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CAPITOLO PRIMO – ORIGI DELLA GUERRA FREDDA 1944-1949

Le esperienze terribili della guerra avevano avuto conseguenze devastanti, la devastazione dell'Europa non
aveva precedenti, più di 40 milioni di vittime e città e villaggi ridotti in macerie, buona parte delle
infrastrutture e molte risorse economiche rese inutilizzabili e decine di milioni di prigionieri rifugiati o
dispersi, e la presenza di fame e privazioni quasi ovunque. Vi era bisogno di una ricostruzione sia fisica che
culturale e psicologica. Diffuso in Europa era un desiderio di cambiamento che portasse rassicurazione e
finalmente pacificazione politica. Sull'intero continente europeo non c'era forza o possibile coalizione tale da
bilanciare la superiorità militare dell'Unione Sovietica. I britannici avevano individuato il problema piuttosto
presto, essi cercarono di ipotecare il dopoguerra intorno a tre pilastri. Il primo era quello di contenere quanto
più a oriente la preponderanza militare sovietica, il secondo era quello di impedire che un incerto destino
postbellico della Germania potesse risolversi a favore dell'Unione Sovietica (questo perché la Germania
restava il baricentro del continente europeo), il terzo era quello di garantire la stabilità dell'Europa e
assicurarsi che gli Stati Uniti non si disimpegnassero dalla ricostruzione Europea. I sovietici avevano chiarito
ai britannici di voler vedere riconosciute le conquiste territoriali attuate nel 1939 e nel 1940. Inglobando i
paesi baltici, la parte orientale della Polonia e la Bessarabia rumena, e immaginato di sottomettere Finlandia
e Turchia, Stalin intendeva tornare alle frontiere Imperiali della Russia zarista. Questo era il primo tassello di
una concezione della sicurezza fondata sul dominio territoriale, il secondo tassello stava nel controllo sui
paesi dell'Europa orientale. In primo luogo, sulla Polonia, in modo da formare una profonda fascia di
sicurezza da cui non potessero più giungere aggressioni militari all'Unione Sovietica ed il terzo tassello era il
controllo sulla Germania.
L'idea di una zona di sicurezza Sovietica in Europa orientale fu sostanzialmente accettata nella conferenza di
Yalta del 1945. Roosevelt aveva bisogno di ottenere da Stalin l'intervento sovietico contro il Giappone per
chiudere le ostilità più in fretta e con minori perdite. Ci si accorda inoltre sulla suddivisione della Germania
in zone di occupazione. Che la Germania, come peraltro il Giappone, non dovesse tornare a costituire una
potenziale minaccia, era il punto di partenza di ogni ragionamento sul suo futuro. Era pure condivisa da tutti
la nozione che la Germania non dovesse cadere sotto il controllo unilaterale di una sola potenza. Gli Stati
Uniti avevano invece ottimi motivi per guardare al dopoguerra con fiducia, tra il 38 e il 45, la produzione
industriale era quasi raddoppiata, la ricchezza pro capite era aumentata del 60% e gli americani godevano di
un’abbondanza senza precedenti. Le loro forze armate erano dispiegate in ogni teatro di guerra e
dominavano i cieli e gli oceani. Già dall'inizio del secolo si era affermata negli Stati Uniti l'idea di
un'economia mondiale aperta, i cui mercati fossero liberi e interconnessi. Nella conferenza internazionale di
Bretton Woods del 1944 si negoziarono una serie di accordi. Il dollaro sarebbe stato il perno di un nuovo
sistema monetario capace di dare credito, mentre le altre monete sarebbe divenute convertibili in dollari.
Due nuove istituzioni furono create: la banca mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, i quali
avrebbero fornito crediti per la ricostruzione e finanziamenti ai paesi in difficoltà, così da disincentivare le
chiusure protezionistiche. Le tariffe e gli altri vincoli ai commerci sarebbero stati gradualmente abbassati in
modo da facilitare gli scambi e sostenere la crescita globale. Ma l'economia non era tutto, l'amministrazione
Roosevelt vedeva il dopoguerra come una gigantesca necessità per ridisegnare il sistema internazionale.
Si consolidò perciò una concezione estesa della sicurezza nazionale. Una volta traslata sul mondo
postbellico, essa si articolava in tre postulati essenziali, non si poteva consentire a nessuna potenza ostile di
giungere a controllare le grandi risorse dell'Eurasia, gli Stati Uniti dovevano mantenere il predominio sui
cieli e mari ottenendo basi e diritti di transito oltreoceano, il paese doveva mantenere una supremazia
strategica.
Gli Stati Uniti, insomma, avrebbero ridisegnato l'ambiente mondiale in nome della sicurezza propria e di
quella collettiva ritenute essenzialmente coincidenti. Il problema era però la Russia. Durante la guerra
Roosevelt aveva ritenuto che la cooperazione con i sovietici fosse essenziale. Il fallimento della vecchia
Società delle Nazioni indicava il bisogno di ancorare la sicurezza futura a un'efficace collaborazione delle
grandi potenze vincitrici. L'idea rooseveltiana dettava che, al vertice delle future Nazioni Unite, sedessero i
vincitori della guerra, con la responsabilità collettiva di assicurare la pace e quella individuale di garantire la
stabilità nella propria area di principale influenza. Morto Roosevelt il 12 aprile del 1945 succedette come
carica di presidente degli Stati Uniti Harry Truman. Truman intendeva proseguire lungo le linee definite da
Roosevelt soprattutto per ciò che concerneva le Nazioni Unite, ma era anche propenso a far valere la forza
americana. Truman voleva fondare la collaborazione tra le grandi potenze risolvendo i nodi a proprio favore.
Stava sorgendo una geografia di potenza che affidava a Stati Uniti e Unione Sovietica i ruoli cardine di un
nuovo sistema internazionale. I sovietici vedevano la propria sicurezza nel dominio territoriale, gli Stati Uniti
nell’interdipendenza e nell'apertura dei mercati.
A fine luglio del 1945 a Potsdam, Stalin, Truman e il nuovo primo ministro britannico Attlee, si accordarono
per trattare la Germania, temporaneamente divisa in quattro zone di occupazione, rispettivamente: sovietica e
americana, britannica e francese come una sola unità economica. Da un lato possiamo vedere l’Unione
Sovietica che si impadronisce di tutti i settori del suo cantone, trasferendo 3500 fabbriche in Unione
Sovietica, mentre dall'altro gli americani e i britannici volevano una ripresa dell'economia tedesca.
Quel che più temeva l'Unione Sovietica era una Germania unificata sotto il dominio economico degli Stati
Uniti, la quale portasse a una rinascita militare della Germania e da lì a pochi anni dopo a una guerra
anglotedesco americana contro l'Unione Sovietica. Per gli americani e i britannici una condizione di
debolezza economica poteva sfociare in un revanscismo nazionalista dei tedeschi o peggio nella diffusione
della protesta comunista, e dunque il rischio che l'Unione Sovietica inglobasse nel suo raggio d’influenza la
potenza industriale tedesca.
Nel settembre del 1946 viene annunciata la formazione della bizona che unificava i settori occidentali in una
sola unità amministrativa, al fine di gestirne liberamente il rilancio produttivo. In questo contesto giocò un
ruolo assai rilevante la bomba atomica. Il segretario di stato americano Byrnes, una volta sganciata la bomba
su Hiroshima e Nagasaki, contava di avere una maggiore forza negoziale per strappare concessioni
all'Unione Sovietica. Dato che in questo momento gli unici ad essere in possesso della bomba atomica erano
gli americani, Truman di conseguenza poté decidere un'occupazione unilaterale del Giappone senza
condivisione con l’Unione Sovietica. Di conseguenza Stalin prese due decisioni immediate: primo ordinò di
avviare un imponente programma per costruire l'atomica e secondo ordinò a Molotov di riorientare la
diplomazia Sovietica verso la priorità della fermezza, nella paura che gli accordi di Yalta potessero essere
rimessi in discussione. All'inizio del 1946 era ormai chiaro che l'alleanza tra le due potenze era conclusa e le
speranze americane di accordi andavano ridimensionate. Ed è in questo contesto che in Unione Sovietica
prese avvio una nuova stagione di sviluppo forzato dove vennero concentrati il 90% degli investimenti
nell'industria pesante.
Nel marzo del 1946 la tensione si accese, l'Unione Sovietica tardava il ritiro delle sue truppe stazionate in
Iran, in accordo con la Gran Bretagna durante la Seconda Guerra Mondiale, Londra e Washington portarono
la questione al neonato consiglio di sicurezza dell'ONU, denunciando una volontà espansionistica che andava
fermata. Truman inviò una flotta nel Mediterraneo Orientale per mostrare a Mosca l'intenzione di non
accettare le sue pressioni su Turchia e Iran. Stalin, di conseguenza, si ritirò dall’Iran per evitare uno scontro
aperto. Poco dopo i sovietici cominciarono ad accumulare truppe sui confini della Turchia per premere su
Ankara e nuovamente la forte reazione americana fece recedere Mosca. Il 1946 si chiudeva quindi in
un'atmosfera di riconosciuto antagonismo dalla quale non ci si poteva attendere una soluzione concordata dei
problemi del dopoguerra. Il dopoguerra aveva visto una robusta ripresa degli investimenti e della produzione
in quasi tutti i paesi dell'Europa Occidentale, ma in condizioni di grande precarietà. Nessun paese riusciva a
finanziare i suoi acquisti indispensabili di beni alimentari, materie prime, beni di investimento. I 10 anni di
stagnazione, seguiti dalla mobilitazione bellica e dal ridimensionamento degli scambi con le colonie,
avevano depauperato l'Europa dalla sua capacità di esportare beni e servizi negli altri continenti. Si delinea
quindi una situazione critica nell'Europa occidentale a causa di questa impossibilità di intraprendere un
percorso di crescita. La guerra fredda ebbe inizio con un discorso di Truman dato nel 1947. Un discorso non
era però sufficiente ed è per questo che nei mesi successivi il governo americano elaborò una teoria del
contenimento e un formidabile strumento: il piano Marshall.
Per quanto riguarda la strategia del contenimento se ne occupò Kennan, il quale ipotizzava che nel corso di
10 o 15 anni tale strategia avrebbe portato al crollo o a un ammorbidimento del potere sovietico. Tale
strategia aveva una funzione urgente ossia quella di negare l'opportunità di espansione a Stalin. Il segretario
di stato americano George Marshall annuncio il 5 giugno del 1947 un piano straordinario di aiuti di durata
quadriennale rivolti a ogni governo che volesse aiutare il cammino della ripresa europea. Dal 1948 al 1951
gli Stati Uniti elargivano aiuti gratuiti per 13 miliardi di dollari equivalenti al 1,5% del PIL americano.
Il coordinamento europeo degli aiuti infine avrebbe incentivato l'integrazione continentale dei mercati per
favorire maggiori economie di scala, liberalizzato gli scambi e accelerato la crescita grazie alla concorrenza.
In questo modo gli investimenti potevano svilupparsi dando un forte incentivo alla produttività e avviando il
lungo Boom trentennale dell'Europa. Tra il 47 e il 50 il PIL dell'Europa occidentale crebbe del 30%.
Avvalendosi quali creditori e garanti di un lungo percorso di ripresa dell'Europa occidentale, gli Stati Uniti
riuscivano così ad avviare una riorganizzazione del continente sotto la propria guida, fornendo le basi più
solide per la strategia del contenimento anticomunista. Nel 1948 a Bruxelles viene firmato un patto difensivo
che dà vita all'Unione Europea occidentale come strumento di difesa contro l'Unione Sovietica ma anche di
rassicurazione nei confronti della Germania.
Nel 1948 l'amministrazione Truman istituì un consiglio per la sicurezza nazionale e formò un'agenzia
permanente di intelligence: la CIA, con compiti di analisi e spionaggio, ma anche di azioni clandestine.
In questo contesto l'Unione Sovietica tenta un riarmo per poter controbilanciare la supremazia atomica
americana. In risposta a quello che fu piano Marshall, il 24 giugno del 1948 le truppe sovietiche bloccarono
tutti gli accessi terrestri alla città di Berlino e cominciarono a interrompere l'erogazione di energia elettrica.
Gli Stati uniti insieme all'Inghilterra decisero di non rispondere con un attacco militare. Il blocco si poteva
aggirare per via aerea e così fu deciso: Stati Uniti e Gran Bretagna avviarono un ponte aereo che cominciò a
rifornire la città. Tale vicenda iniziò a riconciliare l'opinione pubblica europea e americana con una nazione
tedesca non più minacciosa, bensì bisognosa di protezione. L'11 maggio del 1949, ormai rinvigoriti dalla
risposta al blocco, i sovietici ripresero le forniture di energia elettrica, aprirono i passaggi tra i settori della
città e il giorno seguente misero fine al blocco di Berlino. In maggio nasceva, sui territori delle zone
occidentali d'occupazione, una repubblica federale tedesca, sostanzialmente sovrana sulle questioni interne
ma disarmata e sottoposta alla tutela dei tre alleati per la politica internazionale. In ottobre nella zona
Sovietica, nasceva una repubblica democratica tedesca con un regime comunista sostenuto da Mosca. Il 4
aprile del 1949 i colloqui per un patto di sicurezza erano sfociati nella nascita dell'Alleanza Atlantica, un
trattato di difesa collettiva in caso di aggressione contro uno dei paesi aderenti tra i quali: Canada, Stati Uniti
e 10 nazioni europee.
In generale nei paesi europei si assistette a una vigorosa crescita delle classi medie e a un miglioramento
generalizzato dei livelli di benessere anche per gli operai. Nell'Europa orientale il segno distintivo era la
rigida subordinazione gerarchica della società allo Stato e dello Stato al Partito Comunista e di quest'ultimo
al controllo di Mosca. Inoltre, la concentrazione pianificata delle risorse sull'industria pesante innesca un
processo di industrializzazione forzosa. L'industrializzazione pose le basi per una crescita del PIL. È evidente
che Stalin non prevedeva e soprattutto non voleva la guerra fredda che invece poi ebbe. Tutte le scelte
decisive che diedero vita e forma alla guerra fredda furono americane: la dottrina Truman, il contenimento e
l'opzione per una Germania divisa entro una coalizione occidentale alimentata dal piano Marshall.
In sostanza furono le idee americane e la loro influenza a rendere il conflitto sovietico americano una guerra
fredda. In Europa la guerra fredda ebbe un impatto segmentato. All'est essa accentua la subordinazione
imperiale e l'irreggimentazione di tipo sovietico, traducendosi in un blocco tetramente chiuso e soggiogato
dalla psicologia dell’assedio, l’Europa occidentale fu invece il maggior beneficiario della guerra fredda.
CAPITOLO SECONDO – IL BIPOLARISMO MILITARIZZATO 1950-1956
La guerra fredda non si esaurì entro i confini cui era sorta, la decolonizzazione introduceva altri attori e
apriva nuovi terreni di rivalità per i protagonisti dell'antagonismo bipolare. Gli anni 50 furono un periodo di
evoluzione della guerra fredda, un'epoca in particolar modo di ramificazione della guerra fredda in altre aree
del mondo dove spesso si tradusse anche in sanguinose guerre locali. Nella seconda metà del 1949 due
avvenimenti alterarono il terreno del confronto bipolare. A fine agosto i sovietici facevano esplodere la loro
prima bomba atomica, intanto il Partito Comunista cinese guidato da Mao Zedong concludeva l'offensiva
finale della guerra civile che l'aveva contrapposto alle forze nazionaliste. Il primo ottobre 1949 nasceva a
Pechino la Repubblica Popolare Cinese (RPC) mentre i nazionalisti si rifugiavano sull'isola di Taiwan. Mao
si recò a Mosca e offrì a Stalin un alleato contro l'imperialismo occidentale e il 14 febbraio 1950 Cina e
Unione Sovietica siglavano perciò un trattato di Alleanza. Un'accusa di sovversione antipatriottica venne
mossa al Partito Comunista americano, il PCUSA, aprendo nel paese una stagione di violente accuse e
restrizioni delle libertà civili. All'inizio del 1950 il senatore repubblicano Joe McCarthy denunciava la
presenza di comunisti nei ministeri e organizzava un comitato senatoriale di indagine. Usato come metodo di
lotta politica contro i democratici e l'amministrazione Truman, il maccartismo diveniva presto un fenomeno
più ampio e ramificato nella società, con cui il conservatorismo aggrediva il dissenso. Accusato all'epoca di
incarnare una nuova caccia alle streghe il maccartismo, che imperversò fino al 1953 per poi spegnersi
lentamente, fu una campagna di repressione dei comunisti.
Con l'alleanza sino-sovietica Mosca usciva per la prima volta da un ripiegamento difensivo impostole dal
contenimento e la Cina comunista poteva influenzare le transizioni post-coloniali dell'Asia in termini
favorevoli all'Occidente. Uno dei primi effetti dell’alleanza sino-sovietica fu il fatto che l'estremo Oriente
divenne un secondo teatro dell'antagonismo bipolare. Washington doveva dunque ripensare il contenimento
in una chiave geograficamente più ampia. Sullo sfondo del clima d'allarme ideologico tutti questi problemi
confluirono nella primavera del 1950 in una direttiva strategica del National Security Council (NSC 68) che
ridefiniva il contenimento dettando l'atteggiamento americano per molti anni a venire. Scartata l'ipotesi della
guerra e dell'isolamento si propugnava un rapido aumento della forza politica economica e militare degli
Stati Uniti e degli alleati. Il primo passo era quello di convincere il paese ad aumentare le spese per la difesa
da 13 a quasi 50 miliardi di dollari l'anno. La superiorità della potenza americana era presentata come l'unica
alternativa, si doveva perciò rilanciare anche il primato nucleare su cui essa in ultima analisi si fondava,
iniziando a costruire dunque le più potenti bombe termonucleari. Bisognava inoltre spronare gli alleati
europei a intraprendere anch'essi un robusto riarmo. Poche settimane dopo la stipulazione di NSC 68, Stalin
autorizzò la prima grande operazione militare della guerra fredda, le truppe nordcoreane invasero la Corea
del Sud il 25 giugno del 1950. Dopo la sconfitta del Giappone, le forze di occupazione americane e
sovietiche avevano dato vita a due amministrazioni sulla penisola coreana: a sud quella di Syngman Rhee,
leader autoritario filoccidentale, e a nord quella comunista di Kim il Sung. Kim il Sung iniziò a chiedere
l'appoggio sovietico per un'offensiva militare che gli consentisse di unificare l'intero paese sotto il suo
controllo. Stalin si convinse che a Washington l'atteggiamento prevalente fosse di non interferire e convinto
da Kim il Sung che un'offensiva massiccia potesse portare a una rapida vittoria, Stalin autorizzo l'operazione
a una precisa condizione: l'Unione Sovietica avrebbe fornito armi e consiglieri militari ma non sarebbe
comunque intervenuta con le sue forze.
L'attacco Nordcoreano del 25 giugno travolse le forze di Syngman Rhee schiacciandole nel limbo
meridionale della penisola. Nell'ottica di NSC 68, una vittoria comunista su una nazione protetta da
Washington prefigurava una sconfitta simbolica di contenimento e un incentivo a ulteriori aggressioni
militari. Il presidente americano dispose dunque subito l'invio di forze americane sul campo di battaglia e
chiese al consiglio di sicurezza dell'ONU di autorizzare l'intervento. Nel contempo era anche stata avviata la
costruzione di un perimetro di contenimento intorno alla Cina, l'isola di Taiwan fu messa sotto la protezione
di una flotta americana. Venne inoltre rafforzata la difesa delle Filippine e fu moltiplicata l'assistenza
militare alle forze francesi in Indocina. Inoltre, si definì un trattato di pace che assicurava il rapido rilancio
dell'economia del Giappone e la sua difesa a opera di forze americane stazionate in permanenza nel suo
territorio, in secondo luogo si predispose un bilancio che quadruplicava le spese americane per la difesa.
