord era governata da un regime comunista
guidato da Kim II Sung. Nel 1950 la Corea del Nord invase il Sud, gli Stati Uniti, per fermare le mire
espansionistiche del blocco comunista, intervennero immediatamente inviando sul posto un forte
contingente militare che respinse i nordcoreani. A questo punto, però, intervenne Mao Zedong in
difesa dei comunisti che in poche settimane fece arretrare gli americani. La guerra si concluse nel
1953 con il ritorno alla precedente situazione, con la Corea divisa in due da una “Zona
demilitarizzata”. Dopo le sconfitte subite dagli americani, sia in Cina dove appoggiavano il partito di
Chiang Kai-shek, sia in Corea, il Giappone acquistava un ruolo fondamentale nel sistema di alleanze
degli Stati Uniti, infatti già durante la guerra di Corea venne utilizzato come base logistica e fornitore
dell’esercito americano. L’intenzione degli Usa era legare a sé il paese così da utilizzarlo come
roccaforte del mondo capitalistico in Asia. Il Giappone, usufruendo degli aiuti americani, da acerrimo
nemico si trasformò così in un alleato fondamentale e dovette adeguare le sue istituzioni al mondo
occidentale, perciò nel 1946 fu scritta la nuova Costituzione che trasformava l’autarchia imperiale in
una monarchia parlamentare. Inoltre, sempre nel ’46 fu varata una nuova riforma agraria. Il modello
di rinnovamento imposto dagli Usa cambiò completamente il paese che visse uno straordinario
rilancio economico. Ma la ripresa più straordinaria fu quella della Germania federale, dove i governi

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attuarono un modello di economia d’ispirazione liberistica e produttivistica aggiunto ad un sistema
avanzato di protezione sociale. La disoccupazione fu quasi completamente abolita e il marco divenne
la moneta più forte delle monete europee. Il prodotto nazionale tedesco negli anni ’50 cresceva con
un andamento del 6% annuo. La Germania, così, ritornava ad avere un ruolo rilevante nello scacchiere
europeo. Nel periodo che va dal 1948 alla fine del conflitto in Corea si irrigidirono le tensioni, la
minaccia di un conflitto nucleare influenzò la politica interna delle principali potenze. Le purghe di
Stalin tornarono a colpire sia i dirigenti che i comuni cittadini, le pressioni sulla produzione artistica
ed intellettuale si fecero sempre più soffocanti. Negli Usa, invece, iniziò, nel ’49, una dura campagna
anticomunista e nel 1950 il Congresso emanò una legge per la sicurezza interna (Internal Sicurity
Act) che prevedeva l’istituzione di un organismo giuridico incaricato di emarginare tutti coloro che
fossero sospettati di filocomunismo o simpatie di sinistra. Agli inizi degli anni ’50 uscirono di scena
i principali protagonisti della Guerra fredda, nel 1952 sale al governo americano Dwight D.