Infine, la revisione strategica disegnata da NSC 68 e precipitata dal conflitto coreano si focalizza sul bisogno
di predisporre una solida difesa militare dell'Europa e questo voleva dire riarmare la Germania occidentale.
Le truppe nordcoreane vennero fermate e aggirate e messe in rotta, in poco tempo l'offensiva di Kim il Sung
si era rovesciata. Nei primi di ottobre gli americani ignorati i richiami alla prudenza di molti alleati decisero
di varcare i confini penetrando nel nord. Stalin ansioso di evitare uno scontro diretto con gli Stati Uniti
rovesciò sui cinesi la responsabilità dell'esito della guerra, sollecito inoltre Mao a inviare delle divisioni per
proteggere i nordcoreani e assicurò il sostegno sovietico nel caso di attacco americano alla Cina.
Il 13 ottobre Stalin invitava Kim a lasciare il paese e rifugiarsi in Unione Sovietica, il 19 ottobre le forze
Sudcoreane e americane entravano a Pyongyang. A novembre la reazione cinese centinaia di migliaia di
truppe entravano in Corea lanciando un'offensiva che colse gli americani di sorpresa, il 5 dicembre
arrivarono a Pyongyang nel contempo l'America ricevette rinforzi e riuscirono a contenere gli assalti cinesi.
Una serie di battaglie sanguinose finiva poi per stabilizzare il fronte intorno al 38° parallelo. La guerra finì
nel luglio del 1953 quando la morte di Stalin aprì la strada all’armistizio che definiva la separazione tra le
due coree, la quale è tuttora in vigore. Non vi erano ormai più tavoli negoziali, non solo i governi ma i media
e le istituzioni culturali delle due superpotenze erano impegnati in una colossale battaglia. Mosca
sovvenzionava tutti i partiti comunisti e movimenti in cui essi partecipavano, mentre il governo americano
offriva borse di studio, istituiva centri culturali, finanziava più o meno riviste e organizzazioni
liberaldemocratiche.
In Vietnam la resistenza coloniale francese a l'indipendentismo guidato dai comunisti diveniva ora la
battaglia di tutto il mondo libero contro la diffusione dell'influenza della Cina. Parigi veniva quindi
finanziata e rifornita di equipaggiamenti militari. Nel giugno del 1953 la CIA organizzava un intervento
clandestino in Iran per rovesciare il governo indipendentista, appoggiando le forze armate la CIA favorì la
formazione di un regime amico che nei vent'anni successivi sarebbe stato il principale alleato degli Stati
Uniti nell'area. L'anno seguente Washington interveniva con modalità non molto differenti in Guatemala.
In termini strategici la principale ripercussione della guerra in Corea fu il riarmo dell'Alleanza occidentale e
dunque l'avvio della massiccia corsa agli armamenti che avrebbe contraddistinto la guerra fredda nei decenni
successivi. Nel 1955 la Germania occidentale fu integrata nella NATO con un proprio esercito. Nella cornice
politica di una comunità europea di difesa CED, si sarebbe istituito un esercito europeo a cui la Germania
occidentale avrebbe contribuito con battaglioni. La proposta si affiancava a quella per una Comunità Europea
del Carbone e dell'Acciaio (CECA) sorta nel 1952 anch'essa su proposta francese, la quale istituiva un
mercato comune del carbone e della siderurgia e un organismo sopranazionale per regolamentare.
Parteciparono a questa prima Comunità Europea: Francia, Germania, Italia, Olanda, Belgio e Lussemburgo.
Lo scopo era quello di razionalizzare le produzioni siderurgiche, di modernizzare gli impianti e ottenere la
massima efficienza produttiva. Ma si tratta anche di una scelta strategica per legare la Germania all'Europa.
L'alleanza Atlantica si dotò inoltre di un'organizzazione militare permanente la NATO, in cui le forze dei
paesi membri erano coordinate da un comando militare unificato.
Gli Stati Uniti spostarono i loro aiuti dagli investimenti civili del piano Marshall, al Mutual Security Aid,
orientato a costruire le infrastrutture e le industrie necessarie alla difesa. Al riarmo occidentale corrispose un
analogo sforzo sovietico avviato già dal 1949, di costruzione di un'imponente armata capace nel caso di
occupare l'Europa continentale. Mosca inoltre pianifico il riarmo dei paesi satelliti. I processi di
rafforzamento militare da entrambi le parti si avvitavano quindi in una ricerca ossessiva di superiorità che
non poteva dare stabilità ma solo riprodurre sé stessa all'infinito. La strada era dunque aperta a questo punto
al pieno inserimento delle due Germanie nei rispettivi blocchi. Stalin si rassegnava all'impossibilità di usare
il nazionalismo contro l'occidente e procedeva immediatamente a mobilitare il riarmo della Germania
orientale. Il 5 marzo del 1953 moriva Stalin. La Germania orientale era una costruzione fragile, inoltre
l’industrializzazione forzosa aveva originato carenze di generi alimentari, un aumento dei prezzi di prima
necessità e un calo enorme dei livelli di vita. Per tale motivo vi fu una rivolta. A questo punto i dirigenti
sovietici capirono che era necessario migliorare le condizioni di vita delle popolazioni e sospingere i regimi
satelliti verso una maggiore efficienza e legittimità.
Fallito il progetto della CED, sì apri un'ulteriore fase negoziale in cui la proposta anglo-americana di
accogliere la Germania occidentale nella NATO con un proprio esercito fu accolta, ma anche temperata ad
alcune richieste francesi. L'esercito tedesco avrebbe avuto limitazioni numeriche e soprattutto non avrebbe
potuto disporre di armamenti offensivi in particolare di armi atomiche o di distruzione di massa. La
Germania occidentale entrò così a far parte della NATO il 9 maggio del 1955. Una settimana dopo nasceva il
Patto di Varsavia, l'alleanza militare degli Stati socialisti per mezzo del quale Mosca coordinava la difesa del
blocco orientale e dava legittimità formale alla presenza dell’armata rossa nei loro territori. Le due
Germanie, entrambe armate, divenivano i fronti contrapposti di due grandi blocchi militari lungo la frontiera
più militarizzata del mondo. L'Europa bipolare conosceva così la sua definitiva stabilizzazione geopolitica
che sarebbe restata immutata fino al 1990. Dopo la morte di Stalin i suoi successori avviarono un
ripensamento della politica estera sovietica, i successori di Stalin volevano liberarsi della paura con cui il
dittatore aveva dominato il vertice del partito e ritenevano inoltre necessaria una crescita del benessere. Per
la successione emerse la figura di Nikita Chruscev, segretario del partito dal settembre del 1953 e fu inoltre
avviata una stagione di cambiamenti. Tra il 1953 e il 1958 l'economia sovietica conobbe il suo periodo di
maggiore crescita trainata dal boom demografico e un parziale riorientamento delle spese pubbliche. Inoltre
Mosca si accordò con i cinesi per la firma dell'armistizio in Corea nel luglio del 1953 e accettò di negoziare
il trattato di neutralità dell'Austria nel 1955. I primi test termonucleari sovietici sconvolsero i loro stessi
autori per l'enorme potenza dispiegata e cominciò a farsi strada la convinzione che quelle bombe non
potessero mai essere usate perché avrebbero prodotto devastazioni così grandi da rendere priva di significato
ogni nozione di vittoria o sconfitta. Dopo la sconfitta militare dei Francesi da parte del movimento
indipendentista vietnamita, il Cremlino partecipò attivamente alla conferenza di Ginevra che nell'aprile del
1954 definì un accordo internazionale per la decolonizzazione del paese, fu stabilita la temporanea partizione
del Vietnam tra due governi: comunista al nord e filoccidentale al Sud.
A differenza di Stalin e Chruscev guardava con attenzione alla possibilità di rafforzare le alleanze del blocco
socialista al di fuori dell'Europa, lo sforzo principale lo fece con la Cina, poi fu la volta dell’India, infine
Mosca strinse accordi con l'Egitto. La strategia di Mosca era quella di avvelenare le relazioni tra gli arabi,
l'Europa e gli Stati Uniti e di provocare una crisi petrolifera complicando dunque la vita agli europei e
rendendoli più dipendenti dalla Russia. Con tali azioni si conclude la prima fase della guerra fredda,
incentrata sull’Europa. La svolta della politica estera staliniana vi fu quando Chruscev sollecito un'estensione
ai paesi satelliti della razionalizzazione produttiva che stava cercando di introdurre in Unione Sovietica, per
aumentare i livelli minimi di benessere popolare. Secondo Chruscev il profilo del futuro stava mutando, in
sostanza il terzo mondo diveniva l'arena determinante per le sorti della rivalità bipolare. A fine giugno a
Poznan in Polonia una manifestazione di lavoratori fu affrontata con violenza dalla polizia che uccise
numerosi dimostranti, nel partito emerse la richiesta di reintegrare l'ex segretario Gomulka. Si apri allora un
braccio di ferro con Mosca che temette di perdere il controllo sul partito e sulla Polonia, i reparti dell'armata
rossa iniziarono a convergere su Varsavia e Chruscev esercitò ogni pressione, ma finì per accettare Gomulka.
Il successivo e ben più grave teatro di crisi fu l'Ungheria. In giugno fu sostituito il segretario che
impersonava la gestione staliniana del partito Rakosi, il 23 ottobre la folla scesa in piazza a Budapest
inneggiando alla Polonia di Gomulka e abbattendo le statue di Stalin. Mosca era esitante ma fu rassicurata
dell'atteggiamento di Washington che non sembrava voler approfittare della crisi e confidò nel ritorno a capo
del governo di Nagy, il quale annunciò la possibilità che il paese uscisse del Patto di Varsavia. Il Cremlino
vide il rischio di perdere il controllo degli eventi e l'aprirsi di un problema ancor più grande e preoccupante
del futuro dell'Ungheria. Il regime comunista si stava infatti sgretolando rapidamente e la sua caduta poteva
innescare sollevazioni anche negli altri paesi dell'Est, mettendo in pericolo la stabilità e forse l'esistenza
stessa del blocco sovietico. Il 4 novembre le forze corazzate sovietiche entrano a Budapest, gli scontri furono
violentissimi ma nel giro di una settimana la resistenza fu piegata.
Ed è in questo contesto che si accende la crisi di Suez, il leader egiziano Nasser, dopo il ritiro dei
finanziamenti anglo-americani pensò di assestare un colpo definitivo alla tutela coloniale britannica sul suo
paese e il Medio Oriente: il 26 luglio del 1956 annunciò la nazionalizzazione del Canale di Suez.
Ovviamente Gran Bretagna e Francia videro messo in gioco il loro ruolo imperiale nel mediterraneo e in
Medio Oriente e quindi la loro stessa identità come potenze internazionali. Iniziarono dunque a sollecitare un
intervento, ma Eisenhower negò tale possibilità ritenendo che si fosse giunti a uno scontro, i popoli del
Medio Oriente, dell'Asia e dell'Africa si sarebbero schierati contro l'occidente. Londra e Parigi strinsero però
un accordo con Israele per intervenire autonomamente. Fu deciso che Israele avrebbe attaccato nel Sinai e
subito dopo un corpo di spedizione franco-britannico sarebbe intervenuto con il pretesto di tenere entrambi i
contendenti lontano dal canale del quale avrebbe quindi ripreso il controllo con la forza. Le operazioni
israeliane iniziarono il 29 ottobre, il 30 ottobre gli anglo-francesi presentarono un ultimatum a Nasser, il
giorno seguente cominciarono a bombardare gli aeroporti egiziani. L'intervento franco-britannico a Suez si
trasformò però in un fallimento. Essendo Londra dipendente dagli Stati Uniti per la stabilità della sua moneta
e la continuità dei rifornimenti petroliferi, nel momento in cui Eisenhower minaccio di interrompere tali
sostegni il governo britannico non ebbe scelta e annunciò il ritiro delle sue forze il 6 novembre.
La cortina di ferro nonostante tali situazioni si mostrava effettivamente invalicabile in entrambe le direzioni e
immodificabile. Quello bipolare era ormai un equilibrio accettato. La militarizzazione aveva dunque
pietrificato i confini e le modalità della guerra fredda in Europa. Il 1956 segnava perciò un deciso
assestamento dell'ordine bipolare in Europa. Il grande boom economico iniziato nel dopoguerra si stava
consolidando in una crescita vigorosa e costante che non aveva precedenti nella storia del continente. Tra il
1949 e il 1968 la crescita media annua del PIL in Europa occidentale fu del 4,1%, con punte ancora più alte
in Germania, Francia e Italia. Gli europei conoscevano inoltre una lunga fase di stabilità politica. Erano
dunque l'economia e la modernità a dominare la scena pubblica.
Inoltre, il fallimento anglo-francese aveva messo sotto gli occhi di tutti un dato ormai inconfutabile, ossia
che le potenze imperiali europee non erano più in grado di agire come tali. Gli europei non potevano quindi
più immaginarsi al centro delle trasformazioni globali né appoggiarsi all’orgoglio nazionalistico di potenza, e
avevano ora una misura molto chiara della loro subordinazione alle superpotenze in particolare agli Stati
Uniti. Francia e Gran Bretagna dovettero rassegnarsi all'abbandono dei loro possedimenti extraeuropei, in un
decennio la decolonizzazione sarebbe stata portata a compimento. Col trattato di Roma del 1957 furono
firmati due trattati: il primo istituì una comunità economica europea CEE, basata sul mercato comune di 6
paesi partecipanti, il secondo invece una comunità europea dell'energia atomica meglio conosciuta come
EURATOM. Se Londra e Parigi non avevano più un ruolo globale, Washington e Mosca assumevano invece
un peso rapidamente crescente di fronte al mondo arabo e negli altri teatri della decolonizzazione. Le
superpotenze portavano con sé in Medio Oriente e in altri continenti la geografia mentale e le priorità
politiche del bipolarismo. La guerra fredda ampliava dunque la propria portata ramificandosi in Asia, Africa
e America Latina, proprio nel momento in cui aveva raggiunto una sostanziale stabilità nel suo epicentro
europeo. Essa mutava quindi ambito e carattere diventando un conflitto globale.
CAPITOLO TERZO – UN ANTAGONISMO GLOBALE 1957-1963
In Asia è in Africa i movimenti per l'indipendenza sgretolavano gli imperi europei rimpiazzati da una
moltitudine di nuove Nazioni sovrane che potevano divenire nuovi territori di scontro per l'antagonismo est-
ovest. I vertici delle superpotenze dovettero anche imparare a gestire gli effetti del mutamento tecnologico
che essi stessi avevano promosso, l’avvento di missili intercontinentali armati di testate nucleari, rendeva
ciascuno enormemente più vulnerabile, tanto da trasformare la guerra in un'opzione pressoché suicida. La
tentazione di usare la diplomazia atomica per ottenere vittorie simboliche, posizioni più vantaggiose e
influenza nel terzo mondo portò alle crisi più pericolose dell'intera guerra fredda. I terreni di battaglia più
numerosi e violenti si erano spostati fuori dall'Europa, la quale restava comunque il baricentro strategico
della rivalità, ma era anche l'area più stabile. L’idea dominante era ormai chela sfida si giocasse sulla
capacità di attrarre i paesi del Terzo Mondo, termine cognato nel 1952, verso il proprio modello politico ed
economico. Nel 1955 a Bandung, in Indonesia, i delegati di 29 paesi dell'Asia e dell'Africa stesero una
dichiarazione che affermava il diritto all'autodeterminazione e all'indipendenza economica. La diplomazia
statunitense tentò timidamente di aprire un dialogo con i non allineati e operò attraverso i suoi più stretti
alleati per neutralizzare l'influenza della Cina. Fu solo con la crisi di Suez che gli Stati Uniti optarono
definitivamente per la critica delle posizioni imperiali europee e il sostegno alla decolonizzazione.
Per quanto riguarda l’attrazzione dei paesi del terzo mondo, l’amministrazione Eisenhower era in seria
difficoltà per la vulnerabilità degli stessi Stati Uniti alla critica antirazzista. Infatti la lotta per l’uguaglianza e
i diritti civili degli afroamericani portava alla ribalta il carattere contraddittorio della libertà americana.
I sovietici non erano invece appesantiti da un simile bagaglio coloniale, potevano anzi fungere da utile punto
di appoggio per i movimenti e i regimi indipendentisti. Questa opportunità geopolitica fu il fattore principale
che sospinse Chruscev e i suoi colleghi ad appoggiare il processo di decolonizzazione in chiave diplomatica.
Mosca si impegnò inoltre su vari fronti in Cina: investì somme colossali in migliaia di consulenti tecnici per
cercare di replicare l'esperienza sovietica d’industrializzazione in un paese alleato e comunista.
In Medio Oriente e in Asia cooperò con i regimi nazionalisti fornendo loro sostegno diplomatico e aiuti
tecnici e militari. Proprio mentre il mito sovietico si sgretolava in Europa l’antimperialismo cercava di
ricostruirlo su scala globale. L'apice di questo sforzo fu raggiunto dopo la rivoluzione castrista del 1959 a
Cuba. I dirigenti sovietici strinsero rapporti con il regime di Fidel Castro. I dirigenti sovietici si persuasero
che il terzo mondo fosse l'arena in cui si sarebbe deciso il confronto storico tra imperialismo e socialismo, e
per un ventennio rimasero convinti che la guerra fredda sarebbe stata vinta nel terzo mondo. Il 20 gennaio
del 1961 Kennedy inaugurava la sua presidenza. Nel marzo del 1961 Kennedy varava un piano di aiuti
all'America Latina, con la paura che la rivoluzione castrista aprisse le porte della regione al comunismo.
Alle soglie degli anni Sessanta le due superpotenze erano perciò focalizzate sul terzo mondo come luogo
cruciale del futuro, l'arena in cui si sarebbero decisi i destini della rivalità bipolare. Negli anni 50 le
sperimentazioni sulle bombe termonucleari portano a risultati inaspettati e mai visti, le bombe costruite dal
1952 in poi hanno una potenza di 700 volte superiore alle bomba sganciata su Hiroshima. Ed è in questo
contesto di sperimentazioni che inizia a farsi strada l'idea e la verità secondo cui l'utilizzo di 100 bombe h,
così denominate, avrebbero creato condizioni impossibili per la vita sull'intero globo, causando la morte
universale. Nel 1958 in Gran Bretagna intellettuali, scienziati, leader religiosi e politici formarono la
Compaign for Nuclear Disarmament (CBS), primo movimento collettivo per il disarmo nucleare.
Gli statisti incaricati di gestire gli arsenali nucleari, non ebbero però mai l’intenzione di liberarsi di tali
armamenti perché pur consci del pericolo, li consideravano un imprescindibile garanzia di sicurezza.
Fu Eisenhower a predisporre una dottrina che mirava a rendere improbabile la guerra atomica senza
rinunciare ai vantaggi che la superiorità nucleare conferiva agli USA. Dichiarando l’intenzione statunitense
di fronteggiare un qualsiasi atto di aggressione con una rappresaglia massiccia, il presidente degli Stati Uniti
perseguiva diversi scopi: il primo era di massimizzare il potere che derivava dalla propria schiacciante
superiorità, il secondo era di contenere le spese di un ampio apparato militare convenzionale e perseguire
dunque quel pareggio di bilancio che si riteneva cruciale per la salute di lungo periodo dell'economia, il terzo
era quello di prospettare una guerra apocalittica per prevenire l'insorgere di ogni conflitto.
Nel 1958 oltre a subire una schiacciante inferiorità numerica nella quantità di bombe nucleari, i sovietici non
avevano i mezzi per sganciarle sul territorio americano. Da metà degli anni Cinquanta, i sovietici mettono in
atto una strategia, ossia attenuare la propria inferiorità strategica costringendo gli USA ad accettare la
coesistenza pacifica con il comunismo. Il fulcro di questa strategia sovietica fu la costruzione di missili
balistici intercontinentali in gergo ICBM, capaci di portare una testata nucleare sul territorio nemico. Il 4
ottobre fu lanciato in orbita il primo satellite artificiale lo sputnik. Il grado di avanzamento tecnologico era
ormai diventato, insieme al prodotto lordo, il fondamentale parametro di giudizio pubblico sulla superiorità
della società occidentale o di quella socialista, sul grado di civiltà di un paese e in particolare sulla sua
capacità di vittoria nella rivalità bipolare. Dal luglio del 1956 si stava inolte aprendo un'era in cui lo
spionaggio cambiava natura e in cui gli Stati Uniti ebbero un iniziale vantaggio.
I cinesi volevano anch’essi disporre di armi atomiche per accrescere la propria sicurezza e contrastare la
preminenza americana nella regione. I sovietici iniziarono a fornire a Pechino le tecnologie per edificare
un’industria nucleare. Tra le due potenze comuniste cominciò tuttavia a maturare una discordia politica e
strategica che sarebbe presto divenuta un dissidio insanabile, questo perché Mao aveva scarsa stima nei
nuovi dirigenti sovietici e disapprovava la loro aperta critica dello stalinismo, soprattutto dopo le
conseguenze avvenute in Polonia e in Ungheria. In particolar modo Mao era radicalmente contrario alle
nozioni di una coesistenza pacifica con gli Stati Uniti. Nell'estate del 1958 Mao lanciò una strategia di
crescita economica accelerata detta del grande balzo in avanti che avrebbe dovuto sospingere
l'industrializzazione per mezzo di una precipitosa collettivizzazione dell'agricoltura e diffuse requisizioni.
Ma tale strategia innesco la più grande carestia della storia in cui si stima che perirono oltre 20 milioni di
persone. Il 23 agosto l'esercito di Pechino iniziò a bombardare le isole Quemoy e Matsu occupate dai
nazionalisti di Taiwan. Ma dato che Mao non voleva arrivare alla guerra con gli Stati Uniti, dopo poche
settimane mise fine al bombardamento. Sconcertati dall'atteggiamento di Mao che ritenevano
pericolosamente irresponsabile i sovietici compresero che egli metteva in pericolo la strategia di distensione
con gli Stati Uniti e contestava la loro leadership strategica del comunismo internazionale e decisero quindi
di bloccare il trasferimento di tecnologie nucleari alla Cina. Nell'ottobre del 1959 il dissidio divenne aspro
Mao, accusò i sovietici di anteporre l'avvicinamento agli USA all'alleanza sinosovietica. Mosca interruppe di
conseguenza tutti i programmi di assistenza alla Cina ritirando i propri tecnici dal paese. Pechino si doterà
della bomba atomica nel 1964.
La superiorità strategica americana continuava a imporre ai sovietici una condizione di pericolosa
vulnerabilità che ne limitava la libertà d'azione. Frustrato dall'inconcludenza, Chruscev provo a forzare la
mano all'avversario. Il luogo più ovvio per un braccio di ferro con l'occidente era Berlino ovest.
Da Berlino continuavano uscire migliaia di persone verso ovest, il che dissanguava il paese. La insicurezza
della RDT era inoltre esaltata dalla straordinaria vitalità della Germania Ovest, cui il miracolo economico
dava una forte capacità di attrazione. Il Cremlino voleva dunque giungere a una soluzione diplomatica che
garantisse il futuro della RDT. Il 27 novembre del 1958 Chruscev lanciò un ultimatum all'occidente
sperando di trascinare Eisenhower al tavolo delle trattative. Se entro sei mesi non si fosse concluso un
trattato di pace tedesco con la fine del regime di occupazione e la fuoriuscita delle potenze vincitrici da
Berlino, l'Unione Sovietica avrebbe firmato un trattato separato con la RDT. Francia Gran Bretagna e Stati
Uniti avrebbero a loro volta dovuto negoziare con la RDT, riconoscendone quindi la legittimità oppure
abbandonando Berlino ovest. Nessun governo occidentale era disposto ad abbandonare Berlino piegandosi
al diktat sovietico. Eisenhower rifiutava l'idea di un negoziato con i sovietici che ponesse limitazioni di sorta
alla Germania Ovest, inclusa quella di dotarsi di armi nucleari. Ma la difficoltà più seria riguardava i rapporti
con Bonn. Giungere a un accordo con la RDT era fuori discussione così come negoziare vincoli alle politiche
di sicurezza nucleari di Bonn.
In estate del 1960 la rottura sinosovietica divenne di pubblico dominio e in settembre all'assemblea dell'ONU
Chruscev fu entusiasto di incontrare diversi leader del terzo mondo tra cui Fidel Castro. Questi al potere da
appena un anno mirava inclinare l'egemonia americana nell'America centrale e stava entrando in rotta di
collisione con gli Stati. Chruscev offri sovvenzioni economiche e assistenza tecnica a Cuba. Nel contempo
divenne presidente degli Stati Uniti d'America John F. Kennedy. Il 12 aprile 1961 il primo astronauta della
storia Jurij Gagarin percorreva un’orbita intorno alla Terra. Per l'Unione Sovietica era il momento del
trionfo che sembrava convalidare la superiorità del comunismo. 4 giorni dopo 1400 esuli anticastristi armati
e organizzati dalla CIA sbarcavano nella baia dei Porci sulla costa meridionale di Cuba. Era la prima
operazione per innescare un’insurrezione che rovesciasse il regime rivoluzionario ma l'esercito cubano li
bloccò sulla spiaggia e l'operazione falli miseramente. Nel primo incontro tra Kennedy e Chruscev a Vienna
Chruscev presentò a Kennedy un ulteriore ultimatum su Berlino. Kennedy era ancora però più propenso di
Eisenhower ad accettare l'esistenza di due Germanie e ben deciso a evitare che la Germania Ovest divenisse
una potenza nucleare. Andò quindi in televisione per respingere l'ultimatum e annunciò il rafforzamento del
dispositivo militare americano. Il Cremlino comincio a temere uno scontro nel quale sapeva di essere in
condizioni di inferiorità, intanto la situazione della Germania orientale andava rapidamente deteriorandosi. Il
flusso delle uscite verso l'ovest aumentava continuamente sino ad arrivare a 30.000 al giorno. L'economia
della RDT rischia il collasso e i suoi dirigenti implorarono Mosca di autorizzare a chiudere il confine.
Chruscev capi di essere in un vicolo cieco e autorizzò la costruzione di una barriera che impedisse ai cittadini
della RDT di lasciare il paese. Il 13 agosto 1961 le guardie di frontiera della RDT iniziarono la costruzione
del muro di Berlino, una barriera di cemento con posti di blocco e mitragliatrici e mine che rendevano
invalicabile il confine tra il settore occidentale e quello orientale della città.
L'attenzione di Chruscev sì appunto su Cuba, i dirigenti sovietici avevano attribuito un enorme valore alla
rivoluzione cubana quale emblema di una tendenza storica all'affermazione del socialismo nel terzo mondo.
Avevano iniziato a fornire una massiccia assistenza economica e tecnica al regime. Cuba andava difesa per
salvaguardare la prospettiva di un avanzamento del socialismo nel mondo sotto la guida e la protezione
dell'Unione Sovietica. Gli Stati Uniti avevano schierato in Italia e in Turchia i missili Jupiter, missili a medio
raggio, capaci di colpire i paesi dell'est e l'Unione Sovietica. Di conseguenza Chruscev si senti moralmente e
legalmente giustificato a schierare armi analoghe dotate di testate nucleari sul territorio cubano. I missili
avrebbero aumentato la capacità Sovietica di colpire gli Stati Uniti, riducendo così l'inferiorità strategica di
Mosca, avrebbero protetto Cuba e avrebbero finalmente convinto gli Stati Uniti ad accettare un Modus
Vivendi concordato con l'Unione Sovietica. Nel maggio del 1962 quindi l'operazione Anadyr, volta a
trasferire in gran segreto a Cuba 40 missili IRBM. Il 13 settembre Kennedy si impegnò pubblicamente a
impedire che Cuba potesse ospitare armi pericolose per gli Stati Uniti e il congresso votò una mozione di
analogo tenore. Il 16 ottobre Kennedy convocava alla Casa Bianca un comitato di crisi (ExComm). Accettare
per gli Stati Uniti che Cuba divenisse una piattaforma nucleare dell’Unione Sovietica era fuori discussione.
La discussione riguardò le strade da seguire per sgomberare i missili da Cuba e ruotò intorno a quattro
ipotesi: il ricorso all’ONU, il bombardamento mirato dei siti missilistici, l'invasione e un blocco navale. Si
scelse quest'ultima come primo passo per indurre Mosca a far marcia indietro e guadagnare tempo mentre si
preparavano le altre opzioni: esercito, aviazione e marina iniziarono la mobilitazione e le forze strategiche
furono messe in allerta.
Il 22 ottobre Kennedy si rivolse alla nazione con un discorso televisivo rivelando la presenza dei missili a
Cuba e dichiarando che gli Stati Uniti non avrebbero accettato tale situazione, annunciando quindi il blocco
navale. Il timore che si potesse scivolare verso la guerra condiziono subito il Cremlino. Ai reparti stanziati a
Cuba fu ordinato di usare le armi nucleari se non con un esplicito ordine di Mosca. Il 24 entrava in vigore il
blocco navale attuato da 160 vascelli della marina degli Stati Uniti. Il 26 ottobre quando i preparativi
americani sembravano completati e un attacco all'isola quindi possibile in ogni momento, Chruscev propose
di ritirare i missili in cambio dell'assicurazione che gli Stati Uniti non avrebbero attaccato Cuba. Castro
invece chiedeva Mosca di scatenare un'offensiva nucleare sugli Stati Uniti in caso di loro aggressione
all'Isola. Il 27 ottobre Chruscev proponeva da radio Mosca di risolvere la crisi ritirando sia i missili sovietici
a Cuba sia quelli americani in Turchia. Kennedy decise di accogliere la proposta di Chruscev, scrivendogli
che gli USA si impegnavano formalmente a non invadere Cuba, se l'Unione Sovietica avesse ritirati sui
missili. Tale situazione suscito critiche affilate dall'interno del mondo comunista. Che Guevara rimproverava
all'Unione Sovietica due seri errori: il primo era stato trattare con gli Stati Uniti e il secondo ritirarsi
apertamente.
Nel contempo il governo rumeno strinse un patto con Washington offrendo segretamente la propria neutralità
malgrado l'appartenenza al Patto di Varsavia. Le due superpotenze erano dunque accomunate da uno stato di
massima vulnerabilità e la guerra totale diveniva un'opzione impossibile perché suicida oltre che apocalittica.
Ma pur conoscendo questa nuova condizione Mosca e Washington rimanevano immersi nei loro orizzonti di
rivalità. I due nemici assoluti della guerra fredda ora sapevano che le armi nucleari servivano non per essere
usate ma bensì solo per impedirsene reciprocamente l'utilizzo. In questo contesto, difficile era la gestione
delle alleanze. Durante la crisi cubana gli alleati avevano sostenuto Kennedy ma si erano anche resi conto di
non avere alcuna voce in capitolo su decisioni che concernevano la loro sopravvivenza, erano stati informati
ma mai consultati preventivamente sui passi da intraprendere. Per tale motivo gli europei volevano assumere
un ruolo più attivo e rinegoziare i termini della collaborazione atlantica. Con la fondazione della quinta
Repubblica in Francia nel 1958, il presidente Charles de Gaulle procedeva a ridefinire il ruolo internazionale
della Francia. De Gaulle aveva inoltre deciso di chiudere la più lunga e sanguinosa guerra coloniale e nel
1962 firma gli accordi per l'indipendenza dell'Algeria. Nel contempo la Francia aveva anche avviato un
proprio progetto nucleare e nel 1960 fece il suo primo test atomico nel deserto algerino. De Gaulle voleva
arrivare a un direttorio a tre nella NATO in modo che le potenze nucleari Stati Uniti, Francia e Gran
Bretagna guidassero l'alleanza su base paritaria. Ma nel gennaio del 1963 quando capi che ciò non era
possibile perché Washington e Londra preferivano una collaborazione bilaterale, il presidente francese mise
il veto all'ingresso della Gran Bretagna nella comunità europea e firmò con Adenauer (ministro della
Germania occidentale) un trattato di amicizia franco-tedesca. Il presidente francese mirava apertamente a far
emergere l'Europa come entità strategicamente autonoma, ciò entrava però in rotta di collisione con
Washington dove nessuno riteneva possibile l'indipendenza strategica dell'Europa Occidentale. Terreno
comune su cui Mosca e Washington potevano proficuamente incontrarsi era quello della non proliferazione
nucleare. Evitare la diffusione delle armi atomiche agli Stati che ancora non le possedevano avrebbe sancito
lo status privilegiato delle superpotenze, consolidato la loro superiorità e facilitato il controllo sugli alleati e
diminuito rischi di conflitto.
Il 5 agosto 1963 USA, URSS e Gran Bretagna siglavano un trattato che bandiva gli esperimenti atomici
nell'atmosfera e nello spazio, inoltre Mosca e Washington si accordavano anche per stabilire una linea diretta
di telecomunicazione tra i due governi e aprire i negoziati per un trattato di non proliferazione che proibisse
il trasferimento di tecnologie nucleare ai paesi che non si impegnassero a usarle solo per fini energetici.
Ciò non fu però sufficiente a frenare le ambizioni della Francia e della Cina, difatti i due paesi non aderirono
al trattato. Al governo di Bonn fu chiesto in maniera piuttosto imperativa di aderire al trattato e di ratificare il
trattato con la Francia. Sintomatica fu la nuova voce della Chiesa Cattolica, Papa Giovanni XXIII con
l'enciclica Pacem in Terris, pubblicata il 11 aprile del 1963 si rivolgeva a tutti gli uomini di buona volontà
postulando l'obbligo di ogni nazione a ripudiare l'uso della guerra costruendo rapporti pacifici e rispettare i
diritti umani. Dal 1963 in poi, l'antagonismo ideologico non svaniva ma era temperato dalle proclamazioni di
comunanza e la rivalità di potenza era contenuta entro i vincoli di una coesistenza necessariamente pacifica.
CAPITOLO QUARTO – DISORDINE BIPOLARE 1964-1971
Nel 1964 gli Stati Uniti appoggiavano il colpo di Stato che instaurò una dittatura militare in Brasile. Fu in
Vietnam che il contenimento globale di Washington impostò il suo test decisivo e fu lì che esso andò
incontro alla disfatta politica e psicologica più che militare. Dopo la rivoluzione cinese, Washington aveva
visto nel Vietnam un fronte cruciale del contenimento in Asia. Gli Stati Uniti avevano sostenuto l’inutile
resistenza del colonialismo francese e dopo la sconfitta di Parigi e la partizione del paese nel 1954 avevano
visto nella divisione tra il nord comunista e il sud filoccidentale uno dei confini simbolicamente cruciali della
guerra fredda. Avevano quindi sostenuto il regime di Saigon guidato da Ngo Dinh Diem, nella convinzione
che un paese asiatico contadino ed estraneo alla modernità occidentale potesse essere retto solo da un uomo
forte. Quello di Diem era un governo autoritario e scarsamente popolare. Il regime comunista del Nord, erede
della lotta di liberazione contro i francesi nel 1959, decide di passare all'offensiva iniziando a infiltrare
uomini e armi al sud e l'anno successivo i comunisti si univano con altre forze di opposizione del Sud in un
fronte nazionale di liberazione che con attacchi attentati evidenziava la debolezza del regime di Diem. La
decisione di iniziare una campagna offensiva di guerriglia non era promossa da Mosca, che avrebbe semmai
voluto migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, invece di aprire un nuovo fronte di attrito. Ciò che muoveva
il governo comunista di Hanoi era la convinzione di poter sollevare la popolazione del sud contro il regime
impopolare e riunificare quindi il paese sotto la propria guida. Washington vide profilarsi una vittoria
comunista di valore esemplare, di conseguenza l'amministrazione Kennedy considero quello vietnamita
come un fronte cruciale della guerra fredda. L'eventuale caduta di Diem avrebbe incrinato la credibilità della
potenza americana quale garante dei propri alleati infliggendo una sconfitta emblematica alla nozione di
contenimento globale. A partire dal 1961 gli Stati Uniti si impegnarono quindi a fianco di Diem inviando
rifornimenti e migliaia di consiglieri militari nel Vietnam del Sud dove furono istituiti i villaggi strategici,
piccoli bastioni rurali protetti, in cui trapiantare le famiglie contadine e tentare una modernizzazione
dell'agricoltura.
L'impegno dei funzionari civili e militari statunitensi nel Vietnam del Sud alimentava le simpatie di carattere
patriottico per le FNL senza dare solidità efficace e consenso al regime di Saigon. Incapaci di immaginare
altre strade e riesaminare i propri assunti di fondo, gli americani si fossilizzarono sull'idea che fosse
indispensabile insistere nel percorso intrapreso con più mezzi e un maggiore coinvolgimento. Nel 1964 la
situazione sul campo peggiorò benché Diem era stato rimosso e ucciso da un gruppo di ufficiali appoggiati
dagli Stati Uniti. L’idea di cercare una via d'uscita negoziata fu scartata per la paura di conseguenze a
cascata. Nel contempo nel novembre del 1963 Lyndon B Johnson diventa presidente degli Stati Uniti
d'America ereditando la presidenza dopo l'assassinio di Kennedy. I dogmi del contenimento globale,
l'ossessione per la credibilità e l'incapacità di immaginare che la tenacia del nazionalismo potesse resistere
alla forza della superpotenza spinsero quindi alla guerra. Nell'agosto del 1964 Johnson sfruttò un presunto
incidente navale nel golfo del Tonchino per ottenere dal congresso l'autorizzazione a usare la forza contro
l'aggressione comunista e avviò incursioni aeree contro installazioni militari e industriali nel Vietnam del
Nord. Nella primavera successiva intensifico i bombardamenti sul nord, che divenne una campagna
massiccia e prolungata e introdusse unità di combattimento americane nel sud. Iniziava così una guerra
devastante concentrata quasi interamente nel sud del paese dove le truppe americane usavano un enorme
potenza di fuoco per cercare di distruggere i guerrieri del FNL e i reparti del nord che si infiltravano
passando per il Laos e la Cambogia. L'obiettivo era di eliminare più soldati di quanti il Nord riuscisse a
rimpiazzare per arrivare a una condizione che consentisse di pacificare il sud e consolidare il regime.
Ma i Vietcong sceglievano quando colpire per poi ritirarsi nella giungla tropicale e le loro perdite pure molto
alte non erano tali da incapacitarli. Quella che veniva sconvolta era invece la società rurale del Sud dove
popolazioni, campi e villaggi erano travolti e spesso devastati dalle operazioni militari. Hanoi capi che il
conflitto acquistava una grande rilevanza internazionale dalla quale fece discendere una strategia che puntava
tanto a fare insorgere la popolazione del Sud quanto a conquistare il sostegno internazionale e indurre il
popolo americano e i popoli di larghe vedute del mondo a opporsi alla guerra.
È proprio quest'ultima la leva risolutiva, il costo umano e politico del conflitto inizio a suscitare agitazioni in
America. Proteste di gruppi studenteschi e religiosi contro la politica di Johnson crebbero a mano a mano che
la violenza e l'ampiezza della guerra parvero tradire il suo stesso scopo: per salvare i vietnamiti dal
comunismo si faceva un enorme numero di vittime, si devastava il territorio e il tessuto sociale. Nel 1967 la
contestazione era ormai diffusa e continua. Nel gennaio del 1968 giunse la svolta con l'offensiva del Tet, il
Capodanno vietnamita. L'FNL e l'esercito del Nord lanciarono un attacco in tutto il sud assaltando cento città
e molte basi militari e perfino l'ambasciata degli Stati Uniti a Saigon. La fiducia pubblica
nell'amministrazione crollò perché fu evidente che il conflitto non seguiva le rosee previsioni di Washington.