Eisenhower mentre nel 1953 morì Stalin. In questa fase le due potenze nemiche collaborarono insieme
per bloccare l’azione anglo-francese contro l’Egitto. Si iniziò così a sperare in un futuro caratterizzato
da un possibile dialogo pacifico tra Oriente ed Occidente soprattutto quando Nikita Kruscëv si impose
come leader indiscusso dell’Unione Sovietica. Con Kruscëv ci furono notevoli cambiamenti sia in
politica estera, sia in politica interna, ne fu una prova il trattato di Vienna, firmato nel 1955, nel quale
l’Unione Sovietica accettò di ritirare le proprie truppe dall’Austria in cambio della neutralità del
paese, ma significativi furono anche la riconciliazione con i comunisti della Jugoslavia e lo
scioglimento del Cominform. Inoltre, Kruscëv denunciò tutti i crimini commessi da Stalin
concludendo così il periodo delle terribili purghe. Il processo di destalinizzazione avviato in Urss
alimentò nei paesi dell’Est la speranza di un allentamento dal dominio sovietico. In Polonia, dopo un
periodo di agitazioni sociali e scioperi operai, i sovietici favorirono il ritorno al potere di Wladyslaw
Gomulka che promosse una politica di liberalizzazione e di parziale riconciliazione con la Chiesa,
non mettendo, però, in discussione l’alleanza con l’Urss. In un Ungheria ci fu una vera e propria
insurrezione, salì al governo Imre Naghy, un comunista dell’ala liberale, alla fine del mese le truppe
sovietiche si ritirarono dall’Ungheria ma ritornarono nel momento in cui venne pronunciata l’uscita
del paese dal patto di Varsavia, in pochi mesi le Armate rosse sconfissero le milizie popolari e
fucilarono Naghy. Per quanto riguarda l’Occidente, già dopo la Seconda guerra mondiale si fece
strada l’idea di un’Europa unita nel segno della democrazia e della cooperazione, ma la prima tappa
significativa di questo processo si ebbe nel 1951 con l’istituzione della Ceca, un organismo con il
compito di coordinare produzione e prezzi nei settori dell’acciaio e del carbone, che portò, pochi anni
dopo, alla creazione di un’area di libero scambio. Il tutto fu ufficializzato nel 1957 con il trattato di
Roma, firmato da Francia, Germania federale, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo, che diede vita

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alla Comunità economica europea (Cee). Per la gestione dello sfruttamento pacifico dell’energia
nucleare venne, invece, istituito l’Euratom. Questo fu un periodo di generale stabilità per tutti gli Stati
europei ad eccezione della Francia dove venne istituita la “Quarta Repubblica” caratterizzata
dall’instabilità del governo di coalizione. Negli anni ’50 il paese affrontò una grave crisi istituzionale
provocata dalla perdita dell’Algeria, colonia molto importante per la Francia. A salvare il paese fu
chiamato il generale De Gaulle che formò un nuovo governo varando anche una nuova Costituzione,
immettendo così il paese sulla strada dell’innovazione tecnologica e dello sviluppo economico. De
Gaulle perseguì una politica estera che mirava a liberare la Francia da legami troppo stretti con gli
Usa, perciò nel ’66 ritirò le sue truppe dall’organizzazione militare della Nato. L’obiettivo di De
Gaulle era quello di proporre la Francia come Stato-guida di una futura Europa unita, per questo
motivo si oppose ai progetti di integrazione politica della Cee e mise il veto all’ingresso della Gran
Bretagna nel Mercato comune. Nel 1961 sale alla presidenza degli Stati Uniti John Kennedy che
rifacendosi alla linea politica di Wilson e Roosevelt, proseguì con un’impronta di tipo riformistico,
mirando ad un ampliamento delle politiche sociali e ad un sostegno all’integrazione razziale. Per
quanto riguarda la politica estera il presidente Kennedy era un fautore della pace fra i due blocchi ma,
il primo incontro con Kruscëv, dedicato alla questione di Berlino, fu un fallimento e nel 1961 venne
definitivamente sancita la divisione fisica con la costruzione da parte dei sovietici del muro che
divideva in due la città. Il confronto tra Urss e Stati Uniti non si limitò solo all’Oriente, infatti in
questi anni sull’isola di Cuba si era affermato il regime socialista di Fidel Castro, d’ispirazione
sovietica. Gli americani non tollerando la presenza di uno Stato così ostile tentarono di soffocare il
regime cubano organizzando, nel 1961, una spedizione armata, che si rivelò un completo fallimento.
Nel frattempo, L’Unione Sovietica era giunta in soccorso di Fidel Castro iniziando l’istallazione
nell’isola di alcune basi di lancio per missili nucleari, posizionati in maniera tale da poter colpire tutte
le città dell’America settentrionale. Di nuovo la paura di un conflitto nucleare tornò a minacciare
l’intero pianeta ma alla fine Kruscëv si convinse e smantellò le basi, in cambio gli Stati Uniti
rinunciarono a qualsiasi azione militare contro Cuba e ritirarono i loro missili nucleari in Turchia.