Ai cittadini che si opponevano alla guerra si sommano quelli che la consideravano inutile e inconcludente.
Indebolito sul piano politico e psicologicamente esausto Johnson annuncio il 31 marzo del 1968 che non si
sarebbe ricandidato alla presidenza per favorire una soluzione negoziata con Hanoi. La guerra in Vietnam
non terminava anzi, per molti versi sarebbe divenuta ancora più aspra ma di lì in avanti gli Stati Uniti non
poterono più pensare di vincerla né di proseguirla, si trattava solo più di trovare il modo migliore per
districarsi da un conflitto fallimentare. Per Washington la motivazione e la strategia stavano nel potenziale
effetto domino che una vittoria comunista avrebbe potuto innescare.
Taluni alleati locali condividevano quel timore per questo la Corea del sud e l’Australia avevano inviato
alcune loro unità a combattere a fianco delle forze americani e la Thailandia forniva un importante retroterra
logistico. Fino al 1968 i comunisti cinesi diedero un cospicuo sostegno materiale e politico ad Hanoi. La
guerra in Vietnam non riaccese neanche l'antagonismo bipolare. Il 13 ottobre del 1964 Chruscev era stato
rimosso e pensionato, i suoi colleghi a cominciare dal nuovo segretario del PCUS Breznev volevano uscire
dalla condizione di inferiorità e raggiungere la parità strategica con gli Stati Uniti. Per questo motivo
avviarono un massiccio riarmo che appesantì notevolmente l'economia sovietica ma moltiplico il deterrente
strategico sovietico avvicinandolo in pochi anni a quello americano. Ma il fulcro della politica estera di
Breznev era la pace con gli Stati Uniti. In quest'ottica volta a migliorare le relazioni con gli Stati Uniti, la
guerra in Vietnam era d'ostacolo. Le esigenze della solidarietà internazionale nel campo socialista
imponevano però di sostenere Hanoi, cosa che Mosca fece fornendo armamenti anche sofisticati e
partecipando alla battaglia retorica contro l'imperialismo americano. I dirigenti nordvietnamiti usarono
abilmente la concorrenza sinosovietica per strappare il massimo degli aiuti da entrambi le potenze comuniste
mantenendo simultaneamente una forte autonomia decisionale. Mentre combatteva l'aggressione comunista
in Vietnam, Johnson sottolineava pubblicamente la necessità di costruire ponti con l'Europa Orientale e
l'Unione Sovietica. La bussola della politica estera americana restava la diminuzione del rischio di guerra
nucleare, Mosca, Londra e Washington si impegnarono a non collocare armi atomiche nello spazio con un
trattato firmato nel 1967.
Inoltre, il presidente americano era anche contrario a ogni ipotesi di armamento nucleare della Germania,
questione che rischiò quindi di ostacolare il dialogo tra Unione Sovietica e Stati Uniti. La comune volontà di
isolare la Cina nucleare e frenare la diffusione delle armi atomiche, spinsero Mosca e Washington a
negoziare il trattato di non proliferazione nucleare siglato il primo luglio del 1968. I firmatari si
impegnavano a non trasferire armi nucleari agli Stati che non ne disponevano, istituendo un regime di
controlli internazionali sulle attività atomiche. Neppure la guerra dei sei giorni interruppe questa ricerca di
distensione, benché il conflitto arabo-israeliano stesse ormai avviluppandosi inestricabilmente con la
dinamica dell'antagonismo bipolare. Israele aveva tradizionalmente fatto affidamento sul sostegno francese
per i suoi armamenti e gli Stati Uniti preoccupati di inimicarsi i paesi arabi avevano evitato di schierarsi con
Tel Aviv, malgrado la crescente simpatia suscitata dalla causa israeliana nella società americana. Ma dalla
metà degli anni Sessanta il crescente legame tra Siria e Egitto, che avevano stretto con l'Unione Sovietica,
spinse Washington a cambiare rotta, l'amministrazione Johnson inizio a vedere in Israele un utile partner.
Nella primavera del 1967 Nasser mobilitava le sue forze per precipitare una crisi diplomatica che riteneva
potesse risolversi in una sconfitta israeliana. Tali rimasero scioccati dal crollo delle armate arabe dopo che
Israele lancio il 5 giugno del 1967 un attacco fulminante. Il 10 giugno, quando le ultime difese dell'Egitto e
della Siria stavano per cedere, l'Unione Sovietica minaccia di intervenire per evitare il collasso degli alleati.
Washington fece pressioni su Israele che fermò le operazioni accettando un cessate il fuoco. Da lì in avanti il
conflitto medio-orientale divenne anche uno dei teatri della rivalità tra le superpotenze. Gli Stati Uniti
presero a sostenere apertamente Israele come alleato cruciale per contenere l'influenza Sovietica nella
regione. Mosca avviò un massiccio riarmo dell'Egitto e della Siria. A vent'anni di distanza dal piano Marshall
la ricostruzione dell'Europa occidentale era maturata nella più lunga e intesa espansione economica
ininterrotta della sua storia, dando fondamento sociale e politico al contenimento. La prolungata prosperità in
condizione di alta o piena occupazione aveva espanso i ranghi di classi medie, solidamente benestanti, e
consentito a gran parte dei lavoratori di integrarsi nella società dei consumi crescenti con proprie
rappresentanze che negoziavano i benefici dell'alta produttività. Le incerte democrazie dell'Europa
postbellica erano divenute regimi solidi guidati con ampi consensi da governi conservatori o sempre più
spesso socialdemocratici, che perseguivano politiche di spesa volte a sostenere la domanda e garantire livelli
crescenti di sicurezza economica e fornire servizi pubblici come l'istruzione o la sanità a tutti i cittadini.
Svuotando le campagne di manodopera a bassa produttività nei consumi nelle grandi fabbriche, l'industria
Europea si era ridefinita intorno alle nuove tecnologie e metodologie di impresa in cui gli aiuti americani
avevano facilitato l'adozione.
La graduale apertura controllata dai mercati europei e la liberalizzazione degli scambi nell'aria Atlantica
avevano attivato un circuito virtuoso in continua espansione tra domanda e offerta. Questa grande
trasformazione si fondava però anche su istituzioni specificatamente europee, particolarmente adatte alle
produzioni su larga scala che dominavano quel tipo di economia: pianificazione pubblica a sostegno di
grandi aziende che agivano da campioni nazionali nei principali settori crediti bancari a lungo termine,
organizzazioni imprenditoriali e sindacali centralizzate, servizi pubblici in molti settori del terziario.
La CEE era il simbolo più indicativo di questo capitalismo coordinato. Il terzo pilastro del lungo Boom
europeo e giapponese era il sistema monetario fondato sul dollaro convertibile in oro a un prezzo prefissato.
La quota statunitense del commercio mondiale diminuiva però a mano a mano che le esportazioni europee e
giapponesi crescevano in tutti i mercati compreso quello statunitense. Ma per gli Stati Uniti vi era un
intrinseco vantaggio, perché avendo la moneta di riserva internazionale potevano fronteggiare il deficit
stampando ulteriore moneta a differenza di tutti gli altri che dovevano far tornare i conti esteri, pena una crisi
della propria valuta. Gli Stati Uniti potevano quindi sostenere i costi di una politica internazionale espansiva.
Ma il prolungato continuo peggioramento dei conti finiva per profilare anche dei vincoli. In primo luogo,
l'enorme massa di dollari in circolazione non aveva più alcuna proporzione con le riserve auree del paese.
E se le banche centrali europee avessero chiesto la conversione in oro anche solo di parte dei loro dollari, il
governo americano non avrebbe potuto assolvere uno degli obblighi del sistema.
La crescente tensione sulle questioni monetarie riproduceva frizioni continue con gli alleati europei.
Intrecciate con dissidi di carattere politico negli anni 60 evidenziano quanto la maggior forza degli europei e
le difficoltà statunitensi stessero allentando la disciplina Atlantica e alterando i termini di un’egemonia
americana sempre meno indiscussa. Dagli europei saliva una critica crescente agli Stati Uniti per i problemi
valutari, le economie del continente avevano bisogno di stabilità monetaria perché dipendevano fortemente
dagli scambi e dalla moderazione salariale e la massa crescente di dollari in circolazione metteva a rischio i
loro conti, la continuità della crescita e il valore delle loro riserve. In particolare, De Gaulle sferzava i
governanti americani invitandoli alle virtù della disciplina fiscale altrimenti critico verso la guerra in
Vietnam il presidente francese usava le tensioni monetarie per intensificare la sua sfida all'egemonia
statunitense in Europa la cui dipendenza da Washington gli sembrava intollerabile. A marzo del 1966 la
Francia pur rimanendo nell’Alleanza Atlantica, annunciava l'uscita dal dispositivo militare integrato nella
NATO e non avrebbe più accolto sul suo territorio i comandi e le forze dell'Alleanza. De Gaulle sapeva che
gli Stati Uniti e la NATO avrebbero comunque continuato ad assicurare la protezione della Francia, visto che
la linea di difesa dell'armata rossa era in Germania, poteva quindi proclamare l'indipendenza strategica del
suo paese senza correre alcun serio rischio e denunciando simbolicamente l'egemonia americana. Nel
dicembre 1967 la crisi della NATO si chiudeva con l'approvazione unanime del rapporto Harmel, che
impegnava l'alleanza ad affiancare alla strategia di contenimento dell'Unione Sovietica anche una politica di
distensione tra i due blocchi, riflettendo così le nuove priorità sia degli Stati Uniti sia della Germania e degli
altri governi europei.
Nel contempo l'ostilità della guerra americana in Vietnam stava aumentando, e tutti potevano vedere quanto i
costi della guerra esasperassero il deficit americano e di conseguenza le tensioni monetarie dentro
l'occidente. Sia Washington sia gli europei pensavano che il sistema della convertibilità a prezzi fissi andasse
salvaguardato perché era ritenuto garanzia della solidità delle economie occidentali. Il governo americano
chiedeva perciò agli europei di rinunciare a convertire i propri dollari in oro e soprattutto assumersi maggiori
oneri per il mantenimento delle forze americane schierate in Germania. Dal 1969 gli europei avrebbero
cominciato a ipotizzare un coordinamento delle loro valute, ma collegarle in un blocco monetario regionale
si sarebbe rilevato assai difficile. Il maggior peso economico e politico acquisito dagli europei rendeva loro
possibile ripensare molti aspetti dei rapporti transatlantici e soprattutto esercitare una maggiore autonomia
d'iniziativa. Il terreno su cui questa si manifestò in modo più innovativo fu quello dei rapporti con l'est.
Grazie al nuovo clima di minor antagonismo bipolare. diversi paesi europei stavano infatti tentando di
avviare forme di dialogo e collaborazione con l'Unione Sovietica e con gli altri paesi del Patto di Varsavia.
Negli anni in cui le due superpotenze iniziavano il loro stentato dialogo per regolamentare la minaccia
nucleare dal terzo mondo, sorgeva una pressione per lo sviluppo economico e il riequilibrio tra le aree più
ricche del mondo e quelle più povere.
Grazie alla loro insistenza nel 1964 si riunì a Ginevra la prima conferenza dell'ONU sul commercio e lo
sviluppo. Al suo interno i paesi del terzo mondo formarono il gruppo dei 77, che cercava di coordinare le
loro richieste, difenderne l’autonomia culturale e promuovere l'idea di un nuovo ordine economico mondiale.
Il fronte dei paesi del terzo mondo chiedeva la stabilizzazione dei prezzi delle materie prime, l'apertura dei
mercati più ricchi e un aumento degli aiuti e un controllo internazionale sulla loro destinazione. Taluni paesi
perseguivano anche strategie nazionali d’industrializzazione protetta per sostituire le importazioni con
produzioni proprie. La voce del terzo mondo cominciava tuttavia ad avere risonanza e mutava i termini del
discorso pubblico internazionale, perché introduceva una percezione globale dei problemi e sminuiva la
centralità della guerra fredda. In primo luogo, essa aggiungeva una motivazione economicamente forte e
moralmente incontestabile ai già buoni motivi per diminuire la tensione bipolare. In secondo luogo, essa
infrangeva l'idea che la modernizzazione dell'occidentale fosse l'unica strada preordinata per la crescita.
Infine, essa minava la fiducia in un progresso universale e condiviso che animava, sia pure in diverso modo,
ciascuna delle due ideologie del bipolarismo.
Se la prosperità e l'avanzamento tecnologico del nord del mondo non avessero offerto soluzioni ai dilemmi di
buona parte dell’umanità, sarebbe stato inevitabile cominciare a interrogarsi con maggiore scetticismo sulla
validità e moralità del mondo. E ciò era proprio quello che stava facendo un numero crescente di intellettuali
e soprattutto di giovani, la critica dell'Occidente e dell'ordine bipolare che emanava dal terzo mondo si stava
infatti incontrando con quella che saliva dall'università e dalle comunità intellettuali, artistiche e dalle nuove
voci della cultura giovanile in tutto l'occidente. Tra i giovani degli anni Sessanta, assai più scolarizzati e
urbanizzati, vi era un ampio addensamento di ceti medi aggregati nelle scuole e nelle Università delle aree
urbane, meno soggetti alle fonti tradizionali di autorità e uniti da mode e linguaggi della cultura di massa che
come la musica rock esaltavano una distinta identità giovanile alla ricerca di costumi più liberi e
sperimentazioni innovative. Erano le promesse incompiute, le incoerenze ed i risvolti oscuri della modernità
postbellica ad attrarre la loro attenzione polemica. L'esaltazione della crescita economica, quale paradigma
fondamentale del progresso, veniva aggredita da una nascente coscienza ecologica che criticava i costi
ambientali dello sviluppo occidentale. Molti giovani occidentali sposavano un linguaggio del dissenso, al suo
apice nel 1968, in cui la rivalità bipolare risultava un residuo insensato e inservibile di un'epoca passata che
alimentava solo il carattere autoritario e manipolativo di centri di potere incontrollati. Nutrita dalla retorica di
libertà e democrazia dell'Occidente, quella generazione declinava una concezione di uguaglianza in cui
l'ordinamento gerarchico delle razze non trovava più posto. Inoltre, si legavano forme di simpatia se non
talora di identificazione con il terzo mondo.
Questo angosciata e talora furiosa introspezione critica aveva valenza diversa sui due lati dell'Atlantico. In
Europa occidentale sfaldava la simpatia pubblica degli Stati Uniti e contribuiva a eliminare i residui della
mentalità coloniale. In Germania si chiudeva una lunga e proficua stagione di riesame della storia della
nazione che avrebbe portato a una franca riconsiderazione delle responsabilità collettiva e individuale nella
vicenda nazista e in particolare nelle politiche di occupazione e sterminio razziale. Negli Stati Uniti invece
tutto precipitava in una crisi aspra e multiforme fra il Tet e le elezioni del novembre del 1968. Il sostegno
popolare ai democratici andava facendosi incerto proprio mentre saliva una richiesta di ordine culturale e
razziale politico che sollevava le sorti dei repubblicani specie nel sud. Il detentore di questa miscela era il
Vietnam, se a destra chiedevano più rabbiosamente la vittoria e si additavano i pacifisti come traditori, da
sinistra montava una critica sistematica all'imperialismo americano. Nel corpo del paese si era infatti
improvvisamente diffusa la percezione che quelle in Vietnam forse una missione impossibile e tragicamente
inutile. La violenza del conflitto non rinvigoriva l'imperativo morale del contenimento in nome della libertà,
ma comunicava viceversa il rischio che gli Stati Uniti e i loro alleati divenissero tanto immorali quanto i loro
avversari.
In sostanza il paese andava alle elezioni con il suo maggiore partito sotto il fuoco incrociato di molteplici
fonti di scontento. Ne veniva fuori la vittoria del repubblicano Richard Nixon. Il quale portava alla
presidenza delle robuste credenziali conservatrici e un’esplicita contrapposizione alla cultura della ribellione
giovanile. Nixon si presentava anche come il saggio statista che preso atto nel fallimento vietnamita, avrebbe
posto termine alla guerra con una pace onorevole iniziando da lì in poi un'opera di ridefinizione della
strategia internazionale degli Stati Uniti. Questa tensione tra i regimi politici e le trasformazioni culturali e
generazionali si manifestò negli anni 60 anche in Unione Sovietica e in Europa orientale. Tra gli scienziati,
gli intellettuali e i giovani più scolarizzati si andava diffondendo un'aspettativa di riforma del sistema, in
senso sia efficientista sia liberalizzatore e una forte attenzione alla occidente. Il graduale miglioramento del
benessere continuava anche se distribuito in modo assai disuguale ma non si avvicinava neppure
lontanamente a quello dell'Occidente perché la produttività restava molto più bassa. Per evitare scosse e
pericoli il regime rinunciava ad affrontare le disfunzionalità economiche del sistema, assestandosi perciò in
una modalità di bassa efficienza e relativa pace sociale senza più esperimenti di cambiamento. Risvolto di
questa opzione fu il progressivo soffocamento delle idee riformatrici, la marginalizzazione degli elementi
che le esprimevano, l'attenta repressione della vivacità intellettuale e la condanna dei comportamenti
giovanili occidentali ritenuti deviati e pericolosi. Le ripercussioni del disgelo furono però assai meno
controllabili nei paesi dell'Europa orientale dove le esigenze di riforma e le espressioni di dissenso e i nuovi
linguaggi giovanili incarnavano anche il desiderio nazionale di allentare il dominio di Mosca. In tutti i paesi
del comecon era ben viva la necessità di aumentare la disponibilità di beni di consumo e accedere alle
tecnologie occidentali.
Taluni paesi cercavano apertamente di usare i contatti con la Germania e l'occidente per diversificare i loro
scambi e aumentare la propria autonomia dall'Unione Sovietica. Fu in Cecoslovacchia che queste tensioni si
coagulano in un poderoso moto riformista e poi in una tragica crisi. Dal 1967 il paese aveva inaugurato
legami commerciali con la Germania occidentale e persino con gli Stati Uniti. Il paese divenne in breve un
laboratorio di trasformazione focalizzando l'attenzione internazionale sulla "primavera di Praga". A Praga
veniva eliminata la censura e i documenti del dissenso sovietico circolavano ormai liberamente, insieme a
molto materiale occidentale. Dopo l'ultimo tentativo di pressione Mosca optava per l'azione militare e il 21
agosto i soldati dell'armata rossa invadevano la Cecoslovacchia. Veniva così posto termine al 1968 dell'est
nel più coercitivo dei modi. In tal modo Mosca imponeva il suo controllo sul Patto di Varsavia e bloccava le
trasformazioni delle società Socialiste. Agli occhi delle nuove generazioni l'Unione Sovietica assumeva
l'immagine di una dittatura pura e semplice, sospingendo così ancor più le culture libertarie e radicali che
emergevano dal 1968 in un orizzonte mentale definito solo dall' Occidente e dal terzo mondo. Anche in
Europa la guerra ideologica usciva di scena e al suo posto si sarebbe invece affermata, e non solo in Europa,
la centralità dei diritti civili e umani secondo una visione che privilegiava le prerogative della persona e la
riduzione delle autorità dello Stato su di essa.
L'invasione della Cecoslovacchia suscitò protesti ufficiali ma i governi occidentali non avevano alternative
migliori alla prosecuzione del dialogo. Il riarmo strategico dell’Unione Sovietica continuava, portando i
sovietici ormai alle soglie della parità con gli Stati Uniti. Soffocare la possibilità di riforme in Unione
Sovietica e nei paesi socialisti significò imporre non solo obbedienza, ma disillusione e passività intellettuale
che dipingono i tratti peculiari di una società sempre più prigioniera di piaghe sociali crescenti e di una bassa
crescita economica. Nel 1970 le rivolte operaie nei cantieri navali polacchi segnalarono il pericolo
dell'insoddisfazione popolare. Il regime rispose con il ricorso ai crediti occidentali per aumentare la
disponibilità di beni di consumo essenziali. Tali erano segni chiari delle insufficienze strutturali del sistema
che avrebbero condotto a una dipendenza via via più profonda dall'occidente. Tale situazione era però ancora
poco visibile dal di fuori, poiché in Occidente e nel mondo permaneva la convinzione che alla forza dello
Stato sovietico corrispondente una sostanziale solidità del sistema. Nel contempo però l'amministrazione
americana era di fronte a seri problemi: in primo luogo doveva trovare una via d'uscita dalla guerra in
Vietnam che stava lacerando la società americana e esasperava i conflitti interni, inoltre la crisi del dollaro
evidenziava il declinare dell'egemonia statunitense sugli alleati e creava incertezza sull'economia
internazionale.
La distensione e il consolidamento e la legittimazione del bipolarismo con Mosca era il baricentro della
strategia di Nixon. L'ambizione era quella di indurre i sovietici ad abbandonare il finalismo rivoluzionario,
riconoscere i vantaggi dello status quo e divenirne quindi corresponsabili come forza stabilizzatrice. Nel
1969 Brandt divenne cancelliere della Repubblica federale tedesca e la sua strategia di riavvicinamento con
l'est fece un balzo in avanti, nell'agosto del 1970 firmava con l'Unione Sovietica un trattato di rinuncia
reciproca all'uso della forza con cui si formalizzava un comune interesse alla normalizzazione della
situazione Europea. In dicembre Brandt siglava in Polonia il riconoscimento ufficiale del confine sull'Oder-
Neisse. E con un gesto enorme egli si inginocchia va davanti al monumento delle vittime del ghetto di
Varsavia. In sostanza la Germania accettava una volta per tutte i risultati della sua sconfitta e il suo
cancelliere si accollava pubblicamente le responsabilità della nazione per la Seconda guerra mondiale e i suoi
orrori in particolare all'est. Per tale motivo nel 1971 Brandt riceveva il Premio Nobel per la pace e l'anno
successivo siglava anche il riconoscimento reciproco tra i due stati tedeschi con il loro conseguente ingresso
all'ONU. La strategia di Brandt si mostrò utile a tutti e per tale motivo l'amministrazione Nixon non
l'appoggiò apertamente ma neppure la ostacolò. La Germania, e dietro essa il resto dell'Europa occidentale,
assunse gradualmente un ruolo di rilievo nelle economie dell'est accrescendo così la propria influenza sul
futuro di quei paesi e sulle stesse politiche dei regimi socialisti.
La politica di Brandt apriva un'epoca nuova di contatti e interdipendenze che finì per elevare il peso e
l'autonomia dell'Europa occidentale e rendere invece più problematico il dominio sovietico a est.
Sorprendente fu la svolta di Pechino, per 3 anni la Cina era stata totalmente assorbita nei tumultuosi conflitti
interni della rivoluzione culturale che Mao aveva lanciato nel 1966 per rinsaldare il proprio potere e impedire
che gli apparati burocratici smorzassero il carattere rivoluzionario del comunismo. Si trattava di una
campagna geologica con forti accenti antisovietici e xenofobi. Sì realizzo dunque una rottura ideologica tra i
due colossi comunisti che divenne un conflitto di potenza. La leadership cinese comincia a vedere
nell’Unione Sovietica il pericolo principale per la propria sicurezza riorganizzando i progetti e le priorità
della sua politica estera. La Cina doveva uscire dal suo isolamento e aumentare gli scambi per rafforzarsi.
In nome del realismo strategico era dunque consigliabile aprirsi al più lontano dei due grandi nemici per
controbilanciare il pericolo di quello più vicino e minaccioso. Il radicalismo ideologico veniva messo da
parte, si poneva fine alla rivoluzione culturale e si iniziava a lanciare segnali d’interesse nei confronti degli
Stati Uniti. Tanto a Washington quanto a Pechino vi erano buoni motivi per convergere verso un dialogo
anche se non era semplice avviarlo dopo vent'anni di diffidenza reciproca. Di fronte alla possibilità di un
conflitto in Asia, a Washington fu chiaro che un rafforzamento dell'Unione Sovietica a spese della Cina
avrebbe costituito un drastico mutamento dei rapporti di Potenza a scapito degli Stati Uniti. I colloqui
surgelarono il reciproco interesse a una collaborazione che avrebbe beneficiato entrambi.
Il consigliere della sicurezza nazionale americana Kissinger aprì la porta all'ingresso della Repubblica
Popolare all'ONU. Il primo ministro cinese accettò di mettere da parte la questione di Taiwan. Mosca vedeva
i suoi principali avversari affiancati in un'intesa che, pur non configurando una vera alleanza, era tuttavia
palesemente animata da un comune interesse strategico antisovietico. Washington riprendeva l'iniziativa
acquisendo la possibilità di sfruttare la rivalità tra le due potenze comuniste per dialogare con Mosca da
posizioni più forti. La Cina erigeva una robusta barriera diplomatica contro un ormai improbabile attacco
sovietico, si liberava dell'incubo di un conflitto su due fronti e tornava a usare la grande diplomazia
internazionale per i propri interessi. Il 15 agosto del 1971 la Casa Bianca sorprendeva ancora il mondo con
un secondo colpo di scena, il segretario al tesoro John Connally sospendeva la convertibilità del dollaro in
oro imponeva un congelamento temporaneo dei prezzi e dei salari e rialzava temporaneamente del 10% i
dazi sulle importazioni negli Stati Uniti. Questo perché le misure degli anni precedenti per tamponare la crisi
del dollaro si erano rivelate insufficienti e la fuoriuscita di capitali era continuata aggravando ulteriormente il
deficit statunitense. Poco tempo prima nel dicembre del 1969 i 6 governi della CEE avevano deciso di
allargare la comunità alla Gran Bretagna e coordinare le politiche monetarie facendo progressivamente
convergere le loro valute verso cambi fissi.
Era il tentativo, che non riuscì, di arginare il disordine che emanava dalla crisi del dollaro e presentare un
fronte compatto per spingere Washington a quegli aggiustamenti strutturali che gli europei ritenevano
necessari. Ma l'amministrazione Nixon si volse in direzione opposta sempre più intenzionata ad aumentare la
propria libertà di manovra e muovere verso quella flessibilità dei cambi che europei e giapponesi
respingevano, essa si orientò verso una soluzione unilaterale. Ma il regime di cambi fissi non era più
indispensabile per la solidità dell'economia internazionale e i vari popoli dell'Occidente non erano più così
vulnerabili da non poter competere apertamente in campo monetario e commerciale. Gli Stati Uniti potevano
quindi operare in modo più imperioso e unilaterale per ridefinire i cardini del sistema intorno alle proprie
esigenze di flessibilità e competitività. Il lungo dopoguerra era definitivamente terminato. Con le misure
annunciate il 15 agosto del 1971 gli Stati Uniti mettevano al sicuro le riserve auree americane e
costringevano gli sbigottiti alleati a negoziare un riallineamento dei cambi da una posizione di maggiore
debolezza. Gli europei erano ora più sollecitati a coordinarsi in chiave difensiva ma si scopriranno anche
meno capaci di farlo per i diversi effetti che le scelte di Nixon avevano su ciascuna delle loro monete. In
dicembre ci si accordò quindi per una rivalutazione del marco tedesco e dello Yen Giapponese, il dollaro
iniziò la svalutazione che Washington desiderava per allentare il deficit senza dover sacrificare né le proprie
ambizioni internazionali né il consenso degli elettori. Nel 1973 la sterlina, poi il dollaro e infine tutte le altre
monete sarebbero state lasciate libere di fluttuare sui mercati.
Gli Stati Uniti si erano svincolarsi dal ruolo di tutore del sistema internazionale e potevano gestire con più
indipendenza la propria politica economica pur mantenendo il privilegio del dollaro come valuta principale
degli scambi e delle riserve mondiali. Sorgeva così un nuovo regime che avrebbe moltiplicato
vertiginosamente la mobilità dei capitali e alimentato quella che oggi chiamiamo globalizzazione.
All'inizio degli anni Settanta il concetto stesso di guerra fredda appariva assai meno centrale se non obsoleto
e il termine era usato per identificare una situazione che ci si era lasciate alle spalle più che il presente o il
divenire. L'antagonismo bipolare non era scomparso ma si incanalava in una distensione che prometteva di
diminuire i pericoli e alludeva a una nuova era di collaborazione.

CAPITOLO QUINTO – APOGEO E DISFATTA DELLA DISTENSIONE 1972-1980


Il 17 luglio del 1975 La navicella spaziale Sovietica soyuz e quella americana pollo si congiungevano in
orbita, Erano passati appena 6 anni dalla corsa alla luna, fronti simbolico e tecnologico della rivalità tra le
superpotenze.
Alla fine del 1979 l'Unione Sovietica invade va la fuga Nissan.
Appena 5 anni dopo il loro speranzosi incontro nello spazio Stati Uniti Unione Sovietica tornavano a
immergersi in una seconda guerra fredda.
L'arco temporale della distensione fu accompagnato da una parola chiave che contrassegna l'intero decennio
ossia crisi.
CRISI innanzitutto nell'economia occidentale che chiudeva il suo lungo Boom trentennale con un marcato
rallentamento della crescita, una secca recessione nel 1974-1975 e la ricomparsa della disoccupazione e
dell'inflazione. Crisi dell'America e della Sua egemonia internazionale, sconfitti in Vietnam, sfidati
dall'Unione Sovietica su nuovi fronti, meno capaci di guidare gli alleati e controllare i focolai di instabilità,
gli Stati Uniti attraversarono gli anni 70 interrogandosi con crescente incertezza sulla propria solidità,
identità e direzione di marcia. La crisi per antonomasia fu quella meridionale e petrolifera, il rialzo dei prezzi
del petrolio segnalava la possibilità di una profonda alterazione dei rapporti economici e politici tra il nord e
il sud del mondo.
E il ricorrente scontro arabo-israeliano si trasformava nel endemico conflitto israelo-palestinese da lì in poi
epicentro il risolto di una instabilità regionale.
L'economia capitalistica non Era sull'orlo di una crisi storica ma all'inizio di una transizione verso l'economia
post-industriale dei servizi e delle nuove tecnologie.
Nel terzo mondo taluni paesi precipitavano nell' accumulazione del debito subendo il peso dell' incipiente
globalizzazione altri in particolar modo in Asia imboccarono percorsi di rapida crescita e avanzamento
tecnologico fondati sull'apertura al mercato internazionale.
La fine della distensione riaccendeva, per Mosca, la rivalità con un Occidente dotato di Ben maggiori
risorse , le sue capacità di controllo in Europa orientale erano erose dalle nuove aspettative suscitate dalla
distensione e dalla crescente dipendenza dai capitali occidentali. Il Giappone la Cina e le nuove economie
emergenti ponevano Mosca di fronte a un altro arco di ostilità e sviluppo economico in estremo Oriente.
L'Unione Sovietica era ormai gravemente appesantita dal ristagno economico e ideale, dal crescente ritardo
tecnologico e dalla disfunzionalità del suo sistema di governo: la vera crisi storica che si andava delineando
era la sua.
Le leve fondamentali per svincolarsi dal tracollo del consenso interno al contenimento globale e rifondare
quindi l'egemonia americana in termini più sostenibili erano due. Quella Cardinale era di indurre Mosca da
accordi tali da stabilizzare il bipolarismo ma la più urgente era risolvere il conflitto in Vietnam magari anche
con l'aiuto di Mosca.
La guerra in indocina era infatti l'alimento principale della protesta e della disgregazione interna.
Era anche il buco nero in cui gli Stati Uniti dissi pavano quotidianamente le vite dei propri soldati e preziose
risorse economiche e politiche.
Visto che non si poteva più vincere Nixon Opto per una duplice strategia di ripiego, da un lato
sdrammatizzare l'impatto domestico del conflitto e dall'altro negoziare con Hanoi un ritiro delle forze
americane senza che ciò configurasse una plateale sconfitta.
La prima strada fu quella della vietnamizzazione: le forze armate americane vennero progressivamente
ritirate e loro compiti passati all'esercito di Saigon debitamente rifornito dagli Stati Uniti.
In tal modo diminuirono le vittime americane e fu possibile abolire la leva, così da depotenziare le fonti più
dolorose e immediate del disagio in patria.
La seconda via era assai più complessa, Nixon tentò inizialmente di piegare Hanoi con la pressione militare.
La guerra entra così nella sua fase più devastante tra il 1969 e il 1972 i bombardamenti aerei furono massicci
tanto che sulla stola Cambogia gli Stati Uniti scaricarono più bombe che in tutta la Seconda Guerra
Mondiale.
Il risultato fu un accordo siglato a Parigi il 17 gennaio del 1973 che contemplava il cessate Il fuoco è il pieno
definitivo ritiro delle forze americane mentre lasciava le parti vietnamite una soluzione concordata sul futuro
del paese.
L'intervallo prima di una vittoria comunista fu breve. Sia Hanoi che Saigon violarlo ripetutamente il cessate
il fuoco fino alla primavera del 1975, quando il nord lanciò una Poderosa offensiva militare che travolse le
forze del Sud. Il 30 aprile del 1975 le truppe di Hanoi entravano a Saigon. Dopo 15 anni di guerra
ininterrotta Il paese era riunificato sotto il regime comunista.
Nel 1972 l'amministrazione Nixon aveva colto i primi fondamentali frutti della sua strategia di
stabilizzazione dello status quo attraverso la regolamentazione della competizione con Mosca.
Dopo la visita del presidente americano a Pechino cine Stati Uniti erano ora palesemente affiancati dal
comune interesse a contenere l'influenza Sovietica in Asia.
A tal punto per Mosca diveniva essenziale evitare l'isolamento e cementare una solida distensione con gli
Stati Uniti che vanificasse l'ipotesi di un asse sinoamericano in funzione antisovietica.
I colloqui da lungo tempo in corso per la limitazione degli armamenti strategici subirono un'improvvisa
accelerata il 26 maggio 1972 il presidente americano firmava con Breznev al Cremlino i patti che sancivano
la parità strategica tra le due superpotenze e cercavano di regolamentare la corsa agli armamenti.
Il Trattato AMB (anti missili balistici) limitava drasticamente i sistemi di difesa antimissilistica
istituzionalizzando quindi il sistema di deterrenza fondata sulla capacità di distruzione reciproca.
Rimaneva comunque aperta la strada della competizione tecnologica sull'innovazione delle armi offensive.
Agli Stati Uniti gli accordi davano la possibilità di controllare le intenso riarmo strategico sovietico e
contenere le proprie spese per la difesa.
Era un importante risultato diplomatico ed economico ma notevolmente rilevante era il suo effetto politico
perché veniva incontro alla domanda pubblica di pacificazione e facilitava quindi la ricostruzione di un
consenso nazionale e internazionale.
Per i sovietici L'intesa raggiunta a Mosca rappresentava un fondamentale punto di arrivo perché gli Stati
Uniti accettavano finalmente la parità strategica, l'Unione Sovietica approdava quindi all'eguaglianza che
aveva sempre agognato e alla piena legittimazione come potenza globale.

Di non secondaria importanza erano poi gli accordi collaterali di collaborazione tecnica e culturale e
soprattutto la prospettiva dello sviluppo di scambi economici a cui l'Unione Sovietica affidava la speranza di
potersi rifornire di tecnologie e beni alimentari e di consumo.
In Cile nel 1970 il successo elettorale del fronte delle sinistre e guidato dal Socialista Allende attivo
immediatamente il riflesso condizionato del contenimento nell'amministrazione Nixon.
Gli Stati Uniti temevano che l'esperimento cileno potesse trovare imitatori in altre aree dell'America Latina e
aprire quindi un processo di disgregazione della propria influenza Sul continente.
Furono Dunque promosse operazioni per lo più segrete di destabilizzazione del governo cileno con il
boicottaggio economico e finanziamento delle opposizioni.
Più complesso fu la crisi mediorientale culminata nella guerra del ottobre 1973. La vittoria israeliana nel
1977 aveva cambiato la dinamica del conflitto, i palestinesi avviavano una campagna politica e militare
contro Israele.
Washington proponeva un piano di pace il cui rifiuto da parte di entrambi i contendenti aumentava la
presenza di Mosca a sostegno di Siria ed Egitto.
Ma fu soprattutto kissinger a imprimere una torsione decisamente bipolare alla diplomazia del conflitto.
Fintanto che Israele rimaneva abbastanza forte militarmente le sue conquiste del 1967 obbligavano i paesi
arabi a cercare una soluzione negoziata. Gli Stati Uniti erano i soli ad avere l'influenza necessaria per portare
Tel Aviv a un accordo. La via per riottenere il Sinai occupato Venne detto all'Egitto era quella di dialogare
con gli Stati Uniti e allontanarsi da Mosca così da diminuire l'influenza nella regione.
Ci volle però un'altra guerra prima che questo disegno si realizzasse. Il successore di Nasser alla guida
dell'Egitto anwar Sadat allontanò nel 1972 le unità sovietiche. Non trovo però un'immediata rispondenza da
Washington e Tel Aviv, e si convinse che fosse necessario dare una dimostrazione di forza per indurre
Israele alla trattativa, e consolidare la propria leadership nel paese e nel mondo arabo.
Il 6 ottobre 1973 la guerra iniziava con un duplice attacco nel Sinai e sulle alture del Golan.
Colta di sorpresa Israele era in difficoltà su tutti i fronti, il 13 Nixon autorizzo un ponte aereo per rifornire la
di armi e munizioni, il 15 gli israeliani lanciarono una controffensiva e attraversarono il canale di Suez
accerchiando le armate egiziane.
A questo punto gli egiziani chiese non c'è stato il fuoco che fu votato dall'onu il 22 su iniziativa americane e
Sovietica.
Ma l'attenzione bipolare si mostra più forte le forze israeliane erano sul punto di annientare quelle egiziane e
tardavano quindi affermare le ostilità. Il 23 Breznev proposi a Nixon di intervenire congiuntamente per far
rispettare il cessate-il-fuoco eventi do la possibilità di intervento unilaterale sovietico in caso di rifiuto punto
kikinger rifiutò la proposta di Mosca e minacciò l'escalation della crisi in caso di intervento sovietico. Al
tempo stesso intervenne su Israele per fermare le azioni militari e consentire il rifornimento di viveri ai
militari egiziani accerchiati.
I sovietici non reagirono e le ostilità cessarono su tutti i fronti il 26 ottobre del 1973.
La crisi mediorientale aveva Dunque mostrato il carattere limitato e parziale della distinzione, illuminando
nelle diverse interpretazioni dei leader sovietici e americani.
La sua conclusione Aveva aperto le porte a un successo diplomatico americano, ma essa rovescio sulla scena
mondiale anche un problema ben più spinoso quello del prezzo del petrolio.
Nel lungo boom postbellico la principale fonte di energia era divenuta il petrolio il cui consumo mondiale era
aumentato di quasi 5 volte.
Il suo prezzo basso è stabile era stato uno dei fattori che avevano consentito l'intensa crescita dei paesi
industrializzati in condizioni di bassa inflazione.
Quanto più importante diventava il consumo di petrolio è tanto più saliva la dipendenza dalle sue
importazioni, Europa e Giappone dipendevano dal flusso Greggio mediorientale Ma anche gli Stati Uniti
avevano perso la loro autosufficienza energetica.