Nel 1963 ci fu un attentato a Dallas che vide la morte del presidente Kennedy e la successiva elezione
di Lyndon Johnson. Nell’ottobre del 1964 invece Kruscëv venne sostituito da una “direzione
collegiale”. Uno dei più terribili conflitti durante la Guerra fredda fu quello del lontano Vietnam.
Subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nel 1945, la Francia iniziò la guerra di Indocina
per riconquistare quei territori che erano stati occupati dal Giappone durante la guerra. I francesi
incontrarono la dura resistenza del movimento nazionalista Viet Minh e del suo capo Ho Chi-min
strettamente legato alle potenze comuniste di Cina e Unione Sovietica, nonostante il supporto del
presidente degli Stati Uniti Truman che cercava di mantenere fede alla politica di contenimento della

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minaccia comunista, la Francia perse la guerra di Indocina. Gli accordi di Ginevra nel 1954 sancirono
il ritiro dei francesi da tutta la penisola indocinese e la divisione provvisoria del Vietnam in due Stati:
uno comunista al Nord guidato da Ho Chi-Minh, l’altro filoccidentale al Sud supportato dagli Stati
Uniti. A questo punto la crisi indocinese veniva ad inserirsi all’interno delle contrapposizioni fra
Urss e Stati Uniti, proprio come era accaduto in Corea. Si sviluppò, in questi anni, un movimento di
guerriglia, Vietcong, sostenuto dai comunisti del Nord che attaccarono il Sud. Gli americani
intervennero immediatamente inviando un notevole contingente armato al Vietnam del Sud. Nel 1964
il presidente Johnson ordinò il bombardamento nel Nord, in risposta ad un attacco subito dalle navi
statunitensi nel Golfo del Tonchino, dando vita ad un vero e proprio conflitto bellico che vide il diretto
coinvolgimento degli Stati Uniti. Questi incrementarono progressivamente, secondo la strategia
dell'escalation, le loro forze militari in aiuto al governo del Vietnam del Sud, che giunse a contare nel
1967 oltre mezzo milione di uomini. Nonostante questo dispiegamento di forze, il governo degli Stati
Uniti non riuscì a conseguire la vittoria politico-militare, ma subì al contrario importanti perdite
entrando in una crisi profonda, gravata anche da un crescente disagio morale. Infatti, in questi anni,
vi furono imponenti manifestazioni di protesta di massa, colmate nel movimento del ‘68, sostenute
soprattutto da giovani studenti non solo americani ma di tutto il mondo che mostrarono il loro
disaccordo nei confronti di una guerra ritenuta “sporca” cioè ingiusta perché in contraddizione con
gli ideali democratici occidentali. In marzo del 1968 vennero sospesi dagli americani i
bombardamenti al Nord mentre venne eletto alla presidenza degli Stati Uniti Richard Nixon che avviò
negoziati ufficiali con i rappresentanti Vietcong, riducendo progressivamente le truppe presenti nel
posto. Nel 1973 ci fu il trattato di pace a Parigi ma la guerra nel Vietnam si prolungò per altri e due
anni fino al 1975 quando i Vietcong entrarono a Saigon, capitale del Sud e le truppe americane furono
costrette a ritirarsi, la stessa cosa accadde in Cambogia e nel Laos. Tutta l’Indocina era nelle mani
dei comunisti. Mentre gli Stati Uniti dovettero fare i conti con la prima grave sconfitta di tutta la loro
storia, l’Unione Sovietica ancora una volta si trovò impegnata nel reprimere le inquietudini dei paesi
“satelliti”, ribadendo la subordinazione di questi allo Stato-guida. La Romania sotto la guida di
Nicolae Ceaușescu riuscì ad ottenere una certa autonomia, sia sul piano economico che in politica
estera. Diverse furono le sorti della Cecoslovacchia dove nel 1968 salì alla segreteria del Partito
comunista Aleksander Dubcek, leader dell’ala innovatrice. Convinto della necessità di abbandonare
il modello sovietico, inserì nuovi partiti politici e concesse maggiore libertà di espressione alla
popolazione. Fra la primavera e l’estate del 1968 la Cecoslovacchia visse così una stagione di
profondo rinnovamento sia politico che intellettuale. L’Unione Sovietica non poté tollerare tale
processo, così nel 1968 mise fine alla “primavera di Praga” intervenendo militarmente. Mentre l’Urss
doveva tenere unito il suo impero con la forza, la Cina sosteneva tutti i movimenti rivoluzionari.