Ciò dava Maggiore potere contrattuale ai paesi produttori e questo insieme alla svalutazione del dollaro Risp
in se ad aumentare i prezzi a partire dal 1971.
I paesi arabi spinsero per usare il loro potere economico in chiave anti israeliana e l'organizzazione dei paesi
esportatori decide di ridurre la produzione alzare i prezzi e differenziare le forniture a seconda delle posizioni
assunte sul conflitto arabo-israeliano.
L'effetto congiunto di tali misure fosse vero tra ottobre e dicembre 1973 i prezzi del greggio
quadruplicarono.
Tutti i paesi importatori andavano incontro a profondi deficit dei pagamenti esteri e a un forte effetto
inflazionistico, mentre i paesi esportatori registravano robusti attivi con l'afflusso di ingenti capitali. L'intera
economia mondiale subiva uno shock profondo e asimmetrico colpendo in particolar modo i paesi più poveri
che non producevano petrolio.
Con la crisi economica tornavano la disoccupazione e una severa inflazione, in alcun economie più fragili
come Italia e Gran Bretagna ciò intensificò i conflitti sociali e politici.
Ma da un altro punto di vista, quello del terzo mondo, la percezione di incertezza e divisione dell'Occidente
schiudeva una prospettiva ben diversa, nel 1973 ad Algeri i non allineati stendevano un manifesto per un
"nuovo ordine economico".
L'anno successivo è si portavano le loro proposte all'onu.
L'assemblea dove paesi del terzo mondo erano ormai in maggioranza approvava il primo maggio la
virgolette dichiarazione sull'istituzione di un nuovo ordine economico internazionale ", chi chiedeva di
migliorare i termini di scambio a favore dei prodotti di base, estendere il controllo dei paesi in via di
sviluppo sulle proprie risorse naturali e gli investimenti esteri, accrescere il loro accesso ai mercati,
tecnologie e capitali dei paesi industrializzati e aumentare gli aiuti allo sviluppo. Tale situazione evidenzia va
in particolare la diminuita capacità di controllo degli Stati Uniti sugli eventi internazionali.
E non aiutava certamente lo scoppio dello scandalo Watergate che vedeva il presidente Nixon imputato di
seri abusi dei suoi poteri costituzionali, messo sotto accusa dal congresso e costretto a dimettersi nell'agosto
del 1974.
Kissinger razionalizza va la distensione come modo per gestire L'ascesa della potenza Sovietica da parte di
un Occidente in crepuscolare declino.
Per i sovietici la distensione discendeva invece direttamente dalla forza dell'Unione Sovietica che aveva
costretto gli Stati Uniti a scendere a Patti.
Per la prima volta nella loro storia La Tradizionale inferiorità dei sovietici era trasmutata in una parità
garantita dalla potenza militare e riconosciuta in documenti e trattati.
Nella sua lunga Guerra di posizione con il capitalismo il Cremlino concepiva quindi la distensione come leva
per gestire la crisi dell'imperialismo entro un moto storico verso l'affermazione del socialismo su scala
planetaria.
Nel corso degli anni settanta i paesi dell'Europa orientale a crescevano rapidamente il loro interscambio con
l'ovest e accendevano cospicui crediti per finanziarlo soprattutto con banche tedesche ed europee.
L'Unione Sovietica poteva usare il petrolio e altre materie prime oltre alla vendita di armi in Medio Oriente
per assicurarsi un enorme flusso di valuta con la quale quadro più gli acquisti di tecnologie beni alimentari in
occidente con un parziale miglioramento dello scarso benessere interno.
Per quanto fiduciosi e rincuorati i dirigenti sovietici erano tuttavia anche timorosi delle contaminazioni
culturali che potevano derivare dagli accresciuti contatti con l'occidente e dalla minore tensione ideologica.

L'Unione Sovietica non era più vista come una parte della narrazione novecentesca di modernità e progresso
sociale a ma era per alcuni la negazione per altri un corpo estraneo con cui non vi era più solidarietà.
Negli Stati Uniti parte degli intellettualità Liberal reagiva infatti alla crisi americana con una critica frontale
all'idea di abdicare alla preminenza strategica accogliere la parità con un Sovietica e concedere una sorta di
equivalenza morale. Questo nuovo spirito che avrebbe presto assunto l'etichetta di neoconservatorismo
innesco un attacco politico a kissinger e al congresso iniziarono i tentativi di condizionare gli accordi di
distensione.
Il primo strappo nel tessuto della distensione avvenne a fine 1973 Quando venne approvato l'emendamento
che vincolava l'attuazione degli accordi commerciali alla liberalizzazione dell'immigrazione dall'Unione
Sovietica.
Kissinger temeva soprattutto gli effetti disgreganti che gli disordine economico e l'instabilità politica di
alcuni paesi potevano generare, mettendo in discussione della coesione Atlantica e la stabilizzazione del
bipolarismo a cui tutta la sua strategia era finalizzata.
Il mirino d'Italia ansie Sì appunto sull'Europa meridionale dove in Grecia Nel 1974 la caduta del regime
militare apriva la strada a una possibile transizione verso la democrazia.
In Spagna il regime franchista faticato a governare le tensioni tra la modernizzazione dell'Economia e la
permanenza di un sistema autoritario il cui futuro era insondabile data l'età del dittatore Franco che morì nel
1975.
L'Italia era il paese più dissestato dal disordine economico internazionale, era attraversato da forti conflitti
sociali e vedeva crescere il ricorso alla violenza politica che stava tramutandosi in terrorismo organizzato.
In questo contesto in cui poteva essere esagerato ma comunque plausibile preoccuparsi, come faceva
Washington, di un indebolimento della compattezza Atlantica, sopraggiunse il crollo del regime portoghese
nell'aprile del 1974.
Il paese fu preso in mano da militare rivoltosi che avviarono l'abbandono delle colonie E la
democratizzazione del sistema politico.
Fu proprio in Portogallo e nell'Europa meridionale che si manifestò una nuova capacità dell'Europa
occidentale di diffondere stabilità e incanalare le transizioni verso un approdo Democratico.
I governi europei rigettarono l'approccio intransigente di kissinger, che preferiva in Portogallo una
precipitazione dello scontro, e intervennero a sostenere il socialista portoghese Mario Soares Che riuscì a
guidare uno sbocco Democratico della crisi isolare comunisti e avviare il paese verso quella crescita che lo
portò anni dopo entro la Comunità Europea.
L'attrazione dell'Europa occidentale fu decisiva per sostenere la transizione alla democrazia pure in Grecia è
in Spagna i quali entrarono anch'essi nella Comunità Europea. L'Europa occidentale fu indubbiamente di
aiuto anche nel contenere superare la crisi italiana.
Nella crisi degli anni settanta l'Europa occidentale emergeva come un efficace Polo di attrazione e
organizzazione che contribuiva a irrobustire complessivamente l'occidente.
In particolare la comunità europea rafforzata Dall'ingresso della Gran Bretagna nel 1971 si rivelava un
epicentro istituzionale gradualmente più capace di coordinare l'azione internazionale degli europei.
In Europa occidentale vi era sicuramente il bisogno di attenuare la tensione e diminuire i pericoli di guerra
ma pesava anche il desiderio di nuovi mercati e quello di giocare un ruolo autonomo e propositivo nei
rapporti con l'Est.
Non si voleva certo rinunciare alla nato e al deterrente americano ma tutti i governi ambivano a esercitare
autonomamente i propri interessi anche se in contrasto con gli Stati Uniti e cominciavano a usare la CE per
avere una robusta Voce Comune negli affari internazionali.
L'ambito più importanti in cui tutto ciò si manifestò fu la conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in
Europa CSCE.
Per gli Stati Uniti tale fu vista come una concessione ai sovietici per facilitarne l'adesione al più rilevanti
accordi bipolari che essi negoziavano altrove, ma per gli europei era necessaria per poter riallacciare i legami
spezzati dalla partizione del continente, costruire contatti diretti anche attraverso i blocchi e organizzare la
ripresa di scambi su larga Scala.
Nel 1972 iniziarono Perciò delle complesse trattative che si conclusero il primo agosto 1975 a Helsinki dove
33 paesi europei siglarono insieme agli Stati Uniti e al Canada l'atto finale della CSCE.
I firmatari si impegnavano ad astenersi dall'uso della forza e a rispettare la reciproca sovranità è
l'inviolabilità delle frontiere.
Una seconda sezione definiva i termini della Cooperazione tecnica industriale ed energetica con l'intento di
moltiplicare gli scambi commerciali.
Infine una terza cruciale sezione riguardava i diritti dei cittadini e impegnava gli stati firmatari a rispettare i
diritti dell'uomo e le libertà fondamentali a garantire i contatti tra le persone e facilitare il flusso
d'informazioni.
Quella di Helsinki era una distinzione esplicitamente mirata a moltiplicare i contatti, diluire le divisioni e
favorire una graduale apertura dell'est.
Negli anni successivi sorsero diverse reti di dissidenti come il comitato di difesa operaio in Polonia, il
gruppo Charta77 in Cecoslovacchia è il gruppo di monitoraggio degli accordi di Helsinki l'Unione Sovietica
che pur continuamente repressi potevano denunciare la violazione degli impegni internazionali firmati dei
loro governi.
Helsinki si sarebbe rivelata una pietra miliare verso la trasformazione e il crollo finale dell'ordine della
guerra fredda.
Washington e Mosca proseguivano nel mentre il loro dialogo sugli armamenti strategici mettendo in cantiere
un nuovo accordo SALT II, nel novembre del 1974 a Vladivostok tra Breznev e Gerald Ford successore di
Nixon.
Il principio era quello di una stretto equivalenza numerica e lo scopo dell'Unione Sovietica era quello di
vincolare gli Stati Uniti alla parità.
Dopo il ritiro dei portoghesi Nel 1974 in Angola scoppiò una guerra civile. Il Sudafrica in Stati Uniti
sostenevano due movimenti nazionalisti il FNLA e l'unità per prevenire la vittoria del Movimento Popolare
per la liberazione dell'angolo (MPLA).
Il capo dell' MPLA si divorzia Mosca chiedendo assistenza militare e lo stesso fecero l'african National
Congress di Nelson Mandela, la principale porta clandestina di opposizione in Sudafrica, e il governo di
Cuba che da tempo aiutava sia l'MPLA che altri movimenti di evoluzione Ari africani con aiuti tecnici civili
e militari.
Fu Castro a inviare reparti cubani e mandarli in battaglia quando le truppe sudafricane penetrarono, la guerra
Si stava internazionalizza Nando e fu allora che Mosca si convinse. A novembre Avvia un massiccio Ponte
aereo per trasportare le truppe cubane è armi pesanti. L'invasione sudafricana fu respinta e all'inizio del 1976
l'MPLA proclama la vittoria.
In Sudafrica quando negli anni 90 l'apartheid crollò il dominio della minoranza Bianca fu sostituita da quella
della maggioranza nera Nelson Mandela eletto presidente del Sudafrica ringrazio apertamente i cubani.
Nel contempo negli Stati Uniti Ford era apertamente sfidato dentro il suo partito da Ronald Reagan che gli
contendeva la nomina a candidato repubblicano per la presidenza facendosi portavoce delle argomentazioni
neoconservatrici.
Quello di Reagan era un Attacco frontale alla distensione accusata di essere né più né meno che una resa al
comunismo.
Costretto sulla difensiva e consapevole dei dubbi crescenti del suo elettorato il presidente Ford lasciava
cadere il linguaggio della distensione a favore del gergo della guerra fredda promettendo la pace basata sulla
forza. Riuscì a ottenere la candidatura ma venne poi sconfitto dal Democratico James Carter che gli
succedette alla Casa Bianca.

Dopo vent'anni di celebrazioni dell'automobile quale emblema della libertà e prosperità dell'Occidente,
l'occidente scivolava nella prima seria recessione del dopoguerra, nell'inverno 1973-1974 diversi governi
europei imponevano drastiche misure di risparmio energetico per fronteggiare il rincaro del greggio
L'inflazione saliva due cifre in Europa come in America le produzioni manifatturiere più antiche chiudevano
un riducevano l'attività Alimentando una crescente disoccupazione, scioperi e agitazioni sociali di venivano
diffusi.
Nell'inverno del 1978-1979 la Gran Bretagna venne paralizzata da una serie di scioperi nei servizi essenziali
e pochi mesi dopo il governo laburista fu sconfitta da Margaret Thatcher guida di un nuovo conservatorismo
che predicava la riduzione del ruolo economico dello stato del potere sindacale In nome del mercato e
dell'individualismo.
Allora dice di tale mutamento c'era l'esaurirsi del lungo ciclo dell' industria fordista.
Le aziende vedevano calare il tasso di loro profitti e reagivano con l'automazione tecnologica la resistenza
agli aumenti salariali e la diversificazione degli investimenti verso Paesi con costi più bassi.
Con mercati del consumo ormai pienamente sviluppati, la crescita non poteva più risiedere nell' allargamento
estensivo dei fattori produttivi e Tendeva invece a spostarsi verso l'innovazione intensiva delle tecnologie e
dei prodotti e nell'espansione dei servizi.
Nelle economie più avanzate i tradizionali settori di base venivano trasferiti all'estero o ridotti drasticamente,
era iniziata la deindustrializzazione delle economie più mature.
Dal 1973 le principali monete cominciarono a fluttuare liberamente aprendo la strada un'espansione
vertiginosa della circolazione mondiale dei capitali.
Fu su questo contesto già vacillante che piombo l'aumento dei prezzi petroliferi con il duplice effetto di
esasperare le difficoltà di tutte le economie consumatrici e ridisegnare i flussi Mondiali del capitale.
Le risposte dell'Occidente furono inizialmente diverse le nazioni europee cercarono accordi con i paesi arabi
per assicurarsi rifornimenti stabili.
Gli Stati Uniti avevano una diversa strategia, Washington pensava infatti di coalizzare i paesi consumatori
per imporre moderazione all' OPEC intendeva mantenere il governo dei flussi finanziari entro gli istituti
controllati dal Occidente ossia il Fondo Monetario la banca mondiale.
Dopo due anni di tensioni Europea e America si riavvicinarono e con il vertice di Rambouillet del novembre
1975 diedero vita al g-7, il coordinamento periodico tra i governi delle maggiori economie occidentali.
Invece di un nuovo ordine economico si delineava la cornice di quella che avremmo poi imparato a chiamare
globalizzazione.
Per i paesi del terzo mondo si ricavano strade destini differenti, le economie petrolifere non sollevava nel
terzo mondo ma ne sfuggivano e si separavano.
Per molte Nazioni soprattutto in Africa e America Latina l'inflazione aumentava il costo di tutte le loro
importazioni e il rialzo dei tassi di interesse rendeva i loro debiti sempre più gravosi mentre l'andamento dei
prezzi dei loro prodotti agricoli o delle materie prime era più contenuto.
Gliel'ho deficit aumentavano quindi a vista d'occhio, di conseguenza saliva l'indebitamento.
Alcuni paesi che già dagli anni 60 avevano imposto strategie di industrializzazione fondate sull'esportazione,
l'istruzione tecnica della manodopera e la formazione di imprese capaci di a scendere gradualmente la scala
tecnologica, riuscivano ora a crescere rapidamente.
I primi erano stati la Corea del Sud Taiwan Singapore e Hong Kong poi vi sarebbero aggiunti Thailandia
Malesia e Indonesia.
Grazie ai Bassi costi e la buona qualità negli anni Settanta le loro produzioni di abbigliamento giocattoli o
elettronica di consumo penetravano nei mercati più ricchi conquistando quote crescenti del commercio
mondiale.
All'incidente deindustrializzazione delle economie sfumature corrispondeva cioè l'industrializzazione
prorompente di queste tigri asiatiche.
All'immagine di un terzo mondo unitario si sostituiva dalla seconda metà degli anni settanta la Chiara
percezione di una sua frammentazione e della necessaria riconsiderazione delle dottrine e dei modelli di
sviluppo.
Il punto di svolta dopo il quale queste tendenze Pro ruppero a dominare la scena e ispirare le scelte politiche
giunse nel 1979.
Benché ormai uscita dalla recessione l'economia americana non riusciva a scrollarsi di dosso i suoi problemi
e le politiche economiche apparivano inefficaci in larga misura perché ancora volte a ridare competitività a
esportazioni industriali che partivano invece un declino strutturale.
Nell'autunno del 1979 la Federal Reserve guidata da Paul Volker intervenne con decisione a limitare l'offerta
di moneta e rialzo i tassi di interesse per stroncare l'inflazione.
In un mercato mondiale in cui la competizione per i capitali stava divenendo la misura principale della
possibilità di crescita, gli Stati Uniti si trasformavano da esportatori e importatori netti di capitali su
larghissima scala.
Negli anni 80 alle tigri asiatiche si affiancava gradualmente anche la Cina per intero estremo Oriente si
avviava a divenire la nuova grande cucina industriale del mondo.
Il tipo di preminenza che gli Stati Uniti affermavano dopo i turbolenti passaggi degli anni settanta era ben
differente, il dollaro non era più L'Ancora di un sistema questo ma la moneta principale di un regime di
aperta concorrenza per attrarre capitali.
Da grandi creditori mondiale il paese si trasformava nel principale recettore di capitali.
All'esportazione di un modello industriale si sostituiva la generazione e diffusione di tecnologia avanzate, e
dei linguaggi che ne scaturivano, mentre il mercato americano di veniva il più grande importatore mondiale
di merci, il cui consumo sosteneva la crescita delle economie emergenti nelle quali si dislocavano interi
processi produttivi prima svolti negli Stati Uniti.
L'adozione di componenti elettroniche e circuiti integrati nei macchinari, la moltiplicazione esponenziale
della potenza di calcolo, l'ampia diffusione di comunicazioni satellitari e le prime connessioni dirette tra
computer stavano formando le reti connettive che avvicinavano i mercati, spostavano i capitali e avrebbero
rivoluzionato produzioni e distribuzione.
Degli anni 70 l'Unione Sovietica era il primo produttore mondiale di acciaio e gli altri prezzi per le sue
esportazioni di oro petrolio e armi le facevano guadagnare valuta con cui importava macchinari beni di
consumo e alimentari. Ma il lungo ciclo dell'industrializzazione era ormai giunto a saturazione anche per le
società Socialiste e non poteva più dare particolari guadagni di produttività.
Le società dell'est preso a importare beni di consumo e impianti tecnologicamente più avanzati in particolare
dall'Europa occidentale. Gli effetti sul reddito e la produttività furono però minimi se non negativi e il
miglioramento era solo temporaneo e ingannevole.
Nella seconda metà degli anni settanta si passò della crescita a una sostanziale stagnazione delle economie
Socialiste e il differenziale di produttività rispetto all'occidente aumentó.
E per finanziare tali importazioni i regimi dell'est si indebitarono sempre più con le banche i governi
occidentali a cominciare da quello tedesco.
Quanto più le economie occidentali procedevano verso la loro ridefinizione post-industriale caratterizzata
dall'innovazione tecnologica e l'internazionalizzazione e tanto più si apriva una forbice rispetto a quelle
Socialiste.
In un mondo di capitali alla vorticosa ricerca della migliore locazione left era un pianeta isolato e quindi
impoverito.
L'apparente benessere consumistico delle società occidentali anche nel pieno della loro crisi di Fata va ogni
teoria sull' impoverimento delle masse nel capitalismo.

Il superamento dei regimi autoritari in Grecia Spagna e Portogallo rovesciava testa in giù le profezie
sull'inclinazione del capitalismo verso il fascismo.
Sul finire degli anni settanta Insomma postulati, miti e immagini dell'ideologia dei regimi comunisti
risultavano inservibili per spiegare un mondo che sfuggiva a quelle aspettative, ne confutava la validità
analitica e ne rigettava i valori.