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L’idea di Mao Zedong era quella di avviare un processo di modernizzazione, tramite
un’industrializzazione forzata, per trasformare il paese in una grande potenza economica così da poter
competere con l’Urss. Nel corso degli anni ’50 vennero nazionalizzati tutti i settori industriali e
commerciali, la Cina si dotò di una propria industria pesante. Invece per quanto riguardava
l’agricoltura vennero distribuite le terre ai contadini creando una moltitudine di piccole aziende che
vennero poi riunite in unità più grandi “le comuni popolari” ciascuna delle quali doveva produrre
quanto le era necessario. Nel 1958 la dirigenza comunista varò una nuova strategia che fu chiamata
“il grande balzo in avanti”, i risultati di questa furono però deludenti. Il comunismo cinese si dimostrò
diverso da quello dell’Urss soltanto in politica estera perché all’interno del paese fu un regime
terribile. Per liberarsi dei dirigenti comunisti contrari alla linea maoista Mao Zedong si appellò ai
giovani inducendoli a ribellarsi contro i sospettati. Gruppi di giovani guardie rosse, per lo più studenti
misero sotto accusa insegnati e dirigenti politici, intellettuali e funzionari, molti furono internati in
“campi di rieducazione” altri sottoposti a torture fisiche di ogni genere. Negli anni ’70 la Cina
cercherà un accordo con gli Stati Uniti in funzione antisovietica, fautore di questa strategia
spregiudicata fu Henry Kissinger, segretario di Stato americano, protagonista della polita estera degli
Stati Uniti per tutto il Novecento. Kissinger ruppe l’isolamento della Cina che accettò l’accordo
rinunciando, però, alla democratizzazione del paese. Un ruolo importante in questa fase fu svolto da
Chou-En-Lai che avviò un processo di normalizzazione della Cina non solo in politica estera ma
anche in politica interna portando il paese ad una notevole apertura con gli Stati Uniti, ufficializzata
con la visita di Pechino, nel ’72, del presidente americano Richard Nixon e dall’ammissione della
Cina comunista all’Onu. Già a partire dagli anni ’70 l’Urss ebbe un esorabile declino. La crisi si
intensificò con il fallimento di Gorbačëv che tentò di avviare un processo di parziale liberalizzazione,
aprendo limitati spazi di pluralismo nel sistema sovietico. Gli Stati “satelliti” iniziarono ad
approfittare della situazione, la Polonia riuscì ad ottenere, nel ’89, le prime elezioni libere. Gli
avvenimenti polacchi influenzarono tutti gli altri Stati, tanto che tra l’ ‘89 e il ’90 l’intero sistema
delle “democrazie popolari” andò in crisi. L’Ungheria reinserì nel suo sistema politico tutti i partiti
emarginati in precedenza e abolì i controlli polizieschi al confine con l’Austria spezzando così la
famosa “cortina di ferro”. Ciò portò ad una migrazione di massa verso la Repubblica federale che,
accompagnata da grandi manifestazioni, mise in crisi il regime comunista. I nuovi dirigenti avviarono
una serie di riforme interne concedendo ai cittadini dei visti di uscita e di espatrio dal paese, un
numero crescente di berlinesi si riversò nelle strade di Berlino Ovest e la sera del 9 novembre del
1989 venne distrutto dalla folla il Muro di Berlino che dal 1961 divideva la Germania in due parti.
La caduta del muro di Berlino segnò simbolicamente la fine della Guerra fredda.

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