Salito alla presidenza Il 20 gennaio del 1977 la politica estera di Jim Carter intendeva trascendere i rigidi
assiomi geopolitici del contenimento, usare il linguaggio dei diritti umani per far ritrovare agli Stati Uniti di
legittimità influenza e approfondire la distensione con l'Unione Sovietica.

La nuova diplomazia di Carter otteneva risultati significativi, nel 1977 firmava il Trattato che restituiva
Panama la sovranità sul canale. Nel 1978 il presidente mediava lo storico accordo di pace tra Egitto e Israele.
Ma la gestione della distensione si rivelava subito più difficile. Il Cremlino era preoccupato degli effetti di
Helsinki.
Inoltre per quanto riguarda la questione degli armamenti i primi passi furono problematici, sovietici e
americani volevano a riprendere il negoziato su SALT II.
Ma invece di ripartire dalla parità dei grandi aggregati definita a Vladivostok, Carter proponeva profondità
gli agli arsenali strategici.
I dirigenti del Cremlino lessero in queste prime mosse di Carter un tentativo di metterli in difficoltà.
L'atmosfera di attenta calibrata collaborazione costruita con kissinger e Ford era svanita. La ripresa della
distensione partiva Quindi con il piede sbagliato. Il negoziato tecnico sul SALT II proseguiva, ma tra
crescenti malintesi e dissapori.
I sovietici, Fermi all'idea che la distinzione discendesse dalla loro forza, si irrigidìvano sul bisogno di
mostrarsi risoluti per piegare gli Stati Uniti all' inevitabilità dell'accordo.
Tra il 1977 e il 1979 la distensione conosceva una precipitosa discesa, segnata dallo snocciolarsi di crisi che
sospingevano i due antagonisti su posizioni divergenti fino a lacerare completamente il tessuto della
collaborazione.
Il primo ostacolo sorse Paradossalmente in Europa. Nel 1976 i sovietici iniziarono a sostituire delle loro
vecchie armi nucleari puntate sull'Europa occidentale con nuovi missili. Pensata come operazione di routine
per modernizzare armi obsolete, senza molto riflettere sulle conseguenze politiche, essa aprì un'aspra disputa
entro la NATO.
Il cancelliere tedesco Helmut Smith denuncio il rischio che i sovietici potessero minacciare l'Europa
occidentale sollevando quindi dubbi Sugli impegni americano a difesa degli alleati. Sulle politiche
economiche continuavano Inoltre esserci forti frizioni tra Washington e l'Europa.
Si apre quindi una stagione di discordie e recriminazioni che la NATO risolse solo nel 1979 con la scelta di
opporre ai missili sovietici nuovi missili nucleari basati in Europa.
La decisione di Mosca aveva fornito alimento a chi dubitava delle intenzioni sovietiche rendendo assai più
diffuse la nozione che il Cremlino sfruttasse la distensione per indebolire l'Occidente, e quest'ansia
allarmistica assunse ancor più forza di fronte al crescente impegno di Mosca in Africa.
Nel 1974 una rivoluzione militare aveva portato al potere in Etiopia Haile Menghistu, che avvio una riforma
Agraria e si ritrovo presto condurre una spietata repressione contro le numerose opposizioni. Alcune di
questo terrore rosso, tra Somalia ed Etiopia inizio a una guerra per il controllo della Regione contesa dell'
Ogaden. Menghistu chiese aiuto a Mosca ma il Cremlino esitava ad abbandonare la Somalia suo ma il
Cremlino esitava ad abbandonare la Somalia suo tradizionale alleato locale. Fu ancora una volta Fidel Castro
ad avere un ruolo propulsore. Il Cremlino invito poco dopo Menghistu a Mosca per dei colloqui, a quel punto
i sovietici valutando il conflitto tra Etiopia e Somalia in termini bipolari videro in Menghistu un promettente
alleato ideologico e strategico che poteva dare loro accesso al Mar Rosso.
I dietro massiccio aiuti militari creando un potente esercito moderno. Gli Stati Uniti appoggiarono la Somalia
ma senza fornire sere aiuti. Nel 1978 la guerra si concludeva con la vittoria di Menghistu.
Convinti che la storia stesse inesorabilmente muovendo verso il socialismo, i capi sovietici concepivano il
sostegno alle rivoluzioni e l'estensione della propria influenza nel terzo mondo non solo come legittima
manifestazione della propria potenza, ma come il necessario, essenziale fattore che obbligava gli Stati Uniti
alla distensione.
Alla fine del 1978 fu annunciata la ripresa delle piene relazioni diplomatiche tra Cina e Stati Uniti e ciò
lascio di stucco i sovietici.
A Pechino era ormai al comando Deng Xiaoping che stava scegliendo di modernizzare paese attraverso una
graduale apertura l'occidente e all'economia di mercato. Veniva abbandonata la strada della rivoluzione, sia
in patria che all'estero, e iniziava il percorso di rientro della Cina nel sistema internazionale. Era una svolta
che colpiva e sovietici sotto il profilo ideologico perché svaniva l'ultima cospicuo alternativa alla modernità
capitalistica al di fuori dei loro blocco. E li isolava ulteriormente in chiave Geopolitica perché avvicinava i
suoi maggiori avversari che avevano il linguaggio comune proprio nell'opposizione al Unione Sovietica.
A partire dalla fine del 1978 l'amministrazione Carter dovette fare i conti con la rivoluzione in Iran il più
importante alleato degli Stati Uniti nella regione del Golfo Persico.
L'intensa modernizzazione d'impronta occidentale condotta del regime dittatoriale di Reza Pahlavi aveva
nutrito una variegata opposizione che includeva un clero islamico militante ispirato dall' Ayatollah Ruhollah
Khomeini. La protesta dilagò nelle piazze e nell'autunno del 1978 finì per travolgere il governo di Pahlavi
che abbandono il paese. Khomeini rientrava dall'esilio Parigino e assumeva la guida del regime libri
l'azionario e procedeva a plasmare una repubblica islamica in cui il clero sciita divenne la forza emergente,
era il primo grande successo politico del fondamentalismo islamico.
Dall'iran stava sorgendo una sfida storica prima ancora che politica ha entrambe le superpotenze e alla logica
stessa del bipolarismo, anche se lì per lì era il sistema americano di alleanze a essere più direttamente
colpito. Per la prima volta si affermava una rivoluzione che non si appoggiava a una delle due superpotenze
le guardava le loro filosofie di modernizzazione scientiste e secolari. Al contrario essa privilegiava
un'identità religiosa elevandola a criterio di riorganizzazione della società sottratta alle influenze dell'est e
dell'ovest. Pochi mesi dopo nel giugno del 1979 Carter e Breznev si incontrarono a Vienna per firmare il
SALT II. I due leader restavano convinti della necessità di contenere la corsa agli armamenti, ma su ogni
altra questione le loro posizioni erano distanti se non opposte e le aspettative reciproche erano ormai
dominate dalla diffidenza.
Carter stava rapidamente perdendo autorità in patria e non era più in grado di assicurare efficacia, coerenza e
consenso alla sua politica estera. Carter appariva ormai all'elettorato americano come un leader esitante e
passivo in balia di eventi che non riusciva a dominare. A sancire definitivamente questa immagine giunse la
crisi degli ostaggi in Iran. Il 4 novembre 1979 un gruppo di giovani militanti fece irruzione nell'ambasciata
degli Stati Uniti e preso in ostaggio 52 funzionari. Si apriva una lunga crisi che Carter decise di gestire con
pressioni finanziarie e diplomatiche, ma senza successo.
Ma le difficoltà Si moltiplicavano anche per i sovietici. Se l'incidenza del dissenso nei paesi dell'est era
tenuta sotto controllo dagli apparati repressivi, la precarietà delle condizioni economiche e l'impopolarità dei
regimi li esponeva a un'endemica fragilità.

Quando giunse sulla scena Giovanni Paolo Ii, divenuto Papa Nel 1978, il Cremlino percepí subito il rischio
che la sua figura potesse accentuare la pressione pubblica per l'estensione di libertà e diritti specie in Polonia.
Nello stesso periodo i sovietici erano di fronte a una crisi lontana ma ancora più gravida di conseguenze
quella afgana. Dall'aprile 1978 era al potere a Kabul un partito comunista sconvolto da feroci lotte di fazioni
ma deciso a imporre il suo controllo. Nel febbraio del 1979 l'insurrezione della città di Herat diede inizio a
una guerra civile che precipitava il regime nel caos facendo emergere il leader di cui i sovietici meno si
fidavano, Hafizahullah Amin.
Dall'esempio della rivoluzione iraniana promanava una minaccia islamista che già colpiva l'Afghanistan e il
Cremlino temeva potesse estendersi alle vicine repubbliche sovietiche con popolazione musulmana.
Il politburo discuteva un piano di intervento militare per sostituire Amin con il più fidato Babrak Karmal e
riprendere il controllo del paese.
A partire dal 25 dicembre 1979 i reparti dell'armata Rossa occupavano i punti nevralgici dell'Afghanistan ne
chiudevano gli accessi dal Pakistan e l'iran e sostituivano Amin con karmal.
Per i sovietici cominciava così l'ultima catastrofica avventura Imperiale che in 10 anni sarebbe costata loro
oltre quindicimila morti gli avrebbe isolati dal mondo islamico e sottoposti alla disapprovazione mondiale
portando infine ha una sconfitta disastrosa. Ciò era visto sotto tutt'altra luce nei paesi circostanti E in
particolar modo a Washington.
Mentre Il decennio della distensione si chiudeva l'impero sovietico si ritrovava esposto a crescenti
vulnerabilità in condizione di maggior debolezza relativa sotto il profilo economico e tecnologico.
Gli Stati Uniti acquistavano invece una convinta e presto trionfale persuasione della propria superiorità e
della necessità di utilizzarla a fondo per dominare una nuova epoca di antagonismo.
Ma non sarebbe stata l'amministrazione carter a perseguire questa strategia offensiva mirata a mettere in
difficoltà Unione Sovietica, a guidare la nuova stagione di rivalità Con lo scopo dichiarato di prevalere sul
mio nei Sovietica sarebbe stato l'assunto neoconservatore della superiorità strategica e morale americana
Reagan che si insediava alla casa bianca nel gennaio del 1981.

CAPITOLO SESTO – IL CERCHIO SI CHIUDE 1981-1990


Intorno al 1986 il presidente americano Ronald Reagan e il nuovo segretario del PCUS Michael Gorbacev
discutevano dell'abolizione di tutte le armi nucleari aprendo una stagione di travolgenti cambiamenti che in
tre anni mise fine alla guerra fredda.
Secondo presidente Reagan il mondo si trovava alle soglie di una svolta epocale che avrebbe deciso per
generazioni a venire se l'umanità sarebbe diventata comunista o se il mondo intero sarebbe riuscito a essere
libero. Inoltre al posto dell' odiata distensione Regan immaginava una battaglia politica e ideologica a 360°
in cui la forza dell'Occidente avrebbe trionfato. Le strategia che doveva sostenere questa visione si
compediava per l'amministrazione Reagan in 2 mete: accrescere la forza dell'America riconquistando un
vantaggio strategico diplomatico e aggravare le difficoltà dell'Unione Sovietica. Per questo fu avviato un
intenso programma di ampliamento e modernizzazione delle Forze Armate.
Questo perché l'amministrazione americana era al corrente del fatto che i sovietici non fossero in grado di
star dietro al potenziamento industriale americano poiché si trovavano in una situazione di stagnamento.
Inoltre le difficoltà di Mosca crescevano a vista d'occhio, l'influenza internazionale dell'ideologia comunista
e la sua stessa rilevanza come cultura della trasformazione politica erano in caduta verticale.
Il crollo della distensione Aveva reso inservibile la strategia seguita per quasi vent'anni. Inoltre l'invasione
dell'Afghanistan aveva in mischiato di Unione Sovietica in una guerra costosa, perdente e terribilmente
gravosa sotto il profilo diplomatico: oltre alla reazione occidentale, le sanzioni americane e l'ostilità cinese,
una mozione di condanna all'assemblea generale dell'ONU palesava l'isolamento di Mosca anche nel terzo
mondo.
Moscato viva nuovamente fronteggiare Inoltre la precarietà del suo controllo sull'Europa orientale proprio
mentre la carenza di risorse del blocco Socialista diveniva macroscopica.
A fine anni Settanta la dipendenza dei regimi dell'est dai creditori occidentali si era fatta endemica e talmente
alta da far rischiare l'insolvenza. Ma ogni tentativo di ridurla contenendo le importazioni e i consumi avrebbe
necessariamente comportato drastiche di forme delle economie Socialiste ho sollevato il dissenso e la
protesta.
Fu ciò che accade in Polonia nell'estate del 1980 quando il governo annunció l'aumento dei prezzi della
carne. Nei cantieri navali di Danzica occupati dei Lavoratori nasceva il sindacato non ufficiale Solidarnosc
guidato dal l'elettricista Lech Walesa.
L'agitazione si diffuse a tutto il paese assumendo un aspetto multiforme, a questo punto il regime si sentì
costretto a scendere a Patti e con gli accordi di Danzica riconobbe il diritto allo sciopero, all'associazione
sindacale e alla libertà d'espressione.
I dirigenti sovietici criticarono subito gli accordi di Danzica e l'arrendevolezza del governo di Varsavia,
perché temevano che Solidarnosc mettesse in pericolo la fedeltà socialista della Polonia, e quindi la solidità
del Patto di Varsavia e del loro impero.
Ma sapevano che un intervento militare sovietico avrebbe precipitato l'Unione Sovietica in una grave crisi
internazionale dagli esiti incerti e costi altissimi.
Inoltre la Polonia non poteva sopravvivere senza i continui crediti occidentali che la nato annunciò
sarebbero cessati in caso di intervento.
Il 5 dicembre il Patto di Varsavia decideva di non intervenire Almeno per il momento.
Mosca voleva che fossero i dirigenti polacchi a riprendere il controllo del paese ricostituendo il monopolio
comunista del potere.
Reagan esaltava apertamente solidarnosc e vedeva in quella polacca la prima seria rottura nella diga Rossa
forse l'inizio della fine del sistema di potere sovietico.
Nel contempo le crescenti difficoltà economiche stimolavano nuovi scioperi, negli atteggiamenti quotidiani
nei comportamenti collettivi la società polacca si scrollava di dosso la disciplina del regime.
Nel corso del 1981 i dirigenti comunisti si convinsero che il deteriorarsi della situazione economica e del
loro controllo sociale insieme allo spettro dell'azione Sovietica lasciasse loro poco tempo. Il primo ministro,
il generale Jaruzelski, apprestò un piano per promulgare la legge marziale e sospendere tutti i diritti
conquistati da solidarnosc.
In novembre Breznev intimava il primo ministro polacco a intervenire. Le sue parole tuttavia non alludevano
a un intervento militare. Ed era proprio questa la novità più stupefacente della crisi polacca, benché la
Polonia fosse essenziale sotto il profilo strategico e la crisi del suo regime spaventasse gli altri governi
socialisti, i capi del Cremlino non avevano più la fiducia e la determinazione che li aveva spinti a Praga.
Il 13 dicembre Varsavia in posa legge marziale giustificata come misura estrema di salvezza della nazione.
La reazione americana fu aspra e Washington impose sanzioni commerciali sia la Polonia che non viene
Sovietica. E vide nella crisi l'occasione per incrementare le difficoltà del blocco sovietico.
Gli europei Si dirigevano però in una direzione opposta poiché essi volevano accrescere il loro già grande
interscambio con Mosca non solo nella convinzione che ciò aiutasse le loro economie ma anche la
prosecuzione di un dialogo est-ovest e perciò non imposero nessuna misura punitiva nei confronti
dell'Unione Sovietica e della Polonia.
Pur momentaneamente arginata la crisi polacca aveva mostrato impietosamente i limiti della potenza
Sovietica. La sua capacità di controllo sulla saldezza dell'impero diminuiva vista d'occhio.

La bancarotta ideologica di socialismo era sotto gli occhi di tutti. Il governo americano ne ricavava ulteriori
incentivi ad affondare i colpi nella convinzione che l'avversario fosse ormai assediato dalla storia. Il mio
conservatori vedevano l'affermarsi del capitalismo come un processo naturale che diffondeva libertà e
prosperità attraverso il puro operare del mercato.
Laddove emergevano ideologie radicali queste non erano considerate reazioni endogene a complesse
transizioni bensì frutti di un imposizione esterna, agenti della potenza Sovietica.
Gli Stati Uniti d'America incolpavano l'Unione Sovietica di essere la causa di tutto il disordine attuale.
Restaurata dunque in questo modo una visione assolutamente bipolare, in cui il conflitto rimandava a un
agente esterno, si poteva non solo tornare a un rigido schema di contenimento ma muovere decisamente
all'offensiva, scegliendo i terreni propizi per infliggere delle sconfitte emblematiche al totalitarismo
sovietico. Il primo di questi fronti era ovviamente l'Afghanistan, dove l'invasore sovietico aveva le vesti
inequivocabili del imperialista oppressivo e brutale odiato dalla popolazione e combattuto da una robusta
guerriglia.
A partire dal 1983 fu sviluppata un'ampia e sofisticata rete logistica internazionale che provvedeva
all'addestramento e all'armamento della Resistenza afghana.
Gli Stati Uniti fornivano le tecnologie militari, Mentre ai finanziamenti pensava l'Arabia Saudita e della
gestione operativa su occupavano i servizi di sicurezza pakistani.
Ma c'era anche un altro teatro in cui la dottrina Reagan poteva muovere l'offensiva e restituire l'America
l'orgoglio di grande potenza vincitrice ossia l'America centrale.
Dopo la rivoluzione in Nicaragua, Carter aveva tentato una politica di dialogo con il regime sandinista nella
speranza di moderare nel radicalismo. Il fronte sandinista, un movimento nazionalista e populista ispirato da
l'esempio della rivoluzione cubana, aveva stabilito buone relazioni con l'Unione Sovietica ma si era
inizialmente astenuto da gesti di aperta ostilità verso gli Stati Uniti.
Non si trattava più di collaborare per migliorare le condizioni economiche e politiche bensì di sradicare la
presenza delle forze rivoluzionarie, considerate agenti dell'espansionismo sovietico e cubano i sandinisti
reagivano questo atteggiamento minaccioso affidandosi sempre più al blocco sovietico per il rifornimento di
armi e all'internazionalismo rivoluzionario.
Malgrado gli inviti di Mosca alla prudenza il loro leader Daniel Ortega dichiarava di voler sostenere gli altri
movimenti rivoluzionari nel vicino El Salvador e in Guatemala perché essi avrebbero costituito lo scudo che
poteva rendere più sicura la nostra rivoluzione.
Washington non poteva però muovere guerra apertamente poiché la gran parte degli americani memore del
Vietnam era fermamente contraria a impegnare truppe. L'amministrazione Reagan avviò perciò una serie di
operazioni clandestine oltre ad applicare un severo boicottaggio economico del Nicaragua.
Washington armava Inoltre l'opposizione dei Contras che attaccavano il paese dal vicino Honduras.
I Marines furono invece impiegati nell'invasione della piccola isola di grenada il 25 ottobre 1983, per
rovesciare un governo filocubano.
Il rinnovato antagonismo bipolare riportava in primo piano il pericolo nucleare.
La percezione pubblica di un nuovo pericolo atomico aveva cominciato ad affacciarsi già alla fine degli anni
70 con la fine della distensione e con il riaccendersi della rivalità intorno agli euromissili e l'Afghanistan.
Nonostante le due superpotenze continuassero a rispettare i trattati SALT, ciascuno dei due arsenali strategici
annoverava ormai migliaia e migliaia di bombe pronte al lancio entro pochi minuti.
Si creò però in particolar modo in Europa occidentale una serie di proteste pacifiste contro Los chiaramente
l'utilizzo di armi di distruzione di massa. Una parte consistente dell'opinione pubblica dell'Europa
occidentale considerava il ritorno alla logica di guerra fredda un pericolo maggiore di quello rappresentato
dal Patto di Varsavia, e percepiva quindi come immorale è inaccettabilmente pericolosa l'idea di affidare la
pace a un ulteriore accrescimento della forza militare.
Essa Non nutriva alcuna benevolenza verso l'Unione Sovietica alla quale Guarda avanti e non ti sdegno ma
non si riconosceva più nella cultura dell'antagonismo bipolare e non accettava che dalla distinzione si
tornassi indietro invece di approfondirla in vero disarmo ed elevava quindi l'amministrazione Reagan a
proprio bersaglio principale.
Anche in America sorse una diffusa critica pubblica alla politica di riarmo le cui proteste sembravano
inquietare più che rassicurare persino taluni lettori di Reagan. Più che del rimpianto per la distensione questa
perplessità, e a tratti aperta contrariata, dal pubblico americano verso la politica di riarmo era alimentata da
un crescente allarme per gli effetti di un eventuale guerra nucleare.
A essere sempre più inquieta ti erano anche i dirigenti sovietici che fin dall'inizio erano rimasti spiazzati
dall'aggressività reaganiana.
La ricerca della superiorità militare l'offensiva ideologica e il tentativo di fomentare difficoltà nel blocco
socialista minacciavano le loro posizioni costringendoli a rifare i Conti. Non avevano intenzione di piegarsi e
arretrare né sotto il profilo simbolico né tantomeno in termini militari e reagiranno quindi con il linguaggio
dell'intransigenza.
Ma sostenere una nuova stagione di antagonismo e riarmo avrebbe imposto ulteriori pesanti costi alla società
Sovietica e ciò li preoccupava.
Ma il non farlo tenevano comportasse costi ancora meno accettabili, poiché ogni manifestazione di debolezza
poteva solo incoraggiare e rafforzare l'avversario.
Nel mentre al Cremlino andropov era appena succeduto a Breznev il quale era morto il 10 novembre 1982.
Il 1983 vide cugi un crescendo di tensioni in cui mi nato nell'autunno durante il quale il pericolo di guerra fu
il più alto dalla crisi di Cuba del 1962.
I sovietici fronteggiavano Infatti un avversario che gli attaccava su tutti i fronti e pareva deciso a farli
recedere a una condizione di inferiorità. L'equilibrio strategico stava cambiando a loro sfavore e sarebbe
diventato sempre peggiore.
Il Cremlino emanò dunque direttive per rinsaldare la disciplina interna e lo stato di allerta dei servizi di
sicurezza divenne massimo e inoltre i comandi militari furono sollecitati alla massima vigilanza.
È il primo settembre 1983 Questa pressione allarmistica produce la tragedia, un aereo di linea coreano
penetrato per sbaglio nello spazio aereo sovietico in estremo Oriente fu intercettato e abbattuto dai caccia
sovietici che forse tenevano di avere a che fare con un aereo spia americano, morirono 269 persone.
La condanna della durezza paranoica del regime sovietico fu pressoché universale e Mosca si sentì ancor più
assediata.
La pensione giunse alla TC nelle settimane successive quando la nato stava ultimando i preparativi per il
dispiegamento dei missili pershing Cruise punto il 2 novembre era programmata un'esercitazione della
NATO che alcuni analisti dell'intelligence Sovietica attendevano fosse una copertura per il lancio di un
attacco nucleare punto l'allarmismo dei sovietici fu però reso noto ai servizi segreti britannici grazie a un
funzionario del kgb e gli occidentali poterono assicurare immediatamente sovietici. Reagan vista la
preoccupazione è la paura del Cremlino penso che fosse giunto il momento di riaprire un qualche dialogo qui
sovietici punto il riarmo americano era ormai in pieno corso e la Casa Bianca si sentiva in una posizione di
forza. Per questo motivo il segretario di stato Schultz propose di utilizzare tale posizione di forza in chiave
negoziale per arrivare ad accordi favorevoli sugli armamenti.
L'acquisita forza americana intrecciata con le palesi debolezza dell'Unione Sovietica e con l'esigenza di
diminuire la pericolosità del confronto spingeva il presidente ad additare una nuova possibilità. Oltre a
profonde differenze politiche filo sovietiche USA e URSS avevano secondo Reagan anche interessi comuni
in primo luogo quello di evitare la guerra e ridurre gli armamenti.
I dirigenti sovietici cominciavano essere consapevoli di non essere più la superpotenza vincente poiché
vedevo nei loro spazi di manovra restringersi giornodopogiorno. La stagnazione dell'economia Sovietica si
andava aggravando, la produzione industriale e soprattutto la produttività del Lavoro avevano quasi cessato
di crescere. Se si escludeva nelle vendite di gas e petrolio i conti sovietici dei primi anni Ottanta mostravano
un declino del prodotto nazionale. Mentre le economie occidentali riprendevano crescere a ritmi sostenuti ed
entravano in un lungo ciclo di trasformazione tecnologica accelerata quelle del blocco sovietico erano
sempre più soffocate entro un meccanismo che frenava l'innovazione moltiplicava i costi e le isolava dalle
dinamiche della crescita globale.
Inoltre l'indebitamento dei paesi dell'Europa orientale continuava a crescere ed era l'indicatore più critico di
una condizione che andava facendosi insostenibile.
L'obsolescenza economica stava Infatti inducendo un progressivo peggioramento del tenore di vita sia
nell'Unione Sovietica che in tutto il blocco Socialista.
Quando antropop morì il 9 febbraio 1984 la sua sostituzione con l'anziano e salvo Costantin cernenko
segnalo emblematicamente l'immobilismo di un regime ve tutto e incapace di riformarsi benché consapevole
della necessità di dover cambiare passo per reggere la sfida con l'occidente con la globalizzazione e con la
complessa offensiva della Casa Bianca. Cernenko moriva appena un anno dopo il 10 marzo 1985 nel
contempo Reagan era stato rieletto a un secondo mandato.
L'undici maggio 1985 il politburo insegnava un nuovo segretario generale del pcus Michael sergeevic
Gorbacev. Gorbacev non avevo un programma predefinito di riforme ma riconosceva apertamente le
drammatiche difficoltà del sistema sovietico ed era aperto alla ricerca di nuove soluzioni.
Il fatto che il socialismo stesse perdendo la competizione con il capitalismo non aveva solo una preoccupante
rilevanza pratica la metteva in discussione l'intera concezione di se è del mondo coltivata fin dalla
rivoluzione. Per tale motivo Gorbacev ebbe inizialmente il sostegno anche dei conservatori che poté
muoversi piuttosto liberamente sfruttando l'immenso potere che il sistema sovietico concentrava nelle mani
del suo capo.
Gorbacev non voleva precipitare un arretramento delle posizioni sovietiche e restava convinto che nel terzo
mondo si scontrassero socialismo e imperialismo.
Cercò di migliorare le relazioni con alleati importanti come l'India e l'iraq e aumento gli aiuti al Nicaragua
sandinista.
Pensava anche di ritirarsi dall' Afghanistan ma voleva farlo solo con un accordo internazionale che
garantisce la sopravvivenza di un regime non ostile. Ma si rese presto conto che la svolta politica che andava
cercando doveva fondarsi sul miglioramento dei rapporti con l'occidente e in particolare con gli Stati Uniti.
Senza un'ampia riallocazione delle risorse la ristrutturazione (perestroika) telefono mia Sovietica a cui egli
mirava sarebbe Infatti rimasta una chimera. Al centro della sua sensibilità non c'era la sicurezza ma bensì il
declino poiché riteneva di essere circondato non da eserciti vincibili ma da economie superiori.
Il primo incontro tra Gorbacev e Reagan avvenne a Ginevra nel novembre del 1985. Consapevoli di essere
ormai in una posizione di forza gli Stati Uniti sceglievano Insomma di sfruttare le difficoltà dei sovietici per
premere su Gorbacev e forzarlo concessioni su più tavoli.
All'inizio del 1986 Gorbachev proposi pubblicamente un piano di riduzione graduale e bilanciata delle armi
nucleari che portasse alla loro definitiva rimozione entro il 2000.
Gorbacev stava iniziando a demolire uno dei pilastri della guerra fredda. Volevo invertire la corsa agli
armamenti fino a smantellare gli arsenali nucleari per ragioni strategiche e filosofiche oltre che economiche.
L'urgenza che gorbacev attribuiva a una riforma del sistema sovietico e al superamento della guerra fredda fu
drammaticamente acutizzata dal grave incidente di Chernobyl in Ucraina il 26 aprile 1986 quando
l'esplosione del reattore di una centrale nucleare disseminò una nube radioattiva su buona parte dell'Europa
orientale.
Tale situazione e l'incapacità del sistema sovietico di gestirla indusse Gorbacev ad aggredire frontalmente la
mentalità Sovietica attraverso politiche di trasparenza (glasnost) che negli anni successivi avrebbero aperto il
regime alla critica e al dibattito pubblico.
L'11 e il 12 ottobre il leader sovietico si presentò a un secondo vertice con Reagan a Reykjavik per la prima
volta in 40 anni Mosca e Washington dialogavano non per stabilizzare la guerra fredda bensì per smontare il
meccanismo della rivalità militare che le alimentava. Anche se comunque non si arrivo a nessun accordo.
Presidente americano uscì furente dal vertice per il mancato accordo ma era anche fiducioso nei confronti di
Gorbacev. Gorbachev era invece immerso in crescenti difficoltà, la sua franca scelta per il disarmo sollevava
speranze di pacificazione, rendendolo popolare in Europa e nel mondo. Ma non aveva leve efficaci per
persuadere gli Stati Uniti ad accordi immediati e dovette perciò contemplare l'ipotesi di azioni unilaterali via
via più radicali. Anche in patria la sua strategia cominciava a mostrare dei limiti. Era soprattutto la situazione
economica ad assediarlo, dal suo arrivo al potere i conti erano ulteriormente peggiorati. Il calo dei prezzi
internazionali del petrolio privava l'Unione Sovietica di entrate preziose, le spese militari continuavano ad
assorbire fondi enormi e ora c'erano anche quelle ingenti per Chernobyl.
A fine anno Gorbacev approvava una dottrina militare che non postura va più la ricerca della parità militare
con gli Stati Uniti e ipotizzava una riduzione unilaterali delle forze sovietiche in Europa. Nel 1987 iniziava
anche a smantellare i pilastri dell'autoritarismo sovietico: la repressione del dissenso cessava e le radio
straniere non venivano più oscurate. Vista la difficoltà di accordarsi subito sugli armamenti strategici i
negoziati sovietici accettavano di affrontare separatamente il nodo degli euromissili dichiarandosi pronti a un
trattato (INF) che gli eliminasse totalmente. Proponevano anche i negoziati per ridurre le forze convenzionali
in Europa e bandire le armi chimiche. Washington rispondeva positivamente ma non mostrava alcuna fretta e
premeva per assicurarsi garanzie di verifica dell'osservanza dei trattati.
Nel corso del 1987 l'Unione Sovietica riesamina va anche gli altri fronti alla sua politica estera.
Tra la fine del 1986 e primi mesi del 1987 il politburo prese definitivamente atto della sconfitta in
Afghanistan. Gorbacev non era però disposto a un ritiro unilaterale che distruggesse l' autorità dell'Unione
Sovietica, scelse perciò la strada del negoziato sollecitando il nuovo leader afgano ad aprire il suo regime a
una più ampia coalizione di forze e chiedendo al Pakistan e agli Stati Uniti una garanzia di non interferenza
sul futuro del paese dopo il ritiro dei sovietici.
Ma anche in questo caso non ottenne risposta incoraggianti.
L'urgenza che gorbacev attribuiva al disarmo arrivava comunque in primo risultato in autunno, quando i
negoziati INF approdavano a un trattato che per la prima volta aboliva un'intera categoria di armamenti
nucleari.
Se la partita strategica stava volgendo a favore degli USA e dell'Occidente, Gorbachev trionfava nell'arena
pubblica. Quando giunse a Washington per siglare il Trattato INF, l'8 dicembre 1987 fu accolto
entusiasticamente come l'uomo del cambiamento e della pace.

Pochi mesi dopo l' 8 Febbraio 1988 gorbacev annunciava il ritiro delle truppe sovietiche dall'afghanistan
entro un anno, se Pakistan e Stati Uniti avessero garantito di non interferire sul futuro del paese e in aprile
veniva siglato l'accordo.
Il ritiro delle truppe sovietiche dall'afghanistan fu completato il 15 febbraio 1989.
Alla fine del 1988 gorbacev annunciò di fronte all'assemblea dell'ONU a New York un taglio delle forze
armate sovietiche di 500 mila uomini, un loro riposizionamento difensivo e il ritiro di 6 divisioni dai paesi
del Patto di Varsavia.
In meno di 4 anni gorbacev aveva insomma avviato un cospicuo arretramento imperiale dell'Unione
Sovietica, abbandonando la dottrina conflittuale delle relazioni internazionali che aveva caratterizzato l'intera
esperienza Sovietica e ridefinito il bipolarismo svuotandolo il suo storico antagonismo.
Il senescente socialismo sovietico non reggeva più la competizione con l'Occidente e vedeva la sua stessa
ragion d'essere negata dall'incipiente successo di un capitalismo sempre più globale e vitale e rischiava di
venir soverchiato dal peso di un insostenibile obesità imperiale.
Il 1989 è un anno cruciale di svolta questo poiché l'Unione Sovietica era divenuta un mucchio di sabbia sul
punto di franare.
Nel corso degli anni 80 tutta l'Europa dell'Est aveva visto la crescita del prodotto pro capite arrestarsi, in
Ungheria come in Polonia il pagamento degli interessi sul debito estero era divenuto esorbitante e c'ho
esigeva continue rinegoziazioni con i creditori occidentali.
Ma il flusso di capitali occidentali non modificava il degrado economico e perciò la spirale
dell'indebitamento continuava ad approfondirsi e spingeva l'economia e Socialiste verso l'ovest senza il quale
Esse non riuscivano più a immaginare un futuro.
I cambiamenti avvenuti in questo periodo furono notevoli tra i quali abbiamo il ritorno in febbraio del 1989
di solidarnosc in Polonia. Poche settimane dopo il 4 giugno in Polonia si giunse un accordo per la
convocazione di elezioni è il voto, Dov'è il Partito Comunista venne stralciato e travolto da solidarnosti. I più
riformatore tra regimi comunisti quelli ungherese concordava con i gruppi di opposizione un percorso di
apertura politica che doveva sfociare in elezioni libere l'anno seguente. La differenza rispetto ai decenni
precedenti fu che Gorbacev scienze di non provare neppure a reprimere o controllare quei cambiamenti
accettandone Quindi tutte le possibili conseguenze.
Gorbacev il 7 luglio 1989 disse ai dirigenti dei paesi del Patto di Varsavia che gli schemi della guerra fredda
non operavano più, i blocchi si sarebbero avvicinati in una cooperazione paneuropea.
Unione Sovietica Insomma non garantiva più i governi dei paesi alleati né era disposta a usare la forza in
difesa di un ordine in via di superamento.
All'inizio di Agosto Lech Walesa chiedeva la formazione di un Governo guidato da solidarnosc e il 24
agosto nasceva a Varsavia sotto la guida di Tadeusz Mazowiecki il primo gabinetto non comunista di tutte le
Europa dell'est dal 1945.
Il giorno prima il governo ungherese aveva perso i suoi confini con l'Austria.
Il 9 ottobre centomila persone scendevano in piazza a Lipsia e nelle settimane successive anche in altre città
dilagavano manifestazioni che chiedevano la legalizzazione delle opposizioni, elezioni libere e il diritto a
varcare i confini.
Nel caos di un regime in fibrillazione, con i ministri e l'intero politburo dimissionari, una confusa
comunicazione alla stampa indusse le televisioni ad annunciare l'apertura dei Confini punto nel giro di poche
ore migliaia di berlinesi si riversarono ai posti di frontiera lungo il muro e alle 23:30 del 9 novembre le
guardie prive di ordini cedettero alla pressione e aprirono i passaggi.
Quella sera si chiudeva un'intera epoca della storia del sistema Socialista.
Tale evento ebbe riproduzioni molto più ampie nel blocco Socialista. Il leader comunista bulgaro venne
indotto a dimettersi cedendo le redini del paese a un gruppo di riformatori.
Tali cambiamenti avvennero nel giro di poche settimane anche in Cecoslovacchia, nella Repubblica Ceca e
anche in Romania dove il 25 dicembre Ceausescu venne fucilato, a seguito di un colpo di stato delle forze di
sicurezza, ponendo fine al regime.
Era Dunque chiaro che l'impero sovietico che Stalin aveva costruito tra il 1944 e il 1948 non c'era più punto
era quindi svanita la divisione dell'Europa in due blocchi separati e contrapposti di cui il muro di Berlino ora
distrutto era stato il simbolo più tetro e apparentemente solito.
A questo punto l'unificazione dei tedeschi tornava così al centro della politica internazionale poiché nessuno
voleva e ne avrebbe davvero potuto negare loro il diritto dell'autodeterminazione .
Ma la prospettiva di una Germania riunificata al centro di un Europa non più bloccata nella partizione
bipolare resuscitava tutte le tradizionali ansie sulla potenza tedesca.
In particolar modo la riunificazione della Germania non andava a genio a Gorbaciov e l'Unione Sovietica na
essendo ormai debole e vincolata dalla debolezza aveva Dunque ben pochi strumenti per contrastare Tale
situazione.
La Germania riunificata avrebbe riconosciuto i confini del 1945 con la Polonia rinunciato a possedere armi
di distruzione di massa e fatto parte della NATO.
Era quindi un duplice dopoguerra quello che finalmente si schiudeva, ci si lasciava alle spalle i capisaldi
dell'antagonismo bipolare perché Mosca non percepiva più minacce esterne mentre l'occidente non aveva più
di fronte quella miscela di pericolo ideologico e instabilità strategica che aveva motivato il contenimento.
Il 12 settembre I due stati tedeschi le 4 potenze che avevano occupato il paese alla fine della seconda guerra
mondiale fermavano gli accordi di riunificazione di una Germania ora pienamente Sovrana.
Il 3 ottobre 1990 la rdt cessava di esistere i suoi cittadini e territori erano inglobati nella Repubblica federale.
Era questo il principale lascito politico della fine della guerra fredda insieme al sorgere, nel nell'est europeo,
di regimi democratici sovrani, che l'anno dopo abbandonarono sia il COMECON che il Patto di Varsavia, i
quali cessavano così di esistere. Ma non era l'unico Perché l'attenuazione e poi la fine dell'antagonismo
bipolare stavano allentando anche le condizioni che in altre parti del mondo avevano sostenuto dei sistemi
autoritari.
I regimi che avevano a lungo assicurato il ruolo delle Filippine della Corea del Sud quali bastioni del
contenimento in Asia, si erano trovati privi di tale funzione ed erano crollati già nel 1986 e nel 1988, per
venir sostituiti da governi democraticamente eletti.
In modo analogo le dittature militari dell'America Latina avevano perduto la legittimazione internazionale
dell'anticomunismo e negli anni 80 avevano gradualmente lasciato il passo alla democratizzazione tanto che
nel 1990 in tutto il continente non c'era più alcun governo non eletto.
È la fine del conflitto in Africa australe si chiudeva la strada al superamento del regime bianco dell'apartheid
in Sudafrica che veniva smantellato nel 1991 e poi sostituito nel 1994 da una democrazia elettorale guidare
dalla maggioranza nera.
Infine il crollo dell'Unione Sovietica il 26 dicembre 1991.

